Agosto 2012.
Allarme igiene
Blatte, rifiuti e crepe in via della Fiera.
Petali di pietra
Alla ricerca dell’identità perduta.
Urbanistica partecipata
Un questionario per raccogliere le vostre idee.
Rockerella La storia completa.
Direttore responsabile: Maria Cristina De Carlo Progetto grafico: Giuseppe Resta Pubblicità: info: 3489157655 | 3293646844 | 3889338124 Redazione: MarianaBorrelli PierlucaCapurso MariaCastellano LyubaCentrone AlessandroDeRosa EmanueleDonvito EnricoFebbraro GianniGalasso VanniLaGuardia FilippoLinzalata SheilaLinzalata AntonioLosito MariaMarmontelli RosarioMilano PasqualeParadiso GiuseppePugliese Giuseppe Resta. Stampa: PressUp | Via LaSpezia, Ladispoli | Roma Editore: Associazione La PrimaVera Gioia | via Pio XXII 6 Gioia del Colle | Bari Sede Via De Deo 14, Gioia del Colle | Bari ©PrimaVera Gioia, 2012 Tutti i diritti sono riservati testata iscritta presso i Registri del Tribunale di Bari al Ruolo Generale 1505/2012 e al Registro di Stampa al n. 23
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INDICE 3 Ouverture
Ouverture COMBATTIAMO LE FORMALITA’ VIVENDO SUL CONFINE
4
Al limite della sopravvivenza
6
Tutta la verità sulla COOP
7
Prove di dialogo
8
Densamente spopolata
9
Sciò must go on
12
Alla ricerca dell’identità perduta
14
Rockerella: una storia
18 Brevi 14
Cancella il debito
Diamo significato alle nostre parole, troviamo un accordo per far parte della comunità umana. Nasce“Primavera Gioia”dall’esigenza di parlare e di far parlare.
Maria Cristina De Carlo / Direttore
C
hi ha detto che tutto è stato già scritto ed è stato già fatto? Chi ha definito quei limiti nei quali far scorrere le proprie conoscenze per trasformarle in becera informazione legata al piccolo mondo a cui appartiene? Chi ha definito quei limiti?
progetto editoriale che porta il nome “Primavera Gioia”: chiamatelo giornale, chiamatelo foglio (per alcuni forse non sarà mai nulla). Per noi Primavera Gioia è una sfida: vogliamo gridare al mondo che tra il già fatto, c’è tanto ancora da dire.
Be’, se qualcuno l’ha fatto, noi non ci sentiamo intrappolati in questo mondo. Questo sistema così delineato ci ha portati a vivere come dei borderline, come quelle persone che vivono sul confine per captare tutto quello che accade e restituire alla società la giusta conoscenza. Una conoscenza non filtrata da alcun credo politico o di appartenenza. Siamo semplici obiettivi di una macchina fotografica che cattura e narra, che racconta e descrive cercando di fotografare quella realtà da diverse prospettive. Inchieste, racconti e cronaca saranno le linee guida del nuovo
Un progetto che vive di forza e volontà autonoma da utilizzare per il bene della collettività denunciando e evidenziando quelle situazioni precarie e mai messe sotto la luce dei riflettori, nonostante ci accompagnino nella nostra vita quotidiana. Per molti è la prima volta con carta e penna in mano da utilizzare come strumento di informazione. Un’informazione che non sarà mai manipolata né guidata, ma sarà pura descrizione di quello che accade. Senza se e senza ma. Soprattutto, senza filtri colorati che opacizzano la realtà e la fanno sembrare tanto perfetta ma purtroppo alquanto inutile.
L’angolo del cittadino
al limite della sopravvivenza Pasquale Paradiso | Gianni Galasso | Alessandro De Rosa
Le case “popolari” di via della Fiera si presentano così: con i muretti inzeppati da rifiuti di ogni genere, buchi e crepe che interessano la strada e i muri della palazzina. Insomma, una cornice che parla da sola ma che solo in parte fa immaginare cosa si possa trovare all’interno della struttura.
vento di manutenzione; i calcinacci che cadono dai balconi sono un serio pericolo per gli abitanti; la situazione igienicosanitaria dell’ambiente circostante è gravemente compromessa dalle continue invasioni di scarafaggi in casa degli inquilini, soprattutto nelle ore notturne”.
in pericolo la vita degli inquilini che abitano nei paraggi. La cenere che vedete sul suolo – indica il signor Franco - è ciò che resta di un incendio divampato alcuni mesi fa a poche centinaia di metri da questo edificio, creando terrore e sgomento tra i suoi inquilini. Lo stesso incendio è stato a fatica domato grazie
La voce del signor Franco, inquilino della casa di via della Fiera, guiderà il nostro cammino alla scoperta della situazione invivibile per lui e per i suoi coinquilini.
D. Quali sono gli interventi di manutenzione che ritenete più necessari? Il signor Franco: “Occorre la manutenzione e la pulizia delle aree, che fino a qualche giorno fa erano infestate da erbacce alte. L’ente municipalizzato SPES – in luogo dell’ente IACP che è preposto alla manutenzione - a dir la verità, pur non essendo obbligato, ha provveduto a tagliare l’erba ma non si è attivato allo stesso modo per rimuoverla, lasciando così sul suolo enormi quantità di erba secca, che potrebbe causare incendi abbastanza frequenti in questo periodo e mettere
al pronto intervento del Corpo dei Vigili del Fuoco. E’ necessaria, inoltre, la ristrutturazione di questi edifici danneggiati da crepe e grossi buchi così come allo stesso modo è necessario il servizio di pulizia delle aree limitrofe alle palazzine. Il servizio di pulizia sembra averci dimenticato e tutti noi inquilini molte volte siamo costretti a ripulire le aree vicine colme di rifiuti di ogni genere. D. Ma lo IACP, che è l’ente preposto alla manutenzione, ha provveduto in qualche modo alla risoluzione dei problemi prospettati dagli inquilini di questi edifici? R. L’ente IACP è intervenuto un anno fa tramite i suoi rappresentanti, che hanno preso visione delle inadeguatezze dell’edificio e delle aree vicine ma non hanno provveduto a quegli interventi necessari alla tutela degli inquilini. Lo IACP ha solo contribuito alla pitturazione e ad una parziale manutenzione degli edifici. Tuttavia si tratta di attività di manutenzione e di pulizia episodiche, che sicuramente non possono risolvere i problemi che viviamo giornalmente.
Collegati al nostro sito per guardare il video. Prima parte
“Come potete vedere – esordisce il signor Franco - la situazione è questa.Chiarisco che lo scenario odierno è di gran lunga migliore, perché tutti i condomini del presente edificio hanno contribuito nei giorni scorsi a ripulire le aree. Tuttavia i muretti che delimitano l’edificio sono colmi di rifiuti; l’edificio, costellato da diversi buchi e crepe, necessita di un inter4 PrimaVera Gioia
Rifiuti, blatte e crepe in casa in Via della Fiera
Il racconto del signor Franco viene interrotto dall’arrivo di Francesca, un’inquilina dello stabile che incuriosita dalla telecamera si avvicina a Franco e ai ragazzi. La signora Francesca, sentendo la denuncia, decide di far vedere ai giornalisti le condizioni in cui versa la sua casa. I muri di tutte le stanze sono segnati da crepe e la vivibilità è al limite, come racconta lei stessa: “Le crepe e i buchi sono presenti da diversi anni. L’anno scorso, dopo numerose segnalazioni, sono venuti qui a casa mia alcuni dei rappresentanti dello IACP che comunque si sono limitati a svolgere attività di presa visione dell’immobile senza fornirmi alcuna informazione sulla causa delle crepe e sulla tempistica necessaria alla ristrutturazione dell’im-
Seconda parte del video che abbiamo girato nell’edificio di Via della Fiera mobile.” D. Da allora c’è stato qualche cambiamento in positivo del problema? R. Da allora non ho più visto nessun rappresentante dello IACP, non ho sentito più nessuno. Il problema permane e io non intravedo alcuna soluzione.
A questo punto il signor Filippo si avvicina e ci invita a seguirlo nella parte retrostante dell’edificio dicendo: “Per noi abitanti della palazzina è im-
portante l’installazione di alcuni lampioni che rendano l’edificio meno buio di notte. La zona, in quanto sfornita di lampioni, è popolata nelle ore notturne da tossicodipendenti che lasciano dappertutto siringhe, le quali possono costituire un pericolo per gli abitanti della zona. Inoltre sono frequenti scorribande di malintenzionati che, approfittando del buio, molestano le nostre figlie piccole al punto che siamo costretti a limitarne le uscite al fine di non incorrere in episodi spiacevoli.”
Il signor Franco mostra la situazione dei tombini presenti dinanzi all’edificio: aprendone uno, la situazione appare subito devastante. Acqua putrida e colonie di scarafaggi.
Il signor Franco: “Gli scarafaggi escono di sera da questo tombino e iniziano a girovagare per la zona, arrivando anche sui pianerottoli delle nostre abitazioni. La situazione è invivibile.” D. Avete provveduto a segnalare all’Autorità competente quanto da noi visto? R. Ad oggi sono state fatte numerose segnalazioni portate sia a conoscenza dell’Ente IACP sia del Comune di Gioia del Colle, Settore Servizio Igiene. Tuttavia entrambi gli enti hanno risposto di non poter attivarsi in quanto non hanno competenza in materia e quindi non possono operare per la risoluzione del problema. D. Ed ora cosa avete intenzione di fare? R. La nostra battaglia certamente continuerà attraverso le segnalazioni nella speranza che venga restituito il minimo decoro agli inquilini della palazzina. Chiederemo, nello specifico, al Comune di collaborare con l’ente IACP per assicurare i servizi di manutenzione e di pulizia delle aree vicine agli edifici popolari.
D. Cosa si aspetta da tutto questo? R. La mia aspirazione è che possano essere restituiti a me e a tutti gli inquilini di questo edificio dignità e decoro. Lo ribadisco: voglio quanto meno vivere nella dignità e voglio poter dire a tutti che vivo nelle case popolari, senza correre il rischio di essere additato come un diverso. PrimaVera Gioia 5
Tutta la verità sulla COOP TAR e Consiglio di Stato incastrano il Comune di Gioia del Colle Emanuele Donvito
Durante l’ultima campagna elettorale, l’intera cittadinanza gioiese ha assistito ad un’aspra lotta politica tra le due coalizioni politiche di centro-destra e centro-sinistra guidate rispettivamente da Piero Longo e Sergio Povia, ricorrendo sul piano mediatico ad un’efficiente macchina del fango in perfetto stile americano. Nonostante la stessa cittadinanza nelle sue varie forme espressive e rappresentative abbia cercato di ribadire, al contrario, l’esigenza di ascoltare dei veri programmi per la città, non si può assolutamente dimenticare, subendo il classico miopismo dell’elettorato, l’importante Questione Coop. La sentenza n. 2578/2012, pronunciata dal Consiglio di Stato e depositata il 04/05/2012, afferma la responsabilità amministrativa del Comune di Gioia del Colle in merito a numerose questioni che vanno dai permessi di costruire fino alla lesione dei principi della libera concorrenza in merito all’edificazione del centro commerciale sito in via Giulio Pastore. Di seguito, cercherò di esaminare la sentenza in questione con la speranza di utilizzare al meglio il principio teleologico di interpretazione -che cerca di comprendere le finalità di una norma di legge- evitando il rischio di incappare in problematici giudizi di merito dai quali certamente anche il Consiglio di Stato si è astenuto. E’ opportuno ricordare che i soggetti ricorrenti, ossia Pandiva Srl, Divella Walter, Bieka di Santoiemma Vincenzo & C. Snc, Superette di Calderoni Luigi, Giga di Calderoni Luigi e De Natale Gaetano Snc, impugnavano dinanzi al TAR di Bari, nel 2008, il permesso di costruzione e l’autorizzazione commerciale concesse nel 2004. Bisognerà attendere il 2010 per vedere solo il primo ricorrente impugnare un’altra autorizzazione commerciale concessa l’anno prima. Il Consiglio di Stato quindi risolve in appello la controversia nata in primo grado in merito alla lesione dei principi di libera concorrenza, la quale aveva condotto il 6 PrimaVera Gioia
Tribunale Amministrativo barese a dichiarare privo di fondamento il ricorso in merito alle autorizzazioni comunali. Lo stesso ricorso non soddisfaceva il principio della vicinitas da applicarsi in tema di concorrenza e quindi non legittimato a essere posto in essere in sede giurisdizionale. Nella sentenza, infatti, si legge che: ”Date le caratteristiche del nuovo centro commerciale, ossia il luogo nel quale sorge l’ampiezza della struttura e la presenza di uno spazio esteso dedicato esclusivamente a parcheggi, il principio della vicinitas veniva soddisfatto non solo a livello locale, ma addirittura inglobava anche i paesi limitrofi”. Tutto ciò accade per non aver considerato in primo grado, con il giusto livello di attenzione, alcune perizie della parte accusatoria. Il punto preso in esame è di fondamentale importanza per poter spiegare le motivazioni attraverso le quali il Consiglio di Stato è arrivato successivamente a dichiarare nulli i permessi di costruire e le autorizzazioni commerciali. Alla lesione di tipo concorrenziale, dettata dall’eccessiva grandezza del centro commerciale, è legato il fatto che le ricorrenti abbiano sostenuto una causa che verteva su quegli atti dichiarati nulli. Solo ed esclusivamente in base a questi atti dichiarati nulli, è stato possibile realizzare una struttura che, secondo i giudici, aveva la potenzialità di influire economicamente su un vasto bacino d’utenza di tipo commerciale, ledendo però altri esercizi dello stesso genere, ossia alimentari e non. Continuando nel nostro studio giuridico (ma questa è assolutamente una piccola presunzione), si possono notare quali violazioni siano state commesse dal Comune di Gioia del Colle, evitando di ricordare quale amministrazione era in carica, ponendo fiducia nella memoria dei lettori. Da evidenziare il fatto che un permesso di costruire in variante non ha la facoltà di modificare la volumetria e/o la destinazione d’uso di un’area urbana ma concede la mera abilitazione alla ditta che procederà nei lavori, alla modifica di parti non essenziali dell’edificio o di quello che è oggetto dell’atto amministrativo. Pertanto l’amministrazione comunale in questo caso è responsabile per aver concesso un permesso per l’edificazione di un centro commerciale, che innanzitutto ha dimensioni di gran lunga superiori rispetto a quelle previste nel piano regolatore. Non solo. Invade le zone F1 ed F2 le quali sarebbero dovute essere caratterizzate da un bassissimo grado edificatorio. Inoltre il centro commerciale non è stato costruito bene. La struttura non possiede un numero di parcheggi adeguato: per ogni metro quadro di cemento, ne necessitano un metro e mezzo per il posteggio auto. Essendo quello un edificio di oltre 7000 mq è evidente, anche ad occhio inesperto, come non disponga di tali spazi. In più, essendo posto a ridosso di una strada provinciale, avrebbe dovuto possedere delle apposite
corsie di accelerazione e decelerazione. Dopo una veloce infarinatura sul tema, scendiamo nei dettagli della sentenza. L’intera istruttoria è stata condotta da un ex dirigente dell’ufficio tecnico di Gioia del Colle che aveva chiuso i suoi rapporti di lavoro con lo stesso Ente per raggiunti limiti di età. E’ stato però assunto con un contratto di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa che non presupponeva alcun vincolo di subordinazione. Inoltre, sono state rese nulle tutte le perizie e i sopralluoghi dallo stesso ingegnere. Il soggetto in questione ha considerato validi atti datati 24/07/2000, i quali erano solo uno stralcio del progetto edilizio del 2001, che vietava espressamente la costruzione di medie strutture di vendita M2.
Prove di dialogo L’assessore De Giorgi incontra le associazioni gioiesi
Lyuba Centrone “Stati Generali della cultura”, questo il titolo delle due giornate, promosse dal neo-assessore alla cultura Prof.ssa Piera de Giorgi, durante le quali quasi tutte le associazioni gioiesi hanno dato prova di essere pronte a scendere in campo per collaborare propositivamente alla politica socio-culturale del paese. Il motivo di quel “quasi” merita due righe di approfondimento. Purtroppo, infatti, ad oggi, non esiste un albo completo delle associazioni che il Comune possa consultare per eventuali convocazioni. La soluzione più pratica sarebbe elaborare, a fronte di un accurato censimento, anche una semplice mailing list fruibile sul sito del Comune affinchè, in futuro, non si creino vuoti, dimenticanze o folli corse alla caccia del numero di telefono utile per convocare l’associazione cercata. Mettendo da parte questo breve “nota bene”, il resoconto dei due incontri è assolutamente positivo. Sul
A questo punto, è anche lecito domandarsi quale sia il limite che tiene separati l’abusivismo e un errore pervenuto in una normale vicenda edilizia. Il caso è assolutamente paradossale in questa sede perché, attraverso atti legali, si sono concesse con fin troppa leggerezza delle autorizzazioni risultate poi nulle. Riflettendoci, il fatto non veste comodamente la sua paradossalità, in quanto lo stato prevede dei tribunali appositi per risolvere tutte quelle controversie nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. E’ giusto e di vitale importanza esigere da cittadini partecipi e attivi un operato rigoroso da parte degli amministratori, chiunque essi siano. Non sarò di certo io a tirare le conclusioni sul merito della vicenda, poiché non sono un magistrato nè ho la presunzione di esserlo. Sappiamo, però, che la nostra dottrina civilistica prevede degli errori di vario genere e sarebbe opportuno che, in ogni vicenda giudiziaria, la giustizia faccia il suo corso completo e che il malcostume finalmente incontri un nemico di cui impaurirsi per sempre.
palcoscenico culturale gioiese, le personalità associative ci sono e si fanno sentire. Fra le idee più interessanti quella di Vito Osvaldo Angelillo della compagnia teatrale Diversamente, con la proposta di creare un palazzo della cultura, utilizzabile come luogo d’incontro neutro e vivo, fucina di idee e collaborazioni tra tutte le associazioni. Nota di merito va data a buon diritto all’Assessore che, con un ottimo metodo didattico, ha sfruttato lo strumento del questionario con il quale ha potuto raccogliere informazioni, idee e anche critiche magistralmente rielaborate dal sociologo Leonardo Palmisano.
Il primo progetto in cantiere sarebbe quello di
due giornate in agosto dedicate alla “Gioiesità” nelle quali i vari mondi associativi siano protagonisti con le loro novità, i progetti e perché no, anche le loro stravaganze. In passato, alcuni si sono sentiti esclusi, altri sedotti e poi abbandonati per strada, altri ancora accontentati con piccole briciole di pane. La PrimaVera Gioia è una realtà associativa appena costituitasi, vergine di rapporti con i governanti. Il primo passo in questo “eclettico” mondo è stato quello di presentarci con un’idea quanto mai sorpassata e antistorica. Un anacronistico stand del baratto all’interno delle sopra citate giornate della gioiesità. C’è chi ha parlato di cicli nella storia, certo questo non sarà il primo passo per un ritorno al medioevo, sempre se di ritorno si possa parlare. Proprio su questo “equivoco” vuole giocare la nostra ambiguità storica. Proporre, nell’era del capitalismo medievale di cui ci cibiamo, un baratto metropolitano, che possa educare il cittadino alla cultura del riciclo, alla fantasia dello scam-
Anche il Tar accusa il comune di Gioia del Colle: insieme alla ditta Tintoretto, il Comune è costretto a pagare 3.000.00. Una decisione presa il 5 luglio dalle autorità competenti.
bio, al dialogo fra i contendenti dell’oggetto desiderato, il tutto dimenticandosi del denaro e pensando alla possibilità di “acquistare senza comprare”.
Densamente spopolata è la felicità L’incontro di La PrimaVera Gioia con Francesco Dongiovanni (regia) e Vincenzo Pastore (fotografia, audio, montaggio) Maria Castellano | Mariana Borrelli | Vanni La Guardia
Lunedì 25 giugno, il documentario “Densamente spopolata è la felici-
cominciare dalla liberazione da ansia e stress, piuttosto che ostinarci nel
tà” (www.murexart.it) è stato proiettato presso il Laboratorio Urbano di
costruire per distruggere e poi ricostruire. Da questo punto di vista, il
Santeramo in Colle. Abbiamo incontrato i gioiesi Francesco Dongiovanni
documentario esprime una critica politica.
(regia) e Vincenzo Pastore (fotografia, audio e montaggio), per svilup-
Peppe Carlo Clemente ha assistito a qualche proiezione? Come ha reagito?
pare numerosi spunti tratti dalla storia di Peppe Carlo Clemente, anziano
E’ un uomo molto semplice, legato alla spicciola economicità della vita,
pastore della Murgia, protagonista della pellicola presentata, tra l’altro,
avendo vissuto l’incubo della fame. Mentre giravamo, pensava facessi-
al Bifest Bari International Film Festival, tenutosi lo scorso marzo e a Les
mo delle fotografie. Quando ha assistito al documentario, era contento
Écrans Documentaires di Arcueil (Parigi), nel novembre 2011. Ecco cosa
di rivedersi ma parlava, interagiva con le persone presenti in sala, anche
Francesco ha risposto alle nostre domande.
sfottendole. Non ha una visione “borghese” del film, nel senso del ri-
Come è nata l’idea?
spetto e della contemplazione ma lo considera un oggetto.
Banalmente, lavorando ad Altamura, mi capitava, durante il viaggio in
Il titolo del documentario è tratto dal testo di Bolormaa, canzone dei CSI
auto, di osservare questi uomini che attraversavano le colline con il loro
contenuta in Tabula Rasa Elettrificata del 1997. Ritrovi analogie tra “Den-
gregge. Mi chiedevo come passassero la giornata, mi incuriosivano
samente…” e il documentario girato in Mongolia da Ferretti e Zamboni?
gli aspetti antropologici legati a tali dissociate forme di esistenza, in
Effettivamente i paesaggi della Mongolia non sono così diversi da quelli
contraddizione con la nostra idea di modernità. Si tratta di un lavoro du-
della Murgia ma abbiamo notato tali analogie solo a lavoro ultimato.
rissimo e quotidiano, che non si ferma neanche nelle giornate di festa,
Certo, col titolo abbiamo rischiato, perché è l’unico elemento “d’autore”
come Natale o Capodanno. Cambiano solo le stagioni. E’ un rappor-
che suggerisce un’interpretazione, mentre il film voleva essere il più
to uomo-natura particolarmente interessante, considerato che tra 15/20
freddo e distante possibile, improntato al realismo più esasperato.
anni sparirà: oggi solo gli immigrati sono disposti a fare i pastori, come
Che importanza ha la musica nel tuo lavoro?
alternativa alla miseria.
Premettendo che, a mio parere, il cinema totale è quello muto, la musica
Nella sinossi del pressbook di “Densamente…” si legge “…un giorno,
nel cinema di fiction non mi piace molto, tende a sottolineare momenti
stanchi delle nostre stanze, dei nostri schermi, dei nostri telefoni, sia-
particolari per i quali le immagini sono già sufficienti, tranne casi rari
mo saliti in macchina…lasciandoci dietro le città, il traffico, le infinite
ed eccezionali- penso al lavoro di Ennio Morricone con Sergio Leone.
connessioni della nostra modernità…siamo tornati alla casa del padre”.
Diversamente, la considero molto importante nell’esperienza cinemato-
Da una parte ci vengono in mente le 8 “R” di Latouche e in proposito
grafica, quando si fonde con le immagini, come avviene nella video-
vorremmo conoscere la tua visione socio-politico-economica del mon-
arte. In “Densamente…”, da questo punto di vista, l’audio è molto im-
do; dall’altra vorremmo sapere quale ruolo attribuisci alla nostalgia
portante. C’è stato un durissimo lavoro di ricostruzione, seppur con
nell’attività creativa di un artista.
mezzi non eccelsi: abbiamo elaborato fino a 10 tracce audio differenti
Latouche c’entra solo in parte con il film, intendendo la decrescita come
(dal rumore dei passi, al cinguettio degli uccelli, fino al sibilo del vento
ritorno al passato ed elogio della lentezza, tipica della vita del pastore.
tra l’erba).
C’entra molto con me, perché è l’unica ideologia che ancora accetto e
Quale è la difficoltà maggiore incontrata nel vostro lavoro?
mi interessa, a fronte del fallimento di tante altre. Da comunista, credo
Innanzitutto la variabilità del tempo, alla quale abbiamo dovuto sottosta-
che sia errato guardare al progresso come chiave di lettura della civiltà.
re per attendere i momenti migliori per ottenere un risultato omogeneo
Il riferimento al “ritorno a casa del padre”, invece, ha radici autobio-
a livello di colori, luci ed intensità del vento.
grafiche e personali, rappresentando la riconciliazione con la figura del
C’è poi da considerare che ci siamo sforzati di “confonderci” con la
maschio, nel senso del ritorno alla sicurezza e alla tradizione.
natura murgiana, per evitare quanto più possibile che Peppe Carlo Cle-
Riguardo alla nostalgia, lo considero un sentimento inerte e passivo, noi
mente ci parlasse durante le riprese o che, semplicemente, guardasse
invece con il nostro lavoro abbiamo attivamente voluto contrapporre la
in camera.
vita del pastore alla nostra, producendo rif lessioni: dovremmo impara-
Quale consiglio daresti a chi vuole approcciarsi a questa attività?
re ad accettare la solitudine, in un’epoca di socializzazione esasperata,
Ci sono due strade: vedere tantissimi film, di qualsiasi genere, e leg-
anche virtuale, perché la solitudine non è necessariamente condizione
gere di cinema. L’abbassamento dei prezzi delle macchine farà il resto,
da “sfigati” o reietti bensì occasione per dedicarsi del tempo e rif let-
per procedere da autodidatti. Oppure studiare, magari frequentando le
tere; dovremmo cercare di trattenere dal passato tutto ciò che è utile a
scuole di Bellocchio o Ermanno Olmi.
per collegarti al sito www.spazipubblici.tk appoggia il tuo smartphone sull’immagine accanto
Sciò must go on Quando un progetto di sociologia urbana diventa uno strumento conoscitivo che indirizzi la città verso un’urbanistica partecipata e virtuosa. Pie. Ca. | An. Lo. | Giu. Re.
»» Parte nel mese di Giugno un progetto di ricerca sociologica sul comune di Gioia del Colle dal titolo ironico ma programmatico Sciò must go on, riguardante la qualità dei suoi spazi pubblici e il modo con cui i cittadini si relazionano ad essi. Il progetto è di tipo analitico, interpretativo, propositivo: »»l’analisi si fonda sullo strumento partecipativo del questionario, attraverso cui i cittadini stessi possono fornire quante più informazioni possibili sul loro comune; »»i dati, una volta raccolti ed elaborati, si tradurranno in una relazione interpretativa sintetica sui punti di forza o debolezza, sulle potenzialità o i rischi futuri dei singoli spazi o del sistema degli spazi urbani; »»le variabili potranno fare da supporto per qualsiasi scelta progettuale architettonica o urbanistica pubblica, intenta al miglioramento degli spazi in termini di fruizione, estetica, rapporti sociali, sicurezza, ecc. (di qui il titolo del progetto, un invito a prender parte allo spirito vitale della città). »» L’idea di far partire questa iniziativa nasce quasi per caso: tre studenti gioiesi della Facoltà di Architettura di Bari (Pierluca Capurso, Antonio Losito, Giuseppe Resta), in vista dell’esame di Sociologia Urbana, hanno pensato di coinvolgere direttamente la popolazione gioiese per raccogliere i dati. Hanno aperto un portale internet sul quale offrire la possibilità di compilare il questionario, esprimere la propria preferenza per uno spazio pubblico, indicare i motivi della frequentazione, gli usi, gli orari e inserire informazioni aggiuntive e magari inedite, ricordi personali, commenti: si pensa, collateralmente, di costruire le basi per uno strumento di memoria storica collettiva, valore immateriale e identitario, in cui ognuno possa dare il proprio contributo. Si possono inserire testimonianze scritte o fotografiche, storie, impressioni, per arricchire un patrimonio condiviso da tramandare e consultare. »» E’ possibile compilare il questionario all’indirizzo www.spazipubblici.tk, in forma anonima. Sullo stesso portale, sono consultabili ulteriori informazioni riguardanti l’intera iniziativa, gli autori, gli strumenti, gli obiettivi, e saranno pubblicati i risultati (sempre aggiornabili) della ricerca. »» Tutto il materiale raccolto sarà consegnato a mano presso l’ufficio Urbanistica del comune di Gioia del Colle e, sulle pagine della PrimaVera Gioia, sarà raccontata la storia del questionario, tutti i risultati e le curiosità che emergeranno: si invitano tutti a partecipare al questionario e a diffonderlo per poter formare un campione di opinioni solido e ampio, che dia maggior forza ai risultati conseguiti. Sono anche previsti banchetti dove il questionario potrà essere compilato in forma cartacea, per raggiungere quanti non dispongano di un collegamento internet. Sarà davvero arrivato il momento dell’urbanistica partecipata?
In
alto:
alcune
pagine
del
questionario
online
in basso: una tabella riassuntiva provvisoria delle caratteristiche fisiche e sociologiche degli spazi pubblici
• Visual Design •
• Guerrilla Marketing •
• Show Case
Eventi
ALLA RICERCA DELL’IDENTITA PERDUTA Petali di pietra e la festa federiciana: trait d’union tra passato e futuro Maria Marmontelli
In un’epoca dove è difficile definire se stessi, diventa ancora più complesso identificarsi con le proprie origini. L’obiettivo che si pone l’associazione culturale Petali di Pietra è quello di far rivivere, con la festa federiciana, la “Gioia” perduta nel tempo. L’intervista narra i retroscena della manifestazione e le difficoltà incontrate in questa quarta edizione. D. Come nasce l’associazione Petali di Pietra e quali sono i suoi obiettivi, a parte l’organizzazione della festa federiciana con cui viene spesso identificata? R. Petali di pietra è un’associazione culturale che nasce nel 2009 con l’obiettivo di valorizzare il territorio gioiese dal punto di vista culturale, paesaggistico, sportivo. Il nome Petali di pietra, ripreso da un preesistente foglio d’identità territoriale, si riferisce ad alcune strutture architettoniche, spesso a forma di fiore, disseminate nel nostro centro storico accanto ai palazzi padronali e dotate al centro di un anello in ferro per attaccare le briglie dei cavalli o comunque degli animali da traino. Di qui il nostro logo, ideato in forma di rosone dal giovane pittore Ciro D’Angelo, nipote del più noto Gino Donvito, con la coppa, simbolo della città di Gioia del Colle, da cui emanano i bagliori delle gioie in essa contenute. D. Quali sono state le prime iniziative messe in atto da Petali di pietra? R. La nostra prima attività è stata quella di girare un piccolo cortometraggio intervistando gli anziani del nostro paese a proposito delle loro esperienze di vita e dei ricordi legati alle tradizioni delle feste popolari. Ci siamo quindi dedicati alla riedizione dei falò di San Giuseppe, che purtroppo, negli ultimi due anni, è stata sospesa per ragioni di pubblica sicurezza
12 PrimaVera Gioia
e che speriamo di poter rilanciare l’anno prossimo. Ci siamo quindi chiesti: perché non facciamo qualcosa che realmente ci leghi al nostro paese, che ha il suo bel castello federiciano e una leggenda come quella di Bianca Lancia? Qualcosa che sia in grado di avvicinare la cittadinanza alla storia? Da questa riflessione, nasce l’idea della festa federiciana come connubio vincente tra cultura e divertimento, convinti che, attraverso il divertimento, sia possibile acculturarci e costruire la nostra identità territoriale. I fatti ci hanno ragione quando molti gioiesi hanno cominciato a rendersi conto per la prima volta di quale patrimonio culturale fosse disseminato nel nostro centro storico (archi, larghi, ecc.), ringraziandoci per questo. Alla prima edizione della festa federiciana, si è arrivati dopo uno studio di marketing territoriale finalizzato ad individuare cosa potesse attecchire sul nostro territorio. D. Quali sono state le competenze professionali messe a disposizione dei soci fondatori per questo studio iniziale? R. Il gruppo, formato inizialmente da sette soci fondatori, poteva fare affidamento su laureati in lingue e letterature straniere, geologia, scienze politiche ad indirizzo storico e biologia. I contributi di tutte queste competenze sono confluiti in uno studio storico, antropologico e paesaggistico che si è rivelato il punto di partenza fondamentale per comprendere cosa potesse davvero risvegliare l’interesse e l’entusiasmo dei gioiesi, tendenzialmente restii a farsi coinvolgere in nuove esperienze. D. A proposito del castello, è un dato singolare quello per cui a Gioia non vi è identificazione tra i suoi abitanti e il principale monumento della città, come invece accade per altre realtà locali. Qual
Petali di Pietra pensa già alla prossima edizione: “Vogliamo coinvolgere tutta la cittadinanza. Soprattutto i bambini”
per dettagli e aggiornamenti www.festafedericiana.it
è, secondo te, la causa di questo fenomeno? R. Il motivo principale sta nel fatto che i gioiesi non conoscono il loro castello. D. Come mai? R. Abbiamo un contenitore culturale molto bello, la cui fruizione, purtroppo, viene spesso e volentieri preclusa alla città. Quindi, se alla già scarsa attitudine dei gioiesi a celebrare le bellezze della propria città al di fuori dei loro confini, si aggiunge l’impossibilità di interagire con il proprio monumento, ecco che la voglia di interessarsi al castello passa completamente. D. Quale soluzione proporresti per rimuovere questa barriera psicologica tra i gioiesi e il loro castello? R. Sicuramente una maggiore concertazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici allo scopo di moltiplicare le occasioni di fruizione del castello come contenitore culturale. Penso al 2009, quando, contestualmente alla prima edizione della festa federiciana, furono organizzate, sotto la direzione di Vito Marvulli e Castellano, numerose altre attività all’interno del castello con grande successo di pubblico. Ricordo la gente estasiata per il solo fatto di aver ammi-
rato il cortile del castello, avendone sino a quel momento ignorato l’esistenza. A tale proposito, ho fiducia nella capacità di mediazione diplomatica che il nuovo assessore alla cultura saprà esercitare tra Comune e Soprintendenza, proprio per superare questo ostacolo e andare oltre. Il castello è di noi gioiesi e come tale deve restare, sebbene la sua gestione sia affidata alla Soprintendenza. D. Tornando alla festa federiciana, da dove vengono di solito recuperati i fondi che ne consentono l’organizzazione? R. Le prime due edizioni hanno ricevuto un buon sostegno da parte non solo dell’amministrazione comunale ma anche dell’ex Azienda di Promozione Turistica di Bari, ora gestita dalla regione sotto il nome di Puglia Promozione, che si è fortemente prodigata per consentire lo svolgimento della terza edizione, in forse per la presunta mancanza di fondi pubblici. Sempre dalla terza edizione in poi, al contributo degli enti pubblici si è aggiunto quello degli sponsor, una volta superata l’iniziale diffidenza nei confronti della manifestazione. Quest’anno, però, c’è stato un intoppo. D. Quale? R. Purtroppo siamo arrivati tardi all’ap-
puntamento con Puglia Promozione, in quanto, finché si è insediata la nuova amministrazione, sono scaduti i termini entro cui il Comune di Gioia del Colle avrebbe dovuto presentare la richiesta di finanziamenti per la festa federiciana, in veste di intermediario ufficiale tra associazione e Puglia Promozione. D. Come avete risolto dunque il problema della mancanza di fondi per quest’anno? R. ci siamo rivolti agli sponsor ed è grazie a loro che questa quarta edizione della festa federiciana comunque si svolgerà. Abbiamo ricevuto un contributo dal GAL e c’è stata recentemente una promessa di contributo da parte del Comune, non corposa ma sicuramente congrua con le ristrettezze economiche in cui versano le casse comunali. Durante la manifestazione, anche i cittadini potranno offrire il loro contributo, partecipando ai giochi medievali e acquistando i prodotti tipici locali che troveranno in vendita. D. Qual è stato l’atteggiamento degli sponsor nei confronti della vostra richiesta di contributo? R. Considerando i tempi di magra che corrono, direi che il riscontro è stato molto positivo, grazie alla fama che la festa federiciana ha man mano conquistato edizione dopo edizione. Se non altro, adesso gli sponsor sono consapevoli del ritorno economico e d’immagine che avranno dalla manifestazione e sono quindi più propensi ad offrire il loro contributo. D. Come pensate di migliorare la prossima edizione della festa federiciana a Gioia? R. Cercheremo di coinvolgere la cittadinanza intera a partire dalle scuole, attraverso laboratori di costumistica storica e di artigianato. In questo modo, vogliamo rendere i gioiesi ancora più protagonisti di questo evento. Seguiteci sul sito www. festafedericiana.it.
IL GAL FRA I CONTRIBuENTI DELLA MANIFESTAZIONE PrimaVera Gioia 13
Musica
Una storia d’uomo e di musica Vanni La Guardia | FB/vanni.laguardia
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ioia del Colle è la metafora della vita: bisogna saperla prendere. L’ho capito mentre tornavo a casa, nel paese in cui sono nato, dopo un lustro e mezzo di continuo girovagare. Negli anni 2004-2005 ho abitato a Roma, perchè mi stavo specializzando in Marketing, Management e Comunicazione della Musica, alla Sapienza. Avevo affittato una microstanza in quartiere Prati, per 370 euro al mese, rigorosamente a nero. La porta non aveva chiave, era a soffietto: avete presente quelle dei cessi dei piccoli bar anni Settanta? Chiudevo con un lucchetto e una catenella, passata attraverso due gancetti piantati maldestramente nella plastica. La padrona di casa era una sorta di fattucchiera che gestiva un negozio del tipo “Tutto a mille”. Aveva disseminato la casa di santini e piccoli altari religiosi: unici elementi “puliti”, in senso figurato e non. L’altro impavido affittuario si chiamava Antonio, era di Napoli e per campare canticchiava stornelli romani (!) nei locali di Trastevere, portava la spesa a casa di ricche vecchiette dimenticate dai fortunati eredi, sostituiva i portieri della zona quando erano in malattia o in ferie. Dormiva nello stanzino delle scope: una spazio lungo e stretto, tanto che ci entrava giusto il suo letto, per cui non poteva che stendersi o alzarsi. Non
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aveva finestre: Antonio aveva estratto un mattoncino appena sopra lo stipite superiore della porta, giusto per garantirsi un minimo di circolazione d’aria. Dopo 2 mesi sono scappato. Ho cercato altre sistemazioni ma, certificata la sfacciata indecenza delle proposte romane, ho preso casa ad Orte, con regolare contratto, tornando a fare il pendolare, come ai tempi dell’università, a Bari. Sono stato lì per 8 mesi, l’affitto per l’intera bellissima casa situata sulla rocca, nel centro storico, ammontava alla metà di quanto pagavo per la sudicia stanzetta romana. Godevo di un terrazzo spaziosissimo affacciato sul Tevere, dove organizzavo cene estive con gli amici. La spontaneità di quel piccolo mondo si riempiva di partitelle a calcetto, pomeriggi sui monti, serate in osteria. Unico inconveniente, gli infissi. Si trattava infatti di una casa poco manutenuta, senza riscaldamento: l’inverno rigido spadroneggiava. Ricordo che, sopraggiunta la notte e spente le stufe a gas, mi infilavo nel letto e il quantitativo di coperte era tale da darmi quasi l’impressione dello schiacciamento della cassa toracica. In quel periodo avevo imparato a memoria ogni tipo di pubblicità: decidevo il canale televisivo su cui sintonizzarmi e non lo cambiavo mai, fino ad addormentarmi, per evitare di esporre al gelo la mano alla ricerca del telecomando!
Di lì a due anni sarei tornato a Roma, questa volta per motivi di lavoro. Per un’altra manciata di mesi avrei abitato in zona Ardeatina, nei pressi di Piazza Navigatori, elegante vetrina per esuberanti viados, precisamente in un garage spacciato per mono (più realisticamente, nano) locale, all’interno di una villa di un sedicente professore universitario evasore totale. Pagavo la modica cifra di 700 euro, più spese di luce e gas. Ricordo che sul muro portante insisteva un terrapieno che sprigionava un’umidità tremenda. Viva l’Italia onesta e coscienziosa... Tutte queste esperienze mi hanno insegnato che il modo migliore per rispettare un sogno non è quello di contemplarlo fino al punto di auto-ipnotizzarsi, bensì di armarsi di determinazione e affrontare sacrifici e sconfitte, pur di dargli forma, colore, luce... sostanza. Che la solitudine è uno dei modi più diffusi e, insieme, più difficili da accettare per pagare il prezzo altissimo della libertà: meglio sentirsi fuori posto in ogni posto, in perfetto fuori tempo ma respirare scoperte inattese e pazienti riconquiste di piccole-immense gioie disseminate lungo l’orizzonte dalle braccia spalancate. Che la sofferenza è la porta privilegiata per attraversare la nebbia e raggiungere la conoscenza, come diceva il mio professore di filosofia, il maestro di vita Giovanni Pavone. Che vivere significa combattere, non c’è niente da fare. Magari facendo fuoco con sorrisi rivoluzionari, sottili sberleffi, lancia-sogni, cuori-bomba e temerarie passioni infettive, all’assalto del continente della noia, dell’ignoranza arrogante, dell’indifferenza. Che la felicità è intensamente fragile. Prima di riprendere residenza a Gioia del Colle, in questi ultimi 4 anni ho abitato a Bari. Abbagliato dalle insegne della cit-
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tà, riuscivo a considerare solo gli aspetti peggiori degli ambienti “di provincia” . Ricordo in proposito che, tra le poesie contenute nella mia raccolta “Al guado d’amate correnti alternate”, ne spiccava una che si esauriva in poche battute: “Gioia chiacchierona gran puttana mascherata”. Soffrivo il fatto che nel mio paese l’entusiasmo della costruzione di un fruttuoso percorso personale, che si rifiutasse di disperdere le proprie energie svilendo quelli altrui, normalmente generasse sospetto, nella migliore delle ipotesi maliziosi giudizi senza sforzo, altrimenti piogge di fango, mai il coraggio di un confronto aperto e diretto. Quasi che fosse troppo forte il timore che questo impegno concreto potesse trasformarsi nello specchio impietoso dell’indolenza, al punto da far prevalere la spinta ad un
“democratico” appiattimento. Ero inoltre amareggiato perché, in tutte le occasioni in cui con il mio gruppo musicale C.F.F. e il Nomade Venerabile avevo portato in giro per l’Europa il nome della mia terra natale, mai un’istituzione si era fatta avanti per un briciolo di supporto, anche soltanto morale; piuttosto, eravamo stati sistematicamente oggetto di invidie meschine ed ipocrite, magari da persone che non erano mai uscite da quel ristretto giro che noi stessi avevamo contribuito a creare all’inizio e che non avevano nessuna idea “reale” di cosa significasse per noi “suonare”, dell’Anima che ci mettevamo, delle difficoltà, delle rinunce e anche della voglia di provare situazioni nuove. Col tempo ho compreso che non si tratta di un problema geografico, bensì di “derive” tipiche degli aspetti peggiori della
natura umana. In fondo non è impresa titanica enfatizzare i lati positivi delle persone con cui ci relazioniamo, sorvolando su quelli negativi, che non fanno prigionieri. Ritenere che nessuno sia alla nostra altezza ci fa correre il rischio di ritrovarci in vetta, guardarci intorno e non avere più nemmeno un solo esemplare del presunto esercito di nani che ci fa sentire “qualcuno”. Non c’è nulla di speciale: tutti, spezzato il ritmo frenetico imposto dalla società consumistica, vinto l’abbindolamento mediatico e la passività del lamento, potremmo soffermarci un po’ di più sulle meraviglie della vita, apprezzarle e trarne spunti preziosi per diventare persone migliori e solcare chissà, con percorsi autenticamente incondizionati, temi solo apparentemente obsoleti, come quello religioso e politico.
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Musica Per inciso, rispetto al primo, non mi abbandona mai una tensione spirituale vissuta come questione saldamente intima, alla luce della figura di Gesù Cristo e dell’idea di Dio. Il problema è l’insoddisfazione nel confronto con parti significative delle manifestazioni terrene da queste discese. Banalizzando, mi diverte e forse consola pensare che, se potesse riscendere in terra, direbbe che non abbiamo capito nulla e che dovremmo ricominciare tutto daccapo. Rispetto al secondo, più o meno la stessa cosa. Lotto ogni giorno per provare a non farmi stordire dall’effimera euforia del Χάος, a non farmi contagiare dalla disillusione che ultimamente noto in espansione intorno a me, tra esseri umani voraci di tempesta, rapiti dall’effetto, indifferenti a ciò che resta. Continuo e continuerò a investire tutto il mio impegno per cose assolutamente non redditizie, tutt’altro che strategiche. Tutto ciò mi seduce e mi allieta: è l’unica cosa che conta, per indossare la vita ogni giorno come fosse il vestito della festa. Ineluttabile è stata quindi l’esigenza di dare un senso al mio ritorno. Di mettere a disposizione della comunità gioiese le mie umili competenze e la mia piccola esperienza. Di fare qualcosa che potesse servire a riannodare il mio cuore alla casa dei nonni. Perché quando spezzi le radici ma ignori il padrone della lama, non puoi che aspettarti la frana... Ho pensato che, nella maggior parte delle città in cui sono stato, ho contribuito a creare eventi che hanno messo in rete le persone, facendole riscoprire forti nell’unione e prospettiche nello scambio delle idee. Sorprendendole in un entusiasmo scintillante che credevano perso tra citazioni stucchevoli, culi di veline, glabri tronisti, moviole in campo, dietro le tapparelle abbassate di stanze rassegnate, tra folle di monadi incollate alle bulimiche vetrine dei centri commerciali. E’ successo a Roma, a Orte, a Taranto, a Bari... ma, spolverando la memoria, ricordo che era già accaduto anche a Gioia, nel lontano 2003, quando misi in piedi il Gioia Rock, al teatro Rossini, manifestazione che mi piace considerare folle zio 16 PrimaVera Gioia
ROCKERELLA NON FINISCE QUI. IN QUELLA SPLENDIDA PIAZZETTA PIENA DI SORRISI, COLOR CHE’ SOSTENERE I GIOVANI E LA LORO CREATIVITA’ EQUIVALE A DARE FORZA E FIDUCIA AL putativo del moderno Gioia Rock, che gli splendidi ragazzi dell’ARCI Lebowski ci stanno regalando in questi ultimi anni; e nel 2008, quando ho organizzato il primo maggio gioiese, mettendo sullo stesso palco una dozzina di band pugliesi che hanno fatto emozionare e ballare più di 1000 persone, la maggior parte delle quali paradossalmente accorse dai paesi limitrofi. 2012: è il momento di Rockerella, crasi tra Rockerilla (storica rivista italiana di rock “non-mainstream”) e mozzarella, perché l’autoironia è una cosa tremendamente seria. Il ricco e variegato elenco di difficoltà seguente mi ha definitivamente convinto che si tratta di una buona idea, perché sin da bambino mi capita che, quando tutti smettono di credere in qualcosa, io ci creda più di tutto e tutti. Difficoltà numero uno. Fare “arte” è un mestiere difficile: l’Italia intera, paese vecchio, narcotizzato nella curiosità, privo (e sempre più scientificamente privato) di spirito critico e reazione, è un paese impermeabile ai giovani, stolto assassino dei propri talenti. E’ terra di lobbies, anche in campo musicale, dove il mondo “indie” è in realtà un misero circolo chiuso, gonfio di spocchia, a malapena sussistente. Il suo pubblico, costituito in gran parte da sedicenti “agitatori culturali”, piuttosto che emanciparsi e, di riflesso, guadagnare credibilità e compattezza, preferisce gingillarsi tra sterili critiche e fucilazioni sommarie dei propri idoli, a loro volta divorati da un aristocratico ego in perenne coitus interruptus. Difficoltà numero due. Quello del “leader” è un ruolo ingeneroso, che mi tocca ogniqualvolta io svolga attività che abbiano a che fare con la musica. O, per amor di verità, discende naturalmente dalla spontanea volontà di prendere l’iniziativa ed impegnarmi a fondo, con beneficio comune, pur di non vivere d’immagini o lasciarmi vivere da prudente spettatore. Esempio lampante è rappresentato dal mio lavoro nei C.F.F. e il Nomade Venerabile dove, oltre a suonare il basso, cantare e scrivere, curo management,
contenuti web, ufficio stampa e booking: immaturità, insicurezza e condizionamenti esterni possono comportare che, quando le cose vanno bene, va da sé che il merito è della band, in tacito accordo con proposte ed azioni del “leader”; quando vanno male, costui resta il solitario, claudicante frangiflutti mentre qualcuno potrà dire che non c’era, che era distratto, per qualcun altro non varrà la pena. Tuttavia quella di “leader” è una definizione che fa a pugni con la mia idea di un gruppo (non necessariamente musicale) buono e vero, non certo il risultato della somma di ottimi solisti, bensì della sintesi degli animi puri di chi ci crede a pieno cuore, a prescindere. Nonostante alcune grosse delusioni, continuo a confidare nella forza collettiva, nella lealtà, nella solidarietà, nell’altruismo progettuale e nello spirito di appartenenza. Sono valori superiori ad ogni smarcamento egocentrico o di comodo. Difficoltà numero tre. Molte cose mi fanno male, tra queste lo sfruttamento e il pregiudizio. Pensare, per esempio, che tanti “mecenati” strumentalizzano l’ingenua passione dei giovani musicisti, invitandoli a suonare per riempire un evento grazie al quale si gonfiano le tasche di soldi pubblici, senza la minima decenza di rimborsare almeno la benzina ai ragazzi coinvolti. Stesso discorso per l’adescamento degli appassionati dell’indotto, “assunti” in radio indipendenti, testate alternative, agenzie d’assalto, senza uno straccio di emolumento. Ovviamente costoro dovrebbero pagare l’affitto col vanto di farne parte e mangiare pane e anticonformismo. Che tali “mecenati” abbiano almeno la decenza di ammainare la bandiera rossa... D’altra parte soffro quando, in certi salotti borghesi, si decreta che una persona dalla cresta colorata non può che far uso di droghe e scansar fatiche. Non posso accettare il qualunquismo per cui uno studente che partecipi ad una manifestazione sia certamente un tendenzioso disinformato. Sarebbe come dire che un impiegato pubblico occupa il suo posto di lavoro non per merito bensì per raccoman-
RI ED ABBRACCI SONO GERMOGLIATI ALTRI PROGETTI. GIOIA DEL COLLE NON HA PREMIATO ROCKERELLA BENSI’ SE STESSA, PERL PROPRIO FUTURO.NOI RESTEREMO I SOLITI SOGNATORI LOTTATORI: SOLO SE UNITI, QUESTI DUE CONCETTI BRILLANO DAVVERO. dazione. O che una donna giovane e avvenente sposa un ricco bavoso solo per sistemarsi. Oppure, ancora, che un sindacalista mosso dai più nobili ideali, quando conquista il potere, perde la memoria e inizia a barattare diritti collettivi, con interessi privati. In tutti questi casi ci sarebbe un po’ di pregiudizio, no? Signori miei, fare il musicista richiede una competenza economico/giuridica, una perizia direi artigiana, una disciplina psico/ fisica, una preparazione tecnico/esecutiva, che nulla ha da invidiare a quella maturata da un (valido) chirurgo. Difficoltà numero quattro. Precedenti esperienze collettive mi hanno lasciato un profondo senso di amarezza. Una quindicina d’anni fa, a Gioia, ho frequentato associazioni i cui capetti professavano amore universale ma non erano capaci di stare gomito a gomito nel particolare. Il rigoroso rispetto di slogan profondi come tavole da windsurf, di modaioli codici di accettazione, di “valori/ideali” (costantemente traditi una sfilza sconvolgente di contraddizioni e imbarazzata parzialità) e di marziali regole ortodosse era l’unico modo per sentirsi parte del “giro”. Ma io avevo già scelto l’obiezione di coscienza un paio d’anni prima, alla visita di leva... E poi ero cresciuto con il mito del punk, infiammatosi a cavallo tra Settanta e Ottanta, perfettamente incarnato, nel mio immaginario, dalla band torinese dei Negazione: attitudine, molto più che estetica. Quando c’era incazzatura, ansia, curiosità. Di tutto. Quando l’insoddisfazione di ognuno portava alla ricerca di altri individui simili ma diversi dal resto del mondo che li circondava. Quando era possibile organizzare concerti a 3000 km di distanza con sporadici contatti epistolari in inglese stentato e telefoni a gettone. Quando c’erano tanti posti per suonare, incontrarsi, finanche vivere, accolti da persone mai viste prima, nel rispetto, anzi nel valore delle diversità. Erano luoghi gestiti bene, con serietà “politica” e fratellanza ma anche con molta attenzione e rispetto per la musica, sia per chi la suonava, che per chi la andava ad ascoltare.
E pazienza se dopo il concerto si passava la notte dove capitava. E’ successo anche a noi C.F.F. e il Nomade Venerabile: sulle ali incoscienti dell’entusiasmo più spregiudicato, abbiamo dormito sui banchi di una scuola elementare, in una roulotte arrugginita che scoppiava di zanzare fameliche, nella sezione del partito comunista di uno splendido paesino sperduto sui monti molisani, in sei stretti su due letti in una casa privata alquanto spettrale, in una tenda familia-
re nel bel mezzo di un campo di calcetto in polverosa terra battuta (con annesso, devastante effetto serra, al mattino), in alberghetti sinistri, dove non mancavano mai lo sciacquone rotto che scaricava senza tregua, lenzuola macchiate giallo tenue e peli pubici attorcigliati agli angoli del pavimento del bagno... Ma di sicuro sono fondamentali lezioni di vita, che nessuna Università impartisce. Non si può spiegare la gioia donataci da chi, mentre a fine concerto ci impastiamo di polvere arrotolando i jack, ci confida il suo ritrovarsi tra le parole di un nostro testo o da chi ci chiede una dedica sulla copertina di un cd appena acquistato o di poter portare con sè un manifesto o la scaletta segnata da impronte di scarpe sconosciute. A Gioia del Colle c’è un nuovo fermento culturale giovanile, c’è voglia di associarsi, scambiare e mettere in circolo idee ed esperienze, immaginare stili e modi di vivere coraggiosi, quindi differenti. Insomma, si è ricostituito un patrimonio umano dal valore inestimabile, perché
riempirà di sé il futuro. Dobbiamo però essere bravi a superare le piccole visioni personali che, la storia insegna, se estremizzate portano a grosse, travolgenti sconfitte collettive. Da soli non si va da nessuna parte. Rockerella ha l’ambizione di contribuire a ricreare questo sano humus. Nasce inizialmente come un semplice censimento delle realtà musicali gioiesi attive in tutta Europa: ricordiamoci che più di qualcuno, una decina d’anni fa, definì Gioia del Colle come la Seattle del Sud Italia, soprattutto grazie all’indomita attività live e discografica di C.F.F. e il Nomade Venerabile, Cadabra e NdcKaos. Cresce gradualmente, fino a generare un cd-compilation prodotto in 300 copie interamente autofinanziate e distribuite dalle 18 band/solisti partecipanti, impegnati in generi diversi. Infine diventa un Festival ad ingresso libero che ha visto alternarsi sul palco la maggior parte delle realtà tra le 18 presenti nella compilation e che si è svolto il 19, 20 e 21 luglio, in piazza Livia, a Gioia del Colle. Il teatro Kismet di Bari, nella persona di Vincenzo Cipriano, colpito da tale iniziativa, ha deciso di dare sostegno alla produzione. Si è attivato in questo senso anche l’Ass. alle Politiche Giovanili del nostro paese. Il WWF Gioia del Colle - Santeramo in Colle - Acquaviva delle Fonti ed Emergency hanno allestito stand informativi. Media partners dell’evento sono stati il portale musicale Sulpalco.com, Radio Luogo Comune di Bari e One Step Records, etichetta discografica di un altro ragazzo gioiese, Francesco Fiorente, con sede a Forlì. La musica intercetta qualcosa che sta nei pressi del mistero e mi commuove nel profondo. Personalmente ne trovo traccia in un brano dei C.F.F. e il Nomade Venerabile, “Fiumani”, in cui scrivevo “Il meno è combustione”: il minimo che possiamo fare per onorare il dono della vita, è bruciarne. Ecco cosa voglio dirvi, sempre e nonostante tutto: bruciate di Musica, d’Amore e di Vita. p.s. adesso abito e ho residenza in via Fratelli Cervi, 20. Nome e zona, per tanti motivi, mi piacciono moltissimo. E sono felice. PrimaVera Gioia 17
Cronaca
Pillole »»
Concorso “Pietro Argento”: una risorsa su cui puntare. Giunto ormai alla 15esima edizione, il Concorso “Pietro Argento” ha conquistato una posizione di prestigio in ambito internazionale, assistendo negli anni ad un notevole incremento del numero di iscritti provenienti dall’estero. Il Concorso è nato da un’idea dei fondatori dell’Associazione Musicale e Culturale “D. Lobefaro”, la dott.ssa Paola Sorrentino e il M° Vito Lobefaro, che hanno creduto e sostenuto questa manifestazione in questi 15 anni, nonostante le numerose difficoltà. L’Associazione con il suo costante impegno ha cercato di soddisfare il più possibile le esigenze dei concorrenti, puntando sulla disponibilità e sull’accoglienza. Questo ha permesso di creare un vero e proprio “passaparola” nel mondo e nelle accademie, che nel paese in cui si svolge tale manifestazione, purtroppo non accade. Sono pochi, infatti, i gioiesi che conoscono l’esistenza e il livello di questa manifestazione: gli albergatori, che nei giorni del concorso sono al completo, i ristoratori, i privati, che credono e sostengono la manifestazione. Questo sottolinea quanto il concorso “Argento”, oltre a dare lustro al territorio dal punto di vista culturale, sicuramente contribuisca a incrementarne lo sviluppo economico. In questo senso, si spera in un maggiore sostegno da parte degli Enti Locali.
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La “Giovane Italia” di Gioia del Colle vicina agli emiliani. Il 16 luglio scorso i volontari del Popolo della Solidarietà di diversi comuni della Puglia hanno fatto visita al Caseificio Sociale “4 Madonne” di Lesignana di Modena, colpito dal terremoto che ha scosso, questa primavera, il Nord Italia. I volontari hanno comprato diverse forme di Parmigiano, poi rivendute nel corso di un’iniziativa solidale.
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La dottoressa Orlando, responsabile dell’ufficio personale del Comune di Gioia, si è resa conto della presenza di 4 uova nel vaso agganciato al balcone del suo ufficio e di 2 falchi che si alternavano nella cova. Il falco sceglie infatti, come sito di nidificazione, i tetti dei nostri centri storici ed ogni sera ritorna sempre sugli stessi alberi, detti “alberi dormitorio”, per trascorrervi la notte. A Gioia, lo scorso 29 aprile, abbiamo contato 237 falchi che andavano a dormire assieme su tre alberi di ailanto (Ailanthus altissima), siti nel giardino adiacente il Castello. Possiamo osservarli nella nostra campagna, appostati su un posatoio o quasi sospesi a mezz’aria fare il così detto “spirito santo”, intenti a cacciare soprattutto grilli e cavallette.
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Cancella il debito q Rosario Milano
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on passa settimana, ormai, senza che si scopra di un nuovo dissesto finanziario o di pendenze giudiziarie che minacciano la nostra amata comunità. In principio fu la SPES. La nuova azienda polifunzionale, nata dall’applicazione del decreto Ronchi, oltre a generare confusione tra i tanti concittadini, costretti a rinunciare alla ormai familiare “àmiù”, ha sostanzialmente mancato gli obiettivi originali. Resta il dato occupazionale, ma l’esposizione creditoria nei confronti di Palazzo San Domenico rischia di far saltare l’azienda. Appunto, l’esposizione debitoria del Comune. Le voci si rincorrono e i dati sono ancora incerti. Si rischia di non fornire un servizio d’informazione, ce ne scusiamo, ma si pensa che il comune di Gioia del Colle sia indebitato per quattro milioni di euro. Insomma, non proprio spiccioli. E’ notizia di questi giorni che il gestore privato della piscina comunale risulti fortemente indebitato a causa del mancato pagamento delle rate dovute al credito sportivo. L’aspetto rilevante per i cittadini consiste nel fatto che il Comune sia effettivamente garante della piscina comunale, dunque, garantisce in solido i debiti del gestore verso i terzi. Abbiamo inoltre una lunga serie di pendenze non affatto secondarie: l’ancóra poco chiara vicenda dell’ex Arena Castellano, la sentenza delle Torri e, soprattutto, l’irrisolta questione che ha per oggetto la dovuta chiusura del passaggio a livello, per la quale Ferrovie Italiane avanza da tempo richieste di risarcimento, anche alla luce del finanziamento dei lavori di rifacimento del ponte sulla ferrovia, finanziamento incassato ma senza che i lavori siano ancora stati messi in cantiere. E’ bene ribadire come i dati qui riportati siano parziali e, forse, facilmente confutabili dagli esperti di settore, ma questa rubrica non ha la pretesa di produrre lavori giornalistici, piuttosto quella di offrire spunti di riflessione. Pertanto, appare incontestabile il fatto che l’insieme delle questioni poste sul banco rischiano seriamente di aggravare il già precario equilibrio
della casse comunali. Oltretutto, possiamo comunque avanzare alcune considerazioni, magari semplicistiche, ma non per questo per forza di cose errate. In assoluto, qualcosa potrebbe essere andato nel senso opposto alla logica, all’efficienza e alla buona pratica amministrativa, principi sanzionati dall’ordinamento costituzionale italiano. I controllori non hanno controllato i controllati. Non è solo un gioco di parole, ma costituisce il dato costante e immutabile del non funzionamento del sistema italiano, che a molti di noi fa continuamente gridare allo scandalo, alla vergogna: l’indignazione. Anche a Noia del Colle, qualcosa non è andato come avrebbe dovuto. I debiti sono cresciuti come il livello dell’acqua alta a Venezia; con un’unica differenza: nessuno ha monitorato, nessuno sapeva, pochi immaginavano. La sensazione è che alla fine si sia vissuti oltre le proprie possibilità, o meglio, qualcuno ha giocato al rialzo in un gioco che è a somma zero, e per questo i tanti cittadini saranno chiamati a pagare con i tanti acclamati sacrifici il lucrare dei pochi. Converrà alla fine rivedere qualcosa, iniziando magari dal nome: Benvenuti a Gioia del Colle, città del vino primitivo, della mozzarella...e dell’ammanco (o dei “copponi” se preferite il vernacolo).
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