PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Luglio 2012 • Numero 7 • Anno II

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

L’ultimo autogrill di Roberto Perrone

Raccontare lo sport: il caso del calcio

di Massimo Raffaeli

Siete proprio una bella famiglia! di Giulia Ottaviano

Luglio 2012 • Numero 7

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Dove finiscono i viaggi di Eraldo Affinati

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Il meglio della narrativa e della saggistica italiana e straniera in oltre 24.000 titoli

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Editoriale L’estate 2012 parte all’insegna del “pallone”. Sono finiti gli Europei di calcio e l’Italia è finita “nel pallone” per un secco quattro a zero con la Spagna che abbiamo già dimenticato. Ma “nel pallone” ci siamo già da alcuni mesi, anzi anni - perlomeno gli ultimi due -, da quando cioè tutto il mondo dice che siamo in crisi. E siccome il fatto che siamo in crisi significa che non riusciamo a pagare i nostri debiti verso gli investitori, allora ecco che sono gli investitori a finire a loro volta nel “pallone”, non sapendo più dove orientarsi. In crisi l’Italia del Rinascimento? In crisi la Grecia culla della civiltà? In crisi la Spagna delle scoperte geografiche? Che cosa avrebbe detto Gianni Brera guardando che i paesi crollano come le squadre di calcio? Nel vedere giocatori che non hanno più energie, nemmeno un rivolo, tener duro e non gettare la spugna, ma perdere ugualmente? Il calcio e il ciclismo sono i due grandi sport che meglio incarnano la varietà delle emozioni della vita ed è per questo che le storie dei calciatori o dei ciclisti diventano metafore di un mondo da cambiare, di un intuito dell’ultimo minuto che apre una breccia nella difesa dell’avversario, di una fuga oltre la soglia del dolore che ridà dignità alla sconfitta come alla vittoria. Abbiamo chiesto a due grandi scrittori, Roberto Perrone e Massimo Raffaeli, di guidare il nostro “scatto d’orgoglio sportivo” nel mondo della crisi, Perrone con una storia d’amore e Raffaeli ricordando, tra gli altri, Gianni Brera. A Eraldo Affinati abbiamo chiesto una storia e ci ha consegnato uno struggente invito alla cura degli altri. Con Giulia Ottaviano anticipiamo L’amore quando tutto crolla e una bella speranza della letteratura, mentre Roberto Dessì indaga il fenomeno mommy porn e gli ebook erotici che stanno spingendo il mercato dell’editoria digitale. Daniela De Pasquale, in perfetto clima vacanziero, ci aiuta a capire come portare con noi i nostri ebook e le nostre letture preferite, mentre per “Sulla punta della lingua” Simona Cresti dell’Accademia della Crusca ci ricorda la storia della parola “cretino” (categoria che in vacanza non va mai). Fabio Fumagalli ci invita a riscoprire Norman Mailer e la sua Sfida mentre con Luca Bisin scopriremo i viaggi di Elémire Zolla in “Anima del mondo”. E per concludere Francesco Baucia ci fa spalancare le papille gustative sulle pagine di Madame Bovary. Possibile? Già, cosa è possibile e cosa è impossibile? Per la letteratura nulla è impossibile, anche uscire dalla crisi con la testa “nel pallone”. Buoni PreTesti a tutti. Roberto Murgia

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Indice

Testi

Il mondo dell’ebook

Rubriche

05-10 Racconto L’ultimo autogrill di Roberto Perrone

29-33 L’eBook un po’ sporcaccione della mamma di Roberto Dessì

39-41 Buona la prima Norman Mailer “La sfida” (1975) di Fabio Fumagalli

34-38 In viaggio con gli eBook di Daniela De Pasquale

42-44 Sulla punta della lingua Storie etimologiche: il caso di cretino di Simona Cresti

11-15 Saggio Raccontare lo sport: il caso del calcio di Massimo Raffaeli 16-23 Anticipazione Siete proprio una bella famiglia! di Giulia Ottaviano 24-28 Racconto Dove finiscono i viaggi di Eraldo Affinati

45-47 Anima del mondo Il genio dei luoghi di Luca Bisin 48-51 Alta cucina La torta “concettuale” di Madame Bovary di Francesco Baucia 52 Recensioni 53 Appuntamenti 54 Tweets / Bookbugs

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Racconto

L’ULTIMO AUTOGRILL di Roberto Perrone

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S

osservato, con la camicia bianca e il papillon ilvia scese dal bus e il calore dell’anero mentre preparava espressi e cappuccisfalto, mischiato alla puzza della ni senza parlare, ringraziando con timidezbenzina e della birra (evidente reza, quando qualcuno dei clienti gettava una siduo di sbarchi precedenti) che monetina nel portacenere, ricordo di un’età chiazzavano il piazzale, la aggredì con viomeravigliosa in cui si poteva fumare al chiulenza, provocandole un attacco di nausea. so, e ora utilizzato per le mance. Lo represse. Non le andava di apparire deI compagni di viaggio di Silvia si diressero bole o peggio femminile. I suoi compagni di verso l’autogrill, osservati distrattamente da viaggio, attorno a lei, comunque, non si acuna pattuglia della policorsero di nulla, mentre zia. Ne sarebbero usciti, sciamavano verso l’autotra dieci minuti, un quargrill oltrepassandola, urto d’ora, con le mani pietandola, urlando, gestine di merce. Chi una concolando, dandosi manate fezione da sei bottiglie di e dicendo parolacce. Erabirra, chi con una latta no due masse indistinte, d’olio, chi con un paio di ben divise, metà diretti al bottiglie di vino, chi con bar/ristorante, metà che un pezzo di parmigiapuntava ai bagni. Senno; i meno pretenziosi, za un filo di educazione, Un mondo a parte, che non volevano riemsenza nessun rispetto. con regole antiche, pirsi, con un gelato, un I loro volti, le loro espresdiverse, sconosciute pacchetto di caramelle. Si sioni, il loro modo di a coloro che si erano fatti furbi, rispetto esprimersi, di essere, racscansavano, inorriditi, a qualche anno prima. La contavano la storia di un impauriti, terrorizzati, volante che li scortava da mondo a parte, di una sola non poteva impedirealtà inafferrabile per i al loro passaggio re certo il saccheggio, ma “normali” che ne raschiatutti sapevano che avrebbe preso la targa, vano, con la comprensione, solo la crosta. avvisato i rinforzi, se l’autogrill fosse stato Un mondo a parte, con regole antiche, dimesso a ferro e fuoco. Una volta lo facevaverse, sconosciute a coloro che si scansavano, una volta scendevano dai bus come gli no, inorriditi, impauriti, terrorizzati, al loro Unni dalle Alpi e travolgevano ogni cosa. passaggio. E molti finivano manganellati, fermati, conEppure, presi uno per uno, pensò Silvia, dannati. Qualcuno si era fatto mesi di carnon erano neanche così male. La stragrancere. Per un autogrill? Meglio se capitava in de maggioranza di quella marmaglia avebattaglia, con i “nemici”. Quindi avevano va mestieri normali, esistenze banali. A cambiato sistema. Quella specie di esprolei, una volta, era capitato di trovarne uno prio proletario, eseguito senza urlare, senza dietro il bancone di un bar, in centro. Si era dire nulla, un’operazione silenziosa, pulita, fermata sulla porta, senza entrare e l’aveva

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semplicemente afferrando ognuno un articolo e uscendo a scaglioni, poteva passare inosservato o osservato con un calcolo soddisfacente del rapporto costi/benefici. Era una sorta di pizzo non richiesto, non trattato, preso da una parte e accettato dall’altra, da chi lo subiva, per evitare guai peggiori. Silvia non partecipava a questo rito barbaro. Perché no e perché non aveva voglia di niente, neanche del bagno. Aveva, ormai, adattato il suo corpo a quelle lunghe trasferte, in modo da resistere a sete e fame e soprattutto in modo da evitare i gabinetti degli autogrill italiani, in media, a parte qualche eccezione, tra i più schifosi del mondo. Per cui si avviò sotto uno dei rachitici alberelli che decoravano il parcheggio, le mani in tasca, decisa a fumarsi una sigaretta. Fu allora che lo vide.

Era la sua divisa da ultrà, la sua corazza. Nella vita “normale”, Silvia Annibene era una studentessa di fisica quasi laureata. Nella sua vita “segreta” era un’ultrà. Faceva parte del branco. Così vestita non l’avrebbe sgamata nessuno, così vestita campava in mezzo agli altri ultrà che la trattavano con rispetto, perché lei sapeva farsi rispettare. “È bella” disse all’uomo. Lui non si mosse, continuava a guardare il punto in cui le auto spuntavano sul piazzale dell’autogrill. Silvia gli andò davanti e gli agitò la mano davanti agli occhi. “Ehi, è collegato?” Lui si riscosse. “Mi scusi?” le domandò lui, finalmente accorgendosi di lei. “Dicevo che quest’auto è bella.” “Molto, sì. Grazie.” Aveva la voce stanca. Lei

Fu allora che lo vide. Stava appoggiato a una Jaguar. A Silvia piacevano le auto, soprattutto le Jaguar. Si avvicinò per studiarla, ma più dell’auto si mise a studiare lui. Stava appoggiato a una Jaguar. A Silvia piacevano le auto, soprattutto le Jaguar. Si avvicinò per studiarla, ma più dell’auto si mise a studiare lui. Magari suo padre no, però aveva almeno 15, 18 anni più di lei. Di altezza media, aveva i capelli brizzolati, corti, anche se non cortissimi. Pantaloni, blu, camicia bianca, senza giacca. Il suo sguardo vagava verso lo svincolo da dove, poco prima, era entrato il loro bus. Come se stesse di vedetta. Era bello, ma l’espressione del suo viso era quella di un uomo che stava soffrendo. Anche Silvia era bella, sebbene fosse vestita con informi pantaloni di colore mimetico e una canotta nera da camionista anni ’50.

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si appoggiò all’auto posteggiata accanto alla Jaguar e lo fissò meglio. Aveva un orologio della loro squadra al polso. “Orca” pensò Silvia. “È dei nostri.” “Viene alla partita?” Lui le sorrise, stancamente. “Ho due biglietti, ma non ho più voglia di venire, sto aspettando una persona che non arriva.” “Ha un appuntamento qui?” chiese lei stupita. “Sì, è l’ultimo autogrill.” “Vabbè, io invece di biglietti non ne ho, ma forse ci fanno entrare lo stesso. Mi scusi, non mi sono presentata: Silvia.”

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Lui le sorrise porgendole una mano forte, ma delicata nello stringere. “Carlo.” Restarono in silenzio per un po’. Poi lui improvvisamente la guardò. I suoi occhi la trapassarono. Non era uno sguardo “sporco”, ma Silvia si sentì nuda, come e di più di come spesso si sentiva sul bus, in mezzo agli sguardi dei suoi compagni. “Ma lei è con quelli?” chiese l’uomo indicando il gruppo degli ultrà. Lei alzò le spalle. Glielo chiedevano tutti, si stupivano in coro. Ma come, una così bella ragazza, intelligen-

sicurezze di cui avrebbe avuto necessità. Tra gli ultrà valeva la legge del branco. Erano tutti uguali, donne comprese. Tra gli ultrà contava essere affidabili, proteggersi l’un l’altro. Non erano “amici” in senso stretto, ma compagni sì, come soldati al fronte, per la sopravvivenza dipendevano l’uno dall’altro. Ma questo non lo diceva. Se la cavava con le risposte standard. Ma prima che potesse gettarne in faccia una all’uomo, lui aveva preso una busta dalla sua giacca sul sedile posteriore della Jaguar e ne aveva tirato fuori un biglietto.

La realtà era che Silvia si nascondeva. Da suo padre, da sua madre, dalle loro aspettative. Dagli uomini della “classe sociale” a cui apparteneva e che non avevano mai saputo darle nulla. te, brillante, con una mente scientifica, tra quelle bestie? La risposta vera, non era una di quelle che dava normalmente. “Sono fatti miei.” “Tra gli ultrà c’è più verità che nelle vostre esistenze ipocrite.” “Là trovo la vera solidarietà che nella società non esiste più.” “Non sono le bestie che voi pensate.” C’era, in queste risposte, qualcosa di vero. Ma la realtà era che Silvia si nascondeva. Da suo padre, da sua madre, dalle loro aspettative. Dagli uomini della “classe sociale” a cui apparteneva e che non avevano mai saputo darle nulla, che l’avevano delusa, disgustata più di quello che avessero mai fatto i suoi compagni ultrà, con i loro rutti, i loro cori, il loro linguaggio scurrile, talvolta con la loro violenza. Silvia fuggiva dai rapporti a intermittenza con gli altri esseri umani, dall’inaffidabilità del prossimo incapace di trasmetterle le

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“Prenda questo, è un biglietto per la tribuna centrale”. Silvia restò con la bocca aperta. “Ma come… ma non posso accettare. E poi, i miei amici…” “Li molli e si veda la partita da un posto tranquillo, anche se sono suoi amici. Guardi, sono stato anch’io così, non giudico nessuno, ci mancherebbe. Ognuno fa la sua vita. Ma questa è una vita che non porta da nessuna parte. Prima o poi bisogna smetterla. Mi sembra il momento giusto. È la finale, c’è tensione, ci sono già stati incidenti, scontri. L’ho sentito alla radio. La polizia è nervosa.” “Ma lei non viene alla partita?” “Io resto qui.” Silvia rimase col biglietto in mano, lo agitava su e giù, quasi facendosi aria. Ma di aria, in quel sabato di inizio giugno, non ce n’era. Tutto era fermo. Immoto. Guardò l’uomo davanti a lei e guardò i suoi “amici” che

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“Perché è venuto, allora?” “Perché ci sono vite che bisogna finire.”

uscivano, uno alla volta, con il loro carico, dall’autogrill. Prese una decisione. “Lo prendo, però voglio sapere chi aspetta.” Era sempre stata curiosa, fin da ragazzina, era sempre stata così, diretta. A volte le persone si offendevano, non capivano. L’uomo, però, non fece una piega. Anzi, le rispose con un sorriso. “Aspetto, anzi aspettavo una donna. Ma non verrà. Lo sapevo anche prima di venire qui. Ma sono venuto lo stesso, proprio come quando fai una lunga trasferta verso uno stadio dove sai che perderai. Era l’ultimo tentativo di cominciare una vita insieme, ma sapevo che non sarebbe venuta, che non avrebbe avuto il coraggio di lasciare suo marito, come mi ha promesso decine di volte.” “Perché è venuto, allora?” “Perché ci sono vite che bisogna finire, se non le avessi dato un ultimatum saremmo andati avanti ancora con questa situazione priva di sbocchi. Sono venuto per non voltarmi più indietro. Anche per me è l’ultimo autogrill.” “Ma se sa che non verrà che ci fa qua?” “Aspetto.” “E chi?” Le sorrise. “Si aspetta sempre qualcuno.” “Fino a quando?” “Fino a quando non succede qualcosa.”

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“Che cosa?” “Qualunque cosa” “E se non succede?” “Qualcosa succederà. Qualcosa succede sempre.” Silvia scese dal bus all’una e quarantacinque, dopo quasi 13 ore dalla prima volta che c’era stata. Non era proprio lo stesso autogrill, ma quello gemello, dall’altra parte della carreggiata. L’autogrill era illuminato a festa e decine e decine di tifosi si muovevano a gruppi cantando con una birra in mano. Forse, ora, l’avevano comprata, vista la felicità che esprimevano. Silvia non era tornato con i suoi compagni ultrà, ma con un club “normale”. Famiglie, bambini. Aveva chiesto un passaggio appena fuori dallo stadio. L’avevano guardata un po’ così, poi l’avevano fatta salire. Corse al sottopassaggio e lo attraversò pestando i camperos su tutte le schifezze che erano depositate sul fondo. Sbucò dall’altra parte e si fermò. Le mani sui fianchi, solo lievemente ansimante. L’ultimo autogrill era così diverso, così vuoto. Il flusso era al contrario, ora. La Jaguar non c’era più e neanche l’uomo. Provò una fitta di dispiacere. Silvia era andata in tribuna, come gli aveva promesso.

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All’ingresso l’avevano squadrata con raccapriccio e avevano studiato il biglietto come finanzieri che controllano una banconota da 50 euro che dà l’impressione di essere falsa. Non era un posto di tribuna qualsiasi, ma uno di quelli con le hostess, il buffet, il braccialettino. Lei aveva mangiato, era stata al bagno, aveva visto la partita. Le era parsa un’esperienza strana, così, seduta (non aveva mai visto una partita seduta), senza urlare, anche se si era divertita nello scoprire che i “normali”, donne comprese, dicevano cose terribili. Aveva deciso che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio da ultrà e forse anche da tifosa. Quell’uomo aveva ragione. Prima o poi ci sono strade che finiscono. Ma ce n’è sempre una che comincia. Aveva preso alcuni decisioni. E tra le sue decisioni c’era quella di voler rivedere l’uomo. E invece lui non c’era. Un’ombra di delusione le passò tra gli occhi. Poi, però, rifletté. Quello, pensò Silvia, è un uomo affidabile.

Uno che aspetta. Si portò i capelli biondi all’indietro con un gesto che faceva sempre. Quando rialzò lo sguardo vide l’uomo che la fissava e aveva una specie di sorriso, avrebbe cantato De André. Aveva solo cambiato posto, ora stava dall’altra parte del piazzale e fumava un sigaro. Un toscano. L’auto non era rivolta verso lo svincolo che immetteva all’autogrill, ma era puntata dall’altra parte, come se fosse pronta a mettersi in viaggio. Carlo guardava lei. “Forse non aspetta più” pensò Silvia con una specie di sommovimento nel cuore “o forse aspetta una donna diversa.” Ricambiò il sorriso, si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni mimetici e si diresse verso l’uomo. “Chi ha vinto?” le chiese lui, abbracciandola con lo sguardo. “Noi” rispose Silvia. E in quel momento non pensava alla partita.

Roberto Perrone Roberto Perrone è nato a Rapallo ma vive a Milano da trent’anni. Ha conservato solide radici genovesi avendo sposato Emanuela, discendente di una stirpe di cuochi e ristoratori di Recco. Ha tre figli, Cecilia, Rachele e Giovanni. Giornalista e scrittore, ha lavorato al “Giornale” di Indro Montanelli dal 1981 al 1989. Da allora è al “Corriere della Sera” dove si occupa di sport (ha coperto, con Londra 2012, da inviato nove Giochi Olimpici e sei Mondiali di calcio), enogastronomia (ogni sabato fa la sua “Scorribanda”) e viaggi. Ha pubblicato diversi romanzi per Garzanti (Zamora e La lunga) e Mondadori (Averti trovato ora, La ballata dell’amore salato), libri per ragazzi (la saga Banana Football Club per Fabbri), manuali di ricette per tifosi di calcio e la biografia di Gigi Buffon (Rizzoli). Il suo ultimo romanzo è Occhi negli occhi (Mondadori). I suoi romanzi Averti trovato ora, La ballata dell’amore salato, Occhi negli occhi e la biografia di Buffon Numero 1 sono disponibili in ebook da Cubolibri. Disponibile su www.cubolibri.it

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Saggio

RACCONTARE LO SPORT IL CASO DEL CALCIO di Massimo Raffaeli


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perfezione come nel più doloroso fallimenulla è più difficile del raccontare to: qui è la vertigine dorsale di Dick Fosbury lo sport, perché nulla è così eloche reinventa trionfalmente la morfologia del quente nella sua realtà, così autosalto in alto ma è anche lo strappo rovinoso evidente. Non occorre essere apnell’esercizio a corpo libero che chiude la carpassionati, tanto meno dei tifosi, per ammetriera del grande ginnasta Franco Menichelli tere che una partita di calcio presenta una alle Olimpiadi del 1968. Lo sport sembrerebgrammatica e una sintassi, dunque ordisce be pertanto una galassia fitta di racconti e un racconto perfettamente autonomo che poesie che bastano a se stesse, un universo nella memoria popolare può attingere perpreformato che non è lecito violare o distursino l’epica se, ad esempio, Italia-Germania bare dall’esterno oppure, più semplicemen4 a 3 (ai Mondiali del ’70) fu il suggello del te, lo sport parrebbe essere una forma che nostro dopoguerra e diede vita ad un filone non tollera duplicazioni né contraffazioni. aurifero di narrazioni via via depauperate Ciò è vero ma è vero tuttavia anche il connel segno di un intimismo nostalgico. Allo trario, come testimoniamo alcuni casi prostesso modo un incontro di pugilato (e qui verbiali: in America, Norman Mailer ha si pensi a Foreman contro Ali, a Kinshasa raccontato la notte di nel ’74) può iscriversi nel Kinshasa in uno dei senso comune come l’emAl calcio hanno suoi libri più belli (The blema di un passaggio d’ededicato splendide Fight, ’75) mentre Don poca, fra il tempo del ghetpoesie alcuni fra i DeLillo (in Underworld, to e della discriminazione razziale e quello, invece, nostri poeti secolari, ’97) ha tradotto la palla da baseball nel simbolo della rivendicazione più Umberto Saba, della potenza militare e orgogliosa della négritude. Pier Paolo Pasolini, nel nucleo allegorico del Infine, il ciclismo è narraVittorio Sereni e da predominio atomico; in zione della fatica nera e ultimo Milo De Angelis Italia ed in contempoquasi, tappa dopo tappa, ranea, Giovanni Arpino la storia a puntate di quel ha dedotto dal disastro della nazionale di darwinismo sociale (struggle for life, cimencalcio ai Mondiali tedeschi del ’74 (Azzurto e dura selezione) che caratterizza la moro tenebra, 1977) un diagramma della storia dernità con il volto infangato di Gino Bartali recente e delle sue contraddizioni mentre ovvero quello eternamente luminoso, refratSalvatore Bruno (nel solo libro che gli si cotario all’usura del tempo, che è la maschera nosca, L’allenatore, 1963) ha dato voce alla regale di Fausto Coppi. Quanto agli sport passione per il calcio quale patema autodisquisitamente individuali (su tutti la scherstruttivo e assoluta perdizione sentimentale. ma, la ginnastica, il nuoto e ovviamente le diInutile aggiungere che a tale sport (ormai un scipline dell’atletica leggera), il principio di ex-gioco da tempo divenuto spettacolo o forprestazione non si riflette tanto negli schemi mat da palinsesto televisivo) hanno dedicanarrativi quanto nell’assetto verticale della to splendide poesie alcuni fra i nostri poeti lirica, cioè del gesto autosufficiente nella sua

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secolari, Umberto Saba, Pier Paolo Pasolini, Vittorio Sereni e da ultimo Milo De Angelis la cui lirica intitolata Le squadre (in Terra del viso, ’85) esprime il sogno degli adolescenti e lo struttura alla maniera di un virtuale romanzo di formazione. Se lo sport non è raccontabile in quanto è già un racconto autosufficiente, come mai tuttora se ne scrive e con esiti talvolta eccezionali? Una risposta potrebbero essere: in effetti non si scrive di sport perché appunto la sua grammatica è un ineffabile tabu, ma si scrive di quanto lo precede e ne consegue, tra due estremi che prevedono una enorme quantità di soluzioni intermedie. Il che vuol dire: è possibile ed è anzi augurabile sottoporre lo sport a una lettura critica (in senso stretto, etimologico) come è lecito trattare di sport per il tramite delle vicende umane, singolari e collettive, di cui è latore. Circa la critica sportiva, essa si sviluppa in Italia a cavallo del Boom economico, fra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso: già uscivano fogli specializzati (a partire dalla Gazzetta dello Sport) però non esisteva un lessico né un prontuario tecnico che andasse oltre la retorica nazionalista, alla Orio Vergani, o l’oltranza belluina del fascismo, come nel caso di Bruno Roghi, autentico aedo del calcio e insieme epigono di Gabriele D’Annunzio. Ma è soltanto nella redazione del “Giorno” (paradossalmente non un quotidiano sportivo ma un giornale d’opinione, spregiudicato nella linea editoriale come nell’impianto grafico) che lo sport prende a essere vagliato in un’ottica critica da alcuni fuoriclasse del mestiere i quali, per competenza tecnica e finezza di linguaggio, hanno più o meno tutti una vocazione letteraria:

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in particolare, Giulio Signori si occupa di boxe, Mario Fossati di ciclismo e Gianni Clerici del tennis cui dedicherà col tempo alcune vere e proprie gemme narrative, a partire da I gesti bianchi (nuova edizione ’95), un racconto prediletto da Giorgio Bassani.

Gianni Brera

Dire “Il Giorno” è come dire Gianni Brera, colui che ha inventato in Italia sia la lettura critica della partita di calcio sia un’onomastica (“battitore libero”, “catenaccio”, “abatino”) presto passata in proverbio Ma dire “Il Giorno” è come dire Gianni Brera, colui che ha inventato in Italia sia la lettura critica della partita di calcio sia un’onomastica (“battitore libero”, “catenaccio”, “abatino”) presto passata in proverbio. Scrittore a tutto campo (di atletica, di boxe, di ciclismo e basti menzionare la stupenda biografia del Campionissimo, Coppi e il Diavolo, ’81) senza il precedente di Brera, senza la sua prosa inimitabile e lo spirito acerrimo

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media e già consultabile in un repertorio audiovisivo. Per restare sempre al calcio, senza la mano galeotta di Diego Armando Maradona (in Argentina-Inghilterra) che fa il giro del pianeta in tv dai mondiali messicani del 1986, probabilmente non avremmo i racconti di Osvaldo Soriano (Futbol, ’98), così come senza l’ubiquità del football formattato dalla televisione noi non leggeremmo le storie di un altro grande sudamericano, l’uruguagio Eduardo Galeano, contenute in Splendori e miserie del gioco del calcio (’97). Nemmeno è un caso che uno dei successi letterari dell’eIn ogni caso, è solo negli ultimi vent’anni poca recente sia il romanzo di Nick Hornby e cioè in coincidenza con la sua totale meFebbre a 90’ (’92), la autofiction o cosiddetta diatizzazione che lo sport entra nel senso di un tifoso dell’Arsenal e libro di culto per comune quale oggetto specifico della lettegli appartenenti alla generazione di mezzo. ratura, quasi che, a corrispettivo della sua Ed è proprio su questo terreno, tra residua ipervisibilità, si avvertisse il bisogno di una memoria individuale e asfissiante pressione parola che ne liberasse dall’interno le dinamediatica, che in Italia si profilano diversi miche individuali e sociali o insomma staautori di rilievo che hanno fatto del calcio nasse la humanitas che l’immagine mediatil’orizzonte d’attesa della ca in sé non potrebbe mai propria letteratura. Basti trasmettere: quasi che la È solo negli ultimi rammentare Darwin Paparola letteraria scegliesvent’anni e cioè in storin, un italo-brasiliano se di istallarsi nel set sportivo allo scopo di uma- coincidenza con la sua che ha tradotto la menizzarne le icone ovvero totale mediatizzazione moria calcistica (Ode per di liberarne il contenuto che lo sport entra nel Mané, ’99, sulla figura leggendaria di Garrincha, e I di verità sia dalla placca senso comune quale portieri del sogno, ’09) nella mediatica sia dalle sue sooggetto specifico della coscienza della condiziovrastrutture mitologiche. letteratura ne multiculturale e in un Ciò rivela il passaggio di limpido impegno civile; fase che dalla letteratura oppure Carlo D’Amicis, acuto interprete delmodernista (per cui lo sport è un luogo pari la postmodernità mediatica e biografo di una a tanti altri, una semplice metafora dello spafigura tragica, il giocatore Luciano Re Ceczio sociale: vedi ancora i casi di Norman Maiconi, in Ho visto un re (’99); o infine lo scrittoler, di Giovanni Arpino o di Salvatore Brure romano Fernando Acitelli, che alle icone no) prelude a quella consapevolmente postdel calcio ha fra l’altro dedicato una sua spemodernista secondo cui la realtà non esiste cialissima Spoon River firmando la raccolpiù in quanto tale ma risiede in uno spaziota intitolata La solitudine dell’ala destra (’98). tempo di secondo grado, già codificato dai che la pervade, non avremmo la Storia del calcio in Italia (’54, quarta e ultima edizione ’90) a firma di un autore che gli è avverso, Antonio Ghirelli, o la monografia monumentale del suo adepto Mario Pennacchia, Il calcio in Italia (’99) né forse avremmo visto scrivere di sport ieri Giovanni Arpino su “La Stampa” e Luciano Bianciardi in una quantità di sedi defilate, come oggi Gian Paolo Ormezzano (ancora su “La Stampa”) o Gianni Mura su “la Repubblica”.

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Differente è il caso di un narratore inglese che vive da anni a Verona, Tim Parks, ed ha fornito addirittura il ritratto dell’artista da tifoso (dell’Hellas, nella fattispecie) in Questa pazza fede. L’Italia raccontata attraverso il calcio (’02), un testo straordinariamente interessante, o anzi sintomatico, dove si combinano lo straniamento tipico dell’immigrato (sia pure un immigrato atipico nella sua caratura intellettuale) con la intimità che invece è propria dell’uomo devoto ad una religione decaduta e totalmente secolarizzata. Qui lo scrittore retrocede dalla sua condizione di privilegiato al coro anonimo della evasione domenicale, laddove non si sente più un “io” ma appena la frazione di un “noi” dentro la turbolenza fusionale del tifo. Scrive Parks nel suo diario da ultra scritto

durante un qualsiasi campionato di fine secolo: “Ogni volta che si incontrano per una trasferta, il primo canto è questo. Questo è il momento in cui cessano di essere persone distinte che se ne vanno in giro a coppie e terzetti, e diventano le Brigate. In ogni posto che noi andiamo / la gente vuol sapere: chi noi siamo? È una dichiarazione di identità, un’adunata in Hellas, nella patria. Io ne sono un po’ escluso. Non capiranno mai perché mi trovo qui. Io di sicuro non lo capisco”. Non si potrebbe averlo detto in termini più chiari: è l’immagine dello scrittore nella sua postura ideale e cioè nella caduta primordiale all’interno della propria materia, nel necessario smarrimento di chi sta inoltrandosi in un mondo non ancora esplorato.

Massimo Raffaeli Massimo Raffaeli scrive su “il manifesto”, “La Stampa” e i relativi supplementi letterari, “Alias” e “Tuttolibri”. Collabora a numerose riviste (“Nuovi Argomenti”, “Il Caffè illustrato”, Lo Straniero”) e ai programmi di Radio3 Rai. Ha curato opere di autori italiani contemporanei e ha tradotto a lungo dal francese. La sua produzione è raccolta in una decina di volumi, fra cui Novecento italiano (Luca Sossella editore 2001), Don Chisciotte e le macchine. Scritti su Paolo Volponi (peQuod 2007) e Bande à part. Scritti per “Alias” (Gaffi editore 2011).

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SIETE PROPRIO UNA BELLA FAMIGLIA!

Anticipazione

Un amore inatteso tra le nubi di un futuro da decidere

di Giulia Ottaviano

Pubblichiamo, in esclusiva per i lettori di PreTesti, un brano del libro L’amore quando tutto crolla (Rizzoli), in libreria e in ebook dal 17 luglio.


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aveva lasciato che la domestica e il resto del ll’interno di casa De Gasperis le personale mettessero in pratica le sue diretpiantane e i lampadari inondative mentre lei si faceva sistemare capelli e vano di un chiarore caldo e acmani dal parrucchiere. Nel tardo pomerigcogliente la sala da pranzo. Nel gio, si prendeva sempre un’ora o due per buio della strada le finestre punteggiavano controllare che tutto fosse stato eseguito a di luce il palazzo di pietra scura, come orecmodo suo. chini preziosi. Fece un giro per la stanza, a vuoto. Lucy camminava con leggerezza sugli antiEra alla ricerca del particolare da riordinare, chi tappeti che ricoprivano quasi l’intera suspostare, cambiare. Voleva sempre aggiunperficie delle stanze. Saltellava a piedi scalgere un po’ del suo “tocco”, ma tutto era già zi da un angolo all’altro, vestita di un abito a posto. Anziché compiacersene provò un sottile lungo fino alle caviglie d’un colore senso di delusione. tenue che la faceva sembrare una naiade. Si sedette a tavola e respirò a fondo. Spostava di pochi millimetri la composizio«I segnaposti» disse. ne di fiori al centro della tavola, ordinava a Ninin la raggiunse poco dopo imbracciando Ninin di cambiare l’acqua – che si era vaun vassoietto d’argento. Sopra erano sistegamente ingiallita – nei due vasi di rose simati dodici piccoli cilindri di ceramica, un stemati all’ingresso. Armata d’un fazzoletto blocco di cartoncini, di seta bianco tenuto una penna stilografica, stretto in un pugno, Era alla ricerca del un foglio bianco e una si avvicinava a piatti, particolare da riordinare, tavoletta di pelle nera. bicchieri, posate, arLucy appuntò la lista genteria e all’occorrenspostare, cambiare. degli invitati a cena za inumidiva con la Voleva sempre sul foglio. Poi disegnò punta della lingua un aggiungere un po’ del approssimativamenangolino di stoffa. E lusuo “tocco”, ma tutto era te il tavolo e le sedie cidava. Aveva annodagià a posto. e cominciò a segnare to lei stessa il fiocco ai i nomi a ridosso dello grembiuli delle quatscarabocchio. Negli anni precedenti s’era ditro cameriere, e con più discrezione aveva vertita a creare combinazioni inedite, ad avchiesto a Ninin di assicurarsi che ognuna di vicinare nemici e ad allontanare innamorati, loro si fosse ben pettinata e profumata. ma questa volta si era decisa per una dispo«Che ore sono?» chiedeva a voce alta ogni sizione classica, patriarcale: Paolo a capotapochi minuti. Era ansiosa. vola, lei ed Eugenia ai suoi lati. Le coppie Una delle cameriere – la più minuta, quasi si sarebbero sedute una di fronte all’altra e una bimba – rispose che erano appena pasPrimo, uno dei collaboratori di suo marito e sate le otto. il più stretto fra gli amici di famiglia, avrebPer un momento Lucy sembrò tranquillizbe avuto diritto all’altro posto d’onore. zarsi. Come sempre aveva concentrato le “Così sarà perfetto” pensò. commissioni più gravose in mattinata, poi

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Ninin ricomparve alle sue spalle. «Posso, signora?» domandò. Lucy fece cenno di sì con la testa, la domestica prese il foglio e lo ripose sul vassoietto, tornò nell’anticamera della cucina e lì, con la sua grafia migliore (che la padrona di casa spacciava per sua) cominciò a ricopiare i nomi sui cartoncini. Poi li distribuì sulla tavoletta di pelle nera, che riportò a Lucy per l’ultimo controllo. Lei si alzò in piedi. Ninin nel frattempo dispose i segnaposti accanto ai piattini del pane. La signora la seguiva man mano, inserendo i cartoncini nei cilindri. All’improvvi-

«Bene bene, allora!» commentò sbrigativa, e sorrise, i denti più bianchi della lunga collana di perle che le scendeva fino all’altezza dell’ombelico. Lo chef e il suo secondo ricambiarono. Tutto era sotto controllo. Allontanandosi aggiunse: «Mi raccomando, il maialino lo porti a tavola intero». Ogni anno la stessa raccomandazione. Ogni anno la stessa orribile battuta di Paolo all’amico Primo togliendo la mela dalla bocca del porco: «Non permetterò che ti mettano a tacere!». Percorse il lungo corridoio come fosse in

Ogni anno la stessa raccomandazione. Ogni anno la stessa orribile battuta di Paolo all’amico Primo togliendo la mela dalla bocca del porco: «Non permetterò che ti mettano a tacere!». so si sentì del fracasso provenire dalla cucina. Qualcosa, schiantandosi sul pavimento, aveva prodotto un suono orribile e inaspettato, di disfatta, che aveva fatto piagnucolare una cameriera. «Continua tu, per favore» ordinò la signora. Si sentì il cuoco, proprietario di un noto ristorante di via Solferino, reclutato per il compleanno di Paolo da ormai quindici anni (ogni anno lo stesso menu), che rimproverava il sous-chef. «C’è qualche problema?» Lucy apparve sulla soglia della cucina. Poggiò un braccio allo stipite della porta e incrociò una gamba davanti all’altra mostrando la caviglia sottile e il piede magro. «Si figuri» rispose lo chef mostrandole la pirofila appena raccolta da terra. “Fortunatamente vuota” diceva con quel gesto. 18

passerella, con le spalle drittissime e la camminata nervosa. Al suo passaggio raddrizzò con impazienza i quadri e accese i faretti che puntavano sulle tele e sulle nicchie delle statue giapponesi (un’infatuazione passeggera di qualche tempo prima). Poi entrò nella camera di Eugenia. Era molto in disordine rispetto al solito. Dei vestiti ammassati sul letto fece un mucchio che gettò pigramente nella cesta della biancheria sporca. Allineò i libri accatastati sul comodino e sulla scrivania, richiuse e raccolse quelli che sua figlia aveva lasciato aperti sul parquet. Tartarughe di terra dalla pancia bianca. Li impilò in un angolo. Ma da quand’è che leggeva tutti questi libri? Sistemò le lenzuola stropicciate lisciandole con le mani. Andò via sbuffando, infastidita. «Ninin» gridò, «ricordati di dare una

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spolverata agli alcolici nella vetrinetta… Mio marito offrirà di sicuro qualche whiskey.» «Già fatto, signora» replicò lei. Giorni prima, nella confusione, si erano rotte un paio di bottiglie. La domestica aveva impiegato ore a pulire. I ripiani in legno cosparsi di liquore erano una rogna da smacchiare. «E domani non sistemare la camera di Eugenia» continuò, «è ora che si dia una regolata.» Lucy andò nella stanza guardaroba. “Paolo vorrà mettere il farfallino” pensò allora. Era una delle abitudini del marito, col tempo diventate rigide come tradizioni: il papillon e il maialino arrosto per il compleanno, un sigaro a capodanno, la rasatura della barba la sera, la prima uscita in barca il primo maggio, la corsa al parco la domenica. Prese il papillon blu intenso da uno dei cassetti di cravatte, e lo mise da parte poggiandolo sullo schienale di una poltrona, come un pesciolino appena pescato. Poi aprì uno dei propri armadi, guardò i profili degli abiti, ne accarezzò alcuni. Quel guardaroba valeva una fortuna; era il suo tesoro, e non solo in termini monetari: ognuno di quegli abiti le ricordava una sfilata, un evento, una cena. Bastavano una stampa o un tessuto per farle tornare alla mente un’intera estate a Positano. Lucy non si cambiò, a Paolo lei piaceva elegante ma naturale, soprattutto per le serate in casa. Da giovane si arrabbiava persino, quando lei si truccava troppo. La sua bellezza, diceva, era e doveva rimanere pura. Da parecchi anni però camuffava occhiaie e rughe con un velo di fondotinta. Quella sera avrebbe completato il look con un paio di

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ballerine color crema – le avrebbe indossate al volo, al primo trillo di citofono – e una stola abbinata all’abito per coprirle le spalle e incorniciarle il volto. Tornò in camera di Eugenia trascinando un vestito incellofanato lungo il corridoio. Teneva la gruccia con la mano destra e il braccio sollevato sulla testa perché l’abito non toccasse a terra. Così il suo corpo era coperto per intero dalla sagoma del vestito, che sembrava camminare da solo per la casa, come un fantasma. Lo distese con cura sul letto, lo spacchettò e poi lo girò. Aprì la cerniera che scorreva lungo la schiena. Era uno Chanel delicatissimo, ricamato a mano, le paillettes nere e bianche cucite una a una e dei minuscoli pesi inseriti dentro l’orlo inferiore per farlo cadere bene sul corpo. Eugenia insisteva sempre perché glielo prestasse ma Lucy, fino a quel giorno, glielo aveva sempre negato. “Speriamo che nessuno arrivi in anticipo” rifletté. “È a Paolo che piace fare gli onori di casa.” «Che ore sono?» gridò ancora una volta. Ninin si affrettò lungo il corridoio. «Nove meno venti» disse, e ritornò con piccoli passi veloci nell’altra ala della casa. Sul tavolino di marmo, in salotto, il telefonino di Lucy continuava a vibrare. Su quello stesso tavolino c’era una foto incorniciata che ritraeva la famiglia De Gasperis al completo. Paolo, Lucy e la piccola Eugenia vestiti di bianco sulla prua della loro barca a vela. Era un’immagine magnetica, che incuriosiva sempre gli ospiti che mettevano piede in casa loro e obbligava ad avvicinarsi per osservare i particolari, cercando invano un difetto nei soggetti o nel paesaggio circostante.

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Costringeva tutti a esclamare (ospite dopo ospite, come un mantra, e con un velo d’invidia): «Siete proprio una bella famiglia!». Il citofono trillò. «Aprite!» strillò Lucy, e corse in bagno a pettinarsi i capelli, a legarli stretti, in alto sulla testa. Usava ancora una vecchia spazzola che vent’anni prima aveva regalato a sua madre e sul cui dorso di tartaruga aveva fatto applicare una l d’oro (la l di Lina). Eugenia la prendeva sempre in giro, le diceva che sembrava una spazzola per lucidare le scarpe, con le setole bianche fitte come i denti delle balene. «È un ricordo di tua nonna, magari quando non ci sarò più io comincerai a usarla tu» le aveva detto una volta. «Ma va’» aveva scherzato Eugenia. «Ti ci seppellisco insieme.» Lucy non se l’era presa. Un giorno sua figlia sarebbe cambiata. Fece scivolare i piedi dentro le ballerine di pelle morbida e andò alla porta. «Chi è?» chiese piano alla domestica. Ninin indietreggiò di qualche passo e non fece in

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tempo a rispondere. «Sono io, mamma! Apri!» Eugenia alzò la voce da dietro la porta. «Eugi, ti ho messo da parte lo Chanel» disse aprendo. *** «Hai visto il servizio su papà?» «Cosa?» gridò Eugenia mentre si passava abbondante fard sulle guance alla cieca, senza guardarsi allo specchio. Aveva imparato dalla madre alcuni facili accorgimenti sufficienti a farla sembrare sempre in ordine e mai sciatta. Un tipo di eredità matrilineare che in certi casi condanna le figlie a diventare la copia carbone del proprio genitore già verso i quattordici anni, in altre circostanze educa o diseduca al gusto in modo indelebile. Buono o cattivo che sia l’insegnamento impartito. «Papà-a!» ripeté Lucy, «al telegiornale-e!» «Ma che me ne frega, mamma!» strillò. «Sono in ritardissimo.» Svuotò la borsa della sera prima per terra e la riempì di nuovo con portafoglio, mascara, telefonino, moleskine rossa e un golfino beige di cotone leggero appallottolato. Lucy rimase seduta in poltrona, impassibile, le gambe incrociate come un guru indiano e l’accappatoio a coprirle il corpo ancora umido. Mentre il televisore trasmetteva le previsioni meteo, fra sé e sé pensò che avrebbe dovuto ricordare al marito di mettersi un po’ di cipria opacizzante prima di farsi riprendere. La fronte era lucida. In video non era il massimo. Eugenia passò in cucina, diede l’ultimo morso a un toast con la sottiletta mentre una spallina della canottiera di seta (rubata alla

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madre) le scivolava sull’incavo del gomito. Quindi uscì di casa senza salutare nessuno. Era mezzogiorno e mezzo, a quell’ora sarebbe già dovuta essere in università. Scese a piedi lungo le scale in legno della palazzina, ricoperte da un tappeto rosso. Subito fu in strada. L’aria era umida, il cielo velato, di un celeste pallido che pure l’accecava. Era come se il colore sbiadito occultasse una forza nascosta, che in certi giorni di primavera si manifestava in violenti tramonti arancioni e in altri si consumava in temporali. C’era troppo caldo, troppa afa, troppo traffico. Tutto in quel momento le dava fastidio. Aveva mal di testa, il toast le aveva lasciato in bocca uno strano sapore di detersivo. Aveva voglia di dare un calcio a un cassonetto dell’immondizia. Attraversò l’incrocio fra via Carducci e San Vittore immersa in una nube bollente di smog che la fece sentire subito sporca. Le automobili correvano sull’asfalto. Il suo autobus invece era fermo al semaforo. Affrettò il passo ma non si mise a correre. Prenderlo o meno ormai non faceva alcuna differenza. Il conducente la vide dallo specchietto, lasciò la porta posteriore aperta e lei entrò. «Grazie!» gridò. La sua voce si perse tra la gente e la plastica gialla e grigia. Non raggiunse il guidatore. Si fece largo alla ricerca di un palo cui aggrapparsi, ma senza risultato. Si appese a fatica a un maniglione (era ancora tiepido di mani estranee, e scomodo per lei che non superava il metro e sessanta) dal quale pendeva un cartoncino che pubblicizzava un centro estetico. Dentro il bus si avvertiva una puzza insostenibile di sudore, di ver21

dure, di cane, di vecchio. La puzza di umanità, la chiamava lei. Guardò l’orologio. Pensò che sarebbe dovuta rimanere a casa a smaltire la sbornia della sera prima, che tanto in quella situazione non sarebbe riuscita a seguire una parola della lezione. Eppure quella mattina non aveva voluto cedere alla tentazione di restarsene a letto, perché da qualche giorno aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, nel modo in cui solo le ragazze della sua età possono immaginare di farlo. Aveva una promessa con se stessa da mantenere. Eppure ogni giorno non la rispettava. La storia era sempre quella: suonava la sveglia, la spegneva e poi rimaneva a letto per almeno un’altra ora rigirandosi fra le lenzuola, abbracciando il cuscino, riflettendo su quanto fosse idiota da parte sua temporeggiare così a lungo e sentendosi quasi costretta a rimanere sdraiata, oppressa dalla penombra della stanza come da un’influenza. La sua promessa ne includeva altre di diverse gradazioni, colori, difficoltà. Svegliarsi prima, studiare, laurearsi entro l’anno, smetterla di uscire tutte le sere; niente di troppo complicato, niente che, dopo il

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quotidiano fallimento, Eugenia non riuscisse a giustificare con la scusa del “devo solo abituarmi ai nuovi ritmi”. Ma alla base del suo piano c’era un desiderio che fino in fondo non riusciva a verbalizzare, a ricordare. Consisteva forse nel rispettare i buoni propositi, o era qualcosa di più? Bastavano quelli per cambiare? Non era neanche sicura di sapere perché sarebbe dovuta cambiare. Qual era la direzione da seguire? Certe volte avrebbe voluto che i suoi genitori fossero stati rigidi ed esigenti, di quelli che al mattino entrano in camera con una tazzina di caffè e aspettano sulla soglia finché il figlio non si alza dal letto. Le sarebbe piaciuto avere dei paletti. Essere una di quelle piante a cui viene messo il fil di ferro per stare dritte, per evitare che crescano in tutte le direzioni. Ridurre le possibilità a sua disposizione, almeno alle dieci dita delle mani; ma Paolo e Lucy erano il genere di genitori che ripongono la loro fiducia nel futuro che hanno predisposto e assicurato ai figli, più che nei figli stessi. La sua strada, Eugenia l’avrebbe trovata con calma. Il futuro poteva aspettarla, e sopportare i suoi capricci come un tranquillo fidanzato. Ti devi ricordare di chiedere a Ninin di svegliarti tutte le mattine. Scese dall’autobus in via Santa Sofia e si avviò a piedi verso la Statale. Arrivata in università, nonostante l’orario, volle raggiungere comunque l’aula dove si teneva il corso delle dodici e trenta. Non parlava con nessuno durante le lezioni e il suo umore nel vedere i compagni di diciannove, vent’anni oscillava a seconda dei giorni tra un sentimento di disagio, sconfitta e uno opposto, altezzoso e irrazionalmente simile al disprezzo. Passò per il chiostro, pie-

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no. Dozzine di ragazzi e ragazze. Clarks, golfini, camicie. Qualche fighetta di giurisprudenza con i tacchi. Molti leggings e shorts. Jeans troppo bassi sul sedere. Frangette. Qualcuno stava sdraiato sul prato, altri in piedi, molti seduti sulla panca di pietra che percorreva tutto il perimetro del chiostro. Tutti o quasi fumavano, oppure con tabacco e cartine si stavano fabbricando una sigaretta. Eugenia non salutò nessuno e nessuno salutò lei perché lì, in quell’ambiente eterogeneo pieno di figli dell’hinterland e del Sud Italia più che di Milano, aveva pochi amici. Aprì piano uno dei battenti dell’aula 112. All’interno tutti i posti erano occupati. Ai lati erano parecchie le persone sedute per terra, con quaderni e laptop sulle ginocchia incrociate. La folla era immersa in un’aria nauseabonda, da palestra. Richiuse la porta. Nel giardino centrale alcuni operai cominciavano a montare le installazioni del Fuorisalone. Quando arrivò in biblioteca cercò posto in fondo alla sala. L’ultimo tavolo a destra era il migliore, il suo preferito, perché da lì poteva osservare tutti. Alle sue spalle solo libri, codici giuridici, vocabolari, manuali. Si andò a sedere in un angolo, vicino a una delle portefinestre che si affacciavano su via Festa del Perdono, attraverso le quali s’intrufolavano le chiacchiere degli studenti fuori, come polvere dalle persiane socchiuse al mattino. Spalancò la borsa e si accorse di non aver altro che un’agendina per gli appunti, una penna e il mascara. Nessun libro su cui studiare. «Ma minchia!» le scappò a voce alta. Incrociò le braccia sul banco e ci infilò dentro la testa. Il tavolo di laminato grigiastro era freddo e a contatto con la pelle le fece venire i brividi.

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Senza speranza. Era demoralizzata, più del dovuto a causa dell’alcol che ancora le circolava in corpo. Tirò su la testa e fece per alzarsi. Il ragazzo seduto di fronte a lei, una maglietta bianca sdrucita e gli Essais di Montaigne tra le mani, la stava fissando. «Alles gut?» le chiese. Eugenia fece una smorfia e si avvicinò col busto verso di lui. «Cosa scusa?»

«Volevo dire…» sorrise, «tutto bene?» «Ché, non si vede?» Recuperò le sue cose, imbracciò la borsa a tracolla come un fucile. «Ciao» disse, e si diresse verso l’uscita. Attraverso i portici del Filarete rimbombava l’oscena canzoncina del “dottore, dottore del buco del culo”. Un neolaureato si preparava al rito, era pronto a saltare la siepe del giardino centrale.

Giulia Ottaviano Giulia Ottaviano è nata nel 1987 a Cittadella, in provincia di Padova, ed è cresciuta fra Roma, Catania e Milano. A Londra, ha lavorato in un call center e in un’agenzia letteraria. Poi si è trasferita a Torino per frequentare la scuola Holden, nel 2009 è stata selezionata per le Prove d’Autore di Esor-dire e ha partecipato a Documentary in Europe con un lavoro sugli uomini nel nuoto sincronizzato. Infine è tornata a Milano, dove vive (ancora per poco?) e studia Lettere all’Università Statale. L’amore quando tutto crolla, in uscita il 17 luglio 2012, è il suo primo romanzo.

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Racconto

DOVE FINISCONO I VIAGGI di Eraldo Affinati

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alla vetrata centrale l’acqua sembra di plastica. L’isolotto è congiunto alla riva dal ponte di ferro. Il lavoro che ho scelto consiste nell’assistere gli ospiti di questa casa. Imboccarli e farli parlare. Per quanto non siano poi così anziani, sembrano decrepiti.

della potenza. Alcuni, semincoscienti sulle sdraie, conservano come reliquie i fazzoletti che, a vent’anni, s’annodavano intorno al braccio o sopra il ginocchio. Altri lasciano penzolare dal cinturone il pugnale di un antico duello. Le donne hanno la vernice sugli occhi impastati.

“Questo è per il tuo cuore fatto a pezzi da chi ti ha tradito. E questo per l’uomo, o la donna, che, grazie a te, si è salvato. Racconta, racconta; dopo, vedrai, starai meglio.” All’inizio provavo disgusto. Ora non più. Sono tristi e rabbiosi: antichi avventurieri, regine dei castelli, capitani dell’infinito. Li comprendo: non è facile accettare la fine

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Divaricano le labbra rinsecchite, uccelli da rapina. Fagocitano il cibo, lo sguardo di stagno torbido. Ai lati della bocca, si forma la schiuma dei liquidi che ingurgitano.

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Bollicine leggere scoppiano secondo imprevedibili scansioni di tempo. Coi fazzolettini profumati assorbo i residui sul mento. Poi li esorto a raccontare. “Su, bello, fatti forza. Sputa l’osso. Non tenere tutto dentro.” Ad ogni frammento di memoria, li ricompenso con uno zuccherino: “Questo è per l’amore che hai dato e che hai ricevuto; te lo ricordi, oppure te lo sei dimenticato? Questo è per il tuo cuore fatto a pezzi da chi ti ha tradito. E questo per l’uomo, o la donna, che, grazie a te, si è salvato. Racconta, racconta; dopo, vedrai, starai meglio.” I vecchi protagonisti mi seguono. Hanno capito che, se non riusciranno a tirarle fuori, tutte le avventure che hanno vissuto moriranno con loro. A questo serve raccontare: spartire il peso del passato. Ma qui cominciano i problemi perché il linguaggio è una gabbia che imprigiona, oppure una falsa pista, se non addirittura un sogno. E allora come bisogna fare per trovare il senso della propria vita? Si prepara una tempesta di giunchi spezzati, canne rotte, risate isteriche. Molti si alzano in piedi e zoppicando si mettono al riparo. Le gesta del passato

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pesano sulle spalle di questi degenti come macigni, sagome di legno che mai avrebbero pensato di dover trasportare in cima alla fossa. Chissà, forse credevano che le azioni trascorse si fossero sganciate da chi le aveva compiute, come se potessero conquistare una vita propria. Non sospettavano che tutto sarebbe tornato indietro trasfigurato ma sempre riconoscibile. È dunque questa la solitudine di Achille? Lo smarrimento di Orlando? La tristezza di Ofelia? Da dietro sfila una processione storta di gobbe, teste rincalcate, fianchi in torsione. Salutano i bastimenti che attraversano la foce. Fanno pernacchie. Improvvisano antichi balletti. Qualcuno, bisbigliando, grida furori. Da giovani erano pronti a cambiare il mondo, adesso hanno rinunciato a modificare perfino se stessi. La baia che abbiamo di fronte è un gran tumulto pieno d’eloquenza. Un tempo non l’avrebbero degnata di uno sguardo, impegnati ad affrontare il deserto, a farsi largo nella vegetazione o, più semplicemente, a timbrare il cartellino. Oggi fissano la spiaggia con occhi attenti: incredibili volatili spilluccano fra alghe, sassi, scogli.

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Domattina presto vedremo comparire gli Quello che una volta non degnavano nepelicotteri in direzione dello Stretto. Le lapure di uno sguardo, suscita adesso un’atstre della scogliera si copriranno di ruggine. tenzione spasmodica. Un modo per dirci che il tempo avanzerà Ci vuole proprio una bella faccia tosta per comunque, anche quando non ci saremo fare questo mestiere: spazzino delle scompiù. Altri scivoleranno negli stessi punti in messe perdute, guardiano delle esperienze cui siamo caduti noi, senza che potremo avmutilate, custode della memoria infranta. vertirli del pericolo. Eppure sin da bambino sentivo che sarebbe Gli ospiti tornano in casa, nella processiofinita così. Ero troppo concentrato su dettane tremante dei baffi bianchi e delle parrucgli che la maggior parte delle persone trache male infilate, marionette poste di sbieco scurava. A otto anni creavo personaggi imsulla giostra meccanica. Li sorreggo, affretmaginari dentro di me, ai quali assegnavo tandone il cammino, prima che piova. Uno compiti da svolgere, emozioni da provare, esclama: “Salve!”. L’altro risponde: “Buonguerre da combattere, paci da accettare. Se giorno!”. In queste brevi espressioni di qualcuno me lo avesse chiesto, sarei stato formale cordialità si condensa tutta la loro pronto a partire verso le comete che avevo storia. E pensare che, intravisto negli occhi nella maggioranza della ragazza di cui mi Ci vuole proprio una dei casi, furono intraero innamorato. bella faccia tosta per prendenti, coraggiosi, “Su, cerca di farti venifare questo mestiere: in certi momenti adre in mente qualcosa: spazzino delle dirittura eroici. Gente a forza di masticarli, scommesse perdute, capace di superare gli nemmeno fossero taostacoli senza pensarci bacco, gli incontri che guardiano delle due volte. Politici. Alhai avuto sono scomesperienze mutilate, pinisti. Marinai. Esploparsi dentro di te come custode della memoria ratori. Artisti. Perfino acqua sporca nella infranta qualche astronauta. spugna. Per ritrovarli, Osservandoli, imdevi scrostare il fonparo altre nozioni. Le loro gengive hando.” E lui, o lei, si piega in due, la testa basno pareti sottili, usate. Le faringi assomisa, la bocca asciutta. Un colpo di tosse. Un gliano a imbuti da sostituire. Si afferrano respiro trattenuto. Poi, per l’ennesima volta, a me raschiandosi la gola alla ricerca di ritenta. La memoria assomiglia a una pattuqualche pepita d’oro ancora non dissolmiera senza raccolta differenziata. ta: la scalata del Monte Bianco, l’attraDa un momento all’altro la riva sarà invaversamento del Mar Rosso, la scoperta sa dal vapore. Il bosco, alle nostre spalle, dell’Amazzonia. Frugano dove non dovrebdiventerà un orso intirizzito. bero. Se lasciassero stare l’atlante e cercasDalla capitaneria partiranno i primi soccorsero in certi quaderni pieni di scarabocchi, si per i turisti che non hanno fatto in tempo forse scoprirebbero che le vere imprese le a rientrare.

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Vogliono sapere tutto: cosa mangeranno stacompirono senza rendersene conto: quando sera, quali programmi vedranno alla televibloccarono per caso un passante al semafosione, a che ora è previsto il teatro. Puntiro prima che il camion lo travolgesse; tutti gliosi, controllano il programma quotidiano i sorrisi dedicati ogni mattina al garagista attaccato all’ingresso, pronti a denunciare lo egiziano; le infinite operazioni semplici di scarto fra le attività ancui nemmeno ci accornunciate e quelle effettigiamo, concentrati su vamente svolte. quelle complicate. FuoPrima di cucinare, vado ri esplode il tuono. Il nella sala comune ad cielo si fa nero. La piogaiutare i due o tre che gia comincia a spazzare stanno male. Inserisco il giardino. Si spera che le cannule negli orifizi, sia un falso annuncio preparo l’enteroclisma, dell’inverno. Gli ospiti controllo la temperadella struttura sono metura di chi ha la febbre. tereopatici. A ottobre Conosco il mansionaentrano in letargo, con Voglio vedere dove rio. Eventualmente teleil rischio di non uscire finiscono i viaggi. fono al medico. Se, per più dalla tana, nemmeMi piacerebbe gettare qualche ragione, fossi no a giugno. un’occhiata in quella costretto ad assentarmi, Per quanto mi riguarstazioncina ai margini sarebbe una catastrofe. da, m’adopero affinché ogni cosa proceda della foresta che, prima o S’arrampicano intorno, poi, accoglierà tutti noi. impazienti, presuntuonei modi opportuni. si. Succhiano l’estrema Di buon’ora esco in augoccia di vitalità che gli tomobile a comprare i è rimasta con applicazione sincera, rigore cibi nel centro commerciale poco distante cocciuto. Mi fanno pensare alla coda spezdall’ospizio. Cerco fra i banchi gli alimenzata della lucertola, ancora in movimento. ti che ritengo adatti. Niente roba dura da Di notte, mentre russano, avverto il ronzio masticare. Brodi, piuttosto; sciroppi, pane quasi impercettibile del motore umano lasoffice, torte leggere, frullati, minestroni. Le sciato acceso in un risvolto della coscienza commesse alla cassa ormai mi riconoscono miracolosamente ancora intatto e, devo ame cercano di confortare le mie scelte. Alcune metterlo, mi commuovo. hanno deciso di affidarmi perfino i genitori. Perché li custodisco? Al ritorno, sull’autostrada dalle strisce gialVoglio vedere dove finiscono i viaggi. le spezzettate, sotto il cielo di piombo, penso Mi piacerebbe gettare un’occhiata in quelai vecchi in attesa. Sentono che sono tornato. la stazioncina ai margini della foresta che, Rumoreggiando, s’avvicinano. “Buoni, staprima o poi, accoglierà tutti noi. Il bigliettate buoni!”, esclamo ad alta voce mentre poso io se n’è andato via, chissà quando. Le porle provviste sul bancone. Non obbediscote cigolano. Sulle panchine ci sono fogli di no. M’assediano come bufali alla sorgente. 27

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giornale appallottolati e barattoli di birra vuoti. All’interno delle sue pareti spoglie, scalcinate, il fuoco della vita distrugge l’ultima cera. Gli occhi dei leoni, di là dal fogliame, scintillano come stelle frantumate. Le belve attendono l’ultimo respiro dei passeggeri in transito prima di saltargli addosso. Nelle ore trascorse sui sedili di legno, ognuno inganna l’attesa a suo modo. Per me la lucidità che progressivamente viene meno, i gesti sempre più lenti, le macchie scure sul dorso delle mani, lo screpolarsi delle gote, la falsa brillantezza dell’iride, la ripetizione, a distanza ravvicinata, di una stessa frase, di uno stesso concetto, tutto ciò possiede in sé qualcosa di leggendario. È l’unico possibile addio che la natura

rappresenta: una staffetta interminabile di buone volontà al lavoro. Bambino che nasce. Vecchio che muore. Batte così il cuore del mondo. Una teoria di molteplici tremori, la sospensione infruttuosa dei discorsi, i piedi che rigano il brecciolino e poi, magari, d’improvviso, la sentenza, un proverbio, le massime, il delirio: questo è prezioso. A causa di qualche ragione che stento a decifrare, i miei amici mi vogliono bene. Forse si sono affezionati. Giro dall’uno all’altro con lo strofinaccio bagnato per asciugare le loro ultime stille d’energia. Finché qualcuno alza la mano e chiede il permesso di andarsene. Come se io avessi il potere di concederglielo!

Eraldo Affinati Eraldo Affinati, nato a Roma nel 1956, è docente di lettere alla Città dei Ragazzi, una comunità educativa alle porte della capitale. Ha esordito nel 1992 con un libro su Tolstoj: Veglia d’armi. Fra le altre sue opere, pubblicate da Mondadori, ricordiamo: Bandiera bianca (1995); Campo del sangue (1997); Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (2002) e La città dei ragazzi (2008), nel quale l’esperienza d’insegnante lo chiama a riflettere sul tema della paternità. Ha curato l’edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano (Mondadori, 2003). Insieme alla moglie, Anna Luce Lenzi, ha scritto Italiani anche noi (Il Margine 2011), un corso di italiano per stranieri. Il suo ultimo libro s’intitola: L’11 settembre di Eddy il ribelle (Gallucci 2011). I suoi libri Berlin (Rizzoli 2009), Un teologo contro Hitler, Peregrin d’amore (Mondadori 2012) e L’11 settembre di Eddy il ribelle sono disponibili in ebook da Cubolibri. Disponibile su www. cubolibri.it

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Il mondo dell’ebook

L’EBOOK UN PO’ SPORCACCIONE DELLA MAMMA Il romanzo erotico Cinquanta sfumature di Grigio è divenuto in pochi mesi fenomeno mediatico, argomento di discussione sotto l’ombrellone e tra le lenzuola, ma soprattutto brillante esempio di digital marketing applicato agli eBook

di Roberto Dessì

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Piccolo particolare, il plot è erotico, tendenono sufficienti Cinquanta sfumature te al porno, e con ampio ricorso a bondage di Grigio, ben più delle canoniche e sadomaso. Dopo qualche tempo, la James sedici dello schermo di un eReader, apre un proprio sito, e completa la propria per scompaginare il mondo dell’eopera suddividendola in tre romanzi. Difditoria? Se avete aperto un giornale o fatficile trovare un editore pronto a pubblito un giro in Rete negli ultimi mesi, sapete care un simile manoscritto. Ma di questi già la risposta. E.L. James è lo pseudonimo tempi, il problema è agilmente risolvibile dietro al quale si è nascosta - per poco, a auto pubblicandolo in formato eBook, afdirla tutta - la britannica Erika Leonard, fiancato alla stampa on demand per chi non scrittrice per diletto con un passato nel diepuò fare a meno dell’odore di carta. Moratro le quinte del mondo televisivo; con la le della favola: Fifty sua trilogia declinata, Shades of Grey venoltre che in grigio, in de qualcosa come nero e in rosso, ha fat30 milioni di copie, to jackpot e creato un 20 nei soli Stati Unicaso, non soltanto letti equamente distriterario. Per criticare od buiti tra cartaceo ed osannare la sua controeBook, polverizzanversa opera si sono scodo i record di Stieg modati critici letterari, Larsson e Stephenie psichiatri, sociologi, Meyer, è sulla bocfemministe e quanto di ca e sulle scrivanie meglio le scienze sociali Erika Leonard alias E.L. James di tutti, copre d’oro potessero offrire. Tutto la Leonard, e indociò per un mommy porn, Il dorso grigio di un vinate? Se ne farà etichetta dietro la quale eReader è più discreto e un film. O forse tre. viene spregiativamenfedele di un confessore, Inutile entrare nel te relegato un romanzo merito della qualità che galleggia tra l’Hare permette di leggere letteraria del romanmony e il porno spinto. qualsiasi cosa, senza zo, unanimemente Sintetizziamo in poche sentirsi giudicati o derisi ritenuta molto moderighe, per chi ha supesta ma non peggiore rato indenne cotanto di altri best seller che hanno fatto spellare polverone mediatico: un’appassionata delle mani a pubblico e critica; ciò che salta sula saga Twilight celata dietro al nickname bito all’occhio di un appassionato di editoSnowqueens Icedragon pubblica su un forum ria digitale è il fenomeno editoriale che ha di appassionati le puntate di una fan ficretto e regge questa trilogia. Ma trattandosi tion (sorta di trama alternativa basata su di un’opera in tre atti, anche i fenomeni in romanzi o film di successo) incentrata sui questione dovranno giocoforza essere tre. personaggi di Bella ed Edward.

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Cinquanta sfumature di nascosto: quando ancora la parola rete veniva associata esclusivamente a una porta da calcio, o ad un pescatore intento fare il proprio mestiere, ciò che non doveva essere visto dalla mamma, dall’insegnante o dal capo veniva abilmente occultato tra le pagine di una rivista o di un libro. Un bimbo con in mano Delitto e castigo? Guardando meglio forse Raskol’nikov mangiava in qualche bettola di San Pietroburgo gomito a gomito con Mickey Mouse. Due ragazzi studiavano dal Pazzaglia con attenzione e larghi sorrisi? Strano, più pro-

Disponibile su

www. cubolibri.it

Ciò che in Cinquanta sfumature di Grigio costituisce il vero elemento di novità è la genesi interamente digitale dell’hype, costruita oltre che sui libri elettronici, sul passaparola sui social network

babilmente la narrazione tanto coinvolgente era un passo dell’opera omnia di Hugh Hefner. Escamotage per molti ma non per tutti. Insomma, anche superando la prova occultamento, come superare quella del pudore, recandosi con disinvoltura dall’edicolante ad acquistare una copia di “Playboy”, o passando senza rossori cutanei tra le forche caudine di una cassa con in mano un titolo come Il profumo del desiderio? La risposta è arrivata quando la parola rete ha preso a evocare nell’immaginario collettivo un pc piuttosto che un peschereccio (la porta di calcio rimane ben radicata, so-

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prattutto in quello appartenente allo stesso genere di chi vi scrive). L’erotismo e la pornografia hanno trovato un refugium peccatorum ideale, e quando pochi anni dopo è uscita fuori anche la magica parolina eBook, la letteratura meno castigata ha trovato la propria collocazione, e la propria rivalsa. Ripensate, ad esempio, a quella signora sulla quarantina che sedeva di fronte a voi sul vagone della metro qualche giorno fa, mentre tornavate da lavoro; aveva un eReader tra le mani e lo sguardo completamente perduto nei sedici toni di grigio di cui

sopra. Potreste giurare che i suoi occhi non divoravano avidamente frasi come “Quando arriva al quinto dito, morde più forte, e io mugolo, fremente.”? No. Perché il dorso grigio del suo compagno di viaggio è più discreto e fedele di un confessore, e le permette di leggere qualsiasi cosa ella voglia, senza sentirsi giudicata o derisa. Discorso applicabile anche al maghetto Harry Potter o alla biografia di Ibrahimovic. Ciò che conta è che l’eBook ha finalmente liberato dal fardello del pudore chi desidera leggere, ma non per questo vuole impegnarsi in un viaggio in autostop con Sal Paradise o su un battello lungo le sponde di un fiume

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congolese col marinaio Marlow. Rileggere l’analisi pubblicata sul “Guardian” qualche mese fa aiuta a fissare meglio l’idea: appena acquistato un eReader, l’impulso è cedere alla frenesia dello shopping di grandi classici della letteratura, disponibili in molti casi a meno di 1 euro. Titoli che però rimangono a prendere polvere (digitale), e vengono scalzati dalla letteratura d’evasione più rispondente al gusto dell’uomo (o della donna) della strada. L’erotico vende bene, al pari della fantascienza e della history fiction. Tutti generi di cui normalmente si prova vergogna ad ammettere la propria affezione. Ma dietro un complice e anonimo eReader, tutto diventa più semplice. È anzi proprio grazie agli eReader che le case editrici riescono a capire cosa vuole davvero il lettore. Il “Wall Street Journal” si è da poco interessato ai dati statistici ricavati dai device Nook, e raccontano quando un libro viene abbandonato e quando no, in quanto tempo lo si legge, cosa si fa durante e dopo averlo letto. La casa editrice 2.0 Coliloquy è addirittura andata oltre: per meglio studiare abitudini e gusti dei propri lettori ha assoldato alcuni autori emergenti e creato una serie di eBook interattivi, simili ai librigame d’annata, nei quali è possibile scegliere – tra le altre cose – l’estetica del protagonista maschile di un romanzo sentimentale, o l’intensità sessuale della narrazione. Addio alla privacy, ma siate certi che nel prossimo libro che leggerete i personaggi di turno avranno proprio le fattezze che sognavate. Per la cronaca, le signore si sono pronunciate per un moro con occhi chiari, rude e con moderata peluria sul petto. Si potrà obiettare che il successo del genere erotico non poggia sui soli eBook:

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dai capolavori della poesia saffica al Marchese de Sade, fino all’Histoire d’O e ai fenomeni letterari che condividono parecchio della “favola” di E.L. James (qualcuno si ricorda della one hit wonder Melissa P.?), l’eros in forma scritta è un leitmotiv ricorrente. Ciò che costituisce il vero elemento di novità in Cinquanta sfumature è la genesi interamente digitale dell’hype, costruita oltre che sui libri elettronici, sul passaparola sui social network. Cinquanta sfumature di verde (dollaro): a ulteriore riprova, vecchie volpi dell’editoria e giovani leoni nativi digitali sono stati attirati, come mosche nel miele, dal dolce sapore della lussuria e dall’inodore carta moneta. Negli States HarperCollins ha creato Mischief, una label a misura di eBook “monelli”, dai titoli inequivocabili come Sottomissione, o S come sculacciata; in Italia trovano nuova linfa vitale gli oramai mitici Harlequin e Harmony che al romanticismo affiancano dosi di eros più o meno massicce. Menzione d’onore per Lite Editions, giovane ma attivissima casa editrice del duo Desideria Marchi - Giorgio Lonardi. Spulciando il loro catalogo l’erotismo, anche spinto, si mescola ai viaggi, ai cibi, ai piaceri della vita meno carnali ma non per questo meno godibili. Rimanendo in orbita spin-off, qualche perplessità ha generato la notizia che uno dei capolavori di Charlotte Brontë, Jane Eyre, verrà rivisitato dalla coraggiosa Eve Sinclair in una nuova salsa, quella piccante. Non sarà chili in salsa guacamole, a quanto dichiara la stessa autrice, ma soltanto un modo per rendere omaggio allo spirito del romanzo originale senza intaccarne la narrativa e il più profondo significato.

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In tempi nei quali il mercato del libro boccheggia, vale la pena provare a cavalcare l’onda e creare passione per la lettura, in qualsiasi modo Lucrando, se possibile, sulla moda del “bello e impossibile incontra giovane da concupire”. Cinquanta sfumature di marketing: ultimo, ma non ultimo, la dinamica Cavallo di Troia: uno dei dati su cui le case editrici probabilmente stanno riflettendo è che Cinquanta sfumature è letto, in particolar modo, da chi abitualmente non legge. Forse si tratta solo di effetto passaparola e di curiosità da “tutti ne parlano, devo leggerlo anche io”. Di questi tempi vale comunque la pena provare a cavalcare l’onda, e creare

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interesse duraturo per la lettura, con qualsiasi mezzo. D’altro canto, come suggerisce su “Bookseller” Scott Pack, una volta entrati in libreria è probabile che si abbini al romanzo del momento qualcosa di più sostanzioso. Se non per reale interesse, almeno per salvare l’apparenza e nascondere agli occhi di indiscreti astanti le “letture un po’ sporcaccione” delle mamme, così come le ha buffamente descritte il pargolo di una delle lettrici in questione.

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Il mondo dell’ebook

IN VIAGGIO CON GLI EBOOK Un giro per il mondo alla scoperta di come si “muovono” i libri digitali

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e i libri fossero una stagione sarebbero l’estate: la lettura in vacanza è meno rigida di quella invernale, quando facciamo fatica persino a tirare fuori il dito dal piumone per girare pagina, meno dondolante di quella sull’autobus o schiacciati nella metro, meno routinaria delle pagine che ci traghettano nelle braccia di Morfeo la sera. Una lettura rilassata, come il nostro corpo e la nostra mente, che accetta di buon grado solo la compagnia di un ombrellone in spiaggia, una sdraio a bordo piscina, un cocktail al tramonto. C’è chi associa alla vacanza il rituale della lettura, acquistando il bestseller di stagione, e chi si prepara ad abbattere l’epica wishlist accumulatasi durante l’anno con grandi

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di Daniela De Pasquale sensi di colpa. Direbbe Sant’Agostino che il mondo è un libro, e chi non viaggia legge solo una pagina. Se il libro è un buon compagno, l’eBook può considerarsi il miglior amico delle vacanze. Gartner, colosso delle statistiche, ci dice che chi ha un tablet è più propenso alla lettura in movimento. Il 50% preferisce leggere notizie e libri su schermo più che su carta: in media, uno su tre ha usato il tablet per leggere un libro, rispetto a chi possiede un pc (13%) o uno smartphone (7%). Non si deve più scegliere cosa portare: tutti libri vengono in vacanza con noi, e sarà il mood del momento a farci scegliere in quale storia immergerci. Se una biblioteca personale non dovesse bastare, sono disponibili intere librerie digitali 24 ore su 24.

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donano libri ai clienti, organizzano corsi di Con il proliferare delle promozioni estiscrittura e concorsi letterari, ora omaggiano ve, inoltre, ci stiamo abituando a scorrere con eBook sia gli ospiti che i visitatori del le email mentre beviamo il primo caffè del sito web. La sperimentazione si raffina in mattino e trovare decine di newsletter con Gran Bretagna, a Newcastle, nel ’700 uno offerte del giorno, che rendono la scelta andei principali centri di stampa inglesi. Se cora più conveniente. Niente di nuovo per decidete di soggiorchi legge in digitale nare presso l’Hotel abitualmente, ma per Indigo, aprendo il cochi ha comprato o rimodino non troverete cevuto in regalo un la solita Bibbia ma un eReader, e dopo una Kindle, con precaricapresentazione veloce ta la versione elettroha sempre rimandato nica del libro stampauna conoscenza apto più antico del monprofondita? La vacando, e potrete scaricare za appare il perfetto a pagamento altri momento di redenziotesti sacri e letture di ne perché si è più preogni genere. Tradiziodisposti a cimentarsi ne e tecnologia che si con le novità, magauniscono per asseri aiutati da un figlio condare lo spirito di paziente o un amico Da un settore insolito questa catena di boupiù tech. Alla Borders già due anni fa ave- quale quello degli alberghi tique hotel, sempre arrivano numerose alla ricerca di soluvano intuito il potenzioni che veicolino la ziale del binomio vasperimentazioni che cultura specifica del canza-lettura digitale, sfruttano device e lettura luogo ospitante. Una rendendo disponibile digitale come leva di trovata pubblicitaria, l’eReader Kobo, su cui marketing a cui però bisogna rierano stati precaricati conoscere il merito di molti titoli di Random avvicinare alla lettura digitale persone che House, per i clienti dei Fairmont Gold hotel. sarebbe difficile coinvolgere in altri modi, e Gli ospiti hanno avuto la possibilità di proche potrebbero scoprire una novità da non vare l’eReading senza impegno; nel fratlasciare più (purtroppo non il Kindle!). tempo ne hanno fatto esperienza e probabilSe il bello del viaggiare non è la meta ma il mente hanno sviluppato un bisogno latente. viaggio in sé, ecco che il concetto di mobiliOra sono gli alberghi stessi a usare i libri tà applicato alla lettura si fa ancora più indigitali come leve di marketing. teressante. È proprio nei momenti di attesa, Alberghi del Libro d’Oro, associazione di aldi scalo, di coincidenze perse, di partenze bergatori con la passione della lettura che

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annullate, ritardate e impreviste, quando abbiamo esaurito l’intrattenimento da fast food e passeggiate nei negozi, che un libro rappresenta l’antidoto alla noia. Magari lo avete dimenticato nel bagaglio imbarcato, magari la libreria della stazione ferroviaria è chiusa o non disponete di una connessione. Se siete in Spagna e avete deciso di girarla in treno, potreste imbattervi nell’iniziativa promozionale che anche in questo caso vede protagonista Random House-Mondadori. Grazie ai codici QR, è possibile scaricare i primi capitoli di molti eBook. Alla base c’è l’idea di rendere più veloce il viaggio fisico grazie alla piacevole compagnia di uno letterario, come già fatto da Telecom Italia sul nostrano Frecciarossa l’anno scorso: nella tratta Milano-Roma era

Telecom Italia: fino al 14 agosto è possibile acquistare il Biblet Wi-Fi&Touch al prezzo più basso finora disponibile per un eReader, 79 euro. Basta cancellare dal piano del viaggio una cena per due in un ristorantino di mare e si avrà un nuovo device con l’omaggio della trilogia di Hunger Games, che già da sola costa circa 30 euro. Il libro digitale dà il meglio di sé se il mezzo di trasporto prescelto è l’aereo. Ore e ore online ci hanno permesso di studiare un itinerario low cost per sfidare la crisi. Come fare a portare anche solo un libro in un bagaglio a mano che non può superare i 10 chili? Comprandone uno a destinazione, al ritorno si presenterà lo stesso problema, a meno che non si opti per il bookcrossing. Il lettore forte non può uscirne penalizzato,

È in aeroporto che l’eBook dà prova delle sue migliori caratteristiche di leggerezza e portabilità, in particolare per i viaggiatori con solo bagaglio a mano e per chi ha tempi di attesa molto lunghi possibile provare eReader e Tablet e leggere alcuni titoli del catalogo di Cubolibri, ex Biblet. All’epoca l’obiettivo era far conoscere l’app di lettura dello store a un pubblico che non aveva mai sentito parlare di eBook. Nel frattempo il mercato si è evoluto, e ora i lettori scelgono i device in base a caratteristiche tecniche e prezzo. In questo contesto si inserisce la promozione estiva targata

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ed ecco che l’eBook è pronto a dare prova delle sue migliori caratteristiche di leggerezza e portabilità. Soprattutto se si ha la fortuna di attendere nell’aeroporto di Fort Lauderdale-Hollywood, in Florida, dove la Broward County Library offre ai viaggiatori quindicimila eBook per tablet e smartphone, comprese le guide Lonely Planet, scaricabili con un codice QR.

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L’innovativa biblioteca DOK di Delft

Se avete un eReader non dotato di fotocamera, allora sarebbe meglio programmare un viaggio in Estremo Oriente. Nell’aeroporto taiwanese di Taoyuan vi aspetta una biblioteca con 400 eBook da prendere in prestito per tutto il tempo di attesa. Spostandosi dalla Cina al Giappone, ci si potrà invece imbattere in un vero e proprio distributore di eBook realizzato dalla nipponica Glory: come per uno snack, si inseriscono le monete, si sceglie il titolo e si ottiene una ricevuta con le istruzioni per scaricare l’eBook. L’idea dei distributori è volata in diverse parti del mondo, contaminando altri luoghi pubblici nelle città (un esempio italiano è il Multibook di Bruno Editore). Se nel vostro itinerario avete inserito l’Olanda, programmate un giro a Delft. Famosa per le porcellane azzurre, il pittore Vermeer e la ragazza con l’orecchino di perla, è sede di una delle biblioteche più innovative al mondo: il DOK, concept Library che, tra le

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altre iniziative, ha posizionato in stazioni, ospedali, cinema e teatri i Tank U, totem che permettono di scaricare contenuti gratis tramite Bluetooth. In tutti questi casi sembra però mancare qualcosa: l’utilità del device. Perché recarsi in un luogo fisico per scaricare un eBook

Le librerie reali hanno punti di forza e debolezza diversi ma complementari rispetto a quelle online e trarrebbero beneficio da un’ibridazione distributiva quando lo si può fare in un clic? Da questa domanda è partita Enthrill, start up canadese che vuole vendere eBook in libreria. Con l’acquisto di una Book Card, contenente copertina, informazioni su trama e autore

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e un codice QR per scaricare contenuti aggiuntivi, si ottiene un coupon per il download e si soddisfa il bisogno di tangibilità del consumatore. Nella fase in cui si trova oggi il mercato digitale, inoltre, avrebbe una grande portata in termini di diffusione. Basti pensare alla quantità di persone che transitano ogni giorno negli aeroporti: target diversissimi potrebbero conoscere gli eBook, di cui forse non hanno ancora sentito parlare. E anche chi non ha un device o dimestichezza con il pc può acquistare una card e regalarla, allargando così il bacino di consumatori. Gli eBook si possono dunque vendere al dettaglio, ed è quello su cui stanno ragionando alcuni store che sono anche distributori, come Ultimabooks, che propone il suo programma chiavi in mano ai librai che vogliono aprirsi al digitale, o la nuova catena IBS. IT nata dalla fusione di Ibs e Melbookstore. Di fatto sarebbe un errore perdere l’esperienza di librai e editori che hanno sviluppato negli anni modelli di vendita efficaci. Il reale e il virtuale hanno punti di forza e debolezza diversi ma complementari: una libreria brick and mortar non è aperta tutto l’anno 24 ore, ha un magazzino limitato, non rende disponibili consigli o recensioni

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degli altri lettori e non segue i turisti in vacanza, però è facile da trovare e soprattutto ha l’X-factor: la relazione umana con un libraio in carne ed ossa. La libreria fa parte di quegli spazi che Marc Augé definisce nonluoghi e che sembrano diventare l’ambiente ideale per un’ibridazione distributiva. I nuovi luoghi di consumo non sono più solo spazi per acquistare ma si aprono alla partecipazione (G. Qualizza, Oltre lo shopping): così come nei centri commerciali si inseriscono aree gioco e i negozi di arredamento allestiscono mostre d’arte, anche le librerie possono ospitare convegni, sale lettura e prodotti digitali, trasformando l’avvento degli eBook in una nuova opportunità per il libro di carta. Dopo tutto questo viaggiare, un pensiero va a chi non ha partenze in programma. Non resta che scegliere un bell’itinerario letterario ed economico. L’appuntamento potrebbe essere per comodità a Roma, per leggere le vicende dei due fratelli Inseparabili e “stregati” di Alessandro Piperno. Poi ci si potrebbe imbarcare per Capitol City, alla scoperta degli Hunger Games. Una città immaginaria, ma c’è qualcos’altro come un libro capace di farci girare il mondo e viaggiare con la fantasia senza uscire di casa?

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Buona la prima Storie di libri ed edizioni

NORMAN MAILER

“LA SFIDA”(1975) di Fabio Fumagalli

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d un lettore poco esperto, la letteratura sportiva può sembrare una mancanza di coraggio, la massima espressione della codardia. E come dargli torto. L’immagine dello scrittore che, aiutato dalla sua elefantiaca memoria, ridisegna con la sua penna il match appena avvenuto, non suggerisce forse l’icona di un uomo che si sottrae alla vita, si estranea dagli eventi osservandoli esclusivamente dall’esterno? A maggior ragione, ciò accade se lo sport da raccontare è il pugilato. Quale scrittore vorrebbe salire sul ring? Eppure… quale sport più della boxe richiede un narratore? Essa possiede le sembianze di uno spettacolo muto che anela ad esser descritto. Ma ciò comporta che lo scrittore non può totalmente esimersi dall’indossare i guantoni… almeno metaforicamente. Uno dei migliori esempi di questa letteratura lo possiamo trovare nel libro di Norman Mailer La sfida (recentemente ripubblicato in una nuova traduzione da Einaudi) del 1975. L’incontro pugilistico qui narrato è quello tra Muhammed Ali e George Foreman, combattuto a Kinshasa, capitale dello Zaire, nel 1974. “The rumble in the jungle”

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(Il terremoto nella giungla) venne definito quell’epico combattimento. Mai come allora, infatti, si scoprì che il pugilato è un’arte a sé stante. La storia è nota: Foreman (citando Virgilio “poderoso di membra e di mole”), campione del mondo in carica dei pesi massimi, sottovalutò l’intelligenza tattica (“essenziale in ogni mossa” secondo Mailer) di Ali. Quest’ultimo, uno dei pugili più agili e rapidi della storia, sconvolse l’andamento dell’incontro adottando un’inaspettata e sorprendente strategia: sfiancò l’avversario per otto riprese incollandosi alle corde “coi guantoni intorno al capo, i gomiti alle costole […] sbattuto e agitato come una cavalletta in cima a un giunco frustato dal vento”, per poi, con il giusto tempismo, metterlo K.O. “con una combinazione di colpi rapidi come i pugni del primo round, ma più duri e consecutivi […] Poi un grosso proiettile esattamente delle dimensioni di un pugno in un guantone si conficcò nella mente di Foreman, il miglior pugno di quella notte sensazionale, il colpo che Ali si era tenuto in serbo per un’intera carriera”. Fu così che cadde al tappeto, trascinato dal moto di una danza vertiginosa, l’ormai ex campione dei pesi massimi. L’immagine di Foreman sovrastato da Ali rimane uno degli emblemi della boxe. Ma il libro di Mailer non parla solo della battaglia tra due titani. Tra le righe si scorge una sfida non detta che non abita il

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mondo della boxe ma quello della letteratura: lo scontro a distanza (temporale, ovviamente) tra Mailer stesso e il suo maggior maestro, Ernest Hemingway. Anche quest’ultimo, come Mailer, era affascinato dalla boxe, dalla lotta, dalla sfida tra due corpi animati. Basta, in proposito, ricordare quello che è forse il miglior racconto sul mondo del pugilato che sia mai stato scritto: Cinquanta bigliettoni. Qui il ring diventa allegoria della vita, il pugilato una messinscena dove risulta impossibile uscire indenni, qualunque maschera si indossi (sia essa quella dell’attivista nero, alla Muhammed Ali, sia essa quella del capitalista americano, alla George Foreman). Questo mondo, infatti, non prevede la purezza. La contaminazione con la carne, il sudore, il sangue e il dolore resta l’unica possibilità per sentirsi vivi. Sono i nemici quelli che ti permettono di Disponibile su www. cubolibri.it percepire la tua forza vitale. È vero, tutto lo sport è epica e battaglia. Ma solo il pugilato, grazie alle sue caratteristiche peculiari (solitudine dell’uomo di fronte al proprio destino, lotta senza mediazioni) esprime la volontà universale della liberazione dalle catene che ci imprigionano, di tensione verso l’assoluto. Il ring, sia per Hemingway che per Mailer, non è un astratto ideale che vive solo nella fantasia dello scrittore ma è reale, carnale, ed in esso si è gettati come si è gettati nel mondo, sottoposti a regole e a spazi angusti in cui si cerca di sopravvivere.

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Quel che separa il maela preghiera hemingwastro dall’allievo però, yana par excellence: “O oltre che la migliore caNada nostro che sei nel pacità di far risaltare i Nada…”). dettagli e la maggior Quel che è certo però è forza delle immagini che entrambi gli scritdell’opera maileriana, tori sono attratti dalla caratteristiche dovute boxe in maniera quain gran parte ad uno stisi mistica. E ciò perle volutamente più ricco ché, come nota argudi sfumature, è la capatamente la scrittrice cità dell’allievo di andar Joyce Carol Oates, “lo oltre il semplice fatto, di scrittore contempla il Norman Mailer ricercare la mitologia suo opposto nel pudell’evento interpretandolo all’interno di gile, che è tutto manifestazione esterna, una cornice che dia significato a ciò che sta rischio e, idealmente, improvvisazione: accadendo. Emblematiche, a questo propoil pugile [conosce] i suoi limiti mensito, sono le pagine del libro in cui Mailer tre lo scrittore, come tutti gli artisti, trova delle risonanze tra la propria filosofia non conosce mai pienamente i proe la filosofia africana bantu, secondo cui tutpri”. La boxe, dunque, come arte maeto è forza ed energia vitale in continua evostra della scrittura, continua dialettica tra luzione. Una visione panteistica della vita, potenza e intelligenza, mediazione tra cielo se vogliamo, ma che riesce ad abbandonare e terra. Questa, indossando come guantoni il grigio nichilismo, l’assenza di speranza solamente il proprio genio, la vera sfida che che sembra avvolgere come una nebbia l’oaccetta Norman Mailer, e noi con lui menpera di Hemingway (torna qui alla mente tre ci inoltriamo nella sua opera.

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Sulla punta della lingua

Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a cura dell’Accademia della Crusca

STORIE ETIMOLOGICHE: IL CASO DI CRETINO di Simona Cresti

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ercorrendo a ritroso la storia delle parole ci si imbatte talvolta in scoperte inaspettate. Capita, per esempio, che un’ingiuria affondi le proprie radici in forme all’origine del tutto innocenti. È questo il caso di idiota, che in greco significava ‘privato cittadino’, o di cretino, legato etimologicamente a cristiano, seppur attraverso un itinerario piuttosto complesso e non solo italiano. Può suscitare perplessità in molti l’idea che i termini cretino e cristiano siano imparentati. In effetti si è scatenata pochi anni fa una polemica piuttosto aspra su internet, giornali e programmi televisivi, cavalcando proprio questo sentimento di disagio, in particolare in seguito alla pubblicazione del saggio Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) di Piergiorgio Odifreddi (Milano, Longanesi, 2007). Ne citiamo un passo tratto dall’introduzione intitolata Cristiani e Cretini:

Col passare del tempo l’espressione (cristiano) è poi passata a indicare dapprima una persona qualunque, come nell’inglese christened, “nominato” o “chiamato”, e poi un poveraccio, come nel nostro

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povero cristo. Addirittura, lo stesso termine cretino deriva da “cristiano” (attraverso il francese crétin, da chrétien), con un uso già attestato nell’Enciclopedia nel 1754: secondo il Pianigiani, “perché cotali individui erano considerati come persone semplici e innocenti, ovvero perché, stupidi e insensati quali sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti”.

Nel passo di Odifreddi non è chiaro a chi si riferisca l’espressione di Pianigiani “cotali individui”. Per capire meglio conviene consultare direttamente il suo Vocabolario Etimologico della lingua italiana (1907): [il termine cretino] corrisponde al francese crétin e nel dialetto della Gironda crestin, ed è il nome che si dà a ognuna di quelle misere creature, di piccola statura, mal conformate, con gran gozzo e affatto stupide le quali si trovano specialmente nelle valli delle Alpi Occidentali: per alcuni dal latino christianus (fr. chrétien), perché cotali individui erano considerati come persone semplici e innocenti, ovvero perché, stupidi e insensati quali sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti.

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generalizzandosi, per cui cretino ha iniziaOttorino Pianigiani collega quindi esplicitato a essere riferito semplicemente a un inmente cretino alle persone affette dalla patodividuo giudicato di scarsa intelligenza. Le logia del cretinismo attraverso la voce cristiamotivazioni di questo passaggio appaiono no. I dizionari etimologici oggi accreditati evidenti se consideriamo il modo in cui la concordano con lui in tale ricostruzione. Ma malattia è stata all’inizio percepita, e il corper comprendere come si sia instaurato querispondente tessuto semantico dei primi sto doppio legame conviene fare alcuni passi studi medici in cui veniva trattata. La caindietro nel tempo. Crétin è una variante di ratteristica principale degli affetti da cretiniarea franco-provenzale del francese chrétien. smo appariva essere il deficit cognitivo, una Che proprio questa forma (crétin) sia legata conseguenza del disturbo, che diventa però alle prime denominazioni dei malati e deltratto essenziale e necessario alla definiziola malattia non è un caso: specialmente in ne di esso: per esempio nel Traité du goitre et alcune regioni della Svizzera romanda di du crétinisme (1797) F. E. Fodéré sostiene che lingua franco-provenzale erano diffuse allo “le crétinisme complet doit être défini: pristato endemico varie forme di ipotiroidismo vation totale et oricongenito, dal Settecento in poi identifi- Crétin era il modo popolare ginelle de la faculté de penser”. Simili cato appunto come e non specialistico di descrizioni abboncretinismo. La presenchiamare il malato (povero dano nei vocabolari za della voce crétins cristo, povero cristiano, dell’Ottocento, connell’Encyclopédie tribuendo a sancire le (1754) lascia presupover uomo, infelice) caratteristiche della mere che all’epoca malattia e a inquadrarle nella cornice epil’uso del termine in questa accezione fosstemologica della medicina di allora. La se già ampiamente attestato. Crétin era il parola entra così a far parte della vasta camodo popolare e non specialistico di chiategoria delle offese e delle ingiurie che non mare il malato (povero cristo, povero cristiano, hanno un riferimento diretto alla malattia e pover uomo, infelice). Quando nel Settecento dà luogo a una serie di derivati più o meno la malattia divenne oggetto di studio scienoffensivi, e a volte semiseri (cretinata, cretitifico, si assunsero cretino e cretinismo nel noide, cretineria, cretinetti). Un meccanismo, vocabolario medico proprio sulla base della questo, purtroppo abbastanza ricorrente, variante di chrétien legata alla regione in cui basti pensare ai casi parzialmente analoghi l’incidenza della malattia era più acuta. Si è di mongoloide, o di isterico. Sono in propoallora verificato un normale processo di tecsito interessanti le testimonianze letterarie nificazione di una parola d’uso comune che otto-novecentesche circa il significato e la si è specializzata nell’ambito della medicina. frequenza d’uso della parola. Se Carducci, Successivamente, dalla fine del Settecento e nei Sermoni al deserto del 1887, può ancora poi nel corso dell’Ottocento, il termine ha sostenere di preferire offendere qualcuno subito un secondo slittamento semantico, chiamandolo imbecille piuttosto che cretino, di segno per così dire opposto, questa volta

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essendo cretino un “neologismo pedantesco di volgarizzamento scientifico”, di lì a poco l’impiego della parola in senso sempre più spesso generico e ingiurioso dissiperà, per la generalità dei parlanti, la memoria del legame tra ingiuria e malattia. Le occorrenze letterarie novecentesche attestano un utilizzo disinvolto e spesso ironico del termine, che sembra essere percepito come semplicemente sinonimo di altri insulti all’intel-

portato alcuni specialisti, ancora nei primi decenni del Novecento, a proporre etimologie alternative, oggi non più accettate e classificate semmai come false ricostruzioni. Si immaginava per esempio una derivazione dal romancio cretina (‘creatura’), e quindi dal latino creare. Un’ipotesi ancor più diffusa, e tuttora in parte radicata, considerava cretino un calco dall’aggettivo tedesco kreidling, da kredie

Carducci, nei Sermoni al deserto del 1887, sosteneva di preferire offendere qualcuno chiamandolo imbecille piuttosto che cretino ligenza personale (“Le Materassi invece a quel racconto, a quella fede cieca andavano su tutte le furie: dicevano che quella donna era un’insensata, che era cretina, ebete, demente, un pezzo di mota incapace di sentir qualche cosa per chicchessia”, A. Palazzeschi, Sorelle Materassi, 1934). Quanto alla parentela tra malattia e cristianesimo, fra cristiano e cretino, non sostenuta in italiano ‒ come invece in francese ‒ dalla somiglianza formale, essa non è mai stata percepita dal parlante non specialista: questo ha fatto sì che nell’uso le due parole abbiano sempre avuto una vita autonoma. Tuttavia è interessante rilevare come lo stesso imbarazzo che oggi contribuisce ad accendere i toni polemici intorno alla discussione sulle origini di cretino è stato forse quello che ha

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(‘creta’), per via, si diceva, del particolare colore della pelle dei malati. Nella Quinta impressione del Vocabolario (il volume interessato è datato 1878) anche gli Accademici della Crusca sposano questa interpretazione, ma come abbiamo visto si sbagliavano. Vale la pena aggiungere che l’accezione tecnica di cretino ‘affetto da ipotiroidismo’ permane nel Novecento quasi soltanto nei dizionari medici (ad esempio nel Dizionario Medico Lauricella, 1960), ma sembra aver perso terreno venti anni dopo. Nel Dizionario Medico Larousse (1984) la voce cretino scompare, pur essendo ancora presente cretinismo. Oggi in ambito scientifico si tende appunto a definire la malattia in questione come una forma di ipotiroidismo congenito.

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Anima del mondo

IL GENIO DEI LUOGHI

Paesaggi della letteratura

I viaggi di Elémire Zolla di Luca Bisin

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na celebre foto di Henri Cartier-Bresson, scattata in Grecia nel 1961, ritrae un bambino che cammina sulle mani lungo un sentiero sassoso circondato dai monti. C’è in quell’immagine qualcosa di arcaico e struggente, come se ci venisse un ricordo insospettato da quella vicenda inondata di sole e di silenzio, dove lo scatto ha fermato il gioco del fanciullo fissandolo in un luogo senza tempo, che potrebbe essere qui come altrove, oggi come mille anni fa, unicamente sospeso alla maestosa purezza dei monti e all’abbagliante sfolgorio della luce. Quel ricordo non ha la precisa pertinenza di un già visto, non accorda il riaffiorare di un episodio che sapevamo già nostro. Piuttosto, ci coglie sbigottiti e impotenti, come posti di fronte alla celebrazione di un segreto immemore che si fa tutt’a un tratto gesto e immagine: nell’immotivata festosità del bambino, accesa da non più che una vertigine di spazio e di luce, dall’innocente stupefazione verso un luogo improvvisamente vergine e allusivo, come

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appena scaturito dalla creazione, si fa quasi trasparente la figura archetipica di un sapere che ci appartiene. Ciò che l’occhio ispirato di Cartier-Bresson ha saputo raccogliere qui nella composizione sapiente di una fotografia è forse quella disposizione dell’animo, inebriante e difficile, primigenia e obliata, di cui Elémire Zolla ha raccontato le innumerevoli figurazioni: “Si cammina trasognati fra oggetti nitidi, clamorosi”. Lungo l’affastellarsi dei tempi, dei luoghi, delle culture, dei testi, nella paziente frequentazione dei simboli e delle rappresentazioni, nell’audace cedimento alle pratiche misteriche e alle esperienze estatiche, Zolla ha cercato di attingere l’arcano di questo incontro, dove i luoghi e le cose ci parlano con voce tanto più tersa ed eclatante quanto più vi ci accostiamo cedevoli e imprudenti. Straniero in una modernità disincantata, avvilita, tutta spiegata ormai alla luce impassibile degli ordini sociali, delle categorie prestabilite, delle consuetudini imposte, forestiero in un’Europa che si è definitivamente congedata da ogni pretesto di incanto e

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estranea e bizzarra. Gli di malia, egli si è fatto il asceti seminudi e impolportavoce eccentrico, a verati, “dementi nell’atratti scomodo, di un adnima e nei gesti”, che nei dio all’Occidente: non si villaggi indiani si agitano troveranno più aure, qui, senza ritegno, cercando “fuorché tra antiche piedi imitare gli animali per tre abbandonate”; quelle attingerne lo stato di livive, infatti, “il tempo le bertà assoluta; il monaco ha consumate tutte”. E ai birmano che insegna a suoi occhi è piuttosto l’Omeditare sulla camminariente a stagliarsi come ta, posando lentamente una riserva ancora invioun piede accanto all’allata di stupore, come lo tro e accompagnandosi scrigno intatto di luoghi con le parole “scende, si ancora capaci di farciposa, s’alza”, finché il più si incontro con una vita ordinario e frequente dei propria, di rispondere al gesti acquista lo spessore nostro sguardo con un e lo sgomento di un pricenno d’intesa, di muomigenio contatto con la verci a un turbamento Egli si è fatto il terra; il gioco dei portali ignoto e seducente. Epportavoce eccentrico, e dei pilastri istoriati che pure l’esplorazione degli spazi più appartati, dei a tratti scomodo, di un nei templi balinesi concedono all’occhio il varco tempi più remoti, la steraddio all’Occidente: per “penetrare attraverso minata rassegna dei miti non si troveranno più il visibile nell’invisibile”: e degli insegnamenti più aure, qui, “fuorché queste immagini non ci occulti, non è in fondo tra antiche pietre attirano con la suggestioche la traiettoria visibine triviale dell’esotico, le di un respiro intimo e abbandonate” ma, al contrario, recano in sottile: ben prima che l’esé la traccia di una familiarità che ci abitava sercizio di una distanza esteriore, viaggiare muta e insospettata, l’eco di una intimità inè per Zolla l’atto, tutto interiore, di una cerconfessata in cui, con accento nitido e sconota violazione, l’impeto eversivo di “uscire sciuto, risuona una certa voce dei nostri luodallo spazio che su di noi hanno incurvato ghi, del nostro mondo – segreta consonanza secoli e secoli”, il gesto di un affrancamento per cui “già prima che si sappia, si è connesdalle “nostre tacite obbedienze e automatisi all’universo intero”. che sottomissioni”, in cui possa rinnovarsi Nel 1985, in Aure, lo scrittore rievocava con la dinamica segreta di una percezione della tristezza il tempo in cui si potevano anrealtà che soltanto i lacci dell’educazione e cora vedere “i luoghi radiosi dell’Italia”, delle convenzioni hanno reso ai nostri occhi

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filtrata dalla volta di fronde compatte”; o, quando “ogni borgo aveva un’aura sua”, che ancora, come nel semplice attuarsi di una “si assaporava perfino nel vino o nell’olio, coincidenza che si credeva inammissibile, nelle qualità del pane”; e questo malinconico nel segreto rispondersi di tempi e luoghi accertamento non potremmo oggi che apparentemente irrelati, dove la casuale furiperterlo come una sentenza quasi inappelgacità degli episodi rivelabile, come la constatazione rassegnata di una defiIl suo esilio spirituale la improvvisamente una legge intima e ci getta in nitiva perdita d’innocenza. nei delicati miracoli un turbamento profondo­ Eppure, proprio Zolla ci dell’oriente e del – non un sentimento da ammonito a guardarci da poco, nota Zolla, perché passato non è ogni indugio in “superflue recriminazioni” e “sgrazial’esercizio nostalgico “proviene dalla paura che coglie quando l’esperiente amarezze”, a schivare di chi s’intrattiene a za minacci di mostrarci, la denuncia rancorosa o, rammentare le glorie nei fatti, che veglia e sopeggio ancora, la foga idesmarrite gno non sono diversi”. ologica: il suo esilio spiriRiattingere il genio dei luotuale nei delicati miracoli ghi, siano essi i più remoti dell’oriente e del passato o i più prossimi, non è alnon è l’esercizio nostallora il semplice esercizio di gico di chi s’intrattiene un congedo e di un distaca rammentare le glorie co. È, piuttosto, qualcosmarrite, ma il consapesa come l’apertura di uno vole assillo a “cogliere un scorcio entro il quale l’oclembo di bellezza”, ovunchio possa trovare un varque lo si trovi. Sicché anco nuovo per giungere alle che i luoghi più prossimi cose, “come se costui dalle e familiari, spenti all’apElémire Zolla realtà si staccasse appena parenza nella monotonia appena: si avverte sì distinto, eppure ancodi una dimestichezza ormai nota, potranno ra intriso, pervaso, rapito”, come il nocciolo ancora svelarci all’occorrenza il profilo di che, secondo la tersa immagine di Cristina ciò che gli antichi chiamavano il loro “geCampo, “ben spiccato ruoti dentro la polnio”, solo che si sappia volgervi lo sguarpa”. Qualcosa, infine, come l’abbandonarsi do: come nella Torino della sua giovineza un capriccio infantile, all’impulso invinciza, di cui Zolla può scrivere che “nessuna bile di sollevarci sulle mani affinché la terra città è più propizia al delirante, nessuna e la luce e le montagne e gli alberi possano altrettanto irreale; da nessun’altra parte si prendere parte a un nostro fremito di felicità. squarcia così facilmente il velo dell’Inganno”; come in un noccioleto nel Canavese, dove ci si può aggirare “come sott’acqua nella luce verde, ridente, quieta, medicinale,

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Alta cucina Leggere di gusto

LA TORTA “CONCETTUALE” DI MADAME BOVARY Cibo e altri dettagli nel capolavoro di Gustave Flaubert

di Francesco Baucia


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nuta da due pali che terminavano con due In un recente saggio, la studiosa di bocciuoli di rose vere, poste in cima a guisa semiotica Maria Pia Pozzato ha defidi pomi”. Per Nabokov, questo brano è altanito la cucina di un celebre chef itamente rappresentativo di uno stratagemma liano concettuale “perché i piatti sono stilistico tipico di Flaubert: la raffigurazioespressioni estesiche ed estetiche, veicoli ne “per strati” di oggetti che hanno lo stestraduttivi fra il mondo della gastronomia, so potere di essere “veicoli traduttivi” dei delle tradizioni del territorio ed espressiopiatti dello chef italiano, secondo l’analisi ni artistiche”. A una simile intuizione dodi Pozzato. Qui ad esempio la torta nuziavette probabilmente richiamarsi Vladimir le, coi suoi amorini in altalena e i laghetti Nabokov quando preparò le sue lezioni su di marmellata, richiama l’immaginario roMadame Bovary per il corso di letteratura mantico di Emma, che sarà lo sfondo prepoeuropea della Cornell University. Secondo tente della sua rovina. È un oggetto “patelo scrittore russo, infatti, la linea portante tico e insulso”, che però di un’analisi stilistica del ha il potere di diventacapolavoro di Flaubert Secondo Nabokov re simbolo del destino doveva essere il tema dela linea portante di della protagonista. Una gli strati o della torta a un’analisi stilistica del simile funzione la rivestrati. L’immagine della capolavoro di Flaubert stono anche l’elaborato torta è tratta dal quarto capitolo della prima pardoveva essere il tema cappello di Charles, nel primo capitolo; l’immate, in cui sono raccontadegli strati o gine della casa di questi a te le nozze tra Charles della torta a strati Tostes, più avanti; e infiBovary e Emma (ancora ne l’architettura del caRouault): al termine del tafalco di Emma, così com’è voluta dal mabanchetto, un pasticcere di Yvetot porta in rito. In questo senso, dunque, si può dire tavola un dolce lavorato “che strappò agli inche la torta nuziale dei coniugi Bovary è vitati grida di meraviglia”. Vale la pena leguna pietanza concettuale: perché rimanda, gerne integralmente la descrizione: “Aveva come una premonizione, alle vicende naruna base quadrata di cartone azzurro rafrate nel libro, e allo stesso tempo richiama figurante un tempio con portici, colonne e altri oggetti simbolici dischiudendo intanto statuette di stucco tutt’intorno, dentro nicagli occhi dei lettori lo stile architettonico e chie guarnite di stelle di carta dorata; poi narrativo dell’autore. c’era, al secondo ripiano, un torrione di paNon tutti cibi raccontati in Madame Bovary sta di savoiardi circondato da piccole fortihanno questo identico potere simbolico ficazioni di angelica, mandorle, uva secca e e “concettuale”: sempre, però, ci dicono spicchi d’arancia. Infine, sulla piattaforma qualcosa di importante sulle scene in cui superiore, costituita da una prateria verde sono incastonati, e sui personaggi che a con rocce e laghi di marmellata, e barchetesse prendono parte. te fatte di gusci di nocciuole, si vedeva un Un’analisi arguta ed esaustiva di questo amorino su un’altalena di cioccolata soste-

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nuziale, apprendiamo aspetto della scrittuche sul desco del banra di Flaubert è conchetto “c’erano quattenuta nel volume La tro lombi di bue, sei cucina golosa di Madafricassee di pollo, un me Bovary di Elisabetumido di vitello, tre ta Chicco Vitzizzai (Il cosciotti arrosto e, in Leone verde 2002). Tra mezzo, un bel porceli molti esempi citati, lino da latte arrostito, ricordiamo la descricircondato da quattro zione di papà RouIsabelle Huppert in Madame Bovary salsicciotti all’acetoault, delineata sulla sella”, oltre a bottiglie di acquavite, sidro e base delle sue abitudini culinarie: “Non tia “grandi piatti di crema gialla, tremolanrava fuori volentieri il suo denaro, ma non te alla minima scossa della tavola” istoriati badava a spese quando si trattava del suo con “le iniziali degli sposi disegnate sulla tenore di vita, perché voleva essere ben nuloro superficie liscia con arabeschi minuti”. trito, ben riscaldato e dormir bene. Gli piaSi tratta di un pranzo composto da pietancevano il sidro forte, gli arrosti al sangue, i ze umili ma abbondanti, per palati robusti, pontini al caffè ben sbattuti, e mangiava in nello spirito “provinciale” di papà Rouault. cucina, solo, accanto al fuoco su un tavoliÈ un pasto che contrasta a posteriori con le netto che gli portavano con tutti i piatti già prelibatezze del ricevimento del marchese pronti, come al teatro”. O ancora, il menù di di Andervilliers, nell’ottavo capitolo della Emma e Leon, nelle osterie di Rouen, duran-

La tensione di Flaubert verso l’affresco totale ed esaustivo fa del cibo uno dei colori più smaglianti sulla tavolozza del suo stile, e in maniera niente affatto marginale te il periodo della loro passione: “Sedevano nella stanza terrena di un’osteria che aveva reti nere sospese sulla porta. Mangiavano pesciolini fritti, crema e ciliegie”. Nell’originale francese la frittura è di “éperlans”, dei piccoli ghiozzi di mare (come indica puntualmente Chicco Vitzizzai) che erano particolarmente richiesti sulle raffinate tavole parigine: un dettaglio minuto, dunque, che però ci illumina sulla costante ricerca di piaceri mondani da parte di Emma e del suo amante. Sempre dalla scena del pranzo

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prima parte: lì al contrario dominano piccole e preziose rarità come tartufi, quaglie, aragoste, frutti esotici, coppe di champagne, e la messinscena del banchetto è elaborata. Insomma, la tensione di Flaubert verso l’affresco totale ed esaustivo fa del cibo uno dei colori più smaglianti sulla tavolozza del suo stile, e in maniera niente affatto marginale. Ma altrettanti approfondimenti potrebbero essere aperti su temi come i vestiti, gli arredamenti, le letture di Emma, i gusti e le idee dei personaggi cosiddetti “mino-

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ri”, anche se questa digressione sul cibo in Madame Bovary ci dovrebbe far intuire che nulla è davvero “minore” nella magnifica costruzione di tale capolavoro. Dio vive nel dettaglio, si suole dire, e il profilo di Flaubert, come quello di una divinità, è da inseguire innanzitutto partendo dai particolari che sembrano abbandonati ai margini della creazione. Così, tornando al pranzo nuziale, ci lasciamo affascinare da una suggestione gastronomica tra le tante, quelle salsicce all’acetosella che richiamano una pietanza affine amata dal principe dei gourmand letterari, il commissario Maigret (si veda Maigret e il suo morto). Proponiamo allora, per questa rubrica, una

salsa all’acetosella che si può ottimamente accompagnare, oltre alle salsicce sopra citate, anche al pesce (salmone, merluzzo e alici in particolare), o ancora è utilizzabile per insaporire zuppe o crostini. Per prepararla, si trita finemente una manciata di foglie di acetosella, insieme con tre spicchi d’aglio, un mazzetto di erba cipollina e un cucchiaio di capperi. A bagnomaria, si fanno sciogliere 75 grammi di burro e si unisce il trito insieme a un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Si aggiusta quindi di sale a piacere e si mescola fino a ottenere una crema densa e omogenea. Per rimanere nel clima del banchetto di Madame Bovary, coi piatti a cui verrà accompagnata la salsa si può abbinare un bicchiere di sidro.

SALSA ALL’ACETOSELLA Ingredienti: 1 manciata di foglie di acetosella 3 spicchi d’aglio 1 mazzetto di erba cipollina 1 cucchiaio di capperi 75 g di burro 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro Sale

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Nei “giochi della fame” il futuro della fantascienza

Recensioni

THE HUNGER GAMES di Suzanne Collins

Ci sono libri che hanno un successo immediato e altri che invece, per raggiungere il grande pubblico, impiegano del tempo. Dal 2008 a oggi sono passati quattro anni e gli Hunger Games sono diventati una realtà consolidata nell’immaginario di adolescenti e adulti di tutto il mondo. La scrittrice americana Suzanne Collins è riuscita a catturare l’attenzione di oltre sedici milioni di lettori con la sua trilogia dei “Giochi della fame”. Qualcuno già dava per morto il genere della fantascienza. Dopo gli anni gloriosi di Fruttero e Lucentini anche in Italia i classici di Asimov e la serie degli Urania cominciavano a dare segni di scarso interesse da parte del pubblico. Perché dunque la Collins, anche in Italia, ha avuto tutto questo successo? Successo di massa non significa necessariamente qualità letteraria. Gli Hunger Games sono una storia ingenua? Forse: ci ricordano il mito del Minotauro, i giochi gladiatori romani, le battaglie di Mad Max, la terribile arena contemporanea di Amici. E allora? Ci richiamano alla memoria tante storie, ma queste raccontate in Hunger Games e poi nella Ragazza di

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fuoco e nel Canto della rivolta ci inchiodano a una lettura serrata, coinvolgente, carica di emozioni. Noi siamo nella storia: amiamo, soffriamo, speriamo che non accada l’irreparabile. Ci sentiamo soffocati da un regime che preleva e obbliga gli individui a uccidersi, una città-stato che spesso è stata la nostra storia passata e che spesso è la tentazione di una nostra storia futura. I ragazzi protagonisti dei giochi forse sono come tanti adolescenti di questo nostro mondo claustrofobico, che tra gli obblighi al divertimento non intuiscono, se non raramente per la sensazione di mancanza di ossigeno, che qualcuno li controlla, gli impone di essere un puro fascio di sensazioni, materia inerte da plasmare e quindi da eliminare. Non prima di aver fatto divertire il pubblico voyeuristico. Quale futuro per chi non ha futuro? Suzanne Collins non ha dubbi: l’amore. Risposte vecchie, storie vecchie, banali e già sentite. Sì, sono gli Hunger Games, ma provate a smettere di leggere, se ci riuscite. Giudicare dopo è facile, molto più semplice del ridare una nuova forza alla fantascienza.

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PAROLE UBIKATE IN MARE

Appuntamenti

e gli altri eventi del mese

PAROLE UBIKATE IN MARE Non credano i lettori in vacanza di portarsi in spiaggia soli i libri preferiti: da qualche tempo, in molte località balneari, sulla sabbia potrebbero incappare anche negli autori beniamini. Tra queste località c’è Albissola Marina, in cui da tre anni la Libreria Ubik di Savona organizza una rassegna di incontri letterari ai bordi del mare. Ne ricordiamo alcuni dei più notevoli: il 17 luglio Moni Ovadia presenterà il suo libro (con dvd) Binario 21 (Promo Music); il 20 luglio toccherà a Sveva Casati Modignani, reduce dal grande successo dell’ultimo romanzo Leonie (Sperling & Kupfer); il 23 Flavio Oreglio farà divertire e pensare i suoi fan con spunti tratti dal suo libro Storia curiosa della scienza (Salani); Giorgio Conte, il cantautore astigiano ormai prestato stabilmente alla scrittura, parlerà de Il trattore arancio, l’ultimo libro da poco uscito per Cairo Editore, l’8 agosto, e infine il 18 Roberto Piumini dialogherà coi lettori sulla propria attività di narratore di storie. Fino al 18 agosto PAGINE PER IL FUTURO Cosa leggevano da piccoli? Sarà capitato a volte di porsi questa domanda a proposito dei protagonisti della vita culturale, politica, sportiva ed economica italiana. A questo quesito cercano di dare risposta il Piccolo Teatro di Milano e Radio 24 che presentano un’iniziativa assai originale: i romanzi personali di attori, manager e uomini politici si ricongiungono nel chiostro del Teatro Grassi (via Rovello 2) con i romanzi della

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loro infanzia. Ogni ospite sceglierà un testo che ha segnato la propria formazione e ne parlerà al pubblico, dopo un reading a cura di giovani attori del Piccolo Teatro. All’iniziativa hanno aderito, tra gli altri, Giulio Anselmi, Paolo Rossi, Giuseppe Mussari e Livia Pomodoro. La rassegna si conclude il 18 luglio con Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, testo scelto da Fausto Bertinotti, che dialogherà con il direttore di Radio 24 Fabio Tamburini. La lettura del testo è affidata a Ivan Alovisio. Fino al 18 luglio LIBRI, AUTORI E BOUGANVILEE San Vito Lo Capo, località siciliana nota in tutta Europa per la bellezza delle sue spiagge (nel 2011 è stata eletta miglior spiaggia italiana), ospita per la tredicesima edizione una kermesse letteraria che ha per scenario l’incantevole centro storico della cittadina. Nello slargo di via Venza, romanzieri e saggisti si alterneranno per discutere con i lettori degli ultimi lavori e presentare nuovi progetti. Quest’anno visiteranno San Vito, tra gli altri: Alessandro D’Avenia (autore per Mondadori dei romanzi Bianca come il latte, rossa come il sangue e Cose che nessuno sa), il 23 luglio; il Vescovo Mons. Domenico Mogavero (autore per Rizzoli del volume La Chiesa che non tace); l’esordiente mondadoriana Maria Paola Colombo (Il negativo dell’amore), il 21 agosto; infine il 30 agosto Matteo Collura e il fotografo Melo Minnella con il Libro siciliano (Flaccovio Editore), omaggio alle bellezze storiche, culturali e paesaggistiche della Sicilia. Fino al 30 agosto

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Tweets @eroticnotes o che ...la vita stessa è un progett ci ter dobbiamo decidere se po ublishing, permettere,se farne self-p icchito. carta antica o un ebook arr

@ebookg ra Paolo Gio tis_it rdano: « Io u sauro ma l’ebook è n dinotunità». un’oppo r-

@Pianeta_eBook @futurodeilibri va sugli ebook, Riduzione dell’I Europea la Commissione indaga. @CorriereTv Carofiglio: «Ebook e carta? Nessuna antitesi».

Caro Babbo Natale, quest’anno sono stato tanto buono e vorrei un #iPad da 8 pollici per leggere tanti #eBook...

@ItsMan dar La mia se ina te di lett ura non conosce crisi. Ergo ? Si va di e book.

Bookbugs

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PreTesti • Occasioni di letteratura digitale Luglio 2012 • Numero 7 • Anno II Registrazione Tribunale di Cagliari N. 14 del 09-05-2012 ISSN 2280-6385 Telecom Italia S.p.A. Direttore responsabile: Daniela De Pasquale Direttore editoriale: Roberto Murgia Coordinamento editoriale: Francesco Baucia Direzione creativa e progetto grafico: Fabio Zanino Alberto Nicoletta Redazione: Sergio Bassani Luca Bisin Fabio Fumagalli Patrizia Martino Francesco Picconi Progetto grafico ed editoriale: Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com In copertina: Roberto Perrone L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito. Per informazioni info@pretesti.net

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