Comune di Jesi Assessorato allo Sviluppo Sostenibile e ai Progetti Speciali
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Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile
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Jesi Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile
PREFAZIONE
L’attuale congiuntura che colpisce l’economia mondiale obbliga anche le piccole comunità a mettere in campo ogni strumento per attivare e stimolare tutte le proprie potenzialità. Jesi ha percorso questa strada progettando il suo Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile. Vedo almeno due risultati importanti in questo percorso che la nostra città ha compiuto. In prima istanza voglio mettere in luce il risultato sostantivo che abbiamo conseguito, poiché siamo riusciti a mettere in campo un complesso paniere di progetti che ci consentirà di lavorare nei prossimi anni per potenziare un processo di sviluppo sostenibile e integrato. L’altro aspetto, non meno importante, è che abbiamo consolidato la capacità di definire progetti in modo congiunto e sinergico tra i diversi operatori, con l’Amministrazione comunale che ha giocato un ruolo di stimolo all’intera iniziativa e di affiancamento ai soggetti coinvolti. Abbiamo, insieme, attivato un importante processo di apprendimento acquisendo la capacità di co-progettare che potrà dare risultati ancora maggiori al momento della ripresa dell’economia, che mi auguro ravvicinato, cui potremo arrivare con una comunità coesa, orientata alla progettualità e alla cooperazione. Credo che la coesione e la progettualità siano fattori decisivi di sviluppo anche perché permetteranno di giocare un ruolo ancora più attivo e deciso nella competizione per lo sviluppo che inevitabilmente ci vede anche “in gara” con altri territori: se non vorremo subire decisioni prese altrove o se comunque non vorremo giocare un ruolo marginale nell’acquisizione di risorse saremo chiamati sempre di più a dimostrare capacità nel proporre concrete idee progettuali e nell’attivare coalizioni di soggetti che le sostengano. Se questo avverrà l’Amministrazione comunale avrà chance ancora maggiori nel sostenere le ragioni di Jesi e degli jesini in tutte le occasioni istituzionali cui sarà chiamata a partecipare.
Jesi, maggio 2009
Il Sindaco
Fabiano Belcecchi
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Indice
Una città forte in cui si vive bene di Daniele Olivi Il manifesto del Piano Strategico per lo Sviluppo Economico Sostenibile
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PARTE 1. Il Piano Strategico 2009
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1.
Il processo del Piano
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1.1 1.2 1.3
La pianificazione strategica e la programmazione complessa a Jesi 20 La sfida e il metodo del Piano Strategico 20 La cronologia del Piano 22
2.
La strategia, gli obiettivi e la visione del Piano
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2.1 2.2 2.3
Una strategia di innovazione: la situazione di partenza e i percorsi di azione verso il futuro Gli obiettivi del Piano Strategico Le immagini territoriali per Jesi e la visione del Piano Strategico
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3.
I progetti del Piano
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3.1 3.2
I progetti-quadro I progetti-bandiera
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4.
L’implementazione del Piano
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4.1
L’Urban Center
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4.2
Il sistema di monitoraggio del Piano
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4.2.1 Il monitoraggio dei progetti 4.2.2 Il monitoraggio del Piano
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4.3
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Un calendario di attività per il 2009
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PARTE 2. Contributi
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Innovazione e cluster tecnologici di Donato Iacobucci
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Innovazione e territorio di Gioacchino Garofoli
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UnicitĂ dei luoghi come anima di Renato Novelli
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Le fotografie di Schiavoni e Ubaldi di Claudio Cardinali
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5 linee di forza di Massimo Ippoliti e Capolinea
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Credits
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Una città forte in cui si vive bene Una visione per lo Sviluppo Sostenibile
1. Il senso dell’operazione Tra i diversi obiettivi che l’Amministrazione comunale di Jesi - e in particolare l’Assessorato allo Sviluppo economico - si è posta con la promozione di un processo di pianificazione strategica per lo sviluppo sostenibile, ve ne è uno che si è dimostrato assolutamente centrale: definire e promuovere, probabilmente per la prima volta, una vera e propria politica economica per il Comune di Jesi. I presupposti impliciti di questa sfida, che vale la pena affermare con chiarezza, sono almeno due. Il primo è che il territorio “locale” è un soggetto di progettualità anche nel tema dello sviluppo economico. Dopo anni di attenzione ai temi dello sviluppo locale, dello sviluppo endogeno, questa sottolineatura potrebbe sembrare ormai inutile. In realtà, per me, non è così. Sta tornando ad affermarsi un’idea di governo che sancisce una sorta di divisione del lavoro, per cui i livelli istituzionali sovraordinati individuano obiettivi ed erogano risorse, se necessario contrattando con le categorie e con le parti sociali; i singoli operatori, con le proprie decisioni di investimento condotte all’interno di quadri programmatori pubblici a volte poco stringenti, determinano le traiettorie di sviluppo di un territorio mentre le Amministrazioni comunali sono relegate al ruolo sussidiario di soggetto che autorizza (con le procedure edilizie, con il Suap ecc.) o al più collabora, in una posizione marginale. Un ruolo, quello del Comune, che va dal facilitatore al più scomodo ‘gatekeeper’ (di colui che può impedire l’avanzamento di progetti decisi altrove), mentre invece, ritengo, debba caratterizzarsi sempre più come forte rappresentante dell’interesse pubblico locale. Il secondo presupposto è relativo al modello di “governance” che sta alla base di questa richiesta di un nuovo ruolo per il “locale”. Dal mio punto di vista, quando oggi parliamo di governo delle città non possiamo che rifarci alle riflessioni e agli indirizzi che ci arrivano dall’Unione Europea, dove si sta attuando una politica di sviluppo urbano integrato, che copre dimensioni economiche, sociali ed ambientali. Anche dietro alla costruzione del progetto “Piano strategico per lo Sviluppo Sostenibile” c’è un riferimento molto preciso ad almeno due importanti documenti dell’Unione Europea, cioè l’Agenda Territoriale dell’Unione Europea e la Carta di Lipsia per le città sostenibili, approvati nel corso del Consiglio dei Ministri (informale) responsabile dello sviluppo urbano e l'assetto del territorio (Lipsia 24 e 25 maggio 2007 presidenza tedesca UE) e fatti propri dal Parlamento europeo. Senza dilungarsi nell’illustrazioni di testi che trattano temi impegnativi definendo un vero e proprio
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modello europeo di governo delle città, basterà ora ricordare il punto 7 dell’Agenda Territoriale per richiamare l’idea di governance che ha ispirato l’operazione del Piano Strategico: «Uno sviluppo sostenibile delle regioni e delle città dell’UE non può essere raggiunto se non attraverso un dialogo profondo, continuo e coordinato tra tutte le parti interessate. Il mondo dell’impresa (in particolare gli imprenditori locali e regionali), la comunità scientifica, l’amministrazione (in particolare le autorità locali e regionali), le organizzazioni non governative e le politiche settoriali devono analizzare a fondo e agire insieme per trarre beneficio dagli investimenti indispensabili nelle regioni europee e, anche, per attenuare gli effetti del cambiamento climatico e adattarsi ad essi. Questo è quello che chiamiamo la ‘governance territoriale’» (da: Agenda Territoriale dell’Unione Europea – “Verso un'Europa più competitiva e sostenibile composta da regioni diverse” – marzo 2007) E questo è, possiamo dire, quello che cerchiamo di fare a Jesi. A questo punto occorre una precisazione. Se è vero che il nostro obiettivo è far sì che essere su un territorio, fare squadra, far parte di un progetto complessivo che interessa tutti, deve costituire un valore aggiunto per tutti i soggetti locali, attori di sviluppo, qual è il territorio a cui ci riferiamo? È evidente che in prima istanza essendo l’operazione “Piano Strategico” promossa dall’Amministrazione comunale di Jesi, l’area di interesse è quella comunale. Ma è altrettanto evidente che il riferimento in prospettiva non possa che essere costituito un territorio più ampio, quel territorio che, grazie alle analisi finanziate del Ministero, abbiamo imparato a chiamare prima “Corridoio Esino” e poi, in modo forse più preciso, “Parco di attività dell’Esino”, e i cui sindaci hanno sottoscritto nel 2006 un “Manifesto per lo sviluppo”. Tale territorio è stato da noi definito “parco di attività” perché riconosciamo che in esso coesistono valori paesaggistici e ambientali, capacità ed eccellenze nella produzione. Risorse per un progetto di sviluppo locale che non sono disponibili ovunque e che sarà nostro compito sviluppare al meglio. Un territorio che il Ministero delle Infrastrutture chiama “Territorio snodo”: “… proprio perché suscettibile, per la presenza di infrastrutture di notevole importanza, di innescare una traiettoria di sviluppo non comune.” (Ministero delle Infrastrutture – dicembre 2007)
2. Cosa significa progettare un piano per lo sviluppo in tempi di crisi? Tra l’insediamento della seconda Amministrazione Belcecchi e la costruzione del Piano Strategico dello sviluppo locale, le condizioni di contesto sono cambiate. La crisi mondiale, che è arrivata a toccare pesantemente anche la nostra Regione, poteva sollecitare atteggiamenti difensivi o momenti di stasi improduttiva in attesa che tale situazione cambiasse e riportasse opportunità per le nostre imprese e per il territorio. L’Amministrazione ha deciso diversamente attivando subito una strategia con tattiche a breve, medio e lungo respiro nella consapevolezza di dover sia rispondere al quotidiano che, al tempo stesso, adoperarsi per essere pronti a cogliere la ripresa che seguirà certamente l’attuale fase recessiva. Per il breve periodo si sono accelerati tutti i programmi di opere pubbliche e destinate risorse ad un apposito fondo di solida-
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rietà; per il medio periodo sono avviate azioni per la realizzazione dei progetti elaborati da questo stesso piano strategico; per il lungo periodo, invece, ci stiamo inserendo in reti e relazioni locali e sovralocali per partecipare a progetti complessi di geo-economia quali, ad esempio, il “Territori snodo”. Nonostante l’attivazione di questi programmi, credo sia lecito essere ragionevolmente preoccupati, ma del resto è la nostra condizione contemporanea a vederci immersi entro fenomeni generali – quali la globalizzazione, i cambiamenti climatici, le criticità ambientali - che non possono essere governati dai soli soggetti pubblici. La preoccupazione, pertanto, non deve indurci alla passività ma, al contrario, ad un certo attivismo. Come ci ha insegnato il prof. Garofoli con la sua presenza ai lavori del Piano Strategico, anche per un sistema locale “il problema è una garanzia”: vincono quei sistemi locali (e a maggior ragione quelle imprese) che, di fronte a un problema cui sono posti, sono capaci di risolverlo mettendo al lavoro le proprie risorse e facendo innovazione. Il nostro territorio non può quindi permettersi esclusivamente risposte difensive attendendo tempi migliori. La competizione ormai non riguarda solo le imprese ma intere città e territori nel loro insieme che possono svilupparsi o avvitarsi in crisi profonde come abbiamo visto accadere, purtroppo, anche nella nostra stessa Provincia. Se lo sguardo deve essere rivolto lontano, obiettivo immediato di un’amministrazione locale non può essere che attivare tutte le potenzialità dell’economia del contesto, suscitare la nascita di idee, immetterle nei circuiti istituzionali anche sovra locali e in tutte le occasioni di comunicazione che sono proprie dell’Ente. Ma anche far circolare le idee all’interno della città, accrescere la consapevolezza delle proprie qualità, delle traiettorie di sviluppo che possono essere innescate. Questa, lo abbiamo capito nelle riunioni del Piano Strategico, è la pre-condizione per una politica efficace di marketing che proietti Jesi al di fuori dei suoi confini di città di provincia. Come è stato notato da Retecamere, “parte della popolazione, soprattutto le nuove generazioni, hanno una conoscenza non piena del proprio territorio e di quello che offre”(relazione ReteCamere anno 2008). Per questo è necessario avviare un percorso di rafforzamento della conoscenza di “quello che si ha” nei confronti dei cittadini stessi, che sono le risorse primarie del territorio. E del resto, come ci ha detto il prof. Renato Novelli, ai turisti, a chi viene da fuori “interessa la storia della comunità, quindi il legame con la cultura locale deve essere un legame molto forte, molto significativo... Un buon turismo è quello che fa della cultura locale e del passato un elemento vivo ed operativo” (Incontro su “dimensione slow dell’economia” Piano Strategico di Jesi – ottobre 2008). Attenti al futuro e consci delle nostre qualità, dovremo farci trovare pronti anche alla competizione tra territori, per attrarre risorse, per svolgere ruoli importanti: non dimentichiamo che da un punto di vista geo-strategico, per così dire, Jesi è stretta tra due importanti realtà, quella di Ancona e di Fabriano (vedi studio/analisi sul “policentrismo” del prof. A.Calafati). Ancona, che solo per il fatto di essere capoluogo regionale e sede del porto, tende ad attrarre investimenti in opere pubbliche e a ‘drenare’ molte attività di tipo terziario; Fabriano invece, che anche per un necessario sostegno alla crisi degli elettrodomestici, viene indicata dalla Regione come sede su cui indirizzare consistenti interventi pubblici finalizzati all’innovazione. Credo, nonostante tutto, che Jesi possa sostenere con successo anche questa ulteriore sfida. Grazie alla sua realtà imprenditoriale ed ai talenti
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diffusi, ha un’economia diversificata e un ambiente urbano assolutamente accogliente e di pregio. Tradizionalmente Jesi, tuttavia, rinuncia a fare squadra e spesso i suoi talenti corrono in ordine sparso. Ora come non mai, è invece necessario per noi tutti presentarsi coesi: mi verrebbero in mente immagini legate agli eserciti, come falangi o testuggini, ma forse è sufficiente rifarsi alla capacità di essere un vero sistema, anziché una sommatoria di individualità talentuose e creative.
3. Come costruire un Piano Strategico per lo sviluppo a scala locale: la visione che il Comune ha proposto ai soggetti locali e la sua articolazione nel processo di piano Un piano per lo sviluppo costruito da un’amministrazione comunale non può essere che “strategico”, un piano che guarda al futuro e costruito insieme ai soggetti sociali, ed essere un processo continuo, un work in progress, che continuamente, a cadenze stabilite, si aggiorna e produce risultati. In poche parole, un piano concreto, orientato all’azione, in questo senso, meno omnicomprensivo e generale rispetto ad altri piani strategici prodotti in altre realtà italiane, ma forse proprio per questo, credo, più capace di avvicinare gli obiettivi che si è posto. Nel caso di Jesi, avviando il processo ed organizzando i lavori, l’Amministrazione ha compiuto alcune mosse principali. 1. Ha proposto una bozza di visione guida che si è articolata nel corso dei lavori. In questo modo ha contribuito a costruire una prima agenda di temi e progetti. 2. Ha cercato di stabilire un clima di fiducia nel confronto ai tavoli (tra amministrazione e operatori, tra gli stessi operatori). 3. Ha cercato di stabilire connessioni tra soggetti locali per attivare processi collaborativi e generare progetti. La bozza di visione-guida proposta dall’Amministrazione ipotizzava che il futuro di Jesi dipendesse dalla capacità di sviluppare e far interagire tra loro tre dimensioni dell’economia locale: la dimensione strutturale (storicamente incardinata sul settore meccanico, industriale e artigiano, sulle sue evoluzioni e le sue necessità) la dimensione innovativa (orientata al parco tecnologico e all’economia della conoscenza, alle energie rinnovabili), la dimensione ‘slow’ (turismo, settore agroalimentare, ambiente). Rispetto a questa ipotesi di lavoro, che è apparsa a tutti (forum del luglio 2008) ragionevole e fertile, durante i lavori si sono chiariti meglio alcuni punti. È risultato evidente che dimensione strutturale e dimensione innovativa sono strettamente compenetrate. Si è capito che è sempre più difficile separare dimensione strutturale da dimensione innovativa perché l’innovazione si innesta sulla struttura dell’economia e la struttura non può continuare ad essere tale se non è proiettata verso l’innovazione. Quindi gli obiettivi che un sistema territoriale dovrebbe darsi, come ci ha sintetizzato il prof. Donato Iacobucci, dovrebbero essere volti a modificare la composizione settoriale delle attività verso settori a più alto contenuto di conoscenza e a migliorare la capacità di interazione fra il tessuto produttivo esistente e i centri di ricerca, nell’ottica di trattenere (o attrarre) sul territorio persone ad elevata qualificazione. Si è capito che valorizzare la dimensione slow non è una componente marginale di una politica di sviluppo locale ma è la pre-condizione: l’ambiente di Jesi, in cui è piacevole vivere perché offre una pluralità di occasioni, è un forte elemento caratterizzante ed essenziale. L’ambien-
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Foto: Ubaldo Ubaldi
Foto: Ubaldo Ubaldi
“Dare un volto” e “dare una traiettoria” sono due facce della stessa attività. La Carta di Lipsia per le città sostenibili conclude sostenendo che “l’Europa ha bisogno di città e regioni forti e in cui si vive bene”. Conclusione che esprime in una frase un intero progetto politico, del quale, questo Piano Strategico d e ll o S vilup p o Sostenibile, ne è una delle espressioni.
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te urbano di qualità, infatti, deve essere tutelato e valorizzato perché l’abitabilità di una città è tanto un elemento di benessere e sviluppo personale per i suoi cittadini, quanto un fattore di attrazione e sviluppo per il sistema economico nel suo insieme. Finita questa fase più intensa di progettazione, cosa farà l’Amministrazione Comunale e cosa faranno gli altri soggetti? L’Amministrazione comunale si farà promotrice dei progetti che le sono propri secondo le normali procedure che regolano l’azione amministrativa compatibilmente con le risorse disponibili, rese sempre più limitate dalla crisi economica e dalle ristrettezze di bilancio. Su alcuni progetti l’Amministrazione ha comunque scommesso ed è pronta ad avviare il lancio: il progetto per la logistica di distretto, per esempio, o il progetto per il wi-fi nel centro storico, funzionale alla valorizzazione del turismo e in generale ad una maggiore attrattività del centro. Gli altri partecipanti al piano avranno posizioni e ruoli diversi a seconda del fatto di essere proponenti/partecipanti ai progetti elaborati o aderenti alla visione del piano stesso. Nel ringraziarli tutti per i nove mesi di proficuo lavoro ricordo che associazioni, categorie, agenzie pubbliche, privati, hanno firmato il “Il Manifesto del Piano Strategico per lo Sviluppo Economico Sostenibile di Jesi” aderendo agli obiettivi ed alla visione enunciati nel piano, riconoscendo l’utilità di questo strumento e del suo percorso, condividendo la necessità di co-pianificare una strategia di decisa innovazione del sistema locale. Altri, invece, sono andati oltre proponendo ai tavoli dei progetti con i quali sono stati in grado di costruire sinergie e relazioni contribuendo ad allargare la platea nelle riunioni; progetti che li vedono, responsabilmente, assumersi impegni in prima persona. A queste persone/associazioni va il mio più sentito ringraziamento per aver accettato la proposta senza tatticismi e pregiudizi, ma anzi accogliendo la sfida e “mettendoci la faccia”, ponendosi così al servizio del nostro territorio e della nostra comunità: per il bene comune. L’Amministrazione comunale, in questa prima fase, si farà carico della regìa, cercherà di alimentare la fiducia che si è creata in questo processo e di aumentare le occasioni di connessioni tra soggetti. L’idea è quella di attivare l’Urban Center come luogo che tra le altre funzioni, abbia quella di monitorare e sollecitare il Piano Strategico. Decideremo insieme ai sottoscrittori del “manifesto” la forma che questa struttura dovrà avere, così come concorderemo anche con tutti i soggetti interessati i suoi programmi. Sarebbe poi auspicabile che l’Urban Center che noi proponiamo trovi l’interesse anche negli altri territori della Vallesina e nelle aree contermini, così da poter diventare un Territorial Center, una struttura di governance di area vasta in cui discutere, tra Amministrazioni, cittadini e stakeholders, i temi di interesse comune per la nostra area In ogni caso l’Urban Center dovrà accompagnare (seguire, facilitare, comunicare, mettere in rete) tutti i progetti proposti dal piano anche quelli dei privati che, proprio per essere pensati all’interno di una cornice comune, acquistano un valore maggiore.
4. Le sfide aperte Non è stato ovviamente possibile toccare tutti i temi dello sviluppo in questa prima fase di pianificazione strategica. Poiché abbiamo immaginato il nostro piano strategico come un processo continuo che si aggiornerà
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e produrrà progetti nel tempo, la nostra idea-guida dello sviluppo di Jesi potrà arricchirsi e articolarsi e generare nuovi progetti. Provo ad anticipare alcuni temi che mi appaiono di grande rilievo e che potrebbero generare progetti significativi. Un progetto per sviluppare attività che creano reddito nel campo della cultura (Jesi città creativa) Abbiamo approfondito un tema essenziale: Jesi come città creativa, innovativa, epicentro della conoscenza dal punto di vista dell’innovazione tecnologica. È possibile pensare un progetto analogo anche per quanto riguarda arte, cultura, ed altre dimensioni della creatività? È in altre parole possibile fare diventare progetto e risorsa economica, l’intensa attività culturale che si svolge in città? È un tema difficile perché tipicamente affrontato da città metropolitane, tuttavia anche Jesi può iniziare a muoversi in questa direzione. La varietà dell’ambiente urbano, la molteplicità di competenze di punta in settori diversi (cinema, musica, arti, design) favorite dalla varietà di occasioni di lavoro, possono diventare un fattore di attrazione e competitività, e della varietà di occasioni di interscambio tra eccellenze di settori diversi può innescarsi un circuito virtuoso per rendere sempre più Jesi una “città creativa”. La Green Economy e i Green Jobs Non sono mai abbastanza apprezzate le possibilità offerte dalla Green Economy: la ricerca sulle fonti rinnovabili, le tecnologie poco impattanti sull’ambiente, le attività economiche per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente. L’avvento alla presidenza americana di Barak Obama ha reso questo orizzonte meno utopistico e più concreto, la nuova Amministrazione statunitense ha varato un ‘pacchetto di stimolo’ con oltre 500 milioni di dollari per la creazione di migliaia di “colletti verdi”. Ancora più interessante, poi, perché la Green Economy interessa dai livelli più elevati (per esempio gli ingegneri esperti in nuove tecnologie) a quelli meno qualificati (per es. tecnici esperti in interventi di bioarchitettura o nel montaggio di impianti orientati all’ambiente). A Jesi potremo collegare questo obiettivo al “parco tecnologico” di Zipa Verde, al progetto “Jesi città solare” allo strumento del PEAC (Piano Energetico Ambientale Comunale); alla nostra università con i suoi masters e alle scuole professionali qui presenti (formazione e/o riqualificazione professionale). Attivare a Jesi una seria politica dei “green jobs" significherebbe cogliere quello che oggi viene fatto in Austria, in Germania, dove sono decine i settori in cui si è sviluppata questa offerta di lavoro e dove sono centinaia di migliaia i lavoratori occupati. Il sociale e il benessere della persona Quando si parla di forme di sociale che può diventare fattore di sviluppo economico si affronta un terreno apparentemente scivoloso. Tuttavia non si tratta di trascurare l’idea che il sociale è fondamento della coesione. Sarebbe invece bello immaginare che, accanto alla dimensione dell’attenzione all’altro che a Jesi vanta esperienze importanti, la cura della persona possa diventare un fattore di sviluppo. Il prof. Gioacchino Garofoli ci ha raccontato dell’evoluzione del distretto di Saint Etienne che si è evoluto da distretto tessile a distretto centrato sui temi della salute. Il prof. Renato Novelli ci ha fatto capire come un turismo legato al benessere e alla cura delle persona possa costituire una prospettiva di grande rilievo anche per i nostri territori. Credo che Jesi potrà essere capace di mettersi in gioco anche in questa dimensione vista la presenza
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viva sia del privato sociale, sia di realtà in grado di sviluppare il tema del benessere, dell’alimentazione e della cura della persona. Biotecnologie e nanotecnologie I dati emersi lo scorso ottobre nella quinta edizione di Bioforum, a Milano, hanno evidenziato che sul biotech ci sono in Italia oltre 200 imprese che impiegano più di 26 mila addetti con un fatturato che è cresciuto del 11% nel 2007; sempre al Bioforum si è constatato che il nanotech crescerà del 40% l’anno nei prossimi 12-15 anni. Tra le conclusioni di questo convegno internazionale risalta che per il nostro Paese: “...lo sviluppo di queste tecnologie; l’asse microtecnologie - information tecnology; la coniugazione di università, centri di ricerca e industria, contribuiranno significativamente alla crescita economica dell’Italia" (Bioforum – Milano, Ottobre 2008). A Jesi sono presenti soggetti d’interesse nazionale che operano nel settore delle biotecnologie, così come il settore del ICT è fortemente radicato anche con spin off universitari della Politecnica di Ancona: perché non cogliere quest'opportunità? perché non costruire un sistema integrato, qui nella Vallesina? Ho semplicemente accennato a quattro temi che mi stanno particolarmente a cuore ma ne potrei elencare molti altri. In generale, credo che l’idea vincente sarà quella di coinvolgere un numero sempre maggiore di soggetti in processi di sviluppo e innovazione. Il gioco collettivo che ha funzionato bene finora non potrà che giovarsi dalla presenza di un numero sempre maggiore di competenze e specializzazioni, dall’aumento di varietà e complessità.
5. “Jesi città bella” perché città della “vita bella” Al termine di due cicli di pianificazione strategica che ho promosso dapprima come Assessore al Territorio per la revisione del nuovo Piano urbanistico di Jesi e, ora, come Assessore allo Sviluppo Economico per sostenere lo sviluppo sostenibile della città, vorrei provare a cercare di estrarre un senso da queste esperienze. Come spesso ho detto, essere impegnato dapprima nella costruzione del piano urbanistico e poi nella costruzione di un progetto di sviluppo, ha per me significato dapprima cercare di “dare un volto”, in modo partecipato e tecnicamente competente, alla nostra città e poi “dare una traiettoria” di sviluppo alla nostra comunità. Sono state due esperienze alte, per chi fa politica, due sfide impegnative che ho affrontato convinto delle possibilità offerte dalla pianificazione strategica, sia per sua capacità di “ascoltare” la società locale sia per la possibilità che offre di costruire progetti condivisi entro cornici comuni. Le immagini che conservo di questa esperienza sono quelle di una città bella, ancora coesa, con una comunità locale fortemente radicata e preoccupata del bene comune, competitiva con ulteriori potenzialità di sviluppo. Allora a me sembra che essere consapevoli di “Jesi città bella” sia la chiave di volta. Tutti ricordiamo la vecchia descrizione del geografo Edrisi “Jesi città bella adagiata lungo un fiume”. È un’immagine che risale al 1154 ma
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che credo dovremmo tenere sempre presente La coesione sociale della comunità Jesina è stata nel tempo capace di generare una città riconoscibile e di qualità; i molti talenti che la città ha espresso nella storia antica o recente (nella musica e nell’arte, nel mondo del lavoro e del sociale, nello sport, e così via …) si sono potuti sviluppare al meglio proprio perché si sviluppavano entro una società ed entro un ambiente fisico che li supportava nelle loro scelte, offrendo la possibilità di coltivare e accrescere i loro talenti. Oggi la bellezza della città (intesa come dimensione fisica, qualità degli spazi e dell’ambiente, e come dimensione sociale di coesione) è diventata ulteriormente fattore di attrazione e sviluppo. Di questo dovremmo essere coscienti, in primis come amministratori: una città è tanto più coesa e competitiva quanto più mantiene la sua bellezza. Ciò dovrebbe essere sempre tenuto presente nel progettare spazi pubblici, nel risolvere gli elementi di degrado emergenti, nell’offrire un paniere variegato di servizi, nell’inventare sempre più politiche pubbliche non banali ma invece complesse e integrate. “Jesi città bella” non è solo una descrizione di quello che c’è ma è un’idea regolativa che ci deve indicare una traiettoria per futuro ed un’attenzione per il presente. Dobbiamo pensare che Jesi è, e sarà, una città bella non perché permette al cittadino “la bella vita” - come un progetto di vita individualistico orientato al consumo - ma perché consente alla persona di realizzare una “vita bella” dove il successo individuale trascina la comunità e dalla comunità è favorito, dove la cultura è diffusa, dove le differenze di reddito non sono drammatiche e non escludono. In poche parole, una città dove bellezza, competitività e coesione si rafforzano tra loro. Alla fine ho capito come “dare un volto” e “dare una traiettoria” sono due facce della stessa attività. Ho scoperto che la Carta di Lipsia per le città sostenibili conclude sostenendo che “l’Europa ha bisogno di città e regioni forti e in cui si vive bene”. Conclusione che esprime in una frase un intero progetto politico, che è anche il mio. Assessore allo Sviluppo Sostenibile, Progetti Speciali, Infrastrutture di Area Vasta
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Il Manifesto del Piano Strategico per lo Sviluppo Economico Sostenibile
Il sistema economico di Jesi e della Vallesina si trova oggi ad affrontare una situazione critica, risultato soprattutto di una congiuntura internazionale particolarmente sfavorevole ma anche di criticità locali che ancora sollecitano risposte adeguate. La città e il territorio della Vallesina possiedono d’altro canto cospicue risorse per poter affrontare una sfida ambiziosa: patrimoni di conoscenza, competenze tecniche e scientifiche, capacità di intraprendere e diffusa cultura del lavoro, qualità e riconoscibilità dei prodotti, forte legame degli operatori con il territorio, cluster nell’ambito delle ICT e del digitale, casi di successo di imprese esito di spin off universitari in settori fortemente innovativi, presenza di patrimoni storici, artistici, naturali e paesaggistici di grande valore, importanti giacimenti della cultura materiale, potenzialità per lo sviluppo di un turismo sostenibile, ecc. Tali risorse appaiono tuttavia al momento poco valorizzate e soprattutto risultano frammentate ed incapaci di fare sistema. È giunto il tempo di promuovere una strategia di decisa innovazione del sistema locale, che faccia propri alcuni obiettivi comuni: 1. Promuovere un percorso di decisa innovazione del sistema jesino, spingendo verso la costruzione di progetti sperimentali che incidano sulla qualificazione e integrazione delle risorse locali. 2. Rilanciare lo sviluppo di Jesi e della Vallesina, in una fase critica dell’economia locale e internazionale, mettendo esplicitamente a tema lo sviluppo sostenibile come fuoco attorno al quale orientare l’attenzione del nuovo ciclo di politiche di crescita per la città e il territorio. 3. Identificare e dare sostanza a prospettive di sviluppo per Jesi e per la Vallesina, che sappiano coniugare la tradizionale vocazione industriale con l’attenzione all’ambiente e al paesaggio, integrando i temi della sostenibilità, della soft economy e dell’economia della conoscenza. Vi è la necessità di intraprendere iniziative di attrazione di nuove imprese e di investimenti esteri, qualificazione delle professionalità, collegamenti tra mondo della produzione e mondo della ricerca, miglioramento della qualità dell’ambiente urbano e del paesaggio, incremento della capacità di cooperazione e dunque rafforzamento delle reti di governance. Grazie al Piano Strategico per lo Sviluppo Economico Sostenibile è stata identificata una serie di progetti che intendono muoversi nella
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direzione di una strategia di innovazione e per il perseguimento degli obiettivi enunciati. Sulla base di quanto finora richiamato, noi sottoscrittori del documento di Piano Strategico di Sviluppo Sostenibile, in rappresentanza delle organizzazioni e delle associazioni degli interessi locali e in qualità di singoli operatori del mondo della produzione e dei servizi: Riconosciamo l’utilità del percorso compiuto dal Piano Strategico come occasione di co-progettazione tra gli attori e come modalità innovativa per la concertazione tra partner. Dichiariamo l’interesse verso ulteriori iniziative che vadano nella direzione del consolidamento e rafforzamento della cooperazione locale, e della generazione di nuove iniziative e progetti di sviluppo, considerando il Piano Strategico un primo passo in questo senso. Aderiamo agli obiettivi e alla visione enunciata dal Piano Strategico. Assumiamo come prospettiva di lavoro comune i progetti del Piano Strategico, esplicitando la volontà di contribuire alla loro realizzazione secondo modalità e tempi che saranno concordati all’interno di ciascun partenariato di progetto.
Firmatari del Manifesto del Piano Strategico Al momento di andare in stampa il Manifesto del Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile è già stato sottoscritto da Associazioni industriali (Confindustria Ancona), artigiane (CNA, CGIA) del mondo agricolo (Confederazione italiana agricoltura, Confederazione Produttori AgricoliConfagri, Coldiretti), del commercio (Confesercenti, Confcommercio), della cooperazione (Confcooperative Ancona, Legacoop Marche – Comitato provinciale di Ancona, AGCI) e dai Sindacati (CGIL, CISL). Dalle Banche con sede a Jesi (Banca delle Marche e Banca Popolare di Ancona). Da Fondazioni (Fondazione Pergolesi Spontini, Fondazione Angelo Colocci). Da società e consorzi pubblici finalizzati allo sviluppo del territorio (Consozio Zipa, Interporto Marche SPA). Da Associazioni ambientali (Circolo Legambiente Azzaruolo Jesi). Inoltre il manfesto è in corso di sottoscrizione da parte di singoli soggetti (aziende, professionisti, onlus) attivi nel mondo della produzione e dei servizi.
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PARTE 1:
Il Piano Strategico 2009
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1. Il processo del Piano
1.1 La pianificazione strategica e la programmazione complessa a Jesi
Negli anni recenti l’attività dell’Amministrazione comunale di Jesi, nel campo delle politiche urbane e territoriali, è stata orientata alla produzione di piani, programmi e progetti di carattere strategico. Si è trattato, infatti, di forme di azione che hanno riguardato di volta in volta la città, alcune sue specifiche parti, il territorio della Vallesina, caratterizzate dalla costruzione di una nuova visione dello sviluppo e dalla generazione di proposte di intervento di trasformazione e sviluppo: dal Piano Strategico al Piano regolatore, dal Contratto di Quartiere a Zipa verde, dal Progetto Sistema ad Agenda 21 locale. Queste esperienze hanno fatto maturare, in primo luogo, una nuova consapevolezza sui temi dello sviluppo locale e della necessità di cooperazione tra attori. Oggi la cooperazione su singoli piani e iniziative si è affermata: si pensi alla vicenda dell’Area ad alto rischio di crisi ambientale-Aerca, che ha visto la partecipazione di 9 Comuni; le politiche di promozione dello sviluppo al livello regionale hanno continuato a favorire l’emergere di progettualità condivisa tra Comuni (si pensi alle Agende regionali di sviluppo locale-Arstel); alcune parole d’ordine dello sviluppo locale (come quello della concertazione e della cooperazione locale) hanno cominciato ad entrare nel lessico e nei comportamenti degli amministratori. Oggi quindi il tema è posto ed è percepito come rilevante. Questo rende possibile il suo trattamento in termini operativi, ma ciò accresce ovviamente la responsabilità del Piano Strategico di sviluppo sostenibile di alimentare la riflessione e lo sforzo progettuale attorno ad esso, perché una forte attenzione chiede di essere sostenuta da risultati concreti. In questo quadro, un elemento significativo è che il Comune di Jesi è tornato nella condizione di poter svolgere un ruolo nei confronti delle politiche di sviluppo territoriale, è riconosciuto dagli altri attori come un interlocutore rilevante (sia gli altri Comuni dell’area della Vallesina, che le istituzioni di livello superiore, che le stesse associazioni e operatori locali).
1.2 La sfida e il metodo del Piano Strategico
La costruzione del Piano Strategico di Sviluppo Economico Sostenibile ha costituito una sfida tecnica e politica. Dal punto di vista tecnico, si trattava di cogliere una scommessa, quella di riuscire a montare, in un tempo relativamente breve (otto mesi di lavoro, tra l’inizio del processo a fine luglio 2008 e la conclusione del Piano a febbraio 2009), una lista abbastanza cospicua di progetti,
Jesi Il processo del Piano
associando ad essi gli attori interessati (già mobilitati o mobilitabili), e fornendo ai progetti un quadro di riferimento capace di indicare la direzione dello sviluppo. La logica con cui ci si è mossi è restituita dalla figura seguente:
Si tratta di una modalità di pianificazione strategica inconsueta. Di norma, in letteratura e nelle esperienze più note, la costruzione del piano strategico occupa un tempo più lungo, dedicato sia agli approfondimenti analitici, sia ad un prolungato lavoro di co-progettazione e concertazione con gli attori. Nel caso di Jesi, si è deciso di ridefinire la parte analitica, agendo su tre fronti: - in primo luogo, contando sull’ampia disponibilità di fonti informative derivanti da precedenti attività di indagine, svolte a ridosso della elaborazione di altri strumenti di pianificazione e programmazione territoriale; - in secondo luogo, integrando la conoscenza della situazione locale con le oltre venti interviste ad una serie di interlocutori rilevanti; - infine, invitando alcuni esperti esterni a portare il loro punto di vista ai tavoli di lavoro organizzati con gli attori locali, in modo da contribuire ad alimentare le discussione con conoscenze derivanti da altri contesti. Per quanto riguarda le attività di concertazione, esse sono state condotte facendo ricorso ad una modalità molto semplice. Sono stati organizzati infatti dei tavoli di lavoro, articolati su tre dimensioni specifiche dello sviluppo economico. la dimensione strutturale, la dimensione creativa, la dimensione slow. L’ipotesi che ha guidato la scelta era che l’individuazione di declinazioni specifiche dei temi legati allo sviluppo economico del territorio consentisse una maggiore vicinanza e precisione tanto nell’individuazione dei problemi quanto nella definizione dei progetti e degli attori attivabili su ciascuno di essi. I tavoli sono stati chiamati ad istruire i temi rilevanti per lo sviluppo futuro di Jesi e del suo territorio, a identificare una prima lista di progetti o percorsi di azione coerenti per il trattamento dei temi indicati, e a porre le basi per la loro fattibilità, cominciando a selezionare gli attori interessati a prendersi carico della loro costruzione e gestione. Le questioni specifiche affrontate nei tre tavoli sono state: 1. La dimensione strutturale dell’economia di Jesi: settore meccanico e sue evoluzioni, rapporti tra industria e artigianato, internazio-
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nalizzazione, accesso al credito, logistica, accessibilità, livello di infrastrutturazione. 2. La dimensione creativa dell’economia di Jesi: innovazione, economia della conoscenza, città creativa, energie rinnovabili. 3. La dimensione slow dell’economia di Jesi: agricoltura, prodotti tipici, città del gusto, turismo sostenibile, produzione e fruizione culturale. La sfida politica del Piano Strategico è consistita nell’assunzione di un modello di concertazione locale che superasse logiche ritenute poco fertili, riferite ai modelli più tradizionali della consulta (le istituzioni decidono le politiche e i progetti, e chiamano i rappresentanti degli interessi a discuterne) e della concertazione di stampo “neo-corporativo” (laddove la dimensione della rappresentanza vale spesso di più di quello della rilevanza). Si è piuttosto preferito assumere un modello che privilegiasse logiche di reale apertura del processo decisionale, coinvolgendo gli attori (quelli organizzati e i singoli rappresentanti del mondo del lavoro, dei servizi e della produzione) attorno ad un percorso di dialogo, di riflessione sulle azioni da intraprendere e di concreto apporto progettuale. In sintesi, i principi cui si è ispirato il processo partenariale sono dunque i seguenti: 1. Assumere il piano strategico come nuova modalità di concertazione locale, finalizzata alla realizzazione di progetti collettivi condivisi grazie al miglioramento della capacità progettuale dei soggetti. 2. Raccogliere e ricondurre ad unitarietà la progettualità finora espressa in ambito locale e le ulteriori proposte emerse nel corso del processo di pianificazione strategica, nei campi dell’innovazione tecnologica, dell’apertura internazionale del sistema locale, della formazione e dell’economia della conoscenza, delle politiche ambientali, del risparmio energetico e del paesaggio, della logistica, della cultura, del marketing territoriale e della qualità urbana. 3. Organizzare dei momenti di confronto e di concertazione tra gli attori interessati ad intraprendere congiuntamente azioni di sviluppo sulla base di obiettivi condivisi. 4. Condividere la strategia e coinvolgere gli attori rilevanti della città e del territorio (la cabina di regia, il forum dei sindaci, gli interessi diffusi, …), stabilendo solidi partenariati in grado di prendersi in carico la costruzione e la gestione dei progetti di sviluppo. 5. Far maturare e/o affinare i progetti, le proposte e le ipotesi di intervento, cominciando a definirne e valutarne le condizioni di fattibilità.
1.3 La cronologia del Piano
Il processo di costruzione di Piano può essere fatta risalire ad una riunione con i componenti della cabina di regia e del mondo produttivo locale organizzata il 27 marzo 2008, alla presenza dell’Assessore regionale alle Attività produttive Gianni Giaccaglia e del relativo dirigente, in cui era stata formulata l’ipotesi di dare vita ad un Piano Strategico per lo sviluppo economico. L’avvio formale del processo è avvenuta con una presentazione pubblica dell’iniziativa, svoltasi il giorno 24 luglio 2008 presso il Centro Docens di Zipa con l’obiettivo di illustrare il programma di lavoro operativo che ha consentito in un arco di tempo abbastanza ristretto di costruire, in modo condiviso, un parco progetti ed una politica innovativa per il territorio di Jesi. In quella occasione, avevano portato il loro contributo Giorgio Pagano, ex sindaco di La Spezia e responsabile della Rete nazionale delle città strategiche, e la prof. Mariangela Paradisi
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dell’Università Politecnica delle Marche Successivamente, l’articolazione delle attività svolte nel corso della costruzione del Piano è stata la seguente: 1. Indagini preliminari (luglio-ottobre) La prima fase del lavoro ha previsto lo svolgimento di una serie di interviste e colloqui ad attori e testimoni privilegiati del sistema locale, orientate a raccogliere opinioni e punti di vista sui temi oggetto del piano strategico, sui progetti attivabili e sul percorso del lavoro. Questa attività, che ha consentito anche di rafforzare il quadro delle idee progettuali e misurare disponibilità alla collaborazione, è poi proseguito nel corso dell’elaborazione del Piano Strategico1. 2. Le attività dei tavoli (ottobre-dicembre) Ciascuno dei tre tavoli di lavoro si è riunito due volte tra ottobre e metà dicembre. La prima riunione è stata orientata a identificare gli obiettivi di carattere generale dello sviluppo locale, a definire il tema (sulla base delle analisi disponibili), alla illustrazione dei progetti attivabili e alla definizione del gruppo di attori che stabilmente ha seguito il tema specifico del tavolo. La seconda riunione è stata invece dedicata all’affinamento dei temi specifici, alla istruttoria dei progetti attivabili, alla costruzione dei partenariati di progetto, al disegno del percorso di sviluppo e di implementazione dei progetti, alla verifica della coerenza tra progetti e obiettivi di carattere generale di sviluppo locale. La composizione dei tavoli ha tenuto conto di criteri quali la rappresentanza (le organizzazioni e le associazioni degli interessi, le autonomie funzionali, le agenzie tecniche dell’area), ma anche la rilevanza di singoli contributi (imprenditori e operatori dell’economia locale). La distribuzione dei partecipanti tra i tre tavoli è poi stata decisa in autonomia da ciascuno di essi. Alle riunioni di ciascuno dei tavoli sono stati invitati ospiti esterni: - prof. Ugo Ascoli, Assessore Regionale al Lavoro e alla Formazione - prof. Donato Iacobucci, Università Politecnica delle Marche - prof. Renato Novelli, Università Politecnica delle Marche - prof. Gioacchino Garofoli, Università Carlo Cattaneo di Castellanza - prof. Matteo Bolocan, Politecnico di Milano Gli esperti esterni sono stati individuati tra docenti universitari ed esponenti politici per la loro riconosciuta competenza sulle specifiche questioni affrontate ed hanno portato un contributo di impostazione di carattere generale sui temi trattati dal tavolo. Hanno inoltre portato il loro contributo su progetti specifici: l’arch: Gianluigi Mondaini (dell’Università Politecnica delle Marche) che ha presentato i risultati di un workshop progettuale sul Viale della vittoria svolto con studenti di diverse facoltà di architettura italiane, e il dott. Enzo Santurro (di Retecamere), che ha presentato un progetto di mar1. Le interviste e i colloqui sono stati i seguenti: Rolando Agostinelli, imprenditore; Patrizia Barbaresi, Coop Futura; Gianfranco Berti, Assindustria Comitato territoriale Vallesina; Massimo Bianconi, direttore generale Banca delle Marche; Paolo Bifani, Confcommercio; Claudio Bocchini, imprenditore; Cecchettini Simone, Legacoop Marche; Gabriele Fava, presidente Fondazione Colocci; Fiorentini Annalisa, dir. Confocooperative Ancona; Giampaolo Ghepardi, Coos Marche; Marco Gialletti, imprenditore; Giampaolo Giampaoli, Presidente Camera Commercio Ancona; Giancamilli Erino, Coldiretti; William Graziosi, amministratore delegato Fondazione Pergolesi Spontini; Fabio Marcatili, Confartigianato; Doriano Marchetti, presidente Cooperativa Moncaro; Gianluca Mirizzi, imprenditore; Sandro Paradisi, imprendore; Andrea Pieralisi, presidente Assindustria Comitato territoriale Vallesina; Gennaro Pieralisi, imprenditore; Paolo Pizzichini, Cisl; Profili Roberto, CIA; Therese Roleaux, IAT Jesi; Domenico Sarti, Cgil; Sandro Sbarbati, presidente Italcook; Massimo Stronati, coop Cisa Gest; Federico Tardioli, presidente Fondazione Colocci; Tassi Daniele, AGCI; Daniela Bianchi, BioAesis srl.
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keting del centro storico commissionato dal Comune di Jesi e Camera di Commercio di Ancona. L’attività dei tavoli si è avvalsa anche di documenti introduttivi a ciascuno dei tre tavoli, presentazioni in power point e materiali informativi su casi analoghi ai progetti in discussione forniti dal gruppo di lavoro. Alle riunioni dei tavoli hanno partecipato in media tra le 40 e le 50 persone2. 3. Elaborazione del Piano Strategico (gennaio-febbraio) La fase finale del lavoro è stata invece dedicata alla messa a sistema degli elementi emersi secondo lo schema dei piani strategici: obiettivi generali, linee strategiche, progetti di sviluppo e loro modalità di implementazione (con una prima valutazione circa la loro fattibilità) e attori attivabili, con una verifica finale con gli attori gestita attraverso una riunione finale congiunta dei tre tavoli. L’attività di costruzione e disseminazione del processo di pianificazione strategica ha anche usufruito del sito dedicato: www.comune.jesi.an.it/strategiasviluppo
2. L’elenco dei partecipanti, desunto sulla base delle presenze segnalate alla Conferenza del 24 luglio e delle successive riunioni dei tavoli, è il seguente: Agostinelli Luca, Soluzioni Informa; Agostinelli Rolando, On Demand; Allegrini Luca, Babyland Service; Baglieni Simone, Banca Popolare di Ancona; Baldi Emiliano, Baldi Ristorazione; Barbaresi Patrizia, Futura soc. coop.; Belluzzi Gioacchino, Banca delle Marche; Benedetti Emanuele, Osteria Corte Bettini; Berti Gian Franco, Osservatorio Civico/Centro Calamandrei; Biancini Gianfranco, Interporto; Bifani Paolo, Confcommercio; Binci Andrea, Comune di Jesi; Biondi Pietro, C.C. Vallesina; Bordoni Andrea, Regione Marche Servizio Agricoltura; Bucci Mario, Direttore Consorzio Zipa; Caldarelli Maurizio, Gruppo Loccioni; Callari Ignazio Ezio, Interporto Marche; Capitani Ezio, Erap Ancona; Carancini Giuseppe, Confartigianato; Cardinaletti Marco, Project Manager Sviluppo Sostenibile; Cardinali Claudio, Oikos Jesi onlus; Cardinali Daniele, Fastnet spa; Cartuccia Aldo, Seci-Energia; Celli Luca, Camera Work spa; Celli Flaviano, ex Amministratore Comunale; Cellottini Mirko, Caffè Imperiale; Cerioni Sergio, Osservatorio Civico; Ciaboco Fiorella, Sartoria Fiorella; Cinti Matteo, Comune di Jesi; Coltorti Mauro, Università di Siena; Costantini Daniele, Cisagest soc.coop.; Domenichetti Angelo, Confcommercio; Fiorentino Giuseppe, SPF Studio Progetti Finanziari; Focante Marcello, Jesi e la sua Valle; Gabellini Patrizia, Politecnico MI; Gambetti Fabio, Fondazione Pergolesi; Ganzetti Giampiero, Jesiservizi; Gennai Stefano, Direttore Generale Comune di Jesi; Gialletti Marco, Nautes srl; Giancamilli Erino, Coldiretti; Graziosi William, Fondazione Pergolesi Spontini Jesi; Grilli Elisabetta, CNA; Grizi Lavinia, Agriturismo; Guerriero Piero, Capolinea srl; Iencenella Fabio, Arcafelice srl; Leoni Leonardo, Consorzio Zipa; Lillini Alfio, Consigliere Comunale; Lucarini Diego, Copagri Jesi; Mancinelli Alfredo, MA.SCO; Marcatili Fabio, Confartigianato – Cgia Jesi; Marcozzi Marina, Regione Marche; Marini Marina, Jesi e la sua Valle; Martinovich Mara, Newbeetle/Incontrieuropei; Meloni Rosa, Consigliere Provinciale/I.C. Urban Jesi; Mirizzi Gianluca, Montecappone; Moretti Fabio, Capolinea srl; Morosetti Paolo, Studio Film; Negozi Leonello, Legambiente; Novelli Rodolfo, Dirigente Regione Marche Serv. Governo Territorio; Panariello Roberto, Provincia di Ancona; Paoloni Patrizia, Gruppo MA.PA Cannelloni srl; Paradisi Sandro, Paradisi srl; Pizzichini Paolo, Cisl Jesi; Profili Roberto, CIA - Jesi; Rossini Bruno, Multiservizi spa; Santurro Enzo, Retecamere; Sargentoni Stefano, CNA; Sarti Domenico, Cgil Jesi; Sebastianelli Evasio, CIA Ancona; Silveri Nicola, Rusticanella; Stronati Roberto, Simonetta spa; Talacchia Mario, Architetto; Trionfi Honorati Giuseppe; Vittori Graziano, Soc.Agr.Arcafelice/C.J.P.O.; Zelli Gianluigi, Agriturismo.
Jesi Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile
2. La strategia, gli obiettivi e la visione del Piano
Sulla base delle attività analitiche e del lavoro di interazione con gli attori locali, il Piano formula un’ipotesi strategica di lavoro, un coerente sistema di obiettivi e una visione al futuro per Jesi e il suo territorio.
2.1 Una strategia di innovazione: la situazione di partenza e i percorsi di azione verso il futuro
Il Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile intende promuovere una strategia di decisa innovazione del sistema locale, per la città e per il territorio della Vallesina. La domanda di innovazione è del resto espressa con forza dagli stessi attori locali, quando sollecitano iniziative di attrazione di nuove imprese e di investimenti esteri, qualificazione delle professionalità, collegamenti tra mondo della produzione e mondo della ricerca, miglioramento della qualità dell’ambiente urbano e del paesaggio, incremento della capacità di cooperazione e dunque rafforzamento delle reti di governance. A questa domanda, il Piano Strategico intende fornire una risposta adeguata, nella consapevolezza che Jesi e la Vallesina hanno cospicue risorse in grado di porre la città e il suo territorio all’altezza di una sfida ambiziosa: patrimoni di conoscenza, competenze tecniche e scientifiche, capacità di intraprendere e diffusa cultura del lavoro, qualità e riconoscibilità dei prodotti, forte legame degli operatori con il territorio, cluster nell’ambito delle ICT e del digitale, casi di successo di imprese esito di spin off universitari in settori fortemente innovativi, presenza di patrimoni storici, artistici, naturali e paesaggistici di grande valore, importanti giacimenti della cultura materiale, potenzialità per lo sviluppo di un turismo sostenibile. Tuttavia, i limiti del sistema locale sono ben noti: esso appare caratterizzato dalla presenza di aziende di piccole e medie dimensioni che operano principalmente in settori “tradizionali” a basso contenuto tecnologico, limitata presenza di cultura manageriale, peso contenuto dell’occupazione nelle attività di R&S, scarsa capacità di visione di lungo periodo dell’attività innovativa, criticità sotto il profilo del sistema dell’accessibilità, turismo in crescita ma ancora caratterizzato da una offerta frammentata. Inoltre, la congiuntura attuale appare critica: il sistema locale risente della congiuntura negativa dell’economia mondiale e di quella italiana in particolare; altri poli dello sviluppo dell’area versano in condizioni di forte difficoltà (si pensi al distretto degli elettrodomestici di Fabriano); l’integrazione tra le infrastrutture logistiche e della mobilità appare ancora scarsa.
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Jesi La strategia, gli obiettivi e la visione del Piano
A fronte di questa situazione, promuovere una innovazione di sistema significa dare corpo a progetti che permettano di introdurre, nei vari settori che compongono l’economia locale (dal manifatturiero al turismo, dal digitale all’enogastronomia, dai servizi alla produzione all’offerta culturale), sperimentazioni avanzate e rotture significative rispetto alle performance consolidate. Ciò significa, all’interno di un contesto che appare connotato da cospicue risorse ma frammentate, introdurre dispositivi di integrazione, mettendo in rete e stabilendo connessioni tra attori, competenze, produzioni, conoscenze, progettualità che finora sono rimasti isolati, perché non hanno trovato occasioni di cooperazione, e dunque non hanno fatto sistema. Per questa ragione, il Piano Strategico ha elaborato dei progetti che incidono sullo spazio all’incrocio tra ambiti di intervento tradizionalmente separati. In questo senso, il Piano Strategico ha lavorato sulle connessioni: tra manifattura, ambito della ricerca avanzata e formazione; tra risorse endogene, marketing e apertura verso l’internazionalizzazione; tra sostenibilità ambientale e produzione industriale; tra qualità urbana, logistica e innovazione tecnologica; tra paesaggio, cultura materiale e turismo; ecc.
2.2 Gli obiettivi del Piano Strategico
Il Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile persegue una serie di obiettivi, tra loro fortemente intrecciati: 1. Promuovere un percorso di decisa innovazione del sistema jesino, spingendo verso la costruzione di progetti sperimentali che incidano sulla qualificazione e integrazione delle risorse locali. 2. Rilanciare lo sviluppo di Jesi e della Vallesina, in una fase critica dell’economia locale e internazionale, mettendo esplicitamente a tema lo sviluppo sostenibile come fuoco attorno al quale orientare l’attenzione del nuovo ciclo di politiche di crescita per la città e il territorio. 3. Identificare e dare sostanza a prospettive di sviluppo per Jesi e per la Vallesina, che sappiano coniugare la tradizionale vocazione industriale con l’attenzione all’ambiente e al paesaggio, integrando i temi della sostenibilità, della soft economy e dell’economia della conoscenza. 4. Intercettare nuove risorse per la promozione dello sviluppo locale, collegandosi quanto più possibile agli strumenti della programmazione territoriale regionale e alla cattura di finanziamenti esterni. 5. “Fare sistema”, coinvolgendo nella costruzione del Piano i protagonisti dello sviluppo economico (istituzioni, agenzie funzionali, associazioni di categoria, sindacati, singoli imprenditori) e costruendo relazioni improntate ad una logica di co-progettazione e di reciproco impegno.
2.3 Le immagini territoriali per Jesi e la visione del Piano Strategico
La strategia e il sistema di obiettivi messi in campo dal Piano sollecitano l’assunzione di una visione territoriale che sostenga e dia senso allo sviluppo dei progetti e informi la loro implementazione. Occorre considerare che le esperienze precedenti di pianificazione strategica e progettazione territoriale elaborate a Jesi (di cui si è dato conto nel capitolo precedente) avevano a loro volta costruito degli scenari di riferimento per il disegno del futuro della città.
Jesi La strategia, gli obiettivi e la visione del Piano
La prima iniziativa di pianificazione strategica, promossa a ridosso della stesura del nuovo Piano regolatore della città, aveva proposto l’immagine di Jesi come “territorio di interconnessione”. In quell’occasione, si sottolineava che “territorio di interconnessione” andava inteso come spazio di intersezioni importanti e articolate: tra capacità endogene e opportunità esogene; tra dinamiche locali e progetti sovra locali; tra l’ambiente insediativo della costa e dell’entroterra; tra un sistema ambientale di pregio e un assetto infrastrutturale complesso. Si alludeva al concetto di “rete” come immagine che alludeva a reti di economie, reti di società locali, reti di ambienti e paesaggi, reti di infrastrutture. Un territorio di interconnessione è chiamato – secondo il primo Piano Strategico – a sviluppare e governare l’intreccio di questo insieme di reti. Questa visione aveva permesso di impostare i progetti e i programmi successivi (e lo stesso Prg) su una base che problematizzava il ruolo territoriale di Jesi. Basandosi su questa impostazione, il Progetto Sistema “Complessità territoriali” aveva provato a mettere sotto osservazione non più solo la città, ma l’intero sistema di relazioni territoriali che si sviluppano nell’ambito della Vallesina. Ciò significava riprendere la visione del territorio di interconnessione applicandolo ad una dimensione più ampia. Da questo punto di vista, la stessa immagine del Corridoio Esino (proposta dal Piano territoriale regionale) sembrava riduttiva, per il rischio di ricondurre un territorio fatto di intrecci e compresenze (di risorse naturalistiche ambientali e sistemi produttivi, di strutture logistiche e patrimoni ambientali, di paesaggio e agricoltura, di tradizione manifatturiera e di innovazione legata alle ICT), alla sua sola connotazione funzionalista, di piattaforma a servizio di flussi e deposito di infrastrutture locali come segmento di collegamenti di scala più ampia. Da quel lavoro era emersa la visione del “Parco di attività” che identificava aree produttive e terziarie di nuova generazione dove convivono imprese ad alto valore aggiunto, istituti di ricerca e formazione, servizi alle attività economiche e alle persone. “Parco” era una parola-chiave che sottolineava la presenza decisiva di elementi naturali e di spazi aperti dilatati, di aree protette e terreni aperti a molteplici funzioni (per l’agricoltura, il tempo libero, il loisir, ecc.). Ma la prospettiva di una strategia di area vasta poteva essere perseguita solo mettendo in rete gli attori: le amministrazioni, le autonomie funzionali, i privati e i portatori di interessi. Per questo, il Progetto Sistema aveva costruito molteplici occasioni di confronto tra gli attori: incontri, tavoli di lavoro e il Forum dei Sindaci della Vallesina firmatario di un Patto sulle politiche di sviluppo dell’area. L’idea era infatti quella di un “parco federato”, che potesse realizzarsi per iniziative singole e relativamente autonome, tenute insieme da una immagine condivisa. Il presente Piano Strategico si muove dunque nel solco delle immagini depositate in precedenti cicli di pianificazione e programmazione territoriale, ne riprende le suggestioni e prova a spingere verso la predisposizione di progetti coerenti con le impostazioni ereditate. Ma – come è tipico dei processi di pianificazione strategica – la costruzione di concrete iniziative di sviluppo richiede di riconsiderare e precisare la visione territoriale che a queste fa da sfondo, come elemento capace di fornire una cornice di senso all’azione degli attori coinvolti. Jesi e la Vallesina negli anni futuri saranno: - un territorio riconosciuto per l’innovazione continua del proprio sistema economico, avendo sperimentato percorsi di apertura
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Foto: Ubaldo Ubaldi
La crisi, inutile nasconderselo, ha toccato anche il nostro territorio e tutti i settori economici. La paura, però, deve stimolare all’azione e alla competizione. Una competizione non ristretta alle imprese, ma alla città, al territorio per attivare tutte quelle potenzialità del mondo dell’economia capaci di suscitare e far circolare idee soprattutto tra le nu ove g e ne r a zioni, che spesso non hanno una conoscenza piena del territorio e di quello che offre.
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Jesi La strategia, gli obiettivi e la visione del Piano
internazionale del tessuto produttivo, di qualificazione dei profili di competenze, di connessione tra mondo delle imprese e mondo della ricerca avanzata, di integrazione tra le diverse risorse e patrimoni di cui gode: la tradizione manifatturiera, l’eno-gastronomia, la produzione e l’offerta culturale, il paesaggio agrario e l’ambiente, lo sviluppo delle biotecnologie; - un contesto nel quale è piacevole vivere, lavorare, studiare e soggiornare; attrattivo per la sua economia basata sul ruolo fondamentale della ricerca e della formazione continua, per la qualità della sua offerta culturale e di servizi alla persona e alla collettività, per la piacevolezza e la cura posta alla conservazione dell’ambiente urbano, del paesaggio rurale e del patrimonio naturalistico; - un’area allo snodo dei processi di integrazione tra diversi sistemi economici, che conta su una solida integrazione del proprio sistema infrastrutturale, dell’accessibilità, della mobilità delle persone e delle merci e della logistica; - un sistema che ha nella tecnologia applicata al risparmio energetico e al miglioramento delle prestazioni degli insediamenti residenziali e industriali, nonché del patrimonio edilizio la propria cifra distintiva.
Jesi Piano Strategico per lo Sviluppo Sostenibile
3. I progetti del Piano
I progetti attivati sono suddivisi per progetti-quadro e progetti-bandiera. I primi sono i progetti che orientano il Piano Strategico, perché rappresentano i temi di riferimento del Piano: l’innovazione, la sostenibilità, il modello di concertazione. I secondi sono i progetti che, a diverso stato di maturazione, rappresentano i campi di intervento fondamentali del piano.
3.1 I progetti-quadro
1. Parco tecnologico Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare L’idea del Parco tecnologico intende offrire una risposta alla sfida dell’innovazione particolarmente avvertita oggi nel contesto jesino. L’area infatti si caratterizza per la presenza di un tessuto di piccole e medie imprese operanti nei settori della meccanica, ma anche di soggetti industriali di dimensioni più consistenti. Le imprese locali sono spesso competitive, capaci d’innovazione, anche se in larga misura di tipo incrementale. Quello che sembra mancare loro è la capacità di agire collettivamente, di avere una visione di lungo periodo dell’attività innovativa: ad esempio, grande è la difficoltà di esplorare nuovi possibili sviluppi tecnologici (costi elevati, incertezza dei risultati), e quindi si limitano a percorrere linee di ricerca già intraprese. Il parco tecnologico offrirebbe quindi quelle possibilità, derivanti dalle economie di scala e di scopo, di affrontare la ricerca a più amplio spettro, coinvolgendo così soggetti con cui spesso le piccole imprese hanno difficoltà ad interagire, ad esempio le università. D’altro canto, a Jesi esistono delle rilevanti opportunità per il consolidamento di cluster innovativi: significativa presenza di imprese operanti nel comparto del digitale, disponibilità di infrastrutture logistiche di rango regionale e nazionale, presenza di un’area industriale attrezzata di qualità, capitale umano qualificato. Tali opportunità e risorse potrebbero trovare nella costruzione di un Parco tecnologico l’occasione per intraprendere positivi processi di sviluppo. Il progetto prevede la costituzione di un Parco tecnologico a Jesi, orientato a promuovere e disseminare processi di innovazione tra le imprese che operano nel sistema produttivo di Jesi.
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Gli ambiti di intervento del Parco tecnologico ipotizzati dal progetto sono: - Information e communication technology: informatica, telecomunicazioni, domotica, bioingegneria, … - Energia: energie alternative (Progetto “Jesi città solare”), impatto ambientale, servizi energetici innovativi, … - Meccanica avanzata: meccatronica, materiali innovativi, … - Logistica: progetto “City logistics”, … - Formazione: spin-off universitari, programmi di ricerca di cooperazione internazionale, … - Agro-alimentare: tracciabilità dei prodotti di filiera, qualità della produzione, marketing delle eccellenze locali, ... - Biotecnologie Gli obiettivi perseguiti - Costruire sinergie tra imprese insediate e mondo della formazione avanzata e della ricerca (università, centri di ricerca) al fine di incrementare la capacità di innovazione delle imprese locali; - Costituire e/o rafforzare la presenza di cluster innovativi di imprese a Jesi; - Offrire servizi centralizzati e attrezzature comuni alle imprese insediate; - Promuovere esperienze di marketing territoriale; - Posizionare Jesi nell’ambito di reti di economie locali innovative, attraverso lo sviluppo di progetti di cooperazione a livello nazionale e internazionale. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Il progetto è presente nelle intenzioni del mondo imprenditoriale locale. Il Comitato territoriale Vallesina di Confindustria se ne è fatto promotore già da diverso tempo e il Comune di Jesi ha mostrato notevole interesse. Nel corso dei tavoli di lavoro del Piano Strategico ha raccolto l’interesse di una pluralità di attori (tra cui le associate alle centrali cooperative), ma non si è ancora formata una chiara coalizione a sostegno della proposta, anche per alcuni nodi critici che vanno ancora affrontati (vedi punto su “Elementi da approfondire”). Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Agenzia degli investimenti - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Master universitari post lauream - Impat Point - Fotoom - Customer relationship management (Crm) per piccole e medie imprese - Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori Elementi da approfondire Nel corso delle attività istruttorie del Piano Strategico, è emerso come la prospettiva di un Parco tecnologico sia nell’interesse e nelle potenzialità di una area come quella della Vallesina. Tuttavia, è risultato anche evidente il fatto che tali potenzialità vanno calibrate rispetto alle opportunità già presenti: dal progetto di Zipa verde, che costituisce in fondo la prefigurazione di un insediamento industriale attrezzato con caratteristiche tali da poter ospitare attività innovative; alla necessità di pensare al Parco tecnologico in una prospettiva incrementale, come un progetto cioè che si costituisce nel corso del tempo cominciando
Jesi I progetti del Piano
ad intraprendere iniziative a sostegno dell’innovazione locale su temi cruciali quali la formazione (vedi progetto sui Master universitari), sulla diffusione delle tecnologie informatiche (vedi progetti Fotoom e per lo sviluppo tecnologico), per la promozione di spin-off universitari (vedi progetto Impat Point). Rimangono da definire costi, risorse finanziarie e cronoprogramma del progetto.
2. Ecodistretto rurale Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto di ecodistretto rurale nasce a valle delle numerose iniziative che in questi anni hanno interessato il Comune di Jesi e l’intera vallesina. L’idea progettuale è quella di creare a Jesi un “Ecodistretto rurale”, ovvero un ambito territoriale ove sia possibile attuare uno sviluppo socio-economico basato sul potenziamento della rete di relazioni e sulla condivisione di programmi ed obiettivi comuni con la prospettiva di introdurre pratiche agronomiche di tipo integrato e biologiche laddove possibile. L’Ecodistretto rurale consentirebbe di continuare un percorso progettuale di riqualificazione del territorio rurale già avviato, soffermando l’attenzione su particolari aree quali: la Riserva Naturale Regionale Ripa Bianca; le aree di particolare valore paesaggistico, le aree interessate da fenomeni gravitativi, le aree caratterizzate da eccellenze produttive. Le azioni previste, con riferimento ad una serie di obiettivi specifici e al contesto territoriale coinvolto, sono: Obiettivi
Azioni
Territorio interessato
Organizzazione tecnica delle produzioni agricole favorire produzioni di qualità che possano competere sul mercato e garantire redditi equi agli agricoltori: - Assicurare e tutelare la competitività delle aziende; - Garantire l’evoluzione tecnologica; - Supportare e integrare le opportunità per aziende marginali; - Potenziare e recuperare le infrastrutture agrarie anche a scopi turistici
- Istituzione di un marchio per l’Ecodistretto rurale; misura specifica PSR; - Progetto di valorizzazione delle carni (sommelier delle carni); - Filiera corta-prodotti a km 0; - recupero delle strade vicinali e poderali per percorsi a cavallo o bicicletta; - Formazione legata alle tecniche della produzione biologica e delle pratiche agronomiche di tipo integrato;
Tutto il territorio comunale
Tutela e conservazione della qualità di acqua e suolo protezione dall’inquinamento dei suoli, delle acque superficiali e sotterranee; conservazione della fertilità dei terreni (controllo e limitazioni nell’uso dei fitofarmaci)
- Accordo agroambientale d’area Tutto il territorio in particolare le aree finalizzato alla difesa del suolo le aree di dissesto, i calanchi, le zone (misure del PSR attivabili 1.1.1, di esondazione individuate dal Prg 2.1.1, 2.1.2, 2.1.4c, 2.1.6, 2.2.1, 2.2.2- 1.1.1, 2.1.4a, 2.1.4b, 2.1.4c, 2.1.6, 2.2.1, 2.2.2);
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Obiettivi
Azioni
Tutela e conservazione delle risorse naturali conservazione della fauna e della flora e degli ecosistemi per tutto il territorio dell’ecodistretto ma in particolare per l’area della riserva regionale (prevedendo anche interventi di rinaturalizzazione e di riqualificazione ambientale da attuarsi anche attraverso specifiche convenzioni e misure incentivanti)
- Accordo agroambientale d’area Tutto il territorio in particolare l’area finalizzato alla tutela della biodiver- della riserva Naturale Regionale Ripa sità (misure del PSR attivabili: 1.1.1, bianca 2.1.1, 2.1.2, 2.1.3, 2.1.4b, 2.1.4d, 2.1.6, 2.2.2); - Formazione legata alla conoscenza delle risorse naturali e alla gestione degli ecosistemi e del paesaggio;
Valorizzazione del paesaggio agrario - Accordo agroambientale d’area mantenimento e ripristino del paesagfinalizzato al recupero del paegio agrario (in relazione sia agli obiettisaggio rurale (misure del PSR vi già fissati sia valutando la possibilità attivabili: 1.1.1, 2.1.1, 2.1.2, 2.1.4b, di introdurre nuove regole quali ad 2.1.4d, 2.1.6, 2.2.2); esempio le buone pratiche dettate - Formazione legata alla conoscenza dalla Rete delle Città del vino) delle risorse naturali e alla gestione degli ecosistemi e del paesaggio; - Rafforzare il ruolo dei soggetti locali valorizzandone il legame con il territorio da approfondire
Sviluppo di attività connesse all’agricoltura: - Investimenti innovativi, - Applicazione di nuove tecnologie di produzione, - Orientamento della produzione in relazione ai mercati, - Miglioramento e razionalizzazione dei circuiti di commercializzazione e dei processi di trasformazione, - Protezione e tutela dell’ambiente, - Miglioramento della presentazione e del confezionamento dei prodotti, - Adozione di tecnologie finalizzate ad un migliore impiego delle risorse, - Miglioramento e controllo delle condizioni igienico sanitarie
Territorio interessato
Tutto il territorio in particolare le aree del Paesaggio agrario storico e l’area di particolare valore paesaggistico (DL 42 2004 e ssmm)
- Costituzione del GAS Tutto il territorio - Esposizione dei prodotti nei luoghi del centro storico recuperati con il contratto di quartiere - Percorsi turistici guidati di tipo enogastronomico (con visita presso le aziende agricole) percorribili anche in bicicletta e a cavallo; - Mettere a sistema filiere produttive affini e complementari; - Promuovere un’immagine del territorio rurale legata oltre che alle produzioni locali di qualità anche alle altre eccellenze di Jesi (storicoartistiche, eventi culturali, ecc)
Sviluppo e incentivazione dell’agri- - Formazione legata alle tecniche Tutto il territorio coltura biologica e/o integrata della produzione biologica e dell’attività agricola svolta all’interno le pratiche agronomiche di tipo dell’ecodistretto non deve avere integrato; solo carattere produttivo ma deve - Sensibilizzare il consumatore all’acconfigurarsi anche come produzione quisto di prodotti biologici sottolidi beni ambientali al servizio della neando lo stretto legame esistente collettività. fra prodotto e ambiente.
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Il progetto di Ecodistretto rurale si articola dunque in una pluralità di azioni di cui quella relativa all’accordo agroambientale per il territorio della riserva e dell’azienda Arca felice assume il ruolo di progetto di traino in virtù del fatto che i soggetti interessati hanno già mostrato una disponibilità di massima. Gli obiettivi perseguiti L’obiettivo del progetto è quello di valorizzare il patrimonio ambientale, secondo i principi di cura e sostenibilità delle risorse di pregio e insieme di sviluppo e promozione delle attività produttive legate al territorio quali le produzioni vinicole e agroalimentari, l’agricoltura biologica, l’agriturismo, il turismo responsabile. Si consideri che, negli ultimi tempi, a causa anche della crisi dei mercati finanziari, le abitudini alimentari degli italiani stanno cambiando con un ritorno agli acquisti presso i mercati rionali e direttamente dai produttori. Inoltre la sicurezza all’acquisto di un prodotto sano e che non abbia percorso troppi chilometri porta alla riscoperta del territorio locale e delle sue eccellenze. Valorizzare quindi le risorse locali anche attraverso l’istituzione di marchi di qualità, l’utilizzo di filiere corte, processi produttivi ecologicamente responsabili diventa una priorità per la stessa comunità. Gli obiettivi specifici sono quelle già richiamati sopra. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - Comune di Jesi I partner da coinvolgere nel percorso di messa a punto e attuazione del progetto sono: - Regione Marche - Provincia di Ancona - Università Politecnica delle Marche - Riserva Regionale Ripa Bianca - Azienda Agraria Arca Felice - Istituto Professionale per l’Agricoltura “Salvati” di Pianello Vallesina - Associazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Copagri) - Centrali cooperative (Agci, Confcooperative, Legacoop) - WWF Italia - Ente certificatore (Amab) - Ital Cook - Enoteca Regionale - GAS (gruppi di acquisto solidale) - Upa - Cooperative agricole Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Incoming turistico - I “sommeliers delle carni” - Master universitari post-lauream - Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice” - Marketing del centro storico - Anniversario pergolesiano - Teatro dei Profumi e dei Sapori - Mercato del contadino Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) L’attuazione del progetto può essere articolata secondo alcune fasi
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come per esempio quelle di seguito elencate: - Costante aggiornamento delle progettualità (sia di carattere locale che sovralocale) e delle conoscenze riferite all’area in questione; - Fase conoscitiva relativa a tutte le componenti interessate dal progetto; - Individuazione dei vincoli e delle potenzialità espresse, in merito all’idea progettuale, dai soggetti da coinvolgere e relativamente alle proprie competenze, attraverso interviste o attraverso la predisposizione di un questionario che, redatto su una base comune, verrà orientato a seconda del soggetto interessato; - Valutazione delle informazioni così raccolte attraverso l’analisi SWOT; - Coinvolgimento degli attori e dei soggetti interessati attraverso incontri mirati; - Ricerca di un partenariato finalizzato a creare le condizioni di accesso ai fondi: valutazione della coerenza tra gli interventi previsti dal progetto e la programmazione regionale (accesso alle misure del PSR – prossima scadenza prevista 15 maggio 2009); - Sottoscrizione del progetto per l’accordo agroambientale in cui i soggetti coinvolti si impegnano a condividere programmi comuni e a individuare il soggetto capofila responsabile del coordinamento e dell’eventuale coinvolgimento di altri soggetti; - Ripetizione dei punti 5-6-7 per le altre azione del progetto; - Informazione e comunicazione durante tutte le fasi progettuali quali elementi strettamente correlati al progetto stesso; - Verifica e controllo delle azioni intraprese e della loro sinergia. Elementi da approfondire Dal punto di vista del suo percorso di implementazione, occorre considerare che il progetto di Ecodistretto rurale sarà attuato anche attraverso la redazione di un progetto di accordo agroambientale territoriale che prevederà l’attivazione di un pacchetto multimisura ovvero con interventi afferenti ai diversi assi del Piano di Sviluppo Rurale delle Marche, con un priorità rivolta all’Asse 2. Più in generale tuttavia, essendo quello dell’Ecodistretto un progetto-quadro, gli elementi da approfondire riguardano soprattutto le sue capacità di intercettare e generare altra progettualità, costruendo in futuro connessioni positive con altri attori e iniziative. La presenza a Jesi di importanti realtà, quali l’Enoteca Regionale, Ital Cook, l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto Professionale per l’Agricoltura “Salvati” di Pianello Vallesina, delinea un sistema di offerta formativa sui temi dell’agricoltura e dei prodotti tipici di primaria importanza. Uno degli sviluppi possibili del progetto potrebbe essere proprio a ridosso della dimensione formativa, in connessione con altri progetti presenti nel Piano Strategico (si pensi ad esempio ai master post-lauream). Inoltre, nel Contratto di Quartiere II “Abitare il centro antico di Jesi”, che prevede la ristrutturazione e riqualificazione di importanti edifici storici, gli spazi del Palazzo Santoni affacciati sui vicoli sono stati destinati all’esposizione dei prodotti agroalimentari in accordo con la Coldiretti, affittuaria di detti spazi. Questo aspetto evidenzia la possibile connessione tra Ecodistretto e percorsi di riqualificazione urbana. Infine, un ruolo di importanza primaria assume la partecipazione al progetto della Riserva Regionale Naturale Ripa Bianca di Jesi (circa 300 Ha) e dell’Azienda Agraria Arca Felice (con una superficie aziendale di circa 300 ha interamente biologica). Sarà possibile consentire successivamente anche ad altre aziende che siano interessate alla condivisione
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di programmi ed obiettivi comuni di far parte di questo progetto. Infine, rimangono da definire i costi complessivi del progetto in connessione con i costi delle varie iniziative previste.
3. Urban Center1 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il primo problema che attraverso il progetto si intende affrontare è la difficoltà delle pubbliche amministrazioni a mettere a disposizione informazioni su azioni e progetti in corso e a comunicare le strategie che li supportano. È questa una occasione per creare e rafforzare reti e relazioni fra enti, reti e relazioni oggi deboli e non attivate con continuità. L’Urban Center di Jesi ha una doppia identità: è un luogo fisico riconoscibile e un luogo virtuale, attraverso il web; è tuttavia anche un soggetto attivo nella campo della comunicazione pubblica e della costruzione delle politiche di sviluppo. Le sue funzioni potrebbero essere: Raccogliere informazioni sul territorio della Vallesina, il suo passato, il suo presente, le ipotesi di trasformazione e sviluppo future. Rendere le informazioni disponibili e comprensibili ad un pubblico vasto e molteplice: dai professionisti e gli addetti ai lavori, agli stakeholders, ai cittadini non depositari di competenze tecniche. Caratterizzarsi per la sperimentazione nei linguaggi e nell’uso delle nuove tecnologie. Promuovere la discussione pubblica e la crescita culturale in merito ai temi che riguardano il territorio della Vallesina e il suo sviluppo, attraverso l’organizzazione di iniziative pubbliche, corsi di formazione, ecc. Veicolare l’immagine contemporanea di Jesi e della Valllesina, rivolgendosi ai cittadini e ai visitatori temporanei. Riunire i diversi attori, pubblici e privati, di Jesi e della Vallesina, coinvolti nella definizione delle strategie di sviluppo e nei principali progetti di trasformazione dando continuità alle esperienze di governance effettuate in questi anni (tavoli del primo Piano Strategico, Agenda 21, Forum dei sindaci e tavoli attivati da Progetto Sistema, tavoli del Piano Strategico di sviluppo, ecc..). Gli obiettivi perseguiti - Comunicazione pubblica - Crescita culturale - Marketing territoriale - Governance allargata Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - Comune di Jesi I partner da coinvolgere: - Regione Marche - Provincia di Ancona - altri comuni della Vallesina - Camera di commercio di Ancona - Fondazioni 1. Gli Urban center sono luoghi plurali, arene pubbliche strutturate di riflessione e confronto sulle politiche per la città, capaci di dare voce alle diverse articolazioni della società locale e di orientarle secondo una prospettiva di interlocuzione e confronto con le istituzioni pubbliche. Strutture di questa natura sono ormai presenti in molte città italiane, sia di grande (Torino, Bologna, Venezia, Genova), che di media dimensione (come Pesaro) in questo senso più prossime alla realtà di Jesi e della Vallesina.
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Foto: Ubaldo Ubaldi
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Il viaggio si nutre di cultura, di conoscenza e queste foto ci introducono nel rinascimentale Palazzo della Signor ia , se de della Biblioteca Comunale Planettiana, con un patrimonio librario di oltre 110.000 volumi. Il gioco di luci not turno rende ancora pi첫 agili le colonne in pietra al secondo ordine del loggiato interno.
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- Università - Agenzie tecniche e società multiutilities - Confcooperative - Legacoop Connessioni con altri progetti del Piano Strategico L’Urban Center, per le sue caratteristiche di progetto per la governance territoriale, è in connessione con tutti gli altri progetti del Piano Strategico. Elementi da approfondire La studio di fattibilità dell’Urban Center richiede una serie di approfondimenti, riferiti a: - Costi e modello di finanziamento: pubblico, pubblico/privato, privato…; - Cronoprogramma di attuazione; - Modello di struttura gestionale: parte integrante dell’amministrazione pubblica, associazione o comitato di enti, soggetto autonomo capace di agire anche sul mercato, ecc.; - Modello di struttura operativa e competenze necessarie; - Censimento di partner potenzialmente interessati; - Censimento delle informazione e dei prodotti di comunicazione già oggi disponibili prodotti dai diversi soggetti coinvolgibili.
3.2 I progetti-bandiera
1. Agenzia per gli investimenti Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto nasce da una preoccupazione sulle prospettive del sistema produttivo di Jesi, caratterizzato da un tessuto di imprese della meccanica che soffre in parte di problemi noti (ridotta dimensione aziendale, sottocapitalizzazione, diffusa presenza di aziende conto terzi prive di riconoscibilità, formazione del management d’azienda), in parte risulta esposto a processi che aprono a prospettive fortemente incerte (con particolare riferimento alla competizione internazionale). Sullo sfondo, sembrano inoltre permanere problemi “di sistema”, come ad esempio la difficoltà di fare rete e ad instaurare una cooperazione proficua tra istituzioni e mondo delle imprese. D’altro canto, l’insediamento di una tale agenzia nell’area di Jesi sarebbe giustificata (e dovrebbe valorizzare) la lunga tradizione industriale del territorio, la diffusa “cultura del fare”, la vivacità finora dimostrata dal tessuto imprenditoriale, le competenze presenti. Il progetto prevede la costituzione di una agenzia per gli investimenti esterni nella Vallesina. Si tratta di una proposta presente nelle Linee programmatiche della nuova Amministrazione comunale e avanzata qualche anno fa dal Comitato territoriale Vallesina di Assindustria, dalle tre confederazioni sindacali e dall’Osservatorio civico di Jesi. Tale agenzia dovrebbe prioritariamente favorire l’attrazione di investimenti esterni verso l’area di Jesi (sia nazionali che internazionali), con particolare attenzione alle imprese che operano in settori ad alto contenuto tecnologico. Le funzioni principali potrebbero essere: - Informazione e consulenza alle imprese che intendono insediarsi nell’area, in materia societaria, fiscale, legale, giuslavoristica, di
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offerte localizzative, di competenze, di incentivazioni all’insediamento, ecc.; - Accompagnamento allo start-up, anche attraverso il trattamento delle questioni attinenti il rapporto con le imprese del territorio e con le istituzioni; - Assistenza specialistica, con offerta di valutazioni iniziali e di studi di fattibilità del progetto imprenditoriale. Tra le funzioni dell’agenzia dovrebbe esserci anche quella di promuovere iniziative di supporto all’innovazione e all’internazionalizzazione nel campo della formazione, con offerte formative (diplomi, corsi post laurea) nei campi del management, dei trasporti e della logistica (economia e tecnologia), del marketing, della finanza, ecc. Gli obiettivi perseguiti - Rilanciare e consolidare lo sviluppo industriale dell’area di Jesi attraverso una attività di attrazione di nuove imprese e investimenti esterni; - Promuovere l’innovazione e la dinamizzazione del tessuto produttivo locale attraverso l’inserimento di nuove realtà imprenditoriali; - Promuovere la migliore connessione tra mondo dell’impresa e mondo della formazione e della ricerca. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Il progetto è presente nelle intenzioni del mondo imprenditoriale locale. Nel corso dei tavoli di lavoro del Piano Strategico ha raccolto l’interesse di una pluralità di attori (comprese le associate alle centrali cooperative), ma non si è ancora formata una chiara coalizione a sostegno della proposta, anche per alcuni nodi critici che vanno ancora affrontati (vedi punto su “Elementi da approfondire”). Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Ecodistretto rurale - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Master universitari post lauream - Impat Point - Fotoom - Incoming turistico - Marketing del centro storico - Anniversario pergolesiano - Qualificazione della presenza dell’università a Jesi - Teatro dei Profumi e dei Sapori - Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori Elementi da approfondire Occorrerà valutare la fattibilità del progetto con riferimento alle politiche più complessive di promozione dei processi di internazionalizzazione dell’economia locale e delle imprese. Va sottolineato per altro che una recente legge regionale (la n. 30 del 30 ottobre 2008) promuove la creazione di un sistema regionale per le politiche di internazionalizzazione e per la promozione all’estero. La fattibilità del progetto andrà dunque verificata alla luce di queste nuove disposizioni regionali, anche attraverso un necessario confronto con i soggetti rilevanti in materia (Provincia, Camera di commercio, SVIM, i centri per l’innovazione tecnologica delle imprese), e con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e del Consorzio Zipa. Vanno definiti infine costi e orizzonte di attuazione del progetto.
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2. City logistics Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto fa riferimento alla possibilità di attivare all’interno dell’area interportuale funzioni che consentano, con un modesto impiego di superficie operativa dell’Interporto, di fornire servizi a supporto dell’economia locale e di limitare gli impatti ambientali sul territorio dell’Esino. Le due funzioni che si potrebbero attivare nel breve periodo, ad integrazione di quanto già previsto dall’Interporto, sono: il supporto alla distribuzione delle merci di ambito locale; il coordinamento con il tessuto produttivo locale con particolare riferimento alle imprese insediate presso la ZIPA. L’insieme di queste attività è sintetizzabile nella definizione di ‘Logistica Distrettuale Sostenibile’. La funzione di supporto alla distribuzione locale ha lo scopo di razionalizzare la consegna di merce destinata ad alimentare le attività commerciali (al dettaglio e ingrosso) localizzate nelle aree urbane di Jesi e dei comuni dell’esino. La razionalizzazione delle ‘prese e consegne’ e dei giri di consegna si traduce in una riduzione del numero di mezzi impiegati nell’attività di distribuzione delle merci destinate al consumo con positivi effetti di carattere ambientale. In prima approssimazione gli interventi ipotizzabili potrebbero comprendere: - La localizzazione delle strutture fisiche dedicate alla movimentazione delle merci nell’area dell’Interporto, più facilmente nella parte destinata all’insediamento di imprese di distribuzione e corrieri; - L’utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale (trazione eco-compatibile); - La costituzione di una società partecipata dai corrieri e trasportatori locali, che garantisca prestazioni del servizio e costi coerenti con quelli dei competitori del settore; - L’assunzione di strumenti di regolamentazione degli accessi da parte della pubblica amministrazione, che incentivino il ricorso all’uso di veicoli a basso impatto ambientale, o che penalizzino l’uso di quelli a maggior impatto. Il supporto all’area produttiva della Zipa trova applicazione nell’offerta di servizi logistici e di trasporto rispondenti alle esigenze delle piccolemedie imprese produttive ed artigiane localizzate nell’area della Zipa. I servizi logistici di questo tipo potrebbero riguardare lo stoccaggio, la gestione degli ordini sia per le merci in ingresso che in uscita. In ultimo, la recente decisione da parte del Consiglio Comunale della chiusura pedonale di parte della zona storica della città, va ad aumentare la potenzialità del progetto. Gli obiettivi perseguiti - Razionalizzare il trasporto merci locale e diminuire l’impatto locale del traffico specie in area urbana; - Sostenere la logistica delle imprese artigianali e industriali locali; - Ottimizzare i trasporti e ridurre i costi di trasporto e logistica. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Il progetto, essendo ad uno stato ancora preliminare di definizione, vede il coinvolgimento (ancora da verificare) di una serie di soggetti: Interporto Marche, associazioni di categoria, Comuni (di Jesi e della Vallesina), Consorzio Zipa, singole imprese e cooperative.
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Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Master universitari post lauream - Impat Point Elementi da approfondire Il Comune di Jesi ha intenzione di procedere su questo progetto promuovendo un bando per la predisposizione di uno studio di prefattibilità. Tale studio potrebbe essere orientato a: - Ridefinire le politiche del traffico e della sosta dei veicoli commerciali nell’area urbana; - Migliorare la gestione del traffico commerciale nell’area urbana e la collaborazione tra tessuto produttivo locale e trasportatori. Da un simile studio ci si potrebbe attendere: - Indicazioni su regole di accesso - Interventi di ridimensionamento delle infrastrutture a servizio della logistica urbana - Opportunità di attivare dei centri di distribuzione centralizzati per le consegne - Microsimulazioni del traffico su una zona pilota Inoltre, la connessione positiva con altri progetti del Piano Strategico (come ad esempio quello sui Master universitari) potrebbe permettere di cominciare a sperimentare un aspetto del progetto promuovendo un percorso di formazione ad hoc sui temi della logistica.
3. Impat point2 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto di realizzare Impat Point territoriali rientra nel programma IMPRESA - Infrastrutture e Management Per la REalizzazione di Spin-off Accademici, presentato e recentemente vinto dal Consorzio IMPAT in risposta al bando indetto dal Ministro delle Attività Produttive. Il progetto IMPRESA intende mettere a sistema, grazie ai partner aderenti all’iniziativa (università, soggetti finanziari, esperti di settore, enti territoriali, ecc), professionalità e azioni di ausilio per l’avvio di imprese innovative. Il consorzio IMPAT, nella progettazione esecutiva del progetto IMPRESA, al fine di assicurare un’ampia integrazione con il mondo universitario e della ricerca, ha proposto, come struttura organizzativa a base dell’attuazione del progetto stesso, una rete di punti territoriali definiti “IMPAT Point”, ubicati presso le diverse sedi universitarie e degli Enti di Ricerca aderenti all’iniziativa. Gli IMPAT Point intendono costituire sul territorio di riferimento il punto operativo del progetto IMPRESA ed agire anche in un’ottica di integrazione e valorizzazione delle esperienze già attuate e in corso da parte delle stesse Università/Enti di Ricerca sui temi della creazione di impresa. Gli IMPAT Point in particolare, intendono affiancare l’Università/Ente di Ricerca nelle attività di mappatura delle tecnologie e delle nuove idee imprenditoriali e offrire servizi di informazione, orientamento, tutoring, assistenza e consulenza sui temi oggetto del progetto IMPRESA. L’IMPAT Point è inteso quale struttura finalizzata allo svolgimento di funzioni sia di sportello aperto al pubblico sia di ufficio a livello locale del Consorzio, limitatamente allo svolgimento delle attività di cui al progetto IMPRESA. L’impat point è dunque costituito da un ufficio (con una persona dedicata) 2. La scheda è stata redatta sulla base di informazioni tratte dal sito: www.consorzioimpat.it
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che per due anni svolge il ruolo di base territoriale per il progetto. A Jesi potrebbe trovare sede un Impat point condiviso fra l’università di Camerino e l’università Politecnica delle Marche, grazie anche ad un co-finanziamento della Banca popolare. Una presenza che può divenire particolarmente interessante, specialmente se pensata in rete con altre iniziative. Gli obiettivi perseguiti Il progetto intende supportare, in termini economici e di know how, la nascita e/o il consolidamento di imprese spin-off universitarie. In particolare è possibile articolare i termini del supporto in tre distinte fasi: 1. Gestazione e nascita: rivolta a stimolare la nascita di idee imprenditoriali a partire dai risultati di ricerca ottenuti all’interno dei laboratori dei soci del Consorzio IMPAT e dei partner di progetto; 2. Start up: rivolta a supportare l’avvio e il consolidamento di idee imprenditoriali nate dalla fase di gestazione e nascita e da precedenti progetti; 3. Espansione: rivolta a facilitare l’ingresso nelle neo-imprese di capitale di rischio da parte di Venture Capitalist, Business Angels o Banche per lo sviluppo dimensionale del business Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Consorzio IMPAT (promotore, consorzio senza scopo di lucro tra ENEA, Università degli Studi di Ferrara e Tecnopolis Csata S.c.r.l., nato per sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese high tech a livello nazionale), Università di Camerino (partner), Università Politecnica delle Marche (partner), Banca Popolare (eventuale co-finanziatore). Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Ecodistretto rurale - Agenzia degli investimenti - City logistics - Master universitari post lauream - Valorizzazione dei prodotti agroalimentari - Fotoom - Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori - Customer relationship management (Crm) per piccole e medie imprese Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) 18.000 euro all’anno (per due anni) + 5.000 euro per ciascun partner Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) Il progetto dovrà svolgersi tra il 2009 e il 2011. La durata prevista è di 24 mesi. Elementi da approfondire Interesse delle due università alla creazione di un impact point congiunto, forma e tempi di un eventuale cofinanziamento, ruolo della Amministrazione locale nel progetto.
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4. Fotoom: l’energia sotto controllo: progetto per realizzare una matrice di aiuto, controllo, misurazione degli impianti domestici tecnologici energetici3 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto nasce dalla considerazione che il settore delle costruzioni ha bisogno di innovazione, con un deciso orientamento verso il risparmio energetico, lo sviluppo della domotica e in generale dell’introduzione di componenti software nella gestione dell’abitazione. Attualmente tuttavia, sulla base di informazioni raccolte anche presso importanti fiere di settore di livello internazionale, si segnala la scarsità di software rivolto alla integrazione e controllo delle energie rinnovabili. Il software per la domotica (meglio omotica) è quasi inesistente, rivolto soprattutto al controllo delle singole parti ma non al controllo complessivo del sistema. Tali applicazioni non sembrano suscitare l’interesse degli operatori; gli stessi impiantisti utilizzano prevalentemente facilitazioni per l’installazione e la connettività delle parti. D’altro canto, il contesto locale appare sensibile a questo tipo di innovazioni. Nell’area della Vallesina, alcune aziende, studi professionali e costruttori hanno già cominciato ad investire per sperimentare l’applicazione all’abitazione di sistemi innovativi. Questa prospettiva sarà verosimilmente il modo per uscire dall’attuale situazione di crisi del settore, perché la domanda in futuro sarà sempre più orientata alla qualità delle prestazioni tecnologiche dell’alloggio. Il progetto propone la realizzazione di una matrice software per il controllo dei consumi effettivi e per la migliore gestione degli impianti ad energia non esauribile. Il software proposto avrebbe le seguenti funzionalità: - Aiuta a “percepire” in tempo reale la resa del proprio impianto energetico (fotovoltaico), in coerenza con il Decreto del Ministero delle Attività Produttive e dell’Ambiente del 5 agosto 2005 (cosiddetto decreto “Conto energia”); - In maniera grafica e centralizzata fa monitoring del sistema energetico e domotico ricevendo una concreta informazione sul ritorno economico dell’investimento effettuato; - In base a dei parametri preimpostati gestisce in maniera intelligente l’impianto tecnologico e relativi piani di manutenzione ordinaria e straordinaria; - È aperto ad accogliere personalizzazioni realizzabili dall’utilizzatore che potrà collegare e controllare illuminazione, termoregolazione, controllo accessi ecc… Le caratteristiche essenziali della matrice software sono: - Acquisizione dei parametri elettrici (potenza,corrente, tensione) dal segnale in uscita e in ingresso agli inverter; - Visualizzazione dei relativi dati di interesse, quali diagrammi di rendimento temporale, dal sistema energetici dell’edificio; - Memorizzazione dei dati raccolti dell’impianto domotico ed energetico visualizzati con tabelle di riepilogo mensile, diagrammi e statistiche; - Memorizzazione e controllo alert e piani di manutenzione; - Videosorveglianza domotica integrata. La matrice software sarà realizzata “open” e ceduta a chi ne farà richiesta, il quale potrà utilizzarla ed implementarla con proprie personalizzazioni. 3. La scheda è stata redatta sulla base di un testo elaborato da Rolando Agostinelli
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Gli obiettivi perseguiti - Favorire un processo di innovazione del settore delle costruzioni; - Migliorare l’efficienza energetica degli edifici; - Posizionare Jesi come città all’avanguardia nella ricerca e nelle applicazioni per il risparmio energetico. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - Rolando Agostinelli, gruppo APRA informatica Partner: - Comune di Jesi - Università Politecnica delle Marche - Confindustria Ancona - Centrali cooperative (Agci, Confcooperative, Legacoop) - Imprese di costruzioni, impiantisti, … Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Master universitari post lauream - Agenzia degli investimenti - Impat Point Elementi da approfondire Occorre lavorare nella costruzione della fattibilità del progetto, con riferimento a diversi fronti: - Verifica della disponibilità di software analoghi; - Disponibilità di altri partner (istituzionali e privati); - Identificazione di un preliminare campo di applicazione; - Costi e orizzonte temporale del progetto.
5. Sviluppo tecnologico della Vallesina4 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto intende affrontare il problema del digital divide fornendo connessione a banda larga. La partnership del progetto composta dal gruppo Loccioni (attivo prevalentemente nel campo dei servizi avanzati e in ricerca e sviluppo), e da Wave Max s.r.l.(società umbra attiva nel campo dell’IT), si propone di investire nella fornitura di connettività wire less (senza fili) a banda larga, tramite la tecnologia Wi Max, in territori oggi privi (o limitati) nell'accesso al mondo del web. Wi Max è una tecnologia in grado di diffondere connessioni Internet ad alta velocità verso gli utenti per un raggio che, nelle condizioni ottimali, può raggiungere anche i 50 chilometri. Non necessita di cavi e non ha bisogno di appoggiarsi al cosiddetto ultimo miglio (il doppino di rame che collega la centrale telefonica alle case o alle imprese), ma arriva nelle abitazioni, o direttamente sul computer, in ufficio, e sul telefonino, via onde radio grazie a una rete di antenne. Il progetto prevede una progressiva copertura di tutto il territorio della Vallesina. La collaborazione della amministrazioni locali è richiesta per la scelta e il posizionamento delle stazioni radio. Le amministrazioni sono inoltre potenziali clienti per i servizi di pubblica utilità che tale copertura rende possibili. Altri servizi destinati soprattutto 4. La scheda è stata redatta sulla base di un progetto del Gruppo Loccioni
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alle imprese, ma di interesse anche per singoli cittadini, potranno essere sviluppati e commercializzati in concomitanza con la realizzazione dell’infrastruttura tecnologica. Gli obiettivi perseguiti Fornitura di connettività a banda larga tramite frequenze radio, fornitura di servizi commerciali (internet, telefonia tramite protocollo Ip, formazione a distanza, video sorveglianza ecc), e di pubblica utilità (sistemi di controllo della mobilità, telesoccorso, monitoraggio ambientale, ecc) ad essa collegati. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Loccioni (promotore), Wave max s.r.l (partner, titolare della licenza di fornitura della banda larga con il sistema wi-max per la Regione Marche), Amministrazione comunale. Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Master universitari post lauream - Impat Point - Fotoom - Qualificazione della presenza dell’università a Jesi Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) Primo step di sperimentazione in alcuni quartieri/frazioni di Jesi non raggiunti dalla banda larga, secondo step di estensione della copertura all’intera Vallesina. Il promotore si dichiara disponibile a presentare una progettazione esecutiva. Elementi da approfondire Costi ed eventuali risorse da reperire, grado di maturità della tecnologia Wi Max (che al momento in Italia non trova ancora applicazione diffusa).
6. Incoming turistico5 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto mira a diversificare e specializzare l’offerta turistica locale aumentando l’attrattività di Jesi e della Vallesina rispetto alla domanda turistica esterna. Si possono distinguere due tipi di utenze turistiche: - I gruppi già costituiti: gruppi organizzati da agenzie di viaggio, associazioni, centri culturali italiani all’estero, gruppi d’interesse, ecc. - Gli individuali: famiglie, piccoli gruppi, coppie Ciascun tipo di utenza può comprare o far realizzare da un intermediario un programma che include un insieme di prestazioni (pacchetto / forfait) o elaborare un programma per conto suo partendo dalle proposte fatte dal territorio; e inoltre, ha pratiche e quindi esigenze diverse. Sviluppare il turismo vuol dire dunque essere in grado di rispondere alle necessità di questi due tipi di utenza: 1. Gruppi: Si tratta di un turismo organizzato che richiede un’offerta specifica sia continua a pagina 50 5. La scheda è stata rivista sulla base di osservazioni formulate da Therese Rouleau
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Foto: Ubaldo Ubaldi
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Fa dav ve ro un certo effetto essere fissati da tutto quel pubblico stipato in ogni posto della platea e dei palchi del Pergolesi. Ci sentiamo oss e r vati me ntre ammiriamo, questa volta aiutati dal colore, il nostro Teatro di Tradizione, unico in una città non capoluogo. Un Teatro che invita l’appassionato a viaggiare per gu s t a re r ic che stagioni liriche e variegate stagioni di prosa.
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per quanto riguarda le prestazioni (numero dei partecipanti, durata delle visite, ecc.) che per le tariffe (tariffe speciali per i gruppi). Questo tipo di utenza richiede sopratutto: - un’offerta adattata, proposta sia dalle strutture di ospitalità (alloggi e ristorazione – tariffe e menù per gruppi) che dalle strutture che si visitano (monumenti, musei, zoo, parchi di divertimento, ecc.); tariffa ridotta per gruppi, accoglienza in lingue, accettazione della carta di credito nei musei, ecc; - dei pacchetti: un territorio in grado di proporre un’offerta integrata; - un’agenzia di viaggio con attività di incoming: la possibilità per l’organizzatore del viaggio di stabilire un contatto commerciale con un unico interlocutore in grado di occuparsi sia dell’organizzazione che dell’aspetto commerciale. L’organizzatore può “comprare” un pacchetto già elaborato o chiedere un pacchetto su misura. 2. Individui Si tratta di turisti che perlopiù si organizzano per conto loro, documentandosi tramite guide (cartacee, on-line…) o direttamente sul posto; possono comprare un forfait (per es. forfait weekend-pernottamento + prestazioni varie), ma spesso scelgono tra le diverse possibilità proposte dal territorio e fanno il proprio programma (turismo “alla carte”). Questo tipo di utenza richiede sopratutto: - strumenti d’informazione adeguati: strumenti generali o tematici che propongono l’intero territorio, piuttosto che una miriade di documenti, diversi l’uno dall’altro, limitati a una piccola parte del territorio (comune, associazione di alcuni comuni, ecc.); - informazioni esaustive, aggiornate, affidabili; scritte in modo sintetico, chiaro e nell’ottica di chi visita questo territorio (non per addetti ai lavori); disponibili in diverse lingue; - una rete efficiente di punti d’accoglienza in grado di diffondere informazioni sull’intero territorio. Attualmente l’offerta turistica locale si presenta fortemente frammentata e composta per lo più da realtà di media e piccola dimensione, che faticano a costruire rete tra loro e a presentarsi sul mercato con un’offerta integrata e diversificata. Relativamente alla domanda, al momento la presenza di turismo a Jesi ed in generale nel territorio della Vallesina si connota per alcune caratteristiche peculiari; nonostante l’interesse e le notevoli risorse culturali, paesaggistiche ed enogastronomiche che il territorio è in grado di offrire, i visitatori ed i turisti sono spesso solo di passaggio e l’estensione media del soggiorno è stato, nel 2006, pari a 2,5 giorni (dato elaborato a partire del movimento turistico rilevato dall’Osservatorio sul Turismo della Regione Marche nelle strutture ricettive di Jesi). In questa direzione l’offerta turistica necessita di essere meglio specializzata ed indirizzata rispetto a target specifici di popolazione, siano essi individui singoli o famiglie, oppure gruppi (si pensi ad esempio al turismo scolastico). Dal punto di vista normativo per quanto attiene il settore del turismo la Legge Regionale 11 luglio 2006, n. 9 ‘Testo unico delle norme regionali in materia di turismo’ identifica una nuova articolazione territoriale definita ‘sistemi turistici locali’. Questi si caratterizzano per essere contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate. I sistemi turistici locali costituiscono un’articolazione fondamentale
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dell’organizzazione turistica regionale e rappresentano lo strumento per l’attuazione della collaborazione tra pubblico e privato nella gestione dell’attività di formazione del prodotto turistico e sono promossi dagli enti locali o da soggetti privati, singoli o associati, attraverso forme di concertazione con le associazioni di categoria che concorrono alla formazione dell’offerta turistica, nonché con i soggetti pubblici e privati interessati. Tali strutture in particolare: a) individuano, anche ai fini della loro commercializzazione, i prodotti turistici riconducibili al territorio di riferimento, valorizzando in modo integrato le risorse locali con particolare attenzione alle specificità delle zone interne, montane e costiere; b) organizzano l’attività di accoglienza, armonizzandola ed integrandola con le altre attività presenti nel territorio di riferimento. Per lo sviluppo del progetto l’opportunità offerta dalla nuova legislazione appare particolarmente rilevante, laddove potrebbe favorire ed incentivare forme di cooperazione e collaborazione intercomunali ed interprovinciali di particolare interesse. Gli obiettivi perseguiti - Valorizzare Jesi come città turistica, con particolare attenzione ai gruppi; - Lavorare, attraverso il potenziamento ed il raccordo delle organizzazioni e degli operatori che a diverso titolo si occupano di turismo, alla costruzione di pacchetti di offerta turistica intergrati ed articolati (ad es. percorsi federiciani, integrando possibilità di pernottamento, degustazioni, partecipazione ad eventi culturali e musicali, ecc.); - Organizzare l’offerta, anche concependo strumenti adeguati in grado sia di favorire l’allungamento della durata di soggiorno che l’aumento del volume di presenze. Questo passa anche attraverso l’elaborazione d’itinerari o l’organizzazione di servizi di prenotazione (convenzionali o on line) per le strutture ricettive; - Attrarre nuovi turisti e visitatori, passando da forme di turismo di passaggio a forme di turismo di soggiorno maggiormente protratte nel tempo ed in grado di favorire una più ampia ed approfondita conoscenza del contesto e delle risorse locali. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Comune di Jesi – Ufficio Turismo (IAT), Sistema Turistico della Marca Anconetana, GAL, Italcook, associazioni di categoria (albergatori, commercianti, etc), agenzie di viaggio, operatori turistici, centrali cooperative (Agci, Confcooperative, Legacoop). Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Ecodistretto rurale - Agenzia per gli investimenti - I “sommeliers delle carni” - Master universitari post-lauream - Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice” - Marketing del centro storico - Anniversario pergolesiano Elementi da approfondire Lo sviluppo del turismo a Jesi suppone innanzitutto l’implementazione di una cultura di squadra o di rete, che permetterà: - sia a “livello orizzontale” ovvero tra i diversi enti e operatori turistici
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della Vallesina, sia a “livello verticale” tra i diversi enti e organismi istituzionali in carico della promozione del territorio (Sistema turistico, Provincia, Regione), il potenziamento delle relazioni, una maggior efficienza e leggibilità dell’offerta; - la creazione di pacchetti rivolti a diversi segment di clientela (gruppi e individuali) e l’esistenza di una struttura in grado di commercializzarli; - la creazione di un vero sistema d’informazione innanzitutto a livello della Vallesina con la realizzazione di strumenti adeguati in grado di valorizzare un’offerta ricca e variegata ma molto frammentata (prezzario delle strutture ricettive, itinerari tematici e non, ecc.). Oltre all’organizzazione dell’offerta l’altro elemento fondamentale dello sviluppo risiede nella promozione, la comunicazione e la commercializzazione di detta offerta. L’attivazione del Sistema Turistico Unico della Marca Anconetana può essere per Jesi e la Vallesina una vera opportunità a patto che la metodologia di lavoro del STL permetta la creazione di una rete tecnica e non solo politica. Ovvero coinvolga gli organismi d’accoglienza del territorio alla definizione e alla messa in opera della strategia di sviluppo, e alla creazione di una rete di organismi “relais” a livello infraterritoriale.
7. I “sommeliers delle carni”: la valorizzazione dei prodotti agroalimentari del territorio; la catena del valore attraverso la cultura, la socialità e la formazione6 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto prevede la creazione di un sistema di “misurazione” o descrizione oggettiva delle carni bovine: in sostanza, la costruzione di un disciplinare di qualità della carne, da patrocinare da parte del pubblico, ma anche da disseminare, anche grazie a iniziative di formazione. Il progetto si basa su una serie di risorse presenti nel contesto locale: - l’esistenza dell’azienda Arca Felice di proprietà comunale - allevamento di animali di razza marchigiana altamente caratterizzati - produzione biologica La premessa logica è che per apprezzare le carni occorre conoscerle e sapere cosa aspettarsi. In analogia con quanto accade con il vino, si può sostenere che i protocolli di degustazione dei vini consentono di riconoscere le differenze e le peculiarità dei prodotti. Come per i vini, tutte le caratteristiche possono essere rese misurabili all’osservazione oppure descritte nei dati di etichetta (oggi semplificata dal sistema della rintracciabilità). La stessa procedura potrebbe essere adottata con le carni, in particolare quelle bovine che sono le più conosciute, apprezzate e complesse. La costruzione di un tale progetto richiede il concorso di tre diverse tipologie di “attori”, ciascuno dei quali dovrebbe esservi coinvolto sulla base di uno specifico ruolo da svolgere: 1. In primo luogo, i “creatori della conoscenza”: - gli istituti alberghieri - l’università di agraria - le scuole di cucina, le associazioni di cuochi (italcook, associazioni di cuochi territoriali, associazioni di ristoratori, ecc.) 2. Quindi, gli “applicatori della conoscenza”: - i produttori/allevatori - le imprese di trasformazione (macellazione e sezionamento) 6. La scheda è stata redatta sulla base di un testo elaborato da Emiliano Baldi e Graziano Vittori
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- le imprese di distribuzione e somministrazione (ristoranti, banchettistica, ospitalità alberghiera, ecc.) 3. Infine, i “diffusori della conoscenza”: - le associazioni che ruotano intorno al cibo e alla ristorazione (ais, assivip, slowfood, ecc.) attraverso percorsi di apprendimento vari: corsi specifici all’interno dei corsi di sommeliers, master sulla ristorazione, degustazioni verticali od orizzontali, corsi di cucina nazionali o internazionali - gli operatori della ristorazione, qui nel ruolo attivo di fornitori di informazioni alla propria clientela Nel concreto, il compito dei creatori della conoscenza è stilare la “scheda di degustazione”, ovvero i parametri che devono essere insegnati dai diffusori della conoscenza. A loro volta, i diffusori della conoscenza, attraverso figure formate allo scopo, chiamiamoli i “sommeliers della carne”, hanno il compito di insegnare i sistemi di misurazione della carne in eventi specifici: corsi specifici con tanto di esame e attestato, all’interno dei corsi di sommeliers (già ora c’è una lezione sull’anatomia bovina al terzo corso), degustazioni organizzate, corsi di cucina e quant’altro. Tra questi attori si inseriscono i produttori, i trasformatori, i distributori e i somministratori, che formano la filiera. Gli obiettivi perseguiti - Promuovere i prodotti agroalimentari del territorio nella e attraverso la ristorazione; - Avvicinare gli attori della filiera agroalimentare (produttori e distributori) alle nuove preferenze e stili di consumo; - Diffondere una conoscenza ampia e codificata da appositi disciplinari della qualità delle carni; - Formare operatori del settore capaci di valutare caratteristiche e qualità delle carni (sommeliers delle carni); - Spingere al miglioramento delle produzioni proposte o all’equilibrio prezzo/valore dei prodotti; - Coinvolgere i consumatori nella conoscenza delle carni affinché siano essi stessi a spingere verso la razionalizzazione delle produzioni. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotori del progetto: - Emiliano Baldi, dir. gen. di Baldi Carni e componente del Comitato territoriale Vallesina di Confindustria Ancona - Graziano Vittori di Arca Felice Partner: - Comune di Jesi - Istituti alberghieri - Università di agraria - Ital Cook - Associazioni di cuochi territoriali - Associazioni di ristoratori e singoli operatori - Produttori/allevatori - Imprese di trasformazione (macellazione e sezionamento) - Imprese di distribuzione e somministrazione (ristoranti, banchettistica, ospitalità alberghiera, agriturismi, ecc.) - Associazioni che ruotano intorno al cibo e alla ristorazione (ais, assivip, slowfood, ecc.) - Centrali cooperative (Agci, Confcooperative, Legacoop)
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Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Ecodistretto rurale - Valorizzazione dei prodotti agroalimentari - Master universitari post-lauream - Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice” - Marketing del centro storico - Anniversario pergolesiano - Teatro dei Profumi e dei Sapori - Mercato del contadino Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) - Attivazione della rete dei creatori della conoscenza: € 15.000 (premi, borse di studio, diffusione mediatica) - Realizzazione dei materiali didattici e formazione dei primi “sommeliers delle carni”: € 20.000 - Corsi ed eventi: € 25.000 - Controllo risultati / obiettivi e rifasamento del progetto: - Importo totale: € 60.000 Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) - Attivazione della rete dei creatori della conoscenza: 6 mesi (fino a giugno, in concomitanza della fine di istituti e università) - Realizzazione dei materiali didattici e formazione dei primi “sommeliers delle carni”: 3 mesi (fino a settembre, in concomitanza dell’inizio di corsi e iniziative) - Corsi ed eventi: 9 mesi - Controllo risultati / obiettivi e rifasamento del progetto: Luglio 2010 Elementi da approfondire Si tratta di un progetto importante nel quadro complessivo del Piano Strategico. Mentre appare solido nella sua definizione al livello locale (i possibili partner sono stati individuati), la dimensione che probabilmente conviene cominciare a trattare è quella della diffusione di questo progetto-pilota e del suo consolidamento al livello regionale e nazionale. Da un lato, quindi – come lo stesso promotore del progetto suggerisce – il futuro “Parco tecnologico”, inteso come ente aggregatore di diverse competente, sarebbe l’attore ideale per la creazione, il mantenimento e lo sviluppo del progetto: ideazione di nuovi parametri di valutazione, misurazione di altri prodotti agroalimentari, formazione dei “sommeliers” del cibo, master per i ristoratori nazionali ed esteri, ecc. Dall’altro, sembra auspicabile che il progetto venga speso ad un livello ben più che locale, intercettando attori che si muovo a scale più ampie: dalle associazioni sul food, la ristorazione e per la promozione della cultura materiale di livello nazionale, ad enti sovralocali (Regione, Ministero Politiche agricole, Autorità europea per la sicurezza alimentare…)
8. Master universitari post lauream7 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto intende favorire lo sviluppo di processi di innovazione nell’eco7. La scheda è stata redatta sulla base di un testo elaborato da Marco Gialletti
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nomia locale a partire dall’ampliamento dell’offerta formativa su dimensioni cruciali per la qualificazione del tessuto produttivo di Jesi. In questo senso, il progetto rappresenta un primo passo verso la costituzione di un Parco tecnologico a Jesi, assumendo l’idea del Parco in una prospettiva incrementale: prima di porre il problema della costituzione di un “recinto” tecnologico, intende avvicinare questo obiettivo promuovendo la creazione di occasioni di formazione avanzata. Nello specifico, il progetto prevede di realizzare cinque master post lauream su altrettanti temi che costituiscono i campi di azione cruciali dello stesso Piano Strategico: - Meccanica - Logistica - Itc - Energia - Agroalimentare Il progetto muove dalla considerazione delle criticità e delle opportunità presenti a Jesi in termini di competenze: da un lato, riconoscendo la necessità di corrispondere alla domanda crescente di personale qualificato da parte delle imprese; dall’altro, rintracciando nel sistema produttivo locale risorse di conoscenza e di know-how che è opportuno valorizzare per far crescere il sistema nel suo complesso. Il progetto di master, già abbastanza formalizzato nella sua articolazione, prevede: - Per ogni master, 12 insegnamenti da 16/20 ore per corso - 6 con docenti universitari - 6 con docenti provenienti dal mondo professionale - 4 testimonianze di imprenditori del settore per ogni corso - La presenza di minimo 15 studenti per corso e massimo 25 - Tirocinio finale in azienda di 3 mesi Gli obiettivi perseguiti - Iniettare capitale umano eccellente nel sistema industriale al fine di favorire l’evoluzione e l’aumento della competitività delle imprese del territorio; - Catturare la reale domanda del tessuto industriale jesino; - Individuare i profili professionali; - Definizione “partecipata” dei piani di studio - Coinvolgimento reale nel progetto delle imprese e delle istituzioni - Partnership con l’Università Politecnica delle Marche per il patrocinio ed il riconoscimento legale dei titoli di studio conseguiti; - Attenzione agli aspetti socio-professionali (embrione di Community). Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - Marco Gialletti, amm. del. di Nautes e componente del Comitato territoriale Vallesina di Confindustria Ancona Partner: - Comune di Jesi - Confindustria Ancona - Fondazione “A.Colocci” - Università Politecnica delle Marche - Centrali cooperative (Agci, Confcooperative, Legacoop) Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Sviluppo tecnologico della Vallesina
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- Fotoom - Ecodistretto rurale - Agenzia degli investimenti - City logistics - Impat Point - Valorizzazione dei prodotti agroalimentari - Customer relationship management (Cmr) per piccole e medie imprese - Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) Il progetto incorpora già una ipotesi formalizzata di piano finanziario: COSTI GENERALI: 45.000 € Segreteria Spese di gestione Comitato Tecnico Scientifico (Direttore + Docenti) COSTI DOCENZE: 3.500 € medio a insegnamento (spese comprese) per 60 Insegnanti totali COSTI COMUNICAZIONE: 15.000 € Portale Web Comunicazione Pubblicitaria Comunicazione Stampa COSTI LOGISTICI: 20.000 € Max Aule Trasporti studenti Servizio vitto e alloggio studenti Attività culturali e di intrattenimento COSTO ISCRIZIONE LIBERA STUDENTI: 2.300 € COSTO PER AZIENDA TIROCINIO ASSOCIATO: 1.200 € COSTO BORSA DI STUDIO: 3.000 € Corsi più tirocinio aziendale con selezione del candidato tramite colloquio CONTRIBUTO DELLE ISTITUZIONI: 80.000 € Min. CONTRIBUTO DALLE ISCRIZIONI: 210.000 € Min. Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) Il progetto prevede lo sviluppo di master sull’orizzonte di un anno, con questa articolazione: Esami di Ammissione: Settembre Corsi: Inizio Ottobre – Fine entro Aprile Tirocinio: Maggio – Giugno - Luglio Esame Finale: Settembre Elementi da approfondire La tempistica del progetto andrà verosimilmente messa a punto, in modo da avere agio per rafforzare una proposta che pare qualificante per l’intero piano strategico. In anticipo rispetto alla effettiva partenza del progetto andrà sviluppata una fase di pubblicizzazione del master. Occorre consolidare il partenariato, formalizzando le relazioni già in corso tra i partner ed eventualmente ampliandolo anche ad altri soggetti (Camera di commercio, Provincia, Regione?).
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9. Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice”8 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare L’idea di costituire un Gruppo di Acquisto Solidale (GAS) nasce con l’intenzione di favorire il miglioramento ambientale, creare una rete di relazione tra le realtà produttive dell’area e massimizzare le esperienze di imprenditoria sociale locale. Il progetto prevede la creazione di un GAS con la partecipazione volontaria dapprima dei soci e dei dipendenti della Cooperativa Futura, ma aperto a tutti quanti vogliano associarsi: cittadini, dipendenti di aziende, lavoratori pubblici e privati e soci di cooperative. La cooperativa mette a disposizione del GAS lo spazio fisico per l’incontro dei consumatori con i produttori. Oltre all’acquisto dei prodotti alimentari il GAS può essere sollecitato dai soci ad effettuare acquisti collettivi di qualsiasi altro bene o servizio. In Italia si stanno infatti diffondendo i primi GAS per l’acquisto di energia o per la gestione di impianti di energie rinnovabili. Il gruppo, al fine di raggiungere gli obiettivi sociali che si pone, organizza visite alle aziende dei produttori ed incontri su tematiche rilevanti legate all’alimentazione e all’ambiente. Il GAS può sviluppare sinergie con le Pubbliche Amministrazioni del proprio territorio, ad esempio, per promuovere la coscienza ambientale del cittadino per la raccolta differenziata ed il risparmio energetico. Attualmente il progetto prevede che i partecipanti al gruppo definiscano dapprima una lista di prodotti su cui intendono eseguire gli acquisti collettivi. Sulla base di questa lista i nuclei famigliari o i singoli aderenti compilano un ordine che, sommato a quello degli altri, definisce un ordine di gruppo che viene trasmesso al produttore. Quando arriva la merce dal produttore, questa viene suddivisa tra le famiglie che appartengono al gruppo e ognuno paga per la sua parte di merce. Dal punto di vista operativo il GAS si occupa di mettere in relazione domanda e offerta, contattando i produttori agricoli, ortofrutticoli ed alimentari del territorio ed organizzando la logistica della domanda e dell’offerta, riducendo così gli sprechi. Per i prodotti non deperibili, è possibile che ogni produttore tenga una certa quantità di prodotto presso il locale di distribuzione in modo da permettere ai soci di effettuare anche acquisti estemporanei al momento del ritiro del proprio ordine. Gli ordini possono essere effettuati al GAS secondo diverse modalità: di persona, per telefono o fax o per e-mail. È possibile costruire un listino del gruppo o distribuire i listini dei singoli produttori. Il ritiro avviene secondo date e modalità prestabilite presso un locale prestabilito. Per una migliore e più efficace socializzazione dell’iniziativa è indispensabile lo sviluppo di un sito, dove ospitare le comunicazioni e le iniziative dei soci nonché dei produttori. Gli obiettivi perseguiti - Promuovere le filiere corte dei prodotti agricoli, ortofrutticoli e zootecnici; - Sostenere gli acquisti consapevoli da parte dei cittadini per il rispetto del lavoro e dell’ambiente; - Sviluppare il contatto diretto tra consumatore e produttore; - Fornire ai soci/cittadini le informazioni necessarie a riconoscere i prodotti con le migliori caratteristiche di qualità nutrizionale, organolettica a o semplicemente merceologica. continua a pagina 60 8. La scheda è stata rivista sulla base di osservazioni formulate da Patrizia Barbaresi
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Foto: Ubaldo Ubaldi
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L’obelisco dove lo metto? Il trasferimento dalla centralissima Piazza del Teatro a Piazza Federico II è immortalato dal fotografo. Ora la fontana (a dire il vero unico elemento architettonico di pregio) è stata restaurata e tra breve anche la piazza vedrà una nuova sistemazione nell’ambito di inter venti di trasformazione e recupero avviati grazie al Contratto di Quartiere.
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Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Il progetto è stato promosso e ideato dalla Cooperativa Futura che ha sede in Jesi ed è fortemente radicata nel contesto locale. La Cooperativa, per propria politica aziendale, intende dare il proprio contributo alla difesa delle produzioni agricole ed agroalimentari locali, fornendo ai produttori del proprio territorio l’opportunità di arrivare al consumatore utilizzando il vantaggio della filiera corta. Le aziende, le cooperative ed i produttori locali che al momento costituiscono la rete di riferimento per l’acquisto dei prodotti sono: - ARCA FELICE per le carni biologiche; - CJPO consorzio di produttori agricoli locali per la verdura e frutta. Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Ecodistretto rurale - Valorizzazione prodotti agroalimentari - I “sommeliers delle carni” - Marketing del centro storico - Teatro dei Profumi e dei Sapori - Mercato del contadino Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) Il progetto è già stato avviato. L’associazione ‘Il Tempo felice’ (nome acquisito da un preludio di G.B.Pergolesi) è stata regolarmente registrata. Sono stati costituiti gli organismi dirigenti e si è dato avvio agli incontri con i produttori, dando inizio alla completa autonomia nella vita sociale, gestionale ed organizzativa. Ad oggi è iniziato l’acquisto delle carni e della verdura con grande soddisfazione degli associati per il prezzo ma soprattutto per la qualità, in particolare delle carni. Da una prima indagine fra gli associati sul gradimento si è rilevata la modifica dell’abitudine di consumare soltanto le parti nobili della carne, essendo il pacco completo di ogni taglio. In cucina si è ripresa con soddisfazione la pratica di ricette antiche, con l’ottimizzazione dei costi e la riscoperta della varietà dei sapori. Sono state attuate numerose nuove adesioni. Elementi da approfondire In un’ottica di miglioramento e potenziamento delle attività promosse e seguite dal GAS, si rende necessaria per il futuro un’adeguata strutturazione gestionale, che ne possa facilitare lo sviluppo e la continuità, nonché la crescita culturale e del peso di contrattazione.
10. Marketing del centro storico: “A tavola con il territorio”9 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto di marketing urbano del centro storico nasce da una ricerca commissionata dal Comune di Jesi e dalla Camera di Commercio di Ancona a Retecamere. La ricerca ha lanciato, sulla base delle analisi socio-economiche e delle interviste ai principali attori locali, una serie di idee progettuali con riferimento a possibili strategia di promozione, con l’obiettivo del rafforzamento e del rilancio sia economico che di immagine della parte antica della città in ambito nazionale ed internazionale. 9. La scheda è stata redatta sulla base di un rapporto di ricerca elaborato da Retecamere per il Comune di Jesi sul tema del marketing urbano e le strategie di promozione del centro storico.
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Tra tali idee progettuali (definite “progetti-volano”) figurano iniziative nei campi della formazione, dell’housing, dei servizi alle imprese insediate, della comunicazione, dell’offerta e della produzionne culturale, della riqualificazione degli spazi aperti, della coesione e dei servizi alla persona e alla collettività, della ricettività e dell’offerta turistica, della promozione dei prodotti eno-gastronomici, ecc. Tra questi, un progetto che la ricerca di Retecamere ha approfondito in occasione delle attività del Piano Strategico riguarda la visibilità/vetrina dei prodotti tipici di qualità, a partire dal “Verdicchio dei Castelli di Jesi”, per innestare un programma di sviluppo del territorio che faccia perno sul centro urbano ed estenda gli effetti al di fuori della mura cittadine. Il progetto si intitola “A tavola con il territorio”. Le attività previste all’interno di questo progetto sono le seguenti: 1. Generare nell’opinione comune il concetto che Jesi è sinonimo di qualità dei prodotti tipici unita alla cultura e alle tradizioni, attraverso una campagna di sensibilizzazione e informazione distinta in fase intra moenia e fase extra moenia nella quale prevedere anche: - iniziative “stagionali” mirate su specifici target (ad esempio per i giovani “da casa a scuola”); - seminari informativi per i cittadini sulle caratteristiche e l’utilizzo in cucina dei prodotti tipici locali; - evento enogastronomico annuale di rilevanza nazionale (ad esempio “la settimana dei Castelli di Jesi: i menù con il verdicchio”); - accordo con gli esercizi commerciali della ristorazione (e Bar) per l’utilizzo e la distribuzione dei prodotti tipici locali come in corso per il Verdicchio; - accordo con le imprese industriali per visite guidate dei loro clienti e fornitori tra i prodotti tipici di qualità; - sito web dedicato ai prodotti con accesso “obbligato” nei PC della bolla WI-FI che sarà realizzata in piazza. 2. Dare visibilità “costante” ai prodotti tipici del territorio: - individuazione del “paniere” di prodotti tipici di qualità e definizione accordi di cooperazione con produttori e punti vendita locali selezionati; - individuazione sede della “vetrina prodotti” e analisi del relativo “stato d’uso”; - adeguamento sede con espositori e materiale informativo sui prodotti e sui punti vendita selezionati; - promozione in sinergia con altre iniziative/progetti esistenti (ad esempio corsi e presentazioni ad hoc di Italcook e la lista dei ristoranti che presentano menù basati esclusivamente sui prodotti tipici locali); - integrazione con attività dell’obiettivo 1 (ad esempio la cartellonistica stradale che riproduce il messaggio distintivo su Jesi la città del Verdicchio e da i riferimenti per la vetrina dei prodotti), soprattutto con il sito web dedicato. 3. Sfruttare le opportunità che crea l’effetto traino dell’identità distintiva in tutti i settori e ambiti di possibile offerta già esistenti a Jesi: - analisi delle integrazioni possibili (ad esempio workshop universitari sulle produzioni tipiche e la loro tutela o borse di ricerca sulle innovazioni da applicare in alcuni produzioni alimentari tipiche); - programma integrato di sinergie e offerte per i cittadini e visitatori (ad esempio una “Jesi card”); - accordi con gli imprenditori sulle condizioni economiche favorevoli (standard) da applicare;
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- programma di investimenti per l’adeguamento delle strutture (ad esempio per l’albergo diffuso e per gli alberghi). 4. Creare sinergie con altri progetti in cantiere (Sommeliers delle carni e Ecodistretto rurale): A) analisi delle integrazioni possibili: selezione di quali prodotti dell’ecodistretto e quali carni andranno nella vetrina; B) definizione dei progetti esecutivi (ecodistretto rurale e somelliers delle carni) prevedendo la vetrina come cassa di risonanza e “canale” di promozione. Gli obiettivi perseguiti Gli obiettivi generali perseguiti dal programma di marketing territoriale sono: - Individuare opportunità di rilancio del centro storico partendo dalla sua struttura storico-urbanistica; - Mettere in evidenza le caratteristiche degli elementi (piazze, palazzi storici etc.) e la loro reale disponibilità ed attitudine in funzione dell’organizzazione di un offerta integrata e lo studio di un progetto “leader”; - Costruire un offerta integrata legata in particolare alle attività del commercio, dell’artigianato e del turismo; - Favorire la “tenuta” della residenza storica e sociale e l’inserimento di nuove tipologie della domanda tra cui quella estera; - Elaborare strategie integrate di intervento con l’individuazione dei possibili settori di nuove attività e ipotesi progettuali. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - Comune di Jesi I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - Camera di commercio di Ancona - Associazioni di categoria - Ital Cook - Enoteca Regionale - GAS (gruppi di acquisto solidale) - Centrali cooperative (Agci, Confcooperative, Legacoop) Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Ecodistretto rurale - Incoming turistico - I “sommeliers delle carni” - Master universitari post-lauream - Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice” - Anniversario pergolesiano - Qualificazione della presenza dell’università a Jesi - Teatro dei Profumi e dei Sapori - Mercato del contadino Elementi da approfondire La costruzione di una efficace strategia di marketing e promozione del centro storico costituisce un obiettivo cruciale per l’Amministrazione comunale. Il suo raggiungimento tuttavia dipende dalla messa a punto e attuazione di una serie di progetti, in ambiti di politiche tra loro diversi (ricettività, offerta turistica, cultura, formazione, sviluppo dell’enogastronomia, ecc.) che vanno ricondotte a sistema attorno ad un obiettivo unitario, come
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appunto quello della riqualificazione e rilancio del centro antico. La realizzazione del progetto dunque dovrà essere alimentata dal contributo di altre progettualità, che ad esso dovranno riferirsi. Costi e tempistica del progetto infine andranno definiti in connessione con quelli delle varie iniziative previste.
11. Anniversario Pergolesiano Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto relativo alle celebrazioni per l’Anniversario Pergolesiano nasce e si definisce a partire dalla ricorrenza, nel 2010, del Terzo Centenario della nascita di Giovanni Battista Pergolesi, musicista jesino del XVIII di fama universalmente riconosciuta (definito “il Mozart italiano”) che, a partire dal settecento, da oscuro musicista di provincia venne ad essere considerato uno dei massimi protagonisti della scena musicale europea. Le ricorrenze, le celebrazioni e le iniziative che il progetto prevede mirano a tenere viva l’attenzione sulla figura del grande compositore e sulle circostanze che ne determinarono il mito ed al tempo stesso vogliono essere occasione di valorizzazione e promozione della città di Jesi e del suo territorio nel panorama culturale e musicale nazionale ed internazionale. Il progetto sarà articolato secondo i seguenti assi portanti, al fine di raggiungere un’ampia categoria di destinatari. Nello specifico: - Rappresentazione integrale delle opere pergolesiane nel corso del 2010; - Esecuzione di concerti a partire dal 2009; - Realizzazione di percorsi didattici rivolti a studenti italiani e stranieri, a partire dal 2009; - Realizzazione di una grande esposizione sui luoghi in cui l’autore ha vissuto e sul contesto culturale in cui ha operato; - Realizzazione di prodotti multimediali; - Organizzazione di convegni internazionali di studio; - Realizzazione di pubblicazioni scientifiche e divulgative. In vista della ricorrenza verranno effettuati interventi di restauro conservativo e riqualificazione funzionale del Teatro Pergolesi di Jesi e verranno aperti nuovi spazi che resteranno permanentemente patrimonio del territorio e della città, anche per iniziative non strettamente legate a Pergolesi. Gli obiettivi perseguiti Il progetto si pone i seguenti obiettivi: 1. Promuovere e favorire la conoscenza dell’Opera Barocca e pergolesiana in particolare; 2. Promuovere e favorire l’espressione artistica; 3. Promuovere e favorire l’utilizzo di strumenti informatici quale forma di espressione artistica e di rielaborazione creativa; 4. Promuovere Jesi ed il suo territorio nel complesso attraverso la valorizzazione dei suoi ‘talenti’; 5. Valorizzare la multiculturalità favorendo il dialogo tra identità e contesti storico-geografici differenti.
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Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) La Fondazione Pergolesi Spontini, istituita appositamente con il compito di promuovere e divulgare l’opera e la figura di questo autore, è il soggetto promotore e responsabile del progetto. Essa intende promuovere però l’istituzione di un Comitato Nazionale per celebrare tale ricorrenza, cui partecipano soggetti pubblici e privati. Hanno infatti accettato di affiancare la Fondazione nella richiesta di istituzione del Comitato soggetti istituzionali, associazioni culturali e personalità rilevanti del panorama musicale e culturale nazionale, che con la loro opera concorrono a ‘dare voce’ non solo all’opera del Maestro ma anche alle città e ai territori in cui Pergolesi è nato ed è vissuto. In tale contesto, è auspicabile il coinvolgimento delle cooperative che operano nel settore culturale e turistico. Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Agenzia per gli investimenti - Marketing del centro storico - Incoming turistico Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) da definire Parte degli interventi potrebbero essere coperti con il concorso di finanziamenti europei mediante la partecipazione ad appositi bandi. Elementi da approfondire Il progetto promosso dalla Fondazione Spontini rappresenta un’importante occasione per la promozione della figura di Pergolesi Spontini ed allo stesso tempo si presta ad essere occasione rilevante per incrementare le possibilità di visibilità e conoscenza del territorio jesino. È allora particolarmente rilevante in questo caso, ed in maniera più stringente, identificare con precisione le possibili connessioni tra questo progetto e quelli segnalati, in modo tale da costruire sinergie fertili per attrarre nuovi turisti e nuovi visitatori, così come per valorizzare e riqualificare il patrimonio storico architettonico del centro storico di Jesi.
12. Il Palazzo dell’Università Qualificazione della presenza dell’Università a Jesi Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare La presenza dell’università a Jesi, dagli anni 90, costituisce ormai una realtà consolidata che occorre ulteriormente qualificare dal punto di vista dei servizi complementari. Su questo fronte, un servizio fondamentale è quello dell’accoglienza e dei servizi mensa per gli oltre 500 studenti, così come la maggiore fruizione delle strutture della Fondazione Colocci costituisce un elemento di rilievo per la cittadinanza ed un elemento importante di sviluppo per il centro storico di Jesi. Il progetto prevede dunque la realizzazione di: - un pensionato per studenti per 15-20 posti letto nella sede delle ex carceri (in attuazione, per altro, di una previsione del Contratto di quartiere presso il complesso delle ex carceri); - una mensa, a servizio degli studenti universitari ma anche degli alunni delle scuole superiori provenienti da fuori Jesi che si fermano anche nel pomeriggio, ipotizzando di destinare a questo uso gli spazi oggi occupati dall’Ufficio Anagrafe del Comune; - una gestione degli spazi del “Palazzo dei Convegni” per collegare
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direttamente le strutture aperte al pubblico della Fondazione (biblioteca, aula magna, etc) con “l’asta dei servizi” del centro antico jesino. Gli obiettivi perseguiti - Qualificare e rafforzare, attraverso la dotazione di servizi complementari, la presenza dell’università a Jesi. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotori del progetto: - Comune di Jesi - Fondazione Colocci Partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - ERSU di Macerata - Regione Marche Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Ecodistretto rurale - Agenzia degli investimenti - Marketing del centro storico - City logistics - Impat Point - Master universitari post lauream - Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori Elementi da approfondire Il percorso di concertazione per la realizzazione del progetto è solo in parte avviato.
13. Customer relationship management (Crm) per piccole e medie imprese10 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il prevede l’Implementazione e diffusione di una piattaforma di CRM (Customer relationship management) ad uso delle piccole e medie imprese rilasciata in modalità OpenSource. La gestione delle fasi del ciclo di prevendita-vendita-postvendita, pur essendo uguali per ogni impresa e settore, è spesso affidata a strumenti diversi (da software non specifici a annotazioni cartacee). Ne consegue che le informazioni sui clienti risultano sparse in più archivi, senza possibilità di recuperare uno storico delle attività svolte e di fare una programmazione seria delle visite e dei servizi che le imprese devono erogare ai clienti. Una buona gestione del cliente necessita, quindi, che le attività marketing, vendita e Post vendita siano tutte collegate tra loro rispetto ad un oggetto comune vale a dire la scheda cliente. In questo modo sarebbe possibile monitorare le diverse fasi del ciclo di vendita, tramite indicatori e report, elaborare delle segmentazioni e agire in modo coordinato con proposte mirate per i nostri già clienti e/o clienti potenziali. Dunque, lo strumento del CRM (Customer Relationship Management) può rappresentare un’interessante opportunità di crescita e sviluppo per l’azienda. Si tratta di un ambito avanzato sul terreno dell’innovazione di 10. La scheda è stata redatta sulla base di testo elaborato dalla Cna
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processo all’interno di medie imprese, alla ricerca di maggiore qualità nel governo dei processi, in particolare in questi ambiti: - Automazione della forza vendita - Automazione delle funzioni di marketing operativo - Supporto e servizi ai clienti - Gestione del ciclo attivo dall’ordine al pagamento - Gestione integrata delle attività cooperative La sfida è introdurre nelle PMI cultura e formazione specifica, nonché strumenti adeguati di alto livello che non presentino però elevati costi di acquisizione ed implementazione. Per questo si propone di diffondere metodologie e strumenti provenienti dal mondo OpenSource. La soluzione OpenSource CRM di riferimento sarà Vtiger Gli obiettivi perseguiti - Integrare uno strumento CRM con una applicazione gestionale per PMI, in modo tale che la gestione innovativa del ciclo attivo via CRM stesso, possa essere integrata nell’attività complessiva dell’impresa (clienti/fornitori, magazzino, scorte, contabilità, produzione, assistenza, servizi, etc). Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - CNA e CNA Informatica s.p.a. I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - piccole e medie imprese locali - Comune di Jesi Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Fotoom - Ecodistretto rurale - Agenzia degli investimenti - City logistics - Impat Point - Master universitari post lauream Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) La stima del costo complessivo del progetto è 50.000 euro per lo sviluppo di tutte le fasi. Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) Fase 1: Analisi e implementazione di ogni singolo componente della piattaforma di CRM OpenSource Vtiger Fase 2: Analisi ed implementazione di una integrazione con applicazione Gestionale Fase 3: Disseminazione - iniziativa di presentazione - brochure di presentazione (500 copie) ccon cd-rom allegato contenente la soluzione OpenSource CRM integrato con Gestionale per PMI - portale di presentazione della soluzione, area di download dell’applicazione stessa e della documentazione originale in italiano prodotta, links a risorse tematiche - Corso di formazione su CRM OpenSource Vtiger e ERP Cna.Net integrato rivolto a PMI del territorio; obiettivo: 30-40 partecipanti; sede: ZIPA o altra sala nel Comune di Jesi.
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Elementi da approfondire Lo sviluppo di un tale progetto richiede verosimilmente una preventiva analisi della domanda potenziale presso le imprese e una condivisione della proposta presso altre organizzazioni degli interessi e istituzioni locali.
14. Teatro dei Profumi e dei Sapori11 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Durante gli ultimi dieci anni l’attenzione per l’enogastronomia, i prodotti tipici, il biologico, la qualità dell’ambiente, e la conseguente rivalorizzazione della diversità paesaggistica, è notevolmente cresciuta. Ormai, la produzione, la promozione e la valorizzazione del cibo di alta qualità rappresenta un elemento di grande rilevanza culturale ed economica e aggrega fasce sempre più ampie di utenti. Questo trend espressione di un evoluzione nel modo di vivere e nel modo di concepire il tempo libero ha contributo alla nascita di un nuovo tipo di prodotto turistico: il turismo enogastronomico. Per quanto riguarda Jesi, occorre considerare che in città hanno sede diversi organismi di eccellenza legati alla produzione, promozione e valorizzazione dei prodotti della filiera agroalimentare: - l’Azienda Agraria Arcafelice, che si fa promotrice dell’agricoltura e dei prodotti biologici - l’Enoteca della Regione Marche, sezione di Jesi, gestita dall’ASSIVIP - l’Istituto Superiore di Gastronomia, Italcook, nato da un progetto tra Città di Jesi e Slow Food Italia. Per altro, due di queste strutture hanno sede a Palazzo Balleani, palazzo storico di proprietà del Comune di Jesi, situato nel cuore del centro antico. Il problema che si intende affrontare è l’attuale frammentazione dell’offerta del territorio in termini di risorse enogastronomiche, che sarebbe opportuno riconnettere in un sistema di offerta riconoscibile. Il progetto “Teatro dei Profumi e dei Sapori” intende: - fornire un marchio-griffe che caratterizzi un insieme di iniziative volte a promuovere e valorizzare l’offerta agroalimentare ed in particolare enogastronomica di qualità del territorio; - essere la vetrina dei prodotti tipici di qualità del territorio nonché del suo patrimonio ambientale e delle sue peculiarità paesaggistiche; - essere un luogo di formazione ai mestieri legati all’enogastronomia; - proporre prodotti e servizi sul tema del cibo, dei sapori, del patrimonio ambientale; - promuovere e valorizzare la ricerca nel settore agroalimentare ed enogastronomico. È opportuno che tale marchio/griffe corrisponda ad alcuni principi di base comuni, quali: protocolli di qualità da rispettare, coinvolgimento, in ogni iniziativa, di diversi partner del mondo enogastronomico, ecc. Il nome “Teatro”, scelto al posto di altri noti e usati, come “Palazzo” (esiste il Palazzo del Gusto di Orvieto, probabilmente l’esperienza più completa in questo senso, ma nelle Marche anche quello di Acqualacontinua a pagina 70 11. La scheda è stata redatta sulla base di testo elaborato dall'Assessorato al Turismo Comune di Jesi
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Foto: Ubaldo Ubaldi
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Come si anima una città ed un territorio. Ad una polverosa diurna strada quasi deserta, fotografata molti anni addietro, gli fa da contraltare la stessa brulicante via in versione notturna ai nostri giorni. La città viene sempre più vissuta, colonizzata anche di notte, soprattutto dai giovani. L’Arco Clementino fa da scenografia alla distesa quasi infinita di carri carichi del cavolfiore bianco di Jesi: una “forza” della natura una volta vanto del territorio.
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gna), intende richiamare il ricco patrimonio artistico e architettonico marchigiano, permetterebbe di fare un legame con le manifestazioni organizzate nel 2010 per le Celebrazioni Pergolesiane e alluderebbe più ad una rassegna di iniziative e di eventi che ad una sede fisica. L’esempio potrebbe essere “Jesi estate” che raggruppa sotto un unico marchio un insieme di spettacoli, concerti, presentazione di libri, o ancora quello che è stato tentato nel 2008 con le diverse iniziative organizzate per il Quarantennale del Verdicchio. Gli obiettivi perseguiti - Approfittare della presenza nel territorio di strutture di eccellenza e di un generale trend positivo per fare del patrimonio enogastronomico uno dei maggiori assi di sviluppo economico e turistico di Jesi e della Vallesina; - Valorizzare le eccellenze del territorio, creare sinergie tra di esse e costruire reti di collaborazione. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - Comune di Jesi, Assessorato al turismo e sviluppo economico I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - la filiera agricola: agricoltori, viticoltori, produttori, cooperative agricole, sindacati agricoli; - gli operatori che trasformano e commercializzano i prodotti: case vitivinicole, salumifici, aziende alimentare, ecc.; - i commercianti del settore alimentare: gastronomie, macellai...; - il mondo della ristorazione; - il mondo della formazione e della ricerca: istituti agrari, istituti alberghieri, università di agraria, ecc. Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Ecodistretto rurale - Incoming turistico - I “sommeliers delle carni” - Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice” - Marketing del centro storico - Farmer’s market - Anniversario pergolesiano - Mercato del contadino Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) I costi sono in gran parte da definire. Le spese da prevedere in linea generale sono: - la registrazione del marchio e la creazione del relativo logo - le spese relative alla promozione e pubblicizzazione delle diverse iniziative per le quali si potrebbe presentare una richiesta nell’ambito del bando regionale “Progetti di accoglienza” Elementi da approfondire Per quanto riguarda l’organizzazione operativa del progetto, molti aspetti rimangono da definire. Il fattore di successo di tale progetto risiede senz’altro nella flessibilità della struttura che si intende mettere in piedi; flessibilità che garantirà reattività e agilità a livello organizzativo nonché economia di scala e ottimizzazione delle spese a livello economico. Inoltre, si potrebbe procedere in modo incrementale, avviando un programma di eventi e di iniziative organizzati in sinergie con diversi partner per cominciare a dare vita al progetto.
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La selezione delle iniziative potrebbe essere affidata a una commissione costituita da Comune di Jesi, Assivip, Italcook, Arcafelice, Sistema Turistico Locale, Istituto agrario Salvati ed eventualmente da un esperto dell’università di agraria di Ancona in modo da avere sia una rappresentatività dei settori coinvolti (agricoltura, viticoltura, enogastronomia, turismo e formazione) sia un equilibrio a livello territoriale (tre organismi con base a Jesi, quattro organismi fuori Jesi). La commissione si riunirebbe secondo un calendario preciso per esaminare proposte fatte da terzi o decidere l’organizzazione in proprio di azioni ed eventi.
15. Mercato del contadino Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare L’idea di un mercato del contadino (o Farmer’s Market. come ormai noto anche in Italia) nasce sia sotto la spinta di esperienze ormai molto diffuse in Italia e all’estero, che per effetto della rilevanza che stanno assumendo, all’interno del dibattito sulla politiche di sviluppo locale, i temi della economia slow, della valorizzazione delle produzioni tipiche locali, della “filiera corta”, ecc. Nel caso di Jesi, il progetto intende sostenere la costituzione di un mercato del contadino, con produttori provenienti dalla provincia di Ancona ed in particolare dalla Vallesina, in una localizzazione che potrebbe essere a Piazza delle erbe, in aggiunta alle giornate di mercato del mercoledì e sabato dove sono già presenti banchi gestiti direttamente dai produttori agricoli. Una ipotesi è che, alla vendita dei prodotti tipici locali, possa associarsi anche la proposta di prodotti artigianali legati al mondo contadino. Gli obiettivi perseguiti - Rafforzare la presenza e la riconoscibilità sul mercato delle produzioni agricole locali; - Incentivare occasioni di integrazione del reddito agricolo; - Sviluppare iniziative di integrazione della filiera agricola, curando soprattutto gli aspetti della vendita diretta, sia in azienda che in mercati per i produttori; - Promuovere fattivamente Jesi come città che sperimenta politiche a favore delle produzione tipiche e a Km zero. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotori del progetto: - Coldiretti - Confederazione italiana agricoltori I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - Comune di Jesi Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Ecodistretto rurale - Incoming turistico - I “sommeliers delle carni” - Gruppo Acquisto Solidale “Il tempo felice” - Marketing del centro storico - Teatro dei Profumi e dei Sapori Elementi da approfondire Il progetto richiede, per essere di una efficace strategia di comunica-
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zione e sensibilizzazione presso le aziende agricole potenzialmente interessate. Si tratta infatti di un progetto che ha verosimilmente una domanda potenziale ampia, se è vero – come risulta da un recente sondaggio commissionato da Coldiretti alla Swg – che nel 2008 un italiano su due (52%) ha acquistato almeno una volta direttamente dal produttore agricolo, rendendo quella diretta la forma di distribuzione commerciale che ha registrato il maggiore sviluppo nell’anno passato (+8%). Vanno definiti costi e step di implementazione.
16. Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori12 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto prevede la realizzazione di un percorso formativo rivolto ad artigiani e piccoli imprenditori. I temi di formazione previsti sono cinque: 1. Competenze manageriali ed organizzazione: valutare, riscoprire e valorizzare le proprie capacità e potenzialità manageriali, di acquisire la conoscenza di tecniche e metodologie per usare la propria creatività e sfruttare le proprie caratteristiche e individuare gli strumenti per stimolare la partecipazione dei collaboratori (contenuti principali: capacità manageriali soggettive; gestione per obiettivi/risultati; la pianificazione del tempo); 2. Gestione aziendale: fornire agli imprenditori nozioni concrete in merito all’analisi di bilancio, alla corretta determinazione del “costo” e del “prezzo” e quindi la conoscenza del controllo di gestione (contenuti: cenni di contabilità generale; il bilancio d’esercizio; il controllo di gestione); 3. Finanza d’impresa: trasferire quelle conoscenze di base che permettano di inquadrare nel modo giusto il rapporto tra l’imprenditore e le istituzioni finanziarie capire l’importanza delle politiche finanziarie e dei vari strumenti di finanziamento (contenuti principali: strategie d’impresa e politiche finanziarie; scelte e strumenti di finanziamento per le imprese; le garanzie; il budget finanziario; i flussi di cassa); 4. Marketing e comunicazione: approfondimento dei temi della formazione commerciale dell’impresa, sia quelli tradizionali quali le vendite e la distribuzione, sia quelli innovativi quali le ricerche di mercato, la promozione, la pubblicità e quindi la comunicazione (contenuti principali: introduzione al Marketing; la psicologia di vendita; gli obbiettivi e le strategie; il budget di vendita; la comunicazione); 5. Utilizzo degli strumenti informatici e di Internet: con il corso pratico di uso PC e di Internet si vuole fornire quella alfabetizzazione informatica di base che fornisca la conoscenza dei programmi base e di Internet per poter sfruttare tutti i vantaggi legati al sistematico uso del Pc e del Web (contenuti: l’hardware ed il software; Word; navigazione in Internet ed uso della posta elettronica; sistemi ERP e CRM). L’ipotesi è che a ciascuno dei temi siano dedicati due appuntamenti. Le lezioni dovrebbero essere di 3 ore, poste in un orario di fine giornata, una a settimana. Le lezioni prevedono una parte di formazione in aula e una parte di esercitazione di gruppo.
12 La scheda è stata redatta sulla base di testo elaborato dalla CNA
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Gli obiettivi perseguiti - Accrescere, negli imprenditori artigiani e nei piccoli imprenditori, la conoscenza delle competenze di management; - Fornire strumenti di orientamento e di organizzazione particolarmente necessari sia nelle fasi di start-up sia nella gestione delle trasformazioni e dei processi di crescita dell’impresa. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotore del progetto: - CNA Altri possibili partner sono da identificare Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Sviluppo tecnologico della Vallesina - Agenzia degli investimenti - Master universitari post lauream - Customer relationship management (Crm) per piccole e medie imprese Elementi da approfondire Il progetto insiste su una area di intervento (quello della formazione) su cui esistono anche altri interventi del Piano Strategico (a cominciare da quello sui master universitari), nonché opportunità offerte dalla Regione Marche e dalla Provincia di Ancona all’interno dei propri programmi di formazione. I progetti nel campo della formazione andranno dunque messi a sistema e discussi con i referenti provinciali e regionali per trovare eventuali sinergie e finanziamenti.
17. Alla ricerca del valore nella globalizzazione per micro e pmi13 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Il progetto prevede la realizzazione di un servizio alle piccole e microimprese per supportarle nella competizione. Il particolare momento di crisi impone un gioco di squadra dove le amministrazioni centrali e locali, le associazioni di categoria, gli istituti di credito devono entrare in campo insieme alle piccole imprese per continuare a farle giocare consentendo loro di mettere in luce i propri talenti. L’uso delle tecnologie dell’informazione consente la diffusione della conoscenza alla velocità della luce riducendone il valore con il rischio di livellare tutto e tutti verso il basso; occorre per contro sfruttare questa possibilità per amplificare il proprio sapere e spostare in alto il livello della propria offerta di prodotti e servizi. Gli obiettivi perseguiti Il progetto prevede la realizzazione di un servizio alle piccole e microimprese finalizzato ad individuare: - le cause che rallentano o bloccano lo sviluppo e la crescita aziendale; - le esigenze immediate e quelle previste e medio e lungo termine; - le caratteristiche distintive della singola azienda; - le aspettative di crescita o il sogno nel cassetto; - le possibili interazioni con altre aziende a livello di distretto o di filiera 13. La scheda è stata redatta sulla base di testo elaborato dalla Confartigianato
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e i legami, spesso nascosti, fra i diversi soggetti che intervengono nella catena del valore; - le leve tecnologiche o innovative capaci di innalzare il livello di competizione aziendale; - le possibilitĂ di apertura verso mercati internazionali. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) Promotori del progetto: - Confartigianato I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - Comune di Jesi - Istituti di credito - consulenti aziendali - PMI Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Master universitari post-lauream - Crescita manageriale degli artigiani e dei piccoli imprenditori - Customer relationship management (Crm) per piccole e medie imprese Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) I costi di seguito ipotizzati coprono il servizio per circa 30 aziende
Voci di costo Rimborsi gruppo di lavoro
euro E 25.000
(consulente finanziario, consulente informatico, consulente gestione aziendale, rappresentante PMI)
(attivitĂ di coordinamento)
Comunicazione iniziativa e diffusione risultati
(portale web, stampa)
Costi per singolo intervento presso le PMI
5.000
Contributi aziende
15.000
1.500
(per ogni adesione)
Contributi istituti di credito
100.000
Contributi altre istituzioni
50.000
Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) - Costituzione del gruppo di lavoro: 1 mese - Definizione e messa a punto dell’intervento presso le aziende: 2 mesi - Comunicazione: a partire dal secondo mese - Avvio servizi: dal terzo mese - Controllo risultati: ottobre 2009 Elementi da approfondire Gli elementi da approfondire riguardano la costruzione del partenariato di progetto, con particolare attenzione al ruolo dei possibili partner finanziatori (tra cui gli istituti di credito), alla individuazione del target di PMI per la costruzione del servizio, al coinvolgimento dei consulenti di riferimento presso le singole aziende.
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18. Energy Corner14 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare. La questione energetica è oggi tra le più controverse e dibattute a livello mondiale e rimane tra le principali priorità dei paesi moderni. Rispetto a questa questione, le Amministrazioni Locali sono sollecitate ad assumere un ruolo di primo attore sia nella governance dei processi di pianificazione energetica locale, sia nella attuazione di percorsi di informazione e di diffusione dei contenuti della sostenibilità energetica tra gli attori chiave del territorio. Inoltre, la recente liberalizzazione del mercato energetico in Italia e l’evoluzione normativa che ne sta seguendo, ha ancora di più evidenziato la necessità di realizzare presidi sul territorio in grado di divenire per i cittadini e per le imprese veri e propri punti di riferimento in grado di fornire un supporto informativo e consulenziale sulle possibilità e sulle modalità di accesso a finanziamenti a sostegno degli investimenti, sulle più idonee soluzioni tecnologiche ed energetiche da adottare, sulle potenzialità economiche ed ambientali che comportamenti virtuosi di risparmio energetico ed di razionale uso dell’energia possono offrire sia nei processi industriali che nella vita quotidiana. L’idea dell’Energy Corner nasce dalla necessità di avere un’informativa costante, aggiornata, chiara sul complesso mercato dell’energia, e sulle possibilità e potenzialità economiche, tecnologiche, finanziarie relative al risparmi energetico e allo sfruttamento delle risorse rinnovabili (solare, geotermia, idrogeno,etc). L’EnergyCorner si articola in una serie di attività: 1. Attività di comunicazione, informazione, formazione - organizzazioni eventi/campagne informative legate al tema dell’energia e del risparmio energetico - ricerca, promozione, formazione e informazione nel campo del risparmio energetico e uso delle fonti rinnovabili, rivolto sia alla struttura comunale sia ai privati, intesi come imprese e singoli cittadini - informazioni relative al regime di libero mercato dell’energia, ai contratti di fornitura energia elettrica e gas - informazione alle imprese e ai privati sui sistemi di certificazione energetica, sul regolamento Comunale in ambito energetico/ambientale, sulla normativa regionale di riferimento 2. Attività consulenziali e di Energy management - audit e bilanci energetici, analisi di LCA a supporto delle organizzazioni e delle imprese. analisi dei processi industriali e delle soluzioni tecnologiche da implementare - supporto in ambito legislativo (nazionale e regionale), in merito alle applicazioni dei criteri di efficienza energetica e delle fonti rinnovabili - valutazioni tecniche ed economiche di interventi impiantistici specifici 3. Attività di Pianificazione e programmazione energetica - supporto alle organizzazioni (pubbliche/private) relativamente ad aspetti energetici, tecnologici, soluzioni di implementazione - ricerca nuovi canali e opportunità di finanziamento, fiscalità e possibilità di opportunità di finanziamenti ed agevolazioni fiscali 4. Progettazione, ricerca e cooperazione internazionale - sviluppo progetti di ricerca - progetti Europei
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Gli obiettivi perseguiti Il progetto “Energy Corner” mira a costituire sul territorio jesino una struttura che diventi punto di riferimento in tema di energia per tutta la comunità (per i cittadini, per le imprese e le istituzioni), rappresentando uno strumento di sviluppo e di coordinamento di azioni sinergiche. L’EnergyCorner potrebbe in prospettiva consentire alla città di strutturare percorsi di cooperazione e scambio di esperienze con altre realtà simili (nazionali ed internazionali), nonché avviare progetti di ricerca mirati a consolidare nel tempo una rete di saperi necessaria per lo sviluppo sostenibile del territorio. Gli attori coinvolti (responsabile/promotore del progetto, i partner) promotore: - M. Cardinaletti, project manager I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - Comune di Jesi, mondo dell’imprenditoria, CNA, mondo del credito, associazioni ambientaliste, Coldiretti, Public Utilities ESCO, Università, Regione, Provincia, etc. Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - Parco tecnologico - Master universitari post lauream - SPES – SPort Energicamente sostenibile Costo e risorse finanziarie (disponibili, da reperire) I costi del progetto sono funzionali alle diverse fasi dell’azione e ai servizi che internamente verranno sviluppati. Si può/deve ipotizzare una stretta collaborazione con alcune realtà del territorio come le associazioni di categoria del settore produttivo. Le stesse, fin da subito, potrebbero essere interessate a cofinanziare il progetto a seguito di precise garanzie su eventuali consulenze tecniche e particolari servizi che l'Energy Corner offrirebbe. Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) Il processo di costituzione e di creazione dell’EnergyCorner è un processo graduale che prevede l’assunzione delle competenze e dei servizi offerti secondo fasi precise, anche in funzione delle risorse umane e finanziarie a disposizione 1. FASE I – Start up L’EnergyCorner potrebbe ricoprire un ruolo prettamente formativo ed informativo (scuole/cittadinanza/privati) e pianificare ed organizzare l’informazione all’utenza relativamente alle opportunità offerte dal risparmio energetico e all’uso delle fonti rinnovabili; inoltre, potrebbe farsi promotore dello sviluppo del mercato territoriale delle fonti rinnovabili, con i conseguenti benefici energetici ed ambientali. Questa prima fase prevede come sub attività principali: - individuare una struttura e personale assegnato con lo scopo di fornire un supporto informativo sui temi energetici, sulle opportunità di finanziamento, sulle modalità di accesso ai principali canali di finanziamento; - realizzare sito/portale web; - riorientare la domanda energetica attraverso la costituzione di un adeguato sistema di comunicazione efficace, capillare e mirato; - promuovere campagne informative a scadenza annuale rivolte a tutti i cittadini, alle utenze del settore terziario e alla popolazione scolastica. Tali campagne avranno come tema la problematica generale del
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risparmio energetico e i benefici di ordine ambientale ed economico ottenibili con comportamenti meno dissipativi di energia. Importante può risultare, a tal fine, il censimento degli operatori territoriali operanti in diversi settori: impiantistico (installatori e manutentori), fonti rinnovabili, ristrutturazioni edilizie (attraverso pratiche di bio-architettura), fornitura di servizi energetici, etc. Se il progetto EnergyCorner dovesse incontrare l’interesse dell’Amministrazione comunale, anche a valle della sua fase di start-up, si potrebbe pensare di “linkare” il portale al sito web del Comune e di inserire, tra le sue funzioni, quella di seguire lo sviluppo del Piano Energetico Comunale, monitorando le diverse azioni individuate dall’Amministrazione e agevolando la diffusione della conoscenza del Piano tra la cittadinanza e gli stakeholder territoriali (Agenda21 Energia). 2. FASE II – Consolidamento Partnership locali L’Energy Corner, acquisterà via via maggiori competenze e sarà in grado di offrire servizi sempre più complessi e strutturati considerando anche il graduale coinvolgimento di partner tecnici e del settore privato. Nel medio periodo la struttura potrà quindi acquisire, attraverso il supporto di fondi privati e pubblici, competenze sempre più strutturate in grado di avviare attività di supporto consulenziale verso le organizzazioni del territorio che ne necessitino, sia pubbliche che private. Questa seconda fase è strettamente collegata alla capacità del territorio e degli attori chiave di far crescere la struttura investendo in essa attraverso l’afflusso di progettualità, risorse finanziarie ed umane. Tra le principali attività di questa fase: supportare il processo di certificazione energetica degli edifici pubblici; - sviluppare analisi di settore, di comparto, di filiera sui fabbisogni energetici e sulle possibili soluzioni di miglioramento; - strutturare maggiormente la propria funzione formativa e informativa attivando strette collaborazioni con scuole, ordini professionali ed associazioni di categoria; - fornire indicazioni sugli incentivi economici e sul settore normativo di interesse per il mondo produttivo ed i cittadini; - fornire informazioni sugli iter amministrativi per l’autorizzazione di impianti energetici, per l’istallazione di impianti fotovoltaici, geotermici, etc. 3. FASE III – Attivazione progetti di cooperazione internazionale Quest’ultima fase mira a consolidare il percorso di crescita della struttura, cercando di proiettare la città all’interno di un circuito internazionale di cooperazione e di scambio di buone pratiche con altre realtà che hanno maggiori esperienze o esperienze similari in ambito energetico. L’obiettivo generale è quello di far confluire sul territorio specifici knowhow in grado di supportare adeguatamente lo sviluppo economico, tecnologico e sociale dell’intera collettività. Elementi da approfondire - Modalità di gestione della struttura; - Ambiti di operatività; - Forma giuridica.
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Foto: Ubaldo Ubaldi
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Jesi come “città creativa” grazie alla varietà d e l l ’a m b i e n t e urbano, alla molteplicità di competenze di punta in settori diversi ( cinema, musica, arti, design) favorite dalla varietà di occasioni di lavoro. Tutto questo può divenire un fattore di attrazione e competitività. L’interscambio tra eccellenze di settori diversi può far innescare un circuito virtuoso.
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19. SPES - SPort Energeticamente Sostenibile15 Descrizione del progetto, il problema che intende affrontare Le strutture sportive sono tra le categorie di edilizia civile a più alto fabbisogno energetico ed hanno solitamente un peso rilevante nei bilanci energetici degli Enti Locali. Costituiscono pertanto delle strutture target su cui poter avviare progetti di riqualificazione energetica attraverso interventi rivolti sia alla massimizzazione del risparmio energetico che alla realizzazione di piccoli sistemi di produzione energetica rinnovabile. Il progetto SPES, in linea con gli obiettivi fissati dalla Comunità Europea in ambito Energetico (pacchetto clima ed energia 2020), prevede la sperimentazione di iniziative per la produzione di energia da fonti rinnovabili mediante la realizzazione di impianti in grado di soddisfare la domanda provenienti da attrezzature sportive. Il progetto SPES immagina l’avvio di una tale sperimentazione con un progetto-pilota da implementare nell’area compresa tra Via Tabano, Via delle Nazioni, Via del Burrone, viale dello Sport, dove sono situate due importanti strutture sportive quali il complesso Polisportivo Cardinaletti e il Palasport Triccoli. L’attività Progettuale prevede una serie di attività: 1. Costituzione del Consorzio e del team di progetto 2. Realizzazione studio fattibilità sul complesso sportivo individuato, al fine renderlo auto-sufficiente dal punto di vista energetico. Lo studio dovrebbe prevede in via preventiva l’analisi energetica delle strutture sportive e dell’area interessata e successivamente, la definizione del progetto definitivo che dovrà contemplare la migliore soluzione tecnologica da implementare, tenendo in considerazione sia gli aspetti economici, sociali che ambientali. 3. Ricerca/selezione delle diverse fonti di finanziamento attivate a livello internazionale/nazionale/locale. Il progetto mira inoltre a far cooperare settore pubblico con privato, attraverso lo sviluppo di azioni di Cause Related Marketing, grazie alle quali, attraverso la costituzione di partnership miste e la convergenza di obiettivi di sviluppo, è possibile avviare forme di investimento in grado di creare valore aggiunto per tutti gli attori coinvolti: imprese, ente, collettività. 4. Organizzazione eventi informativi e giornate evento sul risparmio energetico e sulle fonti rinnovabili sfruttando lo sport come strumento di comunicazione (Es. Energy Days in concomitanza con importanti eventi sportivi legati alle principali società sportive jesine). 5. Avvio dei lavori per la realizzazione del progetto. Gli obiettivi perseguiti L’obiettivo è di realizzare un’isola sportiva energeticamente autosufficiente, una struttura integrata, polivalente, a basso impatto ambientale, che si autoalimenti a livello energetico attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili. Nell’ambito del progetto SPES, inoltre, dovrebbero essere coinvolti non solo tecnici ed esperti di settore, ma anche le società sportive che usufruiscono delle strutture, in un progetto di comunicazione e sensibilizzazione che attraverso lo sport veicoli alla collettività il messaggio dell’ecoefficienza, del risparmio energetico, delle risorse rinnovabili In tal senso il progetto camminerebbe su due binari paralleli, ma complementari: La parte prettamente tecnica, legata all’attività di progettazione e successiva realizzazione dell’isola energetica e quella di coinvolgimento
15. La scheda è stata redatta sulla base di testo elaborato da Marco Cardinaletti
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della comunità, che, a partire dallo sport, avrebbe come obiettivo ultimo la creazione di una Energy Community. Potenziali attori da coinvolgere Promotore del progetto: - M. Cardinaletti I partner coinvolgibili nello sviluppo del progetto sono: - Comune di Jesi, università, privati, società sportive, Esco, istituti di credito, istituzioni, etc. Connessioni con altri progetti del Piano Strategico - EnergyCorner - Polo Tecnologico Cronoprogramma di attuazione (step previsti e relativi prodotti intermedi) La durata complessiva del progetto è stimata in 24 mesi. 1. Fase iniziale - Avvio dell’Audit Energetico - Definizione di un progetto preliminare da presentare ai principali attori chiave del territorio e ai potenziali soggetti partner nel processo di realizzazione. Il progetto dovrà consentire di raggiungere il bilanciamento tra domanda e offerta energetica dell’area attraverso, l’utilizzo di tecnologie integrate per lo sfruttamento di risorse rinnovabili 2. Fase intermedia - Definizione progetto esecutivo - Ricerca fondi di finanziamento - Organizzazione eventi di comunicazione e di coinvolgimento della comunità 3. Fase finale - Avvio lavori
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4. L’implementazione del Piano
4.1 L’Urban Center
L’Urban Center (per la cui descrizione si rimanda alla relativa scheda) si caratterizza per essere la struttura di pilotaggio del Piano Strategico. In questo senso, le attività che sarà chiamato a svolgere sono: 1. Il monitoraggio e la valutazione del Piano e dei singoli progetti: l’Urban Center sarà responsabile della costruzione e della alimentazione del sistema di controllo sull’avanzamento del Piano, da sottoporre alla discussione e alla approvazione dei partner coinvolti (vedi paragrafo successivo). 2. L’alimentazione costante della riflessione sulle politiche di sviluppo per Jesi e la Vallesina, attraverso l’organizzazione di seminari di approfondimento (anche con il contributo di esperti, sul modello dei tavoli della fase di costruzione del Piano) su temi di innovazione del sistema locale, di istruttoria e presentazione di nuovi progetti di sviluppo, di convegni e giornate di studio su Jesi e la Vallesina. 3. La partecipazione a reti nazionali ed europee di città impegnate in operazioni analoghe di pianificazione strategica e programmazione integrata, con l’obiettivo di posizionare Jesi e la Vallesina all’interno di reti di relazione ben più che locali. 4. La comunicazione pubblica, orientata cioè anche al pubblico dei non addetti ai lavori, sulle iniziative e le politiche di sviluppo locale, mediante mostre, esposizioni ed archivio sistematico dei progetti intrapresi. 5. Lo sviluppo di ulteriori attività che, a giudizio dei partner, siano ritenute cruciali per la qualificazione e la crescita del sistema locale: si pensi ad iniziative nel campo del marketing territoriale, o dell’attrazione di investimenti esterni. In sostanza l’Urban Center si configurerebbe come una agenzia d’area, con funzioni complesse: di promozione della concertazione, di animazione del dibattito pubblico, di informazione e comunicazione, di marketing, di alimentazione di una “politica estera” della città, ecc. La definizione del profilo organizzativo di una tale struttura (in termini di coinvolgimento dei possibili partner e di forma giuridica), delle competenze necessarie al suo funzionamento, dei costi di avvio e di gestione, nonché l’individuazione della sede operativa dovranno essere materia di approfondimento nel corso dei prossimi mesi.
4.2 Il sistema di monitoraggio del Piano
Per sottoporre a monitoraggio l’attuazione di un dispositivo come un Piano Strategico occorre prendere in considerazione la particolare natura di questo strumento. Un Piano Strategico non è uno strumento di pianificazione in senso proprio e neppure un normale programma di
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opere tenute insieme da un’idea guida. Esso si caratterizza piuttosto per essere un documento di politiche, che intende definire le traiettorie dello sviluppo di una città o di un territorio (esplicitando uno scenario o una visione al futuro), le finalità da perseguire, le conseguenti progetti da intraprendere. Tuttavia, l’aspetto peculiare di un piano strategico è che esso, oltre ad avere obiettivi “di contenuto” (la realizzazione di certi progetti, il miglioramento di determinate performance nell’economia locale, o il raggiungimento di risultati positivi in termini di qualità ambientale e dello spazio urbano, dotazione di servizi, ecc.), pone enfasi soprattutto su obiettivi “di processo”, come ad esempio la mobilitazione progettuale degli attori, il rafforzamento della cooperazione locale, l’ispessimento dei network di governance, la costruzione di coalizioni a sostegno della realizzazione del Piano Strategico. Dunque, la costruzione di un sistema di monitoraggio del piano deve incorporare elementi di contenuto e elementi di processo. Il modello che proponiamo di seguito è elaborato sulla base di queste considerazioni.
4.2.1 Il monitoraggio dei progetti
Questa parte del sistema di monitoraggio è relativa al controllo dell’avanzamento dei progetti del Piano Strategico. La scheda-tipo seguente va compilata per ciascuno dei progetti del Piano ed eventualmente, con riferimento a quelli che contengono al loro interno diverse operazioni (si pensi all’Ecodistretto rurale, ad esempio), per ciascuna operazione. Progetto n. ... (eventualmente articolato per singola operazione) Titolo Descrizione Obbiettivo Cronoprogramma Costi
Avanzamento fisico Costo del progetto/operazione Quota partner 1 Quota partner n Totale
Risorse impegnate
Risorse spese
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Avanzamento finanziario In quali attività (fasi) è articolato il progetto/operazione? Risultati del progetto/operazione (al momento della rilevazione) A che punto è l’avanzamento del progetto/ operazione? (in % sui risultati conseguiti) Quali attività (fasi) previste dal progetto/operazione sono state realizzate? In che percentuale si stima l’avanzamento fisico del progetto/operazione? Il progetto/operazione presenta ritardi? Quali sono gli indicatori di realizzazione? Quali connessioni con altri progetti/operazioni del Piano? Qual è il contesto territoriale del progetto/operazione?
4.2.2 Il monitoraggio del Piano
Questa parte del sistema di monitoraggio è dedicata al controllo dell’avanzamento del Piano Strategico, con riferimento agli output conseguiti e agli impatti generati. Gli output si riferiscono ai progetti/operazioni, in termini di:
integrazione
compartecipazione di più tipologie di attori al progetto, multisettorialità, integrazione di risorse
fonte: informazioni qualitative da interviste + dati di monitoraggio
concentrazione
definizione di priorità significative per il contesto e di rilevanza delle risorse destinate a queste priorità
fonte: informazioni qualitative da interviste
rendimento
avanzamento del Piano come sintesi delle performance rilevate dei singoli progetti/operazioni
fonte: dati quantitativi desunti dal monitoraggio dei progetti/operazioni
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Gli impatti si riferiscono agli esiti in termini di processo, con riferimento a: 1. modificazione del modo di interpretare i problemi del territorio, specialmente come maggiore articolazione, individuazione di specificità, individuazione di opportunità di integrazione, ecc.; 2. capacità di produrre innovazione nella costruzione dei problemi e nelle soluzioni individuate; 3. presenza di elementi di modernizzazione amministrativa; 4. modificazione della complessità e dello spessore delle reti di relazione, nella dimensione orizzontale (tra soggetti diversi al livello locale) e nella dimensione verticale (tra soggetti posti a diverso livello lungo la filiera della governance multilivello); 5. centralità del ruolo e delle capacità di governo da parte dei soggetti istituzionali (in particolare, Amministrazione comunale): 6. ecc... Tutte le informazioni per la compilazione di questa parte sono tratte da interviste agli attori. Le relazioni di monitoraggio saranno di responsabilità dell’Urban Center in quanto struttura di gestione del Piano Strategico. Esse saranno fornite a scadenze semestrali e essere discusse con il gruppo dei partner del Piano Strategico.
4.3 Un calendario di attività per il 2009
Il percorso di sviluppo del Piano Strategico dovrà essere concordato e definito dall’Amministrazione comunale insieme agli attori che hanno preso parte alla sua costruzione e alla predisposizione dei progetti. In questa sede, è possibile fornire delle prime ipotesi circa le prossime mosse da compiere per passare sin da subito alla fase di implementazione del Piano. - Progettare la struttura di pilotaggio del Piano: si tratta dell’ipotesi di Urban Center delineate in precedenza. Su questo aspetto, si potrebbero orientare alcune competenze esterne mobilitate dal Progetto di territorio “Corridoio Esino” (una iniziativa del Ministero delle Infrastrutture, di cui nel frattempo il Comune di Jesi è divenuto beneficiario). - Avviare sin da subito, nell’attesa di giungere alla definizione di tutti gli aspetti di dettaglio dell’Urban Center (organizzazione, forma giuridica, statuto, competenze, costi e relativi contributi attesi dai partner, sede, ecc.), almeno alcune delle attività di cui dovrà farsi carico. Si pensi alla organizzazione delle riunioni del partenariato locale e dei seminari di approfondimento tematici, alla predisposizione di una prima relazione di monitoraggio del Piano, all’esposizione e presentazione dei progetti, alla promozione di eventi di comunicazione pubblica. Di queste attività, potrebbe farsi carico l’Ufficio Progetti speciali del Comune. - Alimentare il percorso di progettazione intrapreso, garantendo l’avvio dei progetti del Piano Strategico più maturi e definendo la fattibilità di quelli che hanno ancora bisogno di approfondimenti e verifiche. Anche in tal caso, sembra necessario orientare attorno a questo scopo le strutture interne comunali e alcune attività previste all’interno del Progetto di territorio. - Organizzare un evento pubblico di presentazione del Piano Strategico. - Organizzare un evento pubblico di presentazione del Progetto di territorio e di prima rendicontazione/valutazione dello sviluppo del Piano Strategico nel prossimo autunno.
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- Traguardare sull’orizzonte del 2010, approfittando della vetrina offerta dalla celebrazione dell’Anno pergolesiano, una grande iniziativa di marketing che punti a comunicare la visione del Piano Strategico come scenario di futuro integrato per Jesi e la Vallesina attorno alle dimensioni dell’innovazione economica, della sostenibilità urbana e ambientale, della qualità della vita, della creatività culturale, in cui dare conto dello stato di attuazione dei progetti del Piano Strategico.
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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L’ambiente di Jesi, in cui è piacevole vivere perché offre una pluralità di occasioni, è essenziale. L’ambiente urbano di qualità, infatti, deve essere tutelato e valorizzato perché l’abitabilità di una città è tanto un elemento di benessere e sviluppo personale per i suoi cittadini, quanto un fattore di attrazione e sviluppo per il sistema economico nel suo insieme.
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PARTE 2:
Contributi
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Innovazione e cluster tecnologici di Donato Iacobucci
Vorrei innanzitutto ringraziare il Comune di Jesi e l’Assessore Daniele Olivi per questo invito; spero di interpretare bene il compito che mi è stato affidato. La mia attività di ricerca riguarda l’economia industriale e dell’impresa ed in questo ambito mi occupo di temi relativi all’innovazione, in particolare nei contesti di piccola e media impresa. Da alcuni anni, inoltre, sono responsabile del progetto ILO (Industrial Liason Offidce) dell’Università Politecnica delle Marche; si tratta di un progetto che tende a sviluppare iniziative volte a favorire il collegamento tra l’università ed il sistema produttivo; in questo ambito ho potuto verificare le problematiche che si pongono nelle relazioni tra l’attività di ricerca e l’attività innovativa delle imprese. Mi propongo di sviluppare alcune riflessioni su queste temi; riflessioni che ho pensato di organizzare in tre parti: i) alcuni elementi di contesto generale; ii) le problematiche all’interno della nostra regione; iii) le opportunità per Jesi. Nella terza parte mi limito a dare qualche suggerimento, tenuto conto che non ho una conoscenza approfondita della città e delle sue opportunità; probabilmente le persone sedute a questo tavolo potranno raccogliere e sviluppare questi spunti meglio di me. L’iniziativa di questa riflessione sull’innovazione e sull’economia della conoscenza è quanto mai opportuna. Credo siamo tutti convinti della rilevanza di questi temi, diventati oggetto di dibattito anche a livello di mass media; anche per questa ragione non mi soffermerò più di tanto sugli aspetti generali. La mia impressione è che in questa regione, al di là dei dibattiti, non sia ancora maturata la piena consapevolezza dell’importanza, direi anche dell’urgenza, di questi temi con riferimento alle prospettive del sistema economico regionale; trovo, quindi, particolarmente interessante un’iniziativa che non vuole solo contribuire al dibattito ma intende individuare iniziative concrete. Il termine innovazione come sapete, è al cuore di quella che chiamiamo l’economia della conoscenza. Gli studiosi concordano sul fatto che quando si parla di innovazione, soprattutto in un ambito di sviluppo territoriale, bisogna avere un approccio sistemico, che coinvolga i diversi soggetti presenti sul territorio. Non si può parlare di innovazione riferendosi solo a quella che si svolge dentro le imprese; le istituzioni pubbliche ed i soggetti privati debbono muovere con una logica coordinata. Solo in questo modo è possibile impostare azioni efficaci sul territorio. La nostra regione vanta una storia di grande successo nell’ultimo mezzo secolo per la capacità di produrre beni manufatti; siamo una delle regioni col più alto tasso di occupazione manifatturiera in Italia
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e in Europa; abbiamo un sistema industriale flessibile e dinamico. Ciò premesso, punto l’attenzione su un dato. La prossima settimana sarà presentata la Classifica delle principali imprese marchigiane (iniziativa svolta in collaborazione fra la Fondazione Aristide Merloni e l’Università Politecnica delle Marche); uno degli elementi che è emerso dalle ultime edizioni della Classifica, peraltro congruente con i dati di contabilità regionale, è che da qualche anno la performance di crescita del sistema industriale regionale si è allineata a quella media nazionale. Per decenni le Marche hanno mantenuto una capacità di crescita superiore alla media nazionale; negli ultimi anni il ‘passo’ è lo stesso e sappiamo che la performance di crescita a livello nazionale non è particolarmente brillante. Quali sono le spiegazioni di questo rallentamento e, quindi, i fattori di debolezza del sistema regionale? In gran parte sono indicati anche nel vostro Piano strategico; quindi li conoscete bene e posso evitare di discuterli nel dettaglio. Mi preme sottolineare un punto che è essenziale in questa discussione: la prevalenza nella nostra regione dei settori ‘tradizionali’e delle piccole imprese fa sì che ci sia poco collegamento fra le attività produttive e la ricerca. È particolarmente adatto per la regione Marche l’appellativo che è stato utilizzato per il sistema industriale italiano come sistema ad “innovazione senza ricerca”. Con ciò non si vuole mettere in discussione il fatto che le imprese e sviluppano innovazione; anzi ne fanno in misura considerevole. Si vuole sottolineare il fatto che l’attività innovativa si basa essenzialmente sulla capacità delle singole imprese di migliorare continuamente prodotti e processi esistenti con una modalità che viene definita di learning by doing, cioè tutta interna ai processi aziendali o al più attraverso una proficua interazione con clienti e fornitori. Finora questa modalità di innovazione si è rivelata molto efficace per le nostre imprese. Quello che manca al sistema Italia nel suo complesso, ed alla Regione Marche in particolare, è il collegamento sistematico fra le istituzioni nelle quali si genera nuova conoscenza, cioè i centri di ricerca e le università in particolare, ed il sistema delle imprese. Da qui l’etichetta di ‘innovazione senza ricerca’. Ritengo che la sfida fondamentale per il sistema economico regionale sia quella di modificare questo modello. Vi illustro pochissimi dati a questo riguardo. Se prendiamo uno qualunque degli indicatori dell’attività formale di ricerca e sviluppo - che siano indicatori di input, cioè di cosa entra nel processo (quanto si spende, quante persone sono occupate, ecc.) o che siano indicatori di output (innovazioni, brevetti, ecc.) - si scopre un dato che tutti voi probabilmente già conoscete: l’Italia ha una posizione molto distante rispetto ai principali paesi europei. Molto lontana dall’obiettivo fissato dall’Unione Europea nella strategia di Lisbona di portare la spesa in ricerca e sviluppo al 3% del PIL. Quando è stato fissato questo obiettivo l’Italia aveva un valore di poco superiore all’1%, e negli ultimi anni la tendenza è stata alla ulteriore riduzione piuttosto che all’aumento. Siamo, quindi, da questo punto di vista in una situazione veramente drammatica come media italiana. Le Marche sono in una posizione ancora più arretrata rispetto alla media nazionale. Vi commento due indicatori fra i tanti. Il primo è la capacità di partecipazione ai programmi di sostegno all’innovazione e alla ricerca dell’Unione Europea (programmi quadro). Si tratta, quindi, della capacità di attirare fondi di ricerca; è però anche un indicatore della capacità di sinergia tra mondo produttivo e mondo della ricerca dal momento che i progetti europei prevedono tipicamente una partnership fra centri di ricerca e imprese. Le Marche sono nettamente svantaggiate nella capacità di accesso ai fondi europei sia rispetto alla media italiana sia nei confronti di altre regioni con le quali siamo soliti confrontarci (Emilia Romagna, Toscana, Veneto). Anche le indagini ISTAT sulla spesa in ri-
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cerca e sviluppo da parte di imprese e istituzioni pubbliche nella regione segnalano valori decisamente inferiori alla media italiana. C’è da dire, a questo riguardo, che il collegamento fra spesa in ricerca e sviluppo e innovazione non è automatico: come ho già ribadito, si può fare innovazione anche senza investire in ricerca e sviluppo. È però sempre più vero che nel nuovo contesto competitivo il legame fra la produzione di nuova conoscenza – cioè la ricerca – e la capacità di trasformare i risultati della ricerca in prodotti o servizi sta diventando un elemento fondamentale per mantenere competitività sui mercati mondiali. Non basta più l’innovazione fatta dentro l’impresa. I dati dell’indagine ISTAT sulla ricerca e sviluppo ci dicono che il basso valore di ricerca e sviluppo sul PIL nella nostra regione, non è dovuto alla componente pubblica (cioè le università) perché in questa siamo sostanzialmente allineati alla media nazionale; il gap maggiore della regione è nella spesa in ricerca e sviluppo fatta dalle imprese. Questo dato si spiega con il fatto che la nostra regione ha un sistema produttivo composto prevalentemente di piccole imprese operanti in settori tradizionali; settori nei quali non si fa ricerca o la si fa in modo molto limitato. Ribadisco ancora una volta che ciò non significa affermare che le imprese non fanno innovazione, ma che l’innovazione non nasce come risultato di un investimento sistematico in attività di ricerca. Se questo è il contesto, la mia opinione è che alla lunga la sottovalutazione di questo problema porterà ad un progressivo indebolimento della capacità competitiva del sistema industriale regionale. Su questa affermazione voglio subito chiarire, ad evitare fraintendimenti, che non sono tra quelli che crede all’idea che si debba abbandonare il manifatturiero per passare ai servizi. Abbiamo un forte sistema manifatturiero e dobbiamo mantenerlo; non credo vi sia per la regione Marche un’alternativa di economia dei servizi senza una forte base manifatturiera. È certamente razionale favorire lo sviluppo di servizi avanzati ma la domanda di questi servizi non può che provenire da un forte core manifatturiero. Il problema non è l’alternativa fra servizi e manifatturiero ma sulla tipologia delle produzioni manifatturiere. Esiste un problema di composizione settoriale ed esiste la necessità di fare interagire meglio il sistema produttivo esistente con il sistema della ricerca. Il ritardo su questi due fronti sta creando problemi anche per la capacità di trattenere sul nostro territorio persone di elevata qualificazione. Lancio su questo aspetto un grido di allarme. Stiamo correndo il rischio che i nostri migliori laureati, i nostri migliori talenti, vadano a cercare opportunità di occupazione fuori dalla regione. È un fenomeno che va assolutamente contrastato. Il sistema manifatturiero regionale continua ad assorbire lavoro a bassa o media qualificazione mentre rischia di offrire minori opportunità a persone altamente qualificate. Cito questo aspetto per ricordare che l’urgenza di ragionare su questi temi deriva non solo dall’accresciuta pressione competitiva che arriva dai paesi emergenti, ma emerge anche dai cambiamenti interni alla nostra regione: abbiamo (per fortuna) giovani sempre più qualificati, con livelli di istruzione sempre più elevati; è importante che essi trovino possibilità di occupazione nella nostra regione. Quali sono le opportunità per un cambiamento di rotta? Parlo prima delle opportunità generali e poi di quelle specifiche, per come le vedo io, della città di Jesi. Ci sono due opportunità rilevanti. La prima la offre la tecnologia. La voglio enfatizzare poiché abbiamo più volte parlato della rilevanza dei settori tradizionali nella regione. Continuiamo ad usare queste distinzioni fra settori tradizionali, settori a bassa tecnologia, a media tecnologia, ecc. queste classificazioni sono rilevanti
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in generale, poiché è vero che il tessile, l’abbigliamento, il calzaturiero hanno dei modelli di innovazione simili per l’intero settore. La novità degli ultimi decenni è che alcune traiettorie tecnologiche (prima fra tutte l’ICT, ma anche la tecnologia dei materiali) mostrano una notevole trasversalità nel loro impatto; interessano cioè più settori, quando non l’economia nel suo complesso. Anche nel dibattito scientifico è emersa la consapevolezza che vi possono essere imprese ad ‘alta’ tecnologia anche nei settori tradizionali; tutto dipende dalla capacità che le imprese hanno di assorbire e di utilizzare queste nuove traiettorie tecnologiche. Questa è un’opportunità, nel senso che non dobbiamo necessariamente pensare ad una drastica riconfigurazione della specializzazione industriale della regione, obiettivo impossibile in tempi brevi, ma possiamo pensare ad una più efficace riqualificazione dei settori attualmente presenti. In questo ambito è fondamentale l’opportunità di un più stretto collegamento con le infrastrutture di ricerca presenti nella regione. Vi mostravo prima che nelle Marche la spesa pubblica in ricerca e sviluppo è rilevante; questo dipende anche dal fatto che sono presenti quattro atenei; c’è una presenza importante di strutture di ricerca pubbliche. Rimane il problema che fra questi centri di ricerca e le attività produttive il legame è ancora troppo debole (almeno sul fronte della ricerca). Cosa fare a questo riguardo? Gli strumenti e le iniziative non mancano. Come accennavo all’inizio dell’intervento, negli ultimi anni le università hanno preso maggiormente coscienza del loro ruolo nei confronti del sistema territoriale e si stanno sempre più ‘attrezzando’ per cercare di svolgere un ruolo attivo ed efficace verso il sistema produttivo. Uno degli strumenti che viene più di frequente indicato a questo riguardo è quello dei parchi o poli tecnologici. Utilizzo il termine cluster tecnologico che abbraccia diverse tipologie. Con il termine cluster tecnologico ci si riferisce ad un insieme di capacità di ricerca e di capacità produttive che si localizzano in una specifica area territoriale, e che operano in ambiti tecnologici sufficientemente omogenei. In un cluster tecnologico dovrebbero svilupparsi sinergie interessanti fra chi fa ricerca e chi fa impresa, all’interno di un ambito territoriale sufficientemente limitato per consentire economie di agglomerazione, cioè quelle economie legate alla vicinanza spaziale degli operatori economici (alla base anche dei distretti industriali tradizionali). Ci sono una serie di condizioni per poter sviluppare dei cluster tecnologici. Intanto ci devono essere i centri di ricerca, possibilmente all’interno o nelle immediate vicinanze delle zone di insediamento delle imprese. Spesso nelle politiche di promozione dei parchi scientifici e tecnologici si confonde la politica di riequilibrio territoriale, che orienta la localizzazione del parco in un’area svantaggiata e lontana dai centri di ricerca, con la politica di sostegno all’innovazione e alla ricerca; il rischio è quello di non ottenere nessuno dei due risultati. Quanto devono essere vicini centri di ricerca e imprese è tema di dibattito; in ogni caso la vicinanza spaziale è rilevante; le distanze per lo sviluppo di economie di agglomerazione sono molto limitate, decisamente inferiore alla scala regionale e forse anche provinciale. I parchi tecnologici di successo in Europa e nel mondo dimostrano che la contiguità spaziale fra centri di ricerca e imprese è un fattore di grande rilevanza; si esce dall’università, dal centro di ricerca e si entra nel parco tecnologico. Un elemento di rilievo nella prospettiva di ‘ispessire’ i rapporti fra ricerca e innovazione e della creazione di cluster tecnologici è costituito dalla disponibilità di fattore imprenditoriale. Sappiamo che le Marche sono una regione in cui vi è una grande vivacità imprenditoriale. Qui, però, c’è bisogno di un’imprenditorialità diversa; quella che si sviluppa direttamente dai centri di ricerca, con livelli di formazione e qualificazione professio-
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Una città si sviluppa su assi viari e aree edificabili che nel tempo trasformano radicalmente l’immagine della città stessa come testimoniano le immagini. O g gi la s c om messa si gioca però in più su di un sistema che vuole evidenziarsi per il risparmio energetico, il miglioramento delle prestazioni degli insediamenti residenziali e industriali, nonché del patr imonio edilizio.
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nale elevati. Questo passaggio non è affatto scontato perché l’iscrizione all’università, almeno nei decenni passati, era associata all’idea di una carriera nella Pubblica Amministrazione o nelle professioni, ecc., non si andava all’università per intraprendere una carriera imprenditoriale. È un salto culturale importante. Per fortuna abbiamo sempre più esempi di persone che arrivano ai massimi livelli della formazione e della qualificazione e che decidono di intraprendere un’attività imprenditoriale. Non è però solo una questione di formazione e qualificazione professionale: c’è da cambiare l’intero modello imprenditoriale. Nei settori ad alta tecnologia bisogna modificare il modo stesso di fare impresa. Il modello imprenditoriale che conosciamo, che è stato vincente per le Marche, cioè l’impresa familiare, l’imprenditore che fa un passo alla volta, si auto-finanzia, ecc., è un modello che in questi settori non funziona. Nei settori ad alta tecnologia le opportunità che si aprono hanno una durata temporale limitata; c’è bisogno di imprese che siano capaci di cogliere queste opportunità sviluppandosi molto rapidamente. Per questo è necessario raccogliere capitale dall’esterno, in particolare capitale di rischio, sacrificando il controllo alle potenzialità di sviluppo dell’impresa. Questo comporta un rapporto completamente nuovo (per il nostro contesto) fra l’imprenditore e l’impresa. Si tratta di un salto culturale notevole, che riguarda non solo le Marche ma l’Italia in generale. Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione ai fini della promozione di cluster tecnologici è la qualità dell’ambiente urbano ed extraurbano nei quali essi sono inseriti. L’elemento principale che definisce un’impresa ad alta tecnologia è la qualità del capitale umano impiegato, cioè la qualificazione delle persone occupate nell’impresa. Più l’impresa è ad alta tecnologia più occupa persone con livelli di scolarizzazione elevati, le quali per rimanere nel territorio chiedono anche condizioni ambientali di qualità. Quindi in queste aree c’è bisogno anche di un’attenzione particolare alla qualità del territorio; in termini di servizi urbani e di rispetto dell’ambiente naturale. Arrivo rapidamente alle considerazioni che potrebbero riguardare la città di Jesi. Jesi sembra avere delle buone opportunità per ognuna delle condizioni sopra sinteticamente richiamate. La posizione baricentrica rispetto alle principali università presenti nella regione, in particolare la vicinanza all’Università Politecnica delle Marche. Se prendiamo a riferimento Camerino e l’università Politecnica delle Marche vi sono oltre mille ricercatori che si occupano di ambiti di ricerca che hanno a che fare con la tecnologia; alle persone vanno poi aggiunte le infrastrutture di ricerca, in termini di laboratori, ecc.; ciò che si ottiene è un potenziale di ricerca notevole, scarsamente conosciuto dall’esterno, e che andrebbe sfruttato maggiormente dal territorio. Riguardo alla nuova imprenditorialità va notato che dal 2000, grazie ad una legge nazionale si è sviluppato in Italia il fenomeno degli spin-off universitari, cioè iniziative imprenditoriali che nascono direttamente dai risultati della ricerca. Per queste iniziative l’università può autorizzare i propri docenti di ruolo, che altrimenti non potrebbero farlo, a svolgere un ruolo attivo nella gestione di queste imprese. La normativa ha proprio lo scopo di introdurre anche in Italia quello che in altri paesi è già abbastanza sviluppato; se c’è un risultato della ricerca che può avere un’immediata applicazione produttiva, e per il cui sfruttamento non vi sono altre alternative (come la cessione di un brevetto), i ricercatori che hanno contributo allo sviluppo della nuova conoscenza possono avviare direttamente un’impresa con l’obiettivo di valorizzare sul mercato
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i risultati della ricerca. A Jesi è localizzato il primo spin-off dell’Università Politecnica delle Marche (Nautes) che è a tutt’oggi anche quello di maggiore successo. Negli ultimi anni nella regione ne sono nati più di venti, gran parte dei quali nell’Università Politecnica delle Marche; siamo una delle regioni italiane che ha il maggior numero di spin-off attivi1. Ora il problema è quello di passare dalla fase di incubazione, perché molte di queste imprese stanno ancora nei dipartimenti universitari, alla fase di sviluppo. A questo riguardo è stato appena emanato un bando della Regione Marche che ha proprio l’obiettivo di favorire lo sviluppo degli spin-off universitari della Regione. Si tratta di una grande opportunità, perché la sfida degli spin-off, in Italia e nelle Marche, è quella di dimostrare che almeno una parte di queste iniziative sono capaci di crescere in modo significativo al punto da avere un effettivo impatto sul territorio. A questo riguardo metterei l’accento anche su un altro aspetto. Il sistema manifatturiero di questa regione si è espanso negli anni ’60 – ’70 proprio attraverso il fenomeno degli spin-off dalle imprese costituite: si trattava di ex dipendenti dell’impresa che si mettevano in proprio. C’è bisogno anche qui di un po’ più di coraggio da parte degli imprenditori già affermati nell’alimentare e sostenere questo meccanismo dello spin-off, questa volta in modo consapevole, ed anche guardando alle iniziative di spin-off che provengono dal mondo accademico. Date le carenze del mercato del capitale di rischio in Italia penso che questo possa risultare un meccanismo importante per promuovere l’avvio e lo sviluppo degli spin-off. Torno al tema delle aree di insediamento. A Jesi vi è la grande opportunità del progetto Zipa Verde: rispetto ad altre iniziative di cui si sente parlare a proposito di parchi e poli tecnologici nella regione, uno dei vantaggi di Zipa Verde è che al momento sembra essere una delle opportunità più concrete. Un elemento critico per le prospettive di Zipa Verde è quello dalla tipologia di infrastrutturazione dell’area, se vuole diventare attrattore di imprese ad alta tecnologia. Queste imprese hanno bisogno di fare soprattutto investimenti nei fattori immateriali (ricerca sviluppo, risorse umane, ecc.) per cui fanno fatica ad investire capitali in edifici. Il problema, quindi, è di avere non solo l’area, ma di offrire alle imprese spazi già predisposti che forniscono opportunità immediate di insediamento. È necessaria la sinergia con altri investitori disponibili a fare operazioni immobiliari. Ovviamente all’interno dell’area occorre anche sviluppare servizi adeguati. C’è una proposta, ad esempio, di localizzazione nelle Marche di uno sportello INPAT; si tratta di un’iniziativa a livello nazionale di promozione e sostegno alla nuova imprenditorialità. Su questo progetto ci potrebbe essere anche la disponibilità dell’Università Camerino. Sarebbe senz’altro un’opportunità interessante quella di concentrare su Zipa Verde questo tipo di iniziative. Infine vi è l’importante tema della finanza. Per fare le imprese, in particolare ad alta tecnologia, occorrono capitali, in particolare capitale di rischio. Questo è un punto dolente non solo della regione Marche ma dell’Italia in generale. Purtroppo a livello locale possiamo fare poco, nel senso che è un problema di contesto nazionale. Quello che si può fare in ambito regionale è una migliore sinergia col sistema bancario; la Banca Popolare di Ancona è attiva su questo fronte con delle specifiche linee di finanziamento. Occorre che nei diversi ambiti fin qui menzionati emerga una strategia che solo il decisore pubblico può dichiarare ed implementare e che, se credibile, può orientare le decisioni di investimento dei privati. Come ho notato all’inizio dell’intervento la capacità di fare sistema fra istituzioni 1. Vedi: Iacobucci D., Iacopini A., Orsini S. – L’imprenditorialità che nasce dalla ricerca. Gli spin-off accademici in Italia e nelle Marche – Ancona, 2008
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pubbliche e private è, in questo ambito, essenziale. Per questa ragione rinnovo il plauso al Comune di Jesi per l’organizzazione di questi momenti di dibattito fra istituzioni e operatori privati al fine di individuare e condividere gli indirizzi strategici di sviluppo del territorio.
Non sottovaluto la capacità innovativa delle imprese che operano nei settori tradizionali. Nel mio intervento ho però concentrato l’attenzione su un altro genere di considerazioni. Guardando alle prospettive che ci si aprono nei prossimi decenni, ritengo che il collegamento fra ricerca e attività produttiva diventerà sempre più importante. Non che vengano meno di colpo gli elementi che hanno fin qui sostento il sistema industriale regionale (“natura non facit saltus”). È evidente, però, che nell’economia della conoscenza si va sempre più accorciando la distanza tra la ricerca di nuova conoscenza e la sua applicazione produttiva. Ci sono interi settori di attività che vivono dell’immediata applicazione di ciò che è scoperto dalla ricerca scientifica (si pensi alle biotecnologie). Questo è il paradigma di riferimento che sta dietro a queste mie riflessioni; alle conseguenze di questo paradigma di ragionamento si può dare più o meno rilevanza; lo si può anche ribaltare completamente. Vi sono studiosi rispettabilissimi i quali sostengono che la strategia migliore per il sistema industriale italiano è quello di rimanere attestato sui settori tradizionali; i settori legati alla moda, alla casa, alla meccanica, sono quelli dove esprimiamo meglio le nostre capacità poiché sono il risultato della sedimentazione storica e culturale. Secondo questa linea di pensiero il tentativo di portarsi sui settori ad alta tecnologia (abbandonando i tradizionali) ci porterebbe al fallimento su entrambi i fronti. Ho provato a fare un ragionamento diverso. Partendo comunque dalla considerazione che quello che ha funzionato finora probabilmente continuerà in buna misura a funzionare anche nel prossimo futuro; non credo dobbiamo temere catastrofi nell’immediato. Poniamoci però anche in una prospettiva di più lungo periodo e chiediamoci se questa ‘rivoluzione’ dell’economia della conoscenza non sia destinata ad avere un impatto significativo anche sul sistema industriale della nostra regione. E se così è agiamo tutti di conseguenza.
Infine due osservazioni sull'università e sulla necessità di selezionare le iniziative. Sull’università non intendo fare il difensore d’ufficio. L’università italiana ha una quantità di difetti, che sono forse anche maggiori di quelli che si vedono dall’esterno. Quando si afferma che l’università non risponde nei tempi adatti al mercato e all’impresa si dice una cosa in parte vera, perché anche l’università, come tutta la Pubblica Amministrazione italiana, soffre in non poche farraginosità procedurali. Detto questo, bisogna però stare anche attenti a non snaturare il ruolo dell’università. L’università è l’istituzione preposta a fare ricerca (oltre che formazione); essenzialmente ricerca di base e ricerca applicata. I docenti e i ricercatori universitari sono valutati sulla base delle pubblicazioni scientifiche, possibilmente internazionali. Pubblicare su riviste scientifiche di livello internazionale significa stare alla frontiera della conoscenza nel settore in cui si svolge la propria attività di ricerca. Stare alla frontiera della conoscenza in un settore scientifico significa investire anni ed anni di lavoro. Con ciò voglio dire che bisogna stare un attenti quando si rimpro-
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vera all’università l’incapacità di rispondere, in modo efficace e rapido, alle richieste che provengono dalle imprese. Molta della domanda che proviene ai nostri dipartimenti universitari da parte delle imprese è una domanda che andrebbe piuttosto indirizzata a società di consulenza, perché non vi è reale contenuto di ricerca: si tratta solo di applicare al caso specifico conoscenze già note (oltre che farlo nei tempi rapidi che sono necessari all’impresa per stare sul mercato). L’università non è in grado di rispondere a questo tipo di domanda non solo per farraginosità burocratica, ma perché snaturerebbe il suo compito ed impoverirebbe la sua capacità di svolgere attività di ricerca. Affinché il rapporto fra università e impresa sia proficuo per entrambi occorre che si tratti di un rapporto sistematico, duraturo, nel quale ognuna delle parti conosca e rispetti le esigenze e gli obiettivi dell’altra. Questo aspetto ci porterebbe anche a ragionare sulla necessità di sviluppare nella regione attività di terziario avanzato che potrebbero costituire un utile anello di congiunzione fra le imprese e i centri di ricerca. Raccolgo, volentieri l’osservazione a proposito del soggetto che può fare selezione delle iniziative in cantiere. Questo è un punto nodale. Le Marche sono una regione di circa un milione e mezzo di abitanti; per quanto disponga di un tessuto produttivo importante e diversificato è una realtà economica relativamente piccola (se la guardiamo in un contesto globalizzato). La domanda che dovremmo porci è la seguente: quanti ambiti di tecnologia possiamo pensare di gestire nella nostra regione, posto che l’obiettivo deve essere quello di stare alla frontiera della conoscenza in tali ambiti? Il tema che poneva Marco Gialletti è, da questo punto di vista, fondamentale; perché il rischio è che nel tentativo, comprensibilissimo, di non lasciare mai fuori nessuno quando si attuano politiche di incentivazione o di sviluppo alla fine si finisce con il dare una briciola a tutti e non si fa massa critica su nulla. Questo è un problema di grande rilevanza nella prospettiva dei cluster tecnologici di cui abbiamo parlato. Sono diversi anni che se ne discute in varie sedi nella regione. Abbiamo un’idea di quali siano gli ambiti tecnologici che possono essere di interesse per il nostro sistema manifatturiero? Oppure, rovesciando la questione, conosciamo le eccellenze scientifiche e tecnologiche presenti nelle nostre università e che hanno maggiore probabilità di trovare collegamenti con le imprese del territorio? In questo momento non credo si sia in grado di rispondere in modo documentato e questo non favorisce la possibilità di delineare delle strategie di sviluppo sulle quali orientare in modo sinergico le risorse pubbliche e private.
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Jesi e la Vallesina negli anni futuri scommetteranno s u l l’i n n ova z i o ne continua del proprio sistema economico integrando le diverse risorse e patrimoni di cui gode: la tradizione manifatturiera, l’enogastronomia, la produzione e l’offerta culturale, l’agricoltura, il paesaggio agrario e l’ambiente.
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Innovazione e territorio di Gioacchino Garofoli
Sono emigrato dalle Marche seguendo Bernardo Secchi, uno studioso che conoscete perché ha progettato il piano urbanistico di Jesi negli anni ’80. Come si sa, le storie personali sono strane, come un fiume carsico che riporta qui persone che hanno avuto, anche se in modo indiretto dei collegamenti con Jesi. Sono uno degli ultimi emigrati dalle Marche. Ero andato nella grande regione industrializzata e sviluppata, la Lombardia, ma ogni volta che tornavo nelle Marche vedevo che qua lo sviluppo industriale procedeva molto più velocemente. Affronterò il tema “Innovazione e territorio”, parzialmente già affrontato da Donato Iacobucci in un precedente incontro. Credo che sia importante offrire una riflessione metodologica per comprendere meglio come si possa favorire l’introduzione dell’innovazione su questo territorio.
1. Lo sviluppo economico territoriale Negli ultimi anni ho molto lavorato sui rapporti tra impresa e territorio per cercare di definire che cosa sia uno “sviluppo economico territoriale” e se un’area geografica si possa riconoscere in un modello organizzativo particolare che fa perno su risorse specifiche locali. Innanzitutto mostrerò le condizioni necessarie per uno sviluppo economico con una forte base territoriale, che sia fortemente radicato e che presenti una elevata specificità a livello locale. Tab. 1 - Caratteri dello sviluppo economico territoriale 1. Agglomerazione di imprese 2. Produzione di risorse specifiche 3. Economie esterne 4. Meccanismo di relazioni sistemiche 5. Vantaggi competitivi del territorio 6. Capacità di attivare progetti e strategie collettive
Ho indicato nella tabella sei caratteri fondamentali. Innanzitutto, la premessa ovvia di uno sviluppo economico territoriale, è l’esistenza di una agglomerazione di imprese, la presenza cioè di un numero consistente di imprese su un territorio relativamente ristretto e che mostrano col-
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legamenti e relazioni di scambio, determinando un tessuto di imprese con elevati rapporti di interdipendenza produttiva. Il secondo fattore che caratterizza lo sviluppo territoriale è la produzione di risorse specifiche, risorse cioè che non possono essere trasferite in altre aree e che garantiscono quindi una posizione di “rendita” specifica del territorio, una caratteristica che differenzia quel territorio rispetto ad altri. Produzione di economie esterne che consente che le imprese localizzate in quel territorio abbiano accesso a conoscenze e competenze che determinano vantaggi competitivi. Le imprese locali, in tal caso, riescono ad essere competitive sul mercato anche in presenza di costi apparentemente più alti di alcune risorse standard. In altri termini, le imprese possono pagare salari più alti rispetto ad altre aree geografiche; la presenza di economie esterne le avvantaggia e possono così compensare questi maggiori costi per essere competitive sul mercato internazionale. Le economie esterne del territorio rappresentano beni pubblici, specie conoscenze e competenze diffuse nel territorio cui le imprese hanno libero accesso e che, in gran parte, sono state prodotte dalla storia più o meno lunga del sistema economico locale. Nello sviluppo economico territoriale è presente una logica di sistema, un meccanismo di relazioni sistemiche, un sistema di interdipendenze produttive che caratterizza la struttura economica e sociale, con alcune condizioni favorevoli: un mercato del lavoro coerente, la formazione di competenze professionali coerenti tra domanda delle imprese e l’offerta esistente, l’esistenza di saperi e competenze complementari che consentono di risolvere i problemi delle imprese. Si può quindi dire che ci sono vantaggi competitivi del territorio rispetto ad altre aree, spesso vantaggi dinamici perché c'è un processo continuo, cumulativo di produzione di conoscenze e di competenze che sposta verso l’alto la sua capacità di competizione e lo rende quindi meno orientato ad una competizione sui costi. In genere la capacità di produzione di queste risorse è talmente forte da consentire anche la produzione di capacità organizzative, di capacità progettuale, di strategie collettive, di introduzione di progetti collettivi e vere e proprie azioni collettive attivate da vari soggetti (gruppi di imprese, consorzi di imprese, ...); in altri termini, si genera una interazione fra imprese ed altre organizzazioni (pubbliche, private e miste pubblicoprivate). L’associazionismo, ad esempio, può fare da filtro rispetto ai problemi tipici che derivano dalla tensione tra il modo di ragionare e di operare dell’impresa e l’esistenza di interessi generali della collettività, operando una sorta di mediazione tra gli interessi dell’impresa (ad esempio, la sua capacità di far profitto) e gli interessi della collettività o degli stakeholders del territorio. Non sempre lo sviluppo economico è territoriale, spesso l’area geografica è semplicemente una sorta di grande contenitore che accoglie alcune imprese che non creano sistema e si localizzano per cogliere alcuni vantaggi statici, spesso bassi costi di insediamento e bassi salari. In molti paesi in via di industrializzazione, per esempio nei paesi asiatici (specie in Cina ed in India) e in tutte le aree che stanno esportando verso i mercati occidentali si stanno formando e sviluppando rilevanti aree industriali basate su agglomerazioni di imprese, e su sistemi produttivi locali. Ciò mi sembra importante anche per valutare con realismo ciò che è avvenuto nel nostro paese in aree a prevalente presenza di piccola e media impresa e le prospettive future. Più avanti proporrò una definizione dei principali sistemi produttivi locali. Ora proverò a specificare meglio il concetto di sviluppo economico ter-
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ritoriale. Tre sono le condizioni fondamentali per realizzare uno sviluppo economico territoriale, come riportato nella Tabella 2. Tab. 2 Le condizioni territoriali dello sviluppo economico Esistenza di “risorse specifiche” che non si possono trasferire ad altre aree Esistenza di una “logica di sistema” Esistenza di capacità di progetto (e, pertanto, capacità di risposta alle sfide esterne) La prima condizione di uno sviluppo economico territoriale è l’esistenza di risorse specifiche (competenze, conoscenze, capacità imprenditoriali, ...) che non si possono trasferire ad altre aree e che, quindi, distinguono quel territorio rispetto ad altre aree geografiche. La seconda condizione è la presenza di una logica di sistema. Infine c'è una capacità di progetto del sistema economico, intesa come capacità di risposta alle sfide esterne: il territorio riesce ad individuare la posizione relativa rispetto al mercato nazionale e internazionale, capisce quali sono le sfide che provengono dall’esterno e trova reazioni capaci, adatte, coerenti, rispetto al suo posizionamento.
2. Il sistema produttivo locale Quanto sin qui detto mi consente di definire cosa sia un sistema produttivo locale. I distretti industriali che sono stati molto studiati in Italia dalla fine degli anni ’70 - inizio anni ’80, sono da questo punto di vista uno dei casi specifici di ciò che possiamo chiamare, in termini più generali, un “sistema produttivo locale”. Questa riflessione sulla tipologia produttiva è interessante anche perché credo che Jesi non sia propriamente un distretto industriale, né certamente è un polo tecnologico, però credo che Jesi sia sicuramente un sistema produttivo locale. Tab. 3 Sistema produttivo locale: i caratteri fondamentali Integrazione produttiva Presenza di economie esterne Esistenza di risorse specifiche (“specific assets”) Esistenza di conoscenze tacite Introduzione di forme di regolazione sociale (cfr. azioni collettive)
In un sistema produttivo locale c'è integrazione produttiva. C'è un meccanismo di interdipendenze produttive tra le imprese per cui le imprese non sono isolate, non sono delle monadi. C'è piuttosto un sistema di relazioni fra le imprese per cui l’accumulazione di conoscenza della singola impresa riesce a trasmettersi anche all’esterno. Ciò è basato su un semplice (e, vedremo, ovvio) meccanismo di cooperazione: l’informazione si diffonde volontariamente ai partner dell’impresa, sia ai fornitori che ad imprese clienti. Questo è un carattere distintivo molto
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rilevante, che spesso si accoppia con un meccanismo di competizione che può determinare un interessante bilanciamento tra competizione e cooperazione che ha raggiunto la sua massima espressione nel modello del distretto industriale. In un sistema produttivo locale ci sono poi le economie esterne che ho definito precedentemente. Ci sono, inoltre, risorse specifiche, assets specifici del territorio, e ci sono conoscenze tacite. Le risorse specifiche sono basate su conoscenze tacite, su conoscenze quindi che non sono universali, né codificate, che non possono essere individuate e copiate da altri operatori esterni perché sono legate strettamente alle relazioni fra le imprese, fra gli individui che lavorano, quindi sono legate alle relazioni sociali tra le imprese di questo sistema. Ci sono, infine, forme di regolazione sociale specifiche, fino a casi di vero e proprio welfare locale che danno luogo a risposte collettive a problemi del sistema locale, sotto forma di azioni collettive. Azioni collettive che possono essere introdotte anche esclusivamente da attori privati, ma comunque collettive, in quanto avviate da consorzi o condotte attraverso l’intervento di associazioni di imprese. In un sistema produttivo locale il territorio, quindi, gioca un ruolo attivo e in tutti questi casi facciamo fatica a separare la dimensione economica da quella territoriale e da quella sociale. Un sistema produttivo locale intreccia in una stretta interdipendenza queste tre dimensioni: economia, società e territorio procedono in un qualche modo di pari passo, non possono essere disgiunte. È ovvio che in una situazione del genere l’economista puro e il territorialista puro si sentano un po’ in difficoltà perché si trovano a dover lavorare con categorie analitiche che non controllano pienamente.
3. Tipologie di sistemi produttivi locali Dopo aver parlato in termini astratti per definire il concetto di “sistema produttivo locale” posso ora provare ad articolare in alcune tipologie questo sistema così da rendere forse più chiaro il ragionamento. Tab. 4 Tipologia di sistemi produttivi locali Distretto industriale Cluster di PMI Polo tecnologico Sistema turistico integrato Distretto agro-industriale
La prima tipologia di sistema produttivo locale è quella del distretto industriale. Senza la letteratura, senza le ricerche sui distretti industriali, non avremmo mai definito questo concetto più ampio di sistema produttivo locale. Il distretto industriale si può confrontare almeno con altre due tipologie (le prime tre della tabella sono quelle più importanti dal punto di vista metodologico). I cluster di piccola e media imprese sono agglomerazioni di imprese in cui spesso è presente una minore divisione del lavoro, una minore cooperazione. Ci sono dei cluster di imprese, ad esempio in
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India, in cui lavorano anche 200.000 o 300.000 addetti industriali, con migliaia e migliaia di imprese, localizzati in città anche non grandissime. Come si può capire siamo di fronte ad agglomerazioni di imprese particolarmente impressionanti in termini numerici e tuttavia si tratta di sistemi produttivi spesso poco conosciuti, specie sino a qualche anno fa, anche a livello internazionale. Una terza tipologia è quella del polo tecnologico sul quale tornerò più avanti con maggiore dettaglio, perché il polo tecnologico è il punto di riferimento, come modello organizzativo, ogni qualvolta si ragiona sui rapporti tra innovazione e territorio. È ovvio che il rapporto tra innovazione e territorio è un punto cruciale per tutti i sistemi produttivi locali perché, come espresso nella parte introduttiva, la logica evolutiva dei sistemi produttivi locali rappresenta un processo di continuo cambiamento e trasformazione, in direzione di una strategia sempre più orientata alla qualità e all’innovazione e non basata su una competitività di costo e in particolare su bassi costi del lavoro. Per completezza e per pensare a fenomeni che sono più facilmente rintracciabili anche non lontano da Jesi, vanno ricordate anche altre due tipologie di sistema produttivo locale. Sicuramente nella zona che va da Jesi a Fabriano si riscontrano alcuni distretti agro-industriali (nell’area dei castelli di Jesi, nell’area viti-vinicola si può riscontrare un caso di distretto agro-industriale). Ci sono infine dei sistemi turistici integrati, sistemi che sono basati su uno stretto rapporto tra settori differenti, in cui non sono attivi soltanto gli operatori turistici, ma si assiste ad una integrazione di settori produttivi diversi che comprende l’agricoltura, la trasformazione dei prodotti agricoli da parte dell’industria alimentare, alcuni settori manifatturieri, a partire dall’artigianato ed arrivando ad altri settori. È sufficiente pensare al funzionamento dell’area di Rimini come sistema turistico e confrontare Rimini con la Costa Smeralda. Rimini è un sistema turistico integrato, a differenza della Costa Smeralda. La Costa Smeralda è costituita da un insieme di operatori turistici e di operatori immobiliari che però sono prevalentemente legati a rapporti di interscambio con l’esterno. La gran parte degli input produttivi utilizzati dal settore alberghiero dell’area della Costa Smeralda è legata a produzioni che vengono effettuate altrove, non c'è il grado di integrazione produttiva che si può riscontrare a Rimini. È sufficiente pensare alla composizione settoriale della produzione di Rimini, che va dall’agro-alimentare al mobilio, alla tecnologia del mobilio, all’industria delle costruzioni, all’industria del tempo libero; ciò dà luogo ad una serie di settori che sono connessi, intrecciati con l’attività di servizio degli operatori del settore turistico. Un sistema turistico non è definito soltanto - se è un sistema produttivo locale - dagli operatori e dagli addetti del settore ricettivo (settore alberghiero e settore della ristorazione).
4. Innovazione e territorio Affronterò ora il rapporto tra innovazione e territorio. Focalizzare il rapporto tra innovazione e territorio vuol dire riflettere sulla difficile interazione tra mondo della ricerca e mondo della produzione. Già 30-40 anni fa si diceva che i due grandi problemi del nostro paese erano i rapporti scuola/lavoro ed i rapporti ricerca/industria. In alcuni casi anziché fare passi in avanti abbiamo fatto passi all’indietro, sicuramente per quanto riguarda i rapporti scuola/lavoro, perché dieci - quindici anni fa le imprese innovative vivevano in un ambiente che sapeva fare governance del mercato del lavoro. Oggi anche le imprese innovative fanno fatica a
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fare reclutamento di figure professionali, non soltanto per livelli particolarmente elevati ma anche per figure medio/alte. Il sistema locale non consente più la mediazione tra domanda ed offerta di lavoro, non invia segnali coerenti al mondo della formazione perché si possano organizzare dei meccanismi, delle filiere formative di responsabile integrazione tra mondo della formazione e mondo della scuola. Se è difficile gestire il rapporto scuola - lavoro, si può capire come sia difficile e complicato affrontare il rapporto tra mondo della produzione e mondo della ricerca. Sono talmente convinto della centralità di questo rapporto da impegnarmi più volte in situazioni concrete interagendo con gli operatori locali. Questi argomenti richiedono un approccio della ricerca che individui le ricadute dei risultati dell’analisi sulle azioni di chi poi deve organizzare politiche e strategie di sviluppo. L’interazione tra studiosi ed operatori è dunque molto importante e deve essere favorito dagli attori locali per dar luogo a progetti di ricerca - azione. Soltanto una piccola minoranza di economisti si comporta in questa maniera, perché normalmente gli economisti mostrano un atteggiamento di distacco nei confronti del mondo reale. L’economista legge, scrive, fa girare numeri anziché discutere con gli operatori che prendono decisioni, anziché aiutare gli operatori che prendono le decisioni per orientarli verso scelte corrette e coerenti. Sono necessarie due condizioni fondamentali perché queste interazioni si attivino. Ci deve essere, innanzitutto, una massa critica di domanda potenziale di ricerca e ci deve essere una massa critica di offerta potenziale, perché se non c'è questa massa critica l’interazione non funziona, diventa molto costosa. Non solo ci deve essere una massa critica di domanda - quindi vuol dire un buon numero di imprese che hanno bisogno di innovazione, che riflettono, che pensano, si ingegnano a trovare le competenze tecnologiche e scientifiche per dare risposte ai propri problemi ed alle proprie idee strategiche - ma dall’altro occorre anche che ci sia un’offerta di centri di ricerca responsabili ed orientati alla cooperazione, che hanno la volontà di cooperare con il mondo della produzione. Non basta avere un’università per dire che ci sarà interazione. È sufficiente pensare al rapporto tra i distretti industriali in Italia e la proliferazione delle sedi universitarie. Nonostante la moltiplicazione delle sedi universitarie e il decentramento territoriale dei corsi di laurea, c’è stata una scarsa attivazione di attività didattiche coerenti alla domanda di nuovi profili professionali che emergevano dal territorio e quindi le nuove strutture universitarie sono state incapaci di interagire col territorio, di anticipare i suoi bisogni formativi, di attivare un fertile meccanismo di interazione. La seconda condizione necessaria è la presenza di mediatori culturali o strutture di interfaccia capaci di superare la difficoltà di far interagire un imprenditore con un ricercatore. Vi potrei raccontare aneddoti molto divertenti sulle difficoltà di questi rapporti, preferisco utilizzare una “buona pratica” che è raro riscontare e che ha prodotto risultati positivi. Un imprenditore molto innovativo, che nei primi anni ’80 era presidente di una piccola associazione nazionale di categoria di produttori di macchinari, è venuto per almeno dieci sabati mattina consecutivi a discutere con me, all’università, per giungere alla costruzione di un “linguaggio comune” che ci consentisse di intenderci e di lavorare assieme. Se all’interno dell’università non ci sono figure professionali che conoscono il mondo delle imprese, che sanno discutere ed interloquire col mondo delle imprese, diventa difficile che ci sia una mediazione culturale e una adeguata interazione. Analogamente avviene se nel mondo delle imprese non c'è chi conosce il mondo della ricerca. Per le imprese strutturate, che hanno manager e dirigenti con esperienza universitaria, che hanno
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Fondo fotografico Luigi Schiavoni
Guardare una città dall’alto è un po’ come spiare i suoi cittadini di nascosto. Un volo che ti mostra tetti, strade, industrie, vita vissuta. E ti immagini, senza vederle, ma sai che ci sono, esperienze, antichi saperi artigiani, moderne industrie e pensi come sarà questa città nel futuro ed ai progetti di domani.
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avuto relazioni con la ricerca universitaria, è più facile avere rapporti col mondo della ricerca; al contrario, questo rapporto è tanto più è difficile quanto meno sono presenti figure professionali di elevato livello all’interno delle imprese e ciò è più probabile in aree a prevalente presenza di piccole e medie imprese. Nel primo gruppo di imprese ci sono dei mediatori culturali, c'è la possibilità di interagire con il mondo esterno. Un’altra osservazione sembra necessaria: negli ultimi dieci/quindici anni nel nostro paese abbiamo disinvestito nelle relazioni tra diverse organizzazioni ed istituzioni; c’è stata una crescente auto-referenzialità, spesso con atteggiamenti di arroganza da parte di alcune organizzazioni che credono di essere più forti e indispensabili rispetto alle altre. Se non c'è la disponibilità all’ascolto e la volontà di apprendere dall’altro, difficilmente si ha interazione e si ha innovazione. Allora ecco come di fronte a questo problema siano necessari un linguaggio comune e il superamento di atteggiamenti idiosincratici, di opposizione. Se vogliamo lavorare per l’innovazione, dobbiamo apprendere dal diverso, integrando saperi e competenze complementari. Questo è un punto fondamentale per consentire l’introduzione dell’innovazione. Vorrei ora affrontare una semplice questione metodologica e definitoria, evidenziando la differenza tra polo tecnologico e parco tecnologico, perché c'è spesso il rischio di fare confusione tra questi due termini. Il parco tecnologico è uno strumento, spesso è poco più di un’area attrezzata specializzata. A Grenoble c'è un parco tecnologico, un’area industriale attrezzata (denominata Zirst), localizzata nei pressi del campus universitario e che è stata fondata oltre 30 anni fa. Una commissione, composta da imprenditori e da ricercatori, ha selezionato le candidature delle imprese interessate alla prossimità (territoriale e culturale) con il mondo della ricerca, consentendo la localizzazione nell’ambito di questa area attrezzata soltanto alle imprese ritenute particolarmente orientate all’innovazione. Il parco tecnologico è dunque uno strumento, mentre il polo tecnologico rappresenta un particolare modello di sviluppo. Il polo tecnologico è un modello di sviluppo come lo è il distretto industriale. Il polo tecnologico presenta una composizione di attori e meccanismi di funzionamento molto diversi rispetto ad un distretto industriale. Parlare di poli tecnologici va molto di moda ma esistono solo meno di dieci poli tecnologici veri e propri al mondo e non ce n’è neanche uno in Italia. Costituire un polo tecnologico è un’operazione molto complicata; la stessa Milano, con tutti i potenziali che ci sono in quell’area, non rappresenta un polo tecnologico e neppure Torino, nonostante le numerose iniziative introdotte nell’ultimo decennio per costruire una politica a sostegno dell’innovazione. Vi farò alcuni esempi con riferimento a Grenoble: la “grande Grenoble” vale un decimo della “grande Milano” in termini di popolazione ma se ragioniamo in termini di polo tecnologico vedremo numeri (di docenti e ricercatori stranieri, di studenti stranieri, ...) dieci volte superiori ai numeri mobilitabili su Milano. Il polo tecnologico può essere, dunque, un punto di riferimento, una sorta di ideal-tipo. Abbiamo, come abbiamo visto, diverse tipologie di modelli di sviluppo: il polo tecnologico, il distretto industriale, il cluster. L’importanza dei modelli è quello di consentire di avere punti di riferimento per affrontare in un modo modesto ma efficace dal punto di vista delle decisioni da assumere per le strategie di sviluppo a livello territoriale. Consente ad un’area che vuole interrogarsi sulle proprie prospettive di sviluppo di comprendere come si colloca e si posiziona in un contesto nazionale e internazionale, tenendo quindi conto sia dei modelli teorici di trasformazione che dei casi concreti. Per questi motivi, è utile osservare la storia e l’evoluzione di alcuni poli
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tecnologici, di alcuni distretti industriali, di alcuni cluster con le loro differenziazioni, perché non c'è una via unica o un modello unico e neppure tutti i distretti industriali si muovono o si devono muovere alla stessa maniera. C’è quindi una grande apertura di opportunità di trasformazione: il sentiero di sviluppo non è predeterminato. Nell’analisi di queste relazioni e di questi cambiamenti, va tuttavia eliminato il rischio di confusione metodologica. Una tipologia è importante soprattutto per la guida all’azione; nonostante gli obiettivi relativamente modesti dal punto di vista teorico-analitico, diviene cogente e molto rilevante dal punto di vista operativo perché consente sia di raggiungere una adeguata consapevolezza da parte degli attori locali, sul tipo di sistema in cui stanno operando sia per capire se l’area in cui lavorano si comporta come un vero sistema produttivo. In un polo tecnologico c'è un “set” molto complesso di attori pubblici e privati che congiuntamente operano per introdurre innovazione e fare sviluppo tecnologico. Un polo tecnologico è una complessa macchina al lavoro per creare innovazione (cfr. Tab. 4). I poli tecnologici rappresentano territori dell’accumulazione di conoscenze tecnico-scientifiche e delle condizioni pre-competitive dell’innovazione; in un polo tecnologico si investe per produrre beni pubblici e per favorire l’accesso a questi beni pubblici da parte delle imprese, in modo che ci sia pari opportunità e non concorrenza sleale tra le imprese. Il polo tecnologico, in sintesi, è un grande laboratorio territoriale di ricerca e sviluppo in cui ci operano grandi imprese, laboratori privati di ricerca, istituzioni pubbliche di ricerca, lo Stato (sia lo Stato centrale che lo Stato locale), e in questo laboratorio territoriale c'è necessità di coordinamento. Tab. 5 - Poli tecnologici: le variabili chiave Gli ATTORI Le COMPETENZE Le RELAZIONI tra ATTORI I Meccanismi di FUNZIONAMENTO La MASSA CRITICA degli investimenti Il COORDINAMENTO Dunque le variabili chiave per ragionare sul polo tecnologico sono gli attori, le competenze in gioco, i tipi di relazioni tra gli attori, i meccanismi di funzionamento che si attivano, un rilevante ammontare di investimenti e la necessità di coordinamento. Il distretto industriale è un sistema spontaneo, in cui l’intervento pubblico deve essere particolarmente leggero: è necessario stare “dietro le quinte”, lavorare con estrema leggerezza perché il distretto è un modello molto delicato e quindi non ci deve essere oppressione da parte dell’intervento pubblico. Nel polo tecnologico il ragionamento è quasi rovesciato perché il polo tecnologico rappresenta un modello scientemente voluto, è un disegno pianificato, programmato da diversi attori e soprattutto con un ruolo rilevante degli attori pubblici. Tra gli attori ci sono le imprese orientate all’innovazione. Sono necessari Università ed istituti di ricerca che siano interessati al trasferimento di conoscenza, al trasferimento tecnologico ed alla creazione di spin off tecnologici. Sembra semplice, ma del resto le risorse che servono e i
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processi da avviare non sono mai molto complicati (anche se ciò non vuol dire che sia facile mobilitarle e avviarli). A Grenoble, Louis Néel, fisico nucleare che ha ottenuto il premio Nobel per la fisica, si preoccupava che i suoi allievi potessero non soltanto lavorare all’interno dell’Università, ma anche che i risultati della ricerca potessero avere effetti anche sul mondo della produzione. Così ha creato il primo spin-off all’interno del proprio dipartimento, della propria scuola ed ha utilizzato parte dei fondi di ricerca per avviare la prima impresa che è stata avviata dai propri allievi. I fondi di ricerca, nonostante siano pochi e in diminuzione, possono servire anche per avviare lo spin-off tecnologico. La responsabilità sociale dell’Università rende necessario svolgere un ruolo di mobilitazione di saperi e competenze per rafforzare il territorio, l’Università deve arricchire le competenze della società e dell’economia locale. In un polo tecnologico laboratori di ricerca privati, istituzioni formative orientate ai fabbisogni delle imprese lavorano “a stretto contatto di gomito”; c’è un gioco di relazioni e di scambi che nasce da un rapporto di fiducia reciproca; c'è infine lo Stato centrale e c'è uno Stato locale che rafforzano l’attrattività del territorio e che possono consentire di avviare strategie di sviluppo coerenti e capaci di raggiungere una adeguata massa critica delle relazioni tra ricerca e industria. Le competenze in un polo tecnologico non sono soltanto tecnologiche e scientifiche ma devono essere anche manageriali, devono esserci capacità imprenditoriali diffuse perché altrimenti non si generano nuove imprese. In un polo tecnologico devono nascere molte imprese innovative e le imprese che nascono sono imprese piccole, quindi numerose nuove imprese che nascono dall’interazione tra ricerca e industria. Prendiamo l’esempio di Cambridge. Cambridge era una città che fino a venti - trent’anni fa era la città della scienza, dello scienziato rinchiuso nella “torre d’avorio”, di numerosi premi Nobel con attorno un territorio quasi agricolo: non c'erano imprese, non c'era attività innovativa. Da venti anni circa Cambridge si è trasformata in un territorio dell’innovazione e dell’interazione tra l’impresa e la ricerca. In un polo tecnologico servono competenze tecnologiche, scientifiche, imprenditoriali, una sensibilità al cambiamento, un'apertura all'esterno e soprattutto competenze relazionali e quelle che si definiscono competenze di sistema. Se guardiamo nel nostro paese il cervello dei “centri di ricerca” è sempre a Roma, non è nei luoghi dove ci sono i saperi. In Francia il centro di ricerca nazionale per l’energia nucleare e per l’energia alternativa è a Grenoble, non è a Parigi. Grenoble è una piccola città, vi sono 300 mila abitanti; raggiunge circa 600 mila abitanti con l’intera agglomerazione urbana. Però Grenoble è interessante perché ha una lunga storia, una storia esemplare, che nasce alla fine dell’800 - inizio del ‘900, di interazione tra ricerca ed industria. In quella città c’è stata la presenza di imprenditori che hanno capito la rilevanza dell’Università, che hanno supportato la nascita e la crescita dell’università, finanziando anche le ricerche dell’università e, allo stesso tempo, c’è stata la presenza di universitari che hanno capito le esigenze del sistema produttivo. Questo tipo di relazioni tra sistema produttivo e università è avvenuto sin dall’origine e, in particolare, negli ultimi 30 - 40 anni. Ci sono molte strutture di interfaccia e non c'è centro di ricerca a Grenoble che non abbia al proprio interno figure professionali che sappiano interloquire e discutere con il mondo delle imprese; non c'è impresa medio-grande che non abbia all’interno qualcuno capace di discutere con il mondo della ricerca. C'è ridondanza, quindi, di queste risorse di sistema. Ci sono molti centri ricerca internazionali, ci sono importanti centri di ricerca nazionali, ci sono 90 laboratori universitari;
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c’è la presenza, quindi, di un numero rilevante di autonome strutture di ricerca. C’è inoltre una ricerca privata molto diversificata, con la presenza di 6.500 ricercatori nelle imprese. Questo vuol dire che ci sono 6.500 soggetti che hanno la capacità di discutere con gli studiosi della ricerca pubblica e dell’università, quindi si raggiunge una elevata massa critica di saperi e di competenze scientifiche e tecnologiche ed una capacità di discussione e di interazione, capacità anche di relazioni amichevoli, informali, disponibilità a scambiarsi delle informazioni di interesse reciproco. Ci sono, ovviamente, anche alcune grandi imprese, anche imprese multinazionali che partecipano al gioco interattivo. Ci sono 5.000 ricercatori nell’d’università; il 42% degli studenti lavorano nell’area scientifica “dura”, quindi una massa rilevante di potenziale capitale umano da inserire nei processi di creazione dell’innovazione. Ci sono 3.500 dottorandi, ci sono 9.000 studenti stranieri: gli studenti stranieri sono tra il 20 ed il 25% degli studenti di Grenoble; a Milano si fa fatica ad arrivare all’1,5%. Il numero degli studenti stranieri ed il numero dei ricercatori internazionali che lavorano nei centri internazionali di Grenoble, attraggono molti ricercatori dall’estero, molto di più di quanto non facciano altre città; quindi Grenoble è particolarmente attrattiva nei riguardi di talenti che rappresentano una risorsa fondamentale per la costruzione del futuro. Il secondo caso che vorrei presentare è quello di Hsinchu a Taiwan. Lo illustro perché è poco conosciuto nonostante il rilevante successo. Hsinchu, a 70-80 chilometri da Taipei, nasce come parco scientificotecnologico nel dicembre del 1980, ma in realtà ci vogliono circa dieci anni perché cominci a diventare effettivamente funzionante. Nei primi anni ’90 funziona pienamente come parco tecnologico-scientifico e comincia a diventare un polo tecnologico. C'erano già allora almeno cento imprese localizzate nel parco tecnologico con circa 20.000 addetti. A Hsinchu c’è la sede centrale dell'ITRI (Industry Technology Research Institute); ci sono due Università, tre laboratori nazionali, tre Centri di ricerca specializzati; ci sono cinquanta incubatori di imprese; ci sono oltre quattrocento imprese hi-tech e oltre 115 mila addetti nelle imprese high-tech. Se osserviamo le qualifiche professionali dei lavoratori di Hsinchu (tra i dipendenti delle imprese, non tra quelli dei centri di ricerca) vediamo che il 20% ha il master o il Ph.D, il 45% ha almeno la laurea, il 75% ha almeno un’esperienza di formazione post secondaria. Se consideriamo anche tutti quelli che hanno il diploma di scuola secondaria si raggiunge il 93% dei lavoratori. Lo Stato, ovviamente, ha investito notevolmente. Ha investito 1.700 milioni di dollari; quindi massa critica anche di spesa mentre in Italia si vogliono fare centri d’eccellenza con “due lire” e tagliando le risorse per la ricerca e l’Università. Hsinchu, che è praticamente sconosciuto ai policy makers, è notevolmente cresciuto in dieci - quindici anni, e rappresenta uno dei pochi poli tecnologici effettivamente funzionanti al mondo. L’insegnamento che proviene anche da questo caso è che lo Stato deve investire molto, ma deve anche consentire che si inneschino relazioni intelligenti; costituire un polo tecnologico, del resto, è un processo complicato.
5. Gli insegnamenti per una politica di sviluppo orientata all’innovazione Proviamo ora ad avvicinarci a casi meno complicati, con volumi i spesa meno rilevanti e con una struttura economica più vicina ai casi che ci
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Vecchie foto di vecchie industrie, eppure lo sviluppo passa sicuramente anche attraverso la capacità innovativa delle imprese che operano nei settori tradizionali. Le prospettive economiche dei prossimi decenni inducono ad intensificare il collegamento fra ricerca e attività produttiva. Nell’economia della conoscenza si va sempre piÚ accorciando la distanza tra la ricerca di nuova conoscenza e la sua applicazione produttiva. Lo sviluppo sostenibile passa anche di qui.
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interessano (più vicina, ad esempio alla struttura e ai problemi dei distretti industriali). In Francia vi sono aree come St-Étienne che si stanno progressivamente trasformando da una struttura di tradizionale distretto industriale a qualcosa che assomiglia ad un distretto tecnologico, ad un sistema innovativo locale, in cui l’interazione tra imprese e centri di ricerca diventa particolarmente importante. Il punto di partenza di una strategia pubblica di accompagnamento al processo di trasformazione del sistema produttivo è la questione dell’individuazione dei fabbisogni delle imprese, non solo di quelli espliciti ma soprattutto di quelli impliciti. Vanno possibilmente esplicitati i fabbisogni impliciti perché questo vuol dire fare “upgrading” delle imprese e del sistema produttivo, consentire che l’impresa introduca continuamente iniziative più avanzate, diventi sempre più “intelligente”, faccia produzioni meno copiabili, introduca innovazione e prodotti di qualità, meno suscettibili ad una competizione sui costi di produzione. Le imprese, in altri termini, devono diventare sempre più capaci di entrare in mercati più ricchi in cui gli elementi di successo sono la qualità e l’innovazione. Ci deve essere mobilitazione di competenze per la soluzioni di fabbisogni potenziali; deve organizzarsi una macchina che lavora per rispondere ai fabbisogni delle imprese. Ma analogamente si può pensare alle opportunità (di innovazione e di mercato) che nascono dalla capacità di risolvere problemi dei cittadini; basti pensare a quanto si potrebbe fare sui temi della salute e della qualità della vita. L’esperienza di St-Étienne è centrata sul problema della salute a partire da un distretto tessile che è diventato successivamente tessile-medicale, tessile-sanitario, e che sempre più ha spostato l’attenzione ai fabbisogni ed all’innovazione attraverso l’interazione tra imprese orientate all’innovazione e che producono per il settore sanitario, e medici ed operatori sanitari che riescono ad individuare i problemi e che riflettono sulle possibili soluzioni, offrendo idee da trasformare in prototipi da parte delle imprese. Per questo motivo vengono organizzati sistematici incontri tra professionisti con competenze complementari, facendo incontrare persone con conoscenze e obiettivi diversi ma che possono essere incredibilmente utili gli uni agli altri. Normalmente i medici non parlano con gli imprenditori per discutere dei problemi della sanità e di nuovi possibili accorgimenti tecnologici per affrontare i disagi dei malati. Una politica di sostegno di innovazione, una strategia o una pianificazione strategica per un territorio che voglia essere votato all’innovazione deve giocare sull’accumulazione di competenze, sull’introduzione di nuove competenze e sulle capabilities di questo territorio. Devono cioè essere incentivate le relazioni tra gli attori, quindi con il mondo della ricerca; va agevolato e va incentivato, in generale, il meccanismo relazionale. Le relazioni tra il mondo della ricerca ed il mondo delle imprese è molto costoso in termini di tempo, non è soltanto un problema di finanziamento; è necessario utilizzare il tempo dell’imprenditore oltre che il tempo del ricercatore; questi processi costano: costano tempo, costano per avviare relazioni, per costruire fiducia tra gli operatori; ma senza questa interazione non si introduce innovazione, non si organizza un sistema innovativo locale. Bisogna produrre continuamente nuove economie esterne; bisogna costruire nuove economie esterne per i sistemi produttivi locali. Si può immaginare una traiettoria che valorizzi saperi tradizionali, competenze professionali diffuse che vanno però integrate con nuove competenze. Non bisogna disperdere i saperi accumulati nel passato, dobbiamo piuttosto integrare ciò che sappiamo con nuove opportunità, con altri saperi che sono spesso esterni ed ecco perché i centri di ricerca diventano importanti. Un centro di ricerca e l’Università rappresentano,
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infatti, una “finestra” sul mondo, consentono collegamenti internazionali, permettono alleanze con altri territori, consentono di organizzare reti lunghe che stabiliscono rapporti di cooperazione con altri territori che possono trasmettere la loro esperienza o possono trasferire le loro competenze. Una strategia di accompagnamento di questo tipo è particolarmente importante e va integrata con azioni collettive, progetti comuni di ricerca applicata. Bisogna promuovere e finanziare la ricerca applicata in cui lavorano assieme organizzazioni differenti, imprese soprattutto e personale del mondo della ricerca. Ciò potrà permettere un upgrading dei sistemi produttivi locali con continuo innalzamento della qualità di questi sistemi per una competitività che sia basata effettivamente su conoscenza, qualità ed innovazione, permettendo di perseguire la cosiddetta “via alta allo sviluppo”, di uno sviluppo che è organizzato cioè su una competitività basata su qualità ed innovazione. Cosa si deve fare? Può essere anche questo estremamente semplice. Dobbiamo provare a costruire la cultura dell’innovazione, costruire l’attenzione e la sensibilità all’innovazione e la cambiamento; occorre animare gli operatori e gli “stakeholders” del territorio e mobilitarli sulla costruzione dell’innovazione, rendendoli consapevoli che l’innovazione non è qualcosa di misterioso. Gli imprenditori sanno come emerge l’innovazione: nella storia delle imprese e dei cambiamenti organizzativi si riscontra che l’innovazione è conseguenza di un grande problema che l’impresa ha avuto; se l’impresa ha risolto quel problema ha fatto innovazione. È così anche in un sistema locale; la questione cruciale è individuare la modalità per innescare un progetto capace di mettere al lavoro competenze complementari per risolvere un problema comune; è questo processo che consente l’introduzione dell’innovazione e di permettere un salto di qualità del sistema produttivo locale. Non solo si risolve il problema delle imprese, ma si può vendere quella nuova competenza o dispositivo tecnico in altri mercati, si può spostare la frontiera tecnologica, cioè la frontiera delle conoscenze, e proiettarsi in avanti. Questi cambiamenti sono stati spesso introdotti nei distretti industriali. Oggi i distretti italiani di punta esportono tecnologia. Negli anni ’50 e ’60 in Italia si importava tutta la tecnologia dall’esterno; oggi l’Italia è ancora importatrice per alcune tecnologie, ma per altre è una grande esportatrice, basti pensare alla meccanica strumentale. Oggi l’Italia, oltre all’industria del “bello ben fatto”, esporta prodotti della meccanica strumentale perché c'è ancora fortunatamente il “saper fare” e la possibilità di continua implementazione dei saperi. Quindi cultura dell’innovazione, cultura della collaborazione; senza collaborazione e coordinamento non si ha innovazione, per lo meno non si ha innovazione di sistema. È cruciale stimolare la capacità di risolvere problemi. Quando più imprese mostrano di avere un problema simile diventa economicamente possibile risolverlo, si può mettere a lavoro delle competenze per risolvere quel problema perché si spalma il costo su più imprese e se c'è una struttura intermedia pubblica o privata, una parte dei costi può essere sopportata anche da questa struttura. Quindi è economicamente possibile e relativamente facile risolvere questo problema, coinvolgendo una rete di organizzazioni e di imprese e una comunità di tecnici e di professional dell’innovazione. Spesso innovazione ed internazionalizzazione si muovono di pari passo; bisogna capire quali sono le opportunità, cosa “bolle in pentola” fuori da Jesi, ma anche fuori dall’Italia per dare nuove opportunità alle imprese e per individuare nuove potenziali opportunità per il futuro del territorio. Concludo con due notazioni finali. Innanzitutto, non ho mai usato il termine
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“incentivazione”. Ciò che è importante incentivare è la moltiplicazione dei rapporti e delle interazioni tra mondi diversi (specie quelli della ricerca e della produzione). Il sostegno allo sviluppo non si organizza con incentivi alle imprese ma con la produzione di nuovi saperi e competenze (cioè nuove economie esterne per il territorio) e con la capacità di attrarre “talenti” dall’esterno. C’è inoltre un problema culturale, di cultura dell’impresa innovativa. Una cultura d’impresa e dell’innovazione è necessaria non solo nel mondo delle imprese, ma anche nel mondo della ricerca, nella Pubblica Amministrazione, nelle strutture no profit ove sono necessari dei veri e propri “imprenditori”, cioè degli imprenditori sociali. Nei paesi civili le strutture no profit hanno imprenditori e manager che le gestiscono. Manager che servono anche nell’università dove c'è poca capacità imprenditoriale e organizzativa. Se si vuole operare a livello internazionale, anche l’Università deve avere professori e ricercatori che si muovano con una capacità imprenditoriale, di organizzare gruppi di ricerca, di avviare ricerche in collaborazione con centri di ricerca all’estero, di saper leggere i problemi del territorio e favorire il suo “upgrading”.
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Jesi era stata definita nel diario di viaggio di Edrisi, un geografo arabo che vi era capitato nel lontano 1154: “città bella posta sopra il fiume”. Il fiume era l’Esino che prima di gettarsi nell’Adriatico, percorre 80 km in una valle ricca di cultura, tradizioni, profumi e sapori. Ancora oggi il fiume lungo le sue sponde accoglie risorse naturalistiche e paesaggistiche di grande interesse e infrastrutture, che lo rendono ancora fulcro dell’attività economica e produttiva della zona.
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Unicità dei luoghi come anima di Renato Novelli
Cercherò di affrontare il tema partendo da una metodologia precisa e dal fatto che ho registrato una forte convergenza perlomeno di idee generali, sul fatto che il turismo tradizionale, cioè quello del relax, è da tempo superato.
Stili di vita e turismo Per molti anni, per lo meno fino agli sessanta del secolo scorso, il turismo è stato un’industria del riposo e delle ferie. Anche se il fenomeno ha sempre avuto connotati culturali di antropologia e sociologia, il trend più rilevante era costituito dall’aumento quantitativo del numero dei turisti e dal’organizzazione della vendita di settore. Da qualche tempo non lo è più o non lo è solamente: è un’industria di consumo specifico, nella quale si confrontano degli stili di vita e dei progetti di vita. Da quando i consumi hanno visto progressivamente indebolirsi il carattere d’uso a favore del sistema simbolico che essi rappresentano (Frank, Douglas), gli acquisti si intrecciano con le abitudini e le relazioni sociali. Se è vero che anche la disuguaglianza dei redditi viene affiancata nelle società post – industriali da processi di differenziazione sociale dovuti a scelte di ambiti (un tempo si chiamarono Lebens–Bereich o ambiti di vita) (Offe) sociali di collocazione dei membri della società, un sistema di valori “laschi” o a banda larga presiede alle scelte di consumo. Il turismo come industria dei sogni (Leoni), è un consumo forte. Ed è, peraltro, all’interno dei consumi quello che ha la maggiore carica simbolica, cioè la maggiore carica di percezione soggettiva. Mentre altri comparti industriali producono delle merci che hanno una qualche verifica oggettiva, ad esempio il mio orologio misura le ore e questo è un fatto oggettivo, anche se è uno Swatch, e dunque assolutamente disprezzabile da parte di alcuni consumatori ed apprezzabile da altri, resta il dato di fatto che misura le ore; nel turismo l’unico criterio che noi abbiamo per giudicare il successo di un’industria è la percezione positiva del cliente. Non esistono altri parametri. Questa percezione positiva peraltro è una percezione complessa da interpretare, perché non è una percezione singola, ma una percezione a più stadi. Infatti un conto è la soddisfazione del cliente mentre è in vacanza, un conto è la soddisfazione del cliente quando ricorda la vacanza, un conto è la soddisfazione del cliente quando riprogramma una vacanza. Sono tre momenti diversi. Sarà capitato a tutti voi di avere di alcune difficoltà durante i vostri viaggi. Se queste difficoltà sono inserite in un quadro positivo diventeranno un dolce ricordo. Se sono inserite in un quadro negativo diventeranno una dannazione per il posto dove siete stati.
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Ora chi programma il turismo sa, che non può progettare ogni cosa in modo che tutto vada alla perfezione, che se c’è una mission chiara è quella di produrre delle condizioni quadro positive, rilassate, in modo che gli elementi di difficoltà possano essere superati nel momento della memoria. Il turismo industria delle emozioni è un fenomeno complesso, con aspettative alte, intense. Non a caso possiamo dire del rapporto turistico host – guest, quello che Marcel Mauss nel suo celebre saggio sul dono, dice del sistema di potlach delle isole del Pacifico: chi va in vacanza si aspetta di vivere un paesaggio in un sistema di reciprocità che gli permetta di avere un’esperienza forte di conoscenza.
Il paesaggio: nuove definizioni Vorrei fare alcune riflessioni generali, per spiegare come oggi un paesaggio turistico sia formato da quattro elementi che portano il paesaggio stesso oltre la classificazione di genere. Spiaggia, collina, montagna, città d’arte, sono categorie in parte superate e solo in parte operative, perché al centro della vicenda turistica c’è l’esperienza che il turista ha del luogo. Questa esperienza è legata ad un paesaggio visibile che è quello che noi vediamo, ma è soprattutto legata ad un paesaggio invisibile, come ci ha insegnato il sociologo americano Rydden, il quale sostiene che la percezione del luogo da parte dei turisti è data sì dal paesaggio materiale e dalla piacevolezza percepita, ma è data soprattutto dall’interpretazione che la popolazione locale, attraverso il proprio stile di vita, la propria cultura, la propria capacità di comunicare, dà di quel luogo, trasferendo al turista la cultura e lo stile di vita che emergono da quel determinato luogo. Questa riflessione ci pone davanti un elemento molto importante per il turismo: il superamento o l’obsolescenza di una dicotomia strutturale nel sistema dell’ospitalità: la storica dicotomia tra host e guest che ha accompagnato l’industria turistica fin dall’origine. La dicotomia consiste nel fatto che il turista viene percepito come uno estraneo ed è un consumatore che viene da fuori, mentre la comunità locale vive la schizofrenia indotta dalla presenza periodica di comportamenti diversi da quelli usuali. Quando io ero ragazzino, io sono di San Benedetto del Tronto, noi facevamo una cosa assolutamente e turisticamente criminale: eravamo organizzati in piccole bande per dare informazioni sbagliate ai turisti, per farli andare da un’altra parte, per far sì che perdessero la loro strada. Spero che i bambini oggi non facciano più azioni anti turisti, perché la dicotomia host - guest va superata con la costruzione sociale e culturale di un sistema di paesaggio moderno in cui il turista ed il cittadino devono avere le stesse sensazioni, dove il turista deve essere partecipe della cultura che esprime la popolazione locale ed essere percepito come membro della comunità, seppure pro - tempore. Pur sapendo che è provvisorio, che l’esperienza finirà, deve essere assolutamente parte di quel paesaggio, deve capire il senso del luogo. Ora il senso del luogo è alla fine l’identità dei luoghi e l’identità del luogo è una cosa nobile. Se mi permettete di dire in maniera radicale cosa sia mai l’identità di un luogo, dirò che la proposta turistica deve farci dimenticare di essere tutti figli di Isaac Newton, delle grandi leggi della scienza classificatoria, Secondo questa lettura scientifica, noi vediamo l’acqua come un elemento formato secondo leggi naturali e professiamo una fede per la quale, tutte le sorgenti sono sorgenti ed i torrenti sono torrenti in base a classificazione. Nel turismo dobbiamo tornare ad una cultura in cui la sorgente ha una ninfa, una specificità, non perché sia la più bella
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Fondo fotografico Luigi Schiavoni
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Foto: Ubaldo Ubaldi
Immagini di una Jesi che, a ben vedere, sembrerebbe poco cambiata, almeno nelle sue fortificazioni. La foto delle lavandare racconta di un acqua del Canale Pallavicino ormai ingoiata dal terreno per far posto alle case; sono apparsi cartelli ad uso delle macchine sapientemente celate dal fotografo e turisti, ma la cinta muraria è ancora lÏ, intatta. E chiede turismo, chiede di essere vista.
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del mondo e dia l’acqua più buona del mondo, ma perché quell’acqua vive solo lì, e noi dobbiamo rintracciare le caratteristiche per cui quella sorgente è unica, proponendola come esperienza singolare e irripetibile. Non è importante che sia la migliore, come diciamo spesso noi italiani abituati a pensare che abitiamo nel posto più bello del mondo, ma che si colgano gli elementi di unicità e specificità. Non è importante che il salame di Fabriano sia il più buono d’Italia, l’importante è che spieghiamo perché è di Fabriano e non di altri luoghi. Non è importante che il Verdicchio sia il vino bianco più buono di Europa, l’importante è che il Verdicchio esprima la storia di chi l’ha inventato, la storia di chi lo produce, la storia e la geografia dei vigneti. Un’esperienza che noi proponiamo, che si può avere solo qui, solo in quel certo posto, non in un altro posto. Detto ciò, torniamo con i piedi sulla terra del turismo. Il turismo è un prodotto e deve avere un prodotto.
L’identità dei luoghi, il prodotto turistico, il brand L’identità, così come io l’ho descritta, deve diventare un prodotto turistico. Io ricordo sempre un esperto serio come Josep Ejarque, che dice nel bel mezzo di convegni “c'è gente che dice noi abbiamo questo, noi avremo quello, ma il prodotto qual'è? Voi cosa proponete al turista come sistema complessivo? Se non c'è il progetto tutto diventa evanescente e sfuggente rispetto all’esperienza del turista”. Quindi noi dobbiamo capire che il turismo si fonda sull’identità dell’utente, che questa identità è anche un “volgare” prodotto commerciale ed essendo un volgare prodotto commerciale, nel turismo delle emozioni, deve essere qualcosa di più di una proposta specifica. Esso è la qualità terminale dell’organizzazione del territorio. Noi dobbiamo fare turismo della qualità globale di tutto il territorio. Il turismo è uno sbocco naturale di questa qualità dove tutto funziona in maniera assolutamente coordinata. Si attenua la distinzione tra front region, vocazione di area e la back region, carattere secondario dell’area. È tutto il territorio con le sue caratteristiche ad essere il target dei turisti. Può darsi che qualcuno veda questo discorso su territorio e qualità globale come un incipit di un “discourse” teorico sul paesaggio. Mi piacerebbe, ma non è così. Il turismo è un’industria non un “discourse” culturale. Senza un sistema di servizi efficienti non c’è turismo. Vorrei farvi un esempio molto semplice. Nel 2006 io ho fatto una ricerca sui concerti di musica cosiddetta di nicchia in alcune aree europee. I concerti di nicchia radunavano una media oscillante tra i 2.000 e i 5.000 spettatori. Ci sono state cinque località nell’estate del 2006 in cui 5 concerti di musica di nicchia hanno avuto tra le 20.000 e le 30.000 persone. Questi cinque concerti erano tutti a dieci minuti, venti minuti da un aeroporto con voli low cost. Falconara non è funzionale ad una prospettiva di questo genere, perché è pensato più come aeroporto di partenza che di arrivo. I servizi, la viabilità, la facilità di accesso, la facilità di informazioni sono elementi fondamentali. Direi ancora di più che i servizi devono essere costruiti attorno al tipo di turismo e di turisti che vogliamo. Se noi prendiamo un’area qualsiasi, chiunque dirà che deve avere un brand. Tutti vogliono un brand. Io non mi occupo di marketing e quindi del brand ho una visione molto poco marchetizzata e, al contrario, molto operativa. Un brand deve essere di facile comunicazione, individuare un soggetto, un’area in maniera chiara, forte e significativa. Vi faccio un esempio storico che non riguarda il luogo ma riguarda le nazioni. La
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decadenza del sistema turistico italiano, è un caso esemplare: passa, dagli anni settanta in poi, dal primo al quinto posto del mercato turistico mondiale, per numero di turisti; arriva al 35° posto al mondo come competitività del sistema alberghiero e nel segmento balneare viene superato dalla Grecia. Riceve 41 milioni di turisti l’anno, 32 milioni dei quali sono passati per Venezia, cioè è un sistema Venezia-dipendente come un tossicodipendente dipende dalla sostanza che assume. Senza Venezia non siamo nessuno. Quando il brand Italia inizia la sua caduta libera? Quando nel bel mezzo di una precisa guerra commerciale, non abbiamo capito, quello che altri paesi, come la Francia e la Spagna, avevano capito: si doveva puntare tutto su un brand preciso di paese, per affrontare la internazionalizzazione dei mercati turistici mondiali. La Francia si è venduta come patria dello stile del vivere. All’interno di quello stile ci sono i Castelli della Loira, Parigi, la Camargue, Saint Tropez. Ma tutto è Francia come etichetta unitaria, forte, un paese con uno stile di vita, dove tutto è elegante, dove è tutto è glamour. La Spagna, ha messo nel suo marchio, il sole, rubando alla povera Albania il primato di essere, com’è, il paese che ha più ore di sole in un anno in Europa. La Spagna si è appropriata di questo record perché all’Albania si può fare tutto. In verità la Sicilia è la regione più solatia, ma, visto che le statistiche si fanno per nazioni, la Pianura Padana trascina giù l’isola del sole. Il primo segreto del successo di Francia e Spagna sta nella semplicità e facile comprensione del messaggio. Prima si va in Francia, prima si va in Spagna, poi si va in un luogo. I tecnici del nostro turismo non capirono questo. Non abbiamo costruito un brand nazionale in quella fase, anzi abbiamo frazionato la gestione del sistema e dell’organizzazione turistica, portando le competenze a livello regionale. Il risultato è che ogni Regione ha le rappresentanze in tutto il mondo. Fino al ridicolo. Mi pare che la Regione Lazio abbia un ufficio a Shangai per la promozione del turismo. Quindi ad un certo punto abbiamo perduto la guerra del grande turismo, delle grandi cifre, senza costruire un sistema competitivo in altri settori. Non abbiamo prodotto né una chiara immagine unitaria, né sistemi locali efficienti. Questo vale anche per i luoghi. Se Jesi vuole affrontare il turismo, bisogna che abbia un brand, cioè bisogna avere un contenitore chiaro, facilmente comunicabile, ma forte e strutturato. Non chiacchiere, non un'immagine, che non basta. Ci vogliono delle norme, delle garanzie all’interno delle quali uno costruisce un sistema di turismo. Cioè bisogna badare ai contenuti. Il brand che è indispensabile per una zona turistica è un processo in cui io posso partire dicendo “io vi garantisco che tutti coloro che producono il miele in questa zona lavorano così, io vi garantisco che tutti coloro che hanno un albergo lo fanno così, io vi garantisco che tutti coloro che fanno ospitalità hanno stile familiare”. Se posso aprire una parentesi, è importante per noi tornare a quello che è stato il pregio migliore del sistema turistico italiano fino agli anni ’60. Il carattere distintivo del sistema turistico italiano, è sempre stata la polverizzazione degli alberghi, fin dall’inizio del 900. Gli alberghi erano più piccoli di quelli di altri paesi, con meno stanze ed erano piccole aziende. Però il sistema italiano era, allo stesso tempo, un sistema in cui il piccolo albergatore coniugava l’atmosfera familiare con un alto, o meglio altissimo livello di professionalità. Poi, negli anni Sessanta, c’è stato il boom. Gli imprenditori del settore turistico sono cambiati. Investivano nel turismo i muratori che avevano fatto i soldi, gli speculatori in cerca di facili entrate e pochi rischi. La professionalità si perdette. Paradossalmente gli immigrati dall’interno verso la costa che con i loro risparmi investivano, divennero i nuovi imprenditori di alberghi piccoli e medi. Da qualche parte hanno acquisito professionalità come a Rimini. Da qualche altra parte meno. A Rimini il 60% dei profitti
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Il fortino e la costa del Montirozzo: oggi le fronde degli alberi nascondono in parte la maestosità delle mura jesine. Salire quella strada, una volta polverosa, che porta al centro città ci permette di vedere la bellissima cinta delle mura che controllava il lato orientale della città ; ancora oggi quel torroncino che si staglia nell’azzurro del cielo invita il turista ad alzare gli occhi.
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vengono reinvestiti in turismo, a Pesaro (località di eccellenza nelle Marche), il 35%. Il recupero di professionalità, competenze e servizi articolati, sono fondamentali. Possiamo, ad esempio, pensare che un brand di un luogo, magari senza grandi attrazioni, sia fondato proprio sul recupero della familiarità sentimentale – professionalità specifica del sistema italiano tradizionale? Mi permetto una storia di sociologia narrativa. Nel 1926 Thomas Mann, (nel 1929 vinse il Nobel, dunque non era uno sconosciuto) fu cacciato dal grande Hotel Forte dei Marmi. Il fatto che Thomas Mann non si sia mai lamentato di questo è dovuto all’aver trovato una pensione vicina, dove un cameriere simpaticissimo giocava con i bambini, la padrona era una donna di grande stile e la pensione stessa era un esempio di eleganza sobria e confidenziale. Dunque, per riprendere il filo della storia, il sistema turistico italiano si permise il lusso di cacciare un premio Nobel dall’albergo più noto della Toscana balneare, perché una principessa romana era infastidita dal fatto che i figli si comportassero come dei bambini troppo liberi: correvano sulla spiaggia, nudi. Sto parlando di bambini tra i tre anni e i cinque anni. Il figlio di Mann raccontò di avere avuto la tosse convulsa e la principessa convinse altri ad allontanare tutta la famiglia. Mann volle una visita del medico dell’albergo, il quale scoprì in pochi minuti che la tosse convulsa risaliva a qualche anno addietro. Poi con eleganza se ne andò dall’Hotel elegante e si trasferì alla Pensione di cui ho parlato. La vicenda, con altri sviluppi, produsse un romanzo breve “Mario e il mago”. Questa vicenda dice come la pensione italiana fosse allora un servizio di eccellenza. Si può fare un brand dal recupero di questa cultura. Un brand, che sia un sistema di garanzie precise, anche di trasparenza di prezzi e di inclusione dei turisti nella cittadinanza locale. Non è un marchio, questo voglio spiegare, non è un’etichetta, non è l’immagine all’offensiva aggressiva di una zona, è un sistema di garanzie, può essere un processo progressivo, perché il turismo richiede spesso, il marchio di ombrello che, comprendendo molti soggetti, presenta dei forti rischi. Lo sapete bene voi che siete produttori enogastronomici di grande fama e valore. Voi sapete che se uno dei vostri associati fa una cosa sbagliata, l’immagine negativa si rovescia su tutti. Il brand ombrello va usato con molta attenzione, con molta cura, non bisogna mai fare un passo più lungo di quanto non ci si possa permettere, essendo sempre sicuri di quello che si sta facendo.
La costa, l’interno e il turismo delle tre elle Ora vorrei anche discutere delle caratteristiche di un turismo di accoglienza in cui un brand garantisce delle prestazioni in cui il turista viene inserito in un sistema come cittadino provvisorio e quindi non viene truffato, non si sente spaesato. Prendiamo il caso delle nostre spiagge. Noi abbiamo delle spiagge dignitose ma non superlative, Per di più, alle spalle dei lungomari eleganti e scintillanti, ci sono centri sovraffollati e indignitosi, risultato dello sviluppo urbanistico europeo, che Le Corbusier ha definito “un cataclisma a rallentatore”. Pensiamo forse di intervenire nel risultato del cataclisma? No, cerchiamo di impedire ai turisti di andarci. Ho scoperto che chi dice che San Benedetto è un bel paese, è stato solo sul lungomare e non ha mai fatto nemmeno venti metri verso il ventre del paese. Lo stesso vale per Civitanova. Ma vale, in altri termini persino per Sharm El Sheik, dove a soli 40 metri dai resort, ci sono i beduini nomadi. Ma il mondo non va più così: un numero crescente di turisti vuole uscire dal lungomare, vuole vedere il territorio.
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Due nodi vengono al pettine: da una parte un intervento nelle aree del cataclisma e dall’altra il rapporto del nostro turismo maturo con un turismo di nuova generazione nelle località dell’interno. Diventa primario affrontare il problema della riorganizzazione di queste due zone. Forse le brutture possono diventare luoghi di comunicazione, mentre borghi e città dell’interno, coniugare due turismi paralleli (chi va nei borghi, va di sfuggita in spiaggia), oppure due turismi integrati (spiaggia e interno sono coordinati da proposte, giri d’istruzione, eventi). Del rapporto costa interno si parla da molti anni, ma manca il prodotto turistico di cui ho parlato prima, la proposta, i servizi, il coordinamento. Il turismo del presente è un turismo fondamentalmente legato a tre Elle: - Landscape ovvero il valore del paesaggio in generale. La qualità del territorio, i servizi, l’offerta di uno stile di vita diverso da quello urbano. Il paesaggio, vuol dire il piacere di fare le cose in libertà, senza costrizioni, con il senso di piacere che dà quello che è piacevole fare. - Learning, ovvero processi di apprendimento attraverso il viaggio. Il turismo si fa per imparare, per conoscere, per qualificarsi rispetto agli amici, nella vita professionale, per il valore simbolico del turismo. Il turismo, come ho detto nella prima parte, è connesso con l’identità molto più di qualsiasi altro consumo. Quindi noi dobbiamo anche capire quali stili di vita noi vogliamo attirare, con quali stili di vita vogliamo lavorare. - Leisure o loisir, ovvero seguire conoscenza ed esperienza come attività libera e di piacere. Di tutto si può fare turismo. C’è un pacchetto di cui noi italiani ci siamo vergognati. Qualche anno fa, un’agenzia francese propose un pacchetto intitolato “Conoscere i luoghi della mafia”. Si trattava di un pellegrinaggio in Sicilia, dalla piazza dove fu ucciso Della Chiesa, a Capaci a Corleone. Ebbe un grande successo, ma l’Italia diplomatica ne pretese il ritiro. Un piccolo esempio che ci mostra come il turismo si muova per suggestioni. Dunque dobbiamo produrre suggestioni. La Regione Sicilia ha speso delle cifre enormi investendo nel turismo, con aumenti giudicati positivi. È bastato che un signore di nome Camilleri scrivesse dei romanzi fortunati e che diventassero poi televisione, per portare il tasso di crescita del turismo in Sicilia a due cifre. I luoghi di Montalbano sono molto richiesti. Gubbio, grazie alla serie televisiva di Don Matteo è all’improviso entrata tra le mete gettonate. Una tendenza della narrativa ha registrato la crescita di popolarità degli scrittori di luogo, che ambientano i propri romanzi sempre nella stessa località. Dovremmo capire che i Sistemi Turistici Locali se non gestiti localmente, ma localmente pensati e prodotti, hanno un alto potenziale. Siamo lontani, per il momento, da una politica coordinata. Non abbiamo nemmeno dei criteri unitari per stabilire i confini e competenze delle guide turistiche. Nel Lazio le guide turistiche di Roma non possono fare le guide turistiche a Latina e viceversa. In altre Regioni, al contrario, la competenza è su base regionale e le guide possono lavorare in tutta la Regione. Una guida che sia particolarmente attenta all’arte rinascimentale, se è di Firenze non può fare la guida a Roma. In molti altri paesi le guide hanno un brevetto nazionale, ovviamente con delle specializzazioni specifiche e criteri verificabili. I sistemi turistici locali sono falliti come mostra lo studio dell’università di Trento, per cause riconoscibili: - un’ingerenza politica troppo alta, - una competitività rivolta all’interno e non all’esterno, - una genericità di organizzazione ed un sistema troppo frazionato, - non vi sono brand di riferimento chiari e dei contenitori, i sistemi turistici locali, - un eccesso di esaltazione degli elementi di particolarismo, - mancanza di preparazione e competenza dei coordinatori.
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La notte bianca, la notte della cultura. Da sempre gli eventi, le feste fanno uscire di casa per vedere, conoscere e farsi vedere. Come quelle eleganti signore con ombrellino a spasso per la piazza nel giorno di festa. Ăˆ una parte della dimensione slow dell’economia di Jesi: turismo, divertimento, produzione e fruizione culturale.
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Gli STL dovrebbero partire da una caratteristica forte del territorio, riuscire a coniugarla con un sistema di servizi e con un’offerta chiara. Un prodotto chiaro. Chiediamoci perché il rapporto costa-collina non ha mai funzionato. Da quanti anni voi sentite parlare della necessità di trasportare una parte del turismo della costa verso la collina? Poi questa cosa funziona molto poco. L’adagio più riduttivo è famoso: “quando piove a Senigallia, la gente viene a Jesi”. È la stessa cosa che dicono a Macerata, è la stessa cosa che dicono ad Urbino, la stessa cosa che dicono ad Ascoli Piceno. Oggi, dopo anni di crescita separata, costa e collina hanno due sistemi di ospitalità completamente diversi, con gli imprenditori dell’interno molto più avanzati, attenti e capaci di quelli della costa, perché quelli della costa ragionano ancora con il sistema di sparare nel mucchio, con la propaganda generica. Mentre nel turismo bisogna avere in mente sempre un segmento preciso da intercettare, poi lavorare per far venire anche gli altri. Si deve costruire il turismo di una località su un segmento di partenza. Noi sappiamo che vogliamo attirare in una zona come Jesi chi, ad esempio, compra una seconda casa per amore della campagna italiana, chi cerca un’alternativa rispetto alla vita di città, chi vuole vivere in più luoghi, per sentirsi più realizzato. Se sappiamo questo, sappiamo che il turista che viene dieci giorni di estate, lo intercetteremo dopo che avremo un’immagine costruita su quelli che, tecnicamente, si chiamano i neonomadi, cioè persone che vivono prevalentemente, per esempio a Londra ma hanno una casa nella campagna italiana, francese. Se abbiamo target di questo genere, dovremo modificare la spiaggia con una riqualificazione, trasformandola in una spiaggia meno fordista. Nella regione non c’é un hotel a cinque stelle, siamo una Regione che in 140 chilometri di costa non ha un centro di talassoterapia. Abbiamo un mare che non ha nessun altro pregio, non è trasparente, non è luminoso, ma sarebbe ideale per la talassoterapia perché è un mare molto salato. Avendo una spiaggia di questo genere, lungomari lunghi, perché non aver attenzione oltre che al cosiddetto turismo del benessere, anche al turismo della salute? Il turismo del benessere vuol dire rifarsi la faccia, fare la dieta, ma c’è anche un benessere più elementare, delle malattie più comuni in età anziana: il diabete ed i problemi cardiaci. Perché non fare dei programmi all’interno della vacanza, di terapia dolce, che ti aiuta a passare un periodo in cui star bene, vuol dire anche star meglio rispetto alle proprie malattie. Noi abbiamo i sistemi turistici locali falliti, il rapporto costa-collina fallito, il contenitore Italia fallito, il contenitore Adriatico non è sufficiente, quindi partiamo con un handicap. Questo vuol dire che bisogna rafforzare l’immagine locale, renderla fortemente comunicabile e renderla anche efficiente, andare direttamente a quello che è il turismo, cioè l’industria delle emozioni. Voglio farvi un esempio, non so se voi avete mai consultato il sistema nazionale francese on line. Il sistema francese funziona così, voi dite che cosa volete, spiaggia, bella campagna, mangiar bene dal 10 di agosto al 20, vi appare sullo schermo le possibilità che avete, con prezzi. Non ha importanza se è il Mar del Nord o il Mediterraneo, vi appaiono queste possibilità. All’interno di queste possibilità scegliete. Questo è un sistema elementare che parte dalle emozioni, dalla domanda e non dai luoghi. Si può non fare in tutto il paese, si può fare in una provincia, si può fare in una Regione. Vorrei chiudere con alcuni suggerimenti pratici, in quest’area che io non conosco bene. Questa è un’area di eccellenza enogastronomica ed il turismo enogastronomico è il segmento di turismo in maggiore espansione negli ultimi anni. Il modello del turismo del cibo, è schiacciato dalla super corazzata Toscana, in termini di immagine. Ma stiamo attenti bene perché io credo che il sistema Toscana stia per entrare in una crisi di
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autorefenzialità. Il sistema, per essere più esatti, Francia – Toscana è un sistema fondato prevalentemente sul vino, imbottigliato di qualità con alla base recuperi culturali, professionali e agrari importanti ed insieme sulla riconquista, riscoperta di alcune ricette tradizionali fortemente codificate. Quello che noi rileviamo a livello di tendenza, invece, è una leggera usura di questo modello e l’affermazione di una domanda più articolata. Le figure che Paolini ha chiamato il gastronauta, e il foodtrotter, che esplorano nuovi gusti o fanno riferimento a manifestazioni e ristoranti, rischiano di diventare come Don Chisciotte, cavalieri inesistenti di buone intenzioni. La figura in crescita, nell’enogastronomia, sembra essere quella del turista globale, che apre un ventaglio plurale di esperienze. Si parte per l’offerta complessiva di un territorio all’interno della quale, c’è il cibo. Questa tendenza apre uno spazio molto ampio per fare una proposta che non sia fondata solo su quei prodotti e quel filone della qualità e della tipicità molto nota. L’elemento centrale della nuova tendenza, è un turismo fondato sulla storia del prodotto. Chi ha inventato quel prodotto? Quale società ha inventato? Chi lo produce oggi? Con quale stile di vita produce quel prodotto? Cioè tutta una serie di elementi che non dicono se quel vino è più buono di un Barolo o di un Chianti, ma propone un’alternativa di relazione col prodotto. La logica delle classifiche e delle parade modello tre bicchieri, del Gambero Rosso e Slow Food, rischia di diventare obsoleto. Il declino è determinato dal fatto che non si pensa più al fatto dei tre bicchieri ma si pensa all’elemento sociale del prodotto, all’elemento di legame con il territorio. Quindi penso che bisognerebbe, nel settore enogastronomico, fare la corsa per essere i primi a praticare questa nuova identità, che sta crescendo, in varie zone, anche se per ora l’imitazione del prodotto, del modello franco-toscano è ancora molto forte. Quello che conta non è che il vino abbia tre bicchieri rispetto ad altri, ma di quale uva è fatto, qual è la storia di questa uva, qual è la forma di questa uva, che sapori ha, che relazioni ha, storicamente come veniva bevuto e come viene bevuto, è un vino di allegria, di compagnia, leggero, un vino invece di grande impegno, che va preso con un pasto importante fino alla meditazione senza cibo. Una serie di differenziazioni che siano più legate alla storia dell’identità del prodotto, dei produttori che non a dei canoni generali stabiliti. Finisco tornando al prodotto turistico. Noi possiamo organizzare un territorio con gli stakeholders, la cosa è importante, necessaria. Ad esempio gli albergatori marchigiani devono ancora capire che bisogna fare sistema all’interno e bisogna essere competitivi all’esterno, non farsi la guerra fra di loro, non fare la guerra, ampiamente perduta, con la Croazia, ma fare sistema casomai con la Croazia, per fare venire la gente in Adriatico, prendendo il turista su una base diversa. Ma ciò detto una rete di stakeholders non è sufficiente. Altro elemento da organizzare è il privato non turistico, perché si interseca con l’ospitalità in senso lato, il pubblico per le politiche che favoriscono l’iniziativa, il capitale sociale, perché non c’è nessun tipo di industria che non abbia la centralità del capitale sociale. Il frazionamento eccessivo è la malattia senile del turismo. Il coordinamento è la cura. Io penso che un sistema debba avere una capacità continua di innovazione, cioè di seguire il mercato, di creare dei cluster specifici e trasversali. I primi mettono in coerenza le unità di un settore, per esempio, cluster enogastronomici, architettonici, i secondi mettono in relazione i diversi settori. Altro fattore chiave è lontano da noi. Il turismo deve essere una priorità nazionale. Purtroppo noi facciamo sempre affidamento sul grande patrimonio artistico italiano, come fosse una rendita. La società locale nel suo complesso è altrettanto rilevante. In primo luogo
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Una processione, un saggio ginnico, una rappresentazione in costume. Sono delle manifesta zioni, delle rievocazioni a volte inserite in contesti culturali e turistici. Sì, anche turistici perché di tutto si può fare turismo se riesce a suggestionare. È questa una delle scommesse di questo Piano Strategico dello Sviluppo Sostenibile: creare una industria del turismo capace di generare emozioni.
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nella sua dimensione storica. Interessa la cultura materiale, interessa la storia della comunità quindi il legame con la cultura locale che entra nel sistema turistico, deve essere molto significativo. Fatemi dire un’altra cosa, un buon turismo è quello che fa della cultura locale e del passato un elemento vivo ed operativo oggi, un cattivo turismo è quello che organizza le manifestazioni del tipo “torniamo a trebbiare” o le sagre, che sono tutte falsificazioni, mistificazioni di un passato immaginario della memoria. È molto meglio avere il passato, vivo come operatività nella vita quotidiana di prodotti legati al passato che organizzare la festa della trebbiatura in piazza. È meglio recuperare gli stornelli della trebbiatura che non fare i pranzi della trebbiatura pensati per lavoratori sovraffaticati e serviti a intellettuali o famiglie per i quali la fame e la stanchezza sono il prodotto di ricerche e di cure. Fondamentalmente la riflessione che ho fatto è una riflessione in cui il legame primario del turismo risiede nella continuità col territorio locale. Noi dobbiamo inventare il territorio, riviverlo, ricostruirlo e dobbiamo anche avere una grande capacità che è quella di proporlo in maniera creativa e forte. Chiudo veramente con ultima storia di sociologia narrativa. Ho incontrato il responsabile di Slow Food della Germania. Un giornalista che si era posto questa domanda: com’è possibile che nel momento in cui, per la prima volta nella storia della Germania la cucina italiana diventa la top delle cucine, cioè non è più rappresentata dalla pizzeria dove vanno i proletari, ma da ristoranti di alta qualità, e la parte benestante e colta della società tedesca considera una moda mangiare nei ristoranti italiani, l’Italia, come paese abbia perduto negli anni passati il 10% di turisti tedeschi all’anno? La ripresa del 2008, non modifica la tendenza generale. La sua risposta è semplice: la ristorazione di qualità a Berlino la si incontra in posti facili, l’informazione è sviluppata. La ristorazione italiana di qualità in Italia si occulta al turista straniero che difficilmente la trova. Posti un po’ nascosti, senza un sistema di comunicazione molto efficiente. Non c'è una rete nazionale riconoscibile. Le guide, anche quelle molto precise di Slow Food sono incomprensibili ad uno straniero perché sono del tipo "in cucina c'è la signora Vittoria che fa ancora le pappardelle come faceva sua nonna". E giù la ricetta. Tutte cose che dette così ad uno straniero non hanno alcun senso. Anche lui ha una mamma che faceva delle cose come le faceva la nonna. Più importanti sono lo stile di vita, la qualità ed i prezzi.
Una precisazione sul concetto di brand Vorrei infine chiarire alcuni aspetti, ad esempio sul problema del brand. Io sono per una regia unica e brand unici, però non sopravvalutiamo l’aspetto dell’immagine perché è la sostanza quella che conta, è la regia unica che crea poi un clima positivo per lo sviluppo turistico. Il brand è sicuramente fondamentale, ma deve corrispondere a dei contenuti. Ora, voi avete parlato di un brand generale ed unico che abbraccia una serie di attività diverse, allora abbandoniamo l’idea che il brand possa significare qualcosa di fortemente specifico su un settore. A livelli articolati ci sarà una specie di sotto brand tecnico, ma il brand deve avere degli elementi generali, questi devono essere chiari, distinti. Sull’economia locale si pensi alla filiera corta. Lo stato americano che ha il maggiore consumo di biologico è la California. In California, negli ultimi tre anni, è accaduto un riposizionamento del biologico in favore di un passaggio dal biologico nazionale garantito verso la filiera corta
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che magari dà meno garanzie, ma si svolge attraverso una rete che il consumatore controlla direttamente. Forse siamo di fronte ad una forma di autodifesa, perché il sistema alimentare mondiale è imploso. Viviamo da uno scandalo all’altro, la salmonellosi in Inghilterra con le uova, la mucca pazza, il latte in Cina. Non trascuriamo il fatto che è importante la filiera corta e che il brand unificante può essere anche costituito da una serie di dichiarazioni etiche, anche un’etica del prezzo e della trasparenza. Nella zona di Jesi si potrebbe benissimo dire che da 2/3 euro la bottiglia a 30 euro si garantisce una qualità, anche se non è la stessa qualità. Un brand unico, può avere alcuni principi generali comprensivi di tutto e dall’altra parte articolarlo poi settore per settore, in modo che ci siano garanzie più articolate. Il turista, arriva a quel brand articolato solo quando è interessato a quel prodotto, ma sa che si muove in una cornice molto chiara, molto precisa.
Foto: Ubaldo Ubaldi
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Le fotografie di Schiavoni e Ubaldi di Claudio Cardinali
Vita e costumi di Jesi attraverso l’occhio attento e curioso di un artigiano della prima metà del secolo scorso: Luigi Schiavoni. Le fotografie su lastra ci rimandano una Jesi precisa, diremmo pronta all’uso. Pronta come i suoi concittadini che, diligentemente, in diverse sue foto che pubblichiamo, si mettono in posa, immobili, per la lunga esposizione. Il colore irrompe invece nelle foto di un altro artigiano, altrettanto attento e curioso, questa volta dei giorni nostri, Ubaldo Ubaldi. È sempre la stessa città, ma la frenesia degli abitanti si percepisce, sempre in movimento, incuranti dello scatto del fotografo. Come salta agli occhi ancora intatta la raffinata bellezza del centro storico di Jesi e dei suoi palazzi in attesa solo di essere visitati e ammirati. Ed è per questo che il Piano Strategico dello Sviluppo Sostenibile tenta anche di tracciare gli scenari possibili del turismo futuro. E ci viene in aiuto il contributo del Prof. Novelli che ammonisce: “Di tutto si può fare turismo ma il turismo del presente è un turismo fondamentalmente legato a tre Elle: - landscape, ovvero il valore del paesaggio in generale. La qualità del territorio, i servizi, l’offerta di uno stile di vita diverso da quello urbano. Il paesaggio, vuol dire il piacere di fare le cose in libertà, senza costrizioni, con il senso di piacere che dà quello che è piacevole fare; - learning, ovvero processi di apprendimento attraverso il viaggio. Il turismo si fa per imparare, per conoscere, per qualificarsi rispetto agli amici, nella vita professionale, per il valore simbolico del turismo. Il turismo è connesso con l’identità molto più di qualsiasi altro consumo. - leisure o loisir, ovvero seguire conoscenza ed esperienza come attività libera e di piacere.” Alla fine, tre elle per attrarre, tre elle per piacere. Jesi potrebbe averle tutte e tre e in più una quarta: la elle di Leone. Per trovare la forza di vincere la sfida.
Foto: Augusto Giglietti
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5 linee di forza La matita cercava sul foglio bianco energie sommerse... Le linee fluivano intrecciate percorrendo itinerari importanti: costruivano forme, arginavano masse. L'obiettivo è raggiunto: linee forza, come un fiume insieme ai sinuosi affluenti. Si identifica il leone, reale simbolo di Jesi e dei suoi castelli. "Regalità" dell'ingegno. Virtuoso elemento portante della gente di questa terra. Scultore
Massimo Ippoliti
Tradurre in segno grafico, elemento iconico, un'opera d'arte, nasconde in sé molti rischi, primo fra tutti tradirne l'essenza. Siamo orgogliosi di essere riusciti a rispettare la realizzazione di Massimo Ippoliti, producendo quello che potrà divenire per Jesi il nucleo, segno distintivo, dei progetti del futuro. Agenzia di Comunicazione
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Credits
Comune di Jesi
Coordinamento e promozione
Fabiano Belcecchi Daniele Olivi
(Sindaco di Jesi) (Assessore allo Sviluppo Sostenibile e ai Progetti Speciali)
Matilde Sargenti Fulvia Ciattaglia Letizia Leoni Andrea Crocioni Stefano Gennai
(Ufficio “Sviluppo Economico") Coordinamento amministrativo (Ufficio "Progetti Speciali") Coordinamento con i Progetti Speciali (Ufficio Progetti Speciali) (Dirigente Servizio Urbanistica e Ambiente) (Direttore Generale)
IRS Istituto per la ricerca sociale
Claudio Calvaresi Elena Donaggio Giovanni Ginocchini
Introduzione dei temi di discussione alle riunioni del Piano Strategico
Ugo Ascoli Matteo Bolocan Gioacchino Garofoli Gianni Giaccaglia Donato Iacobucci Renato Novelli Mariangela Paradisi
Accompagnamento del processo di pianificazione strategica e redazione del documento di piano
Interventi esterni alle riunioni del Piano Strategico
(Assessore Regione Marche, Università Politecnica delle Marche) (Politecnico Milano) (Università degli studi dell’Insubria) (Assessore Regione Marche) (Università Politecnica delle Marche) (Università Politecnica delle Marche) (Università Politecnica delle Marche)
Gianluigi Mondaini (Università Politecnica delle Marche) Workshop interuniversitario “Riqualificazione Viale della Vittoria” Enzo Santurro (Retecamere) Progetto Marketing urbano Strategie di promozione del centro storico Fabrizio Costa (Regione Marche) Piano delle Attività Produttive della Regione Marche
Progetto Grafico: Capolinea.it Stampa: Stampanova