Usi e tradizioni sarde

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USI E TRADIZIONI SARDE


BALLO TONDO Streghe, magie, diavoli e madonne di Sardegna Ballata scenica in due parti di Salvo Nicotra

Un turista tedesco si aggira di sera in un paese del sud della Sardegna. Non sono scorci caratteristici, né riproduzioni di folklore da cartolina quel che cerca; è qui per dare corpo a ricordi che sono improvvisamente affiorati ma che non dovrebbe avere, perché era troppo piccolo quando suo padre, per fuggire la miseria, se n’era andato dalla Sardegna portandolo con sé in Germania. “Di nonno Ignazio” dice “quello che mi ha lasciato il nome che porto, l’unico nonno che ho conosciuto, ricordo a malapena la figura, scura e immobile, seduta in silenzio all’angolo del camino, col mento appoggiato al bastone. Ma ho chiara nella mente, ora, la sua voce, quando mi prendeva sulle ginocchia e faceva vivere la magia dei racconti.” Perché i ricordi, quelli indelebili e vitali, quelli che costituiscono le radici della nostra esistenza e garantiscono la continuità nei nostri figli, non sono legati alle esperienze personali, ché come queste si modificano, impallidiscono, invecchiano; sono invece quelli passati per generazioni di voce in voce, di mano in mano, di cuore in cuore, ogni volta rinati, antichi e sempre nuovi, nella magia del racconto, ad esprimere l’esperienza profonda di una comunità, a riaffermarne l’identità e a decretarne la sopravvivenza. “Credo di essere tornato qui per vedere se ancora esiste un po’ di questa magia, se ancora qualcuno sa raccontare e qualcun’altro sa ancora ascoltare... oppure se ayayu Nassiu si è portato via con la sua morte i miei ricordi e quelli futuri dei miei figli”. Ballo Tondo è il nostro piccolo contributo di nipoti dell’epoca della comunicazione globale, a che ciascuno di noi possa ancora riconoscere il suo ayayu Nassiu e subire il fascino essenziale dei suoi racconti. Buon teatro a tutti

L’associazione culturale LA FORGIA


MURAVERA 15 APRILE 2007 35° sagra degli agrumi S’ollu ‘e procu Etnotracca di Giorgio Mattana

Con s’ollu ‘e procu, il grasso fuso del maiale domestico, veniva preparato lo strutto, usato in cucina, in antichità come sostituto in genere dell’olio di oliva ed in particolare, anche in tempi più recenti, quale ingrediente indispensabile per la preparazione di tipici e gustosi piatti tradizionali. Lo strutto si preparava in “ prazza”, il cortile di casa, in occasione de “sa bocimenta de su procu”, la macellazione del maiale, momento importante ed atteso per rimpinguire le spartane dispense domestiche. S’ollu ‘e procu, si faceva sciogliere dentro a su “caddaxu”, sul cui fondo veniva versata un po’ d’acqua, unendovi poi dei piccoli pezzetti di carne grassa , tagliata a grossi cubetti; risultato questo dell’operazione de “su spillamentu de su lardu” ossia il distaccamento di parti di carne adiposa dal lardo sottocutaneo dell’animale, quelle non utilizzate per la salsiccia e il lardo in cotenna, preziose risorse anch’esse di approvvigionamento alimentare. Si procedeva quindi alla cottura, sino allo scioglimento del grasso, a fuoco lento. Dal maiale allevato in casa si cercava di ottenerne la massima quantità di strutto da utilizzare come grasso da cucina, in sostituzione, l’abbiamo su accennato, all’olio di oliva, scarsamente reperibile sul mercato o del tutto inesistente. Anche per questo motivo, quindi, si cercava di porre particolare cura nell’alimentare l’animale che dapprima veniva nutrito a ghiande, lentischio, fichi d’india, con: “sa coxina de crocoriga arrubia” (impasto di crusca e zucca rossa) e con “sa coxina de follixedda de figu morisca (impasto di crusca e foglioline tenere di fico d’india), ma in seguito, nell’ultimo periodo, quello precedente alla macellazione, il maiale veniva alimentato con fave e orzo, proprio poiché, un più consistente apporto calorico, potesse garantire una maggiore e migliore quantità di lardo e strutto. Man mano che il grasso si scioglieva in pentola, rimestato ogni tanto con un bastone di legno, venivano a galla i residui di carne, “sa gerda” (i ciccioli) che, rosolati al punto giusto, venivano raccolti con “sa turra stampàda”, la schiumarola, conservati e riutilizzati in seguito come companatico o per farcire la pasta, con cui le donne facevano prelibate focaccine chiamate “ is prazzideddas de gerda”. Sa gerda veniva unita alla pasta di farina, sale e lievito di pane (“su fromentu”). Alcunemassaie, ricordano le anziane del paese, amavano aggiungere anche la scorza di limone grattugiato. La pasta veniva divisa in focaccine di basso spessore e infornate su teglie (i lamasa) o direttamente sul fondo del forno, premunendosi in questo caso di posarle ciascuna su una “folla de axina” ( foglia di vite ), per evitare che l’untuosità dell’impasto non sporcasse il forno.


Sa prazzida cun gerda è un tipo di pane, dalle origini lontanissime, (in uso anche tra gli antichi Egizi), che si confezionava in modiche quantità, in modo semplice, badando però che s’ollu ‘ procu arrivasse alla giusta fusione e trasparenza e che la carne divenisse ben dorata ma non scura, ciò per non compromettere il candore del prezioso strutto. Indi si toglieva su caddaxu dal fuoco e, levata sa gerda, lasciandolo un po’ intepidire, il grasso veniva filtrato con un colino e lo strutto conservato in luogo fresco dentro “i lamasa” po’ s’ollu ‘e procu” (grossi recipienti di latta) o, più anticamente, in “sa giarra po’ s’ollu ‘e procu” ( grossa giara di terracotta). Lo strutto veniva usato tutto l’anno per cucinare ed effettuare ogni sorta di frittura (patata, zippulas, arrubiolus). Veniva inoltre incorporato a impasti per dolci (ciambellas, pillu po’ is pardulas, culixoneddus de bentu, mendula, arrescottu e sanguini ‘e procu ). Era d’uso conservare in s’ollu ‘e procu pure “su pilloni ‘e taccula” ( il prodotto dell’uccellagione: merli, tordi ecc..) il quale, già conservato sotto sale e mirto, veniva completamente affondato nello strutto affinché restasse sempre morbido. Annalisa relazione 1


AMICO AGRUME, COMPAGNO DI VITA.

“Seu nascia ororu ‘e mari e seu crescia a succi de arangiu”, diceva un’arzilla donnina del paese. Dalle nostre parti è stato così e ancora oggi l’agrume vive quotidianamente tra noi e davvero vorremmo che ancora accompagnasse i nostri figli per tanto tempo. Un’arancia rossa rossa che dà gioia, energia, allegria, voglia di vivere ! … Protagonista di leggende greche e latine, regina indiscussa in bandite tavole regali, sempre presente nei quotidiani e genuini pasti più semplici dei contadini del mediterraneo! Grazie alla bellezza e al profumo dei suoi fiori, il “Citrus Aurantium” è diventato nel mondo simbolo di eleganza e prestigio, con i suoi pomi lucidi color arancio che da sempre incarnano l’ideale estetico rinascimentale. Le superbe piante sempreverdi da ottobre a maggio si addobbano di giallo tenue, verde e arancione, più o meno scuro a seconda della varietà e del tempo di maturazione. Le sue zàgare bianche e vellutate a cinque petali, illuminate al centro da stami gialli, riuniti in mazzetto agli apici dei rami, da sempre rappresentano la purezza e la grazia ed è per questo che il bouquet della sposa, per antonomasia, è di fiori d’arancio. Da questi fiori si estrae un’essenza fondamentale per numerosi profumi tra i più famosi dei quali è l’acqua di Colonia. Ma la vera specialità sono i suoi amabili frutti arancioni che, insieme agli altri agrumi, accompagnano la nostra dieta, come si suol dire, “dall’antipasto al dolce”. I frutti degli agrumi sono caratterizzati taluni dal sapore agro, asprigno e amarognolo, (limoni, lima, cedri, pompelmi) tal altri sono di un nettare dolcissimo, paragonato, nei tempi antichi e mitologici, all’ambrosia degli dei (arance, mandarini). Ma tutti quanti, dalle nostre parti, grazie alla generosa varietà dei cultivar, gli agrumi accompagnano, da sempre, l’alimentazione di bimbi ed anziani, cosa importante, non solo per la bontà e l’indiscusso valore nutrizionale, ricco di Vitamina C, ma perchè (e solo per questo se ne dovrebbe sostenere la coltura) è stato recentemente testato che arance, pompelmi e mandarini possano prevenire i tumori della bocca, laringe e stomaco. I risultati di anni di ricerca dicono che il consumo quotidiano di questi frutti ridurrebbe del 50% il rischio di ictus, malattia cardiovascolari, obesità e diabete. I nostri nonni dicevano che “matziài arangiu fai beni a is sìnzias “. Infatti è scientificamente provato che la vitamina C in essi contenuta protegge le gengive e non le fa sanguinare. Gli antiossidanti contenuti nel frutto fortificano il sistema immunitario e, insieme agli altri componenti fitochimici, danno agli agrumi proprietà antinfiammatorie, antitumorali, anticoagulanti, con conseguente efficacia nell’inibizione dei trombi. Le proprietà terapeutiche degli agrumi sono numerose: dalla scorza viene estratta una essenza che ha proprietà digestive, aperitive, antispasmodiche nei dolori dello stomaco. Le foglie hanno invece proprietà sedative e i fiori sono utili per l’insonnia e a placare gli stati d’ansia. La buccia degli agrumi abbassa il colesterolo. Nell’industria la potenziale utilizzazione dell’agrume è pressoché completa di ogni sua parte compresi i semi (olio di semi) e la scorza, ricchissima di oli essenziali ormai preziosissimi


nell’industria chimica (cosmetici, profumi). Mai sentito parlare del “limonene? Esso è una sostanza presente nella scorza dell’arancio amaro (melangolo), usata nell’industria chimica. Con l’anidride carbonica si può ricavare un polimero plastico adatto a innumerevoli usi. L’arancia è un elemento fondamentale per la produzione di rinomati liquori (Cointreau, Gran Marnier, Orange Stock ecc…) a loro volta ottimi aromatizzanti per la preparazione di numerosi cocktail e long drink, aperitivi, digestivi, dissetanti. Gli agrumi vengono utilizzati per la preparazione di sciroppi (cedrata) e infusi utili per i famosi Limonello, Limoncello, Limoncino e simili. L’industria alimentare utilizza tutte le varietà di agrumi per la pasticceria e la gelateria. Tutto il suo frutto è particolarmente ricco di sostanze aromatiche , dalla cui polpa si ottiene, in differenti concentrazioni, un prezioso e ambito succo d’oro che, opportunamente arricchito di acqua, zucchero e antifermentativi, alimenta l’industria mondiale delle conosciutissime marche di “Aranciate”, “Limonate” e “Chinotti”. Confetture, marmellate e gelatine sono altri derivati conosciuti dai tempi dei nostri nonni ed oggi trovati in commercio in svariati formati e confezioni. Ma ancora oggi, dalle nostre parti, c’è chi ancora le marmellate d’agrume “ le fa in casa”. E ancora oggi, nel Sarrabus, si produce “ sa saba de arangiu”, la bionda sostanza ottenuta dalla raffinazione del succo d’arancia. Sa saba è sempre stata base per dolcetti e panettoni (su pani ‘e saba). Ma è soprattutto la buccia (candita o grattugiata) di arance e limoni ad essere ingrediente essenziale per i nostri dolci tipici: pabassinas, gueffus e candelaus, zippulas, ciambellas, caschettas , piricchittus, cixirau e pardulas, torte all’arancia, al limone, crostate impastate con zucchero e miele (di fior d’agrumi ovviamente!) Ma oltre ai dolci, come non parlare dell’uso degli agrumi in cucina? Il pesce senza il limone? O l’anitra senza l’arancia? Pompelmo e amici vengono quotidianamente esaltati dalla nouvelle cuisine o indicati come entrè nei menù dei cuochi mondiali più famosi. E che dire di arance e lima usate nella preparazione di sfiziose insalate esotiche? E diciamolo pure…cosa ne sarebbe del Panettone natalizio di Milano e del dolce Panforte di Siena senza quei gustosi, coloratissimi pezzettini di canditi d’agrume coltivati nel profondo sud?


SA PILLONCA

Noi chiamiamo pillonca il pane tipo carasau ma non biscottato, quindi morbido. Per ottenere il carasau invece, la bolla di pane va sfornata, divisa in due parti e nuovamente rinfornata, così da perdere l’umidità e poter essere conservato anche per mesi.

ARCOBALENO

This is Cicru Frongias.


35° sagra degli agrumi 15 aprile 2007

s’arangiu sarrabèsu etnotracca di Luca Vargiolu Sarrabus-agrumi, un binomio ormai consolidato, una realtà che vuole vivere e testardamente insistere tra i sarrabesi, sebbene l’agrumicoltura locale stia incontrando, da anni, grossi ostacoli e serie difficoltà per conquistare un equo ritorno economico. Le scarse politiche volte ad uno sviluppo sostenibile, la noncuranza del terreno e del suo ormai alterato equilibrio strutturale, la mancanza di una adeguata gestione delle falde acquifere, lo sappiamo ormai tutti, stanno portando ad una progressiva e veloce salinizzazione di tutto il territorio agrumario. Nonostante ciò “il binomio” accomuna e distingue da sempre la popolazione del Sarrabus poiché è la stessa natura, il generoso manto solare che ne ha sempre favorito il connubio, è la fertilità degli umosi terreni del vecchio Dosa e l’indiscussa soave dolcezza dei frutti, che ancora ci incitano a lottare per l’agrume. Già il Casalis nell’ottocento quando parlava della coltura dell’agrume nella piana della foce del Flumendosa, citava il territorio come quello con una vocazione superiore alle altre aree agrumicole della Sardegna ( Dizionario Statistico Economico di S. M. il Re di Sardegna). E noi, dell’ultima generazione, siamo grati e fieri dei nostri frutti d’oro, tanto da elargirne col cuore, in questa occasione, a tutti i nostri ospiti (sul carro si porgeranno grandi quantità di arance, mandarini e limoni). E sul carro saranno protagonisti non i bambini di Muravera, San Vito o Villaputzu ma “i bambini del Sarrabus”, futuro e speranza di un nuovo sviluppo, uniti, a crescere insieme perché “s’arangiu sarrabesu” possa tornare ad essere una vera ricchezza, una speranza. Una scommessa sul futuro, ecco quello che il carro vuol simboleggiare, un futuro di associazionismo, di condivisione senza più campanili di sorta.


Sul carro, a simboleggiare l’ospitalità dei sarrabesi, sotto il maestoso e fedele Melangolo vi saranno anche bambini provenienti da altre parti della Sardegna che insieme, con il loro costumi, i loro colori, sapranno certamente regalare a tutti noi, oltre a una succosa arancia, anche il loro meraviglioso sorriso.

Annalisa relazione5


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