PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Gennaio 2012 • Numero 1 • Anno II

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

6 dicembre 2011 di Valeria Parrella

Lo spirito della narrazione di Romano MĂ dera

Nella bocca del pesce siluro di Massimo Gardella

Area contaminata di Luca Masali

Gennaio 2012 • Numero 1

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Editoriale I grandi chef sostengono che la cucina sia una sapiente fusione degli ingredienti più diversi: per esempio l’aroma del mare delle acciughe con la freschezza delle verdure di terra, come accade nella bagna càuda piemontese. Tanto più il gusto si eleva, quanto più la fusione degli ingredienti sa riproporre nuove sensazioni organiche e variegate allo stesso tempo. Il medesimo fenomeno sembra avvenire, per altre questioni di gusto, in letteratura. Così grazie alla spinta di nuovi sistemi tecnologici di archiviazione e condivisione, anche la narrativa e la saggistica testuale devono affrontare nuove sensibilità. I racconti di Valeria Parrella e Luca Masali ci aiuteranno a scoprire in estreme condizioni proprio le contaminazioni di fatti ed eventi e un nuovo modo di intrattenimento della fantasia dei lettori. Romano Màdera sosterrà gli esperimenti pratici dei due scrittori con una riflessione attenta sulla narrazione e le sue dinamiche più profonde. Roberto Dessì per Il mondo dell’ebook lega la fine del mondo annunciata dai Maya al cambiamento epocale che dalla carta porterà il nostro intrattenimento e la trasmissione del nostro sapere al digitale. Daniela De Pasquale ci darà degli utili elementi per comprendere il mondo del cloud computing e le sue implicazioni per la diffusione dell’ebook. L’Accademia della Crusca con Michele A. Cortelazzo ci farà entrare nello spirito delle parole del discorso di fine 2011 tenuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Per Buona la prima Luca Bisin seguirà le tracce del celebre patto col diavolo del Faust narrato da Thomas Mann e Fabio Fumagalli ci aprirà la porta d’Oriente raccontandoci della vocazione di Istanbul a essere “città di contaminazioni”. Francesco Baucia invece ci farà entrare nel mondo culinario di Cechov tra ostriche, champagne e zuppe di cavolo. L’augurio migliore per il 2012 allora non può che essere questo: “Lasciamoci contaminare!”. Ne trarrà beneficio il nostro gusto e senz’altro la nostra economia. Buoni PreTesti a tutti. Roberto Murgia

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Indice

Testi

Il mondo dell’ebook

Rubriche

05-09 Racconto 6 dicembre 2011 di Valeria Parrella

24-27 2012, la fine (del libro) è vicina? di Roberto Dessì

10-15 Saggio Lo spirito della narrazione di Romano Màdera

28-30 Gli eBook tra le nuvole di Daniela De Pasquale

31-33 Buona la prima Thomas Mann Doktor Faustus (1947) di Luca Bisin

16-18 Anticipazione Nella bocca del pesce siluro di Massimo Gardella 19-23 Racconto Area contaminata di Luca Masali

34-36 Sulla punta della lingua Il discorso del Presidente di Michele A. Cortelazzo 37-39 Anima del mondo Narrare la porta dell’Oriente di Fabio Fumagalli 40-43 Alta cucina Tra ostriche e champagne, trionfa lo šči di Francesco Baucia 44-45 Recensioni 46 Appuntamenti 47 Tweets / Bookbugs

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Racconto

6 dicembre 2011* di Valeria Parrella 5

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li dei erano dentro, e il mondo degli umani era fuori. Gli dei si guardavano negli occhi e cercavano di capirsi. Avevano solo gli occhi per farlo. Uno di essi infatti parlava con le mani e le espressioni del viso, muovendo avanti e indietro il corpo dalla posizione in cui stava, cioè sul pavimento, a gambe incrociate. Gli dei erano antropomorfi, avevano gambe e braccia e testa e occhi come gli umani, in questa storia loro scelgono di rivelarsi così, perché già la confusione era molta, ed essere nulla, o una nuvola di vapor acqueo, o semplice luce, o tuono, avrebbe reso ancora più complicata la loro relazione. Dovendo parlare di cose umane si erano decisi entrambi, senza manco doversi accordare, per la forma umana, e dunque stavano così, dentro, mentre il mondo era fuori. L’altro dio stava un poco disteso sul pavimento, come in un triclinio, poggiava la testa sul braccio destro che faceva un angolo acuto, e guardava fisso l’altro, cercando di comprenderlo. Egli infatti, o meglio, ella, giacché per un vezzo del tutto incomprensibile aveva preferito essere donna, non era assolutamente in grado di decodificare ciò che l’altro gli stava dicendo. Essendo donna preferiva parlare con la voce, e avrebbe compreso tutte le lingue del mondo umano, se solo l’altro dio ne avesse scelta una vocale. Invece no: quello stava così, a dire con i segni, con il corpo, senza emettere un suono. La dea aspettava. Avendo a disposizione l’eternità sapeva che prima o poi avrebbe capito. E poi non voleva dare l’impressio-

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ne di essere molto colpita dal disordine che si stava creando, che stavano creando. Quel disordine loro interno era lo stesso che proiettavano fuori. Gli dei creavano e disfacevano senza doverci neppure pensare, in essi non si muoveva volontà, né intento: il mondo degli uomini era una loro emanazione. Il dio che parlava a segni si fermò, con una domanda sospesa tra le sopracciglia. Nel tempo di quel discorso, fuori, nel mondo, erano morte in un solo punto, in un solo momento quaranta persone, fra cui molte donne e bambini, per l’esplosione in un santuario di fedeli radunati per celebrare una ricorrenza dell’Islam sciita. Diceva il mondo: “Secondo fonti della polizia potrebbe essersi trattato dell’azione di un kamikaze. L’ospedale di Emergency a Kabul ha ricevuto quarantacinque feriti, dodici sono arrivati già morti. È stato attivato il mass casualties plan, il protocollo di emergenza usato per gestire l’afflusso in contemporanea di numerosi pazienti. Le tre sale operatorie stanno lavorando senza sosta”. La dea scosse la testa. Era già un buon punto di partenza: non aveva detto “non capisco” oppure “Ich verstehe nicht” oppure “sorry, I really do not understand”, ma istintivamente aveva scosso la testa amareggiata. Così il dio aveva capito. Cioè aveva capito che lei non aveva capito ma che era veramente disposta a farlo. La dea continuò con la voce, cosa che le piaceva in sommo grado, usare la voce umana, e femminile. Le piaceva assai sentirsi e si era anche messa a sedere per farsi sentire meglio, aveva una

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dizione perfetta. Ma stavolta era il dio a condannato a quindici giorni per disubbinon capire. La guardava fisso fisso all’aldienza alle forze dell’ordine.” tezza delle labbra. Tentava un sorriso se Dunque la dea, che non aveva nessuna lei sorrideva, o si corrucciava d’improvvoglia di restare incompresa, perché creviso quando gli sembrava che il discorso deva veramente in ciò che aveva detto avesse assunto toni roboanti. Ma la verità e quell’occasione di incontro le sembraera che non capiva, ed era brutto stare lì, va importante, cominciò a parlare piano dentro, a creare creare creare tutta quella piano, muovendo le labbra piano, ferconfusione. mandosi dopo ciascuna Nel breve tempo di quel parola, ed esagerando monologo tra gli dei, le espressioni, faceva breve o lungo che fosse grossi sorrisi e mimava lì dentro il tempo, fuori, le idee, con il corpo e con nel mondo, colonne di le mani e disegnava dacamion militari si stavanti a sé ciò che voleva vano dirigendo verso dire così il dio iniziò a il centro di Mosca, preleggere il suo pensiero sidiato da migliaia di e finalmente capì cosa poliziotti e truppe del lei gli stesse dicendo e Gli dei creavano e ministero degli Interni. scoprì che si stavano didisfacevano senza Le autorità temevano cendo la stessa cosa. doverci neppure nuove manifestazioni Più o meno, per come pensare, in essi non si quel concetto di dea di protesta dopo quella muoveva volontà, né si possa oggi riportache la sera precedente aveva condannato da- intento: il mondo degli re in una lingua degli vanti a migliaia di peruomini, lei gli stava diuomini era una loro sone i brogli elettorali. cendo: “Ci dobbiamo emanazione Diceva il mondo: “‘Dobsganciare da quelli lì biamo continuare ad fuori, è una responsabiappellarci alla gente e informarla su corlità troppo grande portarseli dietro”. ruzione e frodi – aveva detto il blogger Il dio volle risponderle, e cercò di sciopochi minuti prima, intervistato dall’agliere le mani da quei segni così codificati genzia italiana Ansa – le grandi città sono a una forma più corrispondente alle cose, le più insoddisfatte.’ Poi Navalnyj è stato cercò di dare un’immagine del suo pentrascinato via dagli agenti antisommossa. siero, e si aiutò anche con qualche suono Non si è trattato questa volta di un semdella voce, che uscì roco, però pensò che plice fermo: da questa mattina di Navalla dea l’avrebbe trovato un omaggio ronyj non si ha più notizia mentre un altro mantico come l’arcobaleno quando d’imleader dell’opposizione, Ilja Jashin, è stato provviso attraversa la pioggia.

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E più o meno, per come quel concetto di on cultural institutions, schools, radio dio si possa oggi riportare in una lingua stations and interested parties to particidegli uomini, lui le stava dicendo: pate in a worldwide reading of prose and “Ci ho pensato anche io, ma non sono poems by the Chinese author and 2010 sicuro che si possa fare: è così da sempre. Nobel Peace prize laureate Liu Xiaobo on Noi dentro che siamo, loro fuori che March 20th 2012”. Gli dei continuarono a dialogare e anche scorrono”. se non la pensavano proprio allo stesso Nel breve tempo del dialogo tra i due dei, modo, lui e lei dimenannel tempo in cui essi si do il corpo e le mani, lui capirono, per breve o e lei risparmiando o dilungo che fosse il tempo spensando voce, andadegli dei, in Lussemvano decidendo sul da burgo la corte europea farsi: aveva deciso che non si “Che ne sarà di loro se li poteva procedere alla sganciamo?”. carcerazione degli im“Che importa, piuttosto migrati clandestini ducome si sganciano?” rante la procedura di rimpatrio. E nello stesso “Ci dobbiamo sganciare “Io oramai mi sono abituato, sai? Manco ci identico momento nel da quelli lì fuori, è una penso più che come mi distretto di Turkana, responsabilità troppo muovo fuori succede in Kenya, il governo di grande portarseli qualcosa, io sto dentro, Nairobi e l’Unicef avedietro.” capisci?” vano creato il Kak-wan“Io a tratti mi distraggo, yang Health Center, un ma se ci ripenso e sbircio fuori... no, dobcentro medico per aiutare i piccoli e le biamo trovare il modo.” loro famiglie. Al Kak-wan-yang Health “Non c’è un modo.” Center i medici somministravano ai pa“C’è, ci deve essere.” zienti servizi sanitari, vaccinazioni e nu“Ma è così DA SEMPRE.” trizione. Il mondo diceva: “Il piccolo è “Non urlare” disse la dea, che iniziava a stato male tra luglio ed agosto – spiega la innervosirsi “se urli la tua voce esce male zia – aveva diarrea, febbre alta e perdeva e non si capisce più niente.” vistosamente peso. Appena lo abbiamo Difatti già non si capiva più niente, e portato qua i medici lo hanno ammesso al pure lei era impacciata e senza controllo programma di alimentazione terapeutica, in quelle mani, e così senza volerlo, senza e pian piano gli hanno salvato la vita”. volontà né intenzione tornarono a guarE nello stesso momento, dopo l’arresto di darsi strano. La dea beffarda guardava il un poeta cinese, il mondo diceva: “The indio parlare a segni. Il dio con una smorfia ternational literature festival Berlin calls

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cercava di leggere le labbra di lei, finché si scocciò e fece tuonare così forte lì dentro che manco la dea sentiva più la sua voce. Lei ugualmente fece venir giù la notte così che le mani del dio scomparvero. In quel preciso momento, per quanto lungo o istantaneo potesse essere stato il tempo tra gli dei, la polizia greca sparava gas lacrimogeni contro decine di contestatori vestiti di nero che, ad Atene, avevano lanciato bombe molotov e sassi mentre centinaia di persone stavano manifestando davanti al parlamento nel giorno della commemorazione dell’uccisione di un giovane da parte della polizia. Approfittando del buio gli dei tornarono al loro sembiante di vapor acqueo, o lampo o nulla e non si incontrarono mai più, se dire mai ha un senso, dentro. Fuori, nel mondo, era trascorsa solo mezza giornata.•

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Questo racconto è costruito sugli accadimenti riportati dalle testate online riferite alla data del titolo dalle 9,30 alle 18, circa. © 2012 by Valeria Parrella. Published by arrangement with Agenzia Letteraria Santachiara.

Valeria Parrella Valeria Parrella ha scritto per l’editore minimum fax Mosca più balena (2003) e Per grazia ricevuta (2005), per Einaudi Lo spazio bianco (2008) e Lettera di dimissioni (2011) e la pièce teatrale Tre terzi (2009), per Rizzoli Ma quale amore (2010), per Bompiani Ciao maschio (2009) e Il verdetto (2007), ha inoltre curato la riedizione italiana de Il Fiume, di Rumer Godden (2012). Per Ricordi, in apertura della stagione sinfonica al Teatro San Carlo, ha firmato il libretto Terra su musica di Luca Francesconi (2011). I suoi libri sono tradotti in Germania, Francia, Spagna, Israele, Serbia, Svezia e Stati Uniti. Da anni cura la rubrica di libri di Grazia.

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Saggio

Lo spirito della narrazione Il racconto come destino, mito e rito di Romano MĂ dera

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rendiamo in mano un libro di un grande narratore, non è uno scrittore di romanzi, è Oliver Sacks, un medico che lavora sulle malattie neurologiche e racconta storie di cura. Sacks, a proposito dei casi, dice: “Approfondire la storia di un caso in una narrazione”, poi aggiunge: “Solo allora avremo un ‘chi’ e un ‘cosa’, una persona reale, potremo toccare davvero la storia viva di una persona, avremo il carattere individuale, irripetibile di questa persona”. Sembrerebbe che qui Sacks con “narrazione” intenda qualcosa di più forte del “mettere storie in comune”, come nella essenziale definizione di Paolo Jedlowski, secondo la quale la narrazione è un approfondimento speciale delle sequenze di eventi che ci raccontiamo. Se noi seguissimo questa pista, ci troveremmo a dire che nella narrazione c’è qualcosa di più che nella storia, e che nella storia di un caso c’è qualcosa di più della ricostruzione storica dei fatti. Cosa sarà questo qualcosa di più? Citerò un brano di Mann tratto da Giuseppe e i suoi fratelli. Mann scrive che le narrazioni hanno la forza della curiosità per l’accadere, ma da questo punto di vista, dice, siamo svantaggiati rispetto a quelli che stanno vivendo concretamente la storia: perché la loro curiosità e la loro eccitazione sono ancora più vive. Qual è allora il vantaggio della narrazione? Verso la fine del romanzo Mann se ne esce con questa frase: “Noi abbiamo

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potere sulla misura del tempo” e fa un esempio semplicissimo: “Non dobbiamo distillar goccia a goccia quest’anno d’attesa in tutti i suoi giorni e le sue ore come dovette fare Giacobbe con i suoi sette anni in

Thomas Mann

Mesopotamia. Il narratore può condensare tutto in una parola e dire semplicemente: un anno passò. Ed ecco, è passato, e Giacobbe è stanco” (Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli [1927-1942], A. Mondadori, Milano, 1954, p. 2042). Questo è il potere sulla misura del tempo. Se la narrazione è una sequenza di eventi nella quale non è a tutta prima chiaro un senso, adesso possiamo dire che nella narrazione c’è un filo, anzi, anticipando una definizione, c’è un destino del senso. Vuol dire che se le narrazioni sono narrate o scritte da chi le conosce, chi le conosce ha un potere speciale sulla misura del tempo. Appunto, il potere di chi conosce la fine e

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narrazione ci sta particolarmente a cuore? quindi sa che può semplicemente ritornare Direi che qui abbiamo bisogno di dire qualalla prima pagina dopo aver scritto l’ultima. cosa circa questa sorta di felicità che si può E di solito si fa proprio così. provare nell’aver potere sulla misura del Significa che il potere sul tempo stabilisce tempo. La prima, molto semplice osserun filo del senso che dalla fine riprecipita vazione: chi, pensando alla propria vita, e sull’inizio: un destino. non soltanto alla propria, ma anche alla vita Chi comincia a narrare sa già come va a che ha visto e che ha letto, e alla storia, non finire e, dal punto di vista del racconto, il pensa con una qualche costrizione a questo racconto diventa un destino. Questo non addensarsi caotico di eventi, a questo caos significa che accade qualcosa e noi subiamo per certi versi angoscioso, che non ha né passivamente, significa che c’è una concapo né coda e che spesso, nella ripetizionessione necessaria dentro la narrazione, ne, sfida proprio l’idea semplicemente perché che un senso ci sia? Già è una narrazione, una “L’astro del narratore intuiamo che il bisogno connessione necessaria non è forse la luna, della narrazione è un biche lega tutti i momenti e lega l’inizio e la fine. signora del cammino, la sogno importante. Quindi un destino del viatrice che si ferma a Dicevo di eventi opachi, senso, dell’orientamenogni stazione del cielo spesso caotici, tanto to in quella sequenza per poi allontanarsene nella nostra biografia quanto nella storia. di eventi. Quando dico e proseguire il suo L’imprevisto nel passa“sequenza di eventi” cammino?” to, l’imprevedibile nel vorrei tenere sullo futuro, danno un senso sfondo dell’orizzonte di smarrimento, ma eccitano curiosità e del senso la sequenza ancora pre-riflessiva: voglia di avventura, cioè quello che la narnoi tutti, comunque, anche se non è presente razione cerca di far ri-vivere, o addirittura una riflessione esplicita, abbiamo l’idea che di far vivere: ma raccolti in un riparo sicuro, la nostra vita sia una sequenza di eventi. perché il narratore ha il potere sulla misura Allora un destino del senso, dell’orientadel tempo. mento nella narrazione, sarà immettere un Carlos Fuentes, in Tutti i soli del Messico, qualche ordine in questa opaca sequenza di scrive: “Viaggio e narrativa sono gemelli eventi della vita; dunque un orientamento perché entrambi implicano uno spostamenulteriore rispetto alla ricostruzione storica to, un abbandono del posto, la piazza, un dei fatti: questo sovrappiù, avendo potere addio al luogo comune e un tuffo nei tersulla misura del tempo, dunque avendo ritori del rischio, dell’avventura, della scopotere sulla fine e sull’inizio, ricostruisce perta, dell’insolito. Viaggio e narrativa sono in un senso ciò che potrebbe rimanere una sicuramente tutto questo, eppure alla fine opaca sequenza di eventi. Ma che cosa ci sono semplicemente voci che ci dicono che interessa nel ricercare un sovrappiù oltre il mondo è nostro, ma è un mondo alieno.” la ricostruzione storica dei fatti? Perché la

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così ragionevole? Senza dubbio, perché l’eÈ un mondo alieno l’opacità degli eventi, lemento del passato, dal quale siamo soliti ma è “nostro”, lo raccontiamo. Ecco, credo lasciarci sospingere alle più remote lontache questa sia la tensione fra la narrazione, nanze, è diverso dal passato verso cui ora, la percezione degli eventi e la ricostruziocon angoscia e tremore scendiamo; il passane storica dei fatti. Finché rimaniamo alla to della vita, il mondo che fu, che è defunto, ricostruzione storica dei fatti il mondo può a cui una volta dovrà appartenere sempre essere anche soltanto alieno e poco nostro, più profondamente anche la nostra vita, e oppure può essere così nostro da nascondea cui già appartengono, ad una profondità re ogni estraneità: credo che l’elemento traabbastanza grande, i suoi inizi. Morire sismutatore e commutatore, fra spaesamento gnifica, non vi è dubbio, lasciare il tempo e e sentirsi a casa, sia la narrazione. Viaggio, uscire da esso, ma in compenso guadagnare tempo, il mondo nostro, il mondo alieno... eternità e onnipresenza, L’altro brano che volevo quindi veramente la richiamare è ancora di La narrazione, se è vera vita. Perché l’essenza Thomas Mann, perché narrazione, se è capace della vita è il presente da lui deriva il titolo di questo intervento. di seguire il suo spirito, è e solo miticamente il Forse non a caso lo spirito, cioè parola efficace, suo mistero si mostra nelle forme temporali rito della narrazione parola creatrice di realtà del passato e del futuro. è un grande tema del Queste sono, per così prologo di Giuseppe e dire, le forme popolari in cui la vita si mai suoi fratelli. Il romanzo è stato composto nifesta, mentre il mistero appartiene agli fra il 1927 e il 1942 e Mann riscrive, proprio iniziati. Al popolo si insegni che l’anima negli anni del tentativo di tagliare definititrasmigra. Ma il savio sa che la dottrina è vamente le radici ebraiche della cultura eusoltanto la veste in cui si avvolge il misteropea, un famoso episodio biblico. Ascoltiaro e l’onnipresenza dell’anima e che a lei mo: “Quanto a noi […] non vogliamo fare appartiene l’intera vita quando la morte alcun mistero della comprensione istintiva infrange il carcere in cui ogni singola indie illimitata per l’irrequieta ripugnanza di vidualità è prigioniera. Nella nostra bocca Giacobbe contro ogni idea di stabilità e di è il sapore della morte e della conoscenza fissa dimora […] L’astro del narratore non quando, come avventurosi rapsodi, muoè forse la luna, signora del cammino, la viaviamo verso il passato […] Perché il pastrice che si ferma a ogni stazione del cielo sato è, è sempre, anche se l’espressione del per poi allontanarsene e proseguire il suo popolo suona: fu. Così parla il mito che è cammino […]? Non è il passato elemensoltanto la veste solenne del mistero, ma la to e aria vitale del narratore, la forma del veste solenne del mistero è la festa che torna tempo a lui familiare e congeniale come al a date fisse, supera le temporali distanze e pesce l’acqua? Sì, certamente. Ma perché il agli occhi del popolo rende presente il pasnostro cuore, curioso e pavido a un tempo, sato e il futuro. Quale meraviglia se nelle non vuole acquietarsi con questa risposta 13

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feste l’elemento umano sempre rifermentò e, con il consenso della morale, degenerò in licenza, perché appunto nelle feste vita e morte si riconoscono? Festa del narrare, festivo abito del mistero della vita, per i sensi del popolo tu abolisci il tempo ed evochi il mito perché si attui nell’immediato presente. Festa della morte, discesa all’inferno, tu sei veramente una festa e un piacere per l’anima della carne che non invano ama il passato, le tombe e la pia formula che suona: fu. Ma anche lo spirito sia con te, in te si trasfonda affinché tu sia benedetta con la benedizione dall’alto e con la benedizione dal profondo!”. Questo pezzo avrebbe bisogno di essere commentato quasi parola per parola. Dico qui soltanto una cosa: Mann ha fatto vedere che questo “spirito della narrazione”, benedetto dall’alto e dal profondo, quindi che tiene insieme la verticale del senso, deve incontrare il massimo scacco del tempo e dell’opacità storica, deve incontrare la morte, lo scioglimento del tempo in un non-senso, nell’assenza di senso come orientamento vitale. Dunque la narrazione deve rispondere alla fuga del tempo – ma anche al disorientamento nello spazio: narrare è viaggiare. Il tempo viene eternato, ma in una forma peculiare di eternizzazione, che tiene conto dell’“attimo fuggente”, e del particolare più infimo. L’alto e il profondo, ma anche innumerevoli e fuggevoli banalità vengono consacrate nell’eternità. Non a caso Mann ci ha parlato del rito, 14

della festa e del mito, dicendo che rito e mito sono le forme nelle quali appare originariamente lo spirito della narrazione. A proposito di rito e mito vorrei citare un passo dalla prefazione a I racconti dei Chas-

Martin Buber

sidim di Buber: ma con la sottolineatura che qui non si tratta di mito e rito in generale, bensì del rito del narrare stesso. “I Chassidim si narrano storie dei loro zaddikim, dei capi spirituali delle loro comunità: questo fa parte essenziale del movimento chassidico. Si sono viste grandi cose, vi si è preso parte, bisogna dirlo, darne testimonianza. La parola che narra è più che semplice parola, essa trasmette effettivamente l’accaduto alle generazioni future, anzi la narrazione è accadimento essa stessa, ha la sacralità di un rito. […] Il racconto è più che un’immagine riflessa: l’essenza sacra di cui dà testimonianza continua a vivere in essa. Il miracolo che si racconta riacquista potere.

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La forza che un giorno operava si trasmette alla parola vivente e opera ancora dopo generazioni. A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem [il fondatore del chassidismo], fu chiesto di raccontare una storia. ‘Una storia’ disse egli ‘va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto.’ E raccontò: ‘Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie’” (Martin Buber, I racconti dei Chassidim [1949], Garzanti, Milano, 1979, pp. 3-4). Come abbiamo ascoltato, è qui esplicita la convinzione che la narrazione, se è vera narrazione, se è capace di seguire il suo spirito, è rito, cioè parola efficace, parola creatrice di realtà. Recupera la forza della parola mitica: è ciò che dice, è parola di un rito sacramentale.

Il gesto e la parola efficace si dicono, teologicamente, sacramentali, proprio perché essi compiono nel loro effettuarsi ciò che annunciano. Perché allora il racconto, il narrare, hanno espressione nel rito e nel mito, e trasmettono un valore sacramentale, una parola efficace che è accadimento essa stessa? E qual è l’accadimento di questa parola? Potremmo rispondere: l’accadimento che avviene nel narrare, che rinnova la forza del rito e del mito, è l’accadimento del senso. Le storie raccontano sequenze di eventi opachi, ma c’è una storia che racconta attraverso, dentro le storie opache, l’accadimento del senso, l’evento del senso.•

Romano Màdera Romano Màdera insegna Filosofia morale e Pratiche filosofiche all’Università di Milano Bicocca. In passato è stato professore all’Università della Calabria e all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Fa parte delle associazioni di psicologia analitica AIPA (italiana) e IAAP (internazionale) e della redazione della Rivista di psicologia analitica. Collabora alle pagine culturali del quotidiano “L’Unità”. Ha scritto, tra gli altri, i libri: C.G. Jung. Biografia e teoria (B. Mondadori 1988), L’animale visionario (Il Saggiatore 1999), La filosofia come stile di vita (con L.V. Tarca, B. Mondadori 2003) e Il nudo piacere di vivere (A. Mondadori 2006).

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Anticipazione

NELLA BOCCA DEL PESCE SILURO Cronache del male quotidiano dalla nuova voce italiana del noir di Massimo Gardella Pubblichiamo in esclusiva per i lettori di PreTesti un brano tratto dalle prime pagine del romanzo Il male quotidiano (Guanda) di Massimo Gardella, in libreria dal 12 gennaio.

L’

ispettore Jacobi aveva bisogno di un caffè. Al volante dell’Alfa 155 blu scuro, percorreva il tratto di strada pro­vinciale che da Vidigulfo portava a Linarolo. Un’ombra in movimento nella notte, definita solo dal raggio inclinato degli anabbaglianti. La luce del nuovo giorno faceva capo­ lino dalla macchia di vegetazione alle spalle del castello visconteo in rovina.

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Un paesaggio antico, che Jacobi imma­ginava popolato da schiere di armati, mentre tagliavano la cappa di bruma mattutina con lunghe lance e armature ammaccate dalle battaglie. Mentre superava il maniero di­roccato lanciò come tutte le volte un’occhiata al ponticello di pietra celato tra le frasche: bisognava sapere dove guar­dare. Un luogo indicato per scene romantiche, con giovani amanti clandestini e coppie cronicamente perfette che si tenevano per mano, giurandosi amore eterno. Tuttavia non c’era niente di romantico nella levataccia di quell’alba primaverile. Il cellulare lo aveva strappato al son­no poco

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prima delle sei. Il suo vice Borghesi, meticoloso apprendista, aveva la voce più assonnata della sua. “Remo, giuro che è da non crederci.” Jacobi proseguì sulla strada provinciale verso Lardirago, alla rotonda svoltò per imboccare la SS 617 Broni-Stradella: nel giro di venti minuti sarebbe arrivato al Ponte della Bec­ca, nel punto in cui il fiume Ticino diventa Po, e dove Borghesi lo aspettava insieme a due volanti e un capannello di canottieri. Anche una squadra della scientifica era in viaggio per raggiungerli. L’ispettore aveva specificato a Borghesi di stare bene attento che nessuno dei presenti usasse cellulari o si allon­tanasse, per evitare la diffusione di pettegolezzi. La provin­ cia era un mondo in miniatura, nel giro di pochissimo tem­ po sarebbero arrivati sul posto i cronisti rapaci, e prima di tutto voleva essere certo che le notizie riferite da Borghesi non fossero esagerazioni. “Secondo i canottieri è un esemplare da record” aveva spiegato tra i fumi del sonno Borghesi. “Il pesce siluro più grosso mai pescato in questa zona del fiume, sicuramente del Ticino e forse anche del Po.” Non era per il silurus glanis che erano stati chiamati, ma per ciò che spuntava dalla sua bocca, incorniciata dai bar­bigli. “Non fate niente finché non arrivo” aveva

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biascicato Jacobi nel buio della camera da letto. Poi aveva chiuso la comunicazione e si era alzato di peso, sbuffando. Remo si sciacquò rapidamente in bagno e la voce sfumata di sua madre Eleonora si unì al flusso d’acqua del rubinetto: pa­role rimaste nella memoria dagli anni della sua giovinezza, il ritornello tipico di ogni volta che scappava di corsa alla fermata dell’autobus diretto in città, per il liceo: “Mi raccomando, non lavarti come i gatti”. In quel momento, sve­gliato alla fine della notte per presentarsi sulla scena di un crimine – se così poteva definirlo, in base a quanto aveva riferito Borghesi – quasi rimpianse le corse per non arrivare tardi a lezione, con il “pericolo” di essere schernito dai compagni o ripreso da alcuni professori. Suo padre era già in piedi. Lo trovò in cucina che si rollava una sigaretta seduto al tavolo, di spalle. Remo si chinò per baciarlo sulla nuca. Davanti a lui erano ancora sparpagliate le carte Modiano, le vestigia del solitario in cui Johan si era cimentato la sera prima. Il suo innocuo sonnifero. “Ciao, tata.” Johan ricambiò mugugnando mentre leccava la cartina per sigillarla. “Vuoi un caffè?” “Non ho tempo.” Infilò la sigaretta tra le labbra, poi la accese con uno svedese da cucina, strin-

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gendo il fiammifero tra le dita scre­polate da più di sessant’anni di lavoro nei cantieri, segnate dalla calce e ruvide come la pellaccia di uno squalo. Jacobi aprì il frigorifero e si versò un bicchiere di succo di pompelmo, buttò dentro una dose abbondante di zucchero e lo mandò giù d’un sorso. “La pillola non la prendi?” Johan indicò con uno sbuf­fo di fumo una confezione di medicinali sul banco della cucina. “Dopo. Ora devo scappare.” Jacobi raccolse da una ciotola di legno le chiavi dell’auto e aprì la porta della cucina che si affacciava sul cortile. Vivevano in una cascina che il padre aveva rimesso in sesto nell’arco di trent’anni, e dove lui aveva vissuto fin da ragazzino. C’era tornato dopo il divorzio da Monica. Ora lui e Johan si facevano compa­gnia a vicenda, e Remo si sentiva più vicino all’età morale del padre che ai suoi effettivi cinquant’anni. Tra lui e il vedovo Johan si era instaurato un rapporto che andava oltre il legame di sangue, erano compatibili a livello più emotivo: entrambi soli, a loro modo tacitamente disperati per quelle assenze che un tempo avevano impreziosito la loro esistenza.

“Ti chiamo più tardi.” Remo salutò il padre dalla soglia. Johan sorrise a labbra strette, per Remo era come un vec­chio cane lupo che sa di essere amato e accudito. Il figlio faceva un lavoro di merda, proprio com’era stato il suo, e con la stessa dedizione e caparbietà. Era l’unica cosa che sapesse fare, ed era bravo a farla. Non eccezionale, ma capace. Erano tutti e due uomini semplici, onesti. Gran lavoratori. “Copriti che fuori fa fresco” lo avvisò inutilmente Johan. Dopo due terzi della sua vita su suolo italiano, Johan non aveva ancora del tutto perso una vaga ma inequivocabile inflessione rumena, che a suo modo lo rendeva esotico. Remo annuì e chiuse la porta alle sue spalle. Per fortuna Johan non gli aveva chiesto il perché della sua uscita mattutina, di certo non così usuale come ci si aspetterebbe da un ispettore della polizia criminale. Remo non aveva mai mentito ai genitori, e non avrebbe saputo come mascherare la notizia. Un pesce siluro di almeno tre metri che un gruppo di canottieri aveva trovato morto, a pancia in su nel fiume, e dalla cui bocca spuntava la mano di un bambino.•

Massimo Gardella Massimo Gardella è nato nel 1973 e vive a Milano. È traduttore di saggi e romanzi per diversi editori italiani. Nel 2009 è uscito il romanzo Il Quadrato di Blaum (Cabila Edizioni). Come musicista ha scritto le musiche per il documentario di Giorgio Fornoni Ai confini del mondo (Chiarelettere 2010). Il suo sito internet è www.massimogardella.com

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Racconto

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uel giorno alla tv andava in onda l’ultima puntata di X Factor. Per non perdersela, buttò in lavatrice tutto quello che c’era nel cesto dei panni sporchi, al diavolo pure il codice colore, per una volta. Oggi non c’era bucato del blu o del rosso, ma un unico carico che andava bene per tutto. La mano agguantava nevrotica magliette, gonne e calzini e ricompattava nell’oblò. Senza andare troppo per il sottile, rinunciando a ogni ispezione. Nella tasca della tuta aveva dimenticato il lettore di ebook. Che roteò mollemente e a lungo nel cestello, cullato dal ritmo regolare del programma di lavaggio. Sembrò superare indenne l’immersione nell’acqua calda. Persino l’ammorbidente, economico e di pessima qualità, non turbò gli ordinati circuiti logici della macchinetta. E venne il momento in cui il movimento si arrestò e l’acqua scivolò via dai mille buchi del tamburo d’acciaio. Sembrava fatta. Ma poi partì la centrifuga. Solo allora qualcosa accadde nel cervello di silicio del lettore sballottato e shakerato a 600 giri al minuto. “Nel mezzo del cammin di mia vita, già mi trovai per una simile selva oscura. E proprio come allora, la retta via mi par smarrita.” L’uomo dal naso adunco, vestito di raso rosso e la testa cinta di una corona d’alloro, in piedi sulla sommità di una collina zeppa di conigli che copulavano, vagava con lo sguardo nel paesaggio da incubo che lo circondava. Ai piedi della collina si stendeva una foresta inestricabile. In lontananza si scorgeva un guerriero magrissimo con la

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lancia in resta, in sella a un cavallo scheletrito, accompagnato da uno scalcinato scudiero grasso che montava un somaro. La strana coppia percorreva lentamente un sentiero dorato che si snodava nei boschi, dove saltellava e cantava una garrula bambina con scarpette rosse ai piedi, scortata da un leone, un uomo di latta e uno spaventapasseri. Poco lontano, scimmie volanti ronzavano come aerei attorno a un gorilla gigantesco, alto più di trenta metri, arrampicato sulla cima di un grattacielo del tutto fuori posto in quel bosco: il quadrumane colossale teneva nell’enorme mano pelosa una ragazzina, poco più di una bambina, che si atteggiava a strafica, ritta nel suo

Nella tasca della tuta aveva dimenticato il lettore di ebook. Che roteò mollemente e a lungo nel cestello, cullato dal ritmo regolare del programma di lavaggio. metro e quarantasette, con un calzino solo e uno sguardo ammaliatore dietro a vezzosi occhiali rosa a forma di cuore. Uno sguardo che faceva sciogliere d’amore l’orrendo gorilla che la maneggiava con insospettabile delicatezza. Più lontano ancora, dove finiva la selva popolata da tali strampalate creature, si scorgeva l’azzurro del mare. Un antico veliero, nero come la pece, tutto ornato di ossa di capodoglio, comandato da un tenebroso capitano con un gran cappello nero e

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la gamba di avorio, inseguiva una grossa balena bianca. La balena non pareva impressionata della baleniera a vela, anzi, sbadigliò e dalla sua bocca uscirono un tonno e un burattino con un gran naso di legno. Il veliero pareva non avere altro pensiero che precipitarsi contro il leviatano bianco, tanto da non badare alla rotta. Così rischiò di venire speronato da un sottomarino dall’aspetto antiquato che batteva bandiera francese, tutto ottone lucente e grandi cupole di cristallo. La balena bianca si tuffò nelle onde, per tornare a galla sotto forma di una fanciulla con le vesti stracciate, che diede vigorose bracciate verso terra. La baleniera virò di bordo e si gettò all’inseguimento della ragazza. Il fiociniere, uno spaventevole indigeno di chissà che parte sperduta del mondo, tutto tatuato e gigantesco, le lanciò anche l’arpione contro, senza tuttavia colpirla. “Messer Alighieri! Finalmente vi ho trovato. Venite con me, vi porto via da questo incubo.” A parlare era un uomo di mezza età, con una camicia azzurra tutta sudata per la faticosa salita fino alla sommità della collina, con in testa un fazzoletto annodato per riparare la pelata dal sole. “Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?” L’ometto gli tese la mano. “Borges. Jorge Luis Borges. Potete chiamarmi Jorge: siamo colleghi.” Alighieri non strinse la mano, anzi, alzò il sopracciglio. “Speziale anche voi? Non mi pare di aver avuto l’onore di conoscervi alla gilda, messere.”

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L’altro abbassò la mano impacciato. “Scrittore. Sono anch’io scrittore. Ma soprattutto, sono il bibliotecario della biblioteca di Babele.” “Biblioteca? Qui vedo tutto fuorché una biblioteca” brontolò Alighieri. “Voi potete forse spiegare questo caos?” Borges si strinse nelle spalle. “Io m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine.”

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“E questa convien che fosse una spiegaprofondità della mia intimità, impalandozione?” mi al suo membro metallico per il suo pia“Volumi in disordine, messere. Qualcosa, cere perverso. Mi chiamava, chissà perché, una forza sconosciuta ha mescolato storie Moby Dick! Dick, capite? Io ben so cosa sie personaggi in un caos primordiale, asgnifica Dick! Anche voi messeri avete afsurdo, e io debbo rimettere ordine a tutto filate armi con cui volete straziare le dolci questo. Voi siete il primo; venite con me, vi profondità del mio grembo?” rimetterò nella vostra Commedia.” Alighieri le mostrò la penna d’oca. “Se vuo’ campar d’esto loco selvaggio, devi “La penna è la mia sola arma.” perdurar maggior pazienza, mastro Borges: Justine sorrise maliziosa, e col polpastrelda quelle fronde s’avanza a noi la medesilo saggiò il pennino d’oro intriso di inma fanciulla ch’io vidi poc’anzi mutar da chiostro, fino a farsi uscire una goccia di balena in donna, in quel mar là giù colà sangue. “Oh, messere, quale celestiale midove la batte l’onda.” scuglio di dolore e piaLa fanciulla che fino cere potete donare a una – Justine! – esclamò. vergine, se con quella a poco prima era una balena bianca si avvipunta aguzza la pene– Che ci fai qui? cinò sorridendo ai due trate a fondo e nel conVai via, sparisci! scrittori, strizzandosi tempo con quella piuma Alighieri lo fermò. acqua dalla gonna frale solleticate la delizia – Ma che fate? dicia. Il vestito era talnascosta tra le sue segreTanto gentile e tanto mente sbrindellato da te labbra dell’amore.“ onesta pare… lasciarla più nuda che Alighieri si rimise la vestita. A Borges non penna dietro l’orecchio, sfuggì che i seni erano attraversati da segni con un gesto più da salumiere che da poeta. rossi di recenti scudisciate. “Qui mi scusi la vanità, se il fior suo la mia “Justine!” esclamò. “Che ci fai qui? Vai via, penna abborra. Ma a ben altro uso l’inchiosparisci!” stro mio è aduso.” Alighieri lo fermò. “Ma che fate? Tanto Un po’ delusa, Justine mise il broncio. gentile e tanto onesta pare…” “Così non volete approfittare della mia “Gentile? Onesta? Ma che dite, questa è virtù? Lo dicevano anche quei due sulla una diabolica creatura di De Sade!” spiaggia… Due perverse canaglie, sapete? Gli occhi della fanciulla si riempirono di Lui con quattro capponi legati per le zampe, lacrime. “Oh, quanto è misera la virtù in lei coi capelli adornati di una ruota di spilcatene! La mia vita non è altro che un susloni lombardi…” seguirsi di sventure. Appena mi ero risve“Renzo e Lucia! Loro sono i prossimi, dove gliata in quel terribile mare che un uomo si trovano?” si intromise Borges. crudele, zoppo su una nave nera, voleva “Sono andati via con i loro amici pirati, frugare con la sua fiocina di ferro nelle quel corsaro tutto nero e quell’altro mezzo

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indiano col turbante. Ma perché li cercate? Sono terribili! Lui ha preteso che io soddisfacessi le sue turpi voglie sulla spiaggia, inginocchiata sulla sabbia come una cagna, mentre lei per aumentare il suo piacere ha preso i suoi aguzzi spilloni e… Guardate voi stessi, gentiluomini, cosa mi ha fatto! Ne porto ancora i segni!” Justine lasciò scivolare a terra il vestito. Borges si coprì gli occhi con la mano. “Uuuuh, che male cane! Rivestitevi! Quei due sono diventati così perché sono stati piratati, a loro penseremo poi.” “Piratati?” chiese Justine, perplessa. “Alcuni di noi sono arrivati in questo mondo in un modo non proprio regolare… Difficile spiegare, diciamo che sono stati piratati: sono clandestini e per il fatto di esser costretti a vivere nell’illegalità sono diventati malvagi. Ma ora, messer Alighieri, andiamo, è tempo di tornare alla Commedia! Non volete riabbracciare la casta Beatrice d’umiltà vestuta?”

Alighieri cercò lo sguardo di Justine, che vestuta non era per nulla. Lei gli sorrise. “Mastro Borges tornateci voi, nella vostra storia” rispose il poeta. “Sto impadronendomi dell’inesplorato potere della lingua di oggi. Dove voi vedete disordine e pirateria, io vedo un creativo, potente, primordiale crogiuolo di parole, emozioni e poesia. Voglio vivere qui, in questo dolce stil letterario novo, fatto di mescolamento e contaminazione. Tra questa gente, inebriato da questi umori vitali, potrò sentirmi di nuovo vivo. E finalmente, dopo settecento anni ad ammuffire nella carta, potrò davvero tornare a riveder le stelle.”•

Luca Masali Luca Masali è nato a Torino nel 1963, ma vive da tempo in Lombardia. Giornalista, ha pubblicato il suo primo romanzo, I biplani di D’Annunzio, vincendo il premio Urania di Mondadori nel 1995 e, l’anno successivo, il premio Bob Morane come miglior romanzo straniero al Festival del libro fantastico di Bruxelles. Negli ultimi anni, dopo aver pubblicato La balena del cielo (Urania Mondadori 1997, Oscar Mondadori 2004, Sironi 2008) e La perla alla fine del mondo (Urania Mondadori 1999, Sironi 2007) si è dedicato al noir, conquistando il premio Azzeccagarbugli con L’inglesina in soffitta (Sironi, 2004). Da Castelvecchi è uscito nel 2010 il suo ultimo romanzo, La Vergine delle ossa. I libri di Luca Masali sono disponibili in ebook da Biblet, nella collana Masali Collection di Delos Books che raccoglie per la prima volta in formato ePub tutti i romanzi e i racconti dell’autore. Scopri su www.biblet.it

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Il mondo dell’ebook

2012, la fine (del libro) è vicina? Anche nel nostro Paese prende piede il fenomeno eBook: numeri piccoli ma percentuali di crescita a tre cifre. Intanto, negli Stati Uniti e in Corea del Sud… di Roberto Dessì 24

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econdo la discutibile interprein cui prima le piccole librerie indipendentazione di una profezia Maya, il ti, poi le grandi catene sarebbero state in2012 porterà alla fine della civilghiottite nella grande pancia del digitale, tà per come la conosciamo. Cosa mettendo termine – nel 2019 – al mercato accadrà? Sarà un terribile terremoto a far dei libri cartacei così come lo conosciamo. collassare la Terra? O un asteroide si abbatMike Shatzkin, altro blogger ben informato terà sul nostro pianeta, seminando terrore sui fatti, è persino più apocalittico: la trane distruzione? sizione ipotizzata, cifre alla mano, sposta Pragmaticamente parlando – e non ce ne di sei anni indietro la deadline, dal 2019 al vogliano pseudo-scienziati e profeti di 2013. Quando, perdurando gli attuali trend sventura vari – è ben più probabile che di crescita, gli eBook varranno negli USA l’anno 2012 venga archiviato come quello circa l’80% dell’intera torta editoriale. Gli dell’apocalisse per il libro stampato, con eReader ancora una volta sono il fattore un’eclissi chiamata eBook capace di oscuche guida alla migrazione dei lettori dal rare secoli di tradiziocartaceo al digitale (sone fatta di inchiostro, prattutto quelli “forti”), È probabile che caratteri mobili e stamcon punti di picco in l’anno 2012 venga panti industriali. prossimità dalle festiviCerchiamo di dare soarchiviato come quello tà natalizie dove si venstanza alle congetture. dono (e regalano) più dell’apocalisse per Il trend registrato negli device. il libro stampato ultimi cinque anni negli Fin qui realtà e teorie Stati Uniti è chiaro, made in USA, più o l’AAP – l’associazione americana degli meno esagerate e suggestive. Tornando editori – sgrana con cadenza mensile perall’Italia, nei fatti quanto vale il mercato centuali di crescita a tre cifre nel settore degli eBook? Anche alle nostre latitudini eBook, contraltare alla perdurante crisi del le cose stanno cambiando, e con estrema cartaceo. La stima al ribasso conferma che rapidità. nel primo trimestre del 2012 i libri digitaDi recente l’AIE ha pubblicato un report li varranno il 20% dell’industria editoriale sulla crescita del mercato eBook interno nel nel complesso. Dai numeri alla fantasia il 2011: il fatturato è di appena tre milioni di passo è stato breve, e la “morte del libro” euro, poco più dello 0,1% dell’intero editoimprovvisamente vicina. riale. Cifre modeste, ma comparandole con Non molto tempo fa TechCrunch pubblicai dati del 2010 ciò rappresenta un +200% va un articolo dal titolo alquanto esplicatiperfino migliorabile; a patto naturalmente vo: “Il futuro del libro: una tabella di marcia di saper miscelare cum grano salis i tre prinantiutopica”. Col crescente successo dei dicipali ingredienti nel cocktail di crescita: spositivi eInk e dei tablet, e i loro prezzi in prezzo degli eReader, prezzo degli eBook, picchiata, l’autore abbozzava una timeline disponibilità di titoli in catalogo.

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Secondo lo studio dell’associazione editori si passa da meno di 2.000 (2009) a oltre 20.000 libri disponibili in digitale; vuoi perché le case editrici cominciano a comprendere e apprezzare il fenomeno eBook (con più ritardo le “big”, a onor di vero), vuoi perché l’autopubblicazione garantisce un’ulteriore infornata di titoli tra cui scegliere per chi investe soldi su un eReader. A proposito di eBook reader, c’è da aggiungere che la ricerca AIE è stata effettuata poco prima dell’avvento del Kindle in Italia: l’impatto di un device acquistabile a poco meno di 100 euro dà un ulteriore scrollone al dormiente mercato digitale italiano, seguito a stretto giro di posta dal contro-annuncio Telecom Italia: anche il Biblet Reader è disponibile a 99 euro, qualità e scelta a prezzi decisamente accattivanti. Varietà di titoli, device economici e prezzo medio degli eBook che è circa la metà rispetto al cartaceo, soprattutto per i titoli meno recenti: new entry e best seller mantengono percentuali di sconto attorno al 20-30%, con rare eccezioni. Su questo, è indiscutibile, le case editrici potrebbero fare di più. Da oggetto del mistero a oggetto del desiderio insomma: gli stand dei megastore di elettronica dove gli eReader fanno bella mostra di sé vengono presi d’assalto, la

parola chiave “eBook” è tra le più digitate sui motori di ricerca in Rete, i social network diventano i nuovi circoli letterari attraverso cui reperire recensioni, dialogo diretto con gli autori, guide per neofiti della tecnologia a inchiostro elettronico. Non si vive però di soli bit, e l’eBook si appresta

Gli eBook stanno mutando, da oggetto del mistero a oggetto del desiderio ad abbandonare la dimensione virtuale per entrare nella realtà tangibile e quotidiana. Il 23 dicembre scorso il neoministro dell’Istruzione Francesco Profumo dichiarava: “I libri scolastici si spostino sui tablet. Si possono scaricare, non gratis, le cose hanno un valore. Possono così divenire dei ‘book in progress’, sfruttare al massimo l’interattività. E alla fine si risparmia, pur considerando l’acquisto del tablet”; il suo predecessore, Maria Stella Gelmini, attraverso una circolare ministeriale caldeggiava l’adozione degli eBook per superare il problema del “caro libri” e del peso degli zaini; le classi sperimentali in cui la didattica è fatta su libri digitali e device elettronici non si contano più. Ottime intenzioni, ma transizione ancora troppo lenta rispetto a

Dopo il Kindle, anche il Biblet Reader è disponibile a 99 euro: qualità e scelta a prezzi decisamente accattivanti Scopri Biblet Reader su www.biblet.it

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chi, in altre parti del mondo, sta agendo rapidamente. Dal 2015 le scuole della Corea del Sud metteranno per sempre nel cassetto i libri di testo scolastici, passando agli eBook. Non stupisce la decisione di Seul, in un Paese che è secondo al mondo (dopo gli inarrivabili States) per grado di penetrazione del libro elettronico, e vanta un partner tecnico che di nome fa Samsung. E ancora, eBook in prestito nelle bibliote-

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che pubbliche, eBook in omaggio con l’acquisto di un quotidiano, eBook che sostituiscono i manuali d’istruzioni... verrebbe da pensare che i Maya ci abbiano preso: il 2012 potrebbe essere davvero un anno di transizione, di cambiamento epocale. Da carta a eBook, con il futuro del libro simile al presente dei vinili: una curiosità da amatore per inguaribili nostalgici del profumo di cellulosa.•

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Il mondo dell’ebook

Gli eBook tra le nuvole I big del web stanno sviluppando sistemi di cloud computing, all’interno dei quali si delineano anche il presente e il futuro degli eBook e le abitudini di acquisto e fruizione dei lettori digitali di Daniela De Pasquale

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propositi per il nuovo anno si fanno a gennaio e si dimenticano per i successivi 11 mesi. Se tra i vostri c’è quello di essere più precisi e di avere meno la testa tra le nuvole, siete fortunati, perché il 2012 è l’anno della Nuvola. Non ci riferiamo al calendario cinese, né a una nube apocalittica legata alle profezie Maya. Secondo la società di ricerca Idc, un quarto delle aziende italiane entro l’inizio del 2012 adotteranno soluzioni legate alla nuvola, per un giro d’affari di 280 milioni di euro. Cos’è questa nuvola e come funziona? La nuvola è il temine informale con cui si indica il cloud computing, un insieme di tecnologie che consente l’accesso a risorse hardware, servizi software e sistemi di archiviazione via remoto. Pc, smartphone, eReader e tablet risultano così alleggeriti di dotazioni tecniche, e l’utente ha un’unica porta virtuale, costituita da browser e applicazioni, per utilizzare strumenti online pronti all’uso, configurabili

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e tagliati su misura per le sue esigenze, e per salvare i dati in enormi archivi digitali. Chi utilizza la nuvola? Lo sviluppo del cloud è legato in gran parte alla benevola accoglienza all’interno delle aziende, sia piccole che grandi, che hanno potuto abbattere costi di acquisto e gestione dell’IT. I vantaggi principali stanno nella riduzione dei tempi da destinare a formazione e supporto, ma soprattutto nella flessibilità: dalla gestione del budget, semplificata dalle modalità pay per use, alla scalabilità dei servizi, che permette aggiornamenti e rimodulazioni in base a esigenze mutevoli, alla semplificazione delle infrastrutture interne, dal momento che i servizi cloud si utilizzano tramite browser e sono quindi accessibili da sedi differenti. Fuori dal contesto aziendale, lo sviluppo della nuvola è stato possibile grazie alla diffusione della banda larga, dei dispositivi mobili e dei social network, che hanno abituato gli utenti a non avere i propri dati in un luogo fisico, ma a ri-

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chiamarli da qualunque dispositivo connesso a internet. Cosa c’entra la nuvola con il web e soprattutto con gli eBook? Gli strateghi del marketing hanno spostato la pubblicità online e il dialogo con i consumatori dai siti istituzionali a quelli in cui si trascorre più tempo: i social network. La logica alla base della tecnologia cloud è la stessa: non stiamo parlando dell’utente sbadato e quindi “tra le nuvole”, ma di un utente sempre in movimento, sempre connesso, che ha bisogno di viaggiare leggero e allo stesso tempo di avere sempre a disposizione i suoi documenti. Grazie alla nuvola, non c’è più bisogno di salvare file su chiavette USB, DVD o CD. Se avete lavorato fino a notte fonda a un progetto da presentare l’indomani a un cliente, non dovrete più svegliarvi con l’incubo di averlo salvato solo sul vostro pc di casa. Pensando agli eBook, tutto il contenuto dei nostri scaffali digitali è depositato su Internet e possiamo sfogliare i nostri libri sempre e ovunque. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, lo schema è lo stesso: niente più hard disk, penne di memoria, cavi, ma solo una connessione a internet, l’unica definitiva chiave di accesso ai propri documenti. Basta un clic, e l’insieme di bit galleggianti e sospesi si trasformerà sul monitor in foto, film, musica e eBook, proprio come le particelle d’acqua delle nuvole che, spostandosi, le fanno assomigliare ora a un animale, ora a un essere mitologico, ora a un volto che sorride. Chi sta sperimentando la nuvola? Forse non lo sapete, ma state utilizzando una nuvola quando caricate un video su Youtube, condividete un documento con i vostri colle-

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ghi con Google Docs o leggete la posta tramite Gmail. Si tratta di alcuni dei servizi cloud di Google che, insieme agli altri big del web, stanno sviluppando le proprie app e il proprio ecosistema, all’interno del quale stanno disegnando anche il presente e il futuro dei libri digitali. È stato proprio il CEO di Google Eric Schmidt a coniare l’espressione cloud computing nel 2006, quando suggeriva che il posto di hardware e software era “in qualche nuvola da qualche parte”.

La nuvola permette di acquistare canzoni, noleggiare film, sfogliare eBook sempre e ovunque, trasformando i beni immateriali in commodities e pagando solo ciò che si consuma, come si fa con l’energia elettrica Amazon è stata la prima a proporre l’Amazon Elastic Compute Cloud. E ancora oggi punta forte sul modello per lo streaming musicale e video, grazie ad Amazon Prime, Amazon Mp3, Amazon Cloud Player, l’App Store per le applicazioni Android e, aspetto che ci interessa di più, il negozio online per gli eBook e il Kindle Cloud Reader. L’ultimo nato in casa Amazon, il Kindle Fire, non ha uno slot per l’aumento della memoria, il che la dice lunga sulla volontà di affidare alla nuvola l’utilizzo delle applicazioni e lo storage dei dati. Anche Microsoft si è lanciata nel settore, con la piattaforma Azure per le piccole e medie imprese.

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E non si può non citare iCloud, con cui Apple permette di “accedere a tutto quello che hai, da tutti i tuoi dispositivi. Non devi sincronizzare i contenuti, non devi gestirli, non devi fare nulla, perché fa tutto iCloud.” Un’esperienza molto vicina a noi è Tim Cloud, con cui Telecom Italia apre al mercato consumer la sua “Nuvola Italiana”: 1 GB di memoria a disposizione dei clienti Tim e dei possessori di uno smartphone Android o Symbian per salvare nella nuvola musica, video, eBook e ogni tipo di file, che possono essere organizzati in cartelle, riprodotti in streaming e condivisi tramite i social network.

Attraverso la sola connessione a internet, il cloud computing manda in pensione hard disk, penne di memoria e tutti gli altri strumenti di archiviazione Non si corrono dei rischi? Attività svolte e dati salvati nella cloud sono sempre meno legati alla prossimità fisica e al controllo diretto, e questo presenta inevitabilmente degli svantaggi. Innanzitutto, la disponibilità dei dati è strettamente legata alla presenza di una connessione. In secondo luogo, depositare i dati in remoto non equivale ad averli sui propri sistemi: non esistono copie se non quelle salvate dall’utente stesso. Il terzo problema è quello principale: la protezione dei dati. Nonostante le garanzie prestate dai fornitori, molte aziende non sono propense ad affidare alla nuvola dati sensibili o strategici. Quello della privacy è il tasto su cui, in particolare, batte Richard Stallman, leader del

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movimento per il software libero, secondo cui utilizzare web application e affidare all’onestà e solidità di un’azienda tutte le informazioni personali o di lavoro (foto, agende, ma anche bilanci e piani strategici) significa assumersi tutti i rischi di boicottaggio o incidenti che potrebbero verificarsi. Cloud Computing: rischio o opportunità? Quello che Stallman definisce una moda è un fenomeno tutt’altro che temporaneo e rappresenta la naturale evoluzione del modo in cui si utilizza la rete, che da strumento per la condivisione di documenti diventa sempre più un provider di servizi. Si possono acquistare canzoni, noleggiare film, sfogliare eBook come e quando si vuole, pagando solo ciò che si consuma come si fa con l’energia elettrica. Si tratta di un’evoluzione che sta cambiando anche i nostri comportamenti, oltre alle nostre abitudini di acquisto, e sta migliorando anche molti aspetti della nostra vita. Basti pensare all’ambito sanitario: all’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma sono già in corso sperimentazioni per dotare ogni paziente di una identità clinica digitale, accessibile in ogni momento da tutti gli ospedali collegati. Un bel sogno di innovazione, da realizzare affrontando e minimizzando i punti deboli del sistema. Il cloud computing, come tutte le cose, può rappresentare un rischio o un’opportunità, a seconda dei punti di vista. Come quelli che servono per interpretare i quadri di René Magritte, in cui proprio le nuvole, mutevoli come i pensieri, sono un elemento ricorrente e significativo, e hanno contribuito a caratterizzarne lo stile tanto da farlo ricordare come “il pittore dei sogni”.•

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Buona la prima Storie di libri ed edizioni

Thomas Mann

“Doktor Faustus” (1947)

di Luca Bisin

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oceano è più indovinato che visto dietro l’accavallarsi armonioso dei crinali. Verso ovest i rilievi del Rustic Canyon tagliano scorci più netti e selvatici, appena punteggiati da rade abitazioni che sanno ancora di conquista e ardimento, ma di là dal flessuoso tracciato del Sunset Boulevard, dove spiccano come macchie i prati ben curati dei country club, le colline tracciano profili levigati nel loro morbido digradare a sudest, prima di precipitare a scogliera sul litorale. Più in basso, Santa Monica si distende piatta e languida fino al Pacifico, segnata dal reticolo delle strade che si incrociano dritte e regolari, e dietro la linea del lungomare, sul quale si slanciano

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i fusti delle palme e si affacciano le case dei divi hollywoodiani, la spiaggia si allunga a perdita d’occhio, bianca e assolata, già animata fino a Venice Beach. Quassù, nella quiete un po’ defilata di Pacific Palisades, l’oceano arriva solo come un’idea che si sente nell’aria, un presagio di onde e di luce che la brezza insinua tra i fogliami fitti dei pini e degli eucalipti, mischiato al profumo dei limoni che costeggiano le strade sinuose a cui qualcuno ha dato i nomi di città italiane. È il 23 maggio del 1943, una domenica mattina, e nel suo studio al pianterreno di una casa imponente, dalle linee forse un po’ troppo severe per la California del Sud, al 1550 di San Remo Drive, Thomas Mann si accinge a scrivere il Doctor Faustus. Che questo romanzo “così assolutamente tedesco” da essere quasi intraducibile, come dirà il suo autore, sia nato nella florida svagatezza della crescente Los Angeles è forse solo la più esteriore e involontaria delle tante trasfigurazioni che contribuiscono alla sua complessità e potenza simbolica. “Dove io sono, là è la Germania”, diceva l’esiliato Mann; e più forse che un esercizio di presunzione, si trova in questo annuncio la condizione di uno straniamento interiore che egli condivideva con i tanti intellettuali tedeschi e austriaci scampati negli anni quaranta alla ferocia nazista e riparati in gran numero tra le lucenti colli-

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ne della baia di Santa Monica. Toccato dal sentore dell’oceano, attorniato dalla rigogliosa esuberanza dei cedri e delle palme, dei pini e delle buganvillee, Mann continua però lavorare sulla pesante scrivania in mogano che dalla casa di Monaco lo ha seguito nelle tappe del suo esilio, traccia visibile di un legame con la patria che, forzatamente interrotto, non smette di bruciare e non manca di manifestarsi nel romanzo fin dalle sue prime pagine: è il 23 maggio del 1943, una domenica, quando l’erudito e umanista Serenus Zeitblom, nel suo vecchio studiolo a Freising sull’Isar, si accinge a raccontare la storia dell’amico e compositore Adrian Leverkühn, che dalla fittizia cittadina di Kaisersaschern percorre una parabola vitale tragicamente dispersa tra lo slancio della creazione artistica e il disfacimento della malattia, tra l’impeto ideale della musica e la perdizione fatale di un patto con il diavolo che assume inevitabilmente i contorni allegorici della Germania hitleriana. E quando Leverkühn consumerà il fatale colloquio con Satana, esprimendo lo stupore di incontrare il diavolo, così popolare fra i tedeschi, in Italia piuttosto che nella natia Kaisersaschern, Mann affiderà la risposta proprio a quella sua dichiarazione di orgoglio tedesco che pronunciata dal demonio si muta quasi in una sentenza inflessibile: “Se tu avessi il coraggio di dirti:

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‘Dove io sono, ivi è Kaisersaschern’, ecco anch’egli rifugiatosi nella placida quiete di che tutto sarebbe a posto”. Los Angeles, non distante dall’abitazione Opera “cupa, spaesante, inquietante”, maedello scrittore, e naturalizzato americano stosa e definitiva come può esserlo solo fin dal 1941. Nella finzione del Doctor Fauuna resa dei conti, il Doctor Faustus è forse stus, infatti, la musica dodecafonica di cui anzitutto per Mann il tentativo di replicaSchönberg è il teorico e il propugnatore dire in un esercizio di scrittura quel “gioco viene l’espressione caratteristica del genio ironico della natura” che, nel finale del roinquieto di Adrian Leverkühn e delle tenmanzo, tra la tragedia ormai compiuta di sioni più cupe della sua anima. Alla pubbliLeverkühn e quella già annunciatasi della cazione del romanzo nel 1947, preoccupato Germania nazista, sa produrre “l’immagine che l’invenzione manniana potesse offuscadella più sublime spirire il suo nome ai postetualità là dove la spiriri, Schönberg ingaggerà tualità è scomparsa”. con lo scrittore un’opeIn ossequio a quell’”inra di persuasione assiltrecciarsi mutevole e lante, a tratti grottesca, affine di tutte le cose” affinché fosse esplicitache è la musica stessa, mente dichiarata la sua nella voracità dei riferipaternità spirituale della menti e delle allusioni, tecnica dodecafonica. delle allegorie e delle Mann cederà, infine, aptraslazioni che attirano e ponendo alla nuova edisublimano tra le pagine zione una nota esplicadel romanzo le più svativa, senza peraltro che riate suggestioni della questo chiarimento poArnold Schönberg cultura tedesca, l’esiliatesse dissolvere l’ombra to Mann traccia dalle coste della California ben più ingombrante e difficile che il Doctor i lineamenti ambigui di un’identità tedesca Faustus gettava sulla musica di Schönberg che, dalla tragedia ormai compiuta, si mette come su tutta la cultura tedesca: l’onere di alla ricerca di una nuova spiritualità. Forse, una tragedia storica che nessuna distanza la vittima più illustre di questo esercizio sarà poteva alleviare e nessuna visione d’oceail compositore austriaco Arnold Schönberg, no rendere meno tedesca.•

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Sulla punta della lingua

Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a cura dell’Accademia della Crusca

Il discorso del Presidente Giorgio Napolitano e il messaggio di fine 2011 di Michele A. Cortelazzo

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discorsi dei Presidenti della Repubblica sono stati definiti un interessante esempio di linguaggio politico pienamente istituzionale. Il connubio tra linguaggio politico e linguaggio istituzionale può avere una particolare rilevanza oggi, in un momento di crisi, economica e politica, come l’attuale, nel quale il Presidente della Repubblica ha dovuto seguire molto da vicino l’evolversi della situazione politica e, particolarmente, governativa. Ci si può attendere che delle due polarità discorsive, quella politica possa aver accresciuto la sua incidenza a scapito di quella istituzionale. Può essere interessante verificare cosa in effetti sia accaduto in un’occasione fortemente rappresentativa, e in qualche misura rituale, nella vita civile della nostra Repubblica, e cioè nell’ultimo messaggio di fine anno, quello tenuto il 31 dicembre 2011 dal Presidente della Repubblica Giorgio Na-

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politano. Ci spingono a esaminare questo discorso almeno tre ragioni: la prima, assolutamente contingente, è che si tratta di un discorso che abbiamo ascoltato pochi giorni fa e mantiene, quindi, delle caratteristiche di attualità; la seconda è che sullo specifico genere testuale dei discorsi di fine anno possediamo i risultati di una recente ricerca, condotta da un gruppo interdisciplinare dell’Università di Padova (poi pubblicati, per i tipi della Marsilio, col titolo Messaggi dal colle) e i relativi strumenti di analisi, anche di natura statistica; la terza che il messaggio di fine anno è uno dei discorsi pubblici di più alto valore simbolico, dal momento che la più alta figura istituzionale della nostra Repubblica si rivolge direttamente ai cittadini. Il tono dei discorsi del Presidente Napolitano, di tutti i suoi discorsi, è sempre fortemente istituzionale: sobrio nelle scelte lessicali, controllato, e mai piatto, nelle costruzioni sintattiche, fluido nell’esecuzione (con poche pause e pochi tempi morti), orientato a sollecitare coesione e concordia nei cittadini. È il tono che il Presidente ha mantenuto anche nel discorso di fine anno. Può parere strano, ma una delle parole che più caratterizza Napolitano, per il suo uso ricorrente (e superiore alla frequenza con cui l’avevano usato i suoi predecessori) è la congiunzione e. Parrebbe una curiosità,

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un valore che riguarda le stranezze della distribuzione delle parole nei nostri discorsi, e non un dato che ci apre prospettive di comprensione dell’atteggiamento dell’oratore. Ma non è così. Questa paroletta è indicatrice di una tendenza di Napolitano, quella a unire gli elementi del suo discorso, spesso in strutture binarie. Basterebbe leggere la frase iniziale del messaggio del 2011, quando ringrazia gli italiani che ha incontrato, “uomini e donne”, “di tutte le generazioni e di ogni parte del paese”, oppure quando sostiene che il risanamento dell’economia “dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale”. La logica binaria, tipica dell’attuale Presidente (a differenza di alcuni predecessori che prediligevano strutture ternarie o accumulative) è “particolarmente funzionale all’oratoria di chi lavora per ricomporre un Paese dimidiato dal bipolarismo, cercando d’incarnare – come Napolitano – l’«imperativo dell’unità nazionale» di fronte a «elettori divisi in due parti quasi uguali»” (come ha scritto Giuseppe Antonelli nel 2007 sul “Sole 24 ore”). Il carattere di fondo dell’eloquio di Napolitano non pare, dunque, essere mutato nel discorso 2011 rispetto alle consuetudini oratorie del Presidente. Ma il vocabolario? Neppure il vocabolario sembra discostarsi dal fondo consolidato delle scelte lessicali del Presidente. Se cerchiamo, con opportuni strumenti statistici, le parole “specifiche” del discorso di quest’anno, ne troviamo ben poche; e solo una di queste è seman-

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ticamente significativa: sacrifici. La parola è stata usata 6 volte nei messaggi di fine anno di Napolitano, e quasi esclusivamente (5 volte) nel messaggio di quest’anno. Non c’è da stupirsene, dato che il tema dei sacrifici richiesti agli italiani per risanare la situazione finanziaria dello Stato è il tema del giorno. Si tratta di una parola che sta in

Il tono dei discorsi del Presidente Napolitano, di tutti i suoi discorsi, è sempre fortemente istituzionale: sobrio nelle scelte lessicali, controllato, e mai piatto compagnia di altre parole, statisticamente meno rilevanti, ma comunque presenti solo nel discorso di quest’anno: evasione, corruzione, recessione, mercati, finanziario, risanamento. Insomma: tra le scelte lessicali che rappresentano una novità nella serie dei messaggi di fine anno di Napolitano, spiccano quelle legate alla contingente situazione economica. Possiamo considerare queste parole come parole politiche? In una certa misura sì, ma si tratta di parole indotte dalle priorità dell’agenda politica di questo momento, parole che, probabilmente, tutti noi usiamo più spesso in questi mesi rispetto a qualche tempo fa. Troppo poco per poter sostenere un accrescimento del peso della politica nel discorso di fine d’anno. In realtà, questo discorso di fine anno si inserisce perfettamente nella serie storica dei messaggi di Napolitano. Se cerchiamo, con

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un altro mezzo statistico, di misurare la similarità del discorso del 2011 con gli altri messaggi di fine anno di tutti i Presidenti, possiamo verificare che l’ultimo messaggio risulta strettamente simile agli altri discorsi dello stesso Presidente, e solo dopo appare apparentato ad alcuni discorsi di Ciampi e di Cossiga. Si tratta di somiglianze notate già a partire dal primo discorso del 2006 (il quale mostrava un’ancora maggiore conti-

nuità con le modalità discorsive di Ciampi). Napolitano appare simile a Ciampi per quel che riguarda la promozione della coesione tra le parti, la sensibilità per il mondo femminile e l’attenzione al processo di integrazione europea; si avvicina, invece, a Cossiga per l’accento su argomenti più strettamente istituzionali. Per la prima volta, quest’anno, il discorso di Napolitano si avvicina, sia pure debolmente, anche a un discorso di Leone. I discorsi di Giovanni Leone si caratterizzavano per lo spazio dedicato alle inquietudini e agli allarmi del tempo. Non è certo un caso che proprio quest’anno si verifichi questo leggero avvicinamento al precedente Presidente napoletano, con un’attenuazione, quindi, del tono generalmente ottimistico dei messaggi di fine anno di Napolitano (ve n’è anche una spia lessicale, dal momento che il Presidente inserisce nel suo discorso, per la prima volta, la parola travagli). Insomma: il messaggio dell’attuale Presidente mostra una fortissima coerenza con le consuetudini discorsive che Napolitano si è creato subito dopo l’assunzione del mandato. Le poche vere novità sono indotte dalle contingenze dell’attuale momento economico e sociale. Non pare che l’emergenza politica abbia scalfito in maniera sensibile la forte istituzionalità dei discorsi del Presidente Giorgio Napolitano.•

Giorgio Napolitano

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Anima del mondo Paesaggi della letteratura

Narrare la porta dell’Oriente Istanbul attraverso i romanzi di Orhan Pamuk e di Elif Shafak di Fabio Fumagalli

I

l mistero, ciò che è inspiegabile razionalmente, possiede due caratteristiche essenziali: un’ambiguità di fondo, figlia di un’intima contraddizione dell’evento, e una costitutiva bellezza decadente che suscita nello spettatore sentimenti contrastanti. Non è difficile incontrarlo. Molto spesso esso si pone di traverso sul nostro cammino, lasciandoci attoniti e privi dei nostri consueti meccanismi di difesa. Le cose si complicano quando si tratta di trasmetterlo, di raccontarlo. È necessaria allora l’abilità di un grande narratore per far emergere tutte le qualità che esso possiede. Istanbul, centro culturale ed economico

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della Turchia nata dalla rivoluzione kemalista, sembra concretizzare in sé questo tipo di fenomeno. Posta a cavallo di due continenti, l’asiatico e l’europeo, e installata sulle rive del Bosforo, del Corno d’oro e del Mar di Marmara, questa porta dell’Oriente sembra, infatti, porre un’eterna sfida a chi cerca di descriverla. Innanzitutto vanno fatti i conti con la sua storia. Capitale di due grandi imperi, quello bizantino e quello ottomano, e, assieme a Roma, centro dell’arte e della scienza per circa sei secoli, il suo passato si perde in mille rivoli contraddittori. Si prenda, ad esempio, il museo di Santa Sofia, posto a guardia

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dell’intera città sulla sommità del quartiere storico Sultanahmet. Questo edificio, eretto per la prima volta da Costantino il Grande, fu il centro della vita religiosa di Bisanzio per poi diventare, con l’avvento dei turchi, una moschea. È a partire dal 1935, grazie all’iniziativa di Atatürk, che viene ad assumere l’attuale funzione di museo.

Ma non è solamente nei grandi monumenti che emerge l’aura misteriosa e piena di fascino di Istanbul. Perché la megalopoli turca è come un libro aperto con scarabocchiate dieci milioni di storie, tutte assolutamente uniche e irripetibili. Ed è proprio da queste storie che il narratore esperto sa trarre la magia di un’intera città. A questo proposito, tornano alla mente le figure di Asya e sua madre Zeliha, protagoniste del libro La bastarda di Istanbul della scrittrice turca Elif Shafak. Durante il loro tormentato rapporto, un unico momento di riconciliazione fa percepire al lettore “la pulsazione della città”, il ritmo vitale che l’attraversa, “come e perché la gente [possa] innamorarsi

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di Istanbul”. Questa pulsazione può essere compresa esclusivamente da un orecchio vigile e attento, che immediatamente sa trasformarla in un’avventura degna di essere raccontata. Mistero, contraddizioni, magia. Tutto questo e altro ancora appare allo spettatore di Istanbul. Specchio fedele di quanto detto è il Bosforo, lo stretto che unisce il Mar Nero e il Mar di Marmara, e che divide la città su due continenti. Immaginandoci su di una riva, sostenuti nel nostro volo di fantasia dalla penna dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk, sulle sue acque vediamo transitare petroliere rumene, piccole barche a vela di pescatori in arrivo da Trabzon, chiatte piene di carbone, traghetti che fanno la spola sulle due sponde, eleganti transatlantici italiani, una varietà pressoché infinita di navi. Secondo lo scrittore turco “proprio per questa esigenza spirituale di vedere, anche se da lontano, lo stretto, nelle case di Istanbul la finestra che si affaccia sul mare è come la mihrap nelle moschee, la nicchia che indica la direzione della Mecca”. Ma c’è una zona nascosta e inconscia del Bosforo che, benché invisibile, lo rende un luogo assolutamente speciale. Si tratta del suo fondale, uno scrigno che racchiude i resti di tutto ciò che Istanbul è stata, tutti i suoi misteri e tutte le sue contraddizioni. Solo un narratore esperto come Orhan Pamuk può accompagnarci nei suoi abissi, facendocene conoscere i segreti. Con un’abile invenzione letteraria nel Libro nero egli si immagina infatti che le acque del Bosforo stiano

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regredendo lasciando emergere in superficie i ricordi che esso conserva: “Nel cuore di questo caos apocalittico si staglieranno i resti di traghetti delle linee marittime di una volta, adagiate sul fianco in mezzo a distese di meduse e tappi di gazzosa. L’ultimo giorno di repentino regresso delle acque, fra le navi da crociera americane rimaste in secca e le colonne ioniche ricoperte di alghe, emergeranno scheletri celtici e lici […] tesori bizantini incrostati di mitili, forchette e coltelli d’argento e di latta, barili di vino secolari, bottigliette di gazzosa, carcasse di affilate galere…”. Potenza della scrittura che porta lo spettatore là dove il mistero si fa più presente, dove risiede la vera essenza di Istanbul. Grazie ad essa infatti riusciamo a percepire il sentimento che lega insieme una città così ricca di storia e di ricordi: esso

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prende il nome turco di hüzün, tristezza, perché, secondo Pamuk, “a Istanbul, a differenza di quanto succede nelle città occidentali […] le rovine convivono con la città. Ma le antenne della città ricordano ai suoi abitanti sensibili che la forza e la ricchezza del passato sono scomparse […] e il presente è povero e confuso”, inconfrontabile col passato. Allora l’unico rimedio sarebbe rispondere in maniera affermativa alla domanda che Elif Shafak pone costantemente in tutti i suoi romanzi: “Non è forse meglio dimenticare?”. Ma ormai sappiamo che un vero scrittore non può accettare questa risposta. “Perché”, afferma il premio Nobel turco, “non c’è nulla di sorprendente come la vita. Tranne lo scrivere. Lo scrivere. Sì certo, tranne lo scrivere. L’unica consolazione che abbiamo.”•

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Alta cucina Leggere di gusto

Tra ostriche e champagne, trionfa lo ĹĄÄ?i Tavole imbandite nei racconti di Anton Cechov

di Francesco Baucia

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presi. Cechov si stupiva del fatto che molti nche e soprattutto nei nostri ammiratori non cogliessero l’umorismo di tempi di sobrietà forzata, ostricui sosteneva fossero intessuti i suoi lavori. che e champagne mantengono Difficile dargli ragione di fronte a due pauno status di simboli eterni del rabole aspre come queste. Se di umorismo lusso. I loro nomi evocano fantasmi di agiasi tratta, tuttavia, bisogna riconoscere che ci tezze sepolte nel passato o di speranze che troviamo davanti a uno spirito corrosivo che baluginano in un futuro indefinito. Nella non risparmia i miti del benessere di cui da Russia imperiale di fine Ottocento, Anton sempre sono nutriti i sogni più distruttivi. Cechov dovette certo pensare alla forza È questo un aspetto della sua opera che lo evocativa di questi oggetti del desiderio avvicina a Gustave Flaubert: la sua eroina quando scrisse due dei suoi racconti più Emma Bovary, andando verso la rovina, si rapidi e raggelanti, che intitolò appunto Le indebita per circondarsi di vestiti e arredi ostriche e Lo champagne. Nel primo, un ralussuosi. Ma Cechov non sarebbe il maestro gazzino ridotto alla fame viene fatto ingozassoluto che è se fosse soltanto un castigazare di ostriche per burla da un gruppo di tore di costumi. L’attensedicenti gentiluomini, zione tutto sommato afmentre il padre, uno scriCi troviamo davanti a fettuosa per le abitudini vano caduto in disgrazia uno spirito corrosivo delle classi benestanti è che ha assistito attonito allo spettacolo, si doman- che non risparmia i miti per lui l’altra faccia della da come mai non sia stato del benessere di cui da medaglia del disincanto che sempre accompagna capace di chiedere a quei sempre sono nutriti i il suo sguardo sui medesignori un semplice atto sogni più distruttivi simi strati della società. di carità. Nel secondo, Non rifiuta pertanto di il meschino capo di una soffermarsi, ad esempio, sulle consuetudini stazione ferroviaria sperduta nella steppa culinarie dei suoi personaggi. È esemplare festeggia il capodanno stappando una botin questo senso il racconto Il regno delle donne, tiglia di Veuve Clicquot insieme alla moglie, apparso nel gennaio del 1894. Vi si racconta la quale, nonostante lo squallore della loro la giornata di Natale di una giovane donna, vita, lo ama perdutamente; aprendola ne Anna Akìmovna, proprietaria di uno starovescia un bicchiere e viene redarguito bilimento industriale ereditato dal padre. dalla donna, secondo cui quel vino versaLa sua vita si trascina nell’indecisione, dal to è presagio di disgrazie future. L’uomo momento che si sente estranea al mondo sbotta: “Come è possibile che nella mia vita degli operai – cui tuttavia, prima di fare ci sia spazio per qualcosa di più brutto che fortuna, il padre apparteneva – così come quello che mi è già toccato in sorte?”. Non da quello degli aristocratici – non vantando immagina che di lì a poco arriverà in casa infatti alcuna ascendenza altolocata. In una sua una donna, parente della moglie, della visita a una famiglia indigente per ademquale si invaghirà e che gli farà perdere piere a un’opera di carità ha conosciuto un tutto, lavoro e amore della consorte com-

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l’arcigno cameriere Mìšen’ka, “con la gravioperaio che vagheggia di sposare. Il pentà d’un professore di magia nera”. Tra tutte siero di questa possibilità attraversa la sua quelle delizie, però, Anna rimane pressomente per tutto il giorno di Natale, mentre ché a digiuno, tormentata com’è dall’ansia attorno a lei si agita la folla di servitori che di imprimere al più presto un senso alla apparecchiano la casa per la celebrazione sua vita. Alla sera, andati via gli ospiti, le della festività e quella degli ospiti giunta a donne di casa rimangono da sole e si conceporgerle gli omaggi. La casa di Anna è ordono un secondo round a ganizzata su due piani, tavola (carne salata con il piano superiore è chiasenape, una tacchina, mato “quartiere buono o mele in conserva, uva nobile e appartamento” spina e per accompagnamentre quello inferiore re le chiacchiere del dopo “quartiere degli affari, o cena panforti alla menta, dei vecchi, o semplicenoci e uva passa). Anche mente delle donne”. Nel Anna ha riacquistato primo sono ricevuti i nol’appetito: sembra ormai tabili, “le persone distindecisa a proporsi in mate e istruite”, mentre nel trimonio all’operaio, e ne secondo la gente di semfa l’annuncio quella sera plice condizione e i conostessa, ma poco dopo scenti della zia di Anna. ritratta, dicendo che è Il pranzo di Natale, C’è un detto arcinoto stato solo uno scherzo. incentrato su pietanin Russia che recita Finirà così la sua giorze russe (“minestra di “Šči e kaša sono nata insieme alla fedele cavoli, un porcellino, cameriera Maša, innaun’oca con le mele”), il nostro cibo” morata senza speranza si accompagna esclusidel servo Mìšen’ka, a piangere e a ridere vamente per gli ospiti del piano superiore allo stesso tempo della misteriosa mutevoal cosiddetto “pranzo francese”, classico lezza del cuore. esempio della moda francofila che ammaMa chissà poi se il buon operaio Pimenov liava i ceti russi più agiati nell’Ottocento. Si – oggetto delle fantasie della sua datrice di succedono dunque, sulla tavola del piano lavoro – si sarebbe mai trovato a proprio superiore, oltre agli immancabili vodka e agio al tavolo da festa di Anna, se i due salmone, funghi freschi alla panna e “una fossero davvero convolati a nozze? Forse, salsa alla provençale di ostriche e code di a differenza del terribilmente snob Lysevič, gamberi arrosto” mentre un invitato, l’avsi sarebbe concentrato con più attenzione vocato Lysevič, rammenta con nostalgia sulle pietanze nazionali e tra queste, più l’abilità di un vecchio cuoco del posto nel di tutte, su uno dei classici per eccellenza preparare la salsa matelote (un condimento della cucina russa: la minestra di cavoli (šči). a base di ritagli di pesce). Serve le pietanze

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C’è un detto arcinoto in Russia che recita “Šči e kaša sono il nostro cibo” (irriproducibile in italiano la rima che rende spiritoso il proverbio originale), il quale testimonia come la minestra di cavoli e la zuppa di grano saraceno bastino da sole a determinare l’identità culinaria russa. Lo šči si ottiene preparando un buon brodo di carne e aggiungendovi, tagliate a pezzetti e listarelle, una serie di verdure: carote, pomodori, sedano rapa, rapa e, ovviamente, sua maestà il cavolo cappuccio, insieme a qualche foglia di alloro, sale e pepe. Invece del cavolo cappuccio è possibile utilizzare anche crauti (attentamente scolati), se

si intende ottenere un minestra dal gusto più acidulo. Il tutto deve cuocere a fuoco basso per circa tre quarti d’ora e poi restare a lungo a riposo. Per servirla, la si scalda a fiamma bassa, si taglia a pezzetti la carne utilizzata per fare il brodo e la si dispone nei piatti; infine, si versa sopra la carne la zuppa bollente unendo una cucchiaiata abbondante di panna acida e una spolverata di aneto fresco. Si possono placare i roventi spiriti della minestra di cavoli con un bicchiere di rosso proveniente dalla Russia meridionale, area geografica caratterizzata da una buona produzione vinicola, e da cui d’altronde proveniva lo stesso Cechov.•

MINESTRA DI CAVOLI (Šči) Ingredienti (per 2/3 persone): ½ kg di carne di manzo ½ kg di cavolo cappuccio 2 carote 2 pomodori 3 patate 1 cipolla 1 sedano rapa 1 rapa Alloro Sale Pepe Panna acida Aneto fresco

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LA STATION WAGON VENUTA DA UN ALTRO MONDO

Recensioni

MIGLIO 81 di Stephen King

Si dice che gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto, e in questa propensione fanno loro buona compagnia gli artisti, i quali frequentemente amano rivisitare nel corso della carriera le proprie ossessioni creative. Forse per tale motivo, nel titolo di una raccolta di racconti, Raymond Chandler ha definito il delitto un’arte semplice. Stephen King è uno scrittore che non fa eccezione a tale regola, e ce lo dimostra una volta per tutte in questo ultimo exploit, che ha voluto espressamente fosse commercializzato soltanto in formato digitale, ambito di cui King è un po’ un pioniere tra gli scrittori Disponibile su sin dai tempi di Riding the www.biblet.it bullet (per approfondire, rimandiamo all’articolo di Daniela De Pasquale sul numero 3 di PreTesti). Miglio 81 (apparso in Italia per Sperling & Kupfer) si basa infatti su un’idea che ha reso celeberrimo il suo romanzo del 1983 Christine, la macchina infernale: come allora, il mostro di questa favola gotica contemporanea è un’automobile, qui dotata della prerogativa di sgra-

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nocchiarsi le persone che le capitano a tiro come se fosse un’enorme tritacarne. L’auto, un’indefinibile station wagon inzaccherata di fango, arriva, quasi dal nulla, in una stazione di servizio abbandonata di un’autostrada del Maine, e fagocita, in serie, un assicuratore invasato dalla religione (tanto da definire la Bibbia “il manuale del perfetto assicuratore”), una ex wrestler lesbica appartenuta a un gruppo itinerante di lotta nel fango, i due genitori ansiosi di una coppia di bambini e, per concludere, un poliziotto armato di iPad e appassionato di Scarabeo. Come vuole la tradizione fiabesca, la salvezza non appartiene al mondo degli adulti e infatti sarà proprio un preadolescente – capitato per caso nella stazione abbandonata per cercare di compiere un’impresa degna dell’attenzione del fratello più grande e dei suoi amici – a ingaggiare la lotta più efficace con la macchina infernale che, come si scoprirà, non proviene dall’abisso dell’aldilà, ma dalle profondità dello spazio.

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Recensioni Il racconto, ricco di dettagli umoristici, grandguignoleschi, citazioni e autocitazioni, si dipana, con la maestria cui il Re ci ha da tempo abituati, in sei rapidi capitoli. Ci sono tutti gli ingredienti che possono far gridare, una volta apparsa l’ultima riga del testo sullo schermo del nostro eReader, un liberatorio: “That’s entertainment!”: momenti di suspense, personaggi schizzati a tutto tondo con pochi tratti sicuri e soprattutto il piacere un po’ perverso di intravedere, giusto un passo dietro a quanto descritto nel racconto, scenari ancora più inquietanti di quelli che scorgiamo attraverso lo spioncino della storia. Recentemente alcuni psicologi hanno sostenuto che film e storie dell’orrore, assunti in giusti quantitativi, favoriscono un sano sviluppo delle facoltà mentali dei ragazzi. Si riscopre, dopo la demonizzazione un po’ moralistica dello spavento, il valore della prova del negativo che proprio la ricchezza delle varie raccolte nazionali di favole da sempre testimonia. Quando tornate a casa, potremmo quasi affermare, date da leggere un racconto horror ai vostri bambini. Magari lo stesso Miglio 81. Perché essi, parafrasan-

do Freud, sono capaci, a differenza degli scettici – e a volte ottusi – adulti, di “lottare contro il demone in modo composto”. Questo, dietro alla sua maschera giocosa, ci insegna da lungo tempo Stephen King, e ce lo ripete ancora una volta in quest’ultimo lavoro.•

Stephen King

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VI RACCONTO UN ROMANZO

Appuntamenti

e gli altri eventi del mese

VI RACCONTO UN ROMANZO Torna la grande letteratura all’Auditorium Parco della musica di Roma, dove prosegue il ciclo di letture Vi racconto un romanzo, una serie di “incontri” a cura di Valerio Magrelli con alcuni dei grandi capolavori della letteratura italiana del dopoguerra. L’iniziativa offre al pubblico la possibilità di stabilire un contatto ravvicinato con gli aspetti più interessanti della creazione narrativa attraverso letture affidate ai principali interpreti del teatro italiano. Questi i testi che verranno proposti nel 2012: il 16 gennaio Il porto di Toledo di Anna Maria Ortese (letto da Licia Maglietta, con introduzione di Monica Fernetti), il 20 febbraio Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi (letto da Milena Vukotic, con introduzione di Andrea Cortellessa), il 5 marzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (letto da Remo Girone, con introduzione di Domenico Scarpa), il 2 aprile Le città invisibili di Italo Calvino (letto da Isabella Ragonese, con introduzione di Marco Belpoliti) e il 7 maggio L’isola di Arturo di Elsa Morante (letto da Iaia Forte, con introduzione di Nadia Setti). Fino al 7 maggio CONVIVIO. INCONTRI LETTERARI ED ENOGASTRONOMICI A KM 0 Organizzato dalla Fondazione d’Andrade e giunto ormai alla quarta edizione, l’evento culturale Convivio, che ha luogo nel piccolo comune di Pavone Canavese (in provincia di Torino), trova la sua peculiarità nel saper coniugare letteratura, teatro, musica e prodotti enogastronomici. L’edizione 2011-2012, avente per titolo Note e parole. Musica e lette46

ratura, ha in programma una serie di incontri in cui prenderà corpo una magica fusione tra testi (scritti e raccontati) e musiche. Il primo appuntamento ha visto come protagonista il libro Novecento di Alessandro Baricco interpretato da Omar Ramero. Queste le altre letture: venerdì 13 gennaio Racconti musicali, con Lucia Gravante e Giuseppe Cigno, venerdì 10 febbraio La mia storia con Mozart di Éric-Emmanuel Schmitt con Dimitri Riccio e infine venerdì 16 marzo Canone inverso di Paolo Maurensig con Marco Panzanaro. Fino al 16 marzo IL CAMMINO DELLE PAROLE All’interno del magnifico palcoscenico di Palazzo Firenze a Roma, la Società Dante Alighieri, in collaborazione con Paesaggio Culturale Italiano – I Parchi Letterari, propone una rassegna di incontri culturali che avranno come fine quello di valorizzare, accanto a quello artistico e letterario, l’ambito enogastronomico. Tale progetto si fonda su una serie di conferenze che si pongono l’obiettivo di fornire un’ampia panoramica su alcuni dei maggiori scrittori italiani, tra cui ricordiamo Pier Paolo Pasolini e Carlo Levi. Al termine di questi incontri, che vedranno la partecipazione di numerose personalità di spicco del mondo della cultura, verranno proposte degustazioni di prodotti tipici provenienti dai territori dei Parchi Letterari. La manifestazione, inaugurata il 23 novembre 2011 con una tavola rotonda su Giosue Carducci, si concluderà il 13 giugno 2012 con l’iniziativa Trovatori e Virgilio, parole in viaggio. Fino al 13 giugno

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@eroticnotes Baratto. Un bacio con un cessaria sillogismo, una carezza ne con una messa in piega, un . ebook con un neologismo

@5AdicoXtina la cioccolata è un regalo e sempre gradito, ma anch gli ebook ultimamente ;)

@FaziEditore i In Usa gli #ebook battono lia libri: 42 titoli su 50. In Ita o il em uir siamo agli esordi, seg trend?

@Pianeta_e

Boo

@trittoli #ebook #murakami Bisogne rebbe poter ascoltare la musica cit ata mentre si legge. Sarebbe godurioso. Basterebbe un clic k.

k Gli #eBook reader e i #tablet tra i regali di N atale più scartati nel mondo. Scommettia mo che anch e in Italia...?

@carloalberto e più istituzional L’Italia digitale a, at e sconfort appare dimessa iù è il momento p to es u q e tr en m folli affamati eccitante per i

Bookbugs

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pretesti | Gennaio 2012


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pretesti Occasioni di letteratura digitale

PreTesti • Occasioni di letteratura digitale Gennaio 2012 • Numero 1 • Anno II Telecom Italia S.p.A. Direttore responsabile: Roberto Murgia Coordinamento editoriale: Francesco Baucia Direzione creativa e progetto grafico: Fabio Zanino Irina Galleri Redazione: Sergio Bassani Luca Bisin Fabio Fumagalli Patrizia Martino Francesco Picconi Progetto grafico ed editoriale: Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com In copertina: Valeria Parrella L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito. Per informazioni info@pretesti.net

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