16 minute read

Un possibile modello di gestione collettiva del Parco integrato “Terme Lucane” di Latronico (PZ) · Emanuela Coppola, Giuseppe Bruno, Egidio De Stefano

Un possibile modello di gestione collettiva del Parco integrato “Terme Lucane” di Latronico (PZ)

Emanuela Coppola

Advertisement

Università Federico II di Napoli DIARC – Dipartimento di Architettura Email: ecoppola@unina.it

Giuseppe Bruno

Osservatorio del Paesaggio Regione Basilicata Email: arch.giuseppebruno@gmail.com

Egidio De Stefano

ALSIA – Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura Email: egidio.destefano@alsia.it

Abstract

La stazione termale in contrada Calda di Latronico (PZ) rappresenta un elemento di sviluppo centrale nell’ambito del significativo contesto orografico ed ecologico ambientale non solo del comune di Latronico ma dell'intero territorio di quest’area interna qual è quella dell'area a Sud della Basilicata. Questa viene identificata quale comprensorio ecologico-termale: Pollino, Sirino, Maratea, Terme La Calda di Latronico. Se il redigendo Regolamento Urbanistico Comunale di Latronico, attraverso la messa a punto di percorsi ciclo-pedonali, disegna un parco integrato mettendo in rete tutte le risorse naturali, seminaturali, agricole e antropiche presenti sul territorio (dall’istallazione artistica permanente di Anish Kapoor al fiume Sinni, dalle sorgenti termominerali all’area archeologica delle grotte preistoriche, dalle vie dell’acqua “acquari” alle archeologie industriali dell’ex centrale idroelettrica, dalla promozione e valorizzazione degli orti al mantenimento ecosistemico del patrimonio naturale -siepi, filari, boschetti e zone umide), questa proposta mira a promuovere un modello di gestione comunitario (richiamandoci in parte a quello dei Domini Collettivi) per promuovere, con il coinvolgimento essenziale della popolazione che vi risiede, una corretta e concreta politica di valorizzazione dell’intera area. Questo modello prevede la realizzazione del programma di qualificazione e gestione dell’ area in cui la collettività (popolazione che vi risiede), attraverso un suo ente rappresentativo, potrebbe svolgere un ruolo fondamentale attivo nelle implementazioni delle finalità del Parco.

Parole chiave: landscape, participation, governace

1 | Le proprietà collettive in Italia

L’ultimo rapporto del FAO rileva una crescita delle foreste italiane di 270.000 ettari in 5 anni coprendo quasi il 40% del Paese. L’Italia non ha forse mai avuto tante foreste: gli alberi, che avanzano sui terreni abbandonati per un progressivo abbandono dell’agricoltura, degradando il paesaggio con matrici sempre più omogenee e compatte. Un paese sempre più verde ma incapace di valorizzarlo e gestirlo adeguatamente. Si pensi solo al dato che l’Italia è uno dei maggiori importatori europei di legname pur godendo di un tesoro verde. Eppure solo il 9% di boschi risulta certificato nel nostro paese (FAO, 2020). Se a questo ragionamento aggiungiamo che le foreste si concentrano soprattutto nelle aree interne anche la gestione di questo patrimonio può rappresentare una occasione di sviluppo ulteriore. Il patrimonio forestale è per due terzi di proprietà privata e per un terzo pubblico ma essendo un patrimonio creciuto in seguito all’abbandono non è soggetto ad una gestione regolare ed è spesso soggetto ad incendi, fenomeno che le ondate di calore, frutto anche dei cambiamenti climatici, hanno acuito e questo rende ancora più centrale il tema di una gestione sostenibile. Tra i modi di gestione, la proprietà collettiva delle terre rappresenta una pratica affascinante e concreta ma poco utilizzata che rimanda ad una forma di “democrazia diretta” intesa però più nel senso di “cura” in quanto l'attività umana ha da sempre generato paesaggi identitari che rappresentano «relazioni co-evolutive a lungo termine tra insediamento umano e ambiente, natura e cultura» (Magnaghi, 2010).

Per proprietà «collettiva si intendono beni espressione di diritti fondamentali, di cui risultano titolari i cittadini naturali (rectius: le collettività) residenti all’interno di un determinato territorio» (Di Genio & De Vita, 2005). In particolare, questa locuzione comprende i beni, talvolta imputati catastalmente ai Comuni, per via di una specifica disposizione della Legge 1766/1927, legge fondamentale che regolamenta tutt’ora i demani comunali civici. Le proprietà collettive si possono distinguere in: • terre civiche aperte - diffuse nel centro-sud - quando la collettività che ne beneficia è costituita dai cittadini residenti in un determinato luogo; • terre civiche chiuse o meglio, terre collettive - diffuse nel nord Italia – quando la collettività che ne beneficia è costituita dai discendenti degli antichi originari, come ad esempio le Regole d'Ampezzo di

Cortina, le Vicìnie, le Consorterie, le Interessenze, le Comunelle, le Partecipanze, ecc).

I domini collettivi hanno origine dal punto di vista economico dal fatto di insistere su beni capaci di fornire utilità maggiore se goduti insieme, come accade di solito nelle zone montane. La proprietà collettiva di boschi e pascoli ha rappresentato per lunghi secoli la fonte essenziale dei mezzi di sopravvivenza della gente di montagna. Nacque, in particolare nelle zone alpine, con le tribù celtiche, che utilizzavano il pascolo in comune. I romani consideravano i pascoli pertinenze dei masi di fondovalle e li chiamavano compascua pro indiviso: i pascoli erano proprietà privata di una comunità. L'istituto regoliero (quello presente ad Ampezzo), ad esempio, si consolidò a seguito delle invasioni longobardiche (dal 578 d.C.); i Longobardi apportarono il fondamentale concetto di proprietà gentilizia, vivo tutt'oggi. I terreni erano considerati concessione dello Stato alla famiglia e dovevano rimanere indivisi; se una famiglia non aveva discendenti, i terreni ritornavano in proprietà alla tribù. Si affermò così il concetto che i pascoli erano proprietà collettiva dei consorti originari e le Regole divennero una comunità chiusa. Nel meridione, le forme di proprietà collettiva sono dette anche demanio universale o comunale o civico e godono delle qualità della inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità, imprescrittibilità, perpetua destinazione ad un determinato uso. La titolarità dei demani civici spetta alla collettività che ha il diritto di ritrarre tutte le utilità che essi possono dare. Con il tempo e per la perdita della memoria della specifica diversa origine, il demanio comunale civico, già identificato come demanio universale, finì per essere di fatto ritenuto di proprietà del Comune.

2 | “Demani collettivi civici” nella L.R. n. 57/2000 della Regione Basilicata

Il 25% del territorio lucano è costituito da demani comunali civici (patrimonio indisponibile dell’ente); parliamo di circa 250mila ettari di proprietà collettiva che le amministrazioni comunali gestiscono con molte difficoltà e senza la dovuta attenzione. In base alla L. 278/1957 come confermato dal comma 1 dell’art. 12 della Legge Regionale della Basilicata n. 57/2000, tali demani civici possono essere gestiti dall’A.S.B.U.C. (Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico): un'entità organizzata, diversa e separata dal Comune e appositamente costituita per la gestione separata delle terre e diritti civici (definite anche proprietà collettive). Alla promulgazione della legge non è seguita però nessuna azione concreta, tantomeno incentivi per la promozione magari con fondi dedicati. Il compito istituzionale dell'A.S.B.U.C. è quello di gestire e valorizzare le potenzialità dei beni di uso civico regolamentandone l’accesso e la fruizione nell’interesse collettivo di tutti gli aventi diritto (residenti del Comune), garantendo a quest’ultimi condizioni di equità; i compiti sono principalmente: - regolamentazione dei diritti di Uso Civico (pascolo, legna, funghi, caccia, pesca, acqua, sassi, semina); - tutela patrimoniale del Demanio Comunale Civico; - valorizzazione dei Beni Collettivi. Per gli usi e i demani civici occorre sottolineare con chiarezza la funzione di presidio ambientale ed il loro rilievo sociale, considerando anche che agli usi civici erano legate forme di democrazia diretta collegate ad un elevato senso di appartenenza delle persone e delle famiglie ai rispettivi territori. Le zone gravate da usi civici sono tra l’altro tutelate come aree di interesse paesaggistico ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs 42/2004. Il Comitato per l’Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico (ASBUC) è composto di cinque membri e dura in carica quattro anni. Esso viene eletto dalla generalità dei cittadini residenti nel Comune ed iscritti nelle liste elettorali comunali, secondo quanto stabilito dalla Legge 278/1957. Tra gli scopi e gli obiettivi principali dell'ASBUC troviamo: • la promozione di iniziative ed attività economiche, finanziarie, produttive, immobiliari, mobiliari, tecnico-scientifiche, anche attraverso la partecipazione a forme societarie con fini e scopi omogenei, procedere ad acquisti, alienazioni e permute;

• l'alienazione di terreni nel caso di variazioni di destinazione d’uso o qualora la gestione diventi improduttiva; • l'acquisizione di terreni per il reintegro o per l’incremento del proprio patrimonio immobiliare; • la conduzione in proprio o l'affidamento a terzi della gestione dei terreni, secondo quanto indicato nelle norme di riferimento; • la ricezione di contributi, donazioni o lasciti da chiunque pervengano; • l'erogazione di contributi ad istituzioni, associazioni o gruppi di aventi diritto che offrono servizi di carattere pubblico o utilità sociale a favore della collettività; • la solidarietà nei confronti dei meno abbienti; • la promozione, attraverso l’uso diretto o indiretto del demanio civico universale, di ogni tipo di iniziativa rivolta a valorizzare la nascita e lo sviluppo di attività economiche nei settori dell’agricoltura, dell’attività agro-silvo-pastorale, dell’artigianato, del turismo, del commercio, della tutela ambientale e in campo socio-sanitario; • la gestione della raccolta dei frutti del sottobosco; • la gestione delle risorse forestali finalizzata sia alla riduzione del rischio idrogeologico e degli incendi, che all’utilizzo sostenibile del materiale legnoso per la vendita, per la legna da riscaldamento a beneficio della popolazione residente, per la produzione di biomassa come fonte energetica rinnovabile; • il supporto per la formazione di una cooperativa per la gestione e cura delle strade di montagna, dei sentieri e della pulizia interna delle frazioni.

Tra i progetti delle Asbuc può rientrare l'ecovillaggio, un tipo di comunità basata esplicitamente sulla sostenibilità ambientale (Antinori, 2012), anche inteso nella variante di work-village (Coppola, 2017), i cui principi sono i seguenti: • adesione volontaria dei partecipanti e condivisione dei principi fondanti; • nuclei abitativi progettati per ridurre al minimo l'impatto ambientale; • uso di energie rinnovabili; • autosufficienza alimentare basata su permacultura o altre forme di agricoltura biologica. In questo senso, l'ecovillaggio si presta a costituirsi come un modello sostenibile, sul piano economico, sociale ed ecologico (uso di energie rinnovabili e tecnologie appropriate, difesa dell'ambiente e dell'economia locale...). Progetti che possono contribuire a diffondere quello che il sociologo Aldo Bonomi (2013) chiama “nuova centralità della montagna” – soprattutto in riferimento ai contesti alpini - dove la diversità dell’ambiente montano viene comunemente riconosciuta come un insieme di valori economici, socio-culturali, estetici ed esistenziali non solo complementari, ma anche in parte alternativi a quelli urbani, perciò capaci di attrarre non solo escursionisti e villeggianti, ma anche nuovi residenti, multi-residenti, neo-rurali e imprenditori innovatori. Un laboratorio - in particolare per giovani diplomati e laureati – che può dare l’avvio a un processo di crescita dei residenti, dell’occupazione e dell’offerta di servizi, destinato col tempo a ridurne gradualmente la dipendenza dai poli urbani. (Brun e Perrin, 2001).

3 | Modelli di gestione possibile

Lo scorso 21 settembre 2019, l’ALSIA, l’ Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura, ha organizzato a Villa Nitti a Maratea un Convegno dal significativo titolo “Gestione dei domini collettivi e aree interne” in cui sono state presentate la legge n. 168 del 2017 di Pagliari e alcune forme di gestione 1 dei domini collettivi come le Regole d’Ampezzo. Lo scopo del convegno è stato quello di sensibilizzare tra l’altro gli Enti Parco Nazionali della Regione Basilicata – il Parco dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese e il Parco del Pollino - verso queste nuove forme di gestione del territorio. A Cortina d’Ampezzo, come in molte località europee, sopravvivono da secoli le proprietà collettive nate per un uso condiviso di boschi e pascoli e le Regole d’Ampezzo sono state istituite con lo scopo di regolamentare un utilizzo collettivo e indiviso del territorio. L'attività secolare delle Regole è stata la gestione dei pascoli. Successivamente le Regole hanno assunto anche l'amministrazione collettiva dei boschi e del legname. Oggi le Regole d'Ampezzo mantengono queste due funzioni tradizionali, amministrando un territorio con finalità agro-silvo-pastorale e con una funzione di tutela ambientale sempre più determinante, favorendo e accogliendo tutte le inizitive economiche rivolte alle gestione turistico-ricreativa-culturali e scientifiche. Dal 1990, le Regole d’Ampezzo, nell’ambito del Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo, hanno maturato un’esperienza – unica in Italia - di un’area naturale protetta istituita da una Regione e gestita in

Referente organizzativo E. De Stefano.1

autonomia da una proprietà collettiva coniugando l’esercizio di attività agro-silvo-pastorali tipiche di una grande proprietà collettiva di montagna con le finalità dirette di tutela ambientale tipiche di un parco regionale. Di fatto, la normativa nazionale sulle aree naturali protette (Legge nazionale 6 dicembre 1991, n° 391 “Legge quadro sulle aree protette”) con l’art. 22, lett. e) riconosce alle Regioni «la possibilità di affidare la gestione alle comunioni familiari montane, anche associate fra loro, qualora l’area naturale protetta sia in tutto o in parte compresa fra i beni agro-silvo-pastorali costituenti patrimonio delle comunità stesse». 2 Negli anni ’70 del secolo scorso, è incominciato questo dialogo tra regolieri e Regione Veneto poi sfociata nell’esperienza del Parco d’Ampezzo. Allora l’Esercito Italiano svolgeva effettuava manovre, poligoni e addestramenti anche con uso di esplosivi in zone d’alta quota utilizzate dalle Regole come pascoli, località di straordinaria bellezza e di marcata vocazione naturale e turistica. Nel 1979 i Regolieri chiesero alla Regione Veneto la possibilità di istituire un parco naturale, ampliando i confini dell’attiguo Parco di Fanes Senes e Braies. Il Parco ha rappresentato un importante banco di prova per le Regole in quanto si è 3 trovato ad essere un interlocutore costante con la Regione Veneto (Regione che fino ad allora vedeva la proprietà collettiva quasi come un’entità astratta e posta ai margini dei suoi interessi) e ad avere la responsabilità di pianificare l’area protetta attraverso un Piano Ambientale. Le Regole Ampezzane hanno permesso di «sviluppare una visione più moderna di ciò che può essere una proprietà collettiva: non solo un insieme di persone interessate all’utilizzo dei proventi del bosco e al soddisfacimento dei loro diritti, ma anche una comunità che mantiene chiaro l’obiettivo del rapporto uomo-natura. Nei secoli scorsi la natura è stata fonte di vita diretta per la comunità locale, e lo è ancora oggi: un uso discreto e attento delle risorse, e una loro valorizzazione paesaggistica e turistica nel contesto di una società molto differente rispetto al passato, sono divenuti patrimonio culturale collettivo dei Regolieri ampezzani, grazie anche all’esistenza del Parco e all’impegno che essi si sono assunti nel volerlo gestire» (Lorenzi, 2019).

4 | Una proposta di gestione collettiva del Parco integrato “Terme la Calda” di Latronico

Nel Parco Nazionale del Pollino, la stazione termale (“Terme Lucane”) in contrada Calda di Latronico (PZ) rappresenta un elemento di sviluppo centrale nell’ambito del significativo contesto orografico ed ecologico ambientale non solo del comune di Latronico e del Parco ma dell'intero territorio di quest’area interna qual è quella dell'area Sud della Basilicata. Questa, nella strategia regionale di sviluppo territoriale, viene identificata quale comprensorio ecologico-termale: Pollino, Sirino, Maratea, Terme La Calda di Latronico. Se già il redigendo Regolamento Urbanistico Comunale di Latronico, attraverso la messa a punto un sistema variegato di percorsi utili a migliorare l’accessibilità dell’area (percorsi ciclo-pedonali, sentieristica, tratturi, viabilità ordinaria), disegna un parco integrato mettendo in rete tutte le risorse naturali, seminatutrali, agricole e antropiche presenti sul territorio (dall’istallazione artistica permanente di Anish Kapoor nel parco delle terme al corridoio ecologico regionale del fiume Sinni, dalle sorgenti termominerali all’area archeologica delle grotte preistoriche, dalle vie dell’acqua “acquari” alle archeologie industriali dell’ex centrale idroelettrica, dal Museo del Termalismo al Museo archeologico dalla promozione e valorizzazione degli orti al mantenimento ecosistemico del patrimonio naturale – siepi, filari, boschetti e zone umide), questa proposta invece mira a promuovere ed a proporre un modello di gestione comunitario per consentire, con il coinvolgimento essenziale della popolazione che vi risiede, una corretta e concreta politica di gestione e valorizzazione dell’intera area.

Con tale norma, lo Stato ha fatto propria la disciplina della Regione Veneto, che già con l’art.7 della L.R. 40 del 1984 prevedeva 2 che «qualora il territorio del parco sia in tutto o in parte compreso tra i beni agro-silvo-pastorali costituenti patrimonio di Comunioni familiari montane, la gestione può essere affidata alle stesse Comunioni anche associate tra loro». Le notizie sul particolare rapporto tra Regole Ampezzane e Regione Veneto è in parte desunto dal sito ufficiale delle Regole 3 D’ampezzo (https://www.regole.it/) ma soprattutto dai lavori del Centro Studi e Documentazione sui Demani civici e le Proprietà Collettive e in particolare dalla 25ª Riunione Scientifica – 21-22 novembre 2019 e dal contributo di Stefano Lorenzi, segretario generale delle Regole D’ampezzo (2019).

Figura 1 | Istallazione artistica permanente di Anish Kapoor nel parco delle terme di Calda

In questo contesto i modelli di gestione che si intendeno prendere come riferimento sono: • sicuramente l’ASBUC soprattuto per le sue finalità (questo strumento non può essere però attivato perché nato prevalentemne per gestire le proprietà collettive degli usi civici); • il “patto di collaborazione tra amministrazione locale e cittadini” (un nuovo tipo di cooperazione pubblico privato affaciatosi nel panaroma giuridico italiano negli ultimi anni alla luce della sua applicazione al settore del patroimonio culturale e stipulati sulla base di regolamenti comunali per la gestione condivisa dei beni comuni urbani); • il Patto di Paesaggio un accordo di governance partecipata rivolta in particolare alle strutture ed alle risorse dei territori degli ambiti montani e collinari. Il modello di gestione, in accordo con un approccio bioregionalista, vuole rappresenrare “una utopia concreta” dove il punto di riferimento principale è costituito dall’idea del territorio concepito come ‘bene comune’ e sul recupero della relazione co-evolutiva fra insediamento umano e dotazioni ecosistemiche che per attuarsi ha bisogno di essere supportartata da un «processo di costruzione e recupero ‘dal basso’ della ‘coscienza di luogo’ da parte degli abitanti» (Magnaghi, 2019). Il modello persegue le seguenti finalità: • promuovere fortemente la partecipazione dei cittadini nelle politiche di valorizzazione delle aree del

Parco; • conservare in via prioritaria l’ecosistema - acqua canali (acquari) e terreni (agricoli e non) - considerato anche come un elemento identitario dell’area; • promuovere iniziative rivolte a riconoscere l’importanza di tale ecosistema; • considerare paritaria la condizione – termale e rurale – dell’area e difendere tale condizione; • recuperare il patrimonio edilizio rurale identitario e riqualificare il paesaggio agrricolo; • favorire modalità amministrative e gestionali per coniugare la salvaguardia e la tutela ecologica con l' innovazione e lo sviluppo economico, culturale e sociale concretizzando lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia e la conoscenza della biodiversità per un reale miglioramento della qualità della vita e del welfare locale. In tale visione la proprietà collettiva va gestita con una logica imprenditoriale per conto della collettività attraverso uno statuto, un regolamento per la gestione e l’esercizio dei diritti, il bilancio e il piano di valorizzazione.

Attribuzioni

La redazione dei paragrafi 1 e 2 è di E. Coppola, la redazione del paragrafo 3 è di E. Coppola e E. De Stefano e la redazione del paragrafo 4 di G. Bruno

Riferimenti bibliografici

Anitori R. (2012), Vite insieme. Dalle comuni agli ecovillaggi, DeriveApprodi, Roma. Bonomi A. (2013), Il capitalismo in-finito. Indagine sui territori della crisi, Einaudi, Torino. Brun J.J., Perrin T. (2001), “La montagne laboratoire pour la science? Ou laboratoire pour la société ?”, in

Revue de Géographie Alpine. Journal of Alpine Research, n. 89-2, pp. 29-38. Coppola E. (2017), “Valorisation actions against abandonment of minor historical centers of Cilento”, in

Cerreta M., Fusco Girard L. (eds.), Smart landscapes. Hybrid decision-making processes for the spatial innovation.

Clean Edizioni, pp. 117-126. Coppola E., Bruno G. (2010), “Quali strategie per la valorizzazione dei centri storici dei “comuni polvere”?, in Moccia F. D. (a cura di), Urbanistica e Politica, ESI, Napoli. Dematteis G. (2012), “La metro-montagna: una città del futuro”, in Bonora P. (a cura di), Visioni politiche del territorio. Per una nuova alleanza tra urbano e rurale, Archetipolibri, Bologna. Di Genio G., De Vita L. (2005), “Promozione degli usi civici e tutela ambientale”, in Archivio Scialoja-Bolla

Annali di Studi sulla Proprietà Collettiva, Giuffrè, Milano, pp. 147-155. FAO (2020), Global Forest Resources Assessment, http://www.fao.org/forest-resources-assessment/2020/en/ Lorenzi S. (2019), “Il Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo come modello di accordo pubblicoprivato volto a conciliare l’interesse generale di tutela ambientale di un patrimonio regoliero con le attività e le necessità della comunità locale”, in 25ª Riunione Scientifica Centro Studi e Documentazione sui

Demani civici e le Proprietà Collettive, 21-22 novembre 2019. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino. Magnaghi A. (2019), La bioregione urbana nell’approccio territorialista, in Contesti. Città, Territori, Progetti, n.1, pp. 26-51.

This article is from: