Love Train

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Love Train


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Se succede ora, non succederà domani. (Cinismo) Non ho mai creduto agli incontri occasionali, né ai colpi di fulmine. Roba che capita ai ragazzini o a chi crede alle favole. Non a me che ho superato da un po’ la pubertà e che ho sempre pensato ai colpi di fulmine come a fenomeni meteorologici. L’ho pensato sempre, finché un giorno il destino si è fatto gioco di me. Nel tempo della mia vita e nel luogo meno prevedibili, dove meno avrei mai pensato che accadesse. Successe durante il ritorno in treno, dopo due settimane da sogno trascorse insieme alla donna con la quale mi accompagno si può dire da una vita, uno splendido esemplare biondo del genere femminile. Alla partenza ci accomodammo subito nel wagon-lit e, non ancora sazi, ci accingemmo, eccitati, a passare la notte. L’eurostar aveva abbandonato la stazione da pochi minuti. C’eravamo lasciati dietro l’odore acre e stantio dei fumi di nafta delle motrici in sosta e quello di varia umanità delle sale d’aspetto. Sistemammo i bagagli. Lei si diresse verso la toilette, poco distante dal nostro scompartimento, per mettersi in ordine i capelli. Io allentai il nodo della cravatta e mi distesi sulla cuccetta, pregustando il momento in cui lei sarebbe stata accanto a me di nuovo tra le mie braccia. Anche quella notte. Il convoglio aveva già preso velocità e non mi accorsi del leggero dondolio che mi cullava la mente e mi conduceva lentamente, dolcemente in un’altra dimensione. Tardava. Come sempre, pensai. Sarà ancora più bella, stanotte. Decisi di ingannare l’attesa con una sigaretta. Uscii dallo scompartimento e andai in fondo al vagone dove erano disposte alcune comode poltroncine di velluto blu. Così la incontrai. Femmina di pelo bruno, due occhi da regina del mediterraneo orientale. Era seduta, gambe accavallate, lo sguardo perduto in un punto di fuga indefinito del nulla. Fumava una mentolo, che fino a quel giorno non sapevo si trovassero ancora in giro. Si voltò.


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Come è che incontri di quando in quando delle persone che ti sembra di aver sempre conosciuto? E quando ti vedono, loro ti guardano come se ti conoscessero da sempre. Ti guardano come se il tempo non fosse mai passato, e il passato sia adesso. E come è che quando incontri questo genere di persone parli con loro come se avessero sempre parlato con te?, e quando parli con loro ti accorgi che non esiste quella sottile linea di confine che separa l’intimità dell’uno da quella dell’altro? «Puoi stare da me, se vuoi » esordì, gli occhi suoi indecenti. «Vieni a casa mia, domani?» risposi languido. Mi avvertì subito: «Fra di noi solo sesso, ma sarò leale con te. Ti rispetterò.» Rimasi in piedi di fronte a lei, ma dovetti sostenermi alla maniglia del sedile. Il treno doveva essere alla massima velocità. «Non pretenderò che tu sia come me» feci. «Ognuno fa quello che gli va. Ma se mi cercherai, dopo, mi troverai pronto. Per godere di te.» «Ricorda, tra noi solo sesso. E se tu mi cercherai, mi troverai pronta. Per godere di te.» Il treno sferragliava a manetta ma noi non lo avvertivamo. «Perché fai questo con me?» continuò lei. «Perché sei femmina» le fissai quegl’occhi incantevoli e a me sembrava di nuotarci dentro. «E il tuo profumo mi fa ammattire. Ma tu, dimmi, perché accetti questo da me?» Non esitò. «Perché con te godo. Mi fai sentire donna, e sotto le lenzuola non saprò resisterti. Ma già domani dirai che c’è stato qualcosa tra noi.» La rassicurai. «Non avverrà. E se qualcuno lo affermerà, io lo negherò. Nessuno saprà mai ciò che ci unisce. Ma se accetti questo, perché lo fai?» «Perché sono sempre sola di notte, e nessun uomo mi accompagnerà sino alla fine dei miei giorni.»

Se non succede domani, succederà adesso. Le scarpette color ciclamino. (gelosia di lei) All’improvviso apparve lei, femmina di pelo biondo. La mia compagna. Era rientrata dalla toilette e si era cambiata di vestito. Un magnifico, attillato tailleur di seta rossa sfavillante, che non le avevo mai visto, metteva in risalto il suo corpo bianco avorio. Credo


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volesse farmi una sorpresa. Non degnò d’uno sguardo l’altra. Rimase in piedi e mi fissò, fredda, con le braccia conserte. Il treno entrò fischiando nella galleria. Nella luce fioca di quello scompartimento adibito a salottino si stagliava il suo viso splendido e corrucciato, come quello d’una bimba a cui sia stata arrecata offesa. Mi sedetti e la guardai. E più la guardavo, più mi sembrava arrabbiata. Mi chiedevo perché. Non era solita fare così. Ma sentivo il suo profumo. Attraente. Attraente il suo corpo avvolto in quel tailleur di seta rossa sfavillante. Non disse nulla. Proprio nulla. Di quando in quando, sollevavo lo sguardo verso di lei. Non potevo farne a meno. Le sue lunghe sopracciglia si aggrottarono ancora. La guardavo. E più la guardavo, più n’ero attirato. Stanotte godrò di lei, pensai. Ma era l’altra, la femmina di pelo bruno, due occhi da regina del mediterraneo orientale che, sedutami accanto, mi mostrava le sue scarpette decolté color ciclamino. «Vedi come mi stanno benissimo» disse e, quasi con indifferenza, alzò la gonna leggera appena sopra il ginocchio, allungando leggermente il capo in avanti quel tanto che bastava per ammirarle e farmele ammirare. Mise in mostra, così facendo, lo splendore delle sue gambe scure e dorate, impreziosite da quelle scarpette color ciclamino. «Sono proprio belle» ripeté alzando lo sguardo e incontrando i miei occhi. Le sue mani sfiorarono, con voluta disattenzione, maliziosamente, delicatamente, le mie ginocchia. E nel tirarsi indietro, forse per assumere una posizione più comoda, sentii nell’aria quel profumo che altre volte avevo sentito. Trasalii e trattenni il fiato. Un tuffo al cuore mi assalì, quando le sue labbra si avvicinarono alle mie. Ebbe un dolce scatto all’indietro e io, quasi attratto, seguii la sua scia di femmina, quel profumo che inesorabilmente mi ossessionava. Fu inevitabile baciarle i capelli. Non seppi controllarmi. Ma era lei, la mia compagna, così bionda, che riesplodeva accanto a me. Semi di rugiada e pioggia di farfalle.


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Se non succede adesso, succederà in ogni caso, basta essere pronti. La conversazione (gelosia di lui). Passò il controllore e dopo un po’ ci fu una breve sosta. Stavamo per varcare la frontiera e i vagoni furono presi d’assalto da una nuova ondata di passeggeri. Eravamo preparati a ricevere la compagnia di altri occasionali viaggiatori come noi. Contrariamente ad ogni aspettativa però, nel nostro vagone entrò una sola persona. Un uomo. Ero con lei quando lo incontrammo. Come lo vide gli corse incontro e lo abbracciò con forza e grande affetto. Calorosamente. Trenta secondi, tre minuti. Non so quanto durò quell’abbraccio. Due amici che non si vedono da molto tempo hanno sempre molte cose da dirsi, pensai dapprima. Da quel momento non fecero altro che stare insieme e parlare. Il treno intanto aveva ripreso a correre più di prima. Si sedettero sulle poltroncine di velluto blu. Lei era molto affabile e gentile. Come sempre. Io, in disparte, non partecipavo alla conversazione. Peraltro, ero con loro. Li ascoltavo. Mi sforzavo di trovare un punto in comune che avrebbe assecondato il mio desiderio d’essere parte della loro conversazione. Ma, per quanto mi sforzassi, non ci riuscivo. Non sentivo ciò che essi dicevano. Ero estraneo a loro. Oppure, mi ero estraniato, non so. Lei aveva riguardi solo per lui. Tutte le attenzioni, i gesti, gli sguardi non erano che per lui. Mi sentii soffocare, cominciavo ad ansimare. Avevo caldo. Li vedevo. Ma loro non vedevano me. Lei, d’un tratto, si alzò. Fece per dirigersi verso la porticina dello scompartimento, quasi volesse recarsi nel nostro, forse a prendere qualcosa. «Non c’è bisogno. Puoi farlo più tardi. Vieni qui adesso» esclamò l’altro amabilmente. E con la mano le fece cenno di sedersi sulle sue ginocchia.


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Fu in quel momento che evaporai. Fui annullato e mi diffusi per lo scompartimento, nello spazio, in un’esplosione multicolore di coriandoli impazziti. Lei gli sorrise. Ritornò sui suoi passi e lo raggiunse come le era stato chiesto. In modo del tutto femminile, si sedette sul suo grembo. Lui le cinse con le mani i fianchi e l’attrasse a sé, quasi per sussurrarle qualcosa all’orecchio. La baciò sul collo. Lei sentì un brivido correrle lungo la schiena. Le sue labbra rosse ebbero un tremito d’estasi. Un sorriso le abbellì il viso già bellissimo. Si sentì bagnata. Improvvisamente, lei si voltò verso di me. Il suo sguardo era quello di una pantera assatanata. Voleva prendermi, godere di me. Ma io non c’ero più. Il treno fischiò e correva e correva e andò oltre. E fischiò. Non arrivò mai a destinazione.


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