Olona e DIntorni N.5

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Olona e dintorni - anno 2 - numero 5 - Febbraio / Marzo 2013 - Real Arti Lego Editore - â‚Ź 3,50

rivista dell’eccellenza della valle olona


uno speciale spumante per un momento speciale

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Meritum è prodoto con uve Pinot e, in piccola percentuale, Chardonnay, provenienti da vigneti selezionati delle colline dell’Oltrepò Pavese. Prodotto naturale, non trattato, che esalta tutte le caratteristiche organolettiche e salutari del vino. Risale alla notte dei tempi l’idea di aggiungere oro alle pietanze. Nell’antico Egitto ai cibi del Faraone e dei dignitari della sua corte veniva mescolata polvere d’oro, un elemento che si pensava contribuisse ad ottimizzare le funzioni vitali dell’organismo ed a potenziare le facoltà fisiche e mentali. Inoltre l’oro svolgeva una potente azione afrodisiaca. Questa credenza ha attraversato tutta la storia: si racconta, infatti, che personaggi come Cesare, Alessandro Magno, Gengis Kan, gli Sforza, il Re Sole, erano soliti mescolare polvere d’oro a vino pregiato prima di ogni incontro importante. Le ultime scoperte scientifiche hanno accertato che l’oro è commestibile, non ci sono controindicazioni per la salute, anzi gli si riconoscono proprietà terapeutiche, infatti le farmacie lo vendono in soluzioni omeopatiche come integratore alimentare con efficaci funzioni benefiche per il cuore e i reumatismi.

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ncredibile quanto il destino risenta delle nostre scelte, permettendoci addirittura di esserne artefici; pertanto non lamentiamoci della nostra condizione se non facciamo nulla per mutarla. F.C.


In copertina: ricostruzione storica nella chiesa Sant’Ambrogio della Vittoria di Parabiago. Immagine fornita da “Associazione La Fabbrica di Sant’Ambrogio”

Nel numero 4 di Olona e dintorni, le immagini relative all’articolo sul corpo musicale città di Tradate sono di Augusto Barbieri. Ci scusiamo con il fotografo per la mancata citazione. www.abarbieriphoto.altervista.org

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Anno 2 n.5 Febbraio / Marzo 2013

Direttore responsabile

Franco Caminiti Vicedirettore

Raimondo Sabatino Responsabile redazione

Elena Capano Progetto grafico

Andrea Poles Redazione

Giacomo Agrati - Franco Caminiti Gigi Marinoni - Fulvio Miscione Franco Negri Fotografia

Gabriele Alemani - Armando Bottelli Bruno Bordin - Giuseppe Cozzi Francesco Lillo - Maria Rotta Fabio Sappino Responsabile multimedia

Manolo Sabatino Hanno collaborato

Beo Corti - Roberto Cristofoletti Antonino Mazzone - Dario Poretti Francesca Zeroli La Fabbrica di Sant’Ambrogio

Edizioni e stampa

REAL ARTI-LEGO sas via Pablo Picasso, 21 – 20011 Corbetta (MI) Italy Tel. +39 (0)297211221 - Fax +39 (0)297211280 www.ilguado.it - e-mail: olonaedintorni@gmail.com Registrazione al Tribunale di Milano n. 416 del 31 ottobre 2012

(già supplemento di Pleasure of luxury - Registrazione al Tribunale di Milano n. 305 del 1 giugno 2011)


Crisi economica e... indolenza

La crisi può essere opportunità, così dicono i cinesi, sempre che un popolo abbia voglia di alzarsi e di ‘fare’. Ma la realtà che, giorno per giorno, si presenta ai nostri occhi, ci mostra un’Italia spaccata: da una parte chi non ha lavoro e farebbe qualunque cosa pur di averlo e, dall’altra, chi ce l’ha e si crogiola nel privilegio di un ‘diritto acquisito’ e super garantito. In Italia licenziare qualcuno è praticamente impossibile: non ha perso il lavoro nemmeno quel dipendente dell’aeroporto di Malpensa ripreso dalla telecamera a rovistare nei bagagli dei viaggiatori! La stessa riforma Fornero non prevede flessibilità ‘in uscita’. Una sorta di lassismo si è andato, pertanto, diffondendo nelle nostre istituzioni, per cui chi sta dietro una scrivania sa che il suo stipendio è sicuro, a prescindere dall’andamento della struttura per la quale lavora. Ora è chiaro che questa non è una regola generale, che anzi la stragrande maggioranza dei nostri impiegati lavora con onestà, serietà e coscienza; tuttavia sono sempre di più le persone che svolgono il proprio incarico senza entusiasmo, e ciò come se fosse normale: una burocrazia sempre più sorda, cieca, e indolente. Un anno fa (questa rivista era in fase di avvio), ci siamo recati presso l’Associazione Commercianti di Busto Arsizio per chiedere un incontro col Presidente e fare con lui un articolo sulla situazione economica del settore. Le

impiegate ci hanno subito drasticamente avvertiti: ‘pensare di incontrare il loro presidente era una pretesa troppo grande; sarebbero passati mesi prima che egli potesse riceverci, magari anni!’ Infatti: dopo un anno, e ripetuti appelli, non abbiamo ancora avuto un appuntamento, e ogni volta ci sentiamo dire: “Lei deve aver parlato con la mia collega, mi lasci il suo numero di telefono, la faccio richiamare”. Non ha mai richiamato nessuno. Stessa situazione con l’Unione Industriali di Varese, dove inutilmente, da mesi, contattiamo l’ufficio stampa per ottenere un incontro, ed ogni volta questi ci rimandano; proprio ieri ci ha risposto un addetto stampa: “Lei deve aver parlato col mio collega, mi lasci il suo numero di telefono!” (Non voglio essere tacciato di polemica, per cui non cito tante altre situazioni analoghe.) Allora viene da domandarsi: questi ‘filtri’ riferiscono ai loro Presidenti dei nostri appelli? Si rendono conto che, con il loro atteggiamento, fanno una pessima comunicazione per la struttura e chi la dirige? E se noi, che pure rappresentiamo una rivista di eccellenza sul territorio, veniamo trattati con ‘cortese insofferenza’, come fa il ‘cittadino comune’ ad avere un dialogo con le istituzioni? Raimondo Sabatino


La nota del direttore

Il valore di un gesto

José Alberto Mujica Cordano, l’anziano presidente della Repubblica dell’Uruguay, spopola su internet: piace questo presidente contadino, che rinucia al 90% del suo stipendio, vive in una piccola casa di periferia, va in giro con un vecchio Maggiolino, coltiva fiori e poi... parla alle nazioni, con il linguaggio del cuore, di ‘povera umanità’, di ‘sviluppo sostenibile’, di ‘fratellanza’, di ‘felicità’! E dice frasi rivoluzionarie, Mujica: ‘Stiamo governando la globalizzazione o è la globalizzazione che governa noi?’ ‘Povero non è chi possiede poco ma veramente povero è chi necessita di infinitamente tanto, e desidera...desidera sempre di più!’ Ricordo di aver letto, in un mio libro di letture della scuola media, (quindi 50 anni fa), il reportage di un viaggiatore che, avendo soggiornato in un hotel degli Stati Uniti, si stupiva che la mattina gli inservienti gettassero via le saponette nemmeno tolte dalla confezione. Perché le saponette erano comprese nel prezzo della camera e quindi andavano gettate via e sostituite. Non capivo, allora, che quello era un esempio del consumismo sfrenato che ci avrebbe storditi per decenni e che ora ci presenta il conto salatissimo di una crisi senza precedenti, di economia e di valori. La ‘bilancia dei gesti’, in questi ultimi anni pende tutta da una parte: lo strapotere del mercato, i messaggi pubblicitari che mostrano un’opulenza tanto effimera quanto fasulla, la gioia del ‘possedere’ che totalmente soppianta il valore dell’essere, non trova alcun contr’altare di umile rispetto dell’indigenza e della cultura dei sani princìpi. Ecco perché mi piace pensare che il nuovo papa possa rappresentare un ‘segno’, quel modello ‘alternativo’ per

un’esistenza che riscopra l’essenza della persona, e il più intimo valore della vita. Francesco, il papa argentino con sangue piemontese, non ha accettato le preziose scarpette rosse (non se ne abbia a male Adriano Stefanelli, l’artigiano di Novara che le produce), ha preferito tenere le sue, comode e testimoni di tante scarpinate nei quartieri poveri di Bajo Flores. Sono piccole cose, lo so, briciole di un’esistenza, come la piccola luce di un lumino che nulla può contro le migliaia di watt di una serata sfolgorante, ma che resterebbe comunque acceso se all’improvviso mancasse la corrente. Sono metafore, lo so. Ma questo papa, che sconvolge il protocollo e mette scompiglio fra gli addetti alla sua sicurezza, quando decide di attendere i fedeli davanti alla chiesa e salutarli uno per uno; questo papa che vuole personalmente pagare il conto in via della Scrofa dove ha soggiornato nei giorni precedenti al Conclave, che preferisce l’autobus, che parla al popolo col linguaggio del popolo, perché lui sì: il popolo lo conosce bene. Ebbene questo papa è quello che ci voleva per riequilibrare la ‘bilancia dei gesti’ che pendeva tutta dalla parte delle pessime abitudini e della sempre più arrogante ‘simbologia dell’apparire’, questo papa potrà porre sull’altro piatto i sani princìpi della ‘filosofia dell’essere’. Benvenuto, fratello Francesco, e che il mondo non sia sordo davanti al messaggio delle tue parole, non sia cieco davanti alla simbologia dei tuoi gesti. Franco Caminiti


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Francesco il papa della nuova speranza di Fulvio Miscione

Immagine da: www.tempi.it


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foto: Mundabor wordpress

Alle ore 19,06 di mercoledi 13 marzo 2013 la fumata bianca del comignolo della Cappella Sistina annuncia al mondo intero che i cardinali, riuniti in conclave, hanno eletto, alla quinta votazione, il 266.mo Pontefice nella storia della Chiesa. Ad una Piazza S.Pietro gremita sin dal primo pomeriggio da gruppi di fedeli di ogni nazionalità basta questo primo segnale che ha il profumo di speranza per far festa e per lasciarsi trasportare da quel sentimento di gioia leggera che, salendo dal cuore di ciascuno, riesce a trasformarla, quasi senza accorgersene, in una platea al servizio del cielo. Il contesto non muta ed anzi si rafforza quando, dopo una attesa che si è protratta ben oltre l’ora, appare finalmente sulla loggia del Palazzo Apostolico il cardinale

protodiacono Jean Louis Touran che, con voce flebile ed un poco emozionata, annuncia che il successore di Benedetto XVI è il cardinale argentino Jorge M. Bergoglio e che il nome da lui scelto per il suo pontificato è quello di Francesco. Pochi fra i presenti lo conoscono e tuttavia nel loro comportamento non c’è traccia di stupore per i pronostici disattesi. I giorni bui delle dimissioni di Papa Benedetto sembrano di colpo dimenticati, gli scandali della Chiesa, i suoi corvi con le fughe di documenti riservati vengono per un momento archiviati e, mentre nell’aria della sera prende sostanza la fisionomia del nuovo pastore, si consuma l’attesa del suo primo apparire che, nella storia dei Papi più recenti, e al di là delle note biografiche di ciascuno, ha


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spesso rappresentato il manifesto programmatico di ogni futuro impegno alla guida della Chiesa. Come dimenticare infatti l’approccio bonario e denso di umana comprensione di Giovanni XXIII, quello ascetico, un poco distaccato e comunque sofferto di Paolo VI, quello sorridente, fraterno e discreto di Giovanni Paolo I, quello comunicativo, disinvolto e grintoso di Giovanni Paolo II, nonchè quello rigoroso, profondo ed intellettualmente autorevole di Benedetto XVI: ciascuno di loro, in questa occasione, non ha rappresentato altri che se stesso ed il proprio modo d’essere, confermando, nei fatti successivi e con il proprio operare, i contenuti di quella prima e fugace apparizione. Il nuovo Papa si è presentato trascurando i formalismi, ha esordito con un sorridente “Fratelli e sorelle, buona

sera” e, dopo aver precisato che la prossima occasione d’incontro non si sarebbe fatta attendere troppo, ha chiuso il suo breve discorso con l’augurio di “buona notte e buon riposo”. In mezzo il reiterato richiamo alla necessità di camminare assieme, alla sua figura di Vescovo di Roma e al suo impegno di evangelizzazione a partire proprio da qui, il coinvolgimento dei presenti in una preghiera silenziosa in suo favore e l’inchino, denso di umana considerazione, nei confronti di una piazza festosamente ammutolita dalla spontaneità del suo invito. Fraternità, amicizia, semplicità, umiltà e rigore comportamentale sono le caratteristiche personali che Francesco ha saputo offrire a tutti coloro che lo hanno ascoltato con attenzione.


Bisogna lottare contro la povertà non contro i poveri (Jorge M.Bergoglio)

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Primo Papa extraeuropeo e primo Papa sudamericano, appartenente alla Compagnia di Gesù da quando, all’età di 22 anni, entra con convinzione nel noviziato di Villa Devoto, Jorge M. Bergoglio è figlio di immigrati italiani ed ha compiuto da qualche mese 76 anni, essendo nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936. Arcivescovo di Buonos Aires da quasi 15 anni, dopo essere stato ausiliare del cardinale Antonio Quarracino nella stessa città per altri sei, è stato prima Provinciale della Compagnia di Gesù e poi Rettore del Collegio Massimo San Josè de San Miguel. Creato cardinale nel 2001 da Giovanni Paolo II, è da sempre vicino a tutti quelli che hanno maggiormente bisogno di aiuto, è attento alle condizioni di vita degli abitanti dei quartieri più poveri e nutre la propria testimonianza di pastore con l’essenzialità di una vita spartana dove non c’è posto per il lusso e per i privilegi. Si alza prima dell’alba, abita in un piccolo appartamento e si cucina da solo, risponde personalmente alle lettere dei fedeli, si sposta usando i mezzi pubblici vestendo in borghese o indossando una semplice talare nera ed è da sempre vicino ai suoi preti soprattutto quando, senza ideologismi e con autentico spirito evangelico, denunciano gli effetti terribili del neocapitalismo esasperato anche a rischio della propria vita. Confratello e senza alcun dubbio amico del cardinale Carlo Maria Martini con il quale condivide, tra l’altro, le origini piemontesi e una spiccata sensibilità per tutto ciò che è educazione ed attenzione al mondo giovanile, ha istituito, presso la propria diocesi, uno specifico vicariato con l’obiettivo di fornire il giusto riferimento ai “ragazzi (che) crescono in una società che non chiede loro nulla, non li educa al sacrificio e al lavoro, non sa più cosa sia la bellezza e la verità delle cose”. Discreto ma fermo oppositore, fin dai suoi inizi, della teologia della liberazione che confonde fede e politica sposando tesi estremistiche in campo sociale, è tuttavia ispiratore di una Chiesa che vuole camminare tra la gente esorcizzando, in questo modo e a partire da se stesso, i rischi di ciò che, con una felice intuizione, Henry de Lubac ha definito “mondanità spirituale”. Le sue posizioni a favore di una giustizia più giusta e la sua reiterata indignazione per “le ingiustizie che impedi-

scono a pane e lavoro di arrivare a tutti”, le battaglie, purtroppo perdute dopo aver combattuto con vigore, contro la legalizzazione dell’aborto e delle unioni omossessuali volute dai governi che si sono succeduti gli hanno creato qualche problema di relazione con il potere costituito tanto da essere definito dal defunto Presidente Nestor Kirchner “il vero rappresentante dell’opposizione”. Tutto questo per dire ancora una volta che senso profondo della fraternità fra gli uomini e dell’amicizia sincera, predisposizione naturale alla umiltà di spirito e alla semplicità di comportamento, amore per la giustizia e rispetto rigoroso della dottrina della Chiesa come manifestazione autentica dei valori evangelici hanno costituito da sempre l’operato di Padre Bergoglio ed hanno fatto di lui ciò che ciascuno di noi effettivamente ha visto affacciarsi alla loggia del Palazzo Apostolico: un uomo di Chiesa lontano dalla politica e dagli ideologismi di maniera, forte della sua fede in Gesù Cristo, amante della preghiera, devoto a Maria Santissima e disposto a lavorare, con il suo aiuto ma esponendosi in prima persona, perché l’uomo, meglio, perché ogni uomo, possa raggiungere la salvezza eterna attraverso una vita terrena spesa nel rispetto della dignità propria e di quella di tutti coloro che lo circondano. D’altra parte anche la scelta di quel nome, inedito nella storia dei Papi, Francesco appunto, altro non rappresenta, da una parte, che la sintesi incarnata di questa sua vocazione a quella carità autentica ben definita da S.Paolo nella prima lettera ai Corinti (1 Cor 13, 5-7) e, dall’altra, la sua volontà di riferire la propria azione al “santo che più di ogni altro nel secondo millennio cristiano, ha rappresentato l’ideale della purezza evangelica, l’ideale di vivere le beatitudini, lontano dalle seduzioni del potere e della gloria” (V.Mancuso – La Repubblica – 14 marzo 2013). Sicuramente l’elezione del cardinale argentino rappresenta un segnale forte da parte di una Chiesa che, messa alle corde dal secolarismo del mondo occidentale, è riuscita pian piano ad andare oltre e cerca ora di ritornare alla semplicità delle origini ricorrendo alle energie presenti in quel mondo lontano spesso dimenticato. Tutto ciò con l’obiettivo ambizioso di ritornare presto a parlare al cuore degli uomini con l’unico linguaggio che ogni cuore facilmente può comprendere: quello di un cuore rinnovato dalla gioia dello spirito.


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Sua SantitĂ Joseph Aloisius Ratzinger (freeforumzone.leonardo.it)


© foto: redazione Olona e dintorni

Nuovo

Ospedale

L egnano

di

I primari dell’Ospedale di Legnano ci illustrano lo “stato dell’arte” della sanità. 14

In questo numero parliamo di: Medicina interna

di Antonino Mazzone

La Medicina Interna, presente in tutti gli Ospedali Italiani, ricovera 1.450.000 pazienti/anno, il 16% sui ricoveri totali. Il continuo e positivo innalzamento della vita media, si accompagna a un notevole aumento delle patologie croniche, diabete mellito, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), malattie ematologiche e oncologiche, malattie neurologiche degenerative, malattie reumatiche, etc. La complessità della gestione dei pazienti poli-patologici rappresenta una vera emergenza, vorrei dire un’epidemia

del terzo millennio. Il malato afflitto da quattro o cinque patologie croniche, in presenza di un’acuzie, necessita di una visione olistica e di una gestione della complessità clinica ed assistenziale che solo l’internista potrà dare. Questa “epidemia”, che si diffonderà sempre di più nei prossimi anni, dovrà essere affrontata in maniera sistematica, sia dal punto di vista organizzativo-intraospedaliero, sia dal punto di vista dell’integrazione ospedale-territorio. Nel nuovo Ospedale di Legnano la Medicina Interna è organizzata per far fronte a tutte le esigenze del territorio.


La Medicina Interna è strutturata e organizzata in attività di Degenza ospedaliera (dove vengono ricoverate le urgenze), un’attività di Degenza ospedaliera diurna (attualmente chiamata MAC, Macroattività Ambulatoriale Complessa), e un’Attività ambulatoriale specialistica di II livello, a cui accedono i pazienti esterni inviati per un parere specialistico. La Medicina Interna dell’Ospedale di Legnano è strutturata in varie competenze specialistiche di altissimo profilo, che verranno descritte successivamente. Il modo di

integrare competenze differenti permette un approccio olistico, che mette al centro il paziente, che potrà così ricevere valutazioni specialistiche complesse senza dover essere visitato da troppi medici, o peregrinare fra varie strutture. L’evoluzione dei sistemi organizzativi e tecnologici ha permesso di portare inoltre la specializzazione a domicilio del paziente: come i nostri percorsi di integrazione ospedale-territorio, realizzati in accordo con la Medicina di base.

Prof. Antonino Mazzone Direttore Dipartimento di Area Medica

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Attività e patologie internistiche curate presso l’Unità Operativa di Medicina Interna dell’Ospedale di Legnano Cura delle malattie allergiche Negli ultimi 30 anni si è osservato un incremento delle malattie allergiche, soprattutto di quelle respiratorie, nelle aree urbane del mondo occidentale (anche 25-30 % della popolazione generale). Non esiste una sola motivazione di tale aumento, ma verosimilmente molte cause vi contribuiscono, e tra queste un aumento di interesse, di conoscenze e di miglioramento diagnostico di queste patologie, variazioni di stile di vita, maggior mobilità delle persone e delle fonti allergeniche, riduzione delle infezioni, soprattutto oro-fecali nell’infanzia per migliori condizioni igieniche, che orientano il sistema immunitario verso la sintesi degli anticorpi IgE responsabili delle allergie. L’Ambulatorio di Allergologia per adulti dell’Ospedale di Legnano, afferente all’Unità Operativa di Medicina Interna, ha iniziato la sua attività nel 1984. Negli ultimi tempi vi sono stati visitati, (per la prima volta) oltre 2500 pazienti all’anno. In casi selezionati di pazienti con asma allergico, non controllato, steroide resistente, si può ricorrere anche a un anticorpo monoclonale anti IgE (Omalizumab), i famosi nuovi farmaci intelligenti.

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A volte un’allergia si può manifestare con sintomi cutanei di orticaria acuta che può essere indagata sia con test cutaneo che con il dosaggio delle IgE specifiche. Invece una orticaria che dura più di 4-6 settimane raramente è di natura allergica, ma richiede altri esami di approfondimento. Gli eczemi, nell’adulto, possono essere la persistenza di una dermatite atopica dell’infanzia, ma spesso sono l’espressione di una dermatite da contatto a qualche sostanza che si può diagnosticare mediante Patch test. Sempre più spesso si assiste a reazioni avverse a farmaci. Quando queste sono immediate (entro le 2 ore dall’assunzione) possono essere delle vere allergie (es. per le penicilline) per cui si può eseguire test cutaneo o si possono cercare nel sangue gli anticorpi specifici, mentre più spesso sono dovute ad altri meccanismi sia immunitari che non immunitari. In questi casi, soprattutto se si tratta di antibiotici o antiinfiammatori, può essere opportuno effettuare un test di tolleranza con un farmaco alternativo a quello che ha provocato la reazione per consentire al paziente una cura.


17 Cura del diabete L’odierna Unità Operativa di Diabetologia e Malattie Metaboliche del Presidio Ospedaliero di Legnano vede le proprie origini, inizialmente come semplice attività ambulatoriale, fin dal 1946, con lo scopo di fornire il servizio di prevenzione, diagnosi, cura e controllo nel corso del tempo della malattia diabetica a tutti i cittadini del bacino territoriale di Legnano, e anche ai cittadini di altri ambiti, inviati dal proprio medico curante per consulenza, applicando una metodologia basata su un approccio integrato alla malattia, teso al miglioramento dei risultati clinici, della qualità dei servizi e della qualità della vita degli utenti, nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse disponibili. L’approccio globale alla malattia diabetica applicato dagli operatori dell’Unità Operativa, assicura risposte complete al paziente (con centralità della malattia diabetica), anche attraverso la collaborazione con altri specialisti (oculista, cardiologo, nefrologo, chirurgo vascolare, ecc.). La regola di lavoro è quella dell’équipe con scambio continuo di conoscenze al fine di dare uniformità di comportamenti negli standard forniti. Ci si propone inoltre come riferimento per il bacino di utenza: nel garantire il controllo dei pazienti diabetici secondo le Linee Guida delle Società Scientifiche approvate nei Decreti regionali; nel facilitare la possibilità di una gestione integrata del paziente diabetico da parte del medico di medicina generale e dello specialista diabetologo.

Con all’attivo 6.416 prestazioni (5.914 visite) erogate nel solo anno 2011, l’Unità di Diabetologia e Malattie Metaboliche rappresenta una realtà ormai consolidata nel territorio legnanese, tesa al continuo miglioramento delle prestazioni offerte. Cura delle malattie ematologiche La cura delle malattie del sangue è un problema clinico in incremento continuo nella Unità Operativa di Medicina Interna. I progressi in questo campo sono straordinari ed hanno cambiato la storia di malattie come le anemie, le leucemie ed i linfomi, fino ad alcuni anni orsono malattie mortali e devastanti che oggi, in un buon numero di casi, guariscono od ottengono lunghe sopravvivenze. In particolare abbiamo un’équipe dedicata di 6 ematologi che svolgono attività di cura dei malati ricoverati, in regime di degenza giornaliera ed attività ambulatoriale. In reparto sono regolarmente utilizzati tutte le terapie innovative ed attuali per la cura di tutte le patologie ematologiche. Ad esempio: si cura la leucemia mieloide cronica patologia (che fino a qualche anno fa comportava il trapianto del midollo) con l’assunzione di famaci cosiddetti intelligenti come Imatinib, che guariscono il danno genetico tipico della leucemia. Così anche per il trattamento dei linfomi di Hodgkin e Non Hodgkin: anche qui i nuovi farmaci sono in grado di modificare la guarigione del 20% rispetto a prima. Dunque un campo di grandi successi che la struttura di Medicina Interna mette a disposizione del territorio e dei suoi abi-


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tanti. Oltre questi malati vengono curati i pazienti affetti da mielomi con terapie all’avanguardia e tutte le patologie che interessano la mancanza di piastrine, le anemie, le malattie chiamate sindromi mielodisplastiche, una forma di anemia che sta diventando molto frequente nelle persone sopra i 70 anni. L’attività di degenza con camere singole per i casi che necessitano isolamento, l’attività di Day Hospital e di ambulatorio è a disposizione del territorio e di tutta la popolazione.

dei quali siamo Centro Prescrittore. Il nostro ambulatorio collabora con le varie figure professionali delle diverse discipline (radiologia, medicina nucleare, chirurgia) con incontri periodici mensili per la definizione del percorso diagnostico-terapeutico del paziente cirrotico affetto da epatocarcinoma. Tutte le procedure sono gestite con l’utilizzo in autonomia di ecografia internistica, biopsie paracentesi, etc. Cura dell’ipertensione e dei fattori di rischio cardiovascolare e dei disturbi alimentari

Cura delle malattie del fegato L’attività epatologica divisionale è strutturata in un ambulatorio aperto all’utenza due giorni alla settimana per le visite di controllo, e una volta alla settimana per le prime visite. I medici sono disponibili tutti i giorni della settimana per le eventuali urgenze. I pazienti che richiedono prestazioni operative (biopsie epatiche, paracentesi diagnostiche ed evacuative, salassi, somministrazioni di farmaci) vengono gestiti in regime MAC (Macroattività Ambulatoriale Complessa) presso il Day Hospital medico-oncologico. Le patologie epatiche più frequentemente rilevate sono su base metabolica nel paziente dislipidemico, obeso, iperteso, diabetico, nei quali la malattia epatica mima la steatoepatite alcolica ma osserviamo anche una certa ripresa numerica della patologia infettiva virale, prevalentemente da virus HBV, soprattutto negli immigrati. Il trattamento farmacologico delle epatiti virali è stato negli ultimi anni rivoluzionato dall’avvento di nuovi farmaci antivirali, ultimi tra tutti gli inibitori delle proteasi per il virus C e gli analoghi nucleosidici per il virus B

L’ipertensione o ipertensione arteriosa, è una condizione cronica in cui la pressione del sangue nelle arterie della circolazione sistemica è elevata. Ciò comporta un aumento di lavoro per il cuore e per i vasi sanguigni arteriosi; la pressione arteriosa elevata si associa a patologie cardio e cerebrovascolari quali l’infarto del miocardio e l’ictus. Queste malattie sono uno dei problemi di maggiore rilevanza nel panorama sanitario italiano, in termini di mortalità evitabile, disabilità, qualità della vita, dispendio di risorse umane e finanziarie. Viene considerata un’ipertensione se vi è una pressione costantemente pari o superiore ai 140/90 mmHg. Complessivamente il 31% della popolazione italiana è iperteso e il 17% è border-line. Negli uomini i valori sono più elevati nel Nord-Est (37%) e nel Nord-Ovest (32%), nelle donne al Sud (34%). In accordo con i dati riportati in letteratura, i valori aumentano con l’avanzare dell’età e nelle donne l’aumento legato all’età è particolarmente evidente dopo la menopausa. Il beneficio derivante dal trattamento dell’ipertensione arteriosa ri-


sulta evidente: una metanalisi di 14 trial (37.000 soggetti esaminati) dimostra come l’abbassamento della pressione diastolica di 6 mmHg si correli ad una riduzione del rischio di stroke del 42% e di infarto miocardico del 14% Cura delle malattie pneumologiche L’attività di pneumologia, viene svolta per pazienti in regime ambulatoriale e di degenza. Alla prima affluiscono pazienti per valutazione clinica e funzionale: si tratta per lo più di pazienti affetti da patologie acute e croniche dell’apparato respiratorio, in evidente incremento statistico, quali asma, bronchite cronica, enfisema, che necessitano di essere sottoposti a esami di funzionalità respiratoria (spirometria, studio della capacità di diffusione alveolo-capillare, test di provocazione bronchiale specifico per la diagnosi di asma bronchiale, emogasanalisi arteriosa, test del cammino, saturimetria notturna da effettuarsi al domicilio del paziente per la valutazione dell’insufficienza respiratoria ed eventuale fabbisogno di ossigenoterapia). Nel caso di pazienti che presentano un versamento pleurico è possibile effettuare la toracentesi diagnostica; i pazienti che presentano un addensamento polmonare (polmoniti, tumori) vengono presi in carico per l’effettuazione di tutti gli accertamenti del caso (prelievi ematici, TAC, broncoscopia, PET, …). Per i pazienti che necessitano di ricovero ospedaliero si attuano le procedure previste. Esiste una stretta collaborazione con tutti i reparti ospedalieri, ma segnatamente con i neurologi per lo studio di pazienti con diagnosi di malattie degenerative, quali SLA e sclerosi multipla che vengono sottoposti a test che valutano l’efficienza della

muscolatura respiratoria (MIP e MEP: max pressione inspiratoria ed espiratoria). Presso il Servizio di Endoscopia vengono effettuati gli esami broncoscopici. L’attività di degenza è rivolta alla diagnosi e cura delle malattie acute dell’apparato respiratorio e dell’insufficienza respiratoria e cardio-respiratoria, con possibilità di monitoraggio dei parametri cardio-polmonari. Vengono trattati pazienti con insufficienza respiratoria grave mediante ventilazione meccanica non invasiva e invasiva (tracheotomizzati) anche provenienti da altre Unità Operative dell’Ospedale (Terapia Intensiva e Reparti Chirurgici) per i quali viene iniziata o proseguita l’attività di svezzamento dai presidi invasivi, la ricerca e l’accompagnamento nelle strutture riabilitative. Cura delle malattie reumatiche e osteoporosi L’attività reumatologica dell’Ospedale di Legnano è svolta da medici che fanno parte dell’Unità di Medicina. I percorsi diagnostici e terapeutici sono volti a tutelare la salute sia del paziente che ha il dubbio di avere una malattia reumatica, sia del paziente che ha una di queste malattie diagnosticata da molti anni (fase diagnostica e fase terapeutica). Il modello organizzativo del servizio è innovativo perché prevede: 1) un’attività ambulatoriale di I livello per lo screening, la diagnosi di malattie reumatiche acute e croniche che necessitano di una terapia con farmaci convenzionali; 2) un’attività ambulatoriale di II livello che si occupa di pazienti più complessi che necessitano di farmaci innovativi e/o biologici. Tali pazienti vengono presi in carico garantendo visite ravvicinate ese19


guite in base alle necessità degli stessi ed eseguendo direttamente la somministrazione e il monitoraggio di farmaci nuovi (anche in vena) estremamente efficaci e praticando prestazioni diagnostiche all’avanguardia come la capillaroscopia, l’ecografia articolare e quella toracica finalizzate ad un utilizzo clinico per agevolare la scelta terapeutica. La continuità ospedale-territorio è garantita con l’istituzione di un canale preferenziale tramite cui i medici di Medicina Generale possono richiedere direttamente visite reumatologiche tramite e-mail e tramite l’esecuzione di visite specialistiche direttamente presso gli ambulatori di cure primarie da parte dei reumatologi che escono dall’ospedale. Numerose sono le pubblicazioni eseguite dall’equipe presso riviste specialistiche italiane e internazionali. In questi anni sono stati organizzati diversi corsi di formazione per medici specialisti che provengono da tutta Italia per apprendere o affinare le conoscenze di tipo organizzativo e/o scientifico sulla gestione del paziente con malattie reumatiche. Cura delle malattie trombotiche ed emorragiche L’ambulatorio TAO (Terapia Anticoagulante Orale) è attivo dal febbraio 1997 e fa parte dell’Unità Operativa di Medicina Interna e Ematologia. Dal 1998 fa parte di FCSA, Federazione dei Centri per la diagnosi delle trombosi e la sorveglianza delle terapie antitrombotiche. Infatti l’attività è rivolta a quei pazienti in terapia anticoagulante

orale e a tutte le problematiche cliniche inerenti le malattie tromboemboliche. Attualmente seguiamo circa 2200 pazienti in TAO con più di 34.000 visite l’anno. Inoltre il nostro ambulatorio, da qualche mese, ha ricevuto la certificazione da parte di FCSA come centro di riferimento pei i nuovi anticoagulanti orali, e quindi potrà effettuare il monitoraggio clinico dei nuovi farmaci che saranno in commercio a breve. Ambulatorio di call center per l’integrazione ospedaleterritorio L’incremento della vita media è correlato a un aumento del numero dei pazienti “fragili”, cioè pazienti anziani, con numerosi fattori di rischio e plurime patologie, di difficile gestione anche dopo la dimissione dalla struttura ospedaliera. L’Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano ha voluto creare, per questi pazienti, una modalità di raccordo fra la cura della fase acuta della malattia e il reinserimento nell’ambiente quotidiano di vita, con un intervento mirato in grado di consentire l’integrazione dei servizi sanitari, sociali e assistenziali, con la costituzione di un “Ambulatorio e Call Center di Continuità Assistenziale Ospedale - Territorio Polispecialistico di Area Medica”, dove per la prima volta si applica, nella presa in carico del paziente fragile, una rete tra l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI-voucher), il Medico di Medicina Generale


(MMG) e l’Ospedale. Al paziente è offerta per un periodo di trenta giorni dalla dimissione (in affiancamento all’assistenza del MMG e dell’ADI-voucher della rete socio-sanitaria), l’assistenza specialistica ospedaliera attraverso il call center e l’ambulatorio dedicato di area medica. I risultati di efficacia ottenuti consistono nella riduzione delle riammissioni ospedaliere, nell’aumento della soddisfazione dei pazienti e dei loro familiari, nella maggiore condivisione dei piani di assistenza con pazienti: sono questi i primi frutti di tale sperimentazione organizzativa. Progetti di ricerca Attualmente vengono svolte presso la Unità Operativa di Medicina Interna numerosi studi di ricerca internazionale in campo ematologico, reumatologico e cardiovascolare, su nuovi farmaci e nuove procedure e metodi per la diagnosi e cura di molte patologie internistiche. In particolare partecipiamo a ricerche internazionali per la cura dell’artrite reumatoide e della leucemia linfatica cronica. In campo cardiovascolare stiamo valutando con lo studio “ARRIVE” gli effetti dell’aspirina in prevenzione primaria, studio volto a indagare se prendendo un’aspirina indipendentemente dallo stato di salute si riducono le malattie cardiovascolari e i tumori. Un altro importante studio si sta svolgendo sulla fibrillazione atriale, una patologia molto frequente del cuore che favorisce la formazione di trombi. Formazione avanzata, master, collaborazioni L’Unità Operativa di Medicina Interna partecipa come struttura di riferimento al Master di II livello in Clinical Governance per la Medicina Interna in collaborazione con la Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza, Università di Firenze, Istituto Superiore di Sanità Roma, Federazione delle Associazione dei Dirigenti Ospedalieri

Internisti (FADOI). Collabora con la SDA dell’Università Luigi Bocconi di Milano su un progetto di Clinical Competence in Medicina Interna. Collabora con il Campus Biomedico di Roma per un Master di III livello su “Qualità in Sanità” e a un progetto sulla complessità assistenziale in Medicina Interna Riconoscimenti internazionali e premi Uno studio Italiano coordinato dalla Medicina Interna di Legnano chiamato “2b”, riguardante il trattamento delle malattie delle arterie periferiche con un farmaco innovativo, ha avuto un riconoscimento Internazionale vincendo il II premio al Congresso Mondiale di Medicina Interna XXXI World Congress of Internal Medicine, tenutosi a Santiago del Cile il 11-15 novembre 2012. Antonino Mazzone è stato nominato dalla Federazione Nazionale Ordine dei Medici FNOM Ceo, rappresentante per l’Italia nella Commissione Europea delle Società Medico Scientifiche, con sede a Bruxelles. Il rapporto medico e paziente e l’umanizzazione delle cure L’Unità Operativa di Medicina interna opera in stretta collaborazione con le Associazioni dei pazienti GILS (Gruppo Italiano di Lotta alla Sclerodermia), ALOMAR, Lega Tumori, Associazione pazienti anticoagulati (AIPA). Oggi noi viviamo una realtà strutturale e organizzativa nuova, moderna ed efficiente. Ma tutto questo non basta. Perché bisogna avere chiaro in mente che qualsiasi innovazione ospedaliera (sia di tipo architettonico e/o tecnologico) sia qualsiasi bravissimo internista (anche buon gestore e manager) fallirebbe in assenza di eleganza, sorriso, garbo, pazienza e calore umano, nel rapporto medico, paziente e malattia.

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Il giusto mix di qualità e immagine

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Un triangolo di terra al di là del fiume Po: clima asciutto d’inverno e dolcemente ventilato d’estate, un tappeto quasi ininterrotto di vigne dalle cui uve zampillano ettolitri di vino. Consapevoli delle potenzialità del territorio, i Fratelli Giorgi hanno valorizzato i vecchi vigneti di famiglia e quindi selezionato ed acquisito nuovi appezzamenti di terreno, badando che l’esposizione e la composizione del terreno, sempre in alta collina, fossero ideali per ciascun tipo di vitigno. Mezzi e strutture non mancano nelle tre grandi cantine di Casa Chizzoli , Camponoce e Vigalone, tutte dislocate nei dintorni di Canneto Pavese. Immerse nei vigneti, esse rappresentano un perfetto connubio tra la tradizione classica dell’Oltrepo e la più moderna tecnologia. Ne derivano vini bianchi, rossi e gran spumanti. L’impegno dei Fratelli Giorgi è costante sul piano della qualità, che considerano la migliore garanzia per permettere all’azienda di raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi; sono d’altra parte sempre alla ricerca di nuove interessanti soluzioni a livello di immagine. Inoltre la crescente e continua affermazione nazionale dell’azienda Giorgi, ha fatto da trampolino a una prestigiosa escalation nell’export di fascia alta. Alberghi, enoteche, ristoranti tra i più prestigiosi al mondo ci ospitano nelle loro rinomate carte dei vini con nostro grande orgoglio.

Azienda Agricola Giorgi Fraz. Camponoce , 39/a 27044 Canneto Pavese (PV) Tel. 0385 26.21.51 – Fax 0385 60.440 www.giorgi-wines.it


LA GIÖÉUBIA di Pier Mario Tognoli

Tüti ann in tanti páes in Lumbárdia, ul vultam giovedì da genàr a riva a festa da a Giöéubia. La porta una végia tradizión di paisán d’una voeulta che brüsean un fantòciu in piaza cumè al füss una stria ca porta malefizi, par fà fini u invèrnu e cumincià a laurà i cámpi, sprerandu in un bôn raccòltu. Anca stà sìa sèmm chi a Sulbià in dul párcu di fèsti par rinuà la ricurenza. A végia ben púmpá e culúrá, cun un queicôss che ogni ann cambian, le su un catafálcu da legn che d’impruvís al sa incendia; i lighée curan vèrsu ul ciel, ul cálor infiama a facia di génti; ul vén brulèe di álpini al dà alégria, ul risòtu cun a lugàniga al và sùbitu via e finalmente a Giöéubia…la brùsa. Cun lée: brüsa un pô da a nostra invidia e ráncour, brüsa a crisi, brüsa a pulitica che la fa risià, brüsa anca chi fastìdi che sa pô superà. Guardem ul ciel limbidu e stelàa da primavéra e sprerem che a nostra vita la sia no a solita storia, …urmai a canzòn la semm a memòria!

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LA GIÖÉUBIA Tutti gli anni in tanti paesi della Lombardia, / l’ultimo giovedì di gennaio / arriva la festa della Giöéubia. / La porta una vecchia tradizione / dei contadini di una volta / che bruciavano un fantoccio in piazza / come se fosse una strega che porta i malefìci, / per far finire l’inverno e cominciare a lavorare i campi, / sperando in un nuovo raccolto. / Anche questa sera siamo qui a Solbiate / nel parco delle feste / per rinnovare la ricorrenza. / La vecchia ben pompata e colorata, / con un qualcosa che ogni anno cambia, / è su una grande catasta di legna / che improvvisamente si incendia; / le faville s’alzano verso il cielo, / il calore brucia la faccia della gente; / il vin brulèe degli alpini dà allegria, / il risotto con la lugàniga va subito via / e finalmente la Giöéubia…brucia. / Con lei: / brucia un po’ della nostra invidia e rancore, / brucia la crisi, / brucia quella politica che fa litigare, / brucia anche quei fastidi / che si possono superare. / Guardiamo il cielo limpido e stellato di primavera / e speriamo che la nostra vita / non sia la solita storia, / … ormai la canzone la sappiamo a memoria!

foto di Fausto Bossi


il Punto del Consorzio del Fiume Olona di Fulvio Miscione*

Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci

Primo Mazzolari

Bilancio di fine anno ed idee per un futuro migliore

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L’anno che si è appena concluso è stato contrassegnato da avvenimenti importanti che hanno consentito al nostro Consorzio di uscire sempre più allo scoperto e di candidarsi ad essere sempre più punto di riferimento per tutti coloro i quali hanno a cuore il bene di Olona e del suo territorio. In quest’ottica va letto l’avvenuto accreditamento, presso la Regione Lombardia, nel mese di giugno, del “Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona” e la costituzione, avvenuta a fine settembre, della Società di Distretto che ha preso il nome di “Consorzio Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona – Società Consortile Cooperativa Agricola”. Nella stessa direzione vanno letti i numerosi interventi pubblici effettuati sul territorio dai rappresentanti consortili e, soprattutto, la partecipazione del nostro Consorzio al VII Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume tenutosi a metà novembre a Bologna presso la sede della Regione Emilia Romagna. Tutto quanto abbiamo fatto in questi anni, lontano dall’essere il risultato del lavoro di una sola persona, è uscito dal dibattito consiliare e rappresenta l’indirizzo condiviso emerso dalle assemblee dei consorziati. La collegialità della gestione consortile si è manifestata anche coinvolgendo, nel lavoro preparatorio di importanti decisioni, figure rappresentative della realtà consortile nonché i rappresentanti delle amministrazioni locali convenzionate che, dopo essere stati coinvolti nella Commissione Regolamento & Statuto, fanno oggi parte, in qualità di componenti stabili, del Comitato Tecnico Permanente, a suo tempo istituito da alcuni consorziati per dare una mano concreta agli amministratori. Se tutto ciò che precede rappresenta il consuntivo delle iniziative attuate negli anni passati e, in particolare, nell’anno appena concluso, quelle che di seguito andremo a tracciare altro non sono che il risultato dell’emersione di alcune nostre idee che, concepite come tali ed elaborate nell’ultimo decennio, meritano ora di essere messe all’ordine del giorno delle questioni da affrontare e di essere

portate a compimento in un futuro non troppo lontano. Il ventaglio delle iniziative è ampio, si affianca a quelle già in atto e momentaneamente accantonate (ad esempio il progetto “Fiume Olona & Forza Motrice” relativamente all’insediamento di centrali minielettriche lungo il corso del fiume) e comprende, da un lato, alcuni interventi propedeutici al riassetto economico delle casse consortili (I), dall’altro, al completamento di progetti a valenza territoriale che possono fornire un valido contributo alle iniziative istituzionali di riqualificazione del contesto fluviale (II) e, da ultimo, ma non ultimo per importanza, a quelli di carattere informativo e culturale (III). Appartengono alla prima classe le iniziative tese alla estensione delle concessioni irrigue (I), quelle riguardanti il riordino delle convenzioni con i comuni rivieraschi (II) nonché quelle relative alla valorizzazione degli indennizzi di scarico (III). Sono comprese nel secondo gruppo le iniziative tese a riproporre progetti di riqualificazione fluviale con utilizzo di ingegneria naturalistica (I), quelli collegati al ripopolamento della fauna ittica attraverso l’introduzione di apposite “scale di risalita” (II) nonché l’effettuazione di uno studio di fattibilità per verificare la possibilità di affiancare al Distretto Agricolo il “Consorzio Forestale della Valle del Fiume Olona” (III). Fanno parte del terzo gruppo le iniziative di carattere culturale riguardanti la pubblicazione delle “Notizie storiche e statistiche” di Luigi Mazzocchi (I), la presentazione al pubblico della ricerca “Sulle sponde del fiume invisibile” (II) unitamente a quella di un DVD che anticipa la realizzazione di un film-fiction riguardante la storia del fiume ambientato nei dintorni di Castiglione Olona (III). Non è il caso di dilungarsi, in questa sede, nell’approfondimento delle singole voci: credo sia infatti sufficiente richiamare l’attenzione su alcuni progetti che, avendo valenza trasversale, possono interessare il contesto socio – economico che si riferisce al bacino dell’Olona. Ed ecco che, relativamente al primo gruppo, va sottolineata la necessità di estendere le concessioni irrigue a spicchi di territorio oggi non compresi nella giurisdizione consortile, quali, ad esempio, quelli ubicati sul torrente


Bozzente ed altri ancora riferiti al Lambro Meridionale. Tutto ciò a partire, prima di tutto, dalla considerazione, tutt’altro che marginale, che attribuisce all’irrigazione la funzione importante di gestione e di salvaguardia del territorio e, in seconda battuta, dalla constatazione, altrettanto importante, che ha visto negli anni una forte contrazione delle aree irrigate. Va ricordato infatti che nel 1881 le superfici irrigate raggiungevano 1.200 ettari (fonte: Luigi Mazzocchi – Notizie Storiche e Statistiche – Milano), che nel 1920 la superficie irrigata si era ridotta a 750 ettari (fonte: Luigi Mazzocchi – Dizionario del Fiume Olona) e che oggi essa sicuramente non supera i 300 ettari. Relativamente al secondo gruppo e tralasciando volutamente i progetti di riqualificazione fluviale, peraltro già in parte realizzati in quel di Nerviano, non possiamo omettere di citare le azioni che riguardano la salvaguardia della fauna ittica che, ormai da diversi anni, ha iniziato a ripopolare le acque del fiume. In questo senso va richiamato il progetto che, contenuto in un progetto intercomunale presentato a suo tempo alla Regione Lombardia, cassato ed oggi ripresentato ad Expo 2015, vede nella realizzazione delle “scale di risalita dei pesci” l’elemento che, in compagnia del progetto riguardante la sistemazione delle briglie e delle bocche di memoria storica, tende a ridare al fiume la sua originaria vocazione che, non dimentichiamolo, è quella di nutrire la terra con una qualità dell’acqua sempre migliore. Circa, infine, il terzo gruppo desideriamo qui evidenziare la volontà di presentare alla pubblica opinione il progetto “Sulle Sponde del Fiume Invisibile” che, curato da alcune ricercatrici e da noi voluto insieme a Lega delle Autonomie Lombardia, ha lo scopo di non far dimentica-

re, soprattutto alle nuove generazioni, ciò che la memoria dei nostri vecchi ha fino ad oggi custodito con cura. Tutto questo per dire che, se è vero e da una parte, che il Consorzio in questi ultimi anni ha saputo ampliare la propria sfera d’azione usufruendo anche di competenze ed energie professionali esterne alla propria organizzazione, è altrettanto vero, dall’altra, che tutto quanto fatto non sembra ancora sufficiente a fare di lui il punto di riferimento riconosciuto relativamente alle problematiche che ruotano attorno alla vita del fiume. Sembra infatti che a poco siano valsi gli sforzi fino ad ora profusi tendenti a mettere attorno allo stesso tavolo le amministrazioni comunali rivierasche organizzando, prima in quel di Busto Arsizio e poi in quel di Rho, gli Stati Generali d’Olona, nonché quelli, sicuramente non trascurabili, rivolti alla sensibilizzazione circa l’importanza di un disegno comune di riordino territoriale che, mettendo assieme pubblico e privato, comprenda l’intera asta del fiume da monte a valle. È pur vero, peraltro, che se l’Italia dei campanili è difficile da archiviare, è anche vero, di contro, che la gradualità di questa operazione necessaria non può essere attivata in assenza di un riferimento istituzionalmente riconosciuto. L’idea, in ogni caso, è quella di continuare ad impegnarci con passione nell’azione quotidiana e a rinnovare, in ogni momento, gli impegni di servizio che l’adesione al “Contratto di Fiume” giustamente prevede. Tutto ciò senza scoraggiarci e trasferendo nelle nostre iniziative le parole che don Primo Mazzolari amava sussurrare allorquando gli ostacoli della vita e le delusioni dell’agire sembravano non portare i frutti sperati: “ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci”. * Fulvio Miscione, Presidente del Consorzio del Fiume Olona (CFO)

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Moreno Tracchegiani dalla penna ai pennelli con maestria e umiltà Abbiamo il piacere di presentare ai nostri lettori un pittore locale particolarmente attento a trarre ispirazione dagli ambienti del nostro territorio: Moreno Tracchegiani. Persona di profonda umanità, Moreno non ama parlare, o far parlare, di sé, per cui questo articolo, impaginato quasi a sua insaputa, lo presenta con alcune opere significative della sua vastissima produzione, ma insufficenti, certo, a dare la cifra compiuta della sua arte. Quella che segue, tra l’altro, non è un’intervista, ma una serie di ‘virgolettati’ che riteniamo siano appena sufficienti a dare una percezione dell’uomo e dell’artista, della maestria con cui padroneggia la tecnica pittorica e del fatto che egli non si allontana mai dall’umiltà.

Pur cosciente delle proprie possibilità, Tracchegiani resta sempre riservato, quasi schivo; non per timidezza, giacché Moreno, in quanto giornalista di professione, non può caratterialmente esserlo, ma per quel pudore che emerge da ogni vero artista quando si tratta di mostrare le proprie opere. Così come ogni persona seria e rispettosa conserva una buona dose di pudore quando si vede ‘costretta’ a mostrare l’intimità del proprio animo. Lontano da quella ‘accademicità’ che, qualche volta, nel conferire maggiore spessore culturale, finisce con l’orientare, condizionare, e forse, in qualche modo ‘limitare’, Moreno Tracchegiani mantiene la genuinità di chi ha imparato a dipingere da solo, come lui stesso ama ricordare:


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Un pensiero verso il cielo (40 x 50 cm, olio su tela, 2006)


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Il Naviglio a Bernate Ticino (30 x 50 cm, olio su tela, 2005)


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Il Naviglio a Robecco (18 x 24 cm, olio su tela, 2005)

“In un momento di particolare sensibilità e solitudine avvenne, circa 20 anni fa, il mio incontro con la pittura. Un incontro da vero e proprio autodidatta, privo di qualsiasi studio accademico, avvalorato solo dalla presenza delle opere e dalle testimonianze degli artisti del passato e in particolare degli impressionisti, miei pittori

di riferimento per tecnica, per contenuti e per stile, che si allontanava dalle antiche rappresentazione classiche e si avvicinava alla specificità dei princìpi estetici moderni”. “I valori della pittura del secondo ‘800 si avvicinavano ad una nuova moralità nell’arte e a valori etici che por-


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La cascina di Castelletto di Cuggiono (35 x 55 cm, olio su tela, 2006)

Una gita al Lago Maggiore (25 x 35 cm, olio su tela, 2007)

tavano la pittura a teorie più vicine ai giovani e ai nuovi valori dell’arte moderna, dove l’impressionismo e gli artisti impressionisti diventavano nuovi pittori di riferimento per tecnica e per stile. L’impressionismo è l’epilogo di un modo particolare di appropriarsi di aspetti nuovi del mondo artistico, dise-

gnando e dipingendo”. “Il metodo, spesso accostato al ‘realismo’, si era venuto formando in Europa con il passaggio al nuovo secolo (‘800/Courbet). Dal ‘realismo’ l’impressionismo prendeva spunto e di-


ventava una filosofia di vita e di scelta artistica. Si insegnava così all’osservatore a vedere a sua volta in modo nuovo la natura, esaltazione del disegno e del colore simbolo di una coerenza stilistica nel tempo, spunto di riflessione, di affettuosità, di attaccamento alla vita, alle passioni e allusivo del lento invecchiare e del trascorrere del tempo”. “Oggi, l’arte e la pittura del terzo millennio, induce ad amare riflessioni: viviamo sempre di più in una contemporaneità creata artificialmente. Il nostro orizzonte espressivo è sempre di più condi-

zionato dal virtuale, dall’assenza della materia sino ad un vuoto dell’esistenza”. “Nell’importante sede del College De France si è recentemente affermato che uno dei limiti dell’arte contemporanea è la ‘teoria’ che supera la realtà della pittura. Nell’assenza della materia che ne deriva, dal vuoto di esistenza conseguente sembra scomparire il senso dello spazio e del tempo, simbolicamente e concretamente scompare l’uomo”. “Se i caratteri dell’arte tardomoderna che stiamo vi-

Mattanza dei tonni (copia del dipinto di Antonino Leto - 1873, Museo di Capodimonte - NA, 41 x 62 cm, olio su tela)

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vendo sono l’oscillazione degli stili e dei linguaggi, è necessario ricercare un senso e dare concretezza all’idea che guida la tecnica e lo stile come se fosse il ritorno all’impressionismo visto come una corrente artistica viva, sviluppatasi accanto ad altre correnti in una situazione storica e culturale unica, per agevolare l’arte, per coinvolgere la riflessione dei giovani che conduca ad un nuovo profondimento artistico. Quindi natura e paesaggio visti attraverso una particolare interpretazione di colore e luce che sfiorano nella loro realizzazione punti di grande modernità”.

Pomeriggio in giardino (30 x 40 cm, olio su tela, 2005)

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...viviamo in una contemporaneità creata artificialmente; l’orizzonte espressivo è sempre più condizionato dal virtuale, dall’assenza della materia e del reale. In questa situazione, dove modernità e postmodernità producono un affastellamento di stili e una confusione di linguaggi, è necessario ricercare un senso all’idea di fare arte.


Vasche di laminazione Decollato il procedimento espropriativo dei terreni di Fulvio Miscione

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Poco prima di Natale, precisamente in data 11 dicembre 2012, è stato pubblicata sul quotidiano “QN – Il Giorno – Resto del Carlino – La Nazione” la comunicazione di avvio del procedimento riguardante le opere di laminazione delle piene d’Olona da realizzare nei comuni di Legnano, S.Vittore Olona, Canegrate e Parabiago. La nota è stata redatta da AIPO – Agenzia Interregionale del Fiume Po e, nella sostanza, costituisce l’avvio del procedimento espropriativo dei terreni ritenuti funzionali all’operazione che si potrà concretizzare, in tutti i suoi aspetti pratici, non appena l’opera nel suo complesso verrà dichiarata, a seguito di ciò, di pubblica utilità. I terreni che saranno sottoposti ad esproprio sono ubicati nei comuni interessati al progetto e riguardano una cinquantina di proprietari che hanno avuto la possibilità di presentare a chi di dovere le proprie osservazioni nei trenta giorni successivi alla prima pubblicazione. L’idea di realizzare le opere di laminazione su questo tratto di fiume affonda le proprie radici nella storia di queste parti e ha rappresentato, soprattutto negli ultimi anni sotto la spinta di fenomeni esondativi di un certo rilievo, un punto di attenzione per le amministrazioni locali che, sicuramente condizionate dal comune sentire, si sono di volta in volta trovate ad assumere posizioni fra loro non omogenee rispetto all’opportunità realizzativa. È tutt’altro che un caso infatti che nella Conferenza dei

Servizi tenutasi presso la sede regionale in data 1 agosto 2011 le amministrazioni di Parabiago e S.Vittore Olona abbiano espresso, seppur con diverse sfumature, parere contrario mentre quelle di Legnano, Canegrate e Nerviano si dichiaravano d’accordo, in ciò essendo supportate dalle osservazioni rassicuranti presentate, in quella stessa sede, da Regione Lombardia e dall’Autorità di Bacino. Tuttavia, ora che il progetto definitivo è stato approvato e che quello esecutivo è in fase avanzata di elaborazione, è quanto mai opportuno che gli enti e le associazioni che si riferiscono soprattutto al mondo agricolo facciano la loro parte rafforzando, attraverso una testimonianza adeguata, le convinzioni che fin qui le hanno accompagnate nell’individuare in una agricoltura rinnovata ed in linea con il mutare dei tempi una componente essenziale per il governo del territorio. Se infatti e da una parte non è in discussione l’opportunità realizzativa di una tale soluzione (le vasche inaugurate negli anni scorsi nella parte alta in quel di Gurone hanno già dimostrato la loro utilità sociale), dall’altra è quanto mai necessario che la sua realizzazione trovi assoluto fondamento in precisi requisiti progettuali in linea con il contesto territoriale e non finisca in questo modo per rappresentare, a lavori ultimati, l’ennesimo colpo basso ad una agricoltura già in difficoltà. È proprio a partire da quest’ultima considerazione che


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va letto il parere favorevole a suo tempo espresso dal Consorzio del Fiume Olona. Senza voler toccare, per il momento, la componente economica riguardante un equo indennizzo per i terreni espropriati (da destinare sia ai proprietari che agli affittuari in proporzioni diverse), va rimarcato, anche in questa sede e in prima battuta, quanto già affermato nella Conferenza dei Servizi dell’1 agosto 2011 e cioè che la realizzazione dell’opera non deve limitare, nella maniera più assoluta, la fruizione del diritto irriguo per tutti quegli utenti i cui terreni, non essendo soggetti ad esproprio, logisticamente sono posizionati nelle loro vicinanze. Ciò anche in considerazione del fatto che l’irrigazione di per se stessa rappresenta, da sempre e comunque, una forma di vita e di governo del territorio che, altrimenti, sarebbe lasciato, nella migliore delle ipotesi, al proprio destino di abbandono. D’altra parte e per conseguenza è altresì consigliabile non tralasciare di considerare, fin da ora, quegli aspetti che, ad opera realizzata, potrebbero riservare sorprese non gradevoli in presenza di un contesto fluviale e territoriale denso di problemi da tempo irrisolti. Tralasciando, per il momento, di considerare l’annoso problema circa la qualità dell’acqua che merita, per la sua complessità, un approfondimento adeguato, dobbiamo focalizzare il tema della sorveglianza della struttura di

protezione e della gestione e manutenzione del verde al suo interno che, senza ombra di dubbio, rappresentano il primo tassello da riempire con immediatezza attraverso il coinvolgimento di tutti quei soggetti che, per esperienza e per competenza, sono in grado di offrire adeguate garanzie di affidabilità. Se il Consorzio del Fiume Olona sembra essere il naturale candidato a gestire tutti gli aspetti riguardanti in senso lato la sorveglianza, è altrettanto naturale che le opere manutentive di contorno debbano essere assegnate, per il tramite del Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona, a quegli imprenditori agricoli che, privati dei loro terreni, in questo modo vengono destinati, da parte degli organismi regionali, ad operare nell’interesse della collettività. Tutto questo per dire che le opere di laminazione delle piene d’Olona possono rappresentare un’opportunità di crescita per il territorio solo nel caso in cui la loro realizzazione possa passare attraverso il coinvolgimento di coloro i quali da sempre vivono tale contesto a fianco delle amministrazioni interessate e dove Consorzio del Fiume Olona e Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona rappresentano soprattutto oggi i naturali e più immediati riferimenti operativi.


S

Domenico

intervista

pampinato

di Franco Negri

l’arte come vero messaggio di vita e missione educatrice dello spirito

Intervista a cura di Franco Caminiti

Foto di Raimondo Sabatino (le foto di repertorio sono state fornite dall’artista)

Clicca sul simbolo per guardare il video di questa intervista

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Ettore Viganò (bronzo - Tradate)

“L’arte contemporanea, sottoposta al confronto e alla competizione con i mezzi di riproduzione meccanica dell’immagine, ha accettato la sfida ed ha evitato, dall’impressionismo fino alle avanguardie, il confinamento dell’artista nello spazio platonico di una contemplazione distante dalle cose”. Questo concetto, espresso in modo sintetico dal critico d’arte Achille Bonito Oliva a proposito

dei Grandi del Novecento, ben si applica all’artista Domenico Spampinato, scultore novantenne, per il quale non è mai esistita la scissione tra arte e vita. La sua è un’intensa avventura creativa, è il bisogno di toccare la vita con gli strumenti dell’arte: una testimonianza della coerenza di un modo di sentire e di essere.


L’amore è una cosa stupenda, una cosa spontanea che deve sorgere dentro di noi, non si può raccontare e non si può inventare, si deve seguire...

Gli facciamo visita nella sua casa di Busto Arsizio e assieme alla moglie ed ai famigliari ci accompagna nel suo laboratorio. Lo ascoltiamo, assecondando i suoi ritmi nel muoversi e nel parlare, ammirando un uomo carico di affascinante esperienza. È il maggiore di sei fratelli, cresciuto nell’ambiente catanese dell’epoca dove la povertà era naturale compagna di molte famiglie tra cui la sua, assolutamente restìa a scendere a compromessi. Dimostra fin da bambino una notevole sete di conoscenza per tutto quello che riguarda l’arte dello scolpire e del disegnare. Autodidatta nei suoi studi, attinge dai grandi del passato le tecniche fondamentali e perfeziona a ‘bottega’ le sue capacità: viene infatti molto presto portato dal padre nel laboratorio del nonno marmista che, consapevole delle capacità del nipote, lo presenta agli amici mostrando i suoi disegni. Questo episodio, raccontato con emozione dalla figlia Antonietta ci è confermato dall’artista stesso che prosegue rivelandoci il momento in cui è scoccata la scintilla dell’amore alla scultura: “Ho cominciato con il ‘Corriere dei piccoli’ (giornalino che ha accompagnato l’educazione di tante generazioni di italiani) dove avevo visto un bassorilievo che Michelangelo aveva fatto a 13 anni e volevo imitarlo”. A 15 anni, dunque, realizza la sua prima opera (1935), un piccolo capolavoro, il ‘Putto’ in marmo, alto cm. 65. L’ambiente prevalentemente analfabeta in cui vive non gli

Putto (marmo, 1935)

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facilita comunque un apprendimento culturale e artistico, ma le sue innate capacità e le sue fortissime motivazioni gli consentono di superare tante difficoltà; la voglia di applicarsi, di leggere, di informarsi, di studiare, di socializzare gli rimarranno per tutta la vita. Comincia così a guadagnarsi da vivere creando piccole statue, è di sostegno alla famiglia ed ai fratelli tutti più piccoli.

1940 a Bologna alla finale dei ‘Littoriali’, dove tuttavia non ritira il 2° premio ottenuto, rivelandosi già in quell’occasione persona schiva e poco incline ad ‘apparire’.

Nel frattempo viene individuato come giovane talento e selezionato dalla Regione Sicilia per partecipare nel

“Sono partito poi per il servizio militare - ci rivela lo scultore - e dall’Albania sono ritornato con un mio commi-

Conosce i conterranei scultori Emilio Greco e Francesco Messina, di appena qualche anno più anziani, con cui, diventato amico, condivide i nuovi orientamenti artistici.


litone, di Biancavilla di Catania (situato alle falde dell’Etna), gli unici due sopravvissuti della nostra Compagnia, dopo cinque giorni di fame, tenendoci svegli con massaggi reciproci per non congelare”. “Poi mi hanno mandato sul fronte francese e poi a Turbigo a presidiare il ponte sul Ticino nel 1943”.

Proprio durante la guerra esegue un’opera (carboncino, cm 220x280) dal titolo ‘Umana perversione’: essa viene esposta (1944) al Broletto di Novara e pubblicata a livello nazionale sui giornali dell’epoca, ottenendo un premio che tuttavia Spampinato non ritira. Di tale opera l’artista conserva una grande copia fotografica nel suo studio. Come ci dice l’Autore, “é un disegno in stile dante-

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Serenella (marmo - 1981)

sco che illustra gli orrori della guerra che negli stessi anni stavo vivendo in prima persona”. Ci viene spontanea una considerazione: non appare irriverente verso altri artisti (Goya, Picasso) rammentare che quest’opera, vista la bellezza, la potenza espressiva e la motivazione, rappresenta un emblema del nostro tempo, dell’epoca contemporanea e non solo, che non può non richiamare altre grandi e famose opere della storia dell’arte, come ‘Il 3 maggio 1808 a Madrid’ e ‘Guernica’, realizzate con analoghe motivazioni ed altrettanta intensità. Ritornerà, a guerra ultimata, nella zona del novarese:

Sacra Trilogia (marmo)

a Ponte Vecchio di Magenta conosce la futura moglie Giovanna, e lì si stabilisce, sostenendo economicamente nel contempo la famiglia d’origine. Nel milanese intanto ferve il lavoro di ristrutturazione e reintegrazione dei maggiori monumenti, a cui Spampinato partecipa restaurando alcune delle statue danneggiate del duomo di Milano e della Chiesa milanese di San Fedele. La sua attività viene conosciuta ed inizia allora un lungo periodo di lavori su commissione. Realizza moltissime statue in marmo per chiese, piazze e privati e partecipa ad esposizioni e concorsi dove ottiene sempre ottimi riconoscimenti. La sua è un’intensa avventura creativa, quasi una osmosi tra arte e


vita, come abbiamo accennato all’inizio. Ciò si evidenzia in tutte le manifestazioni dell’agire: la creazione di una scuola d’arte a Ponte Vecchio, dedicata a coltivare musica e teatro, l’iniziativa di acculturamento a partire dalla lingua italiana, in un ambiente contadino in cui solo il dialetto era l’idioma conosciuto, la realizzazione di scenografie teatrali e la scuola di recitazione e di regia: tutto ciò testimonia lo spirito dell’ ‘uomo’ Spampinato, della sua carica interiore, della sua opera sociale oltre che di quella artistica. Da Ponte Vecchio di Magenta a Busto Arsizio nel 1959: qui apre, dopo dieci anni, il nuovo atelier ‘sotto casa’, una casa costruita ‘con le sue mani’: “ho fatto

Busto di giovinetta (marmo, 1947)

il progetto e anche il muratore, praticamente tutto”, afferma con comprensibile orgoglio, interrompendo così anni di spostamenti giornalieri in bicicletta verso la località di maggior committenza di sculture, come quella realizzata e posta nei giardini pubblici di Magenta, dedicata “Al Donatore di sangue”. Diventa membro e corrispondente di varie accademie e istituzioni culturali, tra le quali l’Accademia Tiberina, l’International Burckhard Akademik, l’Accademia dei 500.

Miscredente (marmo, 1941)


Monumento al Donatore di sangue (bronzo, 1962 - Magenta)

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Nel 1979 partecipa con due opere alla “III Mostra d’Arte Sacra” di Cracovia, manifestazione internazionale che si svolge in onore della visita di papa Giovanni Paolo II e che lo vede protagonista col suo ‘Miscredente’, un marmo del 1941: “L’avevo realizzato in tre giorni, a Catania, durante una licenza di guerra e avevo negli occhi le sofferenze della guerra, quelle fisiche e soprattutto quelle morali,

di gente attorno a me provata dal destino, dalla sfiducia … e - aggiunge Spampinato con un senso di rimpianto e amarezza - da Cracovia non me l’hanno più restituita, nonostante l’ottenimento del premio speciale e il 1° premio di scultura”. Alla domanda del motivo per cui non l’ha in seguito rifatta ribatte: “Quell’espressione sul volto del ‘Miscredente’ non è ripetibile, le mie opere sono uniche,,


come il sentimento che le suggerisce e sono il segno di un momento particolare della mia vita!”. Un pensiero forte, che fa a pugni con la mentalità mercantile di tanti scultori, famosi e non famosi, che moltiplicano le copie delle loro opere. L’episodio di Cracovia fa segnare il passo per molti anni alle esposizioni del Maestro, non più disposto a mostrare se stesso e le sue opere. Nei primi anni 2000 il Comune di Tradate, e in particolare l’allora sindaco Candiani, cultore di storia e tradizioni, commissiona, interpellando Giancarlo Oldrini, genero del Maestro, il tondo in bronzo ‘Ettore Viganò’: l’opera commemora l’uomo politico tradatese, nominato vice governatore dell’Eritrea nel 1897 e senatore del Regno d’Italia nel 1906. Essa viene collocata all’ingresso del Palazzo Comunale. In quegli stessi anni Spampinato realizza la grande scultura ‘Discesa dal Golgota’, un bronzo alto cm. 190, definita da alcuni la nuova ‘Pietà’.

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La visita del laboratorio volge al termine. Abbiamo il tempo di soffermarci ancora su qualche opera, sculture o significativi bassorilievi. La qualità artistica e il profilo umano sono già emersi in tutta chiarezza, ma alcune domande vogliamo proporgliele, senza tuttavia abusare troppo del tempo che il Maestro ci concede. Come vede i ragazzi d’oggi e quale messaggio propone loro? Trovo che è molto più difficile oggi per i ragazzi, nonostante non conoscano la povertà di tanti anni fa, perché oggi ci sono troppe contraddizioni e loro sono le prime vittime.


Quanto conta l’amore nella vita per una persona? L’amore è una cosa stupenda, una cosa spontanea che deve sorgere dentro di noi, non si può raccontare e non si può inventare, si deve seguire... Qual é il suo rapporto con la fede, con Dio? Io ho lavorato moltissimo e il 60 per cento di quello che ho fatto è stato per opere di carattere religioso, per la religione cristiana, fatto con convinzione. Ho superato i pericoli della vita rivolgendomi a Dio e quindi poi diventa spontaneo continuare a credere. Che cos’è la dignità dell’uomo, quanto vale un uomo onesto?

quella che si dimostra con l’agire. Quanto vale un uomo onesto? Tutto! “ E l’onore? È qualcosa che si ha dentro, è il rispetto verso l’uomo, o si ha o non si ha. Maestro, possiamo concludere citando, e condividendo, una frase del suo amico scultore Manzù: “Io lavoro perché mi è una necessità indispensabile all’anima. Per il resto, se vi è qualcosa da dire, penseranno i miei disegni e le mie sculture”.

La dignità non è quella detta, quella proclamata, ma

L'artista insieme alla moglie Giovanna


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Genesi La LIUC – Università Cattaneo sorge nel 1991 a Castellanza (Varese) per iniziativa dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, con uno scopo preciso: favorire lo sviluppo della cultura aziendale e preparare professionisti d’impresa. Il progetto viene presentato nel luglio 1989. L’attività accademica ha inizio nell’ottobre 1991. Per la realizzazione del progetto vengono coinvolti gli imprenditori industriali del territorio, che vi aderiscono

numerosissimi (più di 300) in un vero e proprio concorso corale, con apporti economici spesso significativi che raggiungono importi individuali che in alcuni casi superano anche il miliardo di vecchie lire. Tra i nomi più noti di imprenditori o di imprese del territorio (e anche fuori del territorio) che hanno contribuito economicamente all’inziativa: BTicino, Bulgheroni, Carlsberg, Hewlett Packard Italia, Lamberti, Missoni, Rostoni, La Tipografica Varese, Gruppo Mazzucchelli, Sottrici, Techint, Usag, Whirlpool e molti altri ancora. Il progetto ha da sempre una precisa connotazione:


una Università di eccellenza in Valle Olona

LIUC quella di Università voluta e realizzata materialmente dagli imprenditori per l’impresa. É una iniziativa di grande rilievo nel campo della formazione, a dimostrazione della consapevolezza che le imprese hanno acquisito nel considerare sempre più la risorsa umana come fattore strategico per vincere una sfida competitiva che si fa ogni giorno più stringente. Tutte le risorse necessarie alla realizzazione del progetto vengono ottenute dal settore privato, con il sostegno del settore bancario locale, senza alcun concorso del settore pubblico.

Governance Il rapporto diretto con la realtà imprenditoriale è il punto di partenza di tutta l’attività dell’Università, sia essa didattica o di ricerca: un rapporto necessario affinché rimanga ben stretto il contatto con le problematiche concrete dell’economia, nella fondamentale salvaguardia del valore della libertà, che in sede accademica acquista un valore di particolare importanza perché, se ben radicato, deve essere trasferito ai giovani che in quest’ambito vengono formati.

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Il primo requisito per concretizzare tale libertà è l’autosufficienza economica e finanziaria. L’Università Cattaneo è un’Università libera, autonoma, indipendente anche dal punto di vista economico, che ha nella separazione delle responsabilità, nella reciproca autonomia e nella ricerca di una fattiva collaborazione tra il Consiglio di Amministrazione e il Senato Accademico una delle sue peculiarità. La Governance rispecchia dunque la sua genesi: •

al Consiglio di Amministrazione, formato in larga maggioranza da imprenditori, il compito di definire modalità e strategie per la gestione e lo sviluppo dell’Università in coerenza con gli indirizzi di fondo prescelti al momento della sua fondazione; agli organismi accademici il compito di sviluppare in piena autonomia, ma nell’ambito degli ordinamento generali definiti dal CdA l’attività didattica, la ricerca e la formazione extra-didattica.

Il Presidente del Consiglio di Amministrazione, designato statutariamente dal Comitato dei Garanti della “Associazione per il Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo”, è, dal luglio 2000, Paolo Lamberti, Cavaliere del Lavoro e già Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. Primo Presidente è stato Flavio Sottrici, cui è subentrato, dal maggio 1993 al luglio 2000, Antonio Bulgheroni, Cavaliere del Lavoro: anch’essi, in precedenza, hanno ricoperto la carica di Presidenti dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. Tra gli imprenditori attualmente presenti nel Consiglio di Amministrazione: lo stesso Bulgheroni, Marino Vago, già Vicepresidente di Confindustria, Alberto Ribolla e Michele Graglia, ex Presidenti dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e Giovanni Brugnoli, attuale Pre-

sidente della stessa Unione. La LIUC è l’unica Università italiana ad avere un sistema di governance che prevede un ruolo essenziale, perdurante del tempo, dei suoi fondatori, nella fattispecie gli imprenditori. Riconoscimento istituzionale L’Università Cattaneo è stata ufficialmente istituita con decreto del Ministro dell’Università 31 ottobre 1991. É quindi abilitata al rilascio, ai sensi dell’art. 6 della legge 245/90, di diplomi di laurea aventi valore legale. Perché Carlo Cattaneo L’intitolazione a Carlo Cattaneo ha il significato di un omaggio al grande pensatore che ha avuto l’intuizione di accostare, ai tre elementi della scienza economica classica - materie prime, capitale e lavoro - l’intelligenza e la volontà degli uomini, riconoscendo così la centralità dell’uomo all’interno dei processi economici. Il complesso immobiliare L’ Università Cattaneo ha sede a Castellanza (Varese) in un’area complessiva di 81.000 mq sulla quale insistono antichi e prestigiosi edifici che hanno ospitato sin dalla fine del 1800 il Cotonificio Cantoni, storica azienda tessile. Una curiosità: dopo la dismissione dell’attività cotoniera, il complesso fu acquistato da Montedison, della quale Raul Gardini era allora il maggior azionista. Proprio in quelli che ora sono gli uffici dei docenti e del personale LIUC fu progettato allora il Moro di Venezia. Il recupero degli edifici industriali è stato realizzato su


progetto dell’architetto Aldo Rossi, Premio Pritzker d’Architettura, che, rispettando l’architettura originaria, ha reinterpretato in chiave moderna l’utilizzo degli spazi. Il risultato, frutto di un recupero di archeologia industriale, è di grande semplicità e linearità di stile, con un accostamento di materiali che arricchiscono e distinguono l’insieme con notevole armonia. Il complesso immobiliare si sviluppa su due ampie aree divise dalla strada statale del Sempione, vecchio tratto, e collegate da un sottopasso pedonale. Sulla prima area di complessivi mq 35.000 insistono tutti gli uffici dell’amministrazione e della docenza (mq 4.026), i centri di ricerca (mq 1.584), la biblioteca (mq 2.926), il centro risorse informatiche, la sala studio (mq 597), il bar (mq 921), la piazza dei Gelsi e la piazzetta dei Gelsomini (mq 4.000) e un parco secolare di mq 26.000. Inoltre in quest’area insistono altri due edifici: •

il primo edificio di complessivi mq 2.880, con una capienza di 700 posti studio, è destinato ai Master e alla formazione manageriale con aule di diverse dimensioni ad elevato contenuto tecnologico e con salottini progettati per lavori di gruppo, oltre ad un Auditorium dotato delle migliori tecnologie; il secondo edificio, Villa Jucker, storica costruzione di circa 2.000 mq, è affacciato sul parco, è affiancato da una serra del primo Novecento ed è destinato a sede di rappresentanza.

Sulla seconda area di mq 10.000 insistono due strutture e un ampio parcheggio (mq 6.000) per 450 posti auto. •

La prima di mq. 470, attualmente denominata “caffetteria”, è utilizzata come sala studio. Per

utilizzare al massimo le sue potenzialità è prevista una ristrutturazione che la renderà idonea a rispondere a varie esigenze d’uso (sala congressi/ riunioni, ecc). •

La seconda struttura, di ampie dimensioni, è formata da tre moduli:

- Il primo modulo è attualmente utilizzato per aule (mq. 8.500), laboratori informatici e linguistici (mq.1.500). - Il secondo modulo è composto da due edifici di mq complessivi 18.564 disponibili per futuri interventi (mc 97.000, sviluppato su tre piani con un altezza per piano di circa 5 metri). Il nuovo piano regolatore consente di svolgere in questi edifici non solo attività strettamente universitarie, ma anche attività di ricerca in senso lato, attività congressuali e attività affini alle precedenti con la sola esclusione delle attività commerciali. - Il terzo modulo è dedicato alla Residenza Universitaria (mq.13.500), alla mensa (mq. 3.000), al bar con annessa piastra commerciale, laboratorio informatico, aule studio (mq. 3.055). Tutti gli spazi universitari sono coperti da un sistema wireless che consente agli studenti, ai docenti e al personale agli ospiti di accedere ad Internet e agli altri servizi informatici.

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intervista Intervista a cura di Franco Caminiti Foto di Raimondo Sabatino (le foto di repertorio sono state fornite dall’ufficio stampa "Comunicazione e immagine") Valter Lazzari, rettore dell'Università LIUC

Il direttore di ‘Olona e dintorni’ Franco Caminiti ha incontrato il rettore dell’Università LIUC Valter Lazzari, l’intervista è stata registrata e nel trascriverla è stato mantenuto lo stile discorsivo, riportando le risposte del magnifico rettore così come le aveva formulate parlando ‘a braccio’. Abbiamo ritenuto che un intervento redazionale sull’intervista avrebbe tolto spontaneità alle risposte.

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C’è una formula economica che lei suggerirebbe ai nostri politici per portare l’Italia fuori dal pantano? Formule economiche facili, purtroppo, non ce ne sono: se uno ce l’avesse sarebbe talmente ricco da potersi permettere di vivere tranquillo e beato ad Acapulco o alle Maldive. Il mondo è molto complesso, molto più competitivo. Dobbiamo adeguarci al passo che il mondo ci impone, ossia incrementare la nostra competitività, aumentare la nostra produttività. Per farlo occorre promuovere la libera iniziativa entro un quadro di regole ben definito e un sistema burocratico efficiente che sostenga e non mortifichi lo spirito di intrapresa e di, soprattutto, di innovazione. La grande differenza di oggi rispetto a qualche decennio fa è che nel dopoguerra l’economia italiana è cresciuta importando e replicando le innovazioni sviluppate all’estero, specialmente negli Stati Uniti, ma oggi questo non è più possibile. Essendo uno dei Paesi più sviluppati al mondo, ci giochiamo la partita su un campo molto più competitivo, in cui occorre essere in grado di sviluppare la propria innovazione per poter primeggiare. Se non ci dimostriamo in grado di innovare prima e meglio degli altri non potremo primeggiare, ma siamo destinati a retrocedere di parecchie posizioni. Competitività e innovazione costituiscono ormai un binomio inscindibile da coltivare eliminando le numerose rendite di posizione che nei decenni di ricchezza si sono consolidate, processo tutt’altro che facile perché tutti attaccano le rendite di posizione altrui, ma difendono ferocemente le proprie. La gente si pone la domanda se non sia il caso di tornare alla lira, potrebbe, in sintesi, tracciare lo scenario economico che, secondo lei, si creerebbe se si tornasse alla moneta nazionale?

No, è impossibile tracciarlo: sarebbe come pretendere di spiegare come ricomporre l’uovo una volta che si è fatta la frittata. Sarà possibile, ma onestamente non saprei dirle come. E questa è forse la miglior garanzia che l’euro continuerà a esistere. Vi sarebbero enormi problemi nel tornare allo situazione precedente e nessuno saprebbe come gestirli. Ritiene che la distinzione netta fra banche d’affari e banche di deposito e credito possa essere una soluzione per i problemi che investono il settore bancario, e non solo in Italia? Il meccanismo della separazione tra banca d’affari e banca di deposito ha dato ottima prova di sé per ben oltre mezzo secolo, da quando fu adottato a seguito della grande depressione degli anni ’30 fino al termine del secolo scorso, quando tornò in auge il sistema della banca universale, anticipando di circa un decennio la grande crisi che ancora perdura. La situazione è, però, per molti versi differente da quella degli anni ’30: è discutibile che reintrodurre la separazione sia la scelta giusta da fare ora come allora. Ma certo non guardo a questa possibilità con particolare sfavore. Siamo in campagna elettorale e sui temi economici si scontrano varie tendenze: secondo lei, per favorire una ripresa economica nel nostro Paese, sarebbe meglio tenere basso il debito pubblico e contenere gli interessi, oppure aumentare il debito per dare una ventata di ottimismo? La crescita è oggi un obiettivo prioritario. La capacità produttiva inutilizzata è rimasta elevata per troppo tempo (dal 2008 sono ormai cinque anni). Occorre tornare a utilizzarla in fretta altrimenti la si può perdere per sempre. Se una persona resta fuori dal mercato del lavoro per un decennio, il valore del suo capitale umano si riduce enormemente e recuperarlo non è semplice. Lo stesso vale per gli impianti e i macchinari. É necessario oggi avere un po’ di coraggio e promuovere la spesa e la produzione nel breve periodo, magari obbligandoci da subito a una disciplina di bilancio più severa a medio e lungo termine, una volta che l’economia è ripartita. Ma oggi se risparmiano tutti (Stato, famiglie, imprese) da dove può venire la doman-


da capace di trainare l’economia? Da dove può venire la crescita? La storia ci ha dimostrato i difetti ed i limiti sia delle teorie stataliste proposte dal comunismo, sia dell’esasperato liberismo a cui ci ha indotto una visione ‘occidentale’ del mercato, ci può essere una via di mezzo virtuosa tra le due tendenze? Certo che sì. Chi studia bene l’economia capisce i tantissimi pregi del mercato, ma ne coglie anche i limiti e i difetti. Spesso il mercato viene caricato di colpe che assolutamente non ha. Il mercato è semplicemente un fantastico meccanismo per allocare le risorse tra le persone. Fantastico perché nella grande maggioranza dei casi garantisce la massima efficienza e la libertà e ancora non se ne è trovato uno migliore. Talvolta, però, le condizioni sono tali per cui questo meccanismo si inceppa. I bravi economisti ne sono consci, sanno quando ciò accade e hanno anche buone idee su come porvi rimedio, tanto da aver catalogato questi casi con il termine market failure (i fallimenti del mercato). Non è il caso di addentrarsi qui in una noiosa lezioncina a riguardo. Il punto è che non si deve fare una guerra di religione sulla bontà del mercato, con i suoi sostenitori “a prescindere” da un lato, e i sostenitori, altrettanto a prescindere, di un non meglio specificato sistema alternativo pubblico dall’altro. Come

dicevano i latini: ‘la virtù sta nel mezzo’. Se si ragiona accuratamente sui fatti, lasciando perdere posizioni politiche preconcette, si può sicuramente fare un buon lavoro, preservando la centralità del mercato con gli opportuni correttivi del caso. Nel panorama politico, e di conseguenza anche economico, mondiale la compagine islamica si fa sempre più importante ed invasiva, lei pensa che si debba dialogare con l’Islam o mettere in atto poltiche economiche di contrasto? Si deve dialogare sempre e con tutti. I gravi problemi, guerre, battaglie, conflitti, sorgono sempre quando le persone non si parlano, quando non si creano connessioni di interessi. Ad esempio, spesso non si comprende come uno dei motivi che hanno portato al pressoché totale azzeramento delle guerre nel mondo occidentale negli ultimi 50 anni sia stato la crescente presenza di investimenti esteri che le diverse nazioni hanno reciprocamente fatto. Se i tedeschi posseggono imprese e immobili in Francia e i francesi fanno altrettanto in Germania, ecco che due Paesi in conflitto continuo per secoli cessano di farsi guerra l’un l’altro. Lo stesso può iniziare ora a dirsi tra Stati Uniti e Russia e, spero tra qualche lustro, il fenomeno potrà estendersi ulteriormente. Il dialogo e la condivisione neutralizzano rischi ben più gravi.

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Valter Lazzari e Franco Caminiti


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Il mercato occidentale è sempre più invaso da merci che provengono da paesi dove i diritti del lavoro sono pressoché inesistenti, i salari sono bassissimi, quindi il prezzo finale del prodotto risulta fortemente competitivo concretizzandosi in una concorrenza insostenibile, lei pensa che si possa ipotizzare una sorta di ‘argine’ a questo problema? Qualcosa forse si può fare, ma è un problema molto difficile da risolvere. Sarebbe molto bello poter garantire di botto le nostre garanzie e i nostri standard anche nei Paesi più poveri del pianeta, ma temo che sia un’illusione. Ove vi è molta povertà la preoccupazione principale è sfamarsi e, poiché in quei luoghi la produttività del lavoro è molto bassa per assenza di capitale umano e infrastrutturale, l’unica fonte di competitività è quella dei salari bassi e delle minori tutele. Sopprimere questa fonte di vantaggio competitivo, lungi dal risolvere la situazione, potrebbe, al contrario, soffocarne il naturale processo di sviluppo, che è destinato, col tempo, a dare ricchezza. Così come sono spariti i minatori dell’Inghilterra vittoriana e le schiere di lavoratori in della Cina di Mao, spariranno anche i risciò di Mumbai. Ovvio che anche in questo caso la virtù sta nel mezzo: soluzioni draconiane in un senso e nell’altro (adeguamento totale degli standard piuttosto che assoluta indifferenza) sono da evitare. Gli economisti conoscono la legge dei vantaggi comparati. Se certe indu-

strie emigrano dai paesi sviluppati a quelli emergenti, i primi dovranno specializzarsi in altre produzioni, a maggior valore aggiunto. La soluzione non può essere bloccare la crescita dei secondi, pretendendo di mantenere nei primi le produzioni a minor valore aggiunto. Nel caso dell’Italia, la scommessa è restare nel gruppo dei Paesi sviluppati capaci di essere competitivi nei settori produttivi a maggior valore aggiunto, e quindi in grado di consentire condizioni di vita migliori, evitando di retrocedere nel secondo gruppo. La vostra è un’università giovanissima, quindi non rientra nel contesto della domanda che sto per farle, e non so nemmeno quale può essere l’attendibilità di certe statistiche che leggiamo su internet, in ogni caso: in una classifica che elenca le più importanti università a livello mondiale, fra le prime 200, di atenei italiani, troviamo soltanto l’Università di Bologna, oltretutto verso il 180° posto, cosa ne pensa? Queste classifiche non ci dicono qual è la migliore università. Dicono solo qual è l’università che meglio risponde ai criteri in base al quale la classifica è redatta. E la scelta dei criteri è discrezionale; altri criteri potrebbero essere proposti oppure la rilevanza data ai diversi criteri potrebbe essere mutata. Queste classifiche sono state sviluppate nel mondo anglosassone e la selezione dei criteri,


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nonché il loro peso relativo, si addice molto bene alle realtà di quel contesto, mentre è molto meno favorevole per le nostre università. Per esempio, un notevole peso è dato alla composizione internazionale del corpo studenti e dei docenti, ove l’internazionalizzazione è misurata dal passaporto delle persone. Ora è chiaro che per le università inglesi o americane è molto più semplice attrarre studenti e professori di altri paesi essendo l’inglese la lingua universalmente utilizzata. Per le università italiane è molto più complesso. Ma questo non vuol dire che siamo meno aperti al contesto internazionale. Docenti italiani possono aver conseguito titoli di studio all’estero e gli studenti possono vivere esperienze significative all’estero. Prima di fasciarci la testa proverei a guardare il fenomeno in un altro modo: se l’università italiana fosse così scarsa come quelle statistiche sembrano rivelare, come mai siamo qui a lamentarci della “fuga dei cervelli”. Perché un “cervello” fugga deve prima essere plasmato e, quindi, con tutta evidenza, la nostra università è più che in grado di farlo, e di farlo anche bene. Al limite, si può imputare al sistema Paese l’incapacità di far leva sul patrimonio di capitale umano che l’università crea. Ma il problema allora è del Paese, non dell’università. Tornando alle classifiche, la verità è che l’Italia non è così importante, così baricentrica nel mondo, per imporre un sistema di valutazione che le calzi a pennello. Ma la qualità dell’educazione universitaria che noi diamo non è seconda a nessuno, tranne che

forse a livello di vertice assoluto, dove qualcosa agli Stati Uniti inevitabilmente si paga per ragioni storiche e per un fatto dimensionale. Ma escludendo questa minima fascia, nell’istruzione universitaria di qualità che fa crescere un popolo finora non siamo secondi a nessuno. Potrebbe lanciare un messaggio ai giovani che, sfiduciati dalla situazione in cui versa il nostro Paese, pensano di andare a costruirsi un avvenire all’estero? Per favore evitiamo di crogiolarci in questo spirito di autocommiserazione circa la pessima situazione attuale. Ai giovani che si lamentano della situazione attuale, ricordo sempre come io sia cresciuto negli anni ‘70, quando si sparava e si moriva per le strade, quando un giorno su due si perdeva scuola o per sciopero o per manifestare il cordoglio e la condanna per gli omicidi di magistrati, poliziotti, giornalisti, manager. O, ancor peggio, la generazione precedente alla mia crebbe nella distruzione della guerra e nella povertà della ricostruzione. Quindi, se si comparano le situazioni, quella attuale non mi pare poi oggettivamente così malvagia. Temo che la differenza sia soggettiva. La generazione cresciuta con la guerra e quella cresciuta col terrorismo avevano grandi aspirazioni, grandi progetti: nonostante tutto credevano di poter fare grandi cose. É necessario che i giovani di oggi preservino questo spirito, mantengano alte aspirazioni. Se così non


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fosse finiranno per autolimitarsi, giustificando ex post un senso di disperazione. Noi adulti abbiamo il dovere di mantenere vive le loro ambizioni, dobbiamo insegnare loro che non possono autocompatirsi. Le opportunità ci sono, forse non così a portata di mano come una volta, ma ci sono. Mio padre per perseguirle dovette trasferirsi dall’Alto Appennino Tosco Emiliano a una piccola città di pianura; io mi trasferii da una piccola città di pianura alla grande metropoli. I miei figli forse dovranno perseguire le loro opportunità trasferendosi all’estero, ma dov’è il problema? Parigi dista un’ora di volo da Milano. La piccola città distava più di un’ora di corriera dal piccolo paese di montagna. Le opportunità ci sono e ci saranno sempre, bisogna solo desiderare di coglierle. Certo, rispetto a una volta ora la competizione è molto più alta. Quando feci domanda per andare a fare un dottorato negli Stati Uniti non competevo con tutti gli studenti che erano al di là della cortina di ferro, destinati al massimo a studiare a Mosca. Oggi non è più così. Mi ricordo la prima coppa del mondo di calcio che vidi in tv. Era il 1970. I giocatori di

allora, paragonati, a quelli di oggi camminavano in mezzo al campo. A quella velocità di gioco, oggi si farebbe fatica ad affermarsi nel campionato di Lega Pro. Per un attimo diventi ‘venditore’ e provi a ‘vendere’ questa Università a un padre che vuole mandare qui suo figlio o uno studente che vuole iscriversi qui da voi. Come ho detto, non dobbiamo assecondare la tendenza dei giovani all’autocompatimento. La situazione odierna non è facile, ma neppure così drammatica come spesso si sente. Le opportunità ci sono e i giovani devono scovarle, mostrando spirito di iniziativa. Nulla è loro dovuto; tutto va da loro conquistato. L’università, la nostra università, si ripromette di dare loro i mezzi per andare a questa conquista. É questa la convinzione forte su cui si basa l’esperienza formativa della LIUC, università che cerca di educare i giovani ripromettendosi, però, in primis, di indicare loro opportunità. Soprattutto opportunità d’impiego, grazie a un ser-


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vizio placement capace di intessere una grande rete di relazioni con il mondo del lavoro, e opportunità d’internazionalizzazione, posto che siamo da quasi un decennio l’università prima in tutte le classifiche italiane di questa categoria. Noi creiamo e indichiamo loro le opportunità ma resta fermo il principio che è loro responsabilità farsi parte attiva per coglierle. Non avrebbe senso, però, dare loro la bicicletta se poi non insegno loro come pedalare. Pertanto assieme a generare opportunità, la LIUC trasmette ai suoi studenti le migliori e più moderne competenze per consentire loro di far proprie le opportunità presentate e trarne il massimo. Il concetto di competenza è distinto da quello di conoscenza; la presuppone, ma non si esaurisce in essa. La cultura scolastica italiana ha sempre valorizzato molto la conoscenza in quanto tale. Ma la conoscenza fine a se stessa non porta molto lontano. Occorre che sia declinata in una fine ed equilibrata capacità di giudizio e in una spiccata propensione alla risoluzione dei problemi. Non si sente bisogno di persone molto intelligenti e che sanno

moltissime cose ma che creano problemi alla comunità in cui vivono e lavorano. Occorre, invece, forgiare persone che, al contrario, sappiano far uso, con senso di responsabilità, delle proprie conoscenze per contribuire a risolvere i problemi e all’ottimale funzionamento dell’impresa, della famiglia, della comunità in cui operano. Nell’intento di promuovere sempre più questo tipo di formazione, alla LIUC innoviamo costantemente i nostri metodi didattici. Ad esempio, quest’anno abbiamo varato una rivoluzionaria iniziativa introducendo i ‘laboratori esperienziali’. In essi gli studenti sono chiamati a sviluppare congiuntamente conoscenze e competenze per poter risolvere problemi specifici loro assegnati. É l’obbligo di dare soluzione al problema assegnato che li spinge a una più matura acquisizione di conoscenze e competenze di quella che sarebbe altrimenti possibile con la didattica tradizionale. Che è poi quello che accade nella vita quando nuovi e mai affrontati problemi ci vengono posti e noi dobbiamo attrezzarci per risolverli.


Aliberga

Casta

la

di Beo Corti

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La ‘casta’ Aliberga non si faceva certo scrupolo di manifestare apertamente il proprio censo, la nobiltà del proprio casato e la forzata castità della quale addirittura portava vanto. Ormai in là con gli anni, sulla quarantina, non aveva da madre natura ricevuto in dote un aspetto gradevole: secca come uno stelo d’erba siccitoso, un vago accenno di gobba, labbro quasi leporino, naso adunco, occhi strabici, orecchie enormi e sventolanti e, come sovrappiù, una pelle butterata come da sopravvissuta al vaiolo. Per questo, pur essendo la primogenita, non era stata proposta in sposa ad alcuno per paura di un tranciante rifiuto. La dote però era cospicua e quindi ben volentieri fu accolta dalle monache benedettine che verso la metà dell’ XI secolo si erano ritirate nell’ormai abbandonato castrum di Torba fondato nel III secolo dai romani e via via completato da goti, bizantini e longobardi. La dote di cui sopra aveva permesso la costruzione di un monastero e di una chiesa. Ben presto le umili monache divennero succubi della strafottente personalità di Aliberga che utilizzava il convento come propria reggia e le monache come serve o al più come dame di corte. Incurante della Regola si era autoproclamata ‘Superiora’ e tutto faceva e disfaceva a suggerimento del proprio umore. Una mattina di particolare disagio esistenziale, era un venerdì e l’aspettativa di un rigoroso digiuno la indispettiva, decise di dedicarsi ad un nuovo diversivo al fine di rompere quell’ ossessionante, lugubre, stomachevole contiguità con le consorelle. Convocò il fattore e lo invitò a chiamare il fratello, minore ed a lei soggetto, per esternargli il suo grande progetto: affrescare le pareti dei locali della torre, così spoglie e fredde, per ingentilirle.

Nazario, il fratello, detto anche Bonizo, accorse prontamente dalla vicina dimora di Castelseprio e, pur di malavoglia, accetto’ l’incarico affidatogli da Aliberga. “Trova il miglior frescante sulla piazza e portamelo!” “Si fa presto a dire il ‘migliore’, e poi quali saranno i gusti di quella scellerata” si tormentava Bonizo. La sorte, non sempre crudele ed insensibile come il fato, lo soccorse: la non lontana Castiglione stava sempre più diventando città d’arte e di cultura. “Mi recherò lì e chiederò”. Incontratosi con Gotofredo, signore del posto ed amico di una vita, chiese aiuto e suggerimenti. “Ho assoluto e cogente bisogno del più paziente e bravo affrescatore che tu possa indicarmi.” Gotofredo era ben ammanicato col potere ecclesiastico e chiese consiglio all’amico Guido da Velate,vescovo di Milano. Un veloce giro d’orizzonte, troppo veloce e superficiale si scoprirà poi, portò alla segnalazione di un frate affiliato alla Pataria, movimento religioso-sociale di opposizione all’alto clero ritenuto simoniaco, ma in contrasto con Arialdo, guida spirituale dei patarini e suo teorico superiore. Il vescovo Guido era in lotta feroce con Arialdo e quindi dar lustro ad un suo oppositore faceva il suo gioco. Romualdo da Velate, questo era il nome del frate, venne contattato, accettò e fu portato da Aliberga a Torba un pomeriggio già afoso di maggio. Era l’anno 1056. Il convento di Torba non era ancora del tutto riconosciuto da papa Nicola II perché la libera interpretazione della Regola benedettina da parte di Aliberga non era molto ben vista dal papa stesso e dal suo vescovo Guido, ma quest’ultimo, molto più attento alle cose terrene che a quelle spirituali, non poteva inimicarsi il potente Gotofredo e quindi chiuse, una volta ancora, tutti gli occhi di cui disponeva. Aliberga non permetteva certo alle otto


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Tiziano, Venere allo specchio (1555 circa, olio su tela, cm 124,5 x 104,1, Washington - National Gallery of Art)


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consorelle di lamentarsi con chicchessia e quindi il tutto restava ristretto al castrum di Torba divenuto, in questo senso, quasi un eremo. Romualdo venne accolto e sistemato nella casa del fattore e, dopo una accurata ispezione alla torre, diede inizio ai lavori. Al primo piano si doveva raffigurare con un grande e ricco affresco Aliberga stessa in maniera iconograficamente simile alla Vergine Maria. La raffigurazione fisica non poteva evidentemente essere molto realistica stante il soggetto, in compenso la veste doveva essere assolutamente ricca e splendente come si confaceva alla nobile, ricca e potente signora del luogo. Aliberga addirittura pretese che accanto all’immagine venisse ricordato il proprio nome con l’appellativo di ‘casta’, quasi a voler ricordare ai posteri la propria virtù vissuta come una rinunzia volontaria e non come in realtà, una maledizione. Romualdo accondiscese avendo ben conosciuto il caratteraccio della committente. Si cominciò con i disegni preparatori più volte fatti modificare da Aliberga mai soddisfatta, poi la sinopia ed infine l’affresco vero e proprio. Era anche bravo Romualdo oltre che molto paziente e, alla fine, Aliberga si dichiarò soddisfatta. Le altre pareti vennero affrescate con scene di vario tipo tendenti ad affermare ed esaltare la potenza della ‘padrona’, nulla comunque di religiosamente significante. I mesi passavano e Romualdo era ormai quasi diventato di casa; le otto consorelle avevano preso a ben volere il nuovo arrivato e lo accudivano ‘amorevolmente’ nel non poco tempo libero. C’era indecisione su come completare con affreschi l’abbellimento della torre al secondo piano: era sì il piano meno nobile ma pur sempre ben accessibile, e comunque posto sopra l’ affresco della Signora. Cosa poteva stare ‘sopra la Signora’? Sicuramente qualcosa di sovraterreno, dei santi, ma certo, una lunga teoria di santi, sì ma quanti? Almeno una

decina, a far da corona protettrice alla ‘casta’ Aliberga. Una consorella, forse la più sveglia e coraggiosa, ebbe l’ardire di proporre la raffigurazione delle monache stesse, ognuna sottomessa ad una Santa, come una specie di doppia corona per la maggior gloria della ‘signora’. Aliberga, ingolosita, anche se inizialmente dubbiosa, alla fine acconsentì e si decise per una processione di otto monache sormontate da una santa a loro scelta; nelle intenzioni, non manifestate, delle monache, si voleva significare il loro destino alla santità vista la pazienza che dovevano praticare per sopportare la ‘signora’. Le monache, come si è detto, erano oramai molto affezionate a Romualdo e, oltre a elargire suggerimenti artistici sulle pose, sugli abiti, sulla gestualità delle mani, lo accudivano amorevolmente in tutti i suoi bisogni corporali, forse troppo amorevolmente... Tre monache si scoprirono ben presto ...incinte! Furono allontanate in fretta e furia dal monastero e di loro non si ebbero più notizie. L’affresco però non era ancora stato completato, mancavano ancora i volti delle tre monache ingravidate; forse Romualdo se ne era innamorato e voleva ritrarle al meglio. Aliberga, inorridita, forse perché invidiosa per l’increscioso fatto, ricordiamoci che era pur sempre ‘la casta’, non volle sentire ragioni e cacciò, senza saldare il compenso dovuto, Romualdo e cercò in tutti i modi concessi dal suo immenso potere di far passare il tutto sotto un rigoroso silenzio. L’affresco delle monache rimase allora e per sempre incompiuto con le tre figure senza volto. Questo naturalmente procurò nei secoli una infinita serie di pettegolezzi che, a quando si dice, dura ancora ai nostri giorni. Dimenticavo di ricordare che, sopra la figura di Aliberga, si intravede appena la sinopia di un elegante falco che veleggia nei cieli al di sopra del fiume Olona che scorre placido nei pressi della torre. Forse un progenitore del falco con il cardinale...?


Con il patrocinio di

T radate

Comune di

TRADATE

informazione

eccellenze

problematiche

Parteciperanno:

Fulvio Miscione Presidente del CFO (Consorzio del Fiume Olona) Ente promotore del “Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona”

Comitato dei Comuni del Seprio (saranno presenti alcuni rappresentanti)

Andrea Di Salvo Responsabile delle nuove ‘Guardie ecologiche’

il fotografo Armando Bottelli

Incontro pubblico su importanti aspetti del territorio del fiume Olona, con la partecipazione di numerose personalità del mondo della cultura, dell’amministrazione pubblica, dell’editoria e delle arti visive.

autore del Calendario 2013 di ‘Olona e dintorni’ presenterà una mostra delle sue opere

sarà presente l’editore Raimondo Sabatino presentazione della rivista ‘Olona e dintorni’ a cura del direttore Franco Caminiti organizzatore e moderatore dell’incontro

Franco Negri

venerdì 22 marzo 2013 ore 21 Villa Truffini (corso Bernacchi)

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Castiglione Olona

Rinascimento una cartolina di Roberto Cristofoletti (ha collaborato Dario Poretti)

dal


A un passo da Varese il placido scorrere del fiume Olona costeggia uno scrigno di tesori d’arte inestimabili: il Borgo antico di Castiglione Olona, gioiello del rinascimento e testimonianza del nostro grande passato, accoglie visitatori provenienti da tutta Italia e dall’estero. Già noto per le sue antiche origini di insediamento romano, il Borgo medioevale, venne trasformato nell’ideale di città rinascimentale ad opera del Cardinale Branda Castiglioni, suo più illustre cittadino. Nato a Milano il 3 febbraio 1350, fu abile diplomatico, eminente protagonista della vita della Chiesa, uomo di grande cultura e mecenate illuminato: attraverso l’opera dei migliori artisti dell’epoca, riedificò il Borgo, ornandolo di palazzi e chiese che ancora oggi testimoniano la grandezza della sua opera, sorta sulle rovine di un piccolo villaggio. La Città Ideale gravita intorno alla piazza: cuore del Borgo, offerta ai suoi abitanti, è dominata dal Palazzo del Cardinale, sua dimora gentilizia, in cui trascorreva intensi giorni di lavoro e riposo, adornata di affreschi e di preziosi arredi, ospita oggi il Civico museo Branda Castiglioni. La facciata della chiesa del Corpus Domini troneggia sulla piazza: detta chiesa di Villa, poiché garantiva la pratica religiosa agli abitanti del Borgo, si erge imponente con la sua architettura brunelleschiana. Di fronte ad essa il Cardinale volle la costruzione di un ospizio, detto Pio Luogo dei Poveri in Cristo, per l’esercizio concreto della carità, l’assistenza ai poveri e ai bisognosi. Non dimenticò nemmeno di curarsi della formazione dei giovani: l’antica Scolastica garantiva l’istruzione dei fanciulli del Borgo, dediti allo studio della grammatica e del canto per il servizio alla liturgia. La vita nella città si svolgeva all’ombra del colle su cui il Cardinale edificò la chiesa Collegiata: vertice fisico e ideale della sua opera è teatro del lavoro di Masolino da Panicale, artista di prim’ordine del Rinascimento fiorentino, portato in terra lombarda, qui espresse il meglio della sua arte. Nel Battistero, fiore all’occhiello del progetto del Cardinale, le pareti vengono trasformate dal pennello di Masolino nell’opera magnifica che ancora oggi è offerta a

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Palazzo Branda Castiglioni


chi visita il Borgo. Le storie di San Giovanni Battista sono giustamente l’opera più nota: le prospettive, gli spazi, le anatomie costituiscono un esplicito riferimento alla nuova cultura toscana, innestate sull’eleganza delle forme, la diafania dei visi e la raffinatezza degli abiti che Masolino aveva ereditato dal Gotico internazionale. Nel Battistero lo spazio è dilatato, le scene si susseguono nel fluire della narrazione, i protagonisti si affacciano dalle pareti testimoni di una vicenda di santità e di sangue. Il dramma del Battista è reso da Masolino con tutta la propria arte: la gioia e la solennità del battesimo al Giordano si fondono e conciliano con la terribile uccisione del Battista senza rotture di uno stile unico e libero da quei condizionamenti che il maestro toscano subì nella collaborazione con Masaccio. Anche le vele della chiesa istoriate con le vicende della vita della Vergine Maria testimoniano il talento e l’ingegno che Masolino seppe porre al servizio del suo illustre mecenate. Nell’abside danno prova della propria abilità altri due giovani maestri toscani: Paolo Schiavo realizza il ciclo di affreschi dedicato a Santo Stefano mentre le storie di San Lorenzo sono opera di un artista senese: Lorenzo di Pietro detto Vecchietta. Egli opera nel Borgo sotto molteplici vesti: come pittore cura le decorazioni della Cappella gentilizia del Cardinale all’interno del suo palazzo, come architetto è ritenuto il più plausibile progettista della Chiesa

di Villa. Molti altri palazzi e corti arricchivano il Borgo, tra tutti merita di essere visitato il Palazzo dei Castiglioni di Monteruzzo, dimora nobiliare oggi sede del Civico Museo di Arte Plastica: qui e' raccolta una collezione di opere realizzate con materiali plastici contestualizzati in un ambiente trecentesco, mirabile esempio di coabitazione di forme d’arte, un unicum nel panorama museale nazionale. Il patrimonio d’arte e di storia è stato negli ultimi decenni fortemente rivalutato ottenendo riconoscimenti sia da enti pubblici che da fondazioni private: l’offerta museale, recentemente riconosciuta da Regione Lombardia e promossa dall’Agenzia del Turismo della Provincia di Varese, offre al turista un’accoglienza degna delle meraviglie che potrete visitare. Nel novecento Gabriele D’Annunzio, illustre visitatore, di fronte agli affreschi del Battistero non seppe trattenere la propria poesia definendo i colori e le atmosfere che si erano presentate ai suoi occhi come una piccola “Isola di Toscana in Lombardia”: ogni seconda domenica del mese di luglio, il Palio dei Castelli, rievocazione storica in abiti rinascimentali, riporta il Borgo ai suoi antichi fasti: vi aspettiamo! Si ringraziano: Pro Loco Castiglione Olona e www.deagostinipassion.com

Interno del palazzo del Cardinal Branda Castiglioni

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Villa

Castellazzo di Bollate

Arconati

Teatro di cavalieri, accademia di litterati, museo d’ogni virtuoso di Gigi Marinoni

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foto di Giuseppe Cozzi


Il sottotitolo cita una presentazione dell’editore milanese Giovanni Battista Bidelli all’edizione del 1631 della versione in volgare della Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, volume dedicato a Galeazzo Arconati. Un incipit che ci apre le porte della lussuosa dimora, quella “piccola Versailles” che ha avuto ospiti illustri, da Marco Antonio Dal Re che ne parla, con tanto di disegni, nel suo Ville di delizia del 1743, a Carlo Goldoni che nel 1751 dedica la sua commedia La putta onorata proprio a quel Giuseppe Antonio Arconati, amante della cultura e mecenate, cui si deve il disegno attuale della villa, con queste parole: “Se io sapessi descrivere le delizie della vostra villa di Castellazzo cose avrei a scrivere degne di maraviglia, né poche

pagine basterebbero a dare un’idea vera di tutte quelle magnifiche cose che formano un soggiorno degno di voi”. Fino al Beltrami che, nella sua trattazione dedicata alle ville milanesi del 1907, descrive il Castellazzo quale vero e proprio “scrigno di opere preziose”. Dei suoi giardini rimane ammirato Antoine Joseph Dezallier d’Argenville che li menziona nel trattato del 1709 La théorie et pratique du jardinage, allora il testo più diffuso in Europa sui princìpi del giardino barocco nelle cui pagine tra gli italiani ci sono solo quello degli Arconati e quello dei Belgioioso nell’omonimo castello poco distante da Pavia. Fino ad arrivare, lo spazio non ci permette un viaggio


temporale più dettagliato, più vicino a noi col maestro Arturo Toscanini che vi passò piacevoli e rilassanti soggiorni. L’amore per l’arte e quello per la cultura si intrecciano a fondamento di questa dimora eretta dagli Arconati a partire dal Seicento sulle antiche mura di una “casa nobile” dei Cusani. Da allora, resterà nelle mani della famiglia sino all’estinzione della nobile casata, avvenuta nel 1772 con la morte di Galeazzo Arconati. La proprietà passerà poi ai cugini Busca, che la tennero fino al 1865, quindi nel 1928 al Marchese Crivelli che aveva sposato Giustina Busca e poi ai Binelli (anche qui per matrimonio con una Crivelli). Alla fine degli anni Ottanta il Castellazzo passa a

una società finanziaria. Dal 2000 il complesso appartiene alla società Villarconati, del gruppo Palladium, e dal novembre del 2010 viene dato in comodato alla Fondazione Augusto Rancilio, con lo scopo di farne un centro di diffusione di cultura, arte e comunicazione che favorisca la promozione di progetti di valorizzazione e conservazione dei beni culturali. Da anni i giardini ospitano il prestigioso Festival estivo, giunto nel 2012 alla sua XXIV edizione, con grandi protagonisti internazionali che si esibiscono davanti a un pubblico attento e affezionato. Villa Arconati, parte del sistema delle Ville Gentilizie Lombarde, troneggia su Castellazzo di Bollate, poco distante da Milano, tra Bollate, Garbagnate e Arese. Ai


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suoi fianchi la chiesa di San Guglielmo, l’antico borgo con le cascine e gli estesi giardini. La struttura ricorda le residenze francesi più sfarzose, con le ali sul giardino che riflettono in scala ridotta lo schema del pianterreno dell’Aile di Midi a Versailles, che Giuseppe Antonio vide nel 1734, in visita alla Corte di Francia per conto dello Stato di Milano. Non facciamo in tempo ad affacciarci al parco che già ci accolgono la fontana (attualmente in fase di restauro) e il teatro di Diana, cui fanno compagnia la limonaia, la ghiacciaia, le grotte nel bosco, il lungo viale e i labirinti.

Ai piedi del Teatro di Andromeda, una pavimentazione a mosaico offre lo scherzo di tanti piccoli zampilli che partono da terra. Un sistema di cascatelle accompagna la maestosa Scalinata dei Draghi che collega il Teatro Grande detto “delle Quattro Stagioni” al parterre. Il sistema che regola le fontane - situato nella Torre delle acque, che vediamo ancora oggi - è un’opera di ingegneria idraulica d'avanguardia che probabilmente Galeazzo Arconati riprese dagli studi di Leonardo da Vinci. Purtroppo gli interni sono stati spogliati degli arredi e delle suppellettili, rimangono però negli innumerevoli


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locali opere dal fascino innegabile, che verranno mostrate ai visitatori nei percorsi guidati che la Fondazione sta organizzando. Non vi troveremo il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, donato da Galeazzo Arconati (che ne venne in possesso nel 1622) alla Biblioteca Ambrosiana nel 1637, mentre resta una povera copia del Gaston de Foix scolpito dal Bambaia tra il 1517 e il 1522 e ora nei Musei Civici del Castello Sforzesco. È ancora dove Giuseppe Antonio la mise nel 1742 la famosa statua di Pompeo Magno, alta circa tre metri e mezzo, che Galeazzo aveva fatto portare da

Roma nel 1627, come testimonia la lapide su cui poggia. Dice la leggenda che ai suoi piedi fu ucciso Giulio Cesare. Gran parte degli ampi locali sfoggia ingressi dalle mura finemente decorate e cassettoni lignei di pregio, ma le sorprese più belle ci vengono dallo scalone d’onore che accompagna al piano nobile (col trompe l’oeil attribuito a Giocondo Albertolli) dove si schiudono, incantevoli, gli affreschi di soggetto mitologico dei fratelli Galliari, pittori e scenografi della Scala di Milano: incorniciati da grandiose architetture trompe l’oeil, volteggiano leggiadri: Il carro del sole, La caduta di Fetonte e L’allegoria del tempo.


17 gennaio 2012, San Diego, California, Assemblea Internazionale della Fondazione Rotary, John F. Germ annuncia che il 13 gennaio i Rotariani hanno raggiunto l'obiettivo dei 200 milioni di dollari di donazioni per sdradicare la polio. "Abbiamo la possibilità di fare la storia attraverso l'eliminazione di questa malattia e la creazione di un mondo in cui nessuno avrà più bisogno di essere vaccinato contro la polio", ha detto Germ.

La sconfitta della poliomelite e l’impegno del Rotary International Il ruolo determinante della Rotary Foundation

Foto by Alyce Henson © Rotary International

di Fulvio Miscione

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La recente uccisione di diversi operatori sanitari intenti ad effettuare le vaccinazioni antipolio alla popolazione pakistana ad opera di gruppi estremisti ostili alla presenza occidentale nella regione ha portato alla luce la storia di un programma straordinario che, lanciato dal Rotary International nel 1985, ha ispirato, almeno in parte, l’iniziativa mondiale di eradicazione della malattia che, a partire dal 1988, ha rappresentato uno dei fronti più impegnativi promossi dall’Assemblea Mondiale della Sanità e che, grazie ad un impegno congiunto, oggi appare sconfitta per il 99,00%. A partire da quell’anno il programma rotariano si è infatti sviluppato di concerto con le più qualificate organizzazioni internazionali (UNICEF – CDC americano – Organizzazione Mondiale della Sanità ) e ciò con l’obiettivo di continuare a spendersi nell’opera di eradicazione sino al giorno in cui il mondo intero non sarà dichiarato ufficialmente libero dal virus della poliomelite. In quest’ottica il Rotary ha fornito e continua a fornire non solo risorse umane e finanziarie ma, soprattutto, sostegno logistico e consulenza strategica ad un’ampia gamma di iniziative quali, ad esempio, le campagne di vaccinazione antipolio, le “giornate nazionali di immunizzazione” e le attività di sorveglianza e di monitoraggio virologico e ciò senza trascurare ovviamente l’organizzazione di campagne di informazione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle autorità interessate I risultati la dicono lunga sull’esito di quest’impegno senza confini: ad oggi infatti due miliardi di bimbi sotto i cinque anni sono stati vaccinati, cinque milioni di persone che avrebbero rischiato la paralisi sono in grado di camminare normalmente e sono stati prevenuti 500.000 nuovi casi di polio ogni anno. Parlando di lotta alla polio e dell’apporto che il Rotary International ha fornito alla causa nel tempo non è possibile tralasciare di dire qualcosa sulla Rotary Foundation la cui storia - che è indissolubilmente legata a quella del Rotary International – nasce nel 1917 da un’idea dell’ arch. C.Klumph, suo sesto Presidente. Scopo principale dell’organizzazione - che, a partire dal 1983, è divenuta società senza fini di lucro – è quello di aiutare concretamente i rotariani a promuovere la comprensione, la buona volontà e la pace nel mondo attraverso il miglioramento della salute (I), il sostegno all’istruzione (II) e l’alleviamento della povertà (III).

Finanziata esclusivamente dai contributi volontari dei rotariani e degli amici del Rotary, la fondazione – che riceve la sua attuale denominazione nel Congresso internazionale del 1928 – è impegnata oggi su più fronti che possono essere riassunti nelle tre principali linee di indirizzo riguardanti i programmi culturali ed educativi (I), quelli relativi alle sovvenzioni umanitarie (II) e quelle, già menzionate, della PolioPlus (III). Sensibile a sostenere iniziative finalizzate alla costruzione di un mondo migliore dove la forbice esistente fra ricchi e poveri possa essere progressivamente ridotta, la fondazione dedica, innanzitutto, la propria attenzione alla formazione dei leader di domani attraverso l’articolazione dei propri programmi culturali ed educativi nella consapevolezza che ogni miglioramento di sul piano economico-sociale e dei comportamenti non possa prescindere da un’adeguata sensibilizzazione dell’individuo. In tal senso va letta l’istituzione, a far tempo dal 1947, delle borse di studio per gli ambasciatori, quella degli scambi di gruppi di studio finalizzati al sostegno delle spese riguardanti soggiorni in distretti lontani di professionisti non rotariani nonché quella riguardante le borse per la pace aventi come beneficiari un massimo di sessanta laureati intenzionati a frequentare annualmente corsi di master presso i sette centri rotariani si studi internazionali. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la linea di indirizzo riguardante le sovvenzioni umanitarie che si esprimono ora finanziando progetti di volontariato internazionali sponsorizzati da club e distretti rotariani (“Sovvenzioni Paritarie”), ora sostenendo e finanziando attività umanitarie o di volontariato destinate a progetti locali (“Sovvenzioni Distrettuali Semplificate”) ed infine inviando donazioni da destinare alle zone colpite da calamità naturali (“Aiuto alle Zone Disastrate”). Da queste sintetiche descrizioni e dalla specificità delle azioni richiamate emerge con chiarezza che il compito sostanziale della Rotary Foundation altro non sia che quello di aiutare un’umanità qualche volta assopita a volare alto verso un’ideale di giustizia un pochino più esteso e, soprattutto, di riuscire a donare ad ogni rotariano che lo desideri veramente la possibilità di essere vicino a tutti quelli che, pur essendo in maggioranza, hanno ancora bisogno dell’aiuto consapevole di una minoranza più fortunata.

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San Vittore Olona 72

La chiesetta di Santo Stefano di Giacomo Agrati

La chiesetta dedicata a Santo Stefano è il più antico luogo di culto di San Vittore Olona. Compare infatti nell’elenco delle chiese e degli altari della diocesi di Milano, compilato dal monaco Goffredo da Bussero, sul finire del XIII secolo. Ma l’oratorio potrebbe essere anche più antico e, per risalire con una certa approssimazione all’anno della sua costruzione, bisogna seguire l’espansione della famiglia milanese Lampugnani, nella zona del legnanese, che iniziò nel XII secolo. Troviamo infatti questa nobile famiglia proprietaria del fondo, sul quale era stata eretta una cappella votiva che in seguito diventò l’abside dell’attuale chiesetta realizzata nel 1400. Sono tutt’ora visibili tre cicli di affreschi realizzati, il primo nel 1487 ed attribuito al pittore legnanese Gian Giacomo Lampugnani, il secondo nel 1577 ed un terzo nel 1708 eseguiti da pittori rimasti sconosciuti. Nel 1968, durante l’Amministrazione Comunale, guidata dall’allora sindaco Francesco Martellosio, venne effettuato un radicale restauro dell’edificio che si trovava in uno stato di abbandono e di grave degrado. La direzione dei lavori fu affidata all’architetto Gianfranco Foglino, mentre il restauro degli affreschi fu compiuto dal professor Guido Fiume, restauratore indicato dalla Soprintendenza di Milano. Un’accurata descrizione sullo stato della chiesetta prima del restauro è contenuta nella ricerca storica realizzata da Maria Luisa Gatti Perer, allora Soprintendente

alle belle arti. La Gatti Perer scrisse, nella sua relazione: “La visita pastorale del Pozzobonelli del 1761, e la descrizione che ritengo essenziale riportare nelle sue linee essenziali, comprova che la chiesetta è giunta a noi sostanzialmente integra, non avendo subìto sostanziali modifiche dopo quella visita pastorale. Prosegue poi nella descrizione dell’edificio: “Nella cappella - fornice cementizia obteca quadrati di 4 braccia di lato e alta 6 braccia priva di vetri. Nell’arco della cappella tra il clero e il popolo, dipinta nel mezzo, l’immagine di Gesù Crocifisso, ai lati S. Barnaba e S. Francesco d’Assisi. Nei piloni di laterizio - pilis laterijis -, a cospetto di chi entrava dalla parte del vangelo, era dipinta l’immagina di S. Rocco confessore e da quella dell’Epistola, l’immagine di S. Francesco Saverio. Cancelli lignei chiudevano la cappella. Dal pavimento dell’oratorio alla cappella si saliva un gradino di laterizio. L’aula contigua alla cappella era stata trovata di 12 braccia di lunghezza, 7 di larghezza e 8 di altezza. La descrizione corrisponde fin qua esattamente allo stato attuale della chiesetta. Il Visitatore continua la sua descrizione indicando nella parete laterale, dalla parte del Vangelo, l’immagine della deposizione dalla Croce con la tre Marie piangenti, e dalla parte dell’Epistola la Natività di Gesù Cristo con immagini di angeli e di alquanti pastori. In effetti la Natività è invece contigua alla Pietà”.


Pensiamo si tratti di un errore del Visitatore - commenta ancora la relatrice - il quale continua notando, dal lato dell’Epistola, una piccola porta nella cui parete interiore vi è una piccola vaschetta per l’acqua benedetta. “Nella parte superiore della porta una finestra - orticolari -.(ora chiusa). Dalla parte dell’Epistola nella fronte dell’Oratorio una piccola finestra attraverso la quale quelli che passano possono guardare dentro l’Oratorio”. Anche qui la descrizione corrisponde esattamente allo stato attuale. In effetti la finestra ‘orticolaris’ è ora accecata - ne è però prevista riapertura - ma chiaramente visibile all’interno. É probabile che gli affreschi ora visibili siano stati ridipinti al di sopra di altri affreschi di cui appaiono alcuni brani. Tra questi è notevole la traccia di una Vergine col Bambino che si trova alla sinistra dell’altare per chi entra. La chiesetta e gli affreschi in essa contenuti vennero segnalati alla Sovraintendenza ai Monumenti per un restauro nel 1952. La dettagliata descrizione che accompagna la segnalazione, dell’ing. Guido Sutermeister, pare rinnovare la chiarezza della Visita Pozzobonelli. Circa gli affreschi il Sutermeister propone l’attribuzione della Natività e del S. Rocco, datati entrambi 1487, nonché della Deposizione a Gian Giacomo Lampugnani”. Il secondo ciclo di affreschi, dipinto nella piccola abside nel 1577, rappresenta il martirio di santo Stefano, con ai lati san Lorenzo e san Teodoro. La stretta connessione tra i santi raffigurati fa supporre che la scelta pitto-

rica possa essere stata legata a precisi culti di protezione diffusamente presenti nelle nostre campagne nei secoli passati. Ai martiri del rogo Lorenzo e Teodoro erano normalmente indirizzate le suppliche per la guarigione dalle febbri, in particolar modo quelle provocate dalle ustioni, ma anche quelle dovute a malattie di natura endemica. Nel 1708 fu eseguito, da un anonimo pittore del tempo, un ultimo gruppo di figure sull’arco frontale della cappella. Da sinistra vi sono s. Barnaba colui che per primo ha scritto con un libro, la vita di Gesù, che tiene aperto sulle ginocchia; il Crocifisso con dipinto ai piedi del Cristo morente un teschio e delle ossa umane, chiara indicazione di un luogo di sepoltura probabilmente per la peste del 1573; s. Francesco d’Assisi e s. Francesco Xavier il predicatore. In un successivo restauro eseguito nel 1992 dal restauratore Luciano Bianchi di Cerro Maggiore e da Silvia Vignati, durante i lavori di ‘discialbatura’ delle vecchie vernici, è stata riportata alla luce una sinopia che sembra essere la preparazione per un dipinto mai realizzato. La rimozione, dalla parte destra dell’Oratorio, di alcuni strati di malte decomposte dall’umidità ha rivelato un sottile strato di intonaco originario che conserva ancora piccolissime tracce di paglia e di pigmenti colorati La chiesetta, dedicata a S. Stefano, viene visitata da scolaresche, turisti e studiosi dell’arte lombarda del XV-XVI secolo. In alcune occasioni, e su richiesta, viene aperta al pubblico per visite guidate curate da personale specializzato.

Interno della chiesetta di Santo Stefano: da sinistra, sull’arco, affresco raffigurante san Rocco che indica la piaga della peste (Gian Giacomo Lampugnani, 1487); a proseguire, da sinistra a destra san Barnaba, la Crocefissione, san Francesco d’Assisi e, sul lato sinistro, san Francesco Xavier (autore ignoto affresco eseguito nel 1708); al centro nell’abside il martirio di Santo Stefano (autore ignoto eseguito nel 1577)

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Unendo Yamamay

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Il volley made in Busto Arsizio: un’eccellenza italiana foto di Gabriele Alemani, Bruno Bordin, Fabio Sappino

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Sacrificio ed entusiasmo: il segreto di un successo La Futura Volley, che partecipa con la prima squadra al campionato nazionale di serie A1, è il fulcro di un movimento radicalmente diffuso sul territorio della provincia di Varese, che conta centinaia di atlete tesserate tra società affiliate e proprio settore giovanile. Il culmine di questa piramide è, come detto, la prima squadra, denominata YAMAMAY Busto Arsizio. Dal 2000 sul taraflex del Palayamamay, la Futura Volley ha costruito qualcosa di importante, riempiendo il proprio palasport con oltre 4000 persone di media: un risultato eccezionale, che è la miglior testimonianza dell’ottimo lavoro svolto. Con la stagione 2006/2007 la Futura Volley ha conquistato la promozione in A1 dopo alcuni anni in A2, nella prima stagione di A1 ha conquistato il sesto posto e la semifinale di coppa Ita-

lia, nella seconda stagione in quarto posto e la semifinale di coppa Italia, nel 2009/2010 il settimo posto e la Cev Cup, seconda competizione europea. Nel 2010-2011 ha conquistato la semifinale di Coppa Italia e la semifinale play-off scudetto. Nel 2011-2012 la Yamamay ha disputato una stagione eccezionale, in cui ha già la Coppa Italia, la Cev Cup e ha conquistato lo scudetto nel campionato italiano. I successi del 2012 non sono però finiti: la nuova “Unendo Yamamay Busto Arsizio” ha già conquistato la Supercoppa Italiana, battendo la storica rivale Asystel Mc Carnaghi Villa Cortese. Nella stagione 2012-2013 in corso è prima in campionato e sta disputando (alla data di stesura di questa nota) gli ottavi di finale della Champions League, prima competizione europea.


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Una struttura polivalente di eccellenza Il Palayamamay è l’arena che ospita le gare casalinghe della Unendo Yamamay Busto Arsizio, un palasport grande ed accogliente, che ha subìto, nel corso degli anni, grandi metamorfosi, trasformandosi nel tempo, da “palestrone” a uno dei luoghi più apprezzati del volley italiano.


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Accanto allo sviluppo e alle operazioni di maquillage degli ambienti, la società di Busto Arsizio ha perseguito un vero e proprio programma di fidelizzazione del suo pubblico che quest’anno più che mai punta sull’intrattenimento a 360 gradi. Non solo sport dunque per i tanti fans delle farfalle, ma tanto spettacolo, prima, durante e dopo la gara.

Il divertimento inizia circa 45 minuti prima della gara, con le note di “Palayamamay Live Music”: sul nuovissimo palco, allestito sulla curva e dunque in posizione dominante su tutta l’arena, si esibiscono ogni domenica gruppi musicali di ogni tipo, che attraverso il coivolgimento del pubblico con il canto ed il battimani, scaldano l’atmosfera durante la preparazione delle squadre.

Si ringrazia l’Ufficio Stampa della squadra per la cortese disponibilità nel fornirci le immagini e le note per la redazione dei testi.


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Distretto Agricolo della Valle del fiume Olona

di Fulvio Miscione

Contenuti ed obiettivi del Piano di Distretto In questi giorni i responsabili del Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona stanno ultimando il Piano di Distretto che, elaborato da una società specializzata, contiene gli obiettivi che il distretto si propone di realizzare nei prossimi tre anni attraverso le azioni che gli amministratori della Società di Distretto hanno identificato dopo aver sentito gli imprenditori agricoli che hanno aderito all’iniziativa. Nel caso del Distretto Agricolo della Valle del Fiume Olona, la consegna dell’elaborato alla Regione Lombardia rispetta i tempi fissati dalle disposizioni regionali e segue di qualche tempo la costituzione della Società di Distretto (28 settembre 2012) che, a sua volta, ha seguito di qualche mese l’accreditamento del Distretto stesso presso la Regione Lombardia (6 giugno 2012). Si conclude in questo modo la lunga fase preparatoria che, iniziata nell’ottobre 2010 e gestita per la maggior parte dal Consorzio del Fiume Olona in qualità di Ente

Promotore, ha riunito sotto lo stesso tetto 29 imprenditori agricoli, gran parte dei comuni ubicati lungo l’asta del fiume, le Provincia di Milano e quella di Varese, le associazioni datoriali più rappresentative e numerosi enti ed associazioni espressione del territorio. A livello generale il Piano di Distretto ha fermato sulla carta gli obiettivi strategici che stanno alla base della costituzione del Distretto e che si identificano, sostanzialmente, in una risposta concreta e condivisa alla attuale tendenza di grossa difficoltà che il comparto agricolo nostrano caratterizzato dal percorso del fiume Olona sta attraversando per effetto di una forte contrazione delle produzioni a fronte di una progressiva lievitazione dei costi di gestione e di mantenimento delle aziende. Tutto ciò con il fine precipuo di dare vita a soluzioni imprenditoriali che, consentendo ad ogni azienda di migliorare, con il contributo dei partner, la propria condizione economico-organizzativa, possano riuscire a superare


l’attuale momento caratterizzato dalla contrazione delle misure europee di sostegno al reddito, preservando, con la propria presenza rinnovata, il territorio rurale dalle insidie che la corsa ad una antropizzazione disordinata rispetto ad una agricoltura debole e poco remunerativa inevitabilmente determina. I vertici distrettuali hanno pertanto identificato alcune linee di intervento che, qualificandosi, con riferimento ai contenuti, come interventi nel breve periodo (I), nel medio periodo (II) e nel lungo periodo (III), hanno l’ambizione di poter far acquisire alle aziende aderenti un reddito stabile e sostenibile (a), di migliorare la promozione delle attività agricole e dei prodotti ad esse collegate (b) e di valorizzare il lavoro agricolo come mezzo di mantenimento e tutela del territorio (c). Raggruppando gli interventi per classe di contenuto si può affermare senza difficoltà che quelli di breve periodo hanno lo scopo di dimostrare, innanzitutto ai soci, che il

distretto rappresenta un progetto concreto e ciò mediante attraverso l’utilizzo di una politica tesa al contenimento dei costi, alla manutenzione del territorio, alla individuazioni di promozione unitaria. D’altra parte quelli di medio periodo appaiono soprattutto orientati ad aumentare l’integrazione tra le aziende aderenti e gli altri soggetti presenti sul territorio, fornendo loro un supporto formativo adeguato ed istituendo servizi comuni finalizzati al miglioramento tecnico-organizzativo di ogni singola azienda. Infine quelli di lungo periodo appaiono finalizzati a garantire nel tempo continuità e crescita alle iniziative distrettuali sia come preparazione ad EXPO che come continuazione delle esperienze ivi consolidatesi dopo la chiusura di questo importante evento. Tralasciando, per il momento, quelli di lungo periodo estranei a questo approfondimento e quelli già in atto come l’istituzione dei gruppi di acquisto solidale, possiamo sicuramente affermare che tra gli obiettivi a breve termine - che si devono realizzare entro la metà-fine dell’anno prossimo - vanno ricordati quelli riguardanti l’istituzione del marchio di distretto (sintesi delle caratteristiche delle aziende e del territorio), quelli riferiti all’identificazione di strategie di informazione (ideazione di azioni di promo-pubblicizzazione, organizzazioni di tavole di confronto territoriali, ideazione di un programma di marketing coordinato) nonché quelli riguardanti l’istituzione di un servizio di manutenzione territoriale a cura delle aziende consorziate (miglioramento del contesto territoriale per effetto dell’integrazione tra le esigenze delle aziende associate e quelle di un territorio non di rado trascurato). Tra gli obiettivi di medio periodo che si devono realizzare entro il primo trimestre-semestre dell’anno 2015 non si possono tralasciare quelli relativi all’istituzione di una stalla sociale (trattamenti specifici per i vitelli fino a due anni di età) nonché quelli riguardanti lo sviluppo di una didattica organica per il territorio (costituzione di un sito internet, costituzione di un museo dell’agricoltura, vendita di prodotti del territorio con la logica della filiera corta e del Km zero, coinvolgimento degli istituti scolastici). Tanto meno si possono dimenticare quelli dedicati alla costruzione di itinerari adeguati di fruizione (creazione di una rete di collaborazione con gli enti locali territorialmente presenti e con i distretti del commercio già esistenti) nonché quelli altrettanto importanti dedicati al varo di un programma di formazione rivolto ai produttori presenti nel distretto (apprendimento e condivisione di tutti gli aspetti che riguardano sia i prodotti che i processi). In questo modo il Piano di Distretto che abbiamo qui sintetizzato non solo rappresenta lo strumento necessario per perfezionare l’iter di accreditamento previsto dalla legge ma, soprattutto, si qualifica come una vera e propria dichiarazione d’intenti che, uscita dal confronto tra i rappresentanti delle società aderenti, testimonia l’effettiva volontà dei singoli agricoltori di superare il momento attuale ancora prigioniero di una logica imprenditoriale di stampo individualistico per rivolgersi senza indugi ad uno schema comportamentale che identifica nel gruppo dei pari la giusta chiave per affrontare i numerosi cambiamenti in atto.

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veduta esterna


La chiesa di Sant’Ambrogio della Vittoria Parabiago

foto di Marina Rotta e Francesco Lillo

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Era una giornata gelida quel 21 febbraio del 1339, la neve imbiancava le campagne attorno a Parabiago, le truppe milanesi di Azzone Visconti, guidate dallo zio Luchino, si scontrano contro la Compagnia di San Giorgio dell’altro zio, Lodrisio, pretendente Signore di Milano. Fu un vero massacro: la neve si tinse orridamente di rosso: a sera si stima che siano rimasti sul terreno oltre 6 mila morti. E la battaglia sarebbe, probabilmente, durata ancora se, all’improvviso, fra le nuvole, non fosse apparso, su un cavallo bianco, Sant’Ambrogio che cominciò a colpire con la sua ‘scoriata’ le truppe di Lodrisio. Questa leggenda è ricostruita in una formella del portale bronzeo del Duomo di Milano e in un grande bassorilievo di Castiglioni situato nell’aula consiliare di Parabiago. In ricordo della ‘battaglia’ e sul luogo dove si era combattuta, i milanesi vollero edificare la chiesa di ‘Sant’Ambrogio della Vittoria’.


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Durante la battaglia di Parabiago del 1339 tra Lodrisio e Luchino Visconti, quest’ultimo era stato fatto prigioniero e legato ad un noce, ma sarebbe apparso miracolosamente Sant’Ambrogio su un cavallo bianco con in mano uno staffile in atto di percuotere i nemici della sua città, e determinando la fine del combattimento. In ringraziamento della grazia ricevuta i milanesi decisero l’erezione di

una chiesa intitolata al Santo sul luogo della battaglia. La prima pietra fu posta dall’arcivescovo Giovanni Visconti. Terminato nel 1348, il tempio venne affidato a cappellani nominati dall’amministrazione cittadina di Milano ed ogni anno, nell’anniversario della battaglia (21 febbraio), vi si svolgeva una processione religiosa a cui partecipavano i nobili di della città. Per quasi 300 anni i milanesi devoti


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Ricostruzione storica

vennero in processione a Parabiago in segno di devozione e l’usanza venne soppressa definitivamente nel 1581 da San Carlo. Nel 1481 su petizione dei nobili di Parabiago, la chiesa venne affidata ai “Frati della congregazione di San Barnaba e Sant’Ambrogio ad nemus”. Nel 1586 i parabiaghesi si lamentarono nuovamente della gestione della chiesa da

parte dei frati e nel 1647 il “Consiglio dei LX decurioni” la affidò ai Padri Cistercensi di Lombardia, che ne poterono prendere possesso solo nel 1668. Nel 1606 era stato affidato all’architetto Alessandro Bisnati il progetto della ristrutturazione della chiesa, che tuttavia, fu giudicato troppo oneroso e quindi venne decisa la demolizione della vecchia chiesa e l’edificazione


di una nuova. I lavori di demolizione e ricostruzione iniziarono nel 1624, e nel 1647, quando l’edificio passò ai Cistercensi, non erano ancora conclusi. Tra il 1708 e il 1713 si svolsero i lavori di costruzione della nuova chiesa e dell’annesso Convento, sotto la direzione dell’architetto Giovan Battista Quadrio. In seguito ad una visita di Elisabetta Cristina di Brunswick, promessa sposa del futuro imperatore Carlo VI d’Asburgo nel primo anno dei lavori, l’abate ottenne che una diramazione del Riale venisse realizzata per irrigare le proprietà cistercensi, partendo dalla piazza e costeggiando a destra la via che prendeva il nome dalla chiesa.Il campanile fu innalzato nel 17231725 su progetto dell’architetto Pietrasanta. L’Ordine dei Cistercensi al massimo del loro splendore in quegli anni diede incarico ai più grandi artisti e architetti milanesi del tempo, la realizzazione sia dell’edificazione che del decoro della Chiesa. Nel 1796, a causa della Rivoluzione francese i Cistercensi furono costretti a vendere le loro proprietà e nel 1798 l’ordine venne inoltre soppresso. Nel 1799 l’intero complesso venne adibito ad uso scolastico per i bambini


poveri, e poi a collegio. Nel 1864 la signora Rachele Peregalli, pronipote del suddetto parroco, vendette tutto il complesso a Don Giovanni Spagliardi, che vi fondò il ‘Pio Istituto per fanciulli derelitti’, un riformatorio i cui ‘ospiti’ in paese venivano soprannominati ‘barabitt’, ovvero piccoli Barabba. Nel 1869 si fuse con l’Istituto Marchiondi di Milano, prendendo la denominazione di Opera Pia Marchiondi Spagliardi per l’assistenza minorile. Ma nel 1924 la sede parabiaghese chiuse i battenti, trasferendosi definitivamente nella sede milanese. La chiesa di S. Ambrogio della Vittoria e il convento dei Cistercensi rappresentano il monumento che ha maggiormente connotato la storia di Parabiago e di Milano. La chiesa, al cui interno è conservato il prezioso organo settecentesco del famoso organaro Rejna arricchito dai pregevoli intarsi del Bossi, monumento nazionale dal 1913, attualmente è all’interno di una proprietà dell’Azienda Ospedaliera di Legnano, in comodato alla Parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio. L’accesso alla chiesa è, purtroppo, limitato solo ad alcuni sporadici eventi.

Si ringrazia l’associazione: “La fabbrica di Sant’ Ambrogio”

Cartiglio con iscrizione posto sull’arcone d’ingresso al presbiterio


l a m a t i t a

rossoblù riflessioni sulla lingua italiana a cura di Franco Caminiti

Il tennico è bravo in arimmetica

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Ho sempre creduto che il falegname milanese che dice “È venuto il tennico del Comune”, lo facesse, poverino, per una sua difficoltà di pronuncia, visto che non gli viene bene nemmeno di pronunciare aritmetica e la storpia in arimmetica. Eppure ciò che ho sempre considerato una difficoltà di pronuncia nasconde, invece, “un fenomeno fonetico” che si chiama assimilazione. In pratica, “nel corpo di una parola una consonante tende a diventare uguale alla consonante che immediatamente la segue (Gabrielli)”. Ciò è normale nel parlato e segue una regola ben precisa rispettata al Sud e al Centro, e specialmente in Toscana; meno rispettata al Nord. Un calabrese dirà: “Sono andato aRreggio” raddoppiando la r, perché così fan tutti, eppure anche qui vale la regola dell’assimilazione. Vediamola: la parola patto, ad esempio, deriva dal latino pactum, la c è diventata una t; ammettere viene da ad mittere, la d è diventata m; collegare viene da con legare la m è diventata l. In questi e tanti altri casi la regola dell’assimilazione ha creato delle parole nuove alle quali ci siamo abituati e

O

A

che non ci fanno, in alcun modo, intuire la loro derivazione. Come otto viene da octo, così sette viene da septem, ecc. Credo che, a questo punto, la regola sia chiara secondo la quale, ripeto, una consonante tende a diventare uguale a quella che la segue, ad assimilarsi, appunto; per cui, anche se scriviamo tecnico ed aritmetica forse si arriverà (notate anche qui: arrivare, dal latino ad ripare), un giorno, a pronunciare, ed a scrivere tranquillamente, tennico ed arimmetica. Ma questo che c’azzecca, direbbe qualcuno, con Rreggio dei calabresi e Rroma dei romani? Semplice: oggi si dice vado a Roma ma i latini dicevano ad Romam dove per assimilazione, la d di ad diventa foneticamente una seconda r e, giustamente, i romani dicono arRoma. E sarebbe buona cosa se, seguendo questa regola, nel parlare si raddoppiasse la consonante che segue le parole accentate (perché mai, perchemmai), i monosillabi (a te, notate che viene spontaneo leggere atté) e, qualche volta, anche i bisillabi (ogni tanto, ognittanto). Quindi aRreggio. I toscani, che dell’italiano sono i maestri, dicono tranquillamente: “Ha fatto tutto dassé” e danno il buon esempio.


O

A

amica olona di Giuseppe Tirinnanzi, 1972

Dall’Arno, sacro alle camène Muse,

a te, Olona, d’ogn’industria madre,

quando ti giunsi, pavido fuggiasco, eri lo specchio limpido del sole,

grave serpendo alla smeralda piana

che die’ al Carroccio la più ambita gloria. Ora,

povera amica, ti sei fatta bianca, come io sono!

E triste tanto!

Come io sono!

Io d’anni bianco e d’assilli e travaglio; e tu lo sei per colmo di veleni,

ché i padri savi e i figli come i padri, senza volerlo t’hanno avvelenata!

Lungo il tuo doppio lido generoso,

a tuo prestigio ed alta provvidenza, t’han creati opifici a gran sgomento di popoli negrieri ed opulenti.

I figli nuovi, vecchia madre Olona, ti renderan salute e giovinezza.

Ritornerai ancora specchio al sole

col tuo materno e provvido sorriso. A meno che, amica, com’è d’uso,

quando le sagge cure avranno inizio,

ci avrà raggiunto il giorno del giudizio.

Giuseppe Tirinnanzi è deceduto nel 1976, alla sua memoria è intitolato il prestigioso premio di poesia ‘Città di Legnano’.

Ho riletto, ultimamente, alcune poesie di Giuseppe Tirinnanzi, toscano trapiantato sin da giovane a Legnano, divenuto importante imprenditore e persona stimata per la sua generosità, che ha saputo far convivere l’anima dell’industriale di successo con quella del poeta di rara sensibilità. Mi ha colpito ‘Amica Olona’ scritta da Tirinnanzi nel lontano 1972: sembra scritta ieri, a proposito dell’ultimo criminale sversamento di tensioattivi nelle acque del fiume. Tanto che viene da domandarsi: ‘il poeta è un po’ profeta’, oppure la società, almeno quella italiana, ha la rara capacità di perpetuarsi, sempre uguale, nei suoi aspetti peggiori?


Proponiamo in anteprima il manifesto ideologico ‘Liberetica’, linea guida di un nuovo movimento che getti le basi di una società basata sulla libertà e sulla giustizia. L’ autore del manifesto è il nostro direttore, il quale affida questo documento, innanzitutto, alla valutazione dei lettori di ‘Olona e dintorni’, con la speranza che essi, non solo ne condividano lo spirito, ma che lo arricchiscano di suggerimenti e nuove idee.

Le 4 domande che liberetica impone prima di agire Nell’intraprendere un’azione è opportuno domandarsi: La mia azione produrrà beneficio anche per la società o soltanto per me stesso? Che cosa succederebbe se tutti gli altri facessero la stessa cosa che sto per fare io adesso? Vorrei per me le conseguenze che la mia azione produrrà per gli altri? Che cosa in futuro potrei rimproverarmi se faccio quello che adesso sto pensando di fare?

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L

E R E IB

a t i v i d a i f o s o l i f a n U

Il termine ‘Liberetica’ nasce dalla fusione delle parole ‘libertà’ ed ‘etica’, ed esprime ‘la capacità di gestire autonomamente la propria libertà nel totale rispetto degli altri’. L’etica, come si sa, si differenzia dalla morale, che è l’insieme di norme e valori stabiliti all’interno di un gruppo (popolo, etnia, associazione, partito politico, ecc.); il concetto di liberetica va oltre: è filosofico e, al tempo stesso, razionale, consiste nel concepire l’esistenza individuale improntata a precise regole dettate dalla propria coscienza sulla base di una scelta consapevole di vita. Liberetica, codice morale La liberetica si contrappone drasticamente alla teoria machiavellica espressa nella frase: ‘il fine giustifica i mezzi’; secondo la logica di liberetica un’azione va giudicata per se stessa nel momento in cui si compie, a prescindere dal fine che persegue. Pertanto il mezzo (e l’azione) non deve trovare avallo nel fine né giustificazione nelle condizioni che ne determinano la scelta. La tendenza ad un fine deve obbedire a dei principi morali, una sorta di codice d’onore. Sia il fine che il mezzo

devono rispondere a quello stesso codice. Si tende, quindi, ad un concetto di giustizia che sia insito nella persona, una sorta di autoregolamentazione che controlla e orienta il comportamento individuale, ne consegue un rispetto dei principi morali inteso come virtù personale e non indotto dal timore delle sanzioni previste dai codici. La filosofia liberetica ribalta il luogo comune: ‘l’occasione fa l’uomo ladro’, in ‘l’occasione evidenzia l’uomo onesto’. Parafrasando l’imperativo categorico di Kant, diremo ‘tu non devi, perché non devi’, non perché altrimenti verrai punito. La coscienza liberetica individuale è intesa come il primo, e più autorevole, giudice delle azioni della persona. La concezione filosofica di liberetica si basa su un rigoroso atteggiamento mentale, normalmente definito ‘onestà intellettuale’, quella predisposizione che spinge a riconoscere e difendere i diritti degli altri come se fossero i propri, improntando ogni comportamento non ad un immediato ed egoistico utilitarismo personale, ma ad un bene comune di cui, di riflesso, si è parte. Quindi ne consegue una visione olistica della società: nessun individuo è fine a se stesso, la realizzazione personale passa attraverso l’inserimento libero ed etico nel tessuto sociale. Il valore di una società nella quale ogni


Commenti, critiche e suggerimenti a questo manifesto sono graditi, scrivere a: Franco Caminiti, presso Il Guado, via Pablo Picasso 21, 20011 CORBETTA (Milano) oppure per email a: caminiti@epinet.it o telefonando ai numeri: 02.97211221 o 339.4143431

A C I T E

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Liberetica come atteggiamento virtuoso individuo è adeguatamente integrato è di molto superiore alla somma dei valori degli individui che la compongono presi singolarmente. Di conseguenza: la limitazione della libertà di un individuo riduce il valore complessivo della società in cui l’individuo è inserito. Liberetica e fede La liberetica è un valore prettamente laico che non ha condivisioni con l’etica religiosa, perché ogni orientamento religioso impone una qualche limitazione della libertà individuale. Il comportamento liberetico, quindi, dal momento che prescinde dal timore della sanzione terrena, altrettanto non deve essere stimolato dalla speranza di una ricompensa celeste, o limitato dall’idea di una punizione nell’aldilà. I concetti di amore per il prossimo, carità, solidarietà ecc. non fanno parte del concetto filosofico di liberetica, ma restano ascritti alla sfera personale dell’individuo. Lo stesso concetto di bontà, non è contemplato come condizione necessaria, mentre è condizio sine qua non il concetto di giustizia reciproca. La ricerca della verità, secondo la logica liberetica, è condotta attraverso la verifica imparziale dei fatti e delle situazioni, mentre il percorso cristiano verso la verità conduce direttamente a Dio. Di conseguenza la verità intesa da liberetica è una verità da ricercare e dimostrare, la verità intesa per fede è, invece, rappresentata da Dio stesso (verità rivelata).

Le virtù, anche quelle teologali, fede speranza e carità, sono viste come qualità migliorative dell’individuo liberetico, la stessa bontà d’animo è considerata certamente un ulteriore elemento positivo, ma riaffermando il concetto che essere liberetico significa essere ‘giusto’, ancor prima che buono. La virtù non è innata, se non a livello di minime predisposizioni genetiche; in massima parte è un habitus che va ricercato, raggiunto e coltivato; la moralità liberetica, che non diventa mai moralismo, deve essere intesa come un modo di essere; i comportamenti ne sono la diretta conseguenza e testimonianza. Liberetica e felicità Il primo passo per avvicinarsi al concetto di liberetica è la fiera affermazione della propria individualità e contemporaneamente il deciso rifiuto dell’egoismo. Ne consegue un atteggiamento di consapevolezza sociale, di autocoscienza, e quindi di responsabilità. L’adesione al movimento liberetico impone il ripudio assoluto della guerra, di ogni forma di prevaricazione, e l’impegno alla costruzione dei presupposti per una società basata sul rispetto e sulla pace. Una società liberetica rappresenta un modello di convivenza senza ingiustizie e senza conflitti. Uno stato mentale di serenità, conseguenza di un percorso di pacificazione con gli altri, e la convinzione di aver operato il giusto, sono la base per il raggiungimento della felicità, obiettivo finale della filosofia liberetica.


L’articoloinfondo di Franco Caminiti

In principio furono i partiti

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In principio furono i partiti, forti delle proprie ideologie: la sinistra bolscevica, la destra nostalgica del fascio, il centro democristiano moderato e innanzitutto cattolico. In seguito si formarono le correnti, movimenti che esprimevano un atteggiamento più o meno radicale all’interno della stessa ideologia e che si identificavano in alcune persone di riferimento. Poi l’uragano ‘Mani pulite’ scompaginò le logiche consolidate permettendo che nascesse il primo partito azienda: ‘Forza Italia’, interamente riconducibile al suo fondatore, Silvio Berlusconi. Dal ‘partito azienda’ al ‘partito persona’ il passo fu breve. Cominciarono ad apparire i simboli con il nome del leader, predominante sul nome stesso del partito. Le ideologie diventarono sempre più blande, i temi si intersecarono, diventando trasversali, quasi intercambiabili, sino al punto di far passare il luogo comune che ‘le ideologie sono finite’. Così la politica arriva ad essere rappresentata da un manipolo di leader, accentratori, capi indiscussi, immagine quasi esclusiva del loro partito, testimonial e portavoce nei rapporti con la stampa e con le istituzioni. Anche la sinistra che, in origine, faceva le campagne elettorali soltanto con falce e martello, dopo un simbolico tour in botanica, non riesce a rinunciare al vezzo, tutto berlusconiano, di identificarsi nel leader. Lo stesso Di Pietro, dopo l’esperienza del Mugello, si fece il suo partito personale che gestisce ancora come un’azienda di famiglia. Il leader è il capo assoluto, una sorta di monarca che pochi osano mettere in discussione, e quando succede, è nelle segreterie, dove forse viene esercitato l’ultimo barlume di democrazia interna. Ci penserà il ‘porcellum’, la famigerata legge elettorale firmata da Calderoli, a dare ai leader lo scettro del potere supremo, lasciando a loro, ed ai loro più prossimi famigli, il compito di scegliere i candidati da inserire in un listino bloccato. È il più grave schiaffo alla democrazia italiana, una legge elettorale che non avrebbe accettato nemmeno il più sprovveduto staterello del terzo mondo. Eppure questa legge che, a sentir loro, non piace a nessuno, è sopravvissuta per 7 anni decidendo la configurazione di 3 legislature, fra le quali quest’ultima. Oggi, a pochi giorni dal voto, si presenta un panorama inquietante fatto di vittime sacrificate sull’altare del porcellum e una moltitudine di ‘miracolati’. La maggior parte di questi ‘eletti’ sono nel movimento 5 Stelle, dove una

truppa di nuovi deputati e senatori che, apparentemente, non hanno altro merito che quello di ‘non aver mai fatto politica’, ha invaso Roma con il look e lo spirito della gita fuori porta: qui si riuniscono a porte chiuse (salvo mettere in rete la diretta streaming) per ascoltare gli ordini del capo. Non parlano con la stampa, queste le direttive; sanno che disobbedire è considerato reato grave, che sono lì grazie a Grillo, che se terminasse anzitempo la legislatura si risveglierebbero bruscamente da un sogno bellissimo che li ha portati da una probabilmente ‘anonima esistenza’ a far parte dell’assemblea più alta del Paese. Ma tant’è: obbedire non costa tanto, tra l’altro non comporta prese dirette di responsabilità e, a pensarci bene, milioni di operai ed impiegati ogni giorno ‘obbediscono’ per molto meno. Smorzate le ambizioni politiche di qualche giudice antimafia, ridimensionata la figura di Monti, che forse a dar retta ai guru americani si è giocato il Quirinale, sbugiardato il povero Oscar Giannino, che pure era riuscito ad attirare l’attenzione di tanti colleghi giornalisti tv, e tanti elettori delusi da una politica ormai rancida e desiderosi di una rivoluzione di destra. L’idea tsunami di Grillo di mandare a casa tutti, tuttavia, è riuscita solo in parte: sono stati estromessi, è vero, dalla Camera Fini e Di Pietro, ma sono stati confermati Scilipoti e Razzi: sicuramente un grande salto di qualità! Grazie Silvio. Dove va l’Italia? Ce lo chiediamo tutti, anche perché dietro questa domanda c’è una situazione economica sempre più drammatica, che richiederebbe competenza ed alti valori morali, ed invece, a pochi giorni dalle elezioni, assistiamo ad una sorta di evoluzione populistica, caratterizzata da una trasversale superficialità di intenti e sconcertante banalità di linguaggio. Vediamo parlamentari che, presi uno ad uno, non rappresentano nemmeno la ristretta cerchia delle loro famiglie; e se dovessero presentarsi alle elezioni, con una legge che preveda le preferenze, non raccoglierebbero nemmeno i voti del loro condominio; eppure sono lì, con il mandato di fare le leggi per tutti noi, e la presunzione di farle meglio di chi li ha preceduti. È la vittoria assoluta del berlusconismo, dell’idea da lui inculcata che basti abbassare il livello culturale del popolo per fargli accettare qualunque cosa. Il popolo inteso, quindi, come massa non più ‘liberamente pensante’ ma asservita ad una legge di mercato che fa della mediocrità


il metro primario di valutazione. Notate le domandine idiote di certi programmi televisivi? “Di che colore era il cavallo di Garibaldi? Può scegliere fra due risposte: bianco o verde.” Si è arrivati, addirittura, a concepire la scarsa competenza, e a volte l’ignoranza, come un titolo di merito di cui fregiarsi, da presentare come il distintivo di un club, secondo la logica che ‘se tanti personaggi istruiti poi si sono rivelati ladri, persone senza adeguata cultura sono sicuramente oneste!’ E se le cose stanno così, è facile far passare il concetto che “è meglio avere un ‘incompetente’ in Parlamento che un politico compromesso con le vecchie logiche del sistema”. E, del resto, qualcuno obietterebbe: a cosa è servito eleggere a Montecitorio un parlamentare di alto livello giuridico come Niccolò Ghedini, avvocato personale di Berlusconi, che nell’ultima legislatura ha accumulato l’81,21% di assenze (mai in missione) e che, con l’indice di produttività stimato 14,4 risulta 621° su 630, praticamente ultimo?* (Al confronto Antonio Razzi è uno stachanovista). Dove va l’Italia? Presto per fare una ipotesi. Bersani rivendica il diritto ad essere il primo incaricato alla formazione del nuovo Governo, dimenticando che solo un pugno di voti separa il PD dal PDL e che, a onor del vero, non è il PD il primo partito. Ma il porcellum premia la coalizione e non il partito, e lo fa con un numero stratosferico di scranni, regalati alla faccia delle scelte degli elettori. Berlusconi apre la porta ad una intesa da compromesso storico; Grillo la chiude a tutti, salvo che non si tratti di sostenere un primo Governo Grillo. Il suo gioco è chiaro: tornare ad elezioni dopo aver approvato alcune leggi proposte da lui stesso e poi andare a fare il pieno di voti nella prossima consultazione elettorale. Ultima possibilità: un altro governo di tecnici affidato a Passera, o magari, ancora allo stesso Mario Monti, così si confermerebbe la regola che in Italia ‘vince chi perde’!

Nessuna legge potrà, comunque, passare se non vi sarà una larga coalizione, e questa eventualità, che rappresenta l’unico modo per arrivare ad una seppur provvisoria governabilità del Paese, è al tempo stesso, la certezza che si tornerà presto alle urne. E con quale legge elettorale? I partiti faranno di tutto affinché resti il famigerato porcellum. E, se così sarà, riavremo lo scenario attuale, probabilmente con un incremento di consensi per Grillo, ma forse non ancora sufficiente a dargli il ‘potere assoluto’ a cui lui aspira. Nessuno che prema l’acceleratore dell’impegno sui temi più urgenti: dare lavoro, e tagliare alcune vergognose spese dello Stato per ricostruire, con un minimo di sussidio, la dignità esistenziale di tante famiglie allo stremo. Ho incontrato Grillo due anni fa, durante la campagna elettorale per il Comune di Milano. I grillini arrivarono alla spicciolata, poi arrivò Beppe, senza scorta. Apprezzai molto questo dettaglio: qualcosa stava cambiando, mi dissi. Ma poi si aprì l’incontro e tutti si rinchiusero nella sala, io restai fuori, malgrado il mio tesserino da giornalista: vietato entrare! Ecco, mi colpì questa decisione da parte di Grillo, non in linea con l’idea da lui sbandierata di democrazia aperta e trasparente. A distanza di due anni vedo che le cose non cambiano: riunioni vietate ai giornalisti, come quelle del Gruppo Bilderberg. (Ma nelle riunioni dei ‘potenti’ è diverso, non c’è il collegamento streaming). Tanto più che alcuni giornalisti nella riunione di Bilderberg sono stati ammessi: ad esempio sappiamo della presenza di Lilli Gruber, ma non certo in veste di reporter... No, il caso di Grillo e del suo rifiuto alla stampa è altra cosa, ‘strategia di comunicazione’, dicono, ‘scarsa attitudine dei nuovi eletti’, sarà, ma mi sa tanto di sassolini da togliersi dalle scarpe, lui che per tanti anni è stato lasciato fuori dalla porta per chissà quale sorta di ostracismo... E si sa, ‘la vendetta è un piatto che si gusta freddo!’ *Fonte dati: http://indice.openpolis.it/deputati.html

Beppe Grillo

(immagine: www.corriere.it)

foto di ...

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L a p o s ta dei L et tor i

Egregio direttore, ho notato che in questa rivista non affrontate alcuni temi cruciali riguardanti il nostro territorio: ad esempio i recenti sversamenti nelle acque dell’Olona, o i cumuli di rifiuti che deturpano i nostri campi ed i nostri boschi. Il compito di un giornale è di documentare ed attirare l’attenzione anche sugli aspetti negativi. Credo che messi in evidenza sulla vostra bella rivista certe ‘brutture’ risalterebbero ancora di più. Congratulazioni per il vostro impegno. Distinti saluti. (lettera firmata)

94 Caro lettore, concordo con lei che un giornale debba documentare e denunciare, attirare l’attenzione e sensibilizzare, anzi lo considero un fermo dovere del cronista. Ed infatti abbiamo parlato dello sversamento, anche se il tipo di impaginazione non dà la vera sensazione di ‘bruttura’. Ed anche in questo numero pubblichiamo una poesia del poeta legnanese Tirinnanzi che parla chiaro sull’inquinamento del nostro fiume. Tuttavia ogni giornale, così come ogni trasmissione televisiva, deve avere un ‘taglio editoriale’ ed ‘Olona e dintorni’ è nata con lo scopo di mostrare il meglio del nostro territorio, esaltandone l’eccellenza. Abbiamo immaginato la nostra rivista nelle mani di un forestiero di passaggio, che soggiorna per una sera in uno degli hotel della Valle, ebbene: che immagine daremmo del fiume, del territorio e di noi stessi, presentando testimonianza di un così elevato grado di inciviltà? Lasciamo che il lavoro di denuncia sia portato avanti dagli altri giornali locali, cosa che validi colleghi fanno con puntualità e solerte impegno. A noi lasci la gioia ed il privilegio di mostrare il meglio del nostro territorio e della nostra gente, le bellezze e le eccellenze che forse non tutti conoscono. Grazie per la sua fiducia. Cordiali saluti.


gode dei patrocini non onerosi* di

Consorzio Fiume Olona (CFO)

Arluno

Canegrate

Cerro Maggiore

Cislago

Gorla Minore

Induno Olona

Marnate

Lonate Ceppino

Parabiago

Rescaldina

San Vittore Olona

Tradate

Uboldo * Olona e dintorni non beneficia di alcun sostegno o finanziamento pubblico. I patrocini non onerosi sono un attestato di fiducia che non comporta alcun esborso di denaro da parte delle istituzioni.

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LA PERLA DELLO IONIO

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