giardini
Verde Spirito orti
margini
giardini
Verde Spirito orti
margini
opere di Alessia Agnoletti . Matteo Buoso . Rodica Burlacu Giona Collinelli . Annalivia Collini . Anna Rita Fattori Andrea Fiori . Andrea Verònica Gonzà lez . Marica Pelliconi Francesca Saitta . Ksenia Samokhina Cristina Semprini . Daniele Tamburro
Monastero delle Sante Caterina e Barbara a Santarcangelo di Romagna (RN)
Questo quaderno n.3 dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna esce in occasione della mostra Verde Spirito. Orti, giardini, margini: i giovani artisti dell’ Accademia di Ravenna nel Monastero delle Sante Caterina e Barbara a Santarcangelo di Romagna, allestita a cura di Maria Rita Bentini e Nicola Cucchiaro, in collaborazione con Massimo Bottini, nel Monastero delle Sante Caterina e Barbara a Santarcangelo di Romagna (RN) dal 9 al 19 luglio 2015. cura redazione ed editing: Maria Rita Bentini crediti fotografici: Nicola Cucchiaro (pp. 8-9, 11-23), Fabio Fiori (pp. 4-5), gli studenti di terza (pp. 6-7, 24)
COMUNE DI RAVENNA
Comune di Ravenna Sindaco Fabrizio Matteucci Assessore alla Cultura, Pubblica Istruzione e Infanzia, Istruzione Superiore Ouidad Bakkali Capo Area Istruzione e Politiche di sostegno Dianella Maroni Dirigente Servizio Pubblica Istruzione e Infanzia, Accademia di Belle Arti Mirella Borghi Accademia di Belle Arti di Ravenna
Accademia di Belle Arti di Ravenna Direttore Enrico Fornaroli Coordinatrice didattica Paola Babini Responsabile amministrativo-contabile Oriella Garavini Amministrazione e segreteria didattica Manuela Ballardini, Monica Badessi grazie a Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza
Visual Design: Gianluca Costantini
Nanna
*
... E tuttavia in questi segni vitali c’è a sufficienza analogia con i nostri perché possiamo considerar le piante come nostri affini psichici ... Perché non ci dovrebbe essere, oltre le anime che camminano, gridano, mangiano, anche anime che silenziosamente fioriscono e spandono odori? Gustav Theodor Fechner, Nanna o l’anima delle piante Inserire l’arte contemporanea all’interno del verde di un convento è stata per i giovani artisti dell’Accademia una duplice sfida. La prima, quella di dialogare concettualmente e oggettualmente con la natura pensando a un’affinità psichica; la seconda, quella di inserirsi in uno spazio impregnato storicamente di spiritualità. Mentre la natura nel periodo invernale dormiva, gli studenti iniziavano a far germogliare idee nel laboratorio fino ad arrivare in sincronia, nel periodo primaverile, con il paesaggio verde e rigoglioso del convento. Queste opere, infatti, sono nate e si completano esclusivamente con lo spazio ospitante del convento. Un percorso che parte dal coro, unico spazio interno, e attraversa due livelli di giardini. Per delineare questo tragitto, l’atteggiamento mentale è stato quello di mantenere costantemente uno spirito corale nella progettazione e nella realizzazione dei tredici interventi artistici. Nel coro, che in quest’occasione si è trasformato in cassa acustica del silenzio, la natura si manifesta nelle installazioni attraverso un dialogo con l’architettura. Ed ecco le fotografie di riccioli dorati a ricordo di una decorazione barocca, rosoni di gesso fatti di calchi di frutta secca o piatti in ceramica posti verticalmente, dove stampi di rametti e foglie sostituiscono la pennellata geometrica decorativa. E poi fuori, nel giardino curato del chiostro e fin giù nel cortile sottostante, il dialogo con il verde si esprime nella ragnatela sgocciolante che forma uno strano pizzo, nei disegni scultorei fatti d’intrecci di rami decorati e quelli, schiacciati sotto vetro, di foglie intagliate. Il paesaggio, lo stesso che si contempla dall’alto del convento, è tradotto artisticamente in miniature orizzontali ripetute, come a ricordare un lungo sguardo in lontananza fatto con gli occhi
socchiusi. E ancora, bozzoli d’insetti sconosciuti e alieni, fossili verticali di piante ibride, foglie mosse dal vento e bloccate, come da una fotografia istantanea, dalla solidità del gesso. Si sfida la natura anche con il suo opposto, quella generata dalla testa dell’uomo, quella sintetica, la finta erba. Infine, nel luogo più remoto del cortile, una cascata di blu elettrico a memoria dell’acqua fonte di vita e alberi-tubero dipinti con luce artificiale nel buio di una “pseudo-grotta”. Radici nascoste che ci invitano a pensare anche alla possibilità di un percorso a ritroso, ritornando su in superfice fin verso la fronda dell’albero, il coro. * Nello scritto che il fisico e filosofo romantico tedesco Gustav Theodor Fechner ha dedicato alle piante (Nanna o l’anima delle piante, 1848), Nanna è la sposa del dio della luce Baldur, una delle più importanti divinità minori della mitologia nordica, è la dea del mondo dei fiori.
Nicola Cucchiaro docente di Plastica Ornamentale e di Tecniche Plastiche Contemporanee 5
Beata l’erba fresca, l’ortica, la cicoria, e chi se la magna, che Dio l’abbia in gloria”, prega un saltellante ed estatico Padre Ciccillo, cioè “l’assurdo, l’umano, il matto, il dolce” Totò in Uccellacci e uccellini, un film che è a suo modo anche una riflessione ecologica di Pier Paolo Pasolini. “Beata l’erba fresca” continuiamo a recitare noi tutte le volte che vediamo un indomito tarassaco trovare un varco in un’invisibile breccia tra un muro di cemento e una strada d’asfalto o quando vediamo un istrionico papavero rosso illuminare la grigia monocromia di un parcheggio. “Beata l’erba fresca” che può assumere anche le altrettanto ribelli forme di un fico equilibrista comodamente in bilico su un muro di pietra. Due erbe e un albero che con la loro storia vegetale e culturale, sì perché anche le piante hanno una storia culturale, riassumono l’incanto della combattività della loro vita, che si intreccia con la nostra. “Le piante viaggiano. Soprattutto le erbe. Si spostano in silenzio, in balia dei venti. Niente è possibile contro il vento”, ci ricorda Gilles Clément. E quale pianta meglio del tarassaco, che non a caso i bambini italiani chiamano soffione e quelli inglesi blowball, incarna meglio anche nell’immaginario popolare questa strettissima relazione tra le erbe e i venti? Anemogamia e anemocoria le chiamano i botanici, cioè rispettivamente l’impollinazione dei fiori e la dispersione dei semi, entrambe ad opera del vento. L’anemos dei greci, è anche lo spirito vitale di tantissime piante, tra cui proprio il tarassaco il Tarassaco indomito
6
Beata l’erba fresca cui achenio è dotato di un pappo, cioè il seme ha un’appendice a forma di elica, un’elegantissima architettura diafana che gli permette di volare lontano, conquistando spazi ampissimi e remoti. Remoti non solo geograficamente, ma anche storicamente, perché il tarassaco è un erba ruderale, una di quelle piante pioniere che aggrediscono, secondo alcuni, che impreziosiscono, per altri, i segni dell’uomo, accelerando quei processi di rinaturalizzazione che sono parte dell’eterna ciclicità della natura. Ma l’interesse dell’uomo per il tarassaco è antichissimo, innanzitutto per le sue qualità alimentari, perché è anche una pianta alimugica. Parola scomparsa dal vocabolario italiano, come puntualmente conferma il correttore automatico del programma di videoscrittura, ma anch’essa antica, importante, che merita di essere riscoperta, soprattutto in chiave gastronomica ed ecologica insieme. Alimurgica è anche la litania erbacea di Totò, perché l’alimurgia è la scienza che studia le piante selvatiche alimentari. La parola, coniata dal medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti nel 1767, nasce dall’innesto di urgentia su alimenta, o sia il “Modo di render meno gravi le carestie proposto per sollievo de’ poveri”, riprendendo il sottotitolo del suo libro. A questi valori originari, legati ai periodi di carestia, oggi l’alimurgia si rinnova come “interesse per il fascino rituale della ricerca di cibo, come se nutrirsi di piante selvatiche ci riportasse in contatto con le nostre radici biologiche, con il senso delle stagioni, con il senso profondo del cibo in
Fico equilibrista
quanto prodotto di processi naturali”, riprendendo le parole del botanico inglese Richard Mabey. Il tarassaco, oltre alle doti pionieristiche, associa anche quelle officinali, come ricorda il suo nome scientifico Taraxacum officinale. Noi ci limitiamo ad accennare a quelle gastronomiche, perché è un’erbetta ottima da mangiare, sia fresca in insalata che lessata e magari saltata poi in padella con l’aglio. Le stesse qualità, infestanti e culinarie, ha il papavero, più noto in Romagna come rosola. A suo modo una vera e propria icona della cucina romagnola, perché in abbinamento con la piada dà quel capolavoro gastronomico chiamato cassone con le rosole. Rigorosamente crude, semplicemente battute con il coltello, salate, strette e poi condite a piacere con un pizzico di sale, olio e, per i più sfiziosi, con aglio crudo. Ma chi è la rosola? E soprattutto come la sua storia si lega a quella dell’uomo? I botanici la chiamano Papaver rhoeas, più semplicemente papavero comune o rosolaccio. Parente stretto del papavero da oppio, anche nei semi di quello comune è contenuta una piccola quantità di alcaloidi con proprietà sedative. Perciò gli antichi li utilizzavano per preparare pappe per i bambini e proprio da questa usanza deriverebbe il nome. Certo è che la storia del papavero è strettamente legata a quella del grano e, non a caso, nel mito i suoi fiori rossi e le spighe dorate adornano il capelli di Cerere, la dea della fertilità agraria. Malgrado antiche sarchiature e moderni diserbi, la rosola non solo ha resistito nei millenni, ma ha accompagnato il grano nella sua conquista di ogni angolo coltivabile della Terra. Di come le piante, coltivate e infestanti, abbiano seguito il peregrinare dell’uomo, emblematico è il caso del fico, il Ficus carica. Un albero magico per gli antichi, l’essenza stessa della fertilità, a cominciare dal suo nome che ha una straordinaria, evocativa e dolcissima vicinanza con “e’ sgarzùl ad tòtt i fiéur”, riprendendo un verso del Miele di Tonino Guerra,
dedicato alla figa. Un altro poeta, Virgilio, chiamava il fico “albero felice”, e Plinio racconta che per la sua sacralità ne fu piantato uno nel Foro romano, diventando oggetto di venerazione per secoli. La sua biologia riproduttiva, avvolta da un alone di religioso mistero, ha ulteriormente amplificato la sua aura magica. Senza dimenticare che a differenza di tutti gli altri alberi fruttifica due volte “quando si miete e quando si vendemmia”, dicevano i romani. Prima di loro i greci, nelle feste dionisiache portavano sempre un cesto di fichi e un fallo, scolpito nel legno di questo albero meraviglioso. Filosofico addirittura, perché secondo Platone i fichi “rinvigoriscono l’intelligenza”. Se la preghiera apocrifa di Pier Paolo Pasolini ci ricorda la beatitudine di erbe e alberi vagabondi, una filastrocca anemofila di Federico Fellini in Amarcord ci invita a guardare con incanto tutto ciò che è portato dal vento, odori e samare, rumori e manine. “S’al manini gli è arivè, da l’inverni a sem scapé! … Le manine stanno su e l’inverno non c’è più … Vagano, vagano. Girolanz ... Gironzano … Gironzalon ... Vagano, vagano, vagano!». E i nostri pensieri e i nostri appetiti con loro, vagano, vagano vagano. Fabio Fiori
Fabio Fiori, da vent’anni osserva, studia e racconta lo spaesaggio italiano, a partire dalla infinita riva urbana adriatica. All’Adriatico ha dedicato numerosi articoli scientifici e narrativi, pubblicati su riviste e quotidiani, oltre ai libri Un mare. Orizzonte adriatico (Diabasis, 2005), Il mare nelle mani. Viaggio fra i lavoratori dell’Adriatico (Pazzini, 2007) e Abbecedario Adriatico. Natura e cultura delle due sponde (Diabasis, 2008). Del 2012 sono Vela libre. Idee e storie per veleggiare in libertà (Stampa Alternativa, 2012) e Anemos. I venti del Mediterraneo (Mursia, 2012), Thalassa. Le acque del Mediterraneo (Mursia, 2014). Sta lavorando a un piccolo, “gustoso”, testo sulle erbe mangerecce, un vero e proprio ricettario del Terzo paesaggio. E’ anche autore, regista e protagonista di audiodocumentari trasmessi a teatro e su Rai Radio Tre. Collabora regolarmente con “La Stampa”, “Corriere Romagna”, “Bolina”, “L’Indice dei Libri del Mese”, “Lettera Internazionale”. Del mare, e dei piaceri che gratuitamente regala, scrive sul blog http://maregratis.blogspot.com/ 7
8
PAV Un Parco d’Arte Vivente Torino, gita di terza. Immersi prima nell’Arte Povera, nel visionario spazio del Castello di Rivoli (un’opera per tutte: Respirare l’ombra di Penone, una stanza di foglie d’alloro per sentirsi dentro la natura), siamo davanti alla Galleria d’Arte Moderna. “Un blocco di marmo, materia che proviene dal sottosuolo, sostiene un albero, cresciuto a contatto della pietra, sradicato e fuso in bronzo”: è, con le parole del suo autore, In limine (Giuseppe Penone, 2011), dove mettiamo la mano per sentire il contatto. Ma eccoci al Pav! Il Parco Arte Vivente si trova in un’area industriale dismessa di Torino, zona Lingotto. Abbandonata a se stessa per anni, in attesa di decisioni, l’area si trasforma in uno spazio
di Terzo paesaggio, così nel 2006, grazie all’artista Piero Gilardi, il progetto di parco attrezzato diviene tutt’altro: un centro d’arte contemporanea. E’ un parco “in movimento” con un concept preciso, la resilienza. Accoglie “le sollecitazioni e le relazioni con gli artisti, le relazioni di questi con l’ambiente, con i suoi vincoli e le sue potenzialità, e con il pubblico e le committenze sociali, in un sistema di relazioni dove il luogo della produzione delle opere è il medesimo di quello dell’esposizione, e il luogo dell’esposizione è il territorio, dove le opere, entrando in rapporto fra loro, concorrono al processo di costruzione di questo frammento di paesaggio”. E’, insomma, un laboratorio vivo, aperto. Camminiamo in questo paesaggio in continua trasformazione: siamo in un trifoglio verde (Trèfle, Dominique Gonzalez-Foerster, 2006), nel cortile dell’edificio-museo che si nasconde nel terreno (c’è qui un’opera di Botto e Bruno), nel giardino pensile che Gilles Clément ha creato con piante che vivono di nulla e che oggi, con la loro vitalità, hanno invaso il tetto (Jardin Mandala, 2010), attraversiamo le sei stanze di Bioma, l’installazione artistica di Gilardi con cui manipolare la natura con programmi interattivi. Deborah, mediatrice culturale, ci accompagna nella rivoluzione verde di Bert Theis, l’artista lussemburghese d’origine e milanese di adozione: contro l’ordine impositivo dell’architettura contemporanea, i suoi interventi si inseriscono nei luoghi, nella loro memoria, nel flusso della vita di chi li abita. Aggloville è “contro” , per reimmaginare (anche con una palma) la città contemporanea. (M.R.B)
9
Orti giardini margini. Spazi verdi nel complesso del Monastero delle Sante Caterina e Barbara in Santarcangelo di Romagna. Il Convento è un corpo composto da diverse parti fatte da altrettanti tipi di materia, c’è la parte solida quella della chiesa, delle celle, delle stanze per la vita quotidiana e poi c’è la parte mutevole quella dell’orto e dei giardini. L’una vive dell’altra in una dinamica di scambio continuo, infinito, e questo agire diventa esso stesso materia. Restaurare questo luogo ha significato preservare quest’ultima sostanza agendo sulle prime due. Il lavoro è stato prima di tutto tempo per l’ascolto e l’osservazione, un “vuoto” che ha cercato di accogliere tutto ciò che è impossibile misurare, il ritmo del tempo, il mutare della luce, le sensazioni. Maneggiare la materia solida ha significato quindi agire anche su quella mutevole degli spazi verdi che assumono forme diverse.
10
Da una parte il giardino fiorito con il pozzo al centro, il chiostro in cui le linee perfette delle antiche aiuole dove le erbe medicamentose crescevano assieme ai fiori , ricordo del giardino dell’eden, sono oggi solo accennate. Il chiostro su cui volano le colombe che abitano qui è uno spazio avvolgente, “caldo”, protettivo, che è sì mutato negli anni ma che tuttora conserva lo spirito originario, quello di luogo di contemplazione, muta preghiera, canti rituali. Proprio sotto il giardino fiorito si adagia un pezzo di terra incolto coperto di verde in cui una grande pianta troneggia, il suo essere quasi sempre all’ombra lo rende molto diverso dall’area soprastante quasi sempre illuminata dal sole. Qui la sensazione è quella di trovarsi in un luogo di passaggio, un luogo calpestato migliaia di volte che pare ancora risuonare dei passi che per secoli lo hanno percorso. Si scende ancora e il verde prende il sopravvento su tutto, è l’orto con i suoi alberi di noce, quelli di fico, gli ulivi , un ettaro di terra in discesa circondata da alte mura, con gli antichi pozzi e in fondo gli ortaggi coltivati per le suore del convento. L’orto è in luogo che ha in sé l’ombra e il sole, la salita e la discesa, i frutti e gli ortaggi, le officinali e l’erba infestante, un luogo di opposti che convivono. Tutti gli spazi verdi del Convento si mostrano all’occhio non allenato in un sottile strato di
disordine che serve solo ad allontanare e demotivare chi non sa leggerli. Passeggiarci e sostarci per il tempo che serve nel silenzio della loro materia , invece, permette di scoprire la loro trama in cui ogni pianta, sentiero, fiore, mattone e pietra occupa una posizione precisa. Un equilibrio impercettibile , una sorta di rumore di fondo. Massimo Bottini
Massimo Bottini, architetto, vive a Santarcangelo di Romagna in provincia di Rimini. La sua formazione accademica si colloca nell’ambito della conservazione e del restauro dei beni architettonici così come la sua attività lavorativa. L’innata passione per la tutela e la valorizzazione dell’eredità culturale italiana lo ha fatto approdare in alcune delle maggiori associazioni che operano su scala nazionale in cui ricopre ruoli di rilievo, tra esse: Italia Nostra, l’ Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI) ed infine Co.Mo.Do. Confederazione per la Mobilità Dolce, di cui è presidente nazionale dal 2013. E’ suo il progetto di restauro e di recupero funzionale del Monastero delle Sante Caterina e Barbara a Santarcangelo, oggi anche Foresteria del Convento.
11
giardini
Artisti
orti
5 2 12
margini
13 1 > Alessia Agnoletti 2 > Matteo Buoso 3 > Rodica Burlacu 4 > Giona Collinelli 5 > Annalivia Collini 6 > Anna Rita Fattori 7 > Andrea Fiori 8 > Andrea Verònica Gonzà lez 9 > Marica Pelliconi 10> Francesca Saitta 11> Ksenia Samokhina 12> Cristina Semprini 13> Daniele Tamburro
1
3
9
13
11
6
4 7
10 8
12
Alessia Agnoletti Il ragno vive per un’unica grande passione e necessità: tessere e proteggere la ragnatela. Il meraviglioso intrigo di fili che questo essere crea, unito alla sua cura ostinata, mi ricordano gli intrecci nella vita di ognuno di noi: siamo tutti tessitori di trame. Ho costruito anch’io la mia ragnatela, come un ragno, e intessendola giorno per giorno ho marcato il mio percorso con il vinavil. Con lenti passaggi e ancor pù lente asciugature, si sono create due storie parallele. Una di esse sfida le leggi di gravità mentre l’altra vi si scontra. Due realtà in dialogo che, pur essendo l’una l’ombra dell’altra, non si toccano. Ho tracciato la mia casa di filo rintanandomi al chiuso, con l’idea di farle respirare aria una volta completata: con la sua silenziosa intimità, l’opera trova il suo habitat nel giardino del monastero. Con
piante e fiori intorno ha la possibilità di sussurrare e di essere ascoltata. Un’armonia silenziosa, uno spirito verde. Una voce bisbiglia: “Io, ragno, demiurgo, plasmo storie e marasmi di gocce, lasciando passare la vita e la morte nel mio nido, sospeso“.
Storie in sospeso filo dorato, vinavil , 80 x 80 x 40 cm
13
Matteo Buoso E’ questo un lavoro sulla decorazione e sulla natura, per tentare l’indagine sulle origini della decorazione stessa, su ciò che l’ha ispirata e ne ha gettato le basi. Dall’architettura alla ceramica, la madre della decorazione è la natura che, coi suoi colori e le sue forme nonché con i suoi ritmi, è da sempre parsa all’uomo fonte di inesauribile bellezza. Proprio della ceramica ho deciso di servirmi per la realizzazione di un’opera che consiste in una serie di quattro piatti in terraglia bianca lavorati a stampo, la cui decorazione a rilievo è composta di elementi naturali disposti in maniera ritmica e geometrica, colorati a frottage con ossidi metallici. Non più decorazione dipinta ed ispirata alla natura: è la natura stessa che diviene decorazione con le sue forme estremamente variabili eppure imprigionate, come in questo caso, in uno schema geometrico.
14
Archè terraglia bianca, ossidi metallici, 35 cm (diametro), quattro elementi
Rodica Burlacu Le opere prendono ispirazione da tutti quegli insetti che producono bava filamentosa al fine di proteggere un qualcosa (se stessi, le loro uova, i propri simili...). La grammatica delle trame di filamento di plastica di cui sono composte è frutto di una reinterpretazione delle composizioni geometriche ovunque presenti in natura. Ho immaginato un animaletto che si adagia sull’albero e osserva questo luogo di pensiero, carico di suoni senza tempo e di una densa profondità spirituale. Ho lasciato che ne respirasse l’aria e poi invadesse lo spazio. Il tessere si è fatto meticoloso e religioso, pieno di rispetto e devozione per ogni attimo e ogni pensiero. Così ha preso vita la costruzione giocosa della dimora di uno spirito immaginario.
D n.1 plastica abs 80 x 30 x 30 cm circa D n.2 plastica abs 110 x 15 x 15 cm circa
15
Giona Collinelli Una visione sospesa, data dalla leggerezza, per permettere all’osservatore di sperimentarla a tutto tondo, entrando così nel “gioco verde”. Le foglie ritagliate e composte all’interno dei dischi trasparenti creano due diverse immagini. Una è una gabbia rigida e statica. Vuole forse imprigionare, racchiudere la forza verde, costringere entro forme date la natura libera circostante. L’altra muove linee e spirali sinuose, morbide, che alludono ad una natura senza confine e limite.
Gioco verde plexiglass, foglie, 50 cm (diametro), due elementi
16
Annalivia Collini All’inizio, con l’immaginazione, ho rivisto le piante, quelle più umili, senza fiori. Ho deciso di modellarle con l’argilla, alla ricerca dell’anima della terra, per trovare la morbidezza e la fluidità tipica di questo materiale, che pure è molto consistente. Modellavo la creta, che a sua volta si rimodellava crollando, aprendosi piano piano, proprio come una pianta che cresce e si apre grazie alla sua energia vitale. Un primo studio si è fermato alle miniature plastiche, lasciate col colore naturale dell’argilla. In un secondo tempo mi sono concentrata sul movimento, pensando alla natura che è in perenne movimento; così facendo ho trovato le giuste forme e le giuste posizioni. Lo spazio del coro del monastero mi ha poi suggestionata, ho sentito l’esigenza di far entrare in empatia le mie miniature vegetali con la sua
sacralità. Il color oro che ho scelto per rivestirle rivela l’essenza sacra delle semplici piantine di creta da me modellate. Il passaggio al medium della fotografia digitale ha alla fine rafforzato questa sospensione magica, allontanando lo sguardo da ogni materialità plastica.
Sacro C-print su forex, 30 x 70 cm ciascuna, 5 elementi
17
Anna Rita Fattori Riflettendo sul tema del terzo paesaggio, ho indagato la natura che nasce spontaneamente lungo la ferrovia. Mi sono accorta della grande quantità di specie arboree che si intrecciano selvaggiamente in quello stretto tratto limite fra la ferrovia e il verde antropico dei campi. C’è libertà di azione negli spazi incontrollati, la natura è creativa dove si lascia a se stessa, le piante viaggiano, le erbe soprattutto si spostano in silenzio seguendo i venti. La molteplicità degli incontri e la diversità della vegetazione sono ricchezza per il territorio. Le piante si mescolano e si contaminano, c’è la circolazione e l’incrocio tra le specie. Il risultato di questa diffusione è che la natura si rigenera e cambia, si mischia dando forma a nuove piante, ibridi spontanei in continuo mutamento. Ho raccolto semi, piante e fiori secchi. Ho lavorato sul concetto che la natura e le piante si contaminano tra
18
loro e cambiano forma, così ho preso semi, steli e foglie, e li ho rappresentati mischiandoli, imprimendo la loro forma nella creta per poi fare il calco in gesso.
Innesti gesso con anima di ferro 10 X 2 x 85 (h) cm. circa, cinque elementi
Andrea Fiori
di garantire maggiore resistenza alla scultura. Le foglie ottenute sono state infine applicate ad una base di gesso.
Ho immaginato il respiro della natura su un tappeto di foglie. Il vento trascina le foglie come un’onda del mare. Gli elementi della natura, acqua e foglie si confondono nel bianco della luce. Anzichè d’acqua, l’onda è formata da foglie che rappresentano il rinnovamento e la fine di una stagione. Ho in mente l’inizio di una poesia: Un manto di finezza / dai colori forti / copre la terra... / quasi una carezza discreta, / (Paolo Eroli, Foglie d’autunno) L’opera è stata realizzata in gesso rinforzato con tela e tondini di ferro. Ogni foglia è stata ottenuta da un’impronta realizzata con silicone di una foglia vera. Posato uno strato di gesso nello stampo di silicone si ottiene una prima forma di foglia. Per completarla si applicano poi vari strati di gesso, uno sull’altro, frapposti da un pezzo di rete e da un filo di ferro che permettono
Foglie gesso, struttura interna in tela e ferro, 28 x 36 cm circa
19
Andrea Verònica Gonzàlez L’acqua è per gli esseri viventi fonte essenziale di vita, per la terra nutriente primordiale, per lo spirito simbolo di purezza. Le lastre in gesso, modellate come piccoli ruscelli uniti fra di loro, formano cascate e queste, come una sinfonia silenziosa, trovano il loro spazio immerse nel verde dei giardini del monastero. Impresso sul gesso la traccia dell’ essenzialità, il blu intenso che riveste la forza dell’ anima, la struttura, la terra che afferma la nostra esistenza materiale. Piccole cascate che creano un’oasi immaginaria fra le mura di una comunità muta, piena di bontà e servizi che tuttavia ha voce attraverso il suo concedersi assoluto ad Altro da sé.
20
L’opera manifesta una leggerezza quasi invisibile che trascina nella freschezza viva della natura, il movimento delle sue linee fluisce come un sussurro persistente fino a sparire.
Essential gesso , pigmento blu cobalto, strutture in ferro nervato arrugginito,120 x 30 cm circa, sei elementi
Marica Pelliconi Ero bambina quando mio padre mi portava sulla Vena del Gesso, un parco naturale in collina, dove affiorano dalla terra grandi rocce, scolpite e modellate da acqua e vento. Questi “signori della terra” assumevano svariate forme ai miei occhi e alimentavano la mia fantasia. Immaginavo micropaesaggi, villaggi abitati da piccole creature, ruscelli e orizzonti, mondi fantastici che ancora oggi mi affascina vedere e rivivere con la mente, abitando in paese e in città. Poi ho scoperto che questi, in qualche modo, esistono. Il Terzo Paesaggio è quel verde che nasce indomabile dalle crepe di cementi, mattoni, piastrelle e asfalto. La natura rinasce e si riappropria della sua terra natia, assorbendo le architetture realizzate dall’uomo.
MicrOrizzonte è un’opera composta da sette lastre di gesso in ognuna delle quali è modellata la visione di un paesaggio, in prospettica lontananza. Il rilievo è stato realizzato attraverso il calco di foglie, semi, erbacce e bacchetti. Mi sono proposta di evocare l’immagine di micro-villaggi del luogo. Paesaggi color ruggine, come il tramonto. Il lavoro è disposto in modo da mettere in relazione l’orizzonte reale, il paesaggio che si apre alla vista al di là del muro, nel giardino del monastero, con l’orizzonte del paesaggio evocato, stimolando l’osservatore a cambiare il proprio punto di vista e a giocare con l’immaginazione.
MicrOrizzonte gesso, ruggine, ferro, 150 x 300 cm l’installazione
21
Francesca Saitta La natura è un regno di svariate forme e colori, un mondo che all’artista appare come configurazioni di luci e ombre. Penso che l’ombra sia figlia della luce. Quando la luce colpisce la materia, allora si manifesta, proiettando un’ombra scura che è la sola conseguenza della luce. Quando la luce si adagia poi sulle cose da contemplare, l’ombra è il segno del suo passaggio. E dalla contemplazione e dall’amore verso natura, in tutti i suoi aspetti, ecco che l’ombra, proiettata da una forma plastica, vuole simbolicamente segnare il passaggio della luce interiore. Le sagome di due alberi surreali, adagiate su piccoli tavolini in ferro all’interno della grotta, proiettano l’ombra di se stesse, grazie a una fonte luminosa artificiale, andando a creare forme suggestive. Gli “alberi” sono forme plastiche la cui struttura
portante è in filo d’acciaio; ad essa sono state unite bottiglie di plastica ritagliate grossolanamente, attorcigliandole, fuse poi ad alta temperatura con phon da carrozziere. Le aperture laterali della grotta sono chiuse da un telo nero, che il fruitore - restando sulla soglia può facilmente spostare per scoprire l’istallazione all’interno, perchè la luce esterna non vada a interferire con la luce artificiale: l’obiettivo è ricreare uno spazio intimo e spirituale che richiama quello che ogni essere umano in sé nasconde. Sulle pareti nude della grotta, in pietra scura, sono adagiati fogli sottili di masonite, un leggerissimo compensato dipinto in bianco, così che l’ombra proiettata appaia più evidente.
Ombra e Luce installazione nello spazio naturale della grotta filo d’acciaio, bottiglie di plastica, tavolini in ferro, fogli di masonite, teli neri, due faretti Led.
22
Ksenia
Per dare forma ai rami è stato usato un filo dorato, cornice preziosa per un miracolo di vita che ogni anno viene tagliato e buttato dall’uomo.
Samokhina Da secoli la natura è stata addomesticata dall’uomo, prendendo la forma e la configurazione che l’uomo le ha dato. Ma essa , meravigliosamente, mantiene sempre il suo aspetto e mai si stanca di provare a tornare allo stato originale, selvaggio. Contro il suo desiderio di ritornare alle origini incontaminate lottano i giardinieri di tutto il mondo, potando gli alberi e tagliando l’erba. Per quest’opera sono stati utilizzati rami di arbusti potati in primavera dopo la sfioritura. Ma ogni primavera successiva gli arbusti fanno nuovi rami e di nuovo fioriscono: rinascono anche in modo mistico, come il mitico uccello, la Fenice. Gli stessi rami utilizzati per l’opera avevano tanta forza e voglia di vivere che per diversi giorni hanno continuato germogliare, traendo acqua vitale dal gesso della base plastica.
La natura sono io scarti di potatura, filo dorato, gesso 155 x 60 cm (diametro), 155 x 73 cm (diametro)
23
Cristina Semprini L’opera è nata dall’idea di rappresentare la natura utilizzando i suoi frutti e facendola sbocciare sotto una veste nuova e fantasiosa. Attraverso un gioco creativo di composizioni con semi, gusci e frutta secca in guscio (mandorle, noci, nocciole, arachidi, semi di zucca e ceci) hanno preso forma delle decorazioni floreali che hanno una disposizione simmetrica e compositiva sempre diversa: questi calchi in gesso esprimono il concetto che in natura tutto si trasforma e rinasce nuovamente. Ricordano i mandala. Anche gli elementi della natura intorno a noi spesso si presentano in forme mandaliche: nella frutta, nelle pietre, nei fiori, tra gli alberi, su nel cielo. E’ stato come reinventare la bellezza della natura, creando altre specie che non esistono realmente
24
eppure sembrano reali, perchè ne evocano e ne imitano la perfezione. Il contrasto con la superficie arrugginita dei tavoli su cui poggiano questi calchi in gesso mette in risalto la delicatezza e la purezza delle forme e del materiale, quasi come una danza di bianche ninfee sulla superficie dell’acqua.
Fantasie di fiori gesso, cera ambra 20 cm circa (diametro), trentadue elementi
Daniele Tamburro L’uomo ha cercato di ridisegnare il paesaggio che lo circonda riproducendolo negli spazi in cui vive, secondo una propria logica, e organizzando un ambiente definito. Ha creato un cosmo privato dove si fonde l’ornamento e la funzione, il fiore e il frutto: il giardino. Almeno questo è l’intento o forse quello, attraverso un sentimento di onnipotenza, di estendere quei limiti e quelle mura fino a costituire una città planetaria, cioè una natura ordinata dall’uomo. Tanto che l’uomo vive in un mondo sintetico, artificiale, in uno spazio-natura reso sterile dal rifiuto della diversità e dall’ossessione al controllo. Ma sfugge che anch’egli appartiene all’armonia dell’universo, fa parte di quel panorama in cui tutti gli esseri hanno connessioni reciproche, è parte del paesaggio. Ad osservare attentamente, nel giardino convivono elementi di sorpresa, che sfuggono agli spazi dominati, che ci fanno capire la fragilità della vita e una più comprensiva e integrazione della diversità. Così anche l’uomo, ad una profonda introspezione
dell’io, scopre spazi sconosciuti, nuovi confini, nuove vie da percorrere per raggiungere quell’armonia che non si dimostra indifferente a ciò che è imperfetto e apparentemente disordinato. Ecco che emerge dalla terra un volto di donna, con i capelli raccolti, bianca, diafana, pura, simbolo di bellezza e fertilità, immersa in una natura artificiale, che ricrea un mondo onirico sospeso tra verità e fantasia. L’immagine umana si proietta in una realtà metafisica, alla ricerca di un ordine più stabile, dove il rapporto con l’ambiente diventa una certezza assoluta. Afferma l’eternità dell’essere sull’esperienza empirica.
Nuove geometrie n.1 e n.2 gesso, ferro, erba sintetica, 70 x 70 x 30 cm Nuove geometrie n.3 gesso, ferro, erba sintetica, 40 x 40 cm x 130 cm
25
Appunti di giardinaggio La mostra Verde Spirito è il magico momento della fioritura di un progetto-coltivazione che ha avuto un terreno in comune. Cucchiaro insegna Tecniche Plastiche Contemporanee, e agli stessi allievi del terzo anno si rivolge il mio corso di Storia dell’Arte Contemporanea. Esperienze di solito contigue e parallele: in Accademia è raro che corsi “pratici” e corsi “teorici” si uniscano per creare un unico laboratorio teorico-pratico nel quale i distinti punti di vista si incrociano, cambiando i processi creativi fino agli esiti, le opere dei giovani artisti. Il giardinaggio insegna il tempo della pazienza e quello del lavoro: preparare il terreno, gettare il seme, far crescere le prime foglie, lasciare che si allunghino, curare delicatamente i boccioli che si apriranno in fiori colorati, a fine primavera, o col sole dell’estate. Nel nostro taccuino di giardinieri di quest’anno rileggo alcune pagine. Immaginare. L’incontro con l’architetto Massimo Bottini in Accademia: è una giornata di inizio marzo, pioggia abbondante. Racconta di un convento antico nel cuore di Santarcangelo, recuperato alla città del teatro contemporaneo coi suoi spazi verdi, col suo silenzio, le sue stanze aperte ai “forestieri”. Il volume da lui curato a fine restauro, insieme a
Michele Gaudio, ha un titolo spirituale: Mt, 25-35 “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Il Convento delle Sante Caterina e Barbara in Santarcangelo di Romagna (Maggioli editore, 2014). Non un museo, ma un luogo aperto allo sguardo dei giovani artisti. Abbozziamo il progetto: il Convento col silenzio dell’antica clausura e il vastissimo verde al suo interno è un luogo che ci affascina e ci interroga, nascono presto idee e interventi. Verde Spirito. Orti, giardini, margini, allora: un titolo-guida allo spazio di ricerca da esplorare. Nutrire il terreno. L’11 maggio si tiene in Accademia una conversazione per gli studenti, aperta alla città. Fabio Fiori racconta quali sorprendenti risorse vengono a offrire i giardini, gli orti e i margini. Erbe ed erbacce: l’energia libera della natura, la sua forza indomita e non sempre addomesticata, dà vita a inaspettate, gustose risorse e ad altrettanto gustosi racconti. Le piante possono alimentarci ma hanno un’anima. Viaggiano, volano, parlano. Dunque: Beata l’erba fresca. Dall’alimurgia all’animurgia. Far crescere. Il mio corso - dal titolo Nature. Attraversamenti e percorsi dagli anni ‘60 a oggi - propone il pensiero di Gilles Clément, paesaggista-teorico del giardino in movimento, del giardiniere planetario, del Terzo paesaggio. E si conclude con una meta speciale, Torino verde e contemporanea (30-31 maggio): l’Arte Povera al Castello di Rivoli, il percorso tematico Natura alla GAM (ideato dalla scrittrice e giornalista Luciana Castellina), il Parco d’Arte Vivente. Qui c’è Bioma di Piero Gilardi, Aggloville di Bert Theis, e, intorno, un territorio verde in continua evoluzione che ha trasformato l’area industriale di prima con interventi artistici ambientali, di natura relazionale e partecipata. Le giornate a Santarcangelo degli studenti con Cucchiaro: un’esercizio dello sguardo, per ascoltare lo spazio, e creare per “quel luogo”. Un quaderno come esercizio del pensiero dell’opera, scrittura. Maria Rita Bentini docente di Storia dell’Arte Contemporanea
26
27
quaderni dell’accademia
Orti, giardini, margini: i giovani artisti dell’ Accademia di Ravenna nel Monastero delle Sante Caterina e Barbara a Santarcangelo di Romagna
Accademia di Belle Arti di Ravenna 28