Pubblicazione mensile d’informazione indipendente |free press
_Febbraio 2013.
Acqua alla gola
Metropoli e province
Zone F
Moni Ovadia
Copertina: Naufragio con disegni di Francesco Angelillo
Direttore responsabile ed editoriale: Maria Cristina De Carlo Caporedattore: Maria Marmontelli Progetto grafico: Giuseppe Resta ValeriaSpada AntonioLosito Pierluca Capurso Pubblicità: info: 3489157655 | 3293646844 | 3889338124 Redazione:
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Ouverture ALLA RICERCA DELL’IDENTITA’ PERDUTA Maria Cristina De Carlo / Direttore
FB/ MariaCristina.DeCarlo
INDICE 3 Ouverture 4
Acqua alla gola
6
Zone F
8
Gioia in parlamento
11
Quando tornerai...
12
Metropoli e province
14
Bando Ufficio Tributi
16
Moni Ovadia
18
Nuove imprese
19 Cinema invisibile 22
Uomini si nasce, briganti si muore
L’ingresso nel ”mondo adulto” da parte dei ragazzi viene spesso posticipato od ostacolato: i diritti del presente sono sacrificati in nome di una ipotetica cittadinanza futura. Il gusto dell’attivazione civica va coltivato ma in separata sede rispetto alle stanze destinate alla gioventù, dove i giovani devono vivere in luoghi specifici e utilizzare linguaggi che aumentano la distanza con il mondo adulto. Il tutto si trasforma in un senso di non appartenenza e di disprezzo per le politiche attuali. Una premessa, questa, per evidenziare come il senso di identità dei più giovani nel tempo è andato perduto. Un’identità consumata e logorata dal ritmo quotidiano scandito dalle lancette della tecnologia e dell’inclusione, nella vita privata, di eventi pubblici. Un mondo, quello giovanile, troppo spesso lontano dai ”criteri civici” legati al senso di appartenenza. Riscoprire le proprie origini, raccontandosi attraverso il proprio territorio, permette di riacquistare fiducia in se stessi e di attivare quella coscienza critica che permette di fare delle scelte giuste per la collettività. Nascono così quelle proteste che hanno bisogno di recuperare una politica più autentica e meno ”di professione”. Un grido di coscienza da parte di chi ha scelto di ”essere” un cittadino, consapevole di tutti quei diritti e doveri che gli appartengono. Il territorio si sta animando di una partecipazione attiva guidata da giovani e da associazioni che stanno delineano il declino delle forme tradizionali di partecipazione politica: prima il monopolio apparteneva esclusivamente ai partiti. Chi parla di ”gioventù consumata”, di ”identità perduta” deve fare i conti con chi non si è fatto ”modellare” dal tempo che scorre velocemente. Deve considerare quelle persone che han-
no deciso di attivare i propri diritti scegliendo una strada in salita perchè stanchi di giustificare tutte le scelte politiche e affermando ”Sono tutti uguali”. Chi ha deciso di non rimanere nell’angolo in silenzio, ha deciso di ”giocare una partita legata al senso di civiltà” fatta di unione e regole: prendendosi per mano e guardandosi in faccia (citando i girotondini di Nanni Moretti). Bisogna muoversi in maniera circolare per considerare quelle opportunità presenti e trasformarle in carte vincenti per il futuro. Ogni cittadino attivo è responsabile delle sue azioni e di quei diritti che hanno perso di significato: il diritto prima regolava i comportamenti sociali, oggi appartiene a pochi ed è proprio quella cittadinanza attiva che permetterà una rinascita e una presa di coscienza legata al senso di identità e al recupero dei diritti perduti. L’identità di ognuno di noi si forma e trasforma al contatto con l’ambiente esterno, con le opportunità che ci vengono proposte e con quelle che ci creiamo per una crescita personale legata alla vita futura, quella che appartiene a tutti.
A C Q U A ALLA GOLA Pierluca Capurso Antonio Losito Valeria Spada
A
nche ai nostri concittadini più distratti, non sarà sfuggito lo spettacolo che si propone ad ogni acquazzone per le vie del nostro paese: gli allagamenti stradali. Al di là dell’invidia che provano nei nostri confronti i più umidi acquapark d’Italia, non sono molti i benefici che da questa situazione traggono i cittadini, specie se pedoni, i quali non devono badare solo all’acqua che cade dal cielo (come in ogni paese che può definirsi civile), ma anche a quanto è profonda una pozzanghera e a quanto sono alti gli spruzzi provocati dal passaggio di auto poco accorte. Le cause all’origine di tale fenomeno sono molteplici e appartenenti a diverse scale di complessità, ma è bene che della natura antropica di tali cause siano informati tutti quei cittadini che, privi di una conoscenza adeguata sull’argomento, sono portati a fissare il dito e non la luna, addossando al clima che cambia le ragioni del disagio. Per inquadrare correttamente la questione, accenniamo ad una problematica di ambito generale ma - si badi bene- non ancora sovralocale: la carenza strutturale della fogna bianca a Gioia del Colle. La fognatura ha lo scopo di allontanare dall’edificato le acque di pioggia e le acque di scarico domestiche. Questa funzione deve essere soddisfatta tramite un sistema fognario doppio: quello 4 PrimaVera Gioia
che trasporta le acque piovane prende il nome di fogna bianca; esso è separato dalla fogna nera, nella quale confluiscono invece gli scarichi domestici. Una volta invece le civili abitazioni scaricavano le acque piovane su strada o peggio nella fogna nera: problema che nel nostro territorio non è stato affatto appianato in maniera capillare ed esaustiva. Promettendo ai nostri lettori un accurato approfondimento sul tema in una prossima occasione, in fase di apertura della nostra inchiesta, ci limiteremo ad annotare questo dato: il Comune obbliga gli operatori edili a realizzare dispositivi che attuino l’immissione delle acque piovane nel sottosuolo per proprio conto, in maniera puntuale e indipendente da un sistema generale, ma rispetto al quale, come si diceva, il Comune stesso si ritrova inadempiente. La norma cui si fa riferimento è il Piano di tutela delle acque della Regione Puglia, il quale, partendo da approfondita e dettagliata analisi territoriale, dallo stato delle risorse idriche regionali e dalle problematiche connesse alla salvaguardia delle stesse, delinea gli indirizzi per lo sviluppo delle azioni da intraprendere nel settore fognariodepurativo, nonché per l’attuazione di altre iniziative ed interventi finalizzati ad assicurare la migliore tutela igienicosanitaria ed ambientale.
La legge nazionale che regola il trattamento delle acque di dilavamento di prima e seconda pioggia è la 152/2006, Testo Unico dell’Ambiente, su indicazione del quale la Regione Puglia si è dotata del Piano di Tutela delle Acque, D. R. G. 4809 del 04 Agosto 2009 e delle relative Norme Tecniche d’Attuazione.
I pozzi perdenti vengono utilizzati per disperdere nel terreno liquami provenienti dalla chiarificazione, alimentando le falde acquifere. In ogni caso, le più recenti normative nazionali (Dlgsl. n° 152/2002 e successive), recependo quelle Europee, vietano oggi l'utilizzo di pozzi perdenti per lo sversamento di liquami o di reflui industriali tal quali, cioè senza che abbiano subito preventivamente gli opportuni trattamenti di depurazione e affinazione atti al raggiungimento dei parametri previsti per il loro sversamento nel recapito finale, sia esso un corpo idrico o semplicemente il sottosuolo.
Analizzeremo dunque un caso specifico, salito alla ribalta delle cronache locali qualche mese fa: gli allagamenti in via Colacicco. Il fatto è stato oggetto di attenzione perché, a differenza di altri analoghi, ha causato il versamento dell’acqua meteorica, accumulatasi per strada superando abbondantemente la quota dei marciapiedi, nelle asole del piano interrato di alcune palazzine, con danni anche ad attività commerciali oltre che ai box di privati cittadini. Nel caso in questione, i lavori espletati in concomitanza con la realizzazione del quartiere residenziale Sannicola, al fine di raccogliere e smaltire i flussi di dilavamento delle precipitazioni lungo tutta la superficie stradale che collega via Federico II con la via per Acquaviva, per un’area pari all’incirca a 5000 mq, furono eseguiti una ventina d’anni fa dalla impresa edile Stano, che realizzò delle griglie nei punti in cui l’acqua defluiva, raggiungeva la trivella e s’immetteva nel sottosuolo. Non essendoci ragioni per dubitare dell’esattezza e dell’esecuzione a regola d’arte di queste opere (almeno in merito alla funzione di smaltimento delle precipitazioni, che non è l’unico problema da risolvere, come vedremo più avanti), la causa dell’allagamento è da ricercarsi nella scarsa o cattiva manutenzione ordinaria del pozzo disperdente (intervento di competenza municipale, in quanto interessa una strada comunale); condizione alla quale il comune sembra aver posto rimedio non molte settimane fa, attraverso un’operazione di pulitura della trivella. Tuttavia, il corretto funzionamento futuro del pozzo così non è affatto garantito, se non a breve termine, specialmente se si mette in preventivo una manutenzione al pari di quella, le cui conseguenze si pagano oggi. Ma la vera ragione della necessità di nuovi interventi risiede nell’irregolarità tecnica del sistema di drenaggio delle acque al cospetto delle norme attuali, secondo cui esiste l’obbligo a immettere le acque nel sottosuolo, previa depurazione delle stesse. La depurazione consta di tre fasi: grigliatura, dissabbiatura e disoleazione. Di queste, solo la prima è ad oggi garantita. Con buona pace della salute del suolo e…di quella nostra. ¿
foto _ Luigi De Tommaso
Fasi della depurazione 1 Grigliatura delle acque reflue. È uno dei trattamenti meccanici preliminari a cui vengono sottoposte le acque di scarico all’ingresso degli impianti di depurazione per rimuovere e ridurre i materiali sospesi e galleggianti. Ha come scopo principale la rimozione di corpi e oggetti grossolani. 2 Dissabbiatura. È la rimozione di sabbie e solidi inerti, normalmente più pesanti e grossolani degli organici; una
volta separate, le sabbie sono asportate, periodicamente o in continuo 3 Disoleazione. Viene introdotta nel ciclo depurativo, a valle delle griglie e dei dissabbiatori, quando sia accertato che oli e grassi siano presenti nei reflui in quantità tali da influenzare negativamente i trattamenti successivi soprattutto con riferimento ai trattamenti biologici. La disoleazione è un trattamento richiesto in più, rispetto alle norme regionali, dalla provincia di Bari.
PrimaVera Gioia 5
Territorio
ZONE
F:
un modo per non progettare lo sviluppo e la qualità urbana di Gioia del Colle? arch. Daniela De Mattia
I
cittadini che abitano nei pressi dei “servizi di quartiere” (o reinterpretati come tali) delle fatidiche Zone F di Gioia del Colle, ritengono che la qualità della propria vita urbana sia migliorata? Hanno ricevuto un effettivo riscontro positivo dalla presenza di tali “servizi”? Il Piano Regolatore Generale (PRG) di Gioia del Colle, adottato nel 1972, approvato nel 1974 e non adeguato alla Legge Regionale n°56 del 1980, si basa, seguendo la normativa nazionale allora vigente, su un sistema di pianificazione urbana per Zone Territoriali Omogenee (ZTO). Tale sistema suddivideva il territorio in base a precise funzioni e rapporti dimensionali. Vi erano quindi Zone A (edilizia storica), Zone B (zone totalmente o parzialmente edificate), Zone C (zone destinate a nuovi insediamenti), Zone D (insediamenti produttivi), Zone E (zone destinate ad uso agricolo) e Zone F (parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale). Sulle Zone F si faceva ricadere una valenza strategica per la qualità urbana di un comune. La normativa nazionale infatti descriveva le Zone F come dedicate a “spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale” ovvero “attrezzature per l’istruzione superiore all’obbligo (istituti universitari esclusi); attrezzature sanitarie ed ospedaliere; parchi pubblici urbani e territoriali. Le Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del PRG di Gioia del Colle descrivono le Zone F come “Zone di uso pubblico” e le suddividono in: Servizi di quartiere (F1); Verde di quartiere (F2), Scuole superiori (F3); Zone ospedaliere (F4); Parco urbano (F5); Zona per attrezzature sportive e di spettacolo (F6); Autoporto a servizio dello scalo merci (F7I servizi di quartiere (F1) dovevano racchiudere i servizi necessari agli abitanti, ovvero i “servizi per l’urbanizzazione secondaria relativi alle zone residenziali”, come specificato chiaramente all’art. 22 delle NTA, che aggiunge: “In tali zone sono consentite la costruzione di a) asili nido e scuole materne, scuole elementari e medie inferiori (scuola dell’obbligo); b) attrezzature di interesse comune = religiose, culturali, sociali, assistenziali amministrative, per pubblici esercizi, ecc. E’ consentita inoltre la costruzione di abitazioni solo 6 PrimaVera Gioia
per l’eventuale personale di sorveglianza”. Anche la presenza della voce “pubblici esercizi” rimanda ad esercizi in cui si svolge un’attività imprenditoriale tesa sempre all’offerta di un servizio (dare alloggio, somministrare un pasto, consentire l’uso di attrezzature) all’interno di locali accessibili al pubblico, differenziandosi dagli esercizi commerciali. All’art. 23 delle NTA, si definiscono le zone destinate al Verde di quartiere (F2): “Tali zone, individuate ai sensi del D.M. 241968 n. 1444, sono destinate alle aree di verde attrezzato a servizio delle zone residenziali. In tali zone è consentita la costruzione di attrezzature per il giuoco, costruzioni provvisorie per chioschi da adibire a bar ristoro, impianti sportivi per allenamento. Saranno inoltre curate le alberature eventualmente esistenti e la posa a dimora di nuove piante”. Il Permesso di Costruire (PdC) per la realizzazione del centro commerciale “Coop-Le Torri” è stato rilasciato proprio in zona F1 ed F2, ovvero in zone per servizi e verde di quartiere. Vorrei aprire una riflessione tecnica sulla qualità della vita urbana di noi cittadini: vi è stata una corretta dotazione di servizi efficienti? Le infrastrutture, tra cui le strade adiacenti al centro commerciale, sono state qualificate in maniera tale da rispondere alla necessità del quartiere? Si è pensato alla presenza del verde di quartiere che era stato calcolato in quell’area? La qualità del servizio per il quartiere è completamente disattesa in queste operazioni, infatti potrei anche citare le aree adiacenti al cinema multisala. Sottolineo inoltre che la qualità di una strada non è data solo dall’assenza di buche - condizione necessaria per la sicurezza - ma anche dalla corretta progettazione dell’intera sezione stradale, ovvero dal corretto dimensionamento limiti dei marciapiedi, degli attraversamenti e dall’abbattimento delle barriere architettoniche. La qualità di un quartiere non è data solo dalla presenza nelle vicinanze di un supermercato o di un cinema, ma dalla sicurezza della mobilità (pedonale, automobilistica e ciclabile), dalla presenza di spazi per anziani e bambini, dal verde pubblico, dalla sicurezza e dalla qualità delle strutture scolastiche, dalla presenza di reali servizi di quartiere di prima necessità.
Lo stesso PRG comprendeva tra le Zone Produttive e non tra le Zone F la Zona Direzionale e Commerciale, destinata, come riportato dall’art. 18 delle NTA, “a particolari attività commerciali (commercio all’ingrosso, grandi attrezzature per il commercio minuto, super market, ecc.), ad uffici e direzionalità della industria e del commercio, ai necessari servizi ausiliari (comunicazione, credito, ecc.), ad attrezzature per lo spettacolo e per il tempo libero, ad attrezzature ricettive alberghiere e residenziali”. Perché allora continuare a togliere spazio ai veri servizi di quartiere e al verde attrezzato, ormai praticamente assente, senza programmare una corretta distribuzione degli spazi? Quando manca una visione d’insieme, come vengono decise le destinazioni d’uso delle aree urbane? Come vengono disegnate le strade e le piazze in cui si svolge la nostra vita urbana? Curare l’interesse di pochi e “far cassa” nell’immediato spesso porta a danneggiare i reali abitanti dei quartieri e a svalutare gradualmente i loro immobili. Non voglio mettere in discussione l’intervento dei privati, spesso necessario nelle operazioni di trasformazione urbana. Voglio solo affermare che si deve pianificare in nome della qualità della vita urbana dei cittadini: questo deve essere l’obiettivo e la politica può scegliere i metodi migliori, legali e trasparenti per raggiungerlo. Se manca questo obiettivo e resta solo l’uso del suolo senza programmazione e previsione, Gioia del Colle continuerà a perdere qualità e occasioni per elaborare progetti di respiro europeo e per trovare i fondi necessari alla rigenera-
zione urbana, come invece avviene in altri Comuni italiani. Il passaggio dall’obsoleto PRG all’elaborazione del nuovo PUG (Piano Urbanistico Generale), strumento di pianificazione che già dal 2001 avrebbe dovuto sostituirsi al PRG, significherà ridefinire completamente l’impostazione delle Zone Territoriali Omogenee, che diventeranno “Contesti territoriali” su cui si dovranno elaborare previsioni strutturali per l’uso e la valorizzazione delle risorse territoriali e urbane. Si deve quindi cambiare rotta: la città non può più aspettare, perché ce lo impone sia il mercato sia la società. Si devono stabilire precise politiche urbanistiche da promuovere per la pianificazione e lo sviluppo di Gioia del Colle, andando oltre i “recinti” delle libere interpretazioni delle Zone F. Invito infine ad una riflessione attraverso la citazione di un passo dell’articolo “Mediopolis: Forma della città e mutamento culturale” del teorico e storico della letteratura Michele Rak: “Il percorso urbano è un labirinto di formazione: nella strada si imparano le regole per vedere, modi di guardare, canoni della bellezza, etiche, modi d’uso di strumenti attraverso l’ostensione dell’oggettistica ed il grande spettacolo delle merci e dei loro segnali. Nella città si frequenta la diversità. Le strade - come le superfici dei giornali e degli schermi televisivi – sono occupate da insiemi di oggetti, paesaggi, volti e altri materiali che rispondono a canoni, morfologie, soluzioni espressive che provengono da tutte le periferie del pianeta e si presentano sotto forma di abiti, colori, linee, bisogni”. ¿
Via Dante, 80
Politica
GIOIA AL PARLAMENTO: parlano i candidati
Roberta Rizzi |
/roberta.rizzi.31
Il 24 e il 25 febbraio 2013 si voterà per il rinnovo del Parlamento italiano.Abbiamo intervistato i nostri concittadini candidati alle prossime elezioni politiche, allo scopo di capire come, nonostante l’attuale legge elettorale, sia possibile preservare il rapporto naturale di delega e di fiducia tra elettore ed eletto. Mimmo Abbruzzese: “Con Monti per l’Italia”- Camera dei Deputati, 24° posizione Raffaele Buttiglione, Carmine De Vincenzo: “ La Destra” - Camera, 29°; Senato, 13° Mosè Colapinto: “ MS-Fiamma Tricolore” - Camera, 10° Pippo Colapinto: UDC - Camera, 24° Vincenzo Lavarra: 18°
Buttiglione: Attraverso le liste abbiamo voluto garantire la rappresentatività di tutta la Puglia, di ogni Comune in cui esiste un circolo. Trattandosi di una battaglia di simboli e di partito, è importante dare un supporto per consentire l’elezione dei nostri due capolista regionali. Colapinto M.: Sono il segretario della sezione di Gioia del Colle del mio partito e mi è stato chiesto di rappresentare il movimento. Non interpreto la politica come interesse personale, bensì come bene comune: non ho l’ambizione di ricoprire cariche o di “guadagnare poltrone”.
PD - Camera,
Adriano Loporcaro: “ d’Italia”- Camera, 33°
Fratelli
Luca Ludovico: “Fare per fermare il declino”- Camera, 19°. 1)Cosa l’ ha spinta a proporre/ accettare la candidatura per un seggio da deputato al Parlamento? Abbruzzese: La mia candidatura è espressione di un lavoro collegiale nell’ambito del gruppo di Gioia Futura e l’ho accettata con 8 PrimaVera Gioia
entusiasmo e spirito di collaborazione. Sono un neofita della politica alla sua prima esperienza diretta ma da sempre la seguo con passione.
Colapinto P.: Io sono il coordinatore della sezione UDC di Gioia del Colle: si è optato per la mia candidatura , cioè quella di una persona giovane , attiva sul territorio,volenterosa, per fornire un’alternativa ai soliti volti della politica. Lavarra: La candidatura, propostami dal segretario nazionale del PD, è stata per me motivo di soddisfazione e di orgoglio: ha corrisposto , infatti, al riconoscimento del valore strategico, nell’ambito del programma econo-
mico per la rinascita dell’Italia, dell’agro-alimentare, settore di cui mi occupo da anni. Loporcaro: Ho accettato perché la mia candidatura è nata come espressione della volontà di un gruppo di persone, collocate nell’area di destra, con cui collaboro da diversi anni e condivido ideali e intenti. Mi riempie di orgoglio l’averla ricevuta a 26 anni, che è l’età minima per essere candidato. Ludovico: La scelta è stata dettata sia dal senso civico nei confronti di un Paese che necessita di un rinnovamento della classe politica, sia dalla voglia di dare concretezza in prima persona ad un cambiamento di tendenza, condividendo appieno quanto enunciato dal programma di Giannino. 2)Quali sono le priorità, secondo lei, che in questo particolare momento un aspirante onorevole “ deve porsi per ridare credibilità e spessore alla classe politica? Abbruzzese: Il dogma principale, per quanto abusato e banale, dovrebbe essere quello dell’onestà. Faccio riferimento alle società anglosassoni e al loro spiccato senso civico: la politica deve mettersi al servizio della comunità. Per garantire un buon funzionamento delle istituzioni, bisognerebbe, inoltre, rispettare le professionalità e riconoscere i propri limiti. Buttiglione: Noi siamo il nuovo, non c’entriamo niente con le scelte politiche del recente passato. Abbiamo avuto diverse proposte da parte di politici navigati, fuoriusciti da altre formazioni di destra ma noi abbiamo optato per volti nuovi, con un profilo personale pulito,come i nostri capolista regionali, appena trentenni.
Colapinto M.: Oggi è indispensabile andare controcorrente. Il nostro programma è incentrato sul lavoro, sull’assistenza ai più deboli, su principi nazionalisti, lontano dagli interessi personali dei politici. Tra di noi non c’è nessun professionista della politica. Colapinto P.: Bisogna dare dei segnali forti, cambiare tutto il sistema. Bisogna rinnovare, ringiovanire la classe politica, scegliendo figure di giovani validi, che capiscano i veri bisogni dei cittadini. Lavarra: Il mio partito ritiene necessario recuperare il rapporto di fiducia con i cittadini: ciò è possibile attraverso la lotta ai privilegi e alla corruzione e selezionando una classe politica competente, fresca, come abbiamo voluto evidenziare con le Primarie. Loporcaro: Fratelli d’Italia ha puntato su: giovani, territorio, presentabilità dei nomi, competenze. Ciascun candidato ha firmato la dichiarazione di non essere sottoposto ad alcuna indagine giudiziaria; sono state privilegiate personalità attive e legate al territorio,con un background di idee. Ludovico: Garanzia di credibilità e trasparenza è stata per noi candidare neofiti della politica, nessuno che l’abbia praticata negli ultimi 10 anni. Quale biglietto da visita migliore per gli elettori?Il nostro programma è esso stesso manifesto del nostro spirito di concretezza e di chiarezza. 3)Riconducendoci all’etimologia della parola “deputato”, quali saranno le proposte, i progetti inerenti e provenienti dal PrimaVera Gioia 9
suo territorio (Gioia del Colle e, più in generale, la Puglia) dei quali si renderà portavoce e promotore a Roma, qualora dovesse essere eletto? Abbruzzese: L’ambito di maggiore attenzione deve essere quello del potenziamento dei servizi e delle infrastrutture, spesso carenti, per fornire un supporto adeguato alle attività produttive del territorio e alla sua naturale vocazione a polo di attrazione turistica. Buttiglione: La nostra proposta è quella di potenziare la risorsa principale della Puglia rappresentata dal turismo. Bisogna riqualificare i centri storici, rivalutare chilometri di coste con lo sviluppo, ad esempio, dei porti turistici: incentivare il turismo significa creare posti di lavoro per i giovani. Colapinto M.: Bisogna valorizzare il territorio e i prodotti locali, proteggendoli dall’importazione di beni esteri; bisogna alimentare il turismo, dare maggiore spazio all’agricoltura. La Puglia è una terra ricca: bisogna difendere le tradizioni locali perché rappresentano la nostra identità. Colapinto P.: Il nostro sforzo principale, come UDC, sarà quello di promuovere e difendere l’occupazione giovanile in Puglia: troppo poco è stato fatto sia dall’attuale amministrazione regionale che dal governo centrale. Lavarra: La Puglia è una regione che, come specificità e caratterizzazione nel settore agro-alimentare, non ha eguali in Italia. Diverse sono le nostre proposte: riconoscimento della tutela normativa dei prodotti tipici locali (inclusa la mozzarella gioiese e 10 PrimaVera Gioia
il vino primitivo); creazione di una task- force per la ricerca applicata al settore; investimenti a sostegno del ricambio generazionale e di modelli aziendali più dinamici. Loporcaro: Prioritari sono : la valorizzazione dei prodotti tipici (riconoscimento della mozzarella di Gioia, del vino), il potenziamento del settore turistico, il sostegno al “distretto dei divani”(Santeramo). Bisogna aiutare le piccole e medie imprese del nostro territorio e rilanciare i consumi. Ludovico: Il nostro territorio è la culla di molte menti brillanti: esse hanno bisogno di maggiori opportunità per emergere. Dobbiamo offrire loro la possibilità di scegliere, promuovendo la meritocrazia e il talento. Oggi abbiamo bisogno di maggiori infrastrutture che funzionino e di servizi adeguati (istruzione e sanità), sebbene, forse, il bisogno principale sia quello di ricominciare a credere. 4)Qual è la sua opinione sulla legge elettorale in vigore? Come si possono combinare i concetti di scelta e di rappresentanza, insiti nel voto democratico, con un listino di nomi dettati dall’alto? Abbruzzese: Uno dei cardini del nostro programma è proprio la riforma della legge elettorale: essa costituisce un’aberrazione, consentendo il proliferare di liste e di giochetti di numeri e coalizioni. Buttiglione: Con questa legge non esiste una competizione vera tra candidati. Noi siamo a favore di un sistema misto, fondato su un estremo rigore nella scelta dei candidati: una parte dei nomi
scelta dalle segreterie, l’altra decisa dai cittadini con la reintroduzione delle preferenze. Colapinto M.: Noi contestiamo questa legge che costringe ad alleanze con i grossi partiti per poter accedere alle istituzioni: noi siamo alleati con il popolo, per questo corriamo da soli, anche se i numeri ci sono ostili. Colapinto P.: E’ un insulto alla democrazia che l’elettore non possa scegliere il proprio rappresentante in Parlamento. Questo meccanismo elettorale impedisce, inoltre, una valorizzazione delle figure che si spendono quotidianamente sul territorio. Lavarra: La riforma della legge elettorale sarà una priorità nella prossima legislatura. Abbiamo ovviato a questo vulnus con le Primarie, utilizzate per la scelta sia del candidato premier che di una quota di parlamentari: hanno sicuramente rappresentato un grande momento di democrazia per i cittadini. Loporcaro: Fratelli d’Italia è nata proprio in seguito alla negazione delle primarie nel centrodestra: abbiamo cercato di compensare con la scelta di candidati radicati sul territorio. Noi siamo favorevoli ad un ripristino delle preferenze : il cittadino deve poter scegliere e chiedere conto al suo rappresentante. Ludovico: È la legittimazione di una dinamica che mortifica la democrazia e la libertà di scelta: ecco perché reputiamo necessario un cambiamento radicale, che permetta l’espressione di un voto libero e non “indirizzato” verso una gamma di scelte “preconfezionate”.¿
Germana Barba
È
un buon momento per scrivere della mia città. Non solo perché me lo hanno proposto gli amici di PrimaVera Gioia, ma anche perché da un paio di anni ci torno leggermente più spesso e non mi sento più un’estranea a casa mia, come è stato per diversi anni. In genere chi resta critica chi parte e chi parte non sempre comprende che anche restare è una scelta.A Gioia mi sono formata, intellettualmente e culturalmente. Certo, anche l’educazione che ho ricevuto dopo è stata importante, ma quando sono andata via, ero grosso modo quello che sono ancora oggi. A 17 anni avevo già fatto la mia prima esperienza politica, suonato nella mia prima band, pubblicato i miei primi articoli e formato la maggior parte delle idee che ho ancora oggi. È stato dunque naturale, appena ne ho avuto la possibilità, voler esplorare altre realtà, altri mondi, altre culture.In questi ultimi 17 anni ho vissuto in città grandi, piccole, in Italia e all’estero. Ho trascorso quattro anni a Gorizia e a Trieste, città straordinarie di confine, che mi hanno aperto la mente alla cultura mitteleuropea, alle comunità armena, austriaca, slava e ebraica, ai grandi scrittori Claudio Magris, Pedrag Matvejevic, Carlo Sgorlon, Enzo Bettiza e a rileggere Italo Svevo con una luce nuova. Ho potuto anche re-interpretare il tema del Mediterraneo, a me già caro fin da adolescente, in una prospettiva più allargata. Il Piccolo, storico quotidiano di Trieste, per il quale ho avuto l’onore di scrivere durante gli anni universitari, è stato sempre molto attento alle cronache degli affari esteri, dai Balcani al Medio Oriente, e mi ha permesso di sviluppare i contatti che mi hanno consentito di dedicare la mia tesi di laurea al Partenariato Euro-mediterraneo e di pubblicarla con una prefazione di Giancarlo Elia Valori. A Parigi ho stu-
diato economia e management, ma soprattutto mi sono immersa completamente nella pigra intellettualità dei francesi, nel loro amore per il dibattito e per la provocazione. A Londra mi sono specializzata in Affari Internazionali e Affari Europei e oggi ho la fortuna di lavorare in questo ambito per una multinazionale che ha la sua sede mondiale in Svizzera. Grazie al mio lavoro, ho la possibilità di viaggiare molto, di continuare a confrontarmi con persone che hanno stili di lavoro e mentalità molto diverse. Circa quattro volte all’anno, ho l’opportunità di frequentare gli incontri dell’Aspen Institute a Roma insieme ad altri giovani professionisti italiani e stranieri. È raro che in questi incontri ci siano persone che non hanno mai lasciato il proprio luogo di origine e, invariabilmente, alla fine di lunghe e faticose discussioni sul futuro dell’economia o sulla caratteristiche della buona leadership, ci ritroviamo sul divano di qualche albergo a parlare delle nostre vite private un po’ meravigliose e un po’ precarie, e delle nostre famiglie che ci sostengono a migliaia di chilometri di distanza con il loro affetto e la loro fiducia in noi.Ovunque io abbia vissuto, ho portato con me le cose che mi stanno più a cuore, la giustizia, la meritocrazia, la condizione femminile e l’amore per la cosa pubblica. Per la politica. In tutte le cose che ho fatto, e che faccio, ho trovato persone che hanno creduto in me puramente sulla base delle mie capacità. È una sensazione indescrivibile. Credo che in fondo questo sia l’unico, vero motivo che mi ha spinto ad allontanarmi dal luogo in cui sono nata. Ma non ne avrei mai avuto la forza se non fossi stata solida dentro di me, se mio padre non mi avesse insegnato l’onestà prima di tutto, se mia madre non mi avesse circondato di libri fin da piccola, se i meravigliosi insegnanti della Lo-
PrimaVera Gioia 11
Quando tornerai...
Quando tornerai...
sapio e poi del Liceo Classico “Publio Virgilio Marone” non mi avessero inculcato la disciplina, la profondità, l’amore per la storia, per i Romani, i Greci e per l’arte.È un momento importante per l’Italia. Noi Italiani all’estero osserviamo quello che succede, trattenendo il respiro e attendendo con ansia di partecipare al voto. Anche Gioia vive una nuova fase politica che deve fare i conti con la crisi economica e le scarse speranze dei giovani nel proprio futuro. Ma Gioia è sempre stata un laboratorio di idee e di progetti in cui ogni ragazzo e ragazza può trovare la propria ispirazione. La nascita di questo bellissimo giornale ne è la prova, insieme alle tantissime iniziative nella cultura, nello sport, nella pubblica amministrazione, che sono fiorite negli ultimi anni. Gioia può e deve continuare ad attrarre realtà produttive nel proprio territorio, a promuovere la propria cultura gastronomica e vinicola, a creare sinergie con le altre realtà pugliesi per offrire ai visitatori un’esperienza unica di luoghi, sapori, storia e ospitalità, senza dimenticare la necessità di infrastrutture efficienti e di servizi moderni. Dobbiamo farlo tutti insieme perché solo insieme si possono raggiungere grandi risultati. Io cerco di fare la mia parte, promuovendo la nostra bellissima terra con gli amici e con i colleghi, ogni volta che posso. L’anno scorso ho scritto un romanzo, Sette Volte, ambientato, in parte, in Puglia e pubblicato da un editore pugliese.Infine, se posso esprimere un desiderio per la mia città, è che possa guardare ai giovani e alle donne come una risorsa presente e non futura, che riesca ad abbandonare i familismi e i classismi, che sia capace di non perdere mai il senso della comunità che è il fattore educativo più potente che esista.¿
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METROPOLI E PROVINCE: UNA CONFUSIONE INEVITABILE PER UNA POLITICA CHE NON SA PIU’ EVOCARE
Prof. Francesco Cafaro
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ochi anni fa ebbi modo di discutere al Viminale con il Sottosegretario all’Interno di allora, il leghista Sen. Davico, su un mio contributo amatoriale sul tema delle città metropolitane e delle province italiane. Sottolineo “amatoriale” poiché sul piano accademico il tema non è di mia competenza, ma ritengo debba comunque essere espressione di una visione territoriale, di poetica, quindi dei sogni di un cittadino. Fu un incontro schietto, molto rispettoso, ma purtroppo il mondo politico ha continuato negli ultimi anni a ragionare in termini indistinti per i grandi nodi urbani e per gli ambiti di pregio rurale e naturalistico, quasi essi si debbano confondere tramite alchimìe amministrative. L’assenza di una visione nuova del territorio (e per questo possiamo mettere
sul banco degli imputati sia il governo nazionale che gli enti locali) ha aperto la strada a perimetrazioni schizofreniche per le città metropolitane: l’adesione ad esse, per mero tecnicismo e semplice rincorsa di finanziamenti, è stata vista come un bene di per sé, per qualsiasi comune italiano che potesse aderire in conformità al decreto del 2012, snaturando il significato che il Parlamento volle assegnare agli enti metropolitani legiferando nel 1990. Chi si avventura a contestare l’idea che una metropoli troppo vasta sia un errore, si sentirà tacciare probabilmente di ignoranza sui criteri scientifici attuali per definire le reti materiali e immateriali, i nuovi assetti territoriali e le dinamiche socio-economiche transprovinciali. Poco male, perché qui non si vuole negare la possibilità di scale di analisi molteplici. Tuttavia una città, anche quando “metropoli multimunicipale”, è prima di tutto una comunità che deve sentirsi “confinata” in modo chiaro, per consentire che si sviluppi un senso di appartenenza. Sono anche convinto che l’approccio semantico comporti conseguenze sostanziali: l’aggettivo “metropolitano” è, nel sentire comune (magari ingenuo ma condizionante), qualcosa che attiene ambiti a forte densità abitativa ed elevata attrattività direzionale. In questo senso, sussistono rischi ad attribuire la denominazione di città metropolitana a zone in cui andrebbe invece esaltata, valorizzata sul piano del marketing culturale e turistico, proprio la percezione opposta, ossia quella di “riserve paesaggistiche” o comunque di ambiti tipizzati in modo differente rispetto alle metro-
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Territorio
poli sensu stricto. Penso alle Dolomiti nel nord-est, alla Valle d’Aosta, al Parco dell’Alta Murgia, al Parco Nazionale d’Abruzzo e via discorrendo. Una percezione distorta, una poetica impropria, aprirebbe la strada ad omologazioni paesaggistiche. Mi pare del tutto evidente che il comprensorio denominato Trulli-Mare-Grotte, in sostanza l’ambito compreso tra Polignano e Fasano lungo la costa ed esteso fino all’intera Valle d’Itria, non debba condividere gli stessi criteri di gestione territoriale della prima cintura barese che vede Triggiano, Capurso, Mola e la stessa Casamassima condividere con la città di Bari, in stretta integrazione, infrastrutture di trasporto, vie di comunicazione, parchi commerciali e, soprattutto (ma guai a dirlo in questi tempi di ipocrisia ecologista!), la possibilità di trarre beneficio “estetico” nel configurare i loro territori municipali come “metropolitani”, anche in termini di imponenza e densità degli interventi edilizi. Il punto è comprendere che il criterio evocativo del paesaggio, che genera cultura, senso civico, impresa, commercio e turismo, non può essere lo stesso ovunque. Occorre contestualizzare il giudizio estetico: un muretto “a secco” tradizionale non è bello sempre e dovunque, un grattacielo non è bello sempre e dovunque. Sarà ingenuo o forse banale per i professionisti della complicazione tecnocratica, della definizione di reti impalpabili (talvolta sovraregionali) che l’urbanista coglie ed il cittadino no, ma io credo ancora che non si possa coniare un ente geografico-amministrativo senza che il suo perimetro esprima un “varco” paesaggistico, delle nuove mura che segnino il distinguo normativo per considerare bello o brutto un intervento edilizio o infrastrutturale. Credo inoltre che pochi abbiano colto in questo distinguo l’auspicabile possibilità di tipizzare la sana provincia italiana anche in termini di stile economico differenziato, basato sul piccolo negozio, sull’artigianato, sul turismo. Insomma, se avessimo sensibilità civica diffusa si potrebbe schermare Alberobello dagli ipermercati anche in assenza di norme, ma nel nostro tessuto sociale occorrono purtroppo vincoli per la tutela, vincoli che sarà difficile indirizzare se il rango amministrativo delle colline itriane e murgiane, dell’agro di Gioia del Colle sarà lo stesso di Modugno o di Valenzano. Non ci sono dubbi che Bari abbia bisogno di ricalibrarsi come metropoli, sia per ragioni di facies territoriale che per ottimizzare l’ambito di servizi pubblici quali igiene, trasporti, sanità, sicurezza. Connotare però tutta la Terra di Bari, dall’Ofanto alla Selva di Fasano, come unico distretto metropolitano (e lo dico da barese che ha a cuore non solo le sorti del capoluogo regionale) sarebbe un crimine politico dalle conseguenze forse irreversibili. ¿
Politica
Bando Ufficio Tributi: necessità o opportunità? Dario Magistro |
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/Dario.Magistro223
Gioia, ogni qualvolta si parla di amministrazione Povia, troverete sempre due fazioni. Da una parte, forse la più pragmatica, ci saranno i sostenitori del “feudatario Sergio”, sempre pronti a firmare e a controfirmare delibere, indirizzi e pareri vari. D’altra, in antitesi e il più delle volte accompagnato da un livore-fervore, scevro da proposte ma comunque sempre pronto a far rispettare norme e leggi, prenderà posto quel raggruppamento più comunemente noto con il termine di “opposizione”. La nuova battaglia tra questi Guelfi e Ghibellini dei giorni nostri ha come leitmotiv il bando riguardante l’Ufficio Tributi. Per inciso, onde evitare sia l’ira del nostro Sindaco sia di cadere in errore, non si parla di esternalizzazione del suddetto ufficio ma “solo” di affiancarlo ad un’azienda del settore, vincitrice del bando. Detto ciò, cerchiamo di capirne qualcosa in più. Il bando riguarda l’affidamento delle attività di supporto per la riscossione spontanea e di accertamento (stampa, spedizione e rendicontazione) della tassa sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARES), dell’imposta comunale sulla pubblicità, del canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari, del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa sull’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche, dell’imposta comunale propria (IMU), dell’assistenza legale per la riscossione coattiva dei tributi comunali, delle sanzioni relative a violazioni dei regolamenti comunali, degli oneri di urbanizzazione, delle rette per il trasporto scolastico, delle rette per l’asilo nido, della refezione scolastica e di tutte le altre entrate comunali. Tale appalto avrà durata pari a 5 anni (rinnovabile per altri 3-6 mesi). Per fare tutto ciò, la percentuale spettante all’appaltatore, al netto degli oneri fiscali, sarà costituita dall’aggio richiesto a ribasso dalla ditta aggiudicataria, in sede di offerta, rispetto ai seguenti aggi stabiliti in sede di gara: - del 3% della riscossione spontanea TARSU/TARES, da calcolarsi sulla somma incassata sul conto corrente postale o bancario intestato alla tesoreria comunale; - del 2% della riscossione IMU da calcolarsi sulla somma incassata sul conto corrente postale o bancario intestato alla tesoreria comunale;
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- del 20% della riscossione spontanea TOSAP, PUBBLICITÀ, PUBBLICHE AFFISSIONI E CANONI IMPIANTI PUBBLICITARI da calcolarsi sulla somma incassata sul conto corrente postale o bancario intestato alla tesoreria comunale; - dell’8% dell’accertamento TARSU/TARES, IMU, TOSAP, PUBBLICITÀ, PUBBLICHE AFFISSIONI E CANONI IMPIANTI PUBBLICITARI da calcolarsi sulla somma incassata sul conto corrente postale o bancario intestato alla tesoreria comunale; - del 9% della riscossione coattiva TARSU/TARES, IMU, TOSAP, PUBBLICITÀ, PUBBLICHE AFFISSIONI, CANONI IMPIANTI PUBBLICITARI, delle sanzioni relative a violazioni ai regolamenti comunali, degli oneri di urbanizzazione, delle rette per il trasporto scolastico, delle rette per l’asilo nido, della refezione scolastica e di tutte le altre entrate comunali da calcolarsi sulla somma incassata sul conto corrente postale o bancario intestato alla tesoreria comunale. Verosimilmente, utilizzando queste percentuali (che, per dovere di cronaca, il PD sta cercando di abbassare), l’azienda vincitrice dell’appalto incasserebbe un introito annuo di circa € 300.000, per un totale di € 1.500.000 in 5 anni. Tranquilli, non siamo diventati improvvisamente dei mecenati! Dal canto suo, infatti, l’azienda, dopo aver designato un suo funzionario responsabile, dovrà fornire un’architettura tecnologica basata su un sistema informatico in grado di gestire l’intero processo di riscossione e rendicontazione di tutte le entrate del Comune, monitorandone il gettito e fornendo una serie di strumenti atti a valutare l’efficacia impositiva nei confronti dei cittadini (tracciatura delle singole posizioni – movimenti\azioni). Inoltre, al termine dei 5 anni, l’appaltatore è obbligato a cedere gratuitamente al Comune la banca dati comprensiva di tutte le elaborazioni effettuate. A detta del nostro Sindaco, attraverso questo affiancamento, al Comune verrà garantito sia un forte ammodernamento tecnologico con la messa in rete degli uffici che porterà presumibilmente ad uno snellimento delle pratiche, sia un concreto aumento degli introiti che sarebbero ricavati da una panoramica telematica di ogni singolo contribuente (si sa…le “macchine” raramente sbagliano…) ma soprattutto dalla cosiddetta “riscossione coattiva” dei crediti vantati dalla Pubblica Amministrazione. Ovviamente, letto in questi termini, il bando sembrerebbe quantomeno una buona alternativa di supporto ad un ufficio sempre più depotenziato ma, da osservatori attenti quali siamo, si notano con estrema facilità alcune “crepe strutturali”. In primis , gli aggi a base d’asta, specialmente per le imposte volontarie (IMU-TARES) in cui l’unico impegno dell’Ufficio Tributi sarebbe quello di controllare “a campione” alcuni modelli F24, sono estremamente alti così come la riscossione al 9% sugli oneri di urbanizzazione. Se sui primi (IMU-TARES) fondamentalmente si parla solo di numeri, sugli oneri c’è da chiedersi perché, per molti anni, la riscossione praticamente non sia avvenuta o quantomeno non sia stata efficace. Ma andando al cuore del problema, stride con il profilo di convenienza per la comunità la totale mancanza di operazioni d’aggiornamento per gli attuali dipendenti dell’Ufficio Tributi, il mancato obbligo
dell’azienda di cedere non solo la banca dati ma anche l’hardware e il software utilizzati e, infine, la mancanza di una linea precisa in caso di contenziosi vari (per quel che evince dal bando in nostro possesso, questi sarebbero solo a carico del Comune e non dell’azienda). Se, come dice Povia, certe scelte fanno parte di un’idea precisa di “città futura”, moderna ed auto-sostenibile, come si fa a credergli se, proprio da questo bando, si evince una mancanza di progettazione? Si dà il caso infatti che, senza una formazione continua del personale, una volta scaduto l’assegnamento, potremmo anche aver ottenuto banche dati e software specifici ma non saremmo in grado di usufruirne. Ergo, dovremmo ricominciare tutto dall’inizio. Detto ciò, più che parlare di progettazione, si dovrebbe forse considerare questo bando come un mezzo per arginare nell’immediato l’emergenza economica che stiamo vivendo ma, a questo punto, un bando quinquennale può essere considerato quantomeno eccessivo. Poi, se si parla di crisi economica, come mai ci possiamo permettere il sopra citato esborso di 300.000 € annui? Qualcosa insomma non è chiaro. Contribuisce alla nebulosità del tema la mancanza di uno studio tecnico che, analizzando tutte le alternative possibili, possa spiegare alla cittadinanza la reale convenienza di questo bando. In una situazione del genere, di conseguenza, risulterà estremamente facile per un qualsiasi cittadino immaginare che tutto ciò serva per accontentare qualcuno. A tal
proposito, Povia rassicura che la gara sarà “pulita” e che non c’è alcun tipo di accordo sotto banco. In buona fede, se non altro per la figura istituzionale che rappresenta, ognuno di noi dovrebbe credergli! Certo, dovremmo anche tapparci le orecchie dinanzi a quella serie di detrattori e bookmakers locali che quotano a 1,20 l’azienda CE.R.IN come vincitrice del bando. Ma torniamo alle alternative: possibile che non ce ne siano? Non converrebbe alla comunità acquistare - e non “noleggiare” - il software e contestualmente assumere, con modalità compatibili con il nostro stato finanziario, un nuovo dipendente che garantisca sia il supporto che la formazione del personale già presente in organico? In fondo, è così che si fa in tutte le aziende! Oppure, se il problema riguarda proprio l’organico carente dell’Ufficio Tributi, non sarebbe altresì possibile una mobilità interna atta a ripotenziarlo e a fornire le risorse umane necessarie allo svolgimento dei vari compiti? Se poi il problema riguarda, come in molti sostengono, una sorta di incapacità da parte dei funzionari dell’Ufficio Tributi ad adempiere ai propri obblighi, andrebbe percorsa una strada diversa che facesse tornare in auge i criteri di competenza e di merito che più volte sembrano venire a mancare. Concludendo, questo bando andrebbe preso in considerazione solo e soltanto se accompagnato da uno studio specifico che indichi alla cittadinanza la sua assoluta necessità. In caso contrario, ogni dubbio sarebbe legittimo. ¿
Teatro
Fiamma Mastrapasqua Vanni La Guardia | /vanni.laguardia Filippo Linzalata| /filippo.linzalata “Senza confini. Ebrei e zingari” di Moni Ovadia, andato in scena al teatro Rossini di Gioia del Colle lo scorso 29 gennaio, è un concerto-spettacolo che, muovendosi tra parola che si fa memoria ed ironia sconfinante nella cronaca politica odierna, tra le melodie klezmer sprigionate dalla multietnica Moni Ovadia Stage Orchestra, narra le vicende di due popoli fratelli, Ebrei e Rom, costretti entrambi al nomadismo per sfuggire alle persecuzioni, quindi senza terra o burocrazie e tuttavia popoli per anima e cultura.
MONI OVADIA intervista al cantore della Memoria
Quando Ovadia legge: “Puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina. Dicono che siano dediti al furto. Le nostre donne li evitano perché si è diffusa la voce di alcuni stupri. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere” e rivela poi che si tratta di una Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso Americano sugli immigrati italiani del 1912, ci si rende conto che i popoli fratelli possono diventare intere moltitudini, perché il Destino è cieco. Il teatro esplode in un applauso fragoroso: ci si chiede quanto questo esprima convinta adesione alla battaglia contro il pregiudizio o mascheri l’ipocrisia di quei credenti praticanti che affollano le chiese ma le cui parole ed azioni riportano dritte alla Dogville di Lars von Trier.
Dei tanti spettacoli che ha fatto, nei suoi anni di carriera, ce n’è uno che le è rimasto più a cuore rispetto ad altri? Come cambia il rapporto con il pubblico, da spettacolo a spettacolo? Lo spettacolo che mi ha permesso di iniziare il cammino radicale verso questo mestiere è Oylem Goylem, uno spettacolo di teatro cabaret che ha avuto un successo iperbolico e che continuo a fare da vent’anni. Il rapporto con il pubblico dipende dal feedback che si crea: ogni sera è completamente diverso. È veramente una delle cose più belle del teatro, questo rispetto al cinema è un vantaggio: ogni sera è una sera diversa, è una sera che muove emozioni diverse. Quand’è stata la prima volta che è salito sul palco e cosa ha provato? Dopo tanti anni è sempre la stessa passione che la spinge a recitare? Fatico a ricordare la prima volta sul palco … Sono cinquant’anni lavorativi. Ho iniziato quando avevo quindici o sedici anni con il gruppo scolastico come amateur e da allora mi sono sempre trovato a mio agio sul palcoscenico, non ho mai avuto la sensazione di non essere a casa mia. È stata una cosa abbastanza naturale, è la ragione che mi ha portato a fare questo mestiere, il fatto di essere a mio agio. Non mi sono mai sentito inappropriato a teatro. E’ importante stabilire immediatamente un ponte comunicativo alimentato dalla passione. Nel momento in cui non ci si emoziona e non ci si appassiona, non ha senso continuare questo mestiere. Infatti fatico a capire quelli che lo fanno per mestiere: se ti manca l’emozione, anche quel sentimento di rischio, ritrovarti, avrebbe poco senso. Un’emozione particolare che non dimenticherà mai di questi anni sul palcoscenico… È difficile per me dirlo. Una è stata sicuramente con l’Oylem Goylem. Dopo il debutto a Roma nel ‘93, quando lo feci a Milano scoppiò il delirio: c’erano novecento persone a sera: fu il finimondo! Quella fu un’emozione molto forte. E l’altra grande emozione indimenticabile, forse la mia più grande impresa personale come teatrante, è aver recitato un mio spettacolo tratto da un libro russo-sovietico “L’armata a cavallo con Anya” a Mosca in russo. Non ero mai stato a Mosca e la prima volta che ci sono andato ho recitato in russo! Avevo la più grande paura che abbia mai avuto in vita mia. Il pubblico russo è uno dei pubblici più raffinati, più colti e quindi più duri. È stato un trionfo inimmaginabile e, dal punto di vista dell’impatto, un’emozione violentissima. Ovazioni interminabili, un trionfo, mi guardavano come se fossi la Madonna! Qual è la missione del teatro? Qual è la sua personale missione? La missione del teatro è quella di celebrare l’essere umano nel-
le sue verità di tutti gli aspetti: depravate, sublimi… è il sacrario della centralità dell’essere umano. William Shakespeare in questo è il numero uno, ha tracciato l’essere umano in ogni suo aspetto e ha anticipato tutto. Si stenta a credere che un uomo solo abbia potuto fare tutto questo. Il teatro inaugura anche la civiltà greca: la civiltà dell’uomo che riconosce se stesso come protagonista della vita e attraverso il teatro si esprime al suo massimo livello. Ritengo che ogni essere umano degno di questo nome debba dare il suo contributo a costruire la giustizia sociale su questa terra, questo è quello che cerco di fare. Non esiste una società “giusta” che sia brutta. Ecco perché dunque anche l’aspetto estetico è uno strumento di ricostruzione. Il “bello” teatrale può essere un personaggio piccolo che è gigantesco nella sua anima. Può essere un personaggio brutto, nel senso convenzionale, ma che è bello dentro ed esprime cose mirabili. Io mi dedico a questo: raccontare la condizione di straniero, di esilio, che sono condizioni di splendore dell’essere umano. Essere insieme alto e basso. Nulla come il teatro riesce a esprimerlo, raccontiamo le epopee dei popoli senza tante comparse. Uno dei più grandi geni della storia del teatro è Dario Fo, un uomo con un maglione nero e un microfono appeso al collo che ha raccontato l’epopea dei poveri cristi in tutti i tempi. I poveri cristi diventano eroi epici nel teatro. È questa la grandezza del teatro: riportare a noi con un gesto, con un racconto, con uno sberleffo, folle e folle di gente. L’attore è molto fragile e nevrotico però è interessante per questo, perché incarna bene l’uomo con le sue debolezze e vanità. C’è quel pezzo pazzesco del Macbeth in cui Shakespeare dice che “La vita è un gran teatro e gli uomini sono attori che si agitano sulla scena della vita come delle povere banderuole.” Tutti dovrebbero fare teatro, perché t’insegna la responsabilità, la relazione con il tuo prossimo attraverso la rappresentazione dei ruoli, la fiducia, dipendendo dall’altro che è con te… puoi esprimerti, attraverso il personaggio oppure attraverso l’ideazione di rappresentazioni. Fatelo il teatro, fatelo, vi darà occasioni e cose indimenticabili davvero! Come si vede negli anni a venire? Vede la sua vita sempre in teatro? Se la politica non distruggerà la possibilità di fare teatro in questo Paese, continuerò a farlo. Ho 67 anni e ho fatto tante cose, ho fatto la vita che ho voluto e non ho paura, qualcosa faccio e non ho grandi esigenze ma ho pensato a cosa faranno i giovani attori. Fortunatamente questa non è una tendenza europea. La Germania, l’Olanda, la Francia ne sono esempi! Penso che si andrà avanti ma bisogna aspettare una svolta politica. Qui la prima cosa che tagliano è la cultura, quando basterebbe tagliare sulle spese militari, eppure la cultura è fonte di reddito! Tutti gli indicatori e le ricerche dicono che i Paesi che investono sulla cultura sono più prosperi! Il teatro fortunatamente non ha età. Adesso vorrei scrivere due trattamenti cinematografici, mi son venute un paio di idee, vediamo… Quello che c’è da fare si fa, senza paura! ¿ PrimaVera Gioia 17
Innovazione
Nuove Imprese Laura Castellaneta |
/ laura.castellaneta.7
Sei sempre stato vicino al mondo dell’arte che hai sperimentato in passato sotto altre forme. Come e quando ti sei approcciato alla lavorazione del legno? Ho cominciato a coltivare l’amore per le piante, creando bonsai. La vicinanza a questo mondo ha destato in me la curiosità di capire cosa ci fosse dietro la corteccia. All’epoca facevo l’allestitore fieristico e quando ritornavo a casa, mi dilettavo a tagliare lettere per portachiavi. Del legno mi ha appassionato subito l’odore e le prime esperienze con la gente, che rispondeva positivamente alle mie creazioni, mi hanno dato la forza per fare di una passione un mestiere. C’è qualcuno che ti ha seguito e ti ha aiutato a conoscere i segreti di un mestiere che sta via via scomparendo? Ho intrapreso l’attività da autodidatta, ritrovandomi in un mondo complicatissimo fatto di tecniche e segreti che non puoi scoprire in maniera autonoma, quindi ho scelto di girare per botteghe di vecchi artigiani e restauratori a Gioia e dintorni e, quando avevo bisogno di qualche consiglio, mi rivolgevo a loro. In tempi successivi ho incontrato il maestro Benito Tateo ed ho abbandonato il mio business per dedicarmi solo ai suoi insegnamenti: è stata un’esperienza incredibile perché era in grado di plasmare la materia come nessuno era capace di fare. Così si è creato un rapporto sinergico allievo-maestro e grazie a lui ho perfezionato l’arte dell’intaglio, affinando sempre di più le tecniche acquisite. Cosa caratterizza più nello specifico la tua produzione? Prima di tutto l’utilizzo di tante specie di legno diverse, più di 30 provenienti da tutto il mondo. Si tratta di legni particolari che non si usano per la falegnameria, ma che hanno delle tonalità molto intense e variegate. La peculiarità di aver portato il graffito sul legno mi distingue dalle altre produzioni, in quanto la compatibilità tra quel tipo di tecnica artistica e quel materiale usato come supporto risulta difficile da concepire senza le specifiche competenze. I prodotti che realizzo sono originali e non mi ispiro alle produzioni di altri designer, sposo le mie idee a quelle del writing, del quale metto sempre l’icona nelle mie 18 PrimaVera Gioia
lavorazioni. Il mio percorso è stato una continua evoluzione, produco sempre di più e il risultato è sempre più preciso. Attualmente l’industria cerca di sostituirsi alla manodopera, intervenendo attraverso mezzi più veloci, risultando quantitativamente più produttiva e proponendo prezzi notevolmente più bassi. Come reagisce il compratore? Stando con il banchetto per strada, mi rapporto con qualsiasi tipo di persona, quindi è difficile generalizzare. I più adulti hanno un metro di valutazione, in quanto sanno distinguere l’artigianato dalla produzione seriale e industriale; i giovani invece sono soggiogati dal marketing e acquistano ciò che la pubblicità promuove, senza capire cosa significhi lavorare con le proprie mani. Da alcuni anni, “Principi Attivi” finanzia dei progetti, incoraggiando la nascita di nuove attività che valorizzino il territorio anche attraverso la conservazione di un patrimonio culturale che in questo caso si identifica con l’artigianato. Anche tu hai presentato la tua idea: in cosa consiste? Ho presentato un progetto per la rivalutazione di un vecchio mestiere. Esso prevede il recupero di legname dalle falegnamerie ma anche ad un partenariato con la SPES. Voglio istituire dei corsi rivolti all’Università della Terza Età, alla comunità Fratello Sole e alle scuole medie, per far conoscere ad ogni fascia d’età il lavoro manuale e offrire un’occasione di aggregazione sociale. Nel caso specifico della comunità “Fratello Sole”, è importante far capire a questi ragazzi disagiati che imparare un mestiere può dare loro più sicurezza per nell’affrontare la vita fuori. Inoltre, utilizzerei quei fondi per aprire la una bottega, avere un punto di riferimento commerciale e aprire la Partita Iva.¿
SGUARDO NASCOSTO VISIBILE A TUTTI Maria Castellano |
/maria. castellano.5
“Nessuna forma d’arte attraversa le nostre coscienze come il cinema,giungendo direttamente ai nostri sentimenti,nei profondi e oscuri recessi delle nostre anime”
Igmar Bergman aveva ragione quando parlava in questi termini della Settima Arte: un messaggio di un’attualità sorprendente che può diventare un ottimo spunto di riflessione soprattutto per le nuove generazioni. Il cinema Seven non si è lasciato sfuggire questa possibilità: dal 28 gennaio, infatti, ha riproposto per la sua quarta edizione l’appuntamento con il “Cinema Invisibile”. La Settima Arte diventa così veicolo di messaggi per la collettività e il cinema invisibile, cosiddetto perché fa fatica ad emergere nella distribuzione cinematografica, si trasforma in contenitore di
qualità. Il ciclo si è inaugurato il 28 gennaio e si chiuderà il 20 maggio. Il primo appuntamento ha soddisfatto gli organizzatori: la sala cinematografica era gremita di gente a dimostrazione che il cinema negli animi degli spettatori in realtà tanto Invisibile non è. Il progetto è nato in cooperazione con il Liceo Ginnasio P.V. Marone di Gioia del Colle con l’obiettivo di far avvicinare gli studenti alla conoscenza e al culto della Settima Arte.
uno schermo e delle sedie. Il segreto sta nel riempirle entrambe” disse Roberto Benigni. L’auspicio degli organizzatori è quello che lo schermo e le sedie di un cinema siano sempre piene di gente capace ancora di emozionarsi e riflettere . ¿
“Il cinema è composto da due elementi,
Tutti i film in programmazione: 04 Febbraio “Cosimo e Nicole” Regia di Francesco Amato 11 Febbraio “La Parte degli Angeli” Regia di Ken Loach 18 Febbraio “La bicicletta verde” Regia di Haifaa Al- Mansour 25 Febbraio “Il sospetto” Regia di Thomas Vinterberg 04 Marzo “La sposa Promessa” Regia di Rama Burshtein 11 Marzo “Amour” Regia Michael Haneke 18 Marzo “E la chiamano Estate” Regia Paolo Franchi 25 Marzo “Ali’ “ ha gli occhi azzurri” Regia Claudio Giovannesi 08 Aprile “Acciaio” Regia Stefano Mordini 15 Aprile “La Nave Dolce” Regia di Daniele Vicari 22 Aprile “”Elles” Regia di Malgorzata Szumowska 29 Aprile “Un sapore di ruggine e ossa” Regia di Jaques Audiard 06 Maggio “The Master” Regia di Paul Thomas Anderson 13 Maggio “Monsieur Lazhar” Regia di Philippe Falardeau 20 Maggio “Grandi speranze” Regia di Mike Newell
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L’associazione Primavera Gioia ha aderito al Comitato promotore del Referendum cittadino per l’abrogazione della delibera di Giunta per l’esternalizzazione della riscossione dei tributi.
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Cinema
LE STRADE PER RENDERE LO
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Uomini si nasce, Briganti si muore q
Rosario Milano
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ome succede ormai da tempo, anche quest’anno si è celebrato l’anniversario dell’esecuzione di Pasquale Domenico Romano, noto a tutti come il Sergente Romano. Il 5 gennaio, presso bosco Vallata in territorio di Santeramo in Colle, si è ricordato lo scontro armato tra la formazione sanfedista guidata dall’ex-sottufficiale borbonico e la cavalleria della Guardia Nazionale del neonato Regno d’Italia, che causò la morte del noto personaggio gioiese e della sua banda (furono 21 o 22 gli uccisi nell’agguato). Gli ‘Italiani’ mostrarono poi per le vie del paese il cadavere del Romano che, denudato della divisa borbonica, fu esposto in via Guerriero, nei pressi della sua abitazione, a monito di chi ancora si rifiutava di riconoscere la legittimità del nuovo ordine savoiardo. E’ un dato di fatto che in molti non sappiano di questa vicenda. In troppi ignorano la storia di quest’Italia e molti trascurano il senso degli avvenimenti che hanno interessato il territorio che quotidianamente pestiamo. In quanti conoscono in maniera non solo superficiale gli eventi del 28 luglio 1861? Eppure, esiste anche una via intitolata a questa data; eppure, ci sono ancora orgogliosi abitanti di ‘minz o larje’ che non sanno nulla delle vicende dell’assalto al borgo di San Vito. Del resto, chi ricorda l’eccidio di Marzagaglia (1 luglio 1920)? In pochi sanno che si trattò di uno dei primi gravi episodi di reazione agraria, sintomo del tramonto del giolittismo, segno dell’affermarsi delle idee e dei meccanismi psico-sociali che determinarono l’ascesa del fascismo. Questi sono solo due dei tanti episodi che hanno visto protagonisti questa terra e i suoi figli. Questo nostro oblio non è un vizio ascrivibile al solo italico-gioiese cittadino, ma s’inserisce nel contesto generale della destrutturazione del sistema d’istruzione culturale e civico. L’imperativo della formazione continua e dell’auto-
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sviluppo a priori delegittima l’esercizio della memoria collettiva. La promozione egoistica dell’esistenza individuale è sempre più legata all’imminenza e proiettata verso il futuro, processo involutivo di cui è vittima l’esigenza di sapere da dove veniamo per capire dove andare. Si potrebbe continuare ancora con ‘grasse’ parole ma ci fermeremo qui. A sfavore dell’esercizio della memoria, gioca il fatto che è privilegio del vincitore scrivere la storia. Nei casi succitati, a titolo di esempio, briganti e contadini - in un’unica parola, il ‘cafone’ di Tommaso Fiore - furono gli sconfitti e con il loro sangue si scrisse la storia che più conveniva per la patria. È sempre più facile ricordare le gesta di Camillo Benso e Nino Bixio che quelle di pochi sanguinari cafoni inclini alla violenza e sempre alla ricerca del riscatto e della vendetta personale. Non si può quindi che ringraziare chi ci aiuta a ricordare che anche questa nostra terra ha visto passare la repressione che i ‘piemontesi’ portarono nel Mezzogiorno d’Italia, soprattutto nel primo decennio post-unitario. La prima, l’unica guerra che l’italiano dovette combattere per fare l’Unità e che vide come antagonista un esercito di stracci, composto da diverse categorie ma soprattutto dagli esclusi a cui, ancor prima di sorgere, la stessa Unità aveva negato la speranza, la necessità della redenzione che attendevano da troppo tempo e che le camicie rosse riuscirono soltanto a far balenare. Questi momenti di riflessione ci consentono di guardare al processo di unificazione con occhio critico, riconoscendo i limiti di un processo che, come in tutti gli Stati Nazione del mondo, nasconde piccole e grandi tragedie, che l’ideologia nazionale, l’ebrezza della nazione ha tentato per decenni di oscurare. Invece, noi pensiamo che non si può avere paura della verità, che non si può temere di scoprire i crimini e gli errori del passato, dai quali invece è possibile e
opportuno trarre insegnamenti. Questi i meriti e l’essenza della rievocazione storica, dell’esercizio doveroso della memoria. A lato di questo, ci sono alcuni elementi della rievocazione che mi lasciano basito, se non interdetto. Nell’A.D. 2013, ho visto sventolare bandiere del regno borbonico, preti dire messa e impacciati amministratori comunali benedire una manifestazione, riuscendo a dimostrare con poche parole di non avere capito granché di briganti. Vero è che il Romano parteggiava per quei Borboni che erano stati i suoi sovrani e che la sua banda di briganti, più delle altre del Mezzogiorno, era intrisa di riti, cerimonie e fervore religioso e della sincretica tradizione della Terra di Bari. Tuttavia, se non vogliamo limitarci al racconto della storia, se tentiamo di sottrarre la verità storica alle speculazioni strumentali e se tentiamo di raccontare, nel nostro tempo, il significato storico-politico del brigantaggio, dovremmo liberarci da messe, bandiere e patetiche invocazioni tipo “Evviv o rre!”. Il brigantaggio è stato un tentativo rivoluzionario-reazionario che trovò negli esclusi, nei ‘cafoni’, dei protagonisti quasi involontari. Quello che mancava agli uomini e alle donne del povero e depresso Mezzogiorno d’Italia era la speranza. Durante la stagione del brigantaggio, essi non difesero il benessere che non avevano o la loro patria, più semplicemente in molti reagirono all’illusione del cambiamento, alla speranza del mutamento frustrata dalla restaurazione neo-feudale. In questo stato d’animo trovò terreno fertile per diffondere idee reazionarie chi, come la Chiesa e i Borboni, era stato travolto dall’avanzata di un nuovo ordine europeo e dalla modernità che illuminati, romantici patrioti, interessati borghesi e le Potenze d’Europa, contestualmente intesero, per differenti motivi, costruire in Italia. Lo Stato della Chiesa e le associazioni sanfediste sostennero lo sforzo degli innocenti protagonisti della repressione ‘piemontese’, i quali finirono paradossalmente per combattere a sostegno di chi aveva plasmato l’ordine iniquo che prima, durante e dopo l’Italia, avrebbe continuato ad esistere. Le ricche casse svuotate dai Savoia finanziarono lo sviluppo del neonato Regno d’Italia. Ciò avvenne nel Risorgimento come nel dopoguerra ma non è ammissibile asserire che quelle risorse appartenessero ai sudditi di Franceschiello. Il Regno delle Due Sicilie non costituiva l’Eden per le povere popolazioni del Mezzogiorno. Il Pontefice non poteva che negare la legittimità dell’ordine borghese-piemontese, degli usurpatori del Regno di suo cugino Francesco II, che minacciavano direttamente i privilegi e l’esistenza stessa dello Stato Pontificio. Per questo, i garibaldini e i funzionari del nuovo Stato venivano rappresentati agli occhi della popolazione come usurpatori illegittimi del regno e come forze del demonio, dell’anticristo da combattere. Ad esempio, il sostegno popolare all’assedio al borgo di San
Vito, guidato dal sergente Romano, fu anche dovuto alla notizia dell’intenzione dei liberali di far brillare la Chiesa di Santa Maria Maggiore. Giocando su questi sentimenti, la Chiesa riuscì a far dimenticare di aver assistito per secoli inerme, contribuendo all’edificazione di quell’ordine. Con il beneficio della storia, oggi possiamo apprezzare come anche con i Savoia le cose non siano andate male: superato lo scotto iniziale, il clero riguadagnò le proprie posizioni, mentre i cafoni rimasero tali. Infine, non bisogna dimenticare che i grandi assenti del Risorgimento italiano furono i borghesi, che anche nel Mezzogiorno d’Italia si sforzarono di eludere la storia. Non sarebbe onesto ricordare il brigantaggio e i primi episodi di diffusa violenza agraria solo perché ciò è accaduto nei luoghi che ogni giorno viviamo, riducendo in questo modo la portata di una rievocazione storica ad una dimensione puramente folcloristica. Né tanto meno, possiamo limitarci a ricordare i briganti come martiri, eroi, poiché la guerra non è questo. Del resto, quelli di loro che affollavano i territori impervi della campagna non furono né una prerogativa di quel tempo, né un’esclusiva del Mezzogiorno d’Italia e quelli che combatterono alla macchia contro i Carabinieri durante la stagione politica del brigantaggio provenivano dalle file dei masnadieri fuorilegge per caso, per devozione o per necessità. Al di là dei miti e delle confuse parole del consigliere Antonicelli in occasione della cerimonia del 5 gennaio 2013, il nostro ricordare dovrebbe avere invece una funzione critica, pedagogica. E l’esperienza del Romano non può che insegnarci qualcosa di estremamente attuale. Noi non ricordiamo l’esecuzione del bosco Vallata per i Borboni, una monarchia inadatta a governare l’età che s’affacciava e che niente aveva fatto per quei cafoni che pure lottarono anche per loro. Non ricordo la banda di Romano perché sosteneva i diritti del Papa e della Chiesa, per le messe settimanali pagate con la refurtiva e per le preghiere d’iniziazione, per il semplice fatto che, nell’anno del dopo-Maya, ritengo doveroso espellere il sacro dalla politica. Non lo faremo perché quei briganti furono patrioti: la patria ha ucciso più uomini di quanti ne abbia salvati. Il mio dovere civico, repubblicano e laico m’impone di ricordare i protagonisti di quella stagione di lotta armata, per capire da dove nascono quei diritti di cui ormai non ci curiamo e che disprezziamo, implicitamente dovremmo avere sempre presente le lotte e i sacrifici di secoli ai quali la civiltà è stata sottoposta, prima di addivenire a quelle formule che oggi costituiscono il vanto della nostra cosiddetta civiltà superiore. Ricorderemo i briganti e gli eccidi di Gioia del Colle anche per suggerire il 24 e il 25 febbraio una scelta civica, affinché, chiusi nella segreta urna, ognuno di noi possa sentire tutto il peso della storia pesare su quel foglio di carta e su quel lapis. Votare è un dovere. PrimaVera Gioia 23