Servizio Civile Nazionale 2018 - 2019
Lombardia - storie, arti e persone “Il volto Liberty di Gallarate”
Volontari:
OLP Pro Loco:
Claudia Andreea Nita
Dott.sa Manuela Boschetti
Emmanuele Occhipinti
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Servizio Civile Nazionale 2018 - 2019
Lombardia - storie, arti e persone “Il volto Liberty di Gallarate”
Volontari:
Tutor:
Claudia Andreea Nita
Elio Bertozzi
Emmanuele Occhipinti
Alberto Guenzani Lorenzo Guenzani
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Indice ……………………………………………………………………………………..pag. 3
Prefazione ………………………………………………………………………...pag. 7 Introduzione a cura di Alberto Guenzani……………………….………………..pag. 9
1. La “Città dei Due Galli”......................................................................................pag. 10 1.1 Storia del Liberty a Gallarate …………………………………….………...pag. 10 1.2 Dall’inizio del ‘900 alla Grande Guerra - Lo sciopero agrario del 1901......pag. 11 1.3 Il quadro economico - produttivo.…………………………………………..pag. 13 1.4 I centri del Gallaratese ……………………………………………………..pag. 14 1.5 Contesto industriale ………………………………………………………...pag. 14 1.6 Il contesto rurale …………………………………………………………….pag.14
2. Ambiente e Cultura: Gallarate e Malpensa…………………………………...pag. 20 2.1 Moda delle battute di caccia……………………………………………….pag. 22 2.2 Le acque del Ticino: energia per l’industria gallaratese ………………….pag. 23 2.3 L’aeroporto di Malpensa…………………………………………………...pag. 24
3. Il ruolo delle Esposizioni Agricole e Industriali……………..…………………pag. 29
4. Architettura …………………………………………………………………… pag. 30 4.1 Dai primi anni del secolo alla Prima Guerra Mondiale: la nascita dell’eclettismo Liberty ……………………………………………………………………….... pag. 31 4.2 L’architettura del Moroni dagli inizi ai primi anni del XX secolo ……….. pag. 33 4.3 Stabilimento Tadini e Brusa ……………………………………….…….... pag. 34 4.4 Villino Caterina Brusa ……………………………………….……………. pag. 35 4.5 Villino Alceste Pasta ……………………………………………………..... pag.36 4.6 Villino Campi …………………………………………………………….... pag. 37 4.7 Edificio di ristoro …………………………………………………….……. pag. 38 4.8 Palazzina Giovanni Bossi …………………………………………………. pag. 39 4.9 Palazzina Fratelli Cagnola ……………………...…….…………………… pag. 40 4.10 Casa affitto Curti ……………………………….………………………... pag. 40
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4.11 Villino Giovanni Bossi …………………………………………………… pag. 41 4.12 Dormitori Industriali …………………………………………………….. pag. 42 4.13 Casa Vanoni …………………………….………………………………... pag. 43 4.14 Villa Carlo Borgomaneri ……………………………………………….... pag. 44 4.15 Villino Vito Borgomaneri …………….……………………………………pag. 45 4.16 Villa Mauri …………………………….…………………………………. pag. 46 4.17 Casa Aletti …………………………….…………………………………. pag. 47 4.18 Casa - Corso Sempione, 8 ………………….……………………………. pag. 48 4.19 Edificio - via Fucino, 3-17 ………………….…………………………….. pag. 49 4.20 Edificio “Case e alloggi” - via Maino, 5 ………………………………....pag. 49 4.21 Edificio - via Maino, 7 ……………………….……………………………pag. 49 4.22 Edificio - via F. Cavallotti, 6………………….…………………………... pag. 49 4.23 Casa - via F. Cavallotti, 7 …………………….………………………….. pag. 49 4.24 Villa - Cinque Giornate ………………………………………………….. pag. 49 4.25 Villa Pozzi - Corso Sempione, 34 …………………………………………pag. 49 4.26 Villa Colombo - via Volta, 30 ……………………………………………. pag. 50 4.27 Villino Checchi - via Battisti, 6 ………………………………………….. pag. 50 4.28 Villa Siciliani - via marconi, 3 ………………….……………………….... pag. 50 4.29 Villa Bellora - via Marconi, 5 ………………………………………….... pag. 50 4.30 Casa Pastorelli - via Borgo Antico, 1 ………………………………….... pag. 50 4.31 Villino - via Costa, 12 ……………………………………………………. pag. 51 4.32 Ex Manifattura Maino - via Ronchetti …………………………………. pag. 51 4.33 Cassa di Risparmio Province Lombarde - via Cavour/via Chiesa .…….. pag. 51 4.34 Casa Rasini - via Cadolini, 8 …………………………………………..... pag. 51 4.35 Casa - via Trombini, 6 …………………………………………………… pag. 52 4.36 Casa Sironi - via Novara, 12 .……………………………………………. pag. 52 4.37 Edificio - via Novara, 3 ………………………………………………….. pag. 52 4.38 Tessitura Carlo Bassetti- via Novara, 18 ………………………………. pag. 52 4.39 Cimitero Monumentale - via Milano …………….…………………….... pag. 52 4.40 Annotazioni sulle abitazioni Liberty a Gallarate ….…………………….. pag. 53 4.41 Annotazioni sugli edifici industriali Liberty ……….…………………….. pag. 55 5. Palazzo Borghi ………………………………………………………………… pag. 59
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5.1 Palazzo Borghi attraverso il Liberty: la ristrutturazione …..…………….. pag. 61
6. Il Teatro Condominio …………………………………………………………..pag. 65 6.1 Vicende legate al Teatro Condominio ……………………………………. pag. 67 6.2 Moda e usanze a teatro …………………………………………………....pag. 68
7. La Banca di Gallarate ………………………………………………….………pag. 71
8. La Basilica Santa Maria Assunta di Gallarate e il Museo della Collegiata ...pag. 72 8.1 Il Museo della Basilica …………………………………………….……....pag. 74
9. La formazione di una “coscienza culturale gallaratese” …………….………..pag. 75
10. La storia della biblioteca civica tra Ottocento e Novecento …………….….. pag. 76
11. Società Gallaratese per gli Studi Patrii ………………………………….…....pag. 77
12. Altre realtà culturali gallaratesi attive tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento: Circolo Cattolico di Cultura, Circolo San Cristoforo, Amici della Musica, Aloesianum e Società Ginnastica Gallaratese ……………...……… pag. 79
13. Antichi mestieri ……………………………………………………………….. pag. 82 13.1 Negozi Storici di Gallarate tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento…………………………………………………………………….....pag. 83 13.2 La pubblicità Liberty ……………………………………………………...pag. 86
14. Mercato e commercio: l’anima di una città di viaggiatori …………………….pag. 88 14.1 I Mercati di Gallarate …………………………………………………….pag. 88 14.2 Da via Manzoni al Pasquè ………………………………………………..pag. 93
15. La “storia minore” …………………………………………………………….pag. 96 15.1 L’oro di Gallarate ………………………………………………………. pag. 98
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15.2 La storia del primo Novecento attraverso le iscrizioni …………………pag. 99 15.3 Società e feste religiose di ieri e di oggi ………………………………...pag. 99
16. Eroi gallaratesi di tutti i giorni ……………………………………………….pag. 103 16.1 Il Piott, messaggero di lettere e segreti ………………………………...pag. 103 16.2 Il Bar Bossi e il venditore di caffè ……………………………………....pag. 103 16.3 Il Boufalora Verdurée …………………………………………………...pag. 104 16.4 Pindin, Duardin e Tealdin ………………………………………………..pag. 105 16.5 I frequentatori della piazza ……………………………………………...pag. 105 16.6 La Regina Saracata ……………………………………………………..pag. 106 16.7 Giovanni Masera ………………………………………………………..pag. 106 16.8 Alcuni intellettuali ……………………………………………………….pag. 107 16.9 Renzo Colombo ………………………………………………………….pag. 107 16.10 Flaviano Salvatore Gallotti …………………………………………….pag. 108 16.11 Alessandro Durani, Giovannino “Ghita” Gabardi e Giuseppe “Stringhin” Cattoretti: custodi dei “campi elisi” ………………………………………….pag. 108 16.12 Prevosto Cavalier Pietro Sommariva ………………………………….pag. 109 16.13 Famiglia e Parco Bassetti ……………………………………………...pag. 109 16. 14 Augusto Giovanni Melchiorre Scampini ……………………………...pag. 110 16. 15 Le ultime Rosnati ……………………………………………………...pag. 111 16. 16 El doutour Courbéta e el tougnétou Couloumb ……………………….pag. 112
Post fazione a cura di Elio Bertozzi: la nascita del Liberty in Europa ……………....pag. 115
Bibliografia ……………………………………………………………………………pag. 117
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Prefazione Gallarate, nell’Ottocento, ebbe due periodi di grande sviluppo che interessarono ogni aspetto della vita civile, dell’economia e dell’urbanistica. In entrambi i casi si svolsero in un arco di parecchi anni caratterizzati da entusiasmo ed espansione, oggi difficilmente immaginabili. Il primo di tali periodi si verificò subito dopo la metà del secolo, negli anni a cavallo delle vicende che portarono all’Unità d’Italia. In seguito alle disponibilità economiche fornite dalla prima fase di industrializzazione, soprattutto per merito della famiglia Ponti, si realizzarono interventi notevoli, quali la nuova Basilica, l’Ospedale, il nuovo Cimitero, l’Asilo, la Scuola Tecnica, oltre ad un miglioramento generalizzato delle condizioni di vita. In seguito, dopo una relativa stasi, corrispondente agli anni che a livello internazionale sono definiti dagli storici della “grande depressione”, si ebbe un nuovo grande risveglio verso la fine del secolo e l’inizio del Novecento, periodo che è anche chiamato della “Belle Epoque”. In questa nuova fase, caratterizzata da una grande espansione industriale, dominava lo stile “Liberty”, che quindi ha lasciato tracce considerevoli, ancora evidenti a tutt’oggi. Per quanto riguarda le costruzioni, alcune zone della città conservano l’impronta dello stile e sono relativamente omogenee in una realtà altrove spesso compromessa dagli interventi caotici soprattutto degli anni Sessanta. Oltre che caratterizzato da manifestazioni estetiche particolari, pure variamente interpretate dal gusto locale, il periodo aveva interessato anche la cultura e la società con una ritrovata voglia di vivere, pure nelle difficoltà della vita di ogni giorno e delle tensioni sociali, con la certezza che ormai l’umanità fosse incamminata verso un futuro di pace e di benessere che i progressi della scienza, della tecnologia e della civiltà mettevano a portata di mano. Tali concetti, ovviamente, toccavano ogni aspetto della vita e lasciavano evidenti tracce anche nelle abitudini, nelle usanze, nelle tradizioni, persino negli aneddoti riguardanti personaggi, istituzioni, situazioni. Purtroppo, l’immane, inutile tragedia della Prima Guerra Mondiale pose un brusco termine a tale evoluzione, con tutte le difficoltà che ne conseguirono. Malgrado sia passato oltre un secolo, sono ancora presenti molte caratteristiche di quegli anni “del Liberty” in ogni espressione della realtà locale gallaratese.
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La presente ricerca condotta da Claudia Andreea Nita ed Emmanuele Occhipinti è quindi significativa perchè ha voluto legare tra loro i vari aspetti della vita del tempo, raccogliendo con pazienza le tracce urbanistiche, sociali, umane di un periodo storico spesso citato quasi con nostalgia dagli studiosi e dagli appassionati di storia locale.
Alberto Guenzani
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Introduzione Le iniziali esperienze edilizie di gusto Liberty a Gallarate sono riconducibili al primo quinquennio del Novecento, mentre quelle più significative sono state realizzate intorno all’anno 1910. Il Liberty a Gallarate è giunto grazie all’espansione demografica dovuta allo sviluppo industriale che rese necessario un nuovo Piano Regolatore (questo venne proposto dall’ingegnere Giovanni Massera nel 1880). La città di Gallarate è stata relativamente lenta ad abbracciare il Liberty che compare solo in casi isolati (al contrario della vicina Varese e Milano dove interi quartieri sono stati coinvolti da questo nuovo linguaggio). Inoltre, nonostante il fatto che Milano fosse effettivamente il centro propulsivo del Liberty lombardo, in provincia lo stile architettonico è stato assunto e riarrangiato adattandolo al territorio locale. Molte sono le testimonianze di edifici liberty nell’area nord occidentale rispetto al nucleo antico della città. Questa localizzazione è legata al Piano Regolatore del Masera; infatti la novità architettonica si è sviluppata maggiormente in questa zona preposta allo sviluppo urbano e caratterizzata dalla pianta ortogonale (tipicamente Ottocentesca). Da notare come in questi anni i Piani Regolatori (di Gallarate ma anche delle altre città europee) siano stati molteplici. I principali committenti dell’architettura Liberty gallaratese erano i membri dell’alta borghesia (con in testa i Borgomaneri), la Società Case e Alloggi e la piccola borghesia. La scelta del progettista dipendeva molto dal committente, ad esempio la famiglia Ranchet incaricò direttamente l’architetto G.B. Bossi (affermato professionista milanese) per la progettazione della tomba di famiglia, mentre i Borgomaneri si rivolsero al locale studio ing. Tenconi – Moroni (il maggior artefice dei progetti gallaratesi dell’epoca). Lo studio gallaratese era generalmente preferito dai concittadini (ad esso va aggiunto anche l’impresa edile del capomastro Marelli). Un discorso differente riguarda La Società Case e Alloggi Macchi & Co. (di Enrico Macchi), che era una delle poche agenzie immobiliari presenti in quel periodo. La Società Case e Alloggi realizzò edifici residenziali avvalendosi della collaborazione dell’ingegnere milanese De Rizzoli. Appare evidente come il Liberty non sia costituito solo di fregi, volute e decorazioni, ma anche grandi volumi capaci di entrare nel paesaggio costruendolo in modo determinante. Soprattutto a Varese, il Liberty è in rapporto con il lago e la montagna (dal punto di vista paesaggistico). Inoltre in provincia di Varese sono stati importanti gli scambi con l’area ticinese e lo sviluppo del “turismo” da parte dei milanesi, i quali “esportarono” anche il nuovo stile.
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1. La “Città dei Due Galli” raccontata dai giornali Gallarate divenne anche protagonista (insieme a Busto Arsizio e a Legnano) del numero 120 del Supplemento mensile illustrato del Secolo (anno 1896). La città ai tempi era capoluogo di un circondario composto da ben 53 Comuni ed era collegata con Milano attraverso il tram. Conosciuta principalmente per essere presidio stabile della cavalleria dell’esercito, “porta d’accesso” alla brughiera, sede di un teatro cittadino (dal 1864) e, soprattutto, per aver avuto un’importanza industriale rilevante. Già all’epoca si riteneva che lo sviluppo dell’industria fosse stato favorito per via del terreno poco adatto all’agricoltura e quindi i Gallaratesi e gli abitanti del circondario (per un totale di 500 operaie e 600 operai) si dedicarono all’industria. Tuttavia l’attività economica più importante, ancora più significativa di quella industriale, era il commercio. All’epoca erano presenti dieci stabilimenti industriali operanti nel settore della tessitura del cotone e sei in quella del lino. Inoltre c’era “un’officina pel gas illuminante”, una fonderia meccanica (proprietà dei Meschini) resa famosa in zona per via del “torchio Meschini”, adatto per la pigiatura dell’uva. Vanno ad aggiungersi una fabbrica di bottoni, una di pettini e altri attrezzi per la filatura e tessitura, una vetreria, una fabbrica di biciclette e una serie di piccole imprese dedite alla produzione di pesi, ricami, nastri, scialli. Altra caratteristica erano le oreficerie. Come già anticipato, la vera attività economica che manteneva in vita Gallarate era il commercio: la presenza dei numerosi mercati settimanali ne sono una testimonianza (di cui uno riconosciuto già da Carlo V nel 1542, il quale a propria volta riconosceva ai Gallaratesi i diritti del mercato già consolidato nei secoli passati). Poi l’industria ha contribuito a portare il commercio su una scala più vasta, al punto da dover istituire una propria banca (la Banca di Gallarate, fondata nel 1881 come succursale della Banca ticinese Svizzera italiana e divenuta poi autonoma nel 1885). Tra i prodotti commerciati a Gallarate e poi esportati in tutta Italia e all’estero sono segnalati grani, vino, bestiame, bozzoli (per cui esisteva un importante mercato annuale) ma soprattutto tessuti di ogni genere.
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Inoltre era presente un Comizio agrario e la “Società Utenti Caldaje a vapore”, la quale si occupava dell’istruzione di fuochi e macchinisti. Si parlava un dialetto simile al milanese (secondo gli autori molto più discostato dal bosino). Per la pubblica istruzione era stato istituito nel 1864 l’Asilo Infantile Ponti e nel 1894 un asilo infantile di campagna poco distante dal centro cittadino. In aggiunta vi erano le scuole elementari maschili e femminili, la scuola tecnica pareggiata, una scuola popolare di disegno e due biblioteche (una comunale e una circolante). Nel supplemento viene fatto riferimento anche al cimitero di Gallarate (aperto all’uso dei cittadini nel 1865). L’interno del cimitero è stato costruito su progetto di Camillo Boito (progettista anche della facciata della Basilica). Il cimitero viene definito “in stile lombardo” in cui, ai lati del cancello principale, ci sono le cappelle dedicate alle più cospicue famiglie gallaratesi e una interamente dedicata ai personaggi benemeriti (intorno agli anni 90 dell’Ottocento venne aggiunto anche un ossario, realizzato dall’ing. Giuseppe Riboni) mentre di fronte all’ingresso, verso il fondo, c’è il mausoleo della famiglia Ponti. Vengono anche citati l’Ospedale Civico Sant’Antonio (eretto grazie alle oblazioni delle famiglie di Gallarate, realizzato sempre da Camillo Boito) e il monumento a Garibaldi (collocato nell’omonima piazza), opera realizzata dallo scultore Giuseppe Confalonieri e inaugurata il 20 settembre 1885. Altri eventi della storia minore di Gallarate che all’epoca devono essere apparsi sulle pagine dei giornali locali sono:inaugurazione del Palazzo delle Scuole Femminili (1897 in via Bottini, già via Umberto I); apertura del Poligono di Tiro al Segno a Madonna in Campagna (1899); inaugurazione del frigorifero gallaratese (1905), dell’acquedotto comunale e della Scuola Tecnica Ponti (entrambi nel 1912).
1.2 Storia del Liberty a Gallarate Nel 1904 comparvero in via Cadolini 4 dei primi elementi decorativi di gusto floreale commissionati da Pietro Rasini e progettati dal professor Attilio Puricelli. Le decorazioni sono poste sopra una partitura di facciata di impostazione ottocentesca. Di particolare rilievo sono i parapetti in ferro battuto e le decorazioni a graffito con motivi floreali del sottogronda. Dello stesso anno è anche l’intervento progettuale commissionato da Enrico Macchi, progettato dall’ing. A. Ceriani e realizzato dall’impresa F.lli Gnocchi. Questo intervento si limita all’inserimento sulla facciata neoclassica preesistente di balconi con elementi decorativi di gusto liberty. L’edificio è localizzato all’interno del nucleo storico cittadino (via Postporta).
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Del 1905, invece, sono i progetti della Manifattura Majno di via Ronchetti (progettista ing. C. Porro, impresa G. Sartorio) in cui la residenza e gli uffici appaiono in stretta connessione con l’unità produttiva, che presenta elementi decorativi nuovi che non alterano l’impostazione tradizionale della facciata.In via Cavallotti è invece ubicato l’edificio commissionato da Brusa (progettato dall’ing. Tenconi). Questa costruzione è uno dei primi esempi di gusto puramente Liberty dedicato alle residenze (due o tre piani costruiti su un basamento rialzato con emergenza angolare a forma di torretta), pur mostrando ancora qualche originalità nell’approcciarsi a questo nuovo stile. Infatti, anche se il numero degli elementi costruttivi decorativi è maggiore rispetto agli esempi precedenti, il lessico compositivo resta ancora piuttosto casuale. A distanza di due anni dalla realizzazione della Manifattura Maino, nel 1906 l’evoluzione stilistica dell’edilizia industriale assume connotati particolari nei confronti del nuovo gusto architettonico. Ne è esempio la Manifattura Borgomaneri di via Roma (progettato dallo studio Tenconi – Moroni e realizzato dall’impresa Bossi). Sempre dello studio Tenconi – Moroni è la villa di Gino Borgomaneri (realizzata nel 1907 – mentre la cancellata è del 1908 - dall’impresa G. Bossi). La tipologia di questa villa urbana è simile a quelle precedentemente viste, ma il risultato decorativo è piuttosto originale e ben orchestrato; il disegno è meno provinciale, probabilmente a seguito ad una più attenta indagine nei confronti delle realizzazioni che in quegli anni stavano aumentando di numero sia nel varesotto che nel milanese. Il 1908 è caratterizzato dall’affermazione degli elementi architettonici più canonizzati del Liberty nel gallaratese, come dimostra l’edificio di via Maino commissionato dalla Società Case e Alloggi Macchi & C. (progettata dall’ing. G. De Rizzoli). Questa costruzione è sobria ed interessante, soprattutto per quanto riguarda la tripartizione orizzontale della facciata che crea un gioco di colori di alternanza tra il chiaro e lo scuro. Anche il capomastro A. Marelli commissionò nel 1909 lo studio Tenconi – Moroni per la progettazione di un villino situato in via Cesare Battisti, in quell’area di Gallarate evidentemente lottizzata ed edificata con ville Liberty. La residenza di Marelli richiama la tipologia di unità familiare precedentemente descritta, ma con toni più contenuti e modesti. Sempre del 1909 è l’edificio in via Volta di A. Colombo e progettato dall’ing. G. De Rizzoli. L’aspetto odierno di questa casa lascia intendere le sue origini floreali che ne connotano il periodo di realizzazione. Di particolare interesse sono alcune originalità presenti nelle bucature e nei balconi. Verso gli ultimi anni del periodo liberty gallaratese (1910) sono da ricordare l’edificio di via Ronchetti (angolo via Borgo Antico) progettato dall’ing. G. De Rizzoli su richiesta della Società
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Case e Alloggi Macchi & C. e quello vicino al cimitero di Gallarate del 1911 (committenza: famiglia Ranchet; architetto: G.B. Bossi). Il primo di questi è stato considerato l’iniziale vero e proprio esempio Liberty a Gallarate, in base all’ampia casistica che si stava sviluppando in quegli anni a Milano.
1.3 Dall’inizio del ‘900 alla Grande Guerra - Lo sciopero agrario del 1901 Nell’anno 1901 a causa di forti contestazioni contro proprietari e fittabili, scoppiano nelle campagne milanesi, prevalentemente tra Abbiategrasso e Gallarate, violente proteste con incendi ed esplosioni. I paesani rivendicano la rivalutazione delle giornate padronali, la diminuzione delle pigioni di casa e degli aggravi e l’abolizione del pendizio (l’omaggio periodico nelle forme di regalie in natura e di prestazioni di lavoro gratuite).
1.4 Il quadro economico - produttivo In una situazione di crisi finanziaria come quella avvenuta fino all'anno 1927,dove le risorse dell'agricoltura non possiedono un adeguato sviluppo per la densità della popolazione, risulta fondamentale la vocazione manifatturiera nel settore tessile e la retribuzione degli operai-contadini attraverso miseri salari. A causa della guerra di Secessione americana, l'importazione di cotone e di conseguenza la vocazione tessile prevalentemente cotoniera, si rivela alquanto complessa. Le difficoltà di questo settore e il fiscalismo scatenano una serie di moti e scioperi, ma dall’ultimo quarto dell'800 al tessile
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si affianca il metalmeccanico, il calzaturiero, automobilistico e l'aeronautico tanto da far diventare il Gallaratese una delle aree più intensamente industrializzate d'italia.
1.5 I centri del Gallaratese Nel 1883, momento della nascita della Lega “Figli del lavoro”, si registra un primo tentativo di organizzare autonomamente il movimento operaio svincolato dalla tutela degli industriali. Tra i personaggi di spicco di questa fondazione ricordiamo Costantino Lazzari, Giuseppe Croce, ma anche diversi giovani democratici gallaratesi di estrazione borghese. Essa aveva l’obiettivo principale di resistenza e di creazione di fondo di riserva per gli scioperanti. La Lega era costituita prevalentemente da lavoratori qualificati. Nell’agosto del 1901 viene fondata la Camera del lavoro con il primo segretario Agostino Scarpa (di tendenza social-rivoluzionaria) e 5000 aderenti iniziali. Quattro anni più tardi, nel 1905 il bolognese Giovanni Bitelli viene richiamo a organizzare la Camera del Lavoro di Gallarate, ma si dedica anche a progetti collaterali come la costruzione della Cooperativa di consumo “Emancipazione” e al progetto di edificazione di una “Casa del proletariato”.
1.6 Contesto industriale Capita di domandarsi come vivessero i nostri nonni e i nostri avi, così ecco la necessità e la curiosità di trovare informazioni sulle tradizioni, la vita culturale e religiosa della Gallarate dei primi del Novecento. Giuseppe Macchi – storico dell’epoca – fornisce una visione del modo di vivere dei Gallaratesi: abitavano le case di quello che era ancora un borgo, racchiuso all’interno dei fossati (che fiancheggiavano le mura, poi abbattute). Sempre Macchi prosegue descrivendo i Gallaratesi dell’epoca come persone per lo più tranquille (al limite dell’apatia), i cui animi venivano scaldati di tanto in tanto dagli avvenimenti politici (i cittadini erano grandi fan di Garibaldi e del Risorgimento). Tuttavia tra l’Ottocento e il Novecento, Gallarate cambiò completamente fisionomia attraverso una trasformazione che non si è ancora conclusa. La nuova connotazione civico – amministrativa di Gallarate (diventata città), insieme al miglioramento degli aspetti culturali, la nuova morfologia urbana e architettonica venne resa possibile anche grazie all’intervento di personaggi passati alla Storia. Tra questi ci sono molti membri della famiglia Ponti, la quale ha saputo cogliere le novità portate da Camillo Boito e contribuirono alla realizzazione della Basilica, dell’Ospedale Civico e del Cimitero Monumentale.
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L’industria fu una tra i principali motori di sviluppo della città. Esiste un documento conservato nell’Archivio Comunale che permette di avere un’idea della realtà industriale gallaratese. Sul finire del 1872 esistevano 25 case di commercio che ospitavano 2 500 lavoratori e lavoratrici a domicilio. In aggiunta: 12 tessiture semi-meccaniche davano lavoro a circa 600 operai; una tessitura meccanica a vapore con 64 operai; una fabbrica a vapore per pettini con 35 addetti; una tintoria di tessuti (12 operai); una stamperia di tessuti (10 operai); tre fabbriche di bottoni e chincaglierie gestita da 50 addetti; una conciatura di pelli con 8 operai; una tipografia in cui lavoravano 6 addetti; una fornace a calce, un forno Hoffman per laterizi e una fonderia di ferro e ottone per un totale di 64 lavoratori. Da questi dati risulta che oltre il 95% della popolazione fosse impiegata nel ramo del tessile anche se la maggior parte di essa lavorava a domicilio (commercio e agricoltura occupavano ancora la maggior parte del tempo). In questo contesto solo la fonderia e una tessitura semi meccanica erano dislocate nella periferia di Gallarate ma ben presto, sfruttando le novità tecnologiche scoperte grazie alla vicinanza e agli scambi con Milano, parecchie aziende si consolidarono e altrettante ne sorsero. Lo sviluppo industriale gallaratese non fu immediato ma fu un processo di mutamento iniziato ufficialmente nel 1872 con le rivendicazioni di Eugenio Cantoni davanti alla Commissione d’inchiesta ministeriale sulla situazione dell’industria. Da questo momento l’agricoltura in quest’area dell’Italia subì definitivamente una decrescita a favore dello sviluppo industriale: sia i fondi statali che la manodopera vennero impiegati nella nuova industria tessile. Inoltre anche la crisi in Inghilterra ebbe delle sue ripercussioni a favore dell’industria italiana, sempre più portata verso il protezionismo (che ebbe culmine con i provvedimenti del 1887, da cui la tessitura trasse giovamento). I nuovi stabilimenti vennero localizzati sempre più fuori dal nucleo abitativo storico adeguandosi al tracciato della ferrovia, nuova via di trasporto e di scambio commerciale, al corso dell’Arno, alla rete viaria e ai diversi ponti. Pian piano l’edificio industriale si mischiò con l’abitazione, infatti a Gallarate esistono diversi esempi di ville padronali costruite contigue agli stabilimenti industriali. La trasformazione in “città industriale” si stava ormai verificando anche se Gallarate continuò a mantenere diversi aspetti legati al commercio e ai servizi pubblici, soprattutto per via delle funzioni amministrative. Nel 1883 alcune famiglie Gallaratesi (tra cui i Cantoni, Borghi e Ponti) istituirono l’Associazione Cotoniera e Borsa Valori con la finalità di regolare i prezzi di mercato nazionali e internazionali. Esiste un dato del 1881 che mette in evidenza l’importante giro d’affari che ruotava intorno a Gallarate: le casse postali avevano superato le 69 000 lire (contro le 16 000 di Busto Arsizio).
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Intanto l’industria gallaratese andava diversificandosi, infatti, per esempio, Cesare Macchi (insieme al padre Pietro e al congiunto Giacomo) creò nel 1897 l’omonimo cotonificio a Crenna e nel 1913 si conquistò il titolo di Cavaliere del Lavoro (l’attività proseguì poi grazie al figlio Leone e al nipote dott. Emilio Puricelli). In questo contesto fu molto importante anche l’attività del Cotonificio Maino (già Introini) per via delle innovazioni tecnologiche introdotte da Alessandro Maino. Il giovane Maino iniziò la sua carriera a soli tredici anni (1876) all’interno del Cotonificio Cantoni per poi raggiungere ragguardevoli successi e ottenere la nomina di Cavaliere del Lavoro nel 1912 e il titolo di senatore nel 1929. Maino fu anche un benefattore: donò alla città il padiglione ospedaliero di maternità, una colonia marina a Rimini e una montana a Cugliate. Acquistò il vecchio palazzo Rosnati, edificio che successivamente ospitò anche il Duca di Bergamo e il Principe di Piemonte, futuro Umberto II. Altre industrie che in questi anni furono protagoniste della scena gallaratese furono quelle dei Borgomaneri (fondata dai fratelli Alessandro e Giuseppe, poi potenziata dal Cavaliere del Lavoro Carlo Borgomaneri), dei Bonomi, di Paolo Bozzetti (per la produzione di bilance) e Giulio Sacconaghi. Del 1890 sono gli stabilimenti di candeggio e tintura di Ruggieri e le Officine Cesare Galdabini. Anche l’industria del ricamo giocò un ruolo fondamentale per lo sviluppo di Gallarate. Solo negli ultimi trent’anni dell’Ottocento vennero aperti ben diciotto ricamifici (sviluppo incrementato dal 1884, anno in cui il duca Guido Visconti di Modrone aprì un centro di candeggio in località Maddalena, sul Ticino, evitando così di ricorrere agli stabilimenti svizzeri). Un altro importante sviluppo che permise al gallaratese di crescere industrialmente fu l’apertura della centrale idroelettrica di Vizzola Ticino ai primi anni del Novecento. Questa importante opera pubblica permise la nascita di altre industrie come ad esempio quella di Costantino Cattaneo (specializzata nella produzione di macchine tessili), la tessitura Crosta (del 1904 per iniziativa di Piero Crosta), il calzaturificio Giuseppe Marelli, il candeggio gallaratese (del 1907 per iniziativa di diversi imprenditori già noti, tra cui Alessandro Maino), le Officini Meccaniche Gallaratesi di Carlo Macchi (1907), il ricamificio di Angelo Zibetti (attività poi proseguita dai figli), la Tessitura Puricelli Guerra che passò dall’attività della mercatura a quella industriale, la Tessitura Alceste Pasta e la Manifattura di Gallarate (fondata da Alessandro Maino, Pietro Bellora e Cesare Macchi). La ditta Ettore Mazzucchelli, fondata nel 1898, è specializzata nella produzione di bianchi. Nel 1906 l’azienda risulta tra le prime in Italia per l’ordinamento moderno degli impianti e acquisisce grande importanza a livello nazionale ed internazionale.
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Il Ricamificio del sig. G. B. Mariani junior, specializzato in ricami per confezioni di lingerie con circa 100 operai, si trova in via Giordano Bruno. In via Marsala si trova la fabbrica di oreficerie e di bijuterie del signor Giacomo Ferrario. Un altro orafo si trova in via Cavallotti. La ditta Fratelli Lana è una delle poche e tra le più importanti in Italia per la produzione di articoli per fumatori. La società “Case ed Alloggi Macchi & C.” costituita nel 1907, risulta una delle più rinomate per la costruzione edile a Gallarate e con i suoi 170 possiede molti dei migliori terreni quotati alla periferia della città. L’industria delle Officine Meccaniche Gallaratesi costruita nell’anno 1907 con un capitale di L. 180.000, acquisisce in fretta grande stima diventando una delle più importanti del paese per la costruzione di macchine per panifici. Nei suoi 10.000 metri quadrati lavorano circa 150 operai. Tre forni cubilot, una gru elettrica a ponte scorrevole e impianti altamente perfezionati, caratterizzano questa fabbrica e in particolare permette la produzione mensile di oltre mille quintali di getti-ghisa. La Ditta Fratelli Maino e C. risalente all’anno 1900, crea articoli di assoluta novità, tessuti esteticamente pregevoli: damascati, traforati. Ditta Paolo Huth risalente all’anno 1901, si occupa di tessitura, filatura, apprettatura ecc. Essa rappresenta la più grande fabbrica tedesca di macchine per Ricami. Nel 1911 la popolazione gallaratese raggiunge i 17. 441 abitanti, un aumento notevole riscontrato grazie principalmente a tre fattori: allo sviluppo incessante dell’industria e alla conseguente e incessante immigrazione, alle migliorate condizioni sanitarie, alle buone condizioni finanziarie della gran massa.
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1.7 Contesto rurale Per diversi decenni i primi imprenditori tessili gallaratesi basarono la produzione sul lavoro commissionato a domicilio: essi fornivano ai contadini e alle contadine dei telai a mano e le materie per poi passare a ritirare il prodotto finito (un metodo di lavoro simile avveniva anche per la trattura dei bozzoli del baco da seta). Le condizioni di vita d’allora, specialmente in campagna, erano dure ed erano aggravate dalle scarse condizioni igienico-sanitarie: tubercolosi, rachitismo e infiammazioni dell’apparato respiratorio erano all’ordine del giorno. Per questi motivi alcuni imprenditori attenti agli aspetti sociali diedero vita a società mutualistiche, come ad esempio la Società di Mutuo Soccorso e di Istruzione fra gli Operai di Gallarate sorta nel 1865. Verso la fine dell’Ottocento il lavoro a domicilio attraverso i telai a mano diminuì sempre di più a favore di un maggior accentramento del lavoro all’interno degli stabilimenti presenti in città. Tuttavia bisogna tenere conto che inizialmente il lavoro negli stabilimenti era comunque eseguito dai contadini e quindi, durante la stagione estiva nel momento in cui il lavoro nei campi richiedeva una maggiore attenzione, le fabbriche venivano parzialmente abbandonate per poi essere ripopolate nei mesi della stagione fredda. Soltanto all’interno dei grossi centri (come Gallarate, Busto Arsizio e Legnano) esistevano dei nuclei perenni di operai. Tuttavia, in linea generale, la manodopera nel gallaratese era composta da contadini-operai.
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La crisi definitiva del mondo rurale nell’Alto Milanese avvenne con l’avvento e l’impiego massiccio di telai meccanicizzati, poiché essi richiedevano sempre di più l’ausilio delle acque dei corsi dei fiumi locali (Olona e Arno, per citarne due) a discapito del loro impiego per l’agricoltura. In particolare nel gallaratese questa situazione fu resa evidente dalle condizioni ambientali. Infatti le zone più fertili (coltivate a gelsi, viti, patate e cereali vari) erano quelle a lato del torrente Arno. Queste aree vennero poi invece occupate dagli stabilimenti industriali che necessitavano dell’acqua corrente durante i processi di lavorazione. L’agricoltura, non potendo essere praticata in maniera redditizia su altri terreni, poiché quelli della brughiera erano ghiaiosi, aridi, poco permeabili, con appena un sottile strato di humus (quindi scarsi anche di componenti chimici quali azoto e fosforo), venne sempre più a mancare. Per gli stessi motivi legati alle condizioni ambientali, nel gallaratese non esistevano grosse proprietà fondiarie ma ben sì tanti piccoli proprietari contadini. L’agricoltura nell’Alto Milanese subì un’altra importante battuta d’arresto sul finire dell’Ottocento a causa di due malattie: l’atrofia del baco da seta e l’epidemia filosserica della vite. Il colpo di grazia giunse con la massiccia importazione del grano dagli Stati Uniti (con il conseguente deprezzamento dei prodotti locali). Per quanto riguarda il contesto rurale sono molto importanti i lavori (sia dal punto di vista di ricerca che da quello sociale) svolti dallo scienziato, medico, giornalista e agronomo Ercole Ferrario.
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2. Ambiente e Cultura: Gallarate e Malpensa Percorrendo le vie di Gallarate, sia del centro storico che quelle più periferiche, viene da domandarsi quale aspetto avessero negli anni passati. Sembra impossibile che il paesaggio del Gallaratese potesse essere totalmente differente da quello cui siamo abituati vedere nel 2018: sembra quasi che l’ordine imperante sia stato “urbanizzare!”, dimenticando l’identità culturale precedente per assecondarne una nuova. Storicamente la città di Gallarate con la sua cultura è stata profondamente legata ai numerosi corsi d’acqua della zona (primo fra tutti il torrente Arno) e alla brughiera. Quest’ultima ha acquisito particolare importanza con l’evoluzione del terreno di Cascina Malpensa in Aeroporto Malpensa. Ma procediamo con ordine. La brughiera di Gallarate viene descritta da Ferrario come una distesa di terra incolta che produce l’erica e il brugo (el brug), la Molinia caerulea (pajetton, trebbion) ed altre piante tra cui molte delle famiglie dei muschi e dei licheni. Dal punto di vista geologico sempre Ferrario descrive la brughiera come il frutto di depositi alluvionali composto da ciottoli, ghiaie, arene e sabbie di origine sedimentaria clastica. Le vicende della brughiera e dei Gallaratesi si intrecciano già in tempi molto antichi (basti pensare alle origini celtiche -o anche precedenti – dell’abitato) e parlarne richiederebbe un volume unicamente dedicato, perciò verranno affrontati solo gli anni in cui Gallarate da borgo diventava città espandendosi (fine Ottocento e inizio Novecento). Con l’unificazione dell’Italia in un unico regno, la brughiera del Ticino Lombardo fu teatro di diverse esercitazioni militari della regia cavalleria. Il Comando era localizzato a Gallarate mentre nei dintorni erano ospitati i reggimenti Nizza, Genova, Piemonte Reale, Milano, Novara e Lodi (inoltre è da ricordare che a Cardano al Campo risiedeva un reggimento di artiglieria a cavallo mentre a Sesto Calende un distaccamento di pontieri). Questo genere di manovre militari attirava sempre un gran numero di curiosi e visitatori – complice la presenza del Re stesso - che facevano tappa a Gallarate (dotata della stazione ferroviaria). La manovra militare più ricordata è quella del 1885, che si svolse dall’8 al 12 settembre. Le manovre coinvolsero direttamente la campagna tra Crenna, Gallarate e Cassano Magnago per le esercitazioni finali. Per commemorare il soggiorno tra il 1908 e il 1912 del Conte di Torino a Gallarate in qualità di Ispettore alla Cavalleria, è stata posta un’iscrizione in Casa Peroni in via Don Minzoni (un tempo
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Corsia dell’Arnetta). La presenza della targa commemorativa è solo un piccolo indizio che fa intuire il tipo della società gallaratese dell’epoca che, in occasione di eventi di questa portata, si sentiva particolarmente orgogliosa del proprio lavoro e del territorio, al punto tale che questi avvenimenti restavano il centro delle discussioni in piazza per giorni e giorni. In queste occasioni i membri della famiglia reale venivano ospitati – tra gli altri posti – anche nella villa chiamata “La Glorietta” dei Mazzucchelli, situata ai Ronchi di Gallarate. Invece gli ufficiali erano spesso ospiti dei nobili Della Croce (e ricambiavano successivamente l’ospitalità ricevuta invitando a loro volta le famiglie dell’alta società gallaratese), mentre i giovani militari preferivano frequentare più attivamente le strade di Gallarate, attirando le attenzioni degli abitanti. Erano assidui frequentatori dei Cafè e del Casinò del Teatro. I diversi reparti venivano accolti nelle diverse caserme cittadine oltre che a Malpensa. La presenza dei militari provenienti da ogni parte d’Italia permetteva ai gallaratesi di venire a conoscenza di usi e costumi provenienti dalle tradizioni di altre regioni della penisola. Spesso durante in questi incontri – sia che essi fossero ufficiali o semplici militari – nascevano degli amori. Ma quale svago poteva attirare maggiormente la nuova classe industriale che stava emergendo nel circondario di Gallarate? La risposta è la caccia sportiva. Proprio questa pratica fu la nuova attività che legò la città di Gallarate con la brughiera di Malpensa, località sulla quale era ricaduta l’attenzione da parte dell’alta società proprio per via della presenza della cavalleria. La Società Milanese delle Cacce a Cavallo a partire dal 1982 (anno di fondazione) organizzò diverse battute in brughiera, dandosi appuntamento proprio a Gallarate, in piazza Pasquè (attuale piazza Garibaldi). Questa Società deve i propri natali al conte Felice Scheibler, il quale già dal 1880 aveva iniziato ad indire cacce al daino. La sede era collocata in via Manzoni 4. Alle circa quaranta battute annuali partecipavano gentiluomini vestiti con il frack rosso, amazzoni e ufficiali al seguito del Mastro che conduceva la muta di cani. Questi magnifici foxhound vivevano in un canile a Gallarate (polo d’arrivo per le escursioni in brughiera per via della presenza della grande stazione ferroviaria), successivamente è stato trasferito ad Oleggio ed infine a Sesto Calende. Tra i fondatori gallaratesi di questa pratica sono da ricordare Ponti, Cantoni e Piantanida.
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2.1 Moda delle battute di caccia Alle battute di caccia – oltre a qualche membro della Casa Savoia – partecipavano anche ricchi proprietari, capitani d’industria, finanzieri (chiamati gentiluomini), ufficiali dell’esercito e dame (definite amazzoni). A precedere gli uomini e a stanare le prede, che potevano essere lepri, caprioli o cervi (alcuni addirittura fatti giungere dall’estero), spettava ad una muta di cani composta da almeno dodici segugi. Anche la battuta di caccia era occasione di fare sfoggio della moda dell’epoca dedicata a tali occasioni. Gli ufficiali erano vestiti con giubbe scure abbottonate interamente, dal collo alto e con i galloni dorati sulle maniche; i gentiluomini avevano rendigotes verdi ravvivate da larghi cravattoni bianchi dotati di spilla; chi semplicemente osservava la caccia aveva alti cappelli a cilindro grigi o neri e finanziera sopra a pantaloni lunghi; le signore che partecipavano attivamente alla battuta di caccia avevano giacchette corte in panno scuro chiuse da una serie di bottoni, gonna ampia dello stesso tessuto posta sopra pantaloni attillati, stivali in pelle e cilindro nero di forma leggermente diversa da quello maschile. Durante la prima battuta di caccia nella brughiera, i partecipanti adottarono un vestiario particolare per l’occasione: abito verde con bottoni d’oro e berretto di velluto nero, mentre il master e il field master indossavano un frac rosso e il “cap” nero conforme alla moda inglese. Per questo evento
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venne fatto giungere dall’Inghilterra un cervo che, dopo che venne liberato, fu ricatturato in una cascina tra Ferno e Samarate solo, disorientato e spaventato. Tra le memorie di Alba Bernard è presente la descrizione di una battuta di caccia in cui fu presente anche Re Umberto I e a cui l’industriale gallaratese Costanzo Cantoni ebbe l’onore di svolgere la funzione di “Huntsman”. Anche se la muta venne sciolta a fine del 1899, l’attività venatoria fu portata avanti dai Gallaratesi e dai locali fino al 1915 (anno in cui l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale) raggruppandosi intorno alla figura del conte Giacomo Durini e facendo delle “incursioni” nel Novarese. Altri ospiti illustri di Gallarate venuti apposta per la brughiera: Vittorio Emanuele III, Ministro Sarocchi, Cesare Macchi, Benito Mussollini (allora direttore del “Popolo d’Italia”), Arnaldo Agnelli, il Prefetto Farello, Alfredo Lombaro, Emilio Sacconaghi, Carlo Macchi, Giovanni Bossi, Stefano Rossi, Umberto di Savoia, il Maggiore Generale Maggiotto. Talvolta, per le uscite nella groana gallaratese, venivano organizzati sontuosi banchetti all’Albergo Tre Re e al Leon D’Oro. Oltre ai personaggi politici, anche letterati, intellettuali, giornalisti, pittori e fotografi partecipavano alle uscite in brughiera; lo stesso Gabriele D’Annunzio scrisse in merito:
“…vanno i cani tra l’eriche leggere Con alzate le code e i musi bassi Davanti il capoccia che gli allena Per mezz’ottobre ai lunghi inseguimenti. S’ode chiaro squittire in que’ silenzii Il suon del corno chiama chi si sbanda…”
2.2 Le acque del Ticino: energia per l’industria gallaratese Gli abitanti di un territorio sono profondamente legati all’ambiente in cui sono immersi e così è stato anche per i Gallaratesi. Questo fatto è stato reso in evidenza dal grosso sviluppo industriale che è avvenuto tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento: lungo il torrente Arno (che diventava Arnetta quando attraversava il borgo antico) sorsero molti opifici, manifatture e fabbriche dedite al settore tessile. Non solo le acque dell’Arno ebbero un ruolo fondamentale in questo sviluppo, ma contribuirono anche le turbolente correnti del fiume Ticino. In particolar modo il Ticino giocò un ruolo importante poiché nel 1900 venne inaugurato l’impianto idroelettrico di Vizzola Ticino che, essendo gestito dalla Società Lombarda per la distribuzione di corrente elettrica” (chiamata dagli
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autoctoni semplicemente “la Lumbarda”), forniva energia anche alle fabbriche di Gallarate. Non a caso infatti tra i principali promotori della realizzazione di questo impianto furono degli industriali gallaratesi. Inoltre la presenza de “la Lumbarda” permise la diffusione dell’elettricità anche per uso civile e per l’illuminazione pubblica. Insieme alla centrale venne realizzato pure il Canale Industriale (canale parallelo al Naviglio Grande che inizialmente fu intitolato a Vittorio Emanuele III, poi gli venne cambiato nome con la fine della monarchia). È evidente come questi elementi ambientali favorissero lo sviluppo del territorio al punto tale che la città di Gallarate vide un notevole incremento della popolazione e dovette realizzare due nuove zone residenziali: una a sud ovest (avente come asse Corso Umberto I, attualmente via Bottini) e l’altra tra il Sempione e la strada comunale per Crenna (via Volta). Con i recenti cambiamenti demografici, urbanistici ed economici la popolazione gallaratese passò da un’attività artigianale e commerciale a quella industriale in cui molti di essi erano alle dipendenze delle ditte locali.
2.3 L’aeroporto Si giunge così all’ultima (per ora) grande trasformazione della brughiera di Malpensa e del tessuto economico e sociale di Gallarate: l’avvento dell’aeroporto. La storia della vocazione aeronautica della brughiera inizia con i primi impieghi in campo militare dei palloni aerostatici e prende il via in maniera concreta con il 6 novembre 1884, quando l’Esercito Italiano rese ufficiale l’istituzione di una Sezione Aerostatica del Genio, cui a capo fu dal 1905 il maggiore Maurizio Morris (il quale avrà un ruolo importante per la scelta di Malpensa come località adatta allo sviluppo del settore aeronautico). Anche Gallarate stessa non fu insensibile al fascino del volo e nel 1895 vennero organizzate delle ascensioni che riaccesero il vecchio e già comprovato (si ricordano le sfortunate vicende settecentesche in seguito a cui i Gallaratesi vennero soprannominati “brusa balun”) entusiasmo per il volo. È facile immaginare a meraviglia e l’entusiasmo che deve aver pervaso i cittadini quando, nel 1908, videro un pallone aerostatico alzarsi da piazza San Lorenzo (dove era presente la caserma della Cavalleria, un tempo situata tra la piazza stessa e via Torino) per dirigersi verso la brughiera per poi atterrare a Vercelli sfiorando la quota di 1700 metri d’altezza. I Gallaratesi dovranno però aspettare il 1910 per vedere il primo aereo, il quale fu presentato da Cesare Galdabini, presidente della Società Anonima Cooperativa (costituita il 20 maggio 1910 in seguito anche all’interessamento scaturito a livello nazionale dei progetti del gallaratese Giovanni Battista Trotti), all’interno del campo della Società Ginnastica Gallaratese. Più in generale, tutta la
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brughiera di Malpensa nei primi del Novecento vide un ribollire di idee, pionieri, innovazioni tecnologiche ed esperimenti legati al mondo dell’aviazione: alcuni di queste iniziative ebbero vita breve mentre altre durarono (e durano tutt’ora) nel tempo evidenziando ancora una volta la vocazione di questo territorio ad “avere la testa tra le nuvole”: a Cascina Costa (Ferno) si svolgevano gli esperimenti del pilota Rinaldo Togni; a Vizzola Ticino Gherardo Baragiola ed Ettore Introini, possessori di un Blèriot (industria aeronautica intitolata all’omonimo proprietario francese), avevano avviato una scuola di pilotaggio civile dotata di una personale officina meccanica (diretta da Francesco Mosca). Il nome di Cascina Malpensa in campo aeronautico iniziò a essere citato dal 1909, quando i fratelli Gianni e Federico Caproni, nativi di Arco nel Trentino (ai tempi sotto l’Impero Austro-Ungarico) e desiderosi di volare su suolo italiano, ricevettero la “soffiata” da un compagno universitario milanese sull’idoneità dei campi della Malpensa. Fu così che nel 1910 il primo aereo Caproni solcò i cieli della brughiera pilotato da un inesperto, ma coraggioso Tabacchi. Nonostante l’inesperienza del pilota e il rocambolesco atterraggio, questa prima esperienza infiammò gli animi degli abitanti della brughiera (tra cui i Gallaratesi) ma non solo: anche dalla vicina Milano giungevano puntualmente grosse folle di curiosi al punto tale che a Gallarate venne istituito un apposito servizio automobilistico tra la stazione ferroviaria e Malpensa. A questo punto è necessario fare un piccolo excursus sull’avventura intrapresa dai fratelli Caproni a Malpensa, un’esperienza che si divise tra aeroplani ed agricoltura. Dopo il loro trasferimento a Vizzola nel 1910, l’anno successivo si associarono all’ingegner De Agostini e rilevarono i terreni della scuola di volo del Baragiola, facendone una delle proprie strutture. Vicino ai terreni dei Caproni si ottennero molti risultati strabilianti per l’epoca, sia dal punto ingegneristico (costruirono un aereo progettato da De Agostini in neanche un mese e lo fecero volare) che professionale (Enrico Cobioni - che diventerà poi un famoso pilota svizzero – conseguì qua il primo brevetto di volo). Inoltre il 12 luglio di quello stesso anno venne consegnato all’esercito il primo aereo, battezzato con il nome di “Milano 1”. In seguito a dei problemi economici, De Agostini si ritirò dalla Società costituita con i Caproni, i quali ne fondarono una nuova con Carlo Comitti chiamandola “Società d’Aviazione di Vizzola Ticino ing. Caproni & C.”. Sfortunatamente seguì una nuova crisi finanziaria per la Società che divenne “Società d’Aviazione ingegneri Caproni e Faccanoni”. Ma l’avventura dei Caproni a Malpensa sembrava conclusa dopo lo scioglimento di quest’ultima Società nel 1913 e il rilevamento delle strutture dei due fratelli da parte dell’Esercito (Battaglione Aviatori). Tuttavia è proprio quest’ultimo
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a dare un motivo ai Caproni per restare a Malpensa, infatti, riconoscendone l’abilità e l’esperienza, affidarono comunque la direzione del posto a Gianni Caproni. Con l’avvicinarsi della Prima Guerra Mondiale, ricevettero diverse proposte da parte dell’esercito austro-ungarico. Tutte offerte che rifiutarono per avviare il progetto della nuova “Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia”. Quest’ultima Società permise ai fratelli di riscattare le officine di Vizzola dall’amministrazione militare e di ampliarle fino a costruirne una nuova a Taliedo. Nonostante il grande impulso ingegneristico e tecnologico verso il quale erano diretti, i Caproni, non trascurarono anche l’aspetto agro-pastorale della brughiera e del paesaggio in cui erano immersi. Infatti a Malpensa acquistarono (nel corso degli anni) ben 400 ettari di terreno di cui metà vennero dedicati alle attività aviatorie mentre l’altra metà all’agricoltura, alla silvicoltura e alla pastorizia. Edificarono addirittura una cascina in stile neo-medievale per ospitare i lavoratori con le loro famiglie. Di queste famiglie (circa quaranta) in seguito molte preferirono lasciare l’insediamento per trasferirsi a Gallarate, attratti maggiormente dalle possibilità che l’industria tessile gallaratese offriva. L’insediamento dei Caproni venne chiamato “Bonifica Caproni” e venne definitivamente abbandonato nel primo dopo guerra: ora parte dei campi e degli edifici sono stati inglobati nella moderna area aeroportuale. L’area della brughiera di Malpensa ad uso aeronautico non attirò l’attenzione solo dei privati ma anche quella dell’Esercito che, in maniera discutibile, si stanziò in maniera permanente a Cascina Malpensa obbligando i Caproni a spostarsi ed effettuando diversi lavori di manutenzione sui terreni appartenenti a privati locali (come si vede da una lettera del Battaglione Specialisti firmata dal capitano Moizo, pioniere dell’aviazione e reduce della guerra in Libia). Successivamente venne realizzato anche un campo scuola militare d’aviazione che verrà conteso tra Cascina Malpensa e Pordenone. Grazie all’intervento diretto dei Comuni di Gallarate e Somma Lombardo, l’allora Ministero della Guerra prese la decisione di mantenere la scuola a Malpensa. L’orgoglio che il campo aeronautico suscitò negli abitanti del Gallaratese crebbe al punto che vennero ideate svariate cartoline con biplani e monoplani in volo sul panorama di Gallarate. I nuovi eroi della città erano diventati i piloti e i meccanici dell’aviazione: molti accorrevano nei punti di ritrovo della città per incontrare di persona gli aviatori, tra cui il tenente di Cavalleria Umberto Cannoniere che già dai primi giorni di avvio della scuola d’aviazione sorvolò sopra Gallarate tra gli applausi e l’entusiasmo degli abitanti. In questo periodo la città fu ancora meta per importanti cariche dello Stato e per la famiglia reale; infatti nel 1912 il Conte di Torino giunse in città per sperimentare di persona il volo su alcuni
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aeroplani (esperienza che il Conte ripeterà nel corso degli anni), imitato successivamente dal ministro Facta e dall’asso dell’aviazione Francesco Baracca. Gli aeroplani di Cascina Malpensa con relativi piloti furono imbarcati a Napoli nel 1912 su piroscafi diretti verso Tripoli, per affrontare la guerra di Libia. In questa occasione bellica, il cap. Carlo Piazza fu il primo ad eseguire una ricognizione fotografica a bordo di un aero. Gli esperimenti in campo aeronautico ebbero un enorme impulso negli anni precedenti al primo conflitto mondiale, sfortunatamente incentivati proprio dalla dolorosa, triste e inutile motivazione. Tuttavia questi sono aggettivi riferiti alla Prima Guerra Mondiale che solo i sopravvissuti (e chi non era interventista) ha potuto attribuire al conflitto perché in Italia il 1915 è stato un anno nefasto in cui si avvertiva “voglia di guerra”. Anche Gallarate fu succube di questo delirio di massa: i discorsi interventisti si moltiplicavano mettendo in risalto l’aspetto “onorevole” della guerra (si ricorda inoltre che per molti italiani la Prima Guerra Mondiale rappresentava la conclusione del Risorgimento), mentre a casa numerose famiglie piangevano i propri cari al fronte. Come se non bastasse, ad aumentare la sensazione dell’imminente conflitto bellico, a Gallarate giunsero 500 volontari del Primo Battaglione Lombardo Ciclisti e Automobilisti (le cui file vennero rimpolpate da numerosi profughi venenti e cittadini Gallaratesi). I volontari vennero alloggiati anch’essi nei locali della Cascina dove poterono partecipare alle esercitazioni militari. Tra loro, insieme a quelli di spicco nazionale come Marinetti, Boccioni e Sironi, era presente anche il gallaratese Giacomo Macchi. Macchi era un giornalista divenuto interventista dopo l’amicizia con Marinetti. Le sue imprese in guerra gli conferiranno notevole prestigio e diventerà amico di Gabriele D’Annunzio (con il quale manterrà una fitta corrispondenza). Da giornalista ad aviatore, molti manufatti della storia personale sono ancora racchiusi nella sua abitazione nel centro storico di Gallarate. La Malpensa è sopravvissuta alla Prima Guerra Mondiale e, dopo di questa, anche alla Seconda, vedendo anche la “gestione” nazista. In seguito al secondo dopo guerra, la Malpensa ha mantenuto la propria vocazione aeroportuale (ora è un aeroporto civile e commerciale internazionale) e i Gallaratesi hanno continuato a farsi affascinare dal volo (sono numerosi i nonni con i nipoti e i padri con i figli – è successo anche allo scrivente queste note – che vanno ad osservare gli aeroplani atterrare e partire dalla pista di volo, al confine con la brughiera.
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3. Il ruolo delle Esposizioni Agricole e Industriali Gli industriali gallaratesi parteciparono a diverse Esposizioni dedicate allo sviluppo e alla tecnologia industriale mettendo in luce gli avanzamenti tecnologici della Città dei Due Galli. Già nell’Esposizione Agricola-Industriale del 1871 era presente il circondario di Gallarate con circa 500 espositori, di cui tre (fratelli Bonicalzi, Luigi Giudici e Paolo Buzzetti) vennero premiati per le innovazioni apportate e la qualità dei prodotti. Nel 1881 fu la volta dell’Esposizione Nazionale a Milano dove ottennero note di merito il Cotonificio Cantoni, la sezione meccanica degli stabilimenti Bonicalzi, lo stabilimento Reiser (già premiato nell’Esposizione di Monza nel 1879), Giovanni Curioni e Ercole Ferrario (che si fece notare per aver ideato un particolare mantello di paglia atto a proteggere dalla pioggia chi dovesse passare molte ore nei campi e per cinque tipi di zampogne). Dopo l’anno 1870 la città di Gallarate è notevolmente mutata. Anche se in apparenza la città risulta un grosso borgo, chiuso e silenzioso, oltre le antiche mura sorgono industrie ed opifici. Munita di ferrovia, dagli anni ‘60 e dalla tramvia. I cittadini con le loro abitudini si mostrano calmi e passivi, ma finiscono in questo modo le loro abilità in campo commerciale, anche attraverso il loro più encomiabile comportamento. Durante questo periodo Gallarate conta una popolazione pari a 7000 abitanti, momento in cui spiccano industrie, quali: Ponti, Cantoni, Borghi. Dal 1880 al 1910 la popolazione subisce un raddoppiamento e l’industria locale trova il suo maggiore sviluppo, anni in cui sorgono tessiture, opifici meccanici, ricamifici, calzaturifici, fabbriche di oreficerie, maglifici, sciallerie e di sviluppo commerciale cui i grossisti gallaratesi di tessuti e di cotone si distinguono a livello nazionale e internazionale, aiutati da un solido organismo bancario. Parallelamente le masse operaie diventano consapevoli dei propri diritti, sorge la prima Camera del Lavoro e si aprono le prime Cooperative di consumo; a distanza di pochi anni si arriva a ridurre le ore di lavoro da 14 a 10 ore, così muta l’ottica nei confronti dell’operaio che non viene più considerato una merce. I salari minimi subiscono un notevole aumento e di conseguenza il tenore di vita migliora. Nel 1904 a Gallarate avviene il primo importante sciopero. Tra il 1909 e il 1910 iniziavano le prime aviatorie militari alla Malpensa, a Cascina Costa. Durante gli anni della prima guerra mondiale Gallarate si distingue soprattutto in campo assistenziale e nel 1918 la vittoria trova la nostra città impaziente per una ripresa commerciale ed industriale, pronta a sviluppare rapporti di lavoro e a riallacciare esportazioni con il mondo.
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4. Architettura L’architettura Liberty gallaratese, caratterizzata dalla presenza della vicina Milano, presenta uno stile prevalentemente decorativo che non va a modificare la struttura compositiva ottocentesca delle costruzioni. L’utilizzo di materiali decorativi quali: cemento per un vario impiego, ferro per la composizione di balaustre, cancelli, inferriate; vetro colorato. L’architettura liberty gallaratese si divideva in quattro tipi: l’alta borghesia dei Borgomaneri, la “Soc. Case e Alloggi” che operava come promotore immobiliare, la media borghesia che inizia a costruire i primi villini e le aziende che realizzavano i nuovi stabilimenti e le case per gli operai. Moroni, geometra con una forte passione per l’estetica e per lo studio dell’architettura, si contraddistingue rapidamente con il suo studio, trasformandolo nel più importante della città, stimato e apprezzato nei centri limitrofi, come Cairate, Bolladello, Cajello, ma anche quelle più distanti come Novara, Sesto Calende e Bergamo. Nell’esercizio della sua funzione dedica la sua attenzione ad un forte eclettismo, determinato dalla sua accessibilità verso qualsiasi stile, che gli consente di attingere liberamente allo stile neoclassico, medievale, classico, liberty, rielaborandoli in un linguaggio personale. Realizza progetti con le medesime caratteristiche che superano le differenze stilistiche, tra cui si distingue la mancanza di attenzione per l’integrazione tra architettura e tessuto urbano. Un ulteriore elemento che caratterizza il suo lavoro è la continua ricerca di solidità strutturale che si applica nell’utilizzo di bugnato per la parte inferiore ed intonaco scabro per le superiori e trova quasi un corrispettivo nella tesi della verità statica di Belcher secondo cui “per ottenere un senso di solidità, è necessario che la parte inferiore dell’edificio mostri una consistenza maggiore della parte alta”. Quanto alla decorazione, Moroni la distribuisce principalmente sulle cimase e sporadicamente sulle pareti; solitamente adornate da fasce marcapiano, semplici o con decori, e saltuariamente da intonaco, tipicamente lombardo; eppure l’ornamentazione è sempre trattata in modo strutturale e plastico, e su di essa si basa l’animazione dei prospetti con precise scansioni ritmiche e simmetriche. La movimentazione delle pareti è abitualmente assegnata alla contrapposizione tra i materiali delle facciate, in modo particolare tra cotto o scanalato e intonaco liscio; quella delle piante invece da aggetti e rientranze che nella maggior parte dei casi esibiscono la medesima forma rettangolare, a cui inizialmente si accosta il quadrato della torretta, sostituito negli ultimi anni dalle emisedre a piano
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terreno simili a bow-window. Difatti solo raramente il geometra utilizza forme diverse per animare le piante. Attraverso uno studio delle planimetrie interne, viene affermata la costante rigidità nella disposizione dei locali che si conserva anche dopo le innovazioni novecentesche degli anni Trenta. Le soluzioni ideate sono semplici e confortevoli, per in assenza di grandi zone di respiro, introdotte soltanto in caso di necessità strutturali o su specifica richiesta del committente. Considerevole è il perseverato utilizzo di moduli strutturali classici come la disposizione simmetrica delle decorazioni sui prospetti, la creazione di un ritmo, la ricerca di solidità e compattezza, la divisione gerarchica tra piano nobile e non che scompare soltanto al termine della carriera del Moroni. Quando la volontà di astrazione raggiunge la sua piena maturazione, sia la ricerca continua di un aspetto gradevole da un punto di vista estetico per i fabbricati la cui destinazione prevede dei precisi parametri ornamentali. Moroni stabilisce due legami forti dal punto di vista artistico: il primo, con la città di Milano, sostenuto dalla funzione di polo culturale, economico e sociale svolto dalla città per le provincie (essendo Gallarate una provincia fino al 1926) ed anche dalla presenza della stessa committenza nel capoluogo. Un altro legame forte lo ha con Boito, conosciuto grazie ad una commissione ottenuta nel 1914 dalla Congregazione di Carità per la costruzione dell’ala sinistra del padiglione di chirurgia. Anche da un punto di vista ideologico Moroni viene influenzato dalla presenza di Boito a causa del suo continuo utilizzo del mattone a vista, di fasce decorative che spezzano le pareti, nel richiamo insistito alla tradizione lombarda. Moroni si avvicina alle novità architettoniche con molta cautela, assorbendole parzialmente e proponendole con un tono pacato nelle sue realizzazioni, ma sin dall’inizio della sua carriera da prova della sua capacità di adattamento ad ogni richiesta ed esigenza del committente, tratto evidente caratterizzante del periodo. Da una parte vi è una definita semplicità espressiva basata sia sul conflitto tra i diversi tipi di trattamento delle pareti (liscio/ scanalato o bugnato), sia su due tipi di cimase utilizzate per le finestre (ad arco ribassato e rettangolare), lievi asimmetrie nella disposizione delle stesse che non creano disarmonia. Un elemento considerevole di questo periodo è la torretta, che viene inizialmente utilizzata per motivi legati al mondo industriale e successivamente trasformata in un belvedere, tangibile simbolo di benessere per la borghesia gallaratese.
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L’architettura di questo periodo è caratterizzata da un ritmo creato dalla simmetria degli elementi, dove l’ingresso principale è accentuato dalla presenza di una scalinata laterale che conduce ad un porticato terrazzato, decorazioni che enfatizzano il passaggio dal piano inferiore a quello superiore, che abitualmente viene ornato con applicazioni cementizie più accurate in quanto nobile. All’inizio del 900’ Moroni compie diverse sperimentazioni ornamentali che contraddistingueva la sua visione dello stile liberty dalla vicina Milano, come ad esempio per la mancanza delle maioliche sulle facciate, i putti o le figure di donne, le teste muliebri, le pareti interne non ricoperte da fiori, i corrimano e le ringhiere non abbellite da rose o iris. Lo stile dell’architetto sottolinea una maggiore presenza di partiti decorativi rispetto agli anni precedenti, evidenziata dall’introduzione di cornici in cemento ornate con fiori e motivi curvilinei o da elementi archeologici come clipei e ghirlande che, assieme a linee rampicanti e sinuose, a pennoni, a bifore o trifore, rivestono finestre. La decorazione si estende fino ai balconi, decorati con finestre dai vetri colorati, e ai cancelli, i cui ferri battuti vengono forgiati nella medesima forma delle cornici. Negli ultimi anni della sua carriera Moroni utilizza linee più essenziali, gli elementi modernisti fanno spazio a quelli classici e le pareti sono animate dal contrasto tra bugnato e liscio, o tra pietra e liscio. Questa tendenza è portata fino agli estremi negli anni Trenta, quando le ornamentazioni sono trattate sempre come elementi strutturali e plastici. Il suo essere versatile tuttavia si riscontra in differenti progetti che realizza: lombardo per il villino Grassi, esuberante per Borgomaneri. Per l’edificazione dei palazzi destinati all’alta borghesia dominano gli intenti scenografici e i richiami agli esempi cinquecenteschi.
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4.1 Dai primi anni del secolo alla 1° Guerra mondiale: la nascita dell’Eclettismo Liberty Questo periodo è caratterizzato da numerose commissioni rilevanti, dalla maturazione di quello stile Eclettico tipicamente moroniano, poi commisto ad elementi tratti dal nuovo linguaggio internazionale; tra gli edifici realizzati se ne contano alcuni che acquisiscono giusta fama al di fuori dei confini gallaratesi: la Tessitura Alessandro Borgomaneri e figli, la Tessitura Meccanica Carlo Bassetti, il villino Luigi Borgomaneri, le Scuderie Martignoni. Le prime sperimentazioni in campo decorativo avvengono tra il 1902 e il 1905, grazie all’inserimento di elementi archeologici come ghirlande clipei e di cornici in cemento ornate con fiori e motivi curvilinei. Gli anni precedenti alla prima guerra risultano i più importanti per la costruzione di edifici liberty. I primi progetti vedono la costruzione di due palazzine.
4.2 L’architettura del Moroni dagli inizi ai primi anni del secolo Nei primi anni di attività lo stile di Moroni presenta una doppia resa: la costruzione di edifici caratterizzati da uno stile più semplice e dal frequente bugnato, ma anche altri con richiami evidenti del romanico e gotico. Viene sottolineato in questo modo il suo coinvolgimento per un ritmo strutturale ottenuto da variazioni di decorazioni, che vengono spesso collocate in modo simmetrico.
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Sin dall’inizio della sua carriera ottiene commissioni considerevoli; una delle prime risalente al 1898 per la scialleria Tadini - Brusa.
4.3 Stabilimento Tadini e Brusa Tipologia: stabilimento Ubicazione: strada in progetto (via F. Cavallotti)/ provinciale per Somma Lombardo Anno di costruzione: 1898 Committente: Tadini e Brusa
La costruzione, che possiede una forma ad L, gode di un’estrema semplicità nei prospetti, sia quelli propriamente industriali, composti da shed alti due piani con alzato in laterizio, fascia marcapiano, aperture con cimasa ad arco ribassato, tasselli nel sottogronda e pennone sul tetto, sia in quelli di rappresentanza. Inquadrati da paraste lisce ornato da una base ed una fascetta che prosegue quella marcapiano degli shed, con aperture rettangolari adornate da un’incisione sottostante a piano terreno, un davanzale al primo, ed infine con tetti a spiovente sempre retti da tasselli; internamente lo stabilimento è suddiviso in un ampio stanzone contenente i macchinari, uno studio e una portineria e una doppia scalinata che introduce nel secondo capannone industriale. Per il susseguente ampliamento il capannone ha una forma rettangolare costituita dall’unione di shed, accessi posizionati all’estrema sinistra e all’estrema destra; le pareti dei moduli sono scanalate orizzontalmente, le finestre rettangolari separate da paraste della medesima altezza, lavorate a bugnato. Il capannone è percorso da una trabeazione nella zona del sottogronda.
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4.4 Villino Caterina Brusa Tipologia: villino di abitazione Ubicazione: strada in progetto (via F. Cavallotti)/ provinciale per Somma Lombardo Anno di costruzione: 1898 Committente: Caterina Brusa
Questo progetto presenta elementi ricorrenti della produzione moroniana, come la pianta di forma articolata costituita dall’unione di tre corpi di differente lunghezza, movimentata da una torretta e sopraelevata dal piano stradale da uno zoccolo con aperture per le cantine; i prospetti si dividono un due zone: quella inferiore presenta pietre ornamentali angolari (che più tardi verranno sostituite da paraste), una parete in intonaco scabra e finestre rettangolari con cornice esterna priva di ornamenti; l’ingresso principale è posizionato in direzione della strada provinciale, dislocata nel corpo centrale di lunghezza intermedia, a cui si accede da una scalinata laterale che termina in un pianerottolo cinto da una balaustra inquadrata da colonne con capitello a volute reggenti una tettoia cemento. Il passaggio tra i due piani è segnalato da una trabeazione ed una fascia decorativa floreale; le finestre singole hanno cimase a sesto acuto. La torretta scalare è suddivisa in quattro parti: la prima, identica a quella inferiore del villino, la seconda delimitata da due trabeazioni, è aperta da due finestrelle, la terza aperta da una bifora a sesto acuto con decorazione, ed infine una fascia floreale che introduce all’ultima, aperta da una trifora, composta da un varco a tutto sesto e due con cimasa rettilinea. La costruzione è caratterizzata da tre corpi di dimensioni differenti, di cui il centrale e quello a sud uniti da un balcone a colonne con disegni floreali, animati da piccoli pennoni in ferro poste agli angoli. Sono entrambi ripresi nella balaustra che accompagna i gradini di ingresso, terminati in un pianerottolo posto sotto il balcone. Concludendo vi sono pennoni di dimensioni maggiori collocati sulla sommità dei tetti, che risultano semplici nelle decorazioni, tranne quello centrale la cui base è più elaborata. Tutti i prospetti sono strutturati in medesima maniera, ossia presentano una fascia sottostante la gronda decorata con inserti floreali in cemento semplici ma eleganti, sistemati in modo che ad ogni decorazione sviluppata in verticale, ne corrispondano due in orizzontale; questo secondo motivo è ripreso nelle cimase delle finestre del primo piano, circondate da cornici rettilinee, accompagnato da volute laterali incise nella stessa che scendono in basso, terminando a livello del balcone; la decorazione prosegue con dei ventagli laterali posti sotto le finestre. L’effetto ottenuto è elegante, di sapore viennese.
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Nella parte inferiore delle finestre le decorazioni sono più stilizzate e contenute, per divenire più elaborate sulla porta d’ingresso con una cornice esterna che la circonda interamente e custodisce una fascia di mattoni a vista, che vengono utilizzati anche nelle finestre sotto il fregio. Nel 1902 avviene la prima “incursione” nel campo dell’edilizia popolare con la costruzione di un gruppo di casette per Giovanni Bossi in cui compaiono diversi richiami al nuovo stile. La costruzione riguarda quattro casette in fila, di cui la prima è più grande rispetto alle altre, ma possedenti identici prospetti. Tutte e quattro sono caratterizzate da aperture rettangolari, solo quelle del secondo piano con fregio nella cimasa, scalini dinanzi all’ingresso, alzato in laterizio con finestrelle, parete del piano rialzato scanalato, del secondo liscia. All’interno ogni unità ha un atrio su cui si affacciano i locali ed una scala che conduce al piano superiore strutturato allo stesso modo. Le decorazioni risultano molto semplici e lasciano supporre una destinazione di ceto medio-bassa.
4.5 Villino Alceste Pasta Tipologia: villino di abitazione Ubicazione: strada comunale per Crenna Anno di costruzione: 1898 Committente: Alceste Pasta
Costruzione semplice collocata su due piani e costituita da due corpi di lunghezza diversa, nei quali sono collocati gli ambienti domestici, collegati da un terzo corpo che è preceduto da un ambito piccolo di disimpiego che ricopre il ruolo di ingresso. L’esterno, più semplice rispetto all’ambiente posteriore risulta tuttavia dinamico. Un alzato in laterizio caratterizza la zona più bassa e percorre tutto l’edificio. Questo ultimo viene suddiviso in due parti da una fascia marcapiano leggermente aggettante: la parte inferiore è caratterizzata da una decorazione a bugnato incisa nell’intonaco, mentre la superiore è liscia nella zona di destra, a bugnato in quella di sinistra interrotta nella zona circostante la finestra, scelta per creare un gioco asimmetrico in facciata; la decorazione termina con una fascia decorata sotto la gronda.La forma rettangolare delle finestre esercita una fondamentale funzione di rafforzamento dell’elemento ritmico/ asimmetrico. La parte centrale della costruzione è aperta dalle scale esterne, inquadrate da due colonne con capitello reggenti un arco, mentre nella zona superiore vi è una finestra singola e un terrazzino, chiuso da una balconata a colonnine. Questo edificio è rappresentato da elementi semplici ma eleganti e vivaci, privo dunque di quelli esuberanti che saranno caratterizzanti in altri progetti di Moroni.
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4.6 Villino Campi Tipologia: villino di abitazione Ubicazione: via San Rocco Anno di costruzione: 1898 Committente: Campi
La costruzione è composta da quattro locali con una disposizione inconsueta: la cucina, seguita da locale lavandino ed una camera probabilmente studio sono posti in facciata, mentre sala e sala da pranzo sul prospetto posteriore; si prolunga in un corridoio interno un atrio, mentre il vano scala è dislocato. Al piano superiore vi sono le stanze da letto e i due bagni. L’edificio è articolato in due parti: quella inferiore, percorsa da una fascia marcapiano, ottiene due zone secondo la sezione aurea, e passa sotto le due finestre, una su ogni lato rispetto alla porta. Le tre aperture sono molto semplici e terminano in un arco ribassato, che possiede una cornice con incisioni. La parte superiore invece dispone di una decorazione più articolata, quasi astratta che si posa su un gioco di fasce, le quali in altezza ricavano tre zone in cui la centrale è la più grande, e in larghezza sette di cui tre riempite dalle finestre di forma rettangolare. La fascia centrale, sormontata da una trabeazione, è sostenuta da una doppia fila di fasce terminanti nell’apertura triangolare che interrompe il tetto. La mancanza di una documentazione non permette di comprendere di più sui materiali utilizzati per la realizzazione della fascia decorativa.
Il Ristorante Sempione realizzato nell’anno 1899, è un’altra costruzione esemplare; edificio attualmente ancora attivo, ma che presenta in seguito ad una ristrutturazione diverse modifiche, come il colore che da beige è diventato rosa e le pietre intorno alle aperture sono diventate di una tonalità più chiara. Sfortunatamente non vi è una planimetria della struttura.
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4.7 Edificio di ristoro Tipologia: edificio di ristoro Ubicazione: via F. Cavallotti/ corso Sempione Anno di costruzione: 1899 Committente: ? La costruzione si eleva su due piani e possiede una forma angolare composta da due ali laterali in cui sono collocati una saletta e un salone, due locali denominati bottega, una cucina con locale per lavandino, ed un vano scala; le indicazioni circa il piano interrato, dove vi sono la caldaia e le dispense, sono assenti. Il piano superiore invece è forse impiegato come abitazione del proprietario. Da un punto di vista decorativo, l’edificio presenta una fronte emiesangolare posta sull’angolo e completamente scanalata, aperta dalle finestre ed una porta (lato centrale) rettangolare con una cornice di pietre a bugnato; la parete sopra l’ingresso è aperta tra una trifora rettilinea la cui modanatura è ingentilita da un’incisione geometrica. Le ali brevi sono meno elaborate: il piano inferiore è inciso orizzontalmente, tranne nella zona circostante le finestre rettangolari, che sono dotate di cornice soltanto al piano superiore, ove la parete è liscia. Precede il tetto un parapetto indicante l’attività svolta nel fabbricato. Questo edificio presenta poche elementi ornamentali, quali il contrasto tra la parete scanalata del prospetto centrale e liscia di quelli laterali, scanalatura e bugnato nel solo centrale. Sono tutte soluzioni lontane dallo stile liberty, giocate su delle simmetrie ed una semplicità estranea al nuovo linguaggio internazionale.
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4.8 Palazzina Giovanni Bossi Tipologia: palazzina di affitto con botteghe Ubicazione: via Manzoni Anno di costruzione: 1902 Committente: Giovanni Bossi
I segni del bugnato sono evidenti sull’intonaco del piano inferiore dell’edificio. Essi introducono le vetrine e gli ingressi delle botteghe. Al piano superiore le pietre angolari di due lunghezze differenti sostituiscono le paraste; la parete invece è scanalata orizzontalmente tranne nelle zone circostanti le finestre, le quali presentano una cornice rettangolare con fregio nella cimasa. Le porte sono sormontate da archi a tutto sesto e trabeazioni, che creano una pausa nella verticalità .
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4.9 Palazzina fratelli Cagnola Tipologia: palazzina di affitto con botteghe Ubicazione: via G. B. Trombini / vicolo San Martino Anno di costruzione: 1902 Committente: fratelli Cagnola
La costruzione presenta al piano terreno botteghe inquadrate da paraste di forma rettangolare sormontate da clipei, mentre le finestre possiedono una più elaborata cornice con ghirlande di alloro. Al secondo piano, prolungate oltre il limite del davanzale, esse mostrano un andamento curvilineo con incisioni floreali interne, a differenza del terzo piano ove, sormontate da una fascia decorativa nel sottogronda, manifestano una forma a godet verso il basso, dove sono decorate da fiori e forme curve. Nella parte verso il vicolo è presente una torretta. Questo edificio presenta elementi dello stile liberty, come cimase curvilinee e le incisioni floreali combinati ad altri classici come il bugnato, i clipei e le ghirlande. In questo periodo emergono anche i primi misurati richiami al Modernismo, evidenti nella cappella realizzata per la famiglia Bonicalzi nel locale cimitero, ripresi successivamente nella Puricelli-Guerra. La prima fase di sperimentazione del liberty è caratterizzata dal contrasto tra scanalato al piano inferiore e liscio ai superiori, con cimase ornate da volute e inserti floreali, fasce con decorazioni e ferri battuti con disegni ancora molto semplici nei balconi. Questa fase termina con il progetto di un secondo villino per Caterina Brusa.
4.10 Casa di affitto Curti Tipologia: casa di affitto Ubicazione: strada provinciale per Busto Arsizio Anno di costruzione: 1904 Committente: E. Curti
La struttura di questo edificio possiede una forma ad L e si sviluppa su due piani, dove il piano terreno è impiegato da quattro locali adibiti e magazzino, ognuno con ingresso indipendente e finestra; una latrina dislocata nell’angolo, a cui seguono due locali, uno stretto ad uso ripostiglio del magazzino a sinistra, mentre l’altro denominato cavedio collegato a quello di destra. All’estremità rivolta verso la strada un vano scala posizionato conduce al ballatoio comune del piano superiore, di
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cui manca però la disposizione interna dei locali. L’edificio progettato è molto semplice, adatto a dei poveri operai. Grazie alla creazione del villino per il capomastro Giovanni Bossi, Moroni compie un salto essenziale verso la creazione dello stile liberty, che diventerà parte integrante della sua architettura.
4.11 Villino Giovanni Bossi Tipologia: villino di abitazione Ubicazione: strada comunale per Crenna Anno di costruzione: 1905 Committente: Giovanni Bossi
Per questa costruzione, in assenza delle planimetrie interne, risulta tuttavia semplice ipotizzare la disposizione delle diverse stanze da letto con bagni singoli al secondo piano, mentre al primo piano sono collocati studio, cucina, sala da pranzo e salotto. La pianta di questo edificio è vivacizzato da parti aggettanti sia nella facciata verso tramontana che in quella verso mezzogiorno, in cui sono inoltre dislocati l’ingresso secondario e quello principale. Nella parte sud del villino spicca l’introduzione di una torretta scalare sviluppata su tre piani, aperta da una bifora per i primi due livelli con cornice ed incisioni nelle cimase, ed una trifora sulla sommità con capitelli elaborati. La parete del piano rialzato è decorata da fasce di mattoni a vista, una fascia marcapiano la separa da quella del secondo ad intonaco giallo liscio, mentre l’ultima è identica alla prima. Nel sottogronda è presente una fascia decorativa sormontata dalla cornice esterna del terrazzino posto sulla sommità della torretta, cinto da una balaustra a colonne ai cui angoli sono posti dei pennone.
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L’accesso all’ingresso principale dell’edificio avviene tramite una scalinata con inserti in ferro battuto laterale che conduce ad un pianerottolo esteso fino alla torretta. Questo è preceduto da un vestibolo a tre fornici con arco ribassato, utilizzato anche al piano superiore, caratterizzato da una decorazione di mattoni a vista, mentre le finestre hanno vetri colorati e ferri battuti floreali, e le porte cornici. Le pareti dell’edificio ripetono l’ordine utilizzato per la torretta, tranne per la presenza di una fascia in cotto all’altezza delle cimase del secondo piano. La costruzione è definita dall’alternanza del mattone paramano con quella dell’intonaco liscia, il cui colore crea un vivace contrasto con il rosso del cotto. Sfortunatamente non vi alcuna presenza dei dettagli utilizzati per le decorazioni in cemento, ma si presuppone siano simili a quelli realizzati per il villino Brusa. L’opera architettonica diventa un modello di riferimento per la realizzazione di un secondo villino per Alceste Pasta del 1906. I prospetti sono infatti animati dal contrasto tra scanalato, liscio e mattone paramano, le cimase presentano cornici modellate e inserti floreali, ripresi nei ferri dei balconi e del cancello di foggia elegante e semplice; una fascia percorre il sottogronda, l’accesso è reso possibile da un porticato trifornice ripreso al piano superiore e cotto ornamentale. Una caratteristica distinta nell’architettura moroniana è il suo frequente utilizzo di una fascia ornamentale nella parte terminale delle superfici esterne, come anche il contrasto tra parti in mattone paramano, parti in intonaco liscio e decorazioni in cemento.
4.12 Dormitori industriali Tipologia: dormitorio industriale Ubicazione: via Cantoni Anno di costruzione: 1905 Committente: ditta Introini
L’edificio si estende su due livelli e presenta una facciata molto semplice, priva di abbellimenti. Vengono effettuate modifiche soltanto al primo piano della costruzione riprese successivamente anche al secondo, ove l’impostazione è definita da due grosse stanze adibite a dormitorio, un piccolo bagno con latrine e lavabo in fondo all’edificio, separati dal vano scala. Il piano terreno è caratterizzato da due stanze di diversa grandezza adibite a refettorio comunicanti, una cucina, un locale lavandino, scale e guardaroba.
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La facciata è invece arricchita da un motivo a bugnato che da terra arriva alle finestre del secondo piano, per essere ripreso all’altezza delle cimase del terzo e le finestre sono tutte decorate da una cornice che prosegue, in alto e in basso, oltre all’altezza delle aperture ed è scanalata su tre lati per quanto riguarda quelle più in basso, lateralmente per le altre.
4.13 Casa Vanoni Tipologia: casa di abitazione Ubicazione: corso Sempione Anno di costruzione: 1907 Committente: Antonio Vanoni
La costruzione ha una struttura caratterizzata da una pianta quadrata allungata posteriormente da un vano scala esterno ed una doppia balconata. Internamente è suddivisa in un piano terra aperto da archi ribassati che introducono in due locali separati, uno lungo e stretto ed uno largo con retrobottega, mentre al piano superiore trovano posto sei locali di abitazione.Le finestre possiedono cornici e fregi in cimasa, unite da una seconda fascia e dinanzi a quella centrale è posizionato un balcone. Risulta invece singolare la presenza di un parapetto sul tetto, spezzata da un inserto ad arco ribassato introdotto da pilastri sormontati da pennoni, un richiamo alla fabbrica Borgomaneri ed al significato simbolico delle sue decorazioni.
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4.14 Villa Carlo Borgomaneri Tipologia: villa di abitazione Ubicazione: via Roma Anno di costruzione: 1907 Committente: Carlo Borgomaneri
La costruzione, eseguita da Carlo Moroni e tra le più significative nel panorama gallaratese, trova la sua posizione nelle adiacenze della fabbrica della famiglia e la sua struttura, posta su due livelli e due mezzanini, presenta una pianta ad U data dall’unione di tre corpi. Essi sono inquadrati da paraste a bugnato interrotte da trabeazioni che separano in piano interrato dal primo, e questo dal secondo, e la cui parte terminale è decorata da applicazioni floreali e geometriche e scanalature verticali. Le pareti del mezzanino terreno sia quella del piano rialzato, a cui si accede tramite una scalinata che conduce ad un terrazzo che occupa metà della lunghezza del prospetto, sono scanalate orizzontalmente, quella dei piani superiori è liscia. Una decorazione floreale adorna la porta d’ingresso, introdotta da due paraste reggenti uno dei tre balconi del primo piano e tutte le aperture riprendono il fregio e l’elemento geometrico, questo inserito in una seconda modanatura soprastante quella che circonda l’apertura, quello nella trabeazione ad arco ribassato che termina la decorazione. Un ampio terrazzo con scalinate laterali precede il prospetto verso il giardino, che è composto unicamente del corpo centrale. I corpi caratterizzati da aggetti, sono occupati al piano rialzato da due grossi locali evidentemente adibiti a salone per gli ospiti e studio con biblioteca e giochi per i signori, a cui si accede da un corridoio interno che separa due locali posti accanto all’atrio di ingresso, cioè un bagno, un vano di due scalinate parallele precedute da un vestibolo a cui è possibile accedere anche dal giardino, e due stanze comunicanti, al primo piano i grossi locali laterali vengono suddivisi in una stanza rivolta verso la strada e due locali più piccoli, mentre i restanti conservano le dimensioni e la disposizione del piano inferiore, ma vengono adibiti a camere da letto comunicanti su di un andito interno quelle sopra l’ingresso. Un anno più tardi Moroni si dedica alla realizzazione del villino per Vito Borgomaneri, dal quale possiamo assistere ad una nuova svolta nella fase liberty dell’architetto: non domina più il contrasto tra il mattone paramano e l’intonaco, ma tra scanalature orizzontali e pareti lisce, accanto a cui
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compare una splendida trifora circolare che apre la torretta angolare; sicuramente splendidi i ferri battuti.
4.15 Villino Vito Borgomaneri Tipologia: villino di abitazione Ubicazione: via Dante/ via Volta Anno di costruzione: 1908 Committente: Vito Borgomaneri
La costruzione, opera dell’architetto Carlo Moroni e posizionata centralmente su un lotto lungo e stretto, presenta una struttura simile a quella di Luigi Borgomaneri, ovvero irregolare composta da tre corpi sviluppati su due piani, e movimentata da una torretta angolare alta tre piani posta a fronte dell’ingresso principale. Lo zoccolo è decorato da pietre a vista e separato dal piano rialzato, attraversato da scanalature, da una trabeazione, mentre una fascia marcapiano scabra è presente all’altezza delle prime cimase, ed introduce al primo piano le cui pareti sono completamente lisce, ed è ripresa alla base delle aperture del mezzanino e nel sottogronda sia del villino che della torretta, ingentilita da decorazioni.
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L’ingresso e posizionato nel corpo più grande e vi si accede da una scalinata laterale curvilinea che conduce ad un pianerottolo con parapetto, su cui poggiano due delle colonne che sostengono il terrazzino del piano superiore, che funge da tettoia per la porta. Le aperture del piano sono rettangolari e con cornici incise da motivi floreali sia nella cimasa direttamente sopra l’apertura, sia nella modanatura aggettante che la sormonta. Le finestre del primo piano hanno anch’esse una cornice la cui cimasa è ad arco ribassato e non presenta elementi floreali. Nella torretta è presente un’apertura in più tra la trifora e la monofora del secondo piano, identica a quest’ultima, la cui cornice si fonde con quella circolare soprastante. La sommità della torretta presenta un terrazzino. Un secondo ingresso, identico al primo nella composizione è posto nella parte sud ed è sormontato da una bifora, mentre un ultimo riservato alla servitù è rivolto verso ponente, ma mancano balconi e scalinate laterali. La porta di ingresso conduce ad un atrio su cui si affacciano, a sinistra, un salotto ed una sala da pranzo, a destra uno studio, una cucina con lavandino, ed un bagnetto; dirimpetto la porta vi è una scalinata per il piano superiore, occupato dalle camere da letto e da bagni; altri locali sono ricavati, oltre che nella zona interrata per il riscaldamento e la cantina, nel sottotetto, probabilmente dedicati alla servitù. I ferri battuti sono presenti nei balconi e nei parapetti dei terrazzini e nei cancelli e la loro stessa bellezza è un motivo per cui essi rappresentano un sicuro elemento di distinzione e qualificazione. Moroni adopera così un liberty più puro, non contaminato da elementi eclettici presenti in altri progetti come il villino di Luigi Borgomaneri.
4.16 Villa Mauri Tipologia: villino di abitazione Ubicazione: via Solferino Anno di costruzione: ? Committente: Rodolfo Mauri
La costruzione, residenza della famiglia Mauri, presenta una struttura con pianta irregolare ed è rialzato da arcate aperte ben evidenti nella parte posteriore. Per la sua realizzazione Moroni utilizza un progetto sperimentale, come un ingresso di forma circolare o l’abbondante inserimento di ferri battuti anche sulla facciata posteriore.
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I prospetti sono caratterizzati dal contrasto tra il mattone a vista, l’intonaco chiaro che inquadra i vari corpi componenti il villino, e le decorazioni in cemento presenti su tutte le aperture. Una scalinata centrale rende possibile l’accesso allo stabile e conduce ad un terrazzo. Due finestre rettangolari con cornice in cemento e mattoni sono affacciati su un balcone cinto di splendidi ferri. Nel prospetto laterale sinistro le soluzioni strutturali adottate risultano differenti. La torretta invece è aperta da due trifore circolari, una alla base ed una alla sommità, separate da una monofora identica a quelle descritte, mentre bifore aprono la parete vicina. Il piano superiore dell’edificio è aperto da quattro monofore posizionate l’una accanto all’altra, e riprese singolarmente sulla parete vicina; manca purtroppo l’ultima facciata. Su ogni corpo si alzano dei pilastri originariamente reggenti intrecci di ferri battuti, ben visibili sull’unico sopravvissuto posto a coronamento della torretta, mentre altri ferri sono presenti nei balconi, nelle finestre e nel terrazzo. Risulta impossibile non ammirare la leggerezza, l’ariosità dei prospetti caratterizzati dalle trifre circolari ed anche da quelle nuova soluzione per l’ingresso, i vetri colorati delle stesse e di alcune altre aperture, la sapienza nella distribuzione dei ferri e le loro forme spezzate e sinuose insieme, ed infine dai giochi creati dal mattone e dall’intonaco. Nella città di Gallarate lo stile Liberty si manifesta grazie a facoltosi cittadini che commissionano ad ingegneri e architetti l’esecuzione delle proprie ville e fabbriche.
4.17 Casa Aletti Realizzata nel 1908, presenta una struttura su tre piani e una facciata simmetrica dal punto di vista delle aperture. La costruzione dispone di elementi caratterizzanti, quali il mattone a vista, intonaco bugnato, finti conci graffiati inquadrati da sottili fasce cementizie. Le aperture delle finestre risultano poco decorate al primo piano, mentre il piano terra e il secondo piano presentano un arco ribassato con inserti in mattoni a vista.
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4.18 Casa - Corso Sempione, 8 Costruzione di piccole dimensioni realizzata probabilmente intorno all’anno 1900: presenta la forma di un parallelepipedo e si eleva su due piani. Possiede timidi elementi Liberty riscontrabili in elementari riquadrature delle finestre, ma visibili richiami al passato.
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4.19 Edificio - Via Fucino, 3-17 Edificio composto da 8 unità abitative a schiera e realizzato tra l’anno 1906 e l’anno 1910 dallo studio Tenconi e Moroni. Presenta una facciata decorata in maniera considerevole, un piano terreno interamente rivestito di graniglia di cemento e un piano superiore ad intonaco rustico con il mattone a vista.
4.20 Edificio “Case e Alloggi” - Via Maino, 5 Costruzione risalente all’anno 1908 e realizzato dall’ing. Gino Rizzoli. Presenta differenti elementi risalenti allo stile Liberty, una facciata che varia i suoi materiali ad ogni piano della struttura: il piano terra è rivestito in graniglia di cemento rustico e con scanalature orizzontali; il primo piano interamente rivestito in mattoni a vista, mentre l’ultimo piano presenta una larga fascia intonacata.
4.21 Edificio - Via Maino, 7 Costruzione lineare priva di particolari decorazioni, presenta una struttura posizionata su due piani con un rivestimento a mattoni al piano superiore.
4.22 Edificio - Via F. Cavallotti, 6 Edificio posizionato su tre piani caratterizzato dalla presenza di balconi asimmetrici e un sottogronda costituito da numerose mensoline sagomate a forma di S che sorreggono voltini in mattoni.
4.23 Casa - Via F. Cavallotti, 7 Costruzione di tre piani che ha subito negli anni 1960-1970 l’innalzamento di un ulteriore piano. Presenta vari elementi Liberty negli ornamenti, anche se possiede un’impostazione tradizionale.
4.24 Villa - Cinque Giornate Costruzione elementare risalente agli anni ‘20 caratterizzata da una ricca cimasa che presenta una decorazione floreale nelle aperture semplici e binate del fronte strada. Il piano terra è caratterizzato dal finto bugnato, mentre il piano superiore è racchiuso da lesene e fasce in cemento.
4.25 Villa Pozzi - Corso Sempione, 34 La costruzione presenta una semplice impostazione e si eleva su tre piani; è decorata da fasce orizzontali di cemento nella parte superiore e da lesene dello stesso materiale poste agli angoli della
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struttura. I motivi ornamentali sono sottolineati nei contorni delle finestre del primo piano e nei ferri battuti dei balconi del terrazzo e di alcune grate, elementi richiamanti il modernismo austriaco.
4.26 Villa Colombo - Via Volta, 30 Realizzata nel 1909 dall’ingegnere Gino De Rizzoli presenta una struttura semplice a forma di parallelepipedo ed è posizionata su due piani. L’ingresso della villa è preceduto da un portico sormontato da una loggia aperta. Gli ornamenti vengono sottolineati nelle cornici decorate con motivi floreali, specialmente nelle cornici del primo piano, arricchite da eleganti bassorilievi floreali e nei pilastri posti ai lati dell’ingresso.
4.27 Villino Checchi - Via Battisti, 6 Tale costruzione, progettato dallo studio Tenconi e Moroni, rappresenta un significativo esempio della diffusione dello stile liberty anche nella piccola borghesia, attraverso una serie di elementi di modesta fattura come gli inserti in cemento stampato nelle cimase delle finestre, nelle mensole e nei parapetti del balcone. La fascia del sottogronda è ornata da motivi geometrici.
4.28 Villa Siciliani - Via Marconi, 3 La costruzione realizzata intorno al 1920 come residenza medio borghese, presenta una struttura movimentata sia nella pianta che negli alzati e modesti elementi liberty, concentrati soprattutto nelle forme delle finestre e nelle cimase.
4.29 Villa Bellora - Via Marconi, 5 Costruzione che si caratterizza per il suo gioco cromatico presente nelle facciate attraverso l’intonaco e il mattone che si alternano tra di loro con differenti forme geometriche. Nella parte alta della struttura sono posizionati inserti di ceramica colorata che ravvivano ulteriormente l’apparato delle facciate.
4.30 Casa Pastorelli - Via Borgo Antico, 1 Costruzione realizzata dall’ing. Gino De Rizzoli posizionata su quattro piani: presenta un’impostazione classica della fine dell’Ottocento con molteplici elementi dello stile liberty. In questa struttura vi sono differenti elementi in cemento modellato nei riquadri delle aperture, nella fascia della parte alta e ne balconi. La sua staticità è interrotta dalle asimetrie dei balconi e terrazzi.
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4.31 Villino - Via Costa, 12 Costruzione posizionata su due piani che presenta una semplice impostazione. Gli elementi liberty sono riscontrabili nei contorni delle finestre del piano terra ed in quelle binate del piano superiore.
4.32 Ex Manifattura Maino - Via Ronchetti Costruito tra il 1904 e il 1904 per i fratelli Alessandro e Antonio Maino lo stabilimento si trova in via Milano (attuale via Ronchetti) e progettato dall’ing. Carlo Porro. Grazie alla struttura architettonica, che presentava differenti elementi modernisti e grazie alla produzione veniva considerato all’avanguardia. Possiede una facciata movimentata da fasce in cemento orizzontali e verticali alternate all’intonaco ed elementi caratterizzanti come i contorni delle finestre, la fascia decorata spezzata da lesene che terminano con parti sagomate.
4.33 Cassa di Risparmio Province Lombarde - Via Cavour/Via Chiesa Realizzata nel 1926 a cura dell’architetto Ulisse Stacchini, presenta una facciata caratterizzato dal mattone a vista sapientemente ornato da blocchi di pietra squadrata e liscia. Struttura di gusto Decò.
4.34 Casa Rasini - Via Cadolini, 8 Realizzata da Attilio Puricelli, la struttura presenta timidi richiami del Modernismo comuni alle case medio-borghesi dell’epoca. Elementi caratterizzanti di questo edificio sono il fregio dipinto posto nel sottogronda e i parapetti in ferro battuto dei finti balconcini.
4.35 Casa - Via Trombini, 6 Costruzione di semplice impostazione che presenta elementi modernisti ai contorni delle finestre con coronamenti curviformi e al centro una testa femminile. L’intonaco occulta la presenza di altri elementi decorativi di questa struttura.
4.36 Casa Sironi - Via Novara, 12 Realizzata dall’architetto ed ingegnere Cristoforo Sironi nei primi anni del 1900, presenta evidenti elementi stilistici del passato, ma sono caratterizzanti elementi come il rivestimento in mattoni nel primo piano, la fascia decorata del sottogronda e le finestre decorate da rami,foglie e bacche legate da un nastro.
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4.37 Edificio - Via Novara, 3 Costruzione realizzata su due piani caratterizzata da coronamenti lineari di cemento nelle semplici aperture. Al primo piani essi sono congiunti da una doppia sottile cornice scanalata che conteneva in origine alcune decorazioni. Il cancello d’ingresso e il piano terra della struttura sono provvisti di ferri battuti con piccoli rami con foglie dall’andamento serpeggiante.
4.38 Tessitura Carlo Bassetti - Via Novara, 18 Realizzata nel 1905 dall’architetto Carlo Moroni è evidenziata da elementi modernisti; presenta una facciata composta da diversi materiali, un portone in legno, fasce cementizie grecate e archi ribassati ai cui estremi è posto un cartiglio con pendenti e rami con incise le iniziali TCB (Tessitura Carlo Bassetti).
4.39 Cimitero Monumentale - Via Milano Il cimitero vecchio di Gallarate (situato lungo la strada per Milano, dietro all’Ospedale di S. Antonio Abate) operò, dopo diverse vicissitudini, fino al 1876, anno in cui fu aperto quello odierno realizzato da Boito. I resti delle salme vennero esumati e raccolti nell’ossario dell’attuale Campo Santo. Le iscrizioni funerarie più rilevanti furono ricollocate lungo il muro della nuova recinzione. Il terreno venne sconsacrato e liberato per lasciare spazio ad un mercato. Il cimitero di Gallarate, risalente al XIX secolo, presenta molteplici opere appartenenti al periodo liberty, come: ●
l’Edicola Ettore Monti, ove la sepoltura è arricchita da un bassorilievo in marmo bianco di Carrara collocato a corona dell’ingresso dove sono raffigurate due figure femminili in preghiera. Caratterizzanti elementi dello stile liberty sono riscontrabili nelle vesti e nella ricchezza dei fiori.
● l’Edicola Famiglia Pastorelli, dove caratterizzanti sono le forme orientaleggianti del monumento interamente in graniglia di cemento con inserti di bronzo e la presenza dell’angelo posto sopra l’ingresso, che richiama il Modernismo. ● l’Edicola Famiglia Galdabini, risalente all’anno 1914, presenta un monumento costruito interamente in pietra con parti levigate e parti a spacco, due colonne orientaleggianti poste ai lati dell’ingresso e differenti accenni al Modernismo nell’impostazione dei volumi.
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● la Tomba Famiglia Minoli, realizzata intorno all’anno 1905, presenta un monumento con un grosso sarcofago in pietra sorretto da sei colonne in stile classico. E’ riccamente ornato da festoni intrecciati, fiori e frutti. ● la Tomba Fabrizi presenta una essenziale lastra di granito sulla quale è posta una donna in atteggiamento dolente che si copre il volto.La statua presenta differenti richiami liberty negli ornamenti floreali posti sulla veste,sui capelli e nel velo. ● la Tomba Famiglia Carlotti presenta una affascinante figura femminile in bronzo che rappresenta una donna accasciata, il cui viso è coperto da un velo trasparente; tiene in grembo grandi rose. ● la Tomba Venegoni Pozzoli presenta la statua di un angelo pensoso in marmo bianco ● la Tomba Famiglia Macchi presenta l’opera la “Madre” di Eugenio Pellini di Marchirolo, uno degli artisti più rappresentativi dello stile liberty. ● la Tomba Famiglia Monti risalente all’anno 1915, presenta un blocco di marmo bianco a forma di sarcofago sul quale è posizionato un angelo che abbraccia una ragazza e un fanciullo. Quest’opera appartiene allo scultore Enrico Rusconi di Bisuschio e possiede differenti elementi riconducibili allo stile liberty soprattutto nell’abbondante presenza di fiori che coprono interamente il sarcofago. ● l’Edicola Famiglia Bonicalzi presenta una semplice costruzione, ma con diversi richiami al Liberty in stile orientale. I due pilastri posti lateralmente all’ingresso hanno capitelli decorati con greche che si ripetono nella fascia dello zoccolo. ● l’Edicola Famiglia Cotta risalente al periodo 1912-1915, presenta una facciata modernista in pietra lavorata che racchiude sia il portoncino d’ingresso che il sopraluce.
Rilevante nel Cimitero di Gallarate è la presenza del famoso Adolfo Wildt, uno dei maggiori esponenti milanesi dello stile liberty, le cui opere sono riscontrabili nella Tomba Tomasini risalente all’anno 1915, dove figura una versione del celebre “Rosario” e nella Tomba Rossi risalente all’anno 1921; qui Wildt propone una struttura lapidea geometrica culminante con un folto gruppo di croci a cui fa da coronamento un fascio di fiori stilizzati.
4. 40 Annotazioni sugli edifici Liberty a Gallarate Come già anticipato, lo sviluppo di costruzioni liberty a Gallarate si è avuto maggiormente in zone periferiche rispetto al nucleo abitativo originario della città. Partendo dalla caratteristica via San
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Giovanni Bosco (altresì chiamata Contrada del Brodo, Canton Sordido e Porta Ticinesa), si oltrepassa il Ponte di Cardano e si prosegue lungo via Novara fino a giungere al numero 18. Quì ci si imbatte nell’ingresso della Tessitura Carlo Bassetti (costruita nel 1905 su un’ampia area in sostituzione ad un precedente modesto opificio). La tessitura è ancora oggi attiva ed è stata progettata da Carlo Moroni (probabilmente insieme a Filippo Tenconi). Il progettista vivacizzò la facciata dell’edificio principale alternando l’intonaco giallo con il tradizionale cotto dei mattoni a vista, le bifore alle finestre squadrate, le inferriate floreali ai cementi decorativi di intonazione eclettica. Aggirato l’isolato occupato dalla tessitura, è possibile scorgere la ciminiera e i capannoni. Proseguendo lungo via Mentana è possibile cogliere il suggestivo contrasto tra i mattoni a vista della Cabina Elettrica (situata all’angolo del muro di recinzione dell’opificio) e le modernissime Torri. Un piccolo tesoro nascosto collocato al numero 1 di via Palestro: il Teatro dell’ex Casa del Popolo. Esso è parte integrante della Casa del Popolo (la quale riuniva in un’unica sede le diverse organizzazioni operaie gallaratesi) ed è stato realizzato tra i 1920 e il 1921 ad opera dello studio Tenconi – Moroni e del geometra Bidorini (il quale all’epoca era direttore della Cooperativa di Consumo). Il piccolo teatro è dotato di un ampio palcoscenico e di una balconata semicircolare. Quest’ultima è sorretta da esili colonne con capitelli compositi. Lo spazio interno è decorato con lesene e stucchi bianchi che si stagliano sulla tinteggiatura rossa del soffitto, blu della volta e azzurro delle pareti. L’effetto complessivo è quello di uno spazio dedicato alla cultura elegante, ma sobrio. Sfortunatamente questo locale ha svolto la propria funzione per un breve periodo, infatti è stato inaugurato ufficialmente nel 1921, ma l’anno successivo venne devastato da un’incursione da parte delle squadre fasciste. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, il Teatro venne recuperato pur con funzionalità diverse: nel 1956 divenne palestra dell’Associazione Pugilistica Gallaratese. E’ possibile visitarlo su richiesta. In via Majno è possibile vedere, al numero civico 5 il Palazzo della “Società Case e Alloggi” Macchi & C.” (di cui si è precedentemente parlato), progettato per la Società stessa dall’ingegnere Gino De Rizzoli nel 1908. Questo edificio è sorto in conseguenza della Legge Luzzati per le case popolari ed è un tipico esempio di un’edilizia abitativa di serie poiché si presenta come un blocco uniforme senza balconi (elemento che avrebbe potuto costituire una nota ornamentale). L’attenzione al decoro stilistico è rappresentato dai parapetti floreali, dal fregio in cemento nel sottotetto, dalla differenziazione per piano delle mostre delle finestre e dalla tripartizione orizzontale della facciata. In via Solferino si susseguono l’ingresso superiore al Parco Botanico Bassetti (contenente centinaia di arbusti e alberi caratteristici dell’area del gallaratese e una delle ultime roccaforti dello scoiattolo
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rosso europeo, Sciurus vulgaris), la Villa Bassetti e Villa Rodolfo Mauri. Quest’ultima rappresenta uno dei più significativi esempi di edilizia privata dei primi del Novecento. Questa villa è dotata di una fine varietà di paramenti (tra cui cotto, intonaco giallo e cemento) ed è stata progettata probabilmente dallo studio Tenconi – Moroni. La dimora si presenta come una sorta di arioso castello poggiato su un basamento simile ad uno spalto ed è circondata da una cancellata di ferri a nastro (elemento che viene ripreso anche lungo le terrazze, le inferriate delle finestre e l’area di copertura del belvedere della torretta). In piazza San Lorenzo era presente un palazzo in stile liberty che ha rischiato di essere sostituito con un semplice parcheggio. Il palazzo è stato demolito e, al suo posto è stata realizzato un cortile con edifici che richiamano in facciata lo stile liberty originario. Il critico d’arte Vittorio Sgarbi si è espresso in merito a questa faccenda definendo la demolizione del palazzo a favore di un parcheggio come un atto di omologazione dell’hinterland milanese, un assassinio della propria identità culturale ed artistica. Il periodo liberty gallaratese è stato un momento storico in cui la città si è confrontata con il gusto internazionale. Conclude Sgarbi “Quell’edificio è il senso storico di Gallarate, l’unico futuro possibile”.
4. 41 Annotazioni sugli edifici industriali Liberty Nel 1898 gli opifici di Gallarate e dei paesi limitrofi lavoravano il cotone con oltre 1572 telai meccanici e con circa 409 telai a mano, mentre il lino e la juta erano lavorati da soli 68 telai meccanici e 557 a mano (questo squilibrio preferenziale verso la lavorazione manuale è dovuta alla difficoltà di gestione di questi materiali nei processi meccanizzati). Sulla base di tali numeri, si è stabilito che quasi un decimo dei telai presenti in Italia in quegli anni erano concentrati nell’area del gallaratese. Tra via Cadore e via Matteotti è possibile vedere alcune vestigia dell’antica Officina Comunale del Gaz, la quale è stata ristrutturata nel 1908 con un a spesa di circa 150000 lire. Il “gazometro” era in grado di fornire gas alle importanti industrie presenti sul territorio. Inoltre, in tempi recenti, questo locale ospitava anche il Museo della Tecnica e del Lavoro MV Agusta, esibendo le ambite motociclette guidate da piloti vittoriosi tra cui Agostini. Sfortunatamente, questa collezione non è più visibile e le motociclette sono state trasferite negli stabilimenti di Cascina Costa in attesa di una nuova sede museale. Proseguendo lungo la via anticamente denominata “del gazomentro”, ci si imbatte nella Ditta Isaia Calderara, fondata nel 1845, per la tessitura del lino e della canapa. Questa ditta in pochi anni
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raggiunse il numero di 200 telai a mano (che successivamente diventarono meccanici) ed era dislocata rispetto agli uffici posti in via Magenta. L’edificio era famoso per le sette grosse “C” che ornavano la facciata (collegate alla famiglia Cantoni e che la cittadinanza leggeva come “Cav. Costanzo Cantoni Con i Cotoni Capitali Creò”). Venne ristrutturato nel 1908 in seguito al passaggio nelle mani della Società Anonima Introini & C.. La ditta si dotò di 764 telai per la tessitura meccanica del cotone, di reparti per la tintura e candeggio, oltre che di alloggi per gli operai. Oltrepassata piazza San Lorenzo, si costeggia la Stazione Ferroviaria (la stessa citata da Ernst Hemingway in “Addio alle armi”) – di notevole rilevanza è la scalinata in stile liberty vicino al ponte della ferrovia – e si passa in via Curioni, dove è ubicato il Ricamificio Fratelli Guenzani (anch’esso non più produttivo). Quest’ultimo nel 1911 contava più di novanta operai e nel 1905 fu la prima ditta italiana a dotarsi di macchinari per il ricamo da 10 jards, successivamente cambiate con macchine Schiffli da 15 jards con automatismo per il pantografo. L’imponente Cotonificio Fratelli Majno è stato fondato da Alessandro Majno che, essendo cresciuto alla scuola dei Cantoni, emulò ben presto i suoi maestri: nei primi del Novecento era all’avanguardia della produzione di operati a jacquards, di tessuti damascati e traforati. L’esteso edificio venne realizzato nel 1905 (progetto dell’ingegnere Porro). Lungo la Varesina (agli attuali numeri civici 30 e 32 di via Pegoraro) sorgono due case operaie fatte costruire dalla Manifattura di Gallarate nel 1924 e nel 1907. Sono delle testimonianze dei numerosi edifici edificati per ospitare gli operai accorsi dall’Alto Milanese e dalla Lombardia per prestare la loro opera all’industria tessile. Questi edifici non sono conglobati negli opifici, ma sono dei piccoli appartamenti che la Manifattura di Gallarate (importante società collocata nelle immediate vicinanze del Cotonificio Majno e che preparava la materia prima per quest’ultimo oltre che per la Cesare Macchi & C. di Crenna) concedeva in affitto alle maestranze. In merito a tali alloggi, è curiosa la descrizione che ne offriva una testimonianza dell’epoca. Questo genere di edificio veniva definito come “caserma degli operai” e una lettera apparsa su Lotta di Classe nel 1913 ne da’ un’immagine rappresentativa; in questa lettera la direttrice del convitto viene descritta come una vera e propria dittatrice capace di spingere il direttore dell’azienda a licenziamenti arbitrari. Una prigione in tutto e per tutto. Come risposta da parte del giornalista, i dormitori vennero descritti in tono salomonico come dei “vantaggi per le lavoratrici” e in grado di fornire “anche una certa garanzia di moralità alle famiglie.” Risposta formulata poiché capitava che i dormitori fossero poco sicuri e che addirittura i direttori facessero “scorrerie” nelle camere da letto.
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L’Opificio Macchi (via del Lavoro) nel 1906 dava lavoro a ben 1200 operai ed era fornito di tessitura, tintoria, stamperia e candeggio. A fianco di questo edificio scorre il torrente Sorgiorile e la costruzione si presenta con una lunga facciata bianca, scandita da una serie di finestre. Di particolare interesse architettonico è l’antico dormitorio operaio posto innanzi all’entrata della fabbrica. Le Officine Meccaniche Gallaratesi si trovano all’estremo di viale dei Tigli. Sono state una colonna portante dello sviluppo economico industriale di Gallarate: attraverso gli anni hanno saputo reinventarsi per essere sempre attivi sul mercato (prima riparavano telai, successivamente hanno ideato macchine per i panifici e infine pompe). Inoltre in quest’area che collega Crenna alla vecchia Gallarate, si trovano anche le torri dei trasformatori che alimentavano le Ferrovie Elettriche Varesine, un tempo maestose, oggi malridotte e in stato di abbandono. In piazza Risorgimento si nota la costruzione posta ad angolo fra via Verdi e via XX Settembre. Attualmente ospita un negozio di abbigliamento, ma un tempo vi era collocata la sede della ditta di Oreficeria P. Colombo, specializzata nell’articolo stampato che si impose sul mercato nazionale. In via Roma si può ammirare la facciata della Manifattura Borgomaneri che, abbandonati i mattoni a vista, appare elegantemente decorata con lesene grigie poste su uno sfondo giallo e ghirlande floreali, le finestre protette da inferriate liberty. Gli stabilimenti Borgomaneri furono realizzati dal Moroni nel 1902 e occupano quasi interamente l’isolato delimitato dal torrente Arno. Da via Roma e da via Tenconi si affacciano i due antichi dormitori operai; le facciate di questi sono realizzate in mattoni a vista, elegantemente ornate da lesene, marcapiani e cornici alle finestre. A fianco degli stabilimenti venne realizzata in stile liberty la villa padronale Borgomaneri che ha ospitato anche il Circolo di Gallarate. Alcune voci raccontano che il proprietario fece costruire la villa con tanto di torretta così vicino agli stabilimenti per controllare l’efficienza degli operai. Nel 1939 la società dei Borgomaneri divenne talmente grande da dover spostare gli uffici di tessitura nell’opificio di via Venegoni (demolito per far spazio a un Centro Commerciale). In via Novara è collocata l’antica Tessitura Carlo Bassetti. E’ stata fondata nel 1875 ed è tutt’ora attiva. Lo stabilimento (riferibile allo stile di Tenconi – Moroni) sorse nel 1905 in sostituzione ai vecchi edifici che accoglievano un centinaio di operai che utilizzavano ancora telai a mano. Il cotonificio non ha subito radicali variazioni dal 1905 e il visitatore viene accolto in una palazzina (dalla facciata sobriamente ornata da tre archi ribassati, dallo stemma commerciale della ditta ripetuto più volte, dalle bifore che fungono da finestre) che ospita portineria e uffici; attualmente le lavorazioni sono ancora effettuate nei tipici capannoni industriali del primo Novecento; una pensilina
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sorretta da plasmati secondo i dettami del Liberty, copre l’entrata principale dei capannoni. L’edificio che ospitava il dormitorio degli operai è visibile al termine di via Marsala. Il Cotonificio Bellora è situato in fondo a corso Leonardo Da Vinci e attualmente è frazionato in diverse sedi atte per ospitare attività artigianali e commerciali. Sono sopravvissute le due ciminiere, malinconiche testimoni di un glorioso passato dove le numerose ciminiere e gli innumerevoli shed (i capannoni) erano gli elementi caratterizzanti del paesaggio di Gallarate, la Manchester d’Italia (insieme a Busto Arsizio e Legnano).
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5. Palazzo Borghi Un palazzo che è stato forse uno dei fulcri della vita cittadina di Gallarate. La sua storia si è intrecciata con quella dei Moneta, Rosnati, Borghi, di Teresina Melzi (vedova del Duca d’Este), del Conte Castelbarco (Feudatario di Gallarate), dell’ingegner Calati, del sindaco Vito Missaglia e di tanti altri personaggi. È stato palazzo residenziale, Dogana Vecchia, Sottoprefettura ed infine sede municipale di Gallarate. Procedendo con ordine, raccontiamo brevemente la storia di quell’edificio che oggi porta il nome di Palazzo Borghi e che è sede municipale (soffermandoci in particolare sugli anni del periodo liberty). La sua realizzazione, in quanto palazzo padronale, risale a circa al XVIII secolo; l’uso era abitativo, composto da due piani e un cortile interno. L’edificio del 1700 sorse in sostituzione ad una costruzione ben più antica di cui si hanno dati certi già dal 1600. La posizione è notevolmente interessante poiché è collocata lungo il perimetro della parte più antica del Borgo di Gallarate, il quale era costituito da un nucleo originario con pianta circolare, racchiuso tra quelle che che oggi sono le attuali vie Postcastello, Manzoni, Verdi, Mercanti, S. Antonio. Queste vie (e quindi i confini del borgo) ebbero origine dallo spazio tenuto sgombro dalla vegetazione a ridosso della cinta muraria (questa operazione era necessaria a fini difensivi e di osservazione). All’altezza dell’attuale fontana di piazza Libertà confluivano nell’Arnetta, così chiamata in questo tratto, le acque del torrente Sorgiorile. L’incontro tra i due torrenti e l’antica topografia cittadina spiega come mai sia presente una rientranza proprio in prossimità di questo edificio e il motivo per il quale via Verdi si allarghi ad imbuto. All’epoca dell’edificazione, l’attuale via Verdi era una piccola strada alzaia che costeggiava un tratto del torrente Arno. Quest’ultimo subiva una diramazione: l’alveo principale era stato deviato lungo il perimetro dell’antico borgo, mentre un piccolo ramo seguiva il percorso originario e attraversava il centro cittadino prendendo la denominazione di “Arnetta”. In questo periodo anche il Sorgiorile subì delle trasformazioni e la sua confluenza nel torrente Arno venne spostata all’angolo di piazza Risorgimento con via Roma. L’edificio che diventerà nel corso degli anni Palazzo Borghi era circondato da altre costruzioni che sono state demolite in seguito (alcune per far spazio a ristrutturazioni, altri per scomparire definitivamente dalla storia cittadina). Tra questi edifici si rammentano la vecchia chiesa di Santa Maria (risalente al XIV secolo e demolita nel 1855 per essere ricostruita in quegli stessi anni da
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Boito) e Casa Sironi (demolita nel 1909), separata dal palazzo in questione da uno stretto vicolo collocato in direzione sud.
I proprietari originari del Palazzo erano i Rosnati, i quali cedettero l’edificio alla famiglia Borghi (precisamente ai fratelli Franco e Fedele, figli di Zaccaria) il 23 settembre 1775. In breve tempo i gallaratesi si abituarono a chiamare l’abitazione con il nome di “Casa Borghi”. I Borghi sono giunti a Gallarate con Antonio Borghi (padre di Zaccaria) che si trasferì nella “città dei due galli” in giovane età. Zaccaria può essere considerato il capostipite del ramo locale dell’illustra casato della zona. Tuttavia i Borghi sfruttarono il Palazzo come residenza solo per dieci anni, infatti, nel 1785, affittarono parte del Palazzo all’Amministrazione Austriaca poiché, data l’importanza che il borgo stava acquistando sempre di più nel corso degli anni, Gallarate risultava idonea per la collocazione di un punto di riferimento amministrativo dell’Impero Austriaco sul territorio. Tuttavia alcuni dei gallaratesi dell’epoca vociferavano che i Borghi avessero ceduto il Palazzo in prestito d’uso a compenso di un debito fiscale. Qualsiasi sono i motivi per i quali Palazzo Borghi venne usato dall’Amministrazione Austriaca, di fatto dal 1785 esso fu sede di uffici amministrativi e – come riporta un documento del 4 giugno 1790
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firmato dal Regio Sovrintendente Della Somaglia – alcuni suoi locali furono addirittura adibiti a deposito di “polvere d’archibugio”, creando apprensione per l’incolumità degli abitanti delle abitazioni limitrofe. L’influenza della famiglia Borghi si stava rafforzando a Gallarate proprio in questi anni e il loro spirito imprenditore si farà sentire anche durante gli anni dell’industrializzazione Ottocentesca. I Borghi si unirono alla famiglia Alberti nel 1804 attraverso il matrimonio di Carlo (figlio di Fedele) con Maria Rosa Alberti. La famiglia di lei abitava in una prestigiosa “Casa Feudale” situata nella Contrada Fraccia (attualmente chiamata via Cavour). Il nome dell’abitazione era dovuto al fatto che essa era appartenuta all’ultimo Feudatario di Gallarate - ovvero il Conte di Castelbarco – prima che il potere della nobiltà gallaratese e lombarda venisse spazzato via dall’invasione francese del 1796. In seguito al matrimonio, anche la Casa Feudale passò nelle amni dei Borghi, mentre abbandonarono la proprietà dell’immobile sulle rive dell’Arno cedendolo all’Amministrazione della Finanza Generale (1803). È proprio nella nuova residenza in via Fraccia che i Borghi iniziarono anche la loro avventura industriale, infatti nel 1819 Pasquale (altro figlio di Fedele) fondò l’Azienda Tessile di Varano associandosi con i due fratelli Carlo e Francesco. La forza motrice per i vecchi telai era data inizialmente da un mulino acquistato sul torrente Brabbia. In seguito, il figlio Carlo Luigi, porterà la ditta all’avanguardia per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche e le scelte di mercato. La famiglia Borghi in quegli anni proseguì con l’acquisto dei terreni in prossimità dello stabilimento unendo alla bonifica dei terreni anche la costruzione di case per i contadini e per gli operai, fino al punto di dare vita ad un vero e proprio nucleo abitativo nella sede di Varano che verrà chiamato “Feudo Borghi” (successivamente un Regio Decreto del 1926 cambierà il nome del paese in Varano-Borghi).
Carlo Luigi (conosciuto solo come Luigi) non è ricordato solo per le sue doti imprenditoriali ma anche per l’attività patriottica che lo portò ad essere perseguitato, imprigionato dagli Austriaci e poi ad essere esiliato per alcuni anni in Inghilterra. Morirà nel 1859 e la Ditta passò in mano ad una Società Francese nel 1917.
5.1 Palazzo Borghi attraverso il Liberty: la ristrutturazione Queste sono le premesse storiche che coinvolsero Palazzo Borghi negli anni precedenti al periodo liberty di Gallarate. Dal 1906 l’edificio subì trasformazioni che ne conferirono l’attuale aspetto. Il
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primo atto in questione è stato compiuto da Domenico Oliva (Deputato Provinciale Commendatore) il quale si interessò del palazzo e lo acquistò in vece della Deputazione Provinciale di Milano. L’anno successivo la Deputazione decise di rifare le due facciate che davano sulle vie pubbliche e di realizzare un terzo piano. Per compiere queste trasformazioni venne incaricato il capomastro Giovanni Sartorio, già conosciuto ai Gallaratesi per via dell’omonima impresa edile avente sede in quella che oggi è via Cadolini. Nell’Archivio Storico del Comune di Gallarate sono conservati i documenti e i moduli legati ai sopralluoghi e ai passaggi di proprietà dell’edificio. Da notare che in quegli anni era ancora presente un edificio dotato di portici che separava Palazzo Borghi dalla Basilica di Santa Maria Assunta. In seguito ai lavori proposti da Domenico Oliva (divenuto successivamente presidente della Deputazione Provinciale di Milano), l’antico Palazzo fu sede della Sottoprefettura e degli Uffici di Posta e Telegrafo. Un’altra curiosità: osservando i moduli da compilare per far approvare la ristrutturazione dell’edificio, nel 1907 venivano ancora distinte in città diverse Gallarate, Arnate e Cedrate. Tra i documenti rinvenuti è presente anche una poesia scritta da un anonimo poeta locale in occasione del completamento della ristrutturazione di Palazzo Borghi (conclusasi nel 1907). La poesia cita: “L’è un bel palass, ma…cert l’è no’l Brulett, …Cume ‘l truvarà mo’l Sott Prefett?... Su…tirè su i barbis, o fabrizeer, Tra un an al pu … sarì tucc cavalieer; Sugheves gio’l suduur … feves curag, Su I voster macarunn piove l furmag! … Tra du cussin pudì fa nina nana, … Giò la cà di Sirunn … su la Dugana … Fiammanta e sensa spussa de Cruat … Sensa quel tanf che par … pissa de rat! Fiaca, Bigin, te marcet cul direet …”
In questa poesia compare il termine “Cruat” che, in dialetto, è traducibile come “Croati” e che molto probabilmente si riferisce in generale ai popoli provenienti dall’Est (i toni dispregiativi sono un antico
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rancore legato ancora alla dominazione asburgica, un eccessivo senso nazionalista o una battuta razzista nei confronti dei soldati Croati di stanza a Cedrate?). In merito alle date di fine dei lavori sembra esserci qualche discrepanza, poiché mentre alcune fonti fanno risalire il termine al 1907, è tuttavia presente una richiesta da parte di Domenico Oliva risalente al 1908 per effettuare un sopralluogo dell’edificio prima che inizino i lavori. Sicuramente è del 13 marzo 1910 l’aggiunta della lapide marmorea raffigurante i primi Re d’Italia, ovvero Vittorio Emanuele II e Umberto I (scultura successivamente tolta nel 1946 e attualmente conservata nel Museo della Società Gallaratese per gli Studi Patri). Dello stesso anno sembra essere anche la demolizione dell’edificio che separava Palazzo Borghi dalla Basilica di Santa Maria Assunta (come è possibile osservare in una fotografia della Collezione Orlandi del 1910). Nel 1919 anche Gallarate fu soggetta al malcontento generale e risentì degli scioperi operai. Il Sottoprefetto Dott. Carlo Farello fece addirittura giungere un contingente di soldati “Savoia Cavalleria” per proteggere il Palazzo da possibili manifestazioni e scontri. Questi furono anni travagliati di disordini sociali che rispecchiarono l’attività della Sottoprefettura, la quale continuava a sostituire chi ne era a capo. Dalle pareti interne del Palazzo i volti di Scipione Ronchetti (deputato gallaratese, 1846-1918, opera di Pietro Murani) e Guido Sironi (sindaco di Gallarate, 1885-1959, opera di Innocente Salvini) osservano l’operato degli amministratori che li hanno succeduti – nel bene e nel male – insieme a quelli di altri Gallaratesi che hanno voluto dare molto alla loro città. Anche se il Palazzo di via Verdì era già da tempo denominato dai Gallaratesi con il nome di “Palazzo Borghi”, il 24 giugno 1996 l’intitolazione dell’edificio è stata resa ufficiale.
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6. Il Teatro Condominio Il primo teatro che animò e “sfamò” il desiderio artistico e culturale dei Gallaratesi fu il Teatro della Società, costituito nel 1840 ed ospitato in un ampio salone (almeno trecento posti) dell’Albergo della Croce Bianca in quella che allora era piazza Pasquè. Tuttavia il teatro per eccellenza a Gallarate (anche per motivi storici, senza nulla togliere agli altri teatri, magari più recenti, che hanno contribuito e continuano a farlo alla vita artistica della città) fu il Teatro Condominio. Venne costruito nel 1862 su progetto dell’architetto Bottini di Pallanza e in breve divenne il centro della vita culturale e sociale gallaratese: quì i cittadini assistevano non solo agli spettacoli ma anche a conferenze, alla proclamazione di messaggi pubblici e frequentavano il Casinò di Gallarate (collocato in una delle sale del teatro). Durante il XIX e XX secolo, il teatro si affermò come luogo principale adibito per le funzioni sociali e il rafforzamento dei rapporti umani tra i concittadini. Avere un proprio teatro divenne per molte città un elemento di prestigio (in realtà come tutt’ora, anche se quello che fa la differenza è la qualità degli spettacoli e gli artisti che ne calcano il palco), una dichiarazione di maturità culturale. Inoltre il teatro era diventato uno strumento di propaganda anti austriaca nel periodo risorgimentale, infatti non sono pochi i casi di censura o di cancellazioni di spettacoli ritenuti rivoluzionari dalla polizia austriaca. Per questi motivi è facile intuire come i Gallaratesi desiderassero l’edificazione di un teatro completamente nuovo (il Teatro della Società era diventato oramai inadeguato per le esigenze di una città in forte evoluzione) che permettesse di passare alla storia non solo per le industrie tessili, ma anche per l’attività culturale. A tal fine fu fondamentale l’apporto dei finanziamenti dei privati e degli industriali gallaratesi. I quali non parlavano d’altro nei salotti e nei luoghi d’incontro, come ad esempio sotto ai portici (tradizionale ritrovo post lavorativo). Bisogna far notare che gli scritti mettono in luce il fatto che spesso erano i privati e i cittadini stessi a farsi carico delle spese delle iniziative proposte per migliorare il benessere e l’aspetto della propria città. Ne sono un esempio l’edificazione dell’Ospedale Civico, della Basilica Santa Maria Assunta, dell’asilo Infantile, della Scuola Tecnica, degli Istituti Assistenziali, del Cimitero Urbano. Tutte opere finanziate da Ponti, Cantoni, Reina, Guenzati, Curioni, Borgomanero, Poma, Sironi, Macchi, Borghi, Rosnati e Ambrosoli. Queste possibilità finanziarie sono state rese possibili dalla storia ottocentesca di Gallarate e dalla sua crescita industriale: tutti fattori che permisero quindi anche di accedere alla scena culturale
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lombarda. A indice dello sviluppo sia economico che culturale, i finanziatori non vollero badare a spese per la realizzazione del nuovo teatro (allora denominato Teatro Sociale). Il Teatro Condominio ha subito diversi rifacimenti architettonici nel corso degli ultimi anni a partire dalla seconda metà del Novecento, ma originariamente doveva apparire ancora più spettacolare nella sua veste tipicamente da belle époque (pur mantenendosi sobrio esternamente). Per capirne l’alone di bellezza che lo circondava, di seguito è riportata la descrizione degli interni fastosi di Victor Piceni: “Il vecchio ed elegante teatro a file simmetriche di palchetti bordati di velluto rosso, a due ordini, col loggiato alto, la platea piccola e raccolta, la vasta scena che sbuffava aria fredda, i corridoi bui che allineavano i retropalchetti e che servivano solo durante i veglioni, le decorazioni di stucco e oro sulle pareti laccate, il ricchissimo lampadario, la gran sala da ballo, l’ampio colonnato che si ammirano ancor oggi, mantenuti dal rifacimento è il simbolo di una belle époque”. Riassumendo, l’interno era così realizzato: platea disegnata a ferro di cavallo alla quale si accedeva da un ampio atrio ornato con colonne imponenti; i locali della direzione, il guardaroba, la bouvette e gli accessi ai vari posti erano collocati ai lati dell’ingresso principale; due corridoi, posti esternamente alla platea, conducevano ai trentasei palchi disposti su due ordini (di cui quello centrale, più ampio e maggiormente decorato, era destinato al Sottoprefetto o agli ospiti d’onore); il loggione era ripartito in settori dallo stesso motivo di colonne che caratterizzavano la struttura; il soffitto era alto e garantiva un’ottima acustica; il palcoscenico era ampio e, al di sotto di esso, c’era lo spazio destinato all’orchestra; le lampade a braccio garantivano l’illuminazione, prima a petrolio, poi a gas. Il sipario era stato realizzato da Gerolamo Induno e rappresentava il Plebiscito a Napoli (il soggetto aveva una forte valenza patriottica durante il periodo del Risorgimento e i messaggi mazziniani dovevano essere “velati” come altri artisti dovettero fare, come ad esempio Giuseppe Verdi e Hayez). Successivamente quest’opera venne purtroppo dimenticata in un magazzino di Palazzo Broletto (il sipario era stato tolto dal Teatro già a partire dal 1913). Il palcoscenico del Teatro Condominio fu calcato da artisti che inscenarono spettacoli di lirica, prosa, operetta e teatro leggero, mentre il suo ridotto venne usato anche per ospitare sale da gioco e la Società del Casinò. Oltre ad essere il centro della vita mondana di Gallarate, il Teatro Condominio fu da stimolo per l’attività artistico-culturale, tanto che si realizzò anche un’Accademia di Recitazione di Gallarate.
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Durante gli intervalli solitamente interveniva la banda musicale cittadina o, in alternativa, un’orchestra composta da musicisti gallaratesi. Altre volte invece erano gli atleti della Società Ginnastica ad eseguire delle vere e proprie acrobazie in grado di stupire il pubblico.
6.1 Vicende legate al Teatro Condominio Anima della città di Gallarate fu per lungo tempo (almeno tre epoche e tre generazioni) il Teatro Condominio, vero perno della vita culturale cittadina. L’edificio venne costruito nel 1862 ma si dovette aspettare il 1864 per l’inaugurazione ufficiale. La decorazione degli interni rispecchia gli ambienti più lussuosi della fine dell’Ottocento e della fine del Novecento: palchetti bordati di velluto rosso a due ordini, loggione alto e platea piccola e raccolta, sala da ballo, decorazioni in stucchi e oro sulle pareti laccate, un grande lampadario e un colonnato. Solo negli anni dal 1948 al 1950 il Teatro Condominio rimase chiuso per poi riaprire negli anni successivi (anche in seguito a restauri) fino a giungere ai giorni nostri. Le vicende legate alla seconda metà dell’Ottocento e al primo Novecento del Teatro Condominio sono proseguite anche negli anni del Duemila. Infatti nel 2011, l’ex sindaco leghista Angelo Luini sollevò il caso di intitolare il Teatro ad un personaggio gallaratese di spicco (invece che intitolarlo al grande Vittorio Gassman). Questa diatriba - per quanto futile sia stata – permise di conoscere personaggi illustri di Gallarate operanti nel campo teatrale. Tra questi: Carlo Enrico Pasta (1817 – 1898), autore di un ritratto di madama Giuditta Pasta (cui è intitolato il teatro di Saronno); Salvatore Gallotti (nato il 1853), il quale lavorò per Casa Ricordi, diresse la Cappella musicale del Duomo e la quale abilità fu apprezzata anche da Re Umberto, dalla Regina Madre, da Pio X, da ministri, senatori e altri musicisti; Giacinto Macchi, attore e padre di Gian Enrico Macchi. Il Teatro divenne – oltre il centro degli interessi culturali – il “salotto buono” della società, ospitante anche eventi e festività importanti. Ad esempio, pochi giorni dopo l’inaugurazione, venne organizzato un evento la sera di Santo Stefano i cui introiti costituirono il fondo base per la Società di Mutuo Soccorso ed Istruzione per gli operai di Gallarate. Tra i primi illustri ospiti del Teatro ci fu re Umberto di Savoia. Anche l’1 giugno 1913 fu una data importante per il Teatro, infatti ricorreva il centenario della nascita di Giuseppe Verdi. Per l’occasione venne posta una lapide sulla facciata dell’edificio in memoria del contributo risorgimentale del musicista e compositore. Altri eventi importanti – e talvolta infausti – furono il congresso dell’Associazione Trento e Trieste (17 maggio 1914 ); il discorso di Cesare Battisti sull’irredentismo trentino (20 novembre 1914).
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Il Casinò del Teatro (ospitato all’interno del Condominio stesso) vide una delle prime dimostrazioni sperimentali del “teatrofono”, strumento ideato da Augusto Melchiorre Scampini (prima pasticciere e poi cantante di fama internazionale di origini gallaratesi) per riprodurre i suoni durante gli spettacoli cinematografici. Sfortunatamente l’invenzione non ebbe molto successo. Oltre al rinomato cantante Augusto Giovanni Melchiorre Scampini, Gallarate dette i natali artistici anche ad un’altra artista: Toti Dal Monte, soprannominata la “Totina” e molto apprezzata nel ruolo di Gilda nel Rigoletto di Verdi, che venne messo in scena al Condominio nel 1920. Sempre negli anni Venti il Teatro Condominio visse un periodo roseo al punto tale che costituì “l’Accademia di Recitazione” alla cui direzione vi fu il professor Giuseppe Talamoni.
6.2 Moda e usanze a teatro I resoconti pervenuti degli spettacoli svolti al Teatro Condominio permettono di avere una descrizione della moda e delle usanze dei frequentatori. Gli spettatori venivano accompagnati in carrozza da cocchieri vestiti con un ampio abito arricchito da tre balze di corte mantelline. Ai piedi calzavano stivali alti mentre sul capo indossavano un cilindro di tela cerata lucida con nera coccarda. Al centro dell’attenzione di molti c’erano le eleganti signore che, sedute ai palchi, sfoggiavano vestiti, buone maniere e gli inseparabili ventagli, ai tempi simbolo di femminilità e del proprio stato sociale. Infatti i ventagli esprimevano un linguaggio segreto: la donna di classe e altolocata era in possesso di ventagli con candide piume di struzzo e brillanti sul manico (spesso in madreperla orientale); le signore giovani usavano ventagli che rispecchiavano la loro gioventù, quindi era facile che fossero sfarzosi, molto colorati e pieni di ricami e ornamenti; per chi cercava la notorietà, il materiale adatto era l’avorio; i rappresentanti della piccola borghesia avevano ventagli più modesti, con stecche di legno e raffiguranti scene di vita campestre; per le future spose ne esistevano di particolari (chiamati “écran”) più alti verso il centro e dotati di nastri multicolori. Anche se le donne avevano bisogno di occhiali da vista non ritenevano fosse elegante indossarli costantemente, soprattutto in pubblico. Così erano solite usare il “lorgnon”, detto anche “fassamano”, che era appeso ad una collana. Questo genere di occhiale solitamente era impreziosito con metalli rari (oro e argento) o con la montatura in tartaruga. Il modello più semplice era costituito da due lenti sorrette da una struttura a forcella. Una curiosità: le signore in lutto usavano occhialetti di colore nero o scuriti.
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Invece sembra che l’abito maschile fosse più “monotono”: rigorosamente frac indossato su camicia bianca a collo alto inamidato, cravatta a farfalla, panciotto bianco in piquet e “cipollotto”, l’antico orologio da taschino. Come ai giorni nostri si cerca “l’anima gemella” nei locali, nelle sale da ballo e nei pub, così all’epoca il Teatro era il principale luogo adatto a socializzare (un altro punto d’incontro per l’alta società della Belle Epoquè era il palazzo dei Mazzucchelli, collocato in piazza Pasquè e acquistato alla fine del Settecento dai Borromeo - Arese). Solitamente infatti i giovani rampolli andavano di palco in palco a fare conoscenza, scambiare convenevoli e parlare con le ragazze. Il costume voleva che queste ultime stessero all’interno del palco con la madre (che doveva esaminare attentamente i futuri pretendenti) ad aspettare che fossero gli uomini venire a presentarsi. Inoltre gli spettacoli a Teatro erano un’occasione anche per rivedere vecchi amici, come accadeva per la famiglia Ponti e Cantoni che, anche se risiedevano a Milano, non perdevano occasione per tornare a visitare la propria città natale. Durante le pause ad intervallo delle rappresentazioni, il loggione si prodigava in commenti scanzonati e provocatori nei confronti di chi sedeva in platea. Inutile dire le risposte a tono non tardavano a giungere colorando ulteriormente la serata con toni “popolareschi”. Inoltre era il tempo anche di dar sfogo ai pettegolezzi e ai gossip diffusi dal periodico di informazioni mondane “Il Cavalier Cortese” (fondato da Giannino Antona Traversi). In ogni caso, tutti erano molto incuriositi dai volti nuovi, soprattutto perché in una realtà ancora abbastanza chiusa in cui tutti si conoscevano, lo straniero era portatore di novità e attenzione. I forestieri erano per lo più personaggi politici, uomini d’affari in viaggio e militari. Uno tra questi “volti nuovi” di Gallarate fu il napoletano Vittorio Imbriani (membro volontario nel quinto reggimento garibaldino, costituitosi proprio a Gallarate). Egli si sposò con Luigia Rosnati, con la quale andò a vivere nel palazzo di campagna a Crenna chiamato “La Costa”(successivamente ceduto ai Bassetti). Si dice che Luigia fosse biondissima, esile e slanciata, in grado di attirare l’attenzione dei ragazzi tanto quanto le invidie delle ragazze. Un’altra storia in particolare si diffuse rapidamente in questa cornice: quella di Aspasia Cavallotti. Figlia dell’avvocato Felice Cavallotti, la sua vera identità venne tenuta a lungo nascosta (fino al 5 marzo 1889 all’età di 22 anni) poiché era nata da un amore segreto tra l’avvocato e una gallaratese. Anche il mondo femminile era attivo in campo culturale con la creazione di circoli, opere benefiche ed assistenziali. Tra queste signore sono da annoverare per la loro attività come patronesse delle Scuole Elementari Femminili: Giuseppina Cuironi Piantanida, Giuseppina Macchi Calderara, Adele
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Piceni Ranchet, Fausta Ambrosoli Durini, Emilia Pozzi Sironi, Palmira Borgomaneri Crosta, Luigia Mezzanzanica Bossi e Marietta Vanotti Sironi. Altre figure illustri femminili furono: Serafina Daverio, che aveva sposato Giacomo Macchi (membro di un’illustre casata gallaratese), la quale famiglia aveva un palazzo in via Capovico (pur dimorando effettivamente a Milano); Rachele Puricelli, moglie del Cavaliere del Lavoro Cesare Macchi, non ché donna briosa e amante della musica; Francesca Trombini, moglie del dottor Giuseppe Castelli (uno dei proprietari della farmacia Dahò); Rina Cremona Mazzucchelli, chiamata anche la “Regina Madre” per via del suo portamento, una dei diciotto figli di Luigi Cremona, sposa di Piero Mazzucchelli, organizzatrice di ricevimenti e balli nel palazzo di piazza Pasquè; Giuseppina Puricelli, cognata di Rachele Macchi, discendente di un’antica famiglia gallaratese; Margherita Gilli Riccobelli, ricordata a lungo per uno tra i primi matrimoni che coinvolse un militare di stanza a Gallarate; Ernesta Macchi Rosnati; Adele Borgomanero Piantanida; Lina Gagliardi Macchi; Remigia Spitaleri Ponti, nobildonna di origini siciliane (baroni di Muglia). Per questi e altri motivi l’apertura del nuovo teatro si pose fin da principio come forza motrice del complesso meccanismo che rivitalizzò la società gallaratese. Inoltre il Teatro, nel suo ruolo centrale nella diffusione della cultura, fu uno degli strumenti attraverso il quale si diffuse la moda “floreale” introdotta dal Liberty. Le nuove idee giungevano spesso con le compagnie teatrali ( tra le quali quelle di Cesare Martucci, Alegiani Palma, “Città di Firenze”, Maurizio Parigi, Carlo Lombardo, Pericle-Palombi, Federico Bosconi, Pagadia-Metellio, “La Fenice”, Navarini-Folli-Bianchini, “Isaplio”, “La Nazionale”ed Elodia Maresca). Grazie al teatro venne introdotto il Liberty non solo nella moda (con cappelli ornati di piume, rose, fermagli a fiori e ornamenti arabeschi) ma anche nell’arte tipografica e litografica: manifesti, cartelloni pubblicitari, copertine di libri, almanacchi e molto altro ancora era arricchito con i motivi caratteristici del Liberty.
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7. La Banca di Gallarate Nell’Ottocento erano davvero poche le città in Italia in grado di potersi vantare di una banca e Gallarate era una di queste. Infatti il 26 aprile 1885 venne fondata la Banca di Gallarate con registrazione effettuata al Tribunale di Busto Arsizio. La nascita della Banca di Gallarate fu un evento necessario generato dalla proliferazione dei commerci e delle nascenti industrie. Con la Banca i suoi fondatori volevano assicurare il credito ai bisogni dell’industria, del commercio e dell’agricoltura per poter sostenere l’economia locale. In questo genere di istituto c’era ancora una profonda radicalizzazione sul territorio che permetteva di conoscerlo approfonditamente tanto quanto i risparmiatori che usufruivano del servizio. Per esempio, nel 1892, a beneficio degli impiegati e dei fattorini, venne istituito un fondo di previdenza. Il primo presidente fu Stefano Calderara che venne affiancato dal direttore Giulio Rezzonico. In seguito la Banca si sviluppò aprendo agenzie anche a Somma Lombardo, Fagnano Olona, Carnago, Lonate Pozzolo, Albizzate, Cassano Magnago, Castano Primo, Cuggiono, Samarate e Milano (in via Victor Hugo, n.2).
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8. La Basilica Santa Maria Assunta di Gallarate e il Museo della Collegiata La storia inerente all’attuale Basilica è molto antica e la stessa località in cui sorge è dai tempi dei primi abitanti di “Callariate” (dal celtico “calla on ate”, ovvero “città che sorge sulla ghiaia”, nome derivante dalla collocazione geografica del borgo sopra a dei sedimenti alluvionali racchiusi tra il torrente Arno e il Sorgiorile). In questo capitolo, in linea con il periodo storico preso in considerazione in questo testo, affronteremo solo gli aneddoti che coinvolgono la Basilica tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La Basilica di Santa Maria Assunta è stata aperta al culto il 2 giugno 1861 su progetto di Giacomo Moraglia (mentre la facciata è stata realizzata da Boito poiché Moraglia morì prima del termine dei lavori) ed occupa in parte l’area in cui sorgeva il castello di Gallarate (demolito nel 1362 da Gian Galeazzo Visconti durante la guerra con il Monferrato), tanto che sembrerebbe che il campanile sia una delle antiche torri difensive riadattata a nuovo uso. La necessità di una nuova chiesa venne da dei cedimenti strutturali dell’edificio precedente. Per sostenere l’ingente spesa della nuova costruzione, alcune famiglie gallaratesi di vecchia data (Cantoni, Borghi, Ponti e Cagnoni) fecero una donazione. L’interno della Basilica si presenta maestoso, imponente ma armoniosamente proporzionato, dotato di uno slancio non comune per lo stile architettonico dell’epoca. Molte delle decorazioni pittoriche e plastiche interne sono dell’architetto Carlo Maciachini (nato a Induno Olona nel 1818) che richiama l’arte lombarda e veneta. Altri decoratori chiamati a lavorare nella fabbrica della Basilica sono Celso Stocchetti, Giovanni Bertini, Antonio Soldini e Giacomo Sozzi. La volta e la cupola sono state affrescate da Luigi Cavenaghi tra il 1888 e il 1891. Cavenaghi nacque a Caravaggio nel 1844 e studiò a Brera sotto la guida di Giovanni Bertini. Nella parte anteriore della volta è raffigurata l’allegoria della Giustizia e successivamente si apre la volta, su cui i quattro i pennacchi sono raffigurati i Patriarchi (Abramo, Isaia, Mosè e Davide). Sugli otto spicchi che formano la tazza, invece, sono raffigurati: Santo Stefano, Santa Lucia, San Sebastiano, Sant’Eurosia, Gesù Risorto, Sant’Apollonia, San Calimero e Santa Caterina d’Alessandria. Oltre la cupola, prosegue la volta al centro della quale è raffigurata l’allegoria della Carità (in un medaglione). Un’altra cupola copre il presbiterio, affrescato con la raffigurazione dell’Incoronazione della Vergine.
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La navata è unica ed è lunga 89 m con una larghezza di 17,30 m (escluse le cappelle). La copertura a botte raggiunge i 17, 75 m d’altezza. A metà della navata si innesta un tamburo sostenente la maestosa cupola a doppia tazza (18 m di diametro e 27 m dal pavimento). Prevale lo stile neoclassico e 18 colonne corinzie percorrono tutto il perimetro dell’edificio. Le relative lesene poggiano su un alto piedistallo e sorreggono una trabeazione continua dotata di una cornice aggettata. Lungo il fregio sono presenti ben 69 medaglioni al cui interno sono scolpiti i volti di santi e martiri. Per completare l’opera sono presenti stucchi, vetrate, rosoni, cornici e capitelli dorati. Sul lato sinistro della Basilica c’è un piccolo battistero realizzato sempre da Moraglia nel 1860. L’interno di questa costruzione è stato decorato nel 1885 dal pittore Luigi Tagliaferri di Lecco ma, sfortunatamente, tutto questo lavoro è oramai perduto poiché l’edicola è stata demolita nel 1944. Nei locali adiacenti alla Basilica sono stati ritrovati dei quadri (alcuni dei quali pervenuti in seguito a donazione), tra cui spicca l’Assunta del Nuvoloni, portata a Gallarate nel 1910. Accedendo alla Sagrestia, è possibile vedere una lapide del 1618 rivelante l’orginaria Patrona della città di Gallarate: la Madonna del Rosario. Successivamente sono stati assunti come patroni Santa Eurosia e, infine, San Cristoforo. Nella stessa cappella cui si riferisce l’iscrizione (che recita: "Nel nome di Dio ottimo e massimo, alla Vergine Madre di Dio Regina del rosario, e particolare patrona di questa città, per gli incontabili benefici la pietà degli abitanti, anche con animo grato, di questa Cappella curò l'abbellimento nell'anno del di lei parto, 1618") sono presenti quadri di Morazzone, come “Lo Sposalizio della Vergine”, quindici lastre di rame per la meditazione dei misteri del rosario e altre decorazioni artistiche. La Basilica si presenta quindi ricca di opere d’arte, storia, dipinti, statue, affreschi ed elaborate strutture architettoniche che necessitano cure. Dal 2015 circa fino al 2018 sono stati svolti i lavori di restauro che hanno rinnovato la bellezza della Basilica di Gallarate apportando anche delle novità, come ad esempio l’altare e l’ambone, entrambi realizzati da Claudio Parmiggiani. In merito ai due contributi di Parmiggiani, si ricorda l’impegno nato tra il Museo d’Arte Contemporanea MA*GA e il Servizio Civile Nazionale della Pro Loco Gallarate per spiegare il significato, la lavorazione e i materiali relativi alla nuova area presbiteriale.
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8.1 Il Museo della Basilica Il Museo d’Arte Sacra della Collegiata di Santa Maria Assunta è stato ufficialmente istituito nel 1961 in seguito ad un curioso e simpatico aneddoto: l’allora monsignor Gianazza riscoprì fortuitamente le opere d’arte accumulate nel corso dei secoli dalla Basilica di Gallarate mentre era alla ricerca di un treppiede. Il Museo è ospitato nelle sale del piano superiore della prepositurale. Per accedervi si salgono delle scale e già è possibile vedere quattro busti lignei di santi provenienti dalla chiesa di Sant’Antonio. Inoltre ci sono anche i progetti originali della Basilica firmati da Giacomo Moraglia e Carlo Maciachini. Insieme alle vedute di Gallarate nell’Ottocento, ci sono anche: acquerelli di Carlo Parmeggiani su temi biblici;una “Crocifissione” cinquecentesca del cremonese Battista Trotti (chiamato “il Molosso”); una “Madonna con il Bambino” di Giuseppe De Albertis; una “Immaccolata” di Carlo Francesco Nuvoloni (detto “il Panfilo”) e un’altra “immacolata” realizzata invece dal varesino Pier Antonio Magatti. L’elenco delle opere conservate però è lungo e sono presenti artisti e pittori che hanno fatto la storia dell’arte lombarda, come ad esempio Domenico Piola, il Morazzone, il Crespi e il Garofano.
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9. La formazione di una “coscienza culturale gallaratese” I testi che trattano della vita culturale a Gallarate sono restii ad usare il termine “cultura gallaratese” in quanto la città, a partire dalla seconda metà del Settecento, visse di riflesso le vicende culturali e le nuove idee che venivano introdotte nelle vicine grandi città. In particolare Gallarate guardava con attenzione Milano, centro con il quale si è sentita sempre molto legata per via delle vicende storiche (sembra che i Gallaratesi non presero bene il passaggio dalla provincia di Milano a quella di Varese, anche se personalmente ritengo che, osservando i fatti a posteriori, potrebbe essere che questa decisione abbia impedito di trasformare Gallarate in un ennesimo anonimo paese della periferia della metropoli di Milano.
Tuttavia, pur vivendo di riflesso delle esperienze culturali di città come Milano e Varese (con la quale Gallarate ha comunque avuto legami storici sia dal punto di vista culturale che economico e commerciale), la città bagnata dalle acque dell’Arno ebbe una sua qual certa “autonomia culturale”, come è possibile vedere per esempio nelle esperienze architettoniche tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Accanto ad edifici in stile Liberty, simili a quelli milanesi e a quelli viennesi, sorsero edifici completamente modellati dal volere e dal gusto del committente, a cui non sempre importava cosa andasse di moda al momento. In ogni caso, durante questo periodo di massimo sviluppo, Gallarate rimase aperta e attenta alla propria offerta culturale, intesa non solo come evasione dalla realtà, ma bensì come strumento per immergersi e capire quella stessa dura realtà. Questo è il punto di vista che è passato alla storia grazie alle opere e all’impegno della classe industriale ed intellettuale gallaratese dell’epoca, alcuni provenienti anche dalla piccola borghesia, tra cui spiccano nomi quali: Riva, storico; Giuseppe Macchi, direttore della Rassegna di Storia e d Arte Gallaratese; Giuseppe Sironi; Don Andrea Mastalli, Monsignor Alessandro Bianchi, Mariuccia Piceni, Claudio Sironi, Mario Mazzuchelli, Taglioretti, che ha realizzato un’interessante storia di Gallarate, Giorgio Niccodemi, Breganze Bossi; oltre ai nomi più conosciuti come la famiglia Majno, Cantoni, Bassetti, Borghi ed altre particolarmente legate alla storia e allo sviluppo della città.
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10. La storia della biblioteca civica tra Ottocento e Novecento La storia della Biblioteca Civica di Gallarate è lunga ed articolata, non sono poche le vicende a cui è sopravvissuta a partire dal 1867 (è la più antica istituzione culturale gallaratese, dopo la scuola tecnica intitolata a Ponti), anno della sua costituzione. Si tenga presente che l’attuale sede della Biblioteca Civica di Gallarate è collocata all’interno di un palazzo edificato ai primi anni Trenta, durante il periodo fascista. Il palazzo in classico stile littorio era all’epoca la “casa della cultura fascista e dei balilla” mentre la Biblioteca, come se fosse un paguro, cambiava il proprio “guscio” di edificio in edificio ingrossando il proprio “corpo” letterario. Dal 1882 al 1893 l’ente si era dotato di una appendice mobile, la Biblioteca Circolante, con circa 1800 volumi. Quando la Biblioteca Circolante terminò i propri vagabondaggi, i libri vennero accorpati a quelli della “Civica” che, per iniziativa del Comune nel 1890 veniva associata alla Enciclopedia Italiana, arricchendosi così anche di 27 volumi editi da U.T.E.T. Del 1891 invece è la prima pubblicazione del catalogo dei libri esistenti. Nel 1909 nasce la Biblioteca Popolare su proposta di un comitato cittadino presieduto dall’avvocato Francesco Buffoni (futuro deputato socialista). Il Comune affida a questa biblioteca tutti i libri conservati in quella comunale passandole così il testimone. In questi anni e fino al 1930 il bibliotecario fu Cav. Cesare Milani che si operò molto per il corretto funzionamento della biblioteca che, ai tempi, era situata in piazza Risorgimento. Grazie a Milani la biblioteca era diventata un polo culturale che superava il classico e limitativo concetto di conservazione dei libri: erano parecchi i Gallaratesi che seguivano le serate culturali della biblioteca. La visione della biblioteca come polo culturale che deve offrire dei servizi culturali ai cittadini e non limitarsi solo alla conservazione e al prestito dei libri è un concetto che sta prendendo piede a livello globale e che, localmente, il Consorzio Bibliotecario A. Panizzi sta cercando di realizzare con le biblioteche della Provincia (non sempre ricettive sul tema). Un altro personaggio fondamentale per la biblioteca fu Luigi Majno, tanto che alla sua morte la biblioteca venne intitolata a suo nome. Il primo grande periodo di crisi fu in seguito all’avvento della Prima Guerra Mondiale. Al termine del conflitto mondiale il materiale contenuto dalla biblioteca venne riordinato in alcune sale di Palazzo Broletto.
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11. Società Gallaratese per gli Studi Patrii Spinti da questo spirito di rinnovamento portato dall’industrializzazione, alcuni Gallaratesi (tra cui Gino Bonomi) fondarono la Società Gallaratese per gli Studi Patri con lo scopo di salvaguardare, conoscere, scoprire e tramandare alle future generazioni i beni legati alla storia e all’archeologia di Gallarate. Inizialmente la Società aveva sede in Palazzo Broletto ma successivamente venne trasferita all’interno dell’ex convento francescano (attualmente in via Borgo Antico). Alcuni dei reperti archeologici scoperti dalla Società sono conservati in questa sede, mentre altri sono stati trasferiti a Milano. La prima azione svolta dalla Società è stata quella di restaurare l’antica chiesetta di San Pietro (che venne riconsacrata nel 1911 dal Cardinal Ferrari). I motivi del restauro erano molteplici, a partire dal fatto che l’edificio di epoca romana era stato in parte “contaminato” durante il corso dei secoli: oltre ad essere diventata fortino e macelleria di proprietà di una famiglia nobile gallaratese, erano infatti presenti decori barocchi e un campanile seicentesco. Inoltre sembra che fosse circondata che abitazioni fatiscenti. L’ingresso della facciata frontale è decentrato ed è posto sotto ad una mezzaluna a mosaico del 1920 rappresentante San Pietro e San Paolo (realizzati da Angelo Gianusi e dalla Scuola dello Spilimbergo di Venezia). Il campanile venne demolito durante i lavori di restauro ai primi del Novecento. La cantoria e la bussola d’ingresso in legno sono del 1910 mentre l’organo della fabbrica del Bernasconi è del 1888 (poi riadattato nel 1910 dall’organista Giuseppe Gadini di Varese). Dal 1911 all’interno dell’altare sono custodite le reliquie dei Santi Onorato e Fortunato mentre a livello del terreno sono state murate delle tombe (poi rinvenute negli anni ‘60).
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Altri presidenti della Società furono Cristoforo Sironi e il patriota e scienziato Ercole Ferrario. Alla morte di quest’ultimo (1897), il presidente della Studi Patri fu Luigi Breganze Bossi e successivamente Pasquale De Vincentiis e Cesare De Fornera Piantanida (1904). In questi anni continuarono le iniziative di carattere artistico e culturale promosse dalla Società ed alternate anche con manifestazioni. Inoltre si possono ricordare anche la scoperta nel “Falmedio” di una lapide in ricordo del professor Angelo Curioni (1898), il principale fautore dello sviluppo delle prime strutture scolastiche cittadine; le ricerche tra il 1901 e il 1910 a Castelseprio, Castiglione Olona, all’Abbazia di San Donato a Sesto Calende e a Golasecca, località lungo il fiume Ticino in cui sono stati rinvenuti reperti della così detta Civiltà di Golasecca. Civiltà umana del Neolitico che occupò per lo più i territori del sud della provincia di Varese. La Società degli Studi Patri fu molto attiva anche per quanto riguarda le pubblicazioni: nel 1907 venne dato alle stampe il testo della conferenza tenuta da Stefano Ricci della Sovrintendenza ai Monumenti di Lombardia (“Gallarate nell’Antichità e nell’Arte”); nel 1912 esce il testo di Giorgio Niccodemi “Renzo Colombo, scultore”; nel 1914 venne pubblicata la monografia intitolata “Daniele Crespi”, alla quale seguirono le pubblicazioni su “Il Vecchio Sipario del Teatro di Gallarate” e “Salvatore Gallotti” (a cura del Maestro Terenziano Marusi). Fondamentale per la sede della Società degli Studi Patri è la figura di Enrico Macchi che donò il restaurato Chiostrino di San Francesco (sede attuale del museo e della Società), un piccolo capolavoro architettonico del 1234. All’interno di questo chiostro venne poi collocata una lapide in memoria di Enrico Macchi che tanto si prodigò per la Società e che, dal 1908 al 1915, aveva dato un forte impulso all’edilizia locale, unendo Gallarate con la collina di Crenna attraverso il famoso (almeno per i Gallaratesi) Viale dei Tigli.
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12. Altre realtà culturali gallaratesi attive tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento: Circolo Cattolico di Cultura, Circolo San Cristoforo, Amici della Musica, Aloesianum e Società Ginnastica Gallaratese I cattolici iniziavano a fare fronte comune anche nella vita sociale, politica e culturale e nel 1907 sorse il Circolo Cattolico di Cultura (nato come proseguimento del Circolo di San Cristoforo), il quale aveva l’intento di promuovere la cultura tra i cattolici e di indire manifestazioni a carattere religioso. Durante l’epoca fascista fu vittima di attentati finalizzati a limitarne e a neutralizzarne l’attività. L’Associazione Amici della Musica è nata il 1920 grazie all’azione di un gruppo di Gallaratesi appassionati di musica (alcuni erano a loro volta musicisti) e alla cui prima presidenza fu eletto Cesare Sacconaghi. La passione dei Gallaratesi per la musica era evidente anche per la presenza delle diverse bande cittadine e per l’attività dell’unica casa editrice musicale presente nella zona: la Casa Editrice Musicale Bianchi. Quest’ultima sorse nel 1918 e fu inserita nella Società Italiana Autori Editori nel 1922. Produsse alcuni successi dell’epoca tra cui: “Alee!...Alee!...Goal!...”, uno one step di Paolo Introini; “Nada”, un fox-trott di Magnaghi; “Tristemente”, valzer di Rusconi; “Flor de Cuba”, rumba di Sperino. Rilevante è stata pure la presenza sul territorio dell’Istituto Filosofico Aloesianum, centro di preparazione per i giovani seminaristi che diventeranno gesuiti. Tuttavia, anche se l’Istituto sorse nel 1839, per motivi storici fu costretto ad un lungo peregrinaggio che lo portò ad avere la propria sede in diverse parti dell’Europa finchè, nel 1936, si stabilì definitivamente a Gallarate grazie alla Contessa Rosa Piantanida Bassetti Ottolini. La Società Ginnastica Gallaratese venne fondata nel 1876 e inizialmente fu amministrata dal Consiglio direttivo composto da: ing. Gerolamo Macchi (presidente), Giuseppe Osculati (vicepresidente), Battista Venegoni (segretario), Alceste Pasta (cassiere), Enrico Macchi (istruttore). Occupavano un posto tra i consiglieri: Giulio Grossi, Domenico Luoni, Angelo Macchi, Luigi Macchi e Giuseppe Vandelli. Dal 1883 fino al 1920 la carica di presidente venne ricoperta da Olinto Pasta, il quale venne insignito della medaglia d’oro per benemeriti all’istruzione. Ai tempi della fondazione la Società aveva la propria sede in via Arnetta, nell’edificio dell’Opera Pia Bonomi.
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La Società adottò un motto che potesse riassumere lo spirito e le intenzioni: “Tutto per la Patria”. Spronati da questo proposito, gli atleti (la prima squadra era costituita da Paolo Carnelli, Giovanni Castelli, Giuseppe Colombo, Felice Fauser, Enrico Macchi, Olinto Pasta, Camillo Rasini e Vittorio Rasini) parteciparono a gare sia in Italia che all’estero. Il programma sportivo attirava gli atleti soprattutto per la sua peculiare attività all’aria aperta, infatti erano spesso contemplate escursioni in montagna e corse campestri in brughiera. Inoltre la Società aveva a cuore l’educazione morale e scolastica dei propri atleti (come dovrebbe essere per ogni società sportiva che si rispetti) ed era impegnata sul fronte della solidarietà con la promozione di manifestazioni a scopo benefico, tanto che nel 1894 venne insignito del riconoscimento di Ente Morale. Una tra le pratiche sportive più in voga era la scherma. Questo sport era fortemente voluto dagli ufficiali di stanza a Gallarate (in modo che potessero mantenersi in allenamento) e dai giovani che guardavano con ammirazione i duelli con la sciabola e il fioretto. Si tenga conto che, nel XIX secolo, era usanza comune battersi in duello anche per motivi futili (dal 1879 al 1895 sono stati registrati ufficialmente ben 3365 duelli mortali, curiosamente svolti principalmente nei mesi estivi). Secondo le statistiche la prima causa a far accendere la miccia dell’ira e a portare al duello era il giornalismo: molti si facevano trasportare dall’emozione a causa di polemiche giornalistiche. Seguivano diverbi, polemiche politiche, motivi d’onore, la difesa del nome di una signora o la conquista del cuore di una ragazza. L’arma maggiormente utilizzata da circa il 95% dei duellanti era la sciabola. Una volta che crebbero gli iscritti e le esigenze di spazio, la Società cercò una nuova sede e la trovò nell’edificio progettato dall’architetto Attilio Puricelli costruito lungo via Varesina (1895). La Società seguì anche l’ascesa del ciclismo e quella del calcio in Italia iscrivendosi all’Associazione Velocipedisti Italiani e facendo disputare le prime partite calcistiche sui propri campi. Lo spirito pratico e imprenditoriale del direttivo si rispecchiava anche nell’amministrazione della Gallaratese stessa: si cercava in ogni modo di evitare spese superflue. Particolarmente significativa è la fitta corrispondenza scambiata tra il presidente e gli alberghi ospitanti. In queste lettere le due parti discutono e trattano ogni singolo aspetto del soggiorno al fine di risparmiare il più possibile. Durante i primi del Novecento (1902) sorse anche un’altra società sportiva: la Virtus, che aveva adottato il motto “Mens Sana in Corpore Sano”. Questa società sportiva venne fondata da don Teofilo Brera presso l’Oratorio Maschile di Gallarate e si avvalse dell’esperienza del direttore tecnico Eugenio Pallavicini. Gli atleti iscritti erano accomunati dalla passione per l’atletica leggera.
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Anche questa società sportiva era molto attenta a non incappare in sprechi economici, così l’unica nota di modernità e di “vanità stilistica” fu lo sfoggio dei cappelli rigidi di paglia chiamati “maggiostrine”.
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13. Antichi mestieri Il secolo scorso fu costellato di antichi mestieri che ampliavano la gamma delle possibilità lavorative. Era un “ecosistema” vario, ricco di “biodiversità economica”. Ad esempio, accanto ai tradizionali negozi che in dialetto venivano chiamati “pustee”, “fruttiroeu”, “macellar”, “droghee”, “cervellee” ne esistevano un’infinità di minor rilievo ma che permettevano di campare a chi praticava, quasi tutti ambulanti. Tra questi ultimi c’era l’ortolano (scigolatt), i fabbricanti ed impagliatori di sedie (cadreghee), i venditori di legna e carbone (carbugnin), gli operatori nel trasporto a cavallo, maniscalchi (maniscalch), addetti alla sella (selee), i vetturini per matrimoni, funerali, trasporto degli ammalati e viaggi locali (brumisti). Inoltre anche calzolai (bagatt), che riaggiustavano le scarpe più e più volte finché esse erano talmente tanto usurate che nessun tipo di rattoppo avrebbe potuto renderle ancora utili; ombrellaio (ombrellee) che aveva per lo più una clientela benestante; le pasticcierie (offelee), che accanto ai più sofisticati dolci e agli amaretti di Gallarate vendevano per pochi spiccioli gli avanzi dolciari. Sempre gli scarti – ma di tessuto – erano la merce di scambio dello straccivendolo (strascee). In via Trombini (zona Fajetto) era solito posizionarsi l’arrotino (moleta) con la sua fedele bicicletta improvvisata mola a pedali. Infine, sfruttando la natura di “città di passaggio”, esistevano un’infinità di addetti al cambio e alla cura dei cavalli oltre che del trasporto dei viaggiatori. La rivista del Melo ha ricostruito attraverso i ricordi di alcuni suoi ospiti un racconto che descrive la figura dello spazzacamino. Alcuni giovani gallaratesi migravano stagionalmente (in inverno), come se fossero delle rondini, seguendo i propri parenti che facevano gli spazzacamini. Andavano al Nord, a volte anche oltre le Alpi, per occuparsi della pulizia dei camini di quei villaggi in cui era di fondamentale importanza avere un camino ben funzionante per via delle basse temperature invernali. I giovani scelti dai famigliari solitamente erano i più magri perché a volte le canne fumarie erano davvero anguste. Nel caso in cui era impossibile accedere al camino, si faceva calare dall’alto una fune alla quale era legato un mazzo di agrifoglio (o qualsiasi materiale in grado di grattare via la fuliggine). Lo spazzacamino si accordava con il cliente sul prezzo e, a volte, capitava che i bisognosi non potessero pagare i lavoratori, così questi ultimi avevano sempre la possibilità di appropriarsi della cenere e della fuliggine tolta che sarebbe stata poi venduta in patria come concime. Inoltre si riteneva che la figura dello spazzacamino portasse fortuna, così durante l’Avvento erano in molti ad ospitarli anche a cena purché – così sembra essere in base al racconto – essi restassero sporchi di fuliggine, polvere che conferiva la fortuna allo spazzacamino e a chi lo ospitava.
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13.1 Negozi Storici di Gallarate tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento Alcuni negozi presenti nel centro storico di Gallarate hanno una storia molto antica che per alcuni risale alla seconda metà dell’Ottocento (per altri anche antecedente). In piazza Garibaldi sorge tutt’ora la Farmacia Dahò incorniciata insieme a Casa Rosnati (dove si dice che soggiornò l’imperatore Francesco Giuseppe), Casa Borromeo (residenza dell’avvocato Mario Mazzucchelli, autore del romanzo “La monaca di Monza” con la quale vendita si pagò in parte le spese per la costruzione della “nuova” Basilica), il Caffè Pozzi, il Teatro Condominio e l’Albergo Tre Re (dove soggiornò Garibaldi durante una delle sue visite a Gallarate, demolito per far posto tristemente all’austero Palazzo Minoletti di epoca fascista). L’iniziale proprietario della Farmacia (che entrò in attività nei primi anni Venti dell’Ottocento) fu il chimico e farmacista Francesco Poma, all’epoca conosciuto per i suoi studi sugli alcaloidi. La farmacia era conosciuta con il nome “Speziera Poma”. Nel 1845 subentrò Giuseppe Castelli, allievo di Poma nonché attivo patriota: fu grazie a lui che la farmacia diventò sede di incontri risorgimentali al punto tale da essere denominata “La Farmacia del Risorgimento” (esiste anche un romanzo – intitolato “Risorgimento” - che è ambientato in questa farmacia nel periodo in tale periodo specifico). Nei primi anni del 1900 il dottor Luigi Dahò diventa proprietario dell’antica farmacia, acquistandola da Castelli per centomila lire. Solitamente indossava palandrana, papalina e occhialini ed era ben visto dai concittadini per l’atteggiamento bonario (e per i consigli che elargiva per via del suo mestiere). Dahò assunse come aiutante un certo dottor Bianchi, il quale sposò la figlia di Dahò, Elisa, e insieme a lei si trasferì a Cremona. Le loro nozze furono inizialmente ostacolate dal padre di Elisa ma, grazie all’intervento dello zio Binaghi (proprietario dell’oreficeria), i due amanti poterono convogliarere a nozze. Successivamente tornarono a Gallarate per accettare il testimone della farmacia: i nuovi proprietari erano il dottor Bianchi e la dottoressa Piera Dahò, sorella di Elisa nonché prima donna gallaratese a laurearsi.
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Un altro negozio storico è l’Ottica Velati, fondata nel 1894 da Giovanni Velati in piazza Vittorio Emanuele II (attuale piazza Libertà). L’attività attualmente si è spostata in via Mazzini (antico Capo Vico, denominato anche come “Contrada degli Orefici”) viene portata avanti grazie alla passione espressa dalla famiglia. Sempre nell’ex piazza Grande (ovvero piazza Libertà) sotto ai Portici Vecchi sorge la Cappelleria Cristina, in prossimità delle oramai scomparse Casa Bonomi (prima di proprietà Cantoni) dove alloggiavano i pastai Pagani con il “Portico del Sole”, Casa Venegoni e Casa Cremona-Sala (che fu del cronista Luigi Riva), l’ex palazzo pretorio, l’edificio Puricelli – Guerra, il palazzo Piantanida (poi diventato Peroni) e la vecchia casa ad un piano con l’orologeria Magretti sotto alla quale si posizionava il “pulentatt”. La Cappelleria Cristina venne fondata nel 1910 da Cesare Cristina e dalla consorte Maria Silvera e gestita successivamente da figlie (Margherita) e nipoti (Jolanda e Silvera) del fondatore, attualmente dai coniugi Aldo e Antonietta. Per quanto riguarda il mondo della fotografia, bisogna certamente citare la famiglia Giovare e il relativo negozio. L’attività venne iniziata dal torinese Carlo Giovara nel 1867. Successivamente gli succedettero i figli Nemmone e Vittorio, i quali diedero un maggiore incremento all’azienda familiare. La collaborazione tra i due fratelli andò avanti fino al 1898, quando Vittorio decise di mettersi in
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proprio e di trasferirsi a Legnano, città dove sposò, ebbe sei figli (anche se si hanno notizia di soli quattro: Torreo, Pelope, Annetta e Torello, il quale tornò a Gallarate per proseguire l’attività famigliare). Nel 1885 Luigi Checchi, di origini Gallaratesi, intraprese l’esperienza della gestione di una cartolibreria aperta sotto i così detti “Portici del Sole” (adiacente al pastificio Pagani, che un tempo si trovava nel cuore di Gallarate, alla Cappelleria Cristina e all’Ottica Velati). Quella del Checchi fu una delle prime cartolibrerie della città. Nel 1922 l’attività passò poi in mano ad Antonio Zibetti (nato il 1891) e alla moglie Caterina Rovera (classe 1895). Infine, della seconda metà dell’Ottocento, è anche la fondazione della Cristalleria Bosco dei fratelli Antonio e Giuseppe Bosco. Originariamente, nel 1875, il negozio era in zona Fajetto (nell’attuale via della Pace, a fianco della chiesa di Sant’Antonio) ed aveva un cortile con un dipinto della Madonna di Caravaggio. Nel momento in cui il negozio è stato spostato in via Mazzini (1937), la Madonnina ha seguito l’attività nell’odierna ubicazione. Originariamente il negozio era dotato di un’insegna recante la scritta in ceramica bianca su sfondo nero: “Bosco Fratelli Vetraj”. I Bosco erano originari del biellese e allargarono il loro giro d’affari da Gallarate fino a Ronco Biellese. Dal 1911 l’attività venne portata avanti dai due figli di Giuseppe e Antonio, ovvero Rinaldo (classe 1878) e Roberto (nato il 1873). Successivamente le generazioni di Bosco si sono succedute nella gestione dello storico negozio. L’attività è cessata nel 2018.
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13.2 La pubblicità Liberty Per comprendere come lo stile Liberty influenzò ogni aspetto della vita quotidiana dell’epoca, può essere utile sfogliare le Guide Taglioretti (prima edizione datata 1905-1906). In queste guide sono presenti numerose pubblicità che mostrano tutta la capacità artistica anche per piccoli aspetti come ad esempio quello commerciale. Erano vere e proprie azioni di marketing. Le linee e il contenuto è abbastanza essenziale: sono presenti titoli in neretto con caratteri grandi per far risaltare il nome dell’attività e del gestore. Anche se in maniera semplice, le pubblicità venivano decorate con greche e illustrazioni minuziose ed eleganti fatte a mano, tipiche del Liberty. Per lo sviluppo della pubblicità è stata rilevante un evento: quello dell’introduzione dei prodotti confezionati. Prima della fine dell’Ottocento i prodotti di uso domestico erano venduti sfusi e si pagavano al peso. Dal 1880 invece alcuni produttori americani introdussero a livello globale il prodotto confezionato e il marchio.
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14. Mercato e commercio: l’anima di una città di viaggiatori 14.1 I mercati di Gallarate In una città circondata dalla brughiera, da depositi morenici glaciali, da sedimenti alluvionali e solita alle inondazioni dell’Arno di certo l’agricoltura non era una tra le fonti più redditizie per mantenersi. Per la poca fertilità (intesa per la coltivazione e non per la crescita della vegetazione selvatica, tutt’altro che sterile) del terreno i cittadini di Gallarate si adeguarono ad altre attività, prima fra tutte il commercio. Contribuì allo sviluppo relativo la posizione geografica della città stessa, edificata in un punto di passaggio già per le popolazione insubriche che acquisì particolare rilevanza con gli antichi Romani, la medioevale Contrada del Seprio e, soprattutto, con l’attraversamento del Sempione.
Dalle testimonianze storiche appare evidente quanto fosse importante il mercato cittadino. Ci sono riferimenti risalenti al XII e al XIII secolo che già parlano del mercato di Gallarate come un punto di riferimento per tutto il Seprio. Dal 1400 a Gallarate si teneva il “mercato delle biande”, soppresso da Galeazzo Maria Sforza che temeva per il benessere economico di Milano. Tuttavia venne riammesso nel 1467 su richiesta del Capitano del Seprio Giovanni Visconti che insistè adducendo le giustificazioni che a Milano erano già presenti talmente tanti cereali in commercio che il mercato gallaratese (o quello in altre città) non avrebbe potuto creare nessun danno. Nel 1542 il feudatario di Gallarate Caracciolo e gli abitanti del Borgo ricevettero nuovamente conferma dell’importanza logistica e commerciale della “Città dei Due Galli”: Carlo V riconobbe l’antichità del mercato e ne garantì la presenza negli anni successivi.
Gli innumerevoli mercati cittadini sono una testimonianza di questa natura commerciale innata della città: essi si svolgevano in diverse zone, animando le strade e le piazze grazie alle urla e richiami dei commercianti. Questi ultimi erano i veri protagonisti dei mercati e di questo piccolo mondo d’affari, abitato da figure caratteristiche, venditori ambulanti, negozianti e bottegai più o meno benestanti. I mercati si svolgevano settimanalmente ma erano talmente numerosi che capitava che ogni mercato avesse un proprio giorno della settimana dedicato. Il più importante era quello che si svolgeva nell’allora piazza Grande (attuale piazza Libertà) in cui si vendeva di tutto e di più. Le altre zone
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della città che ospitavano un mercato erano piazza Pasquè (attuale piazza Garibaldi), piazza Carrobio, il cortile di Palazzo Broletto, piazzetta delle Beccarie e via San Francesco e corso Roma.
Sulle bancarelle dei mercati si trovava di tutto e spesso esse erano coperte da teloni che proteggevano la mercanzia (e il venditore) da sole e pioggia, proprio come oggigiorno accade con i gazzebi. Durante l’inverno invece gli ambulanti (che giungevano anche da borghi lontani) si riscaldavano accendendo un fuoco all’interno di bracieri di latta, i quali talvolta successivamente venivamo improvvisati come giochi rumorosi dai ragazzi. Ai mercati erano presenti pure i proprietari dei negozi cittadini che, per l’occasione, allestivano appositamente delle scaffalature in più per esporre maggiormente la propria merce. Come già citato, erano presenti anche molti ambulanti provenienti dai borghi vicini e da quelli più lontani: questi ultimi si trasferivano settimanalmente di paese in paese con il carretto stracolmo di mercanzia trainato da un mulo o da un cavallo. La presenza di queste figure fa riflettere sul concetto di “sedentarietà” con cui si definisce la società attuale: a quanto pare in realtà parte delle comunità italiane sono state nomadi o semi nomadi fino a non troppo tempo fa (sicuramente fino alla fine dell’Ottocento, soprattutto per quanto riguarda le comunità montane).
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Un mercato annuale molto importante a Gallarate era quello dei bozzoli. Nel cortile di Palazzo Broletto si teneva ogni sabato il mercato dei grani. Tra gli ambulanti si ricordano Luigi Biagio Caimi, che giungeva sul luogo già al sorgere del sole insieme ai fornai e ai prestinai. Il Caimi vendeva per lo più articoli di merceria, come merletti, filo per cucire, matasse di cotone da ricamo, spille, aghi e tutto il necessario per l’attività tessile (che spesso veniva praticata dalle famiglie in casa per “arrotondare lo stipendio”). Concorrente del Caimi era il gallaratese Luigi Antonio Morandi, diventato famoso tra la clientela per l’abilità nel maneggiare le stoffe e metri di “Bindell d’Olanda, “Frisa di lana”, nastri di raso e lunghe frange di seta. Pare che a quest’ultimo gli affari andassero bene, infatti era solito lasciare il mercato per ultimo per quanto era indaffarato con le vendite e con la risistemazione della merce. Un abitudinario del mercato era Luigi Bonomi, detto il Bonomin per via della sua piccola statura. Aveva una lunga barba fluente ed era solito occupare lo stesso angolo in piazza Maggiore ogni volta. Un altro venditore di stoffe di cotone era Pietro Checchi di Arnate. Seguono Zaccaria Magnani, che vendeva oggetti in maiolica davanti alla bottega in piazza Grande; Giovanni Volontè, sellaio della contrada Fraccia e talmente tanto agguerrito negli affari che si dice che si fosse addirittura battuto in duello per avere diritto ad un posto al mercato del sabato, entrando in concorrenza con Giacomo Baratelli, che invece occupava il Broletto. Poi Pietro Maestri, i fratelli Carlo ed Ettore Carcassola, Pietro Sanvico, Francesco Gnocchi, Giacomo Gagliardi, Carlo Riva, detto il Cavagnino, Giovanni Casali, praticante il mestiere di pizzicagnolo in piazzale Pretorio, all’imbocco con la Contrada Mercanti (via Mercanti), che aveva ottenuto la licenza per esporre e vendere su un banchetto esterno le carne macellate. Caratteristici erano gli orefici, i quali spesso si trasferivano a Gallarate dalle Valli del Taro e del Ceno per svolgere stagionalmente tale lavoro. La vendita dell’oro era molto particolare: tipo di commercio che conferiva prestigio e dignità (oltre ad entrate economiche molto rilevanti). Questi venditori partivano a gruppi di cinque o sei (per limitare i pericoli di rapina) dalle valli originarie e facevano tappa a Bettola di Piacenza, Milano e poi proseguivano per Gallarate, dove si fermavano da ottobre a marzo. I viandanti impiegavano circa una settimana a compiere questo tragitto ed erano soliti camminare anche di notte per guadagnare tempo. Ai Gallaratesi si presentavano vestiti con robuste polacche dalla suola spessa, adatte per i lunghi tragitti; pesanti calzettoni di lana filata in casa; largo mantello di panno con lembo rivoltato sulla spalla; cappello di feltro a paiolino, con tesa morbida e larga. Per trasportare la preziosa merce, adoperavano una cassetta in legno indossata a tracolla e
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nascosta alla vista sotto l’ampio mantello. Infine erano soliti portarsi dietro una bilancina per pesare la merce e quantificare il prezzo. Il lavoro che assicurava un grosso guadagno all’orefice era quello di vestire la sposa. Spesso tra orefice e clientela si stabiliva un rapporto di reciproca fiducia. Inoltre alle bambine venivano regalati i primi orecchini. Questi erano molto in voga nell’Ottocento anche per via del fatto che ad essi venivano attribuiti dei poteri quasi talismanici (al punto che anche gli uomini talvolta ne portavano uno). Gli ambulanti si rifornivano talvolta presso le stesse oreficerie di Gallarate (un tempo numerose, al punto tale da avere una via dedicata a questa professione) di spadini d’argento (elemento tipico del costume lombardo), di altri oggetti d’oro e di materiali più rari come coralli, granati, turchesi e perle. I venditori ambulanti dovevano versare al Comune una tariffa per avere il diritto di posteggiare le proprie bancarelle al mercato. Tariffa equivalente alla superficie occupata che veniva misurata a braccia (il “braccio lombardo” corrispondeva a 0, 595 metri). Chi occupava un braccio, pagava 8 centesimi; due braccia per 12 centesimi; tre braccia per 16 centesimi; quattro braccia, 20 centesimi; cinque braccia, 25 centesimi; 6 braccia, 30 centesimi. Una curiosità che spiega un po’ la mentalità dell’epoca è quella della multa fatta ad un ambulante di Nerviano ospitato al mercato nel cortile del Broletto nel 1862. Prese una multa per aver lasciato sulla strada il carretto incustodito; si impegnò sulla parola d’onore di ripagare l’importo dell’infrazione. Per l’amministrazione bastò come garanzia del pagamento. Da Gallarate ci si spostava ancora per lo più a piedi poiché, anche se già era operante la ferrovia con la relativa stazione, il treno era considerato ancora un mezzo di trasporto di lusso. Tuttavia con l’avvento della modernità lo stile di commercio e della mobilità cambiò, facendo tramontare quello nomade degli orefici (il quale andò avanti a Gallarate fino ai primi anni del secondo dopo guerra). Alcuni di queste famiglie di orefici viaggiatori si insediarono in modo permanente in città e nei paesi limitrofi: tra esse, i Moglia, i Calestini e i Ferrari. In generale al mercato di Gallarate si vendevano i prodotti tipici locali quali, primi tra tutti quelli tessili. Questi spesso servivano per lo più per rifornire grossisti provenienti da ogni città, sia che fossero fabbriche piuttosto che altri mercanti che vendevano i prodotti in altri mercati (a volte anche nella stessa Gallarate). La clientela, insomma, era della più varia e non mancava anche chi, non potendo o volendo comprare qualcosa di specifico, curiosava e basta. Oltre ad insoliti avvenimenti (come ad esempio la caccia ad un maiale scappato), non mancavano le signore provenienti dalle grandi città che venivano a passare l’estate nella campagna del Gallaratese e del Varesotto.
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Ovviamente le guardie municipali erano solite esercitare controlli molto scrupolosi e far pervenire contravvenzioni a quanti non fossero in regola con le bollature dei prodotti e chi intralciasse la viabilità con la propria mercanzia. Inoltre essi avevano l’incarico di controllare che i commercianti rispettassero la postazione assegnata dal Comune con un’apposita licenza da rinnovare annualmente che non sempre veniva rispettata nei giorni di mercato per motivi di rivalità. Per quanto riguarda la bollatura, a Gallarate esisteva un apposito ufficio finanziario della Regia Intendenza che aveva solo generici incarichi di controllo, mentre per la punzonatura bisognava rivolgersi agli Uffici di Dogana. La necessità di così tanta e tale burocrazia era dovuta al numero di traffici, di esportazioni e di importazioni di prodotti e materiali che il commercio di Gallarate aveva messo in moto nel corso dei secoli. Fra i più organizzati nel trasporto delle merci si ricordano i Borgomaneri e i Pasta, che avevano una disponibilità fissa di una dozzina di cavalli oltre che recapiti sia a Gallarate che a Milano. Gli industriali tessili che sottoscrissero le richiesta per la dogana erano: Antonio e Andrea Ponti, Costanzo Cantoni, Giovanni Locarno, Luigi Piantanida, Pietro Crespi e fratelli, Francesco Mozzati, Antonio Cagnoni, Camillo Pasta, Pietro Checchi, Ambrogio Clerici, Antonio Maria Crosta, Giulio Borgomaneri, Gerolamo Sacconaghi, Checchi Celso, Isaia Calderara e fratelli, fratelli Sironi di Gaspare. Altri commercianti: Giuseppe Bottelli (conciatore), Luigi e Daniele Venegoni (manganatori), Marino Croci (tipografo), Carlo Bellora (fabbricante di carrozze), Reina-Mazzucchelli (produttori di cera). L’importanza che assunse il mercato nell’Ottocento fu tale che divenne necessario dedicare la maggior parte delle piazze e delle via come posteggio. In piazza Grande (attuale piazza Libertà) c’era il mercato alimentare e delle candele (un tempo largamente usate). In piazza Pasquaro si vendevano cordami, strofinacci, sementi, ombrelli, seterie, bottoni, salici, gelsi e altre piante; tra via Pasquaro e via San Francesco si svolgeva il mercato della paglia, delle stramaglie e dei bovini mentre caprini e ovini erano i protagonisti del mercato in via Arnetta (via Verdi); piazza Macellerie, chiamata anche piazzetta delle Beccarie (piazza Guenzati), era il luogo adibito per il mercato del legname e del carbone; infine nel cortile di Palazzo Broletto si svolgeva il mercato delle noci, legumi secchi, castagne, lino e foglie di gelso. A riempire di rumori l’aria, contribuivano – oltre ai commercianti – i ciarlatani e i cantastorie.
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14.2 Da Via Manzoni al Pasquè Via Manzoni di Gallarate è una irrequieta e movimentata arteria cittadina che dagli antenati, data la sua larghezza rispetto ad altre, chiamavano Via Larga. Che oggi sia larga non si direbbe ma considerata la viabilità è certamente rispettabile. Quando piove cadono goccioloni, dal frontone del palazzo, ma è l’unico tratto che richiama il detto latino: la goccia scava la lapide, non per la violenza ma cadendo spesso, poiché progredendo le cose migliorano e il deambulatore è libero di percorrere la strada per riprendere il suo cammino facendo però attenzione di non essere arrotato da qualche macchina o da qualche garzone. Per quanto riguarda i cartelli stradali sono pochi coloro che prestano attenzione, specie i ciclisti che hanno sempre la maggiore fretta. I pedoni invece devono utilizzare la massima prudenza per attraversare, prestando attenzione che ciò avvenga in prossimità delle strisce pedonali. Qui vi è il termine della Via Larga, in quanto proseguendo vi è Via Castelli. Nell’angolo di casa Dahò con Via Verdi vi era la bottega del Piotti che fungeva da bazar ed il proprietario, data la vastità del commercio da lui esercitato, veniva nominato cent mestée. Da lui gli amanti di uccelli si recavano per comperare miglio, linosa e canausa, ma anche ossi di seppia e le pannocchie di panico.
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La presenza di ceste, cestini, scope, zerbini, stuoie, spazzole e oggetti vari era costante e giustificava appieno il nome dato al commerciante. Sulla sinistra l’edificio ospitava una vecchia ditta avente la ragione sociale “Sorelle Fontana” in cui si vendevano mercerie, ma le sorelle non erano Fontana ma Corbetta. Sotto i portici vi erano due vetrine che ospitavano “frisa e bindell”, bottoni “crapetta” e di madreperla, maglie e mutandoni, mentre la biancheria più intima veniva posizionata all’interno con l’intento di non sconvolgere i pusilli(bambini). Risultava dunque un ottimo negozio, dove ognuno poteva trovare piccole minuterie e le maglierie, nonché quelle belle calze fatte “a spegitt” che avevano una durata lunga nel tempo, in quanto si facevano i “scalfitt” che per una ragione estetica dovevano essere bianchi, mentre le calze potevano avere differenti colori. Risultava considerevole la presenza di guanti della belle époque, che solo in qualche stagione erano di pelle, ma in prevalenza venivano indossati guanti di lana in inverno e di cotone o seta nel periodo estivo; lunghi oltre l’avambraccio e timidamente poco al di sotto del gomito, in pelle bianca, nera o gialla. “I crespini” invece, cosi denominati i ventagli, che erano solitamente di seta con fiori e perline creavano molto stupore Inoltre, sotto i portici vi era Caffè Morini, Crespi “verdurée” e Piotti vetrai.In questa ultima si trovava tutta la produzione vetraria e ceramica del tempo e venivano esibiti con orgoglio brocche e catini bianchi di ceramica con righe o ornati d’oro zecchino, oltre che da completamento alla “parure” della camera da letto, pitali di ogni foggia, dai più modesti ai più costosi. Passando si intravedevano cristallerie e cornici, oleografie che rappresentavano Otello e Desdemona, la partita a scacchi, Giulietta e Romeo, Francesca da Rimini, scene d’opera, la storia dell’asino; pentole e pentoloni, cornici e aste dorate o in mogano, stoviglie e posateria. La produzione risultava piuttosto modesta e accessibile al potere d’acquisto in questo periodo, ove il miracolo economico non era ancora avvenuto. Nel corso di questa epoca per i ragazzi la maggior importanza veniva attribuita alle riproduzioni di fatti di guerra, specie quelle recenti (allora trattatosi di Libia e delle battaglie di Amba Alagi, di Makallé, di Senaif ecc.) .
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Successivamente ai Piotti vi era la salumeria Minoli, in cui risaltavano le teste di porco con l’arancio in bocca e le foglie d’alloro e nelle foreste maggiori non mancavano i maiali interi appesi per le gambe posteriori e con la testa in giù. Infine la farmacia Rizzini concludeva i negozi e da qui si apriva il Vicolo degli innamorati. La casa che invece fronteggiava S. Pietro ospitava un barbiere, poi un droghiere ed infine veniva arretrata sulla precedente, una casetta bassa con varie vetrine, il regno dei Velati, dove non mancava la presenza di armi e munizioni, pellicce o manicotti, occhiali e binocoli e cannocchiali, pesca e caccia, grammofoni Pathé frères o Gaumont, fuochi d’artificio e “sarasette”, giocattoli e varie altri oggetti. Tra i giocattoli c’erano anche i bambolotti, carboni con tegami e accessori di cucina in latta, fuciletti di lamierino, pistole e cento colpi con il rotolo delle cartucce, cavallini con carretto, qualche automobile, cavalli a dondolo in carta pesta e legno che avevano una durata prolungata nel tempo, di circa due generazioni e venivano tramandati da padre in figlio o ai parenti e nipoti. Nelle vetrine dei fucili da caccia facevano spicco alcuni uccelli imbalsamati e nel reparto pellicceria una testa di animale che aveva la funzione da scendiletto. A Natale, alla vista di tante particolarità, i ragazzi rimanevano incantati davanti a quello che per molti era soltanto un sogno non realizzabile.
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15. La storia minore La “storia minore” di questa città è costituita da una vita cittadina relativamente tranquilla, in cui le tradizioni popolari si confondono con quelle più generiche della Lombardia e si mischiano tra folklore e religione. Anche le sagre, la musica in piazza, il teatro e le tradizioni culinarie si aggiungono tra gli ingredienti che identificano questa città, che si è modellata nel corso del tempo (anche dal punto di vista della toponomastica). Si prenda ad esempio l’antica piazza Pasquè, precedentemente Foro Boario (chiamata così per via del mercato del bestiame): oggi è chiamata piazza Garibaldi ma fino al 1882 (anno della morte di Giuseppe Garibaldi), nel periodo del Risorgimento, era denominata piazza D’Armi. I Gallaratesi dell’epoca erano molto legati a questo personaggio poiché egli era una vera e propria “star” che più di una volta aveva fatto tappa a Gallarate, accogliendo tra le proprie file anche diversi Gallaratesi. In quella stessa piazza sorge la Farmacia Castelli, la quale fu il centro delle attività risorgimentali gallaratesi, tanto che Girolamo Rovetta vi ambientò il primo atto di “Romanticismo” (Gallarate compare nella letteratura anche in “Addio alle armi” di Hemingway). L’area di piazza Garibaldi è ricca di elementi caratteristici che narrano la storia di Gallarate. Per esempio, verso Nord era presente la Porta Elvetica; il ponte di via Roma ha origini romane e successivamente è stato ricostruito e rialzato per evitare disagi quando l’Arnetta era in piena; casa Bellora era dotata di un vecchio gelso chiamato dagli abitanti “el moron dei Bellora”; a fianco della chiesetta di San Pietro esisteva ancora l’Albergo dei Tre Re; in direzione ovest invece sorgeva la casa di Borromeo Aree e casa Rosnati, nella quale circolava voce che vi avesse soggiornato (come ospite) l’imperatore Francesco Giuseppe. Piazza Garibaldi non era solo il punto di ritrovo per il mercato del bestiame e per fan dell’Eroe dei Due Mondi, ma anche la località in cui si svolgeva la Giubbiana, il tradizionale e folkloristico rogo di un fantoccio raffigurante una strega. In merito alla Giubbiana bisogna specificare che ne esistevano di due tipi: la Giobia di donn (ultimo giovedì di gennaio, ovvero nei così detti giorni della merla) e la Giobia di omen (giovedì grasso). L’origine della Giubbiana è fatta risalire a diverse cause, dal rituale del “saluto” all’inverno alla leggendaria fiaba della Strega Giubbiana, da una battaglia vinta alla fine del dominio spagnolo. Tuttavia l’ipotesi più accreditata è che la Giubbiana abbia avuto origine per dare un’opportunità a tutti i membri della comunità di riscaldarsi e di mangiare qualcosa di caldo durante i giorni più freddi dell’anno. In quest’occasione, infatti, oltre all’enorme rogo viene distribuito anche il risotto con la luganega.
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Mentre ora il rogo della Giubbiana viene organizzata dalla Pro Loco Gallarate insieme all’oratorio ospitante (non si fa più in piazza Garibaldi per motivi di sicurezza) e l’accensione viene effettuata solitamente dal presidente della Pro Loco e dal sindaco, in passato era ben diversa la preparazione della Giubbiana e, forse, era più “sentita” dalla popolazione (anche per semplici motivi di sopravvivenza). A partire dal mattino dell’ultimo giovedì di gennaio, ragazzi e giovanotti raccoglievano la legna necessaria per fare il grande falò: essi andavano per le strade cittadine invitando le famiglie a cedere qualcosa da usare come combustile. Il loro arrivo era preannunciato da un gran fracasso fatto con i strumenti più disparati (tra cui pentolame, i campanacci detti “ciocche” e degli strumenti di legno chiamati “ghiringhei”) e, se qualcuno si fosse rifiutato di dare il proprio contributo alla Giubbiana, veniva assordato con questi strumenti. Le cose raccolte venivano poste su di un carro trainato da buoi, il tutto (buoi compresi) bardato in modo particolare. A capo della masnada vi era il “Negher”, vestito con una zimarra rossa, calzoncini verdi e un gran cappello a tuba con su scritto “Viva la Giubbiana”. Questi stessi ragazzi poi avrebbero suonato altri strani strumenti durante il rogo per animare la serata mentre la prima scintilla del falò l’appiccava una giovane ragazza. In contrapposizione alla fanciulla e all’inizio della serata – come se fosse un rito esplicativo del ciclo della vita – alle signore anziane venivano dati i resti della brace ardente, affinchè potessero scaldarsi in questo periodo freddo. Un ultimo ricordo di piazza Garibaldi di fine Ottocento va all’Orologeria Magretti, un tempo collocata in una caratteristica e bassa casetta rossa, sotto alla quale era solito sostare il “Pulentat”, ovvero il venditore ambulante di caldarroste (in inverno e autunno) e di gelati (in primavera ed estate). Un’altra importante festa a cui i Gallaratesi sono particolarmente legati e che trae parte della propria tradizione dal periodo di sviluppo industriale della città (a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento) è la Contrada del Brodo (in dialetto Cuntrada dal Boeud). L’attuale celebrazione commemora la vittoria del Ponte di Cardano (l’antico Canton Sordido e poi Canton Sordo), che attualmente comprende anche la peculiare via San Giovanni Bosco, all’edizione del 1948 del Palio di Gallarate (chiamato anche Sagra del Gallo). Tuttavia le origini della celebrazione della Contrada del Brodo è ben più antica ed è collegata a quella religiosa della Madonna del Carmine. Per quanto riguarda la tradizione del brodo, essa ha due possibili origini: la prima è collegata all’anima industriale di Gallarate; ai primi del Novecento gli operai industriali tessili, non avendo l’occasione di tornare a casa per pranzo, potevano sostentarsi con l’economico brodo venduto nella Bottega del Posterei dalla signora Erminia Casati; la seconda origine ha a che vedere con la celebrazione religiosa della Madonna del
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Carmine sopracitata, infatti in quest’occasione veniva distribuito del brodo a tutti i bisognosi. Un tempo veniva allestito anche l’albero della cuccagna mentre oggi, con le attuali norme igieniche ed alimentari, quest’usanza è diventata oramai impraticabile nella stessa modalità in cui veniva svolta in passato. Inoltre, in molte città lombarde – tra cui anche Gallarate – era viva la memoria della Madonna di Caravaggio svolgendosi suggestive processioni per il Corpus Domini. A chiudere la descrizione delle iniziative che avevano luogo a Gallarate, ecco la tradizionale musica in piazza, vero luogo adibito alla congregazione. Tutt’ora questa tradizione – portata avanti dalla banda cittadina – è una presenza fissa alle manifestazioni “ufficiali” della città. Bisogna far notare che la prima testimonianza di una banda gallaratese ufficiale risale al 1832 (anno in cui in realtà furono presenti ben due bande: una composta da professionisti e la seconda da dilettanti). Le vicende delle bande di Gallarate (unite poi in una sola nel 1836) si susseguirono con alti e bassi, in base alle vicende politiche del momento (l’arte e la musica erano “strumenti” della propaganda patriottica risorgimentale). Altri elementi della tradizione gallaratese oramai dimenticati sono la gerla del “pulentat” e il berretto dell’avvisatore di città. Merita una citazione anche la festa riguardante il Bettolino, località di Crenna (paese collinare che dal 1923 è un quartiere di Gallarate): era la Festa della Madonna del Bettolino, una vera e propria sagra con tanto di palo della cuccagna in grado di richiamare numerosi visitatori anche dai dintorni e, in particolar modo, da Gallarate.
15.1 L’oro di Gallarate Sono tante le storie di tesori nascosti e preziosi patrimoni celati agli occhi di tutti. Anche Gallarate ha la propria leggenda in merito, “l’oro di Gallarate”, che trae le proprie origini da vicende storicamente realmente accadute e che poi, il chiacchiericcio di paese, ha ingigantito e trasformato in modo da soddisfare l’immaginazione umana. La storia della “Pita d’oro” di Gallarate iniziò a diventare oggetto di discussione quotidiana durante la prima metà del Novecento quando la banca di Gallarate chiuse i battenti della sede in vicolo del Prestino. Secondo le malelingue pare che parte delle ricchezze fossero state murate all’interno di uno dei caveau (pratica che in realtà non era poi così tanto assurda e che in passato i delinquenti usavano ogni tanto). La mappa del tesoro di Gallarate ha ben due “X” e l’altra la leggenda vuole che sia sotto alla Crocetta (durante gli anni successivi qualcuno ipotizzò anche di spostarla per verificare la presenza del tesoro ma, alla fine, si decise di non
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toccarla poiché le due volte in cui la colonna venne spostata scoppiarono altrettante Guerre Mondiali). La leggenda dell’oro a Gallarate potrebbe avere anche altre due origini storiche più attendibili: la prima è sorta in seguito al ritrovamento di un luogo di sepoltura nel perimetro della Chiesetta di San Pietro. In passato era tradizione seppellire il morto adagiandogli sugli occhi due monete che avrebbero avuto lo scopo di pagare il traghetto a Caronte; la seconda motivazione storica è legata all’abitudine di alcuni commercianti in epoche lontane di seppellire delle borse d’oro ai confini con le città per evitare di venir derubati durante il viaggio.
15.2 La storia del primo Novecento attraverso le iscrizioni Alcuni Gallaratesi sono stati resi noti anche grazie alle iscrizioni lapidarie (in particolare grazie alla pubblicazione di Giuseppe Macchi del 1929). In via Sironi sulla facciata del Teatro Condominio venne inaugurata, il primo giugno 1913, la seguente iscrizione: “Squillo fatidico di speranza / nel servaggio della patria / all’impeto do ogni umana passione / melodica voce sovrana / alto echeggiò nel mondo e per secoli / il canto di Giuseppe Verdi / la rinascente Italia annunziando / sacra ad un avvenire / di bellezza e di lavoro”. A dettarla fu l’avvocato Arnaldo Agnelli e venne murata su iniziativa della società musicale “La Libertà” (di cui era presidente il rinomato Cesare Macchi). Di iscrizioni Gallarate è piena, ma appartengono ad un’altra epoca.
15.3 Società e feste religiose di ieri e di oggi L’approccio religioso da parte dei Gallaratesi sembra essere storicamente controverso, soprattutto per quanto riguarda i secoli antecedenti al XX. Questa difficoltà, principalmente legata all’organizzazione ecclesiale, fu causata dagli avvenimenti storici, a partire dalle lotte tra i guelfi e i ghibellini fino alle idee introdotte dall’esercito napoleonico. Tuttavia a partire dal 1903 le relazioni con l’istituzione ecclesiale andarono a migliorare, soprattutto in seguito all’Enciclica Sociale di papa Leone XIII e grazie all’attività dell’arcivescovo di Milano Cardinal A. C. Ferrari. In questi anni fu un fiorire di oratori e circoli giovanili. Il profondo mutamento che subì il tessuto religioso di Gallarate è strettamente correlato con l’espansione dell’industrializzazione e ai diversi fenomeni di immigrazione dei primi del Novecento. Questi due caratteri hanno avuto punti geografici di sviluppo contrapposti: mentre l’industrializzazione ebbe un maggiore sviluppo nelle aree centrali di Gallarate, l’immigrazione andò a coinvolgere principalmente quelle più periferiche, creando così una forte disomogeneità tra la
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parrocchia centrale e quelle dei quartieri circostanti. In ogni caso, a prescindere dall’influenza geografica dei due fenomeni, si ebbe una generale decadenza delle tradizioni religiose locali, le quali erano soprattutto di stampo folkloristico. Le note storiche riportate ne “La civiltà del lavoro” asseriscono che gli abitanti di Gallarate, pur avendo avuto dei rapporti controversi con la vita ecclesiale, furono sempre legati allo spirito religioso, forse unica nota di conforto per la dura vita nei secoli passati. Molte delle feste religiose che vengono celebrate sono state introdotte durante il periodo della dominazione spagnola per via dei nobili e dei magistrati spagnoli che soggiornavano volentieri nella città bagnata dalle acque del torrente Arno. A d esempio, fino al 1758, si celebrava la Processione dell’Entierro (tipicamente spagnola), a carico della Confraternita di San Giovanni Decollato. Anche se si esce dal periodo storico affrontato in questo testo, è interessante accennare ad alcune feste locali che sono andate oramai in disuso. Un tempo era molto celebre la festa delle S. Quarantore, in cui tutte le pievi di Gallarate (ovvero le diverse parrocchie che facevano riferimento a quella della centrale della città) partecipavano concorrendo con il massimo sfarzo. Per l’occasione si svolgeva anche un palio con l’erezione di una tribuna d’onore per i conti Padrani di Gallarate e che indusse i partecipanti a chiamare la festa “La cavalcata delle Quarantore”. Con la Rivoluzione Francese la festa delle S. Quarantore perse ogni tipo di carattere folkloristico per ridursi solo alla celebrazione della funzione religiosa. Un’altra festa che fino al 1931 fu particolarmente sfarzosa (attualmente viene effettuata solo la processione con la relativa celebrazione) era quella del Corpus Domini. In questa festività, per via del gran numero di famiglie di tessitori, venivano allestiti svariati metri di tessuto di cotone bianco che avrebbero fatto poi da padiglione lungo tutto il percorso del corteo processionale (lungo circa un chilometro e mezzo), mentre le case venivano decorate con tessuti di colore rosso ed oro. Persa l’usanza folkloristica e caratteristica del padiglione a causa dell’austerità imposta dai prezzi dell’economia, è rimasto uguale nel corso dei secoli la presenza del baldacchino settecentesco, presente durante la più spoglia processione. Sembra che il Corpus Domini fosse una festività che coinvolgeva tutta la comunità; durava ben otto giorni, di cui i più importanti erano il primo e l’ultimo. In occasione della solennità si svolgeva, come precedentemente detto, una processione in cui veniva portata un’ostia consacrata racchiusa in un ostensorio posto sotto ad un pesante baldacchino (arricchito con paramenti dorati e stoffe color argento e oro; esso veniva sostenuto da otto uomini attraverso altrettanti tubi). In passato alla processione partecipavano anche i gesuiti, i canonici e i rocchettini (confraternita sciolta verso la fine del Settecento). La processione era aperta da alcune
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bambine vestite di bianco che cospargevano la strada di petali di rose (secondo i ricordi degli ospiti del Melo) in rappresentanza della purezza dell’anima; seguivano il baldacchino, i religiosi, i bambini che avevano fatto la prima comunione, con in mano un giglio bianco e infine i fedeli (tra cui le donne vestite di nero). Dopo l’adozione di San Cristoforo come patrono cittadino (nella speranza che “aiutasse” a contenere le numerose esondazioni del torrente Arno e dell’Arnetta in città, in particolare in seguito a quella avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1732), la festa a suo nome tenuta ogni 25 luglio è cara ai Gallaratesi, tanto che molti approfittano dell’occasione per far benedire i propri mezzi di trasporto (in epoche moderne sono principalmente automobili). L’ultima festa patronale in grande stile avvenne nel 1897 (successivamente è stata riportata in auge dal 1981 grazie all’impegno della Pro Loco Gallarate), caratterizzata dalla Santa Messa mattutina concelebrata da tutti i sacerdoti della città e dall’offerta del cero da parte degli amministratori comunali. In merito alle esondazioni se ne rammenta una notevole anche nel primo Novecento: correva l’anno 1910 quando le acque del torrente ruppero gli argini ed allagarono tutta la città al punto tale che, per entrare nelle abitazioni, bisogna accedervi con scale a pioli, dai piani superiori. La scelta di San Cristoforo come patrono è legata alla storia del santo. Dagli scritti si sa che era un barbaro di enormi dimensioni appartenente alla stirpe cananea che divenne evangelizzatore e morì martirizzato nel III secolo in Licia, Asia Minore. Originariamente chiamato Reprobo, cambiò nome in Cristoforo (in greco “portatore di Cristo”) dopo il battesimo. Nell’iconografia tradizionale è rappresentato con Gesù Bambino sulle spalle mentre è in mezzo all’acqua. Questo è dovuto alla leggenda che aleggia intorno alla sua figura. Pare infatti che egli volesse servire il più potente tra i sovrani. Seguendo questo suo desiderio si mise agli ordini di diversi principi, finché non scoprì che il più potente dei re umani temeva il Diavolo. Nella logica di Cristoforo, il Demonio doveva essere il suo padrone definitivo ma, quando scoprì che anch’egli temeva la Croce, lo abbandonò. Così volle scoprire a chi apparteneva il simbolo della Croce; un eremita gli rispose che rappresentava Cristo e che, se voleva incontrarlo, doveva aiutare i pellegrini. Così Cristoforo si prodigò nell’aiutare questi ultimi ad attraversare un fiume (si ricorda che è anche protettore dei pellegrini). Un giorno trasportò sull’altra riva del fiume un bambino che, pian piano che il gigante si immergeva in acqua, diventava sempre più pesante, tanto che Cristoforo fece fatica a guadagnare la riva opposta. Una volta compiuta l’impresa il bambino si rivelò essere Gesù. Oltre ad essere patrono dei pellegrini e protettore dai pericoli delle acque, aiuta anche viaggiatori, facchini, postini, atleti, ferrovieri, corrieri, tranvieri, automobilisti e protegge da peste, epilessia,
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folgore, tornado e cicloni. Solitamente veniva posta una effige di grandi dimensioni fuori dalle chiese affinché rinfrancasse lo spirito dei pellegrini. Festa del tutto andata in disuso è quella del 17 gennaio dedicata a Sant’Antonio Abate. In quest’occasione il Carrabbio (attuale piazza Ponti) si riempiva di ogni sorta di animali cari al proprietario per motivi di sopravvivenza: dal cavallo da tiro o da sella ai maiali e ai bovini, dalle pecore e dalle capre fino ai cani e agli uccelli. I resoconti narrano che la piazza era piena e che, dopo i Vesperi, il Prevosto impartiva la benedizione agli animali e ad ogni immagine che veniva appesa alla porta come deterrente dagli incendi. La manifestazione non terminava qui, infatti una volta eseguita la benedizione, i cavalli bardati a festa con nastrini correvano per tutta via S. Antonio fino a quella che era la contrada della Fraccia (oggi via Cavour) e piazza San Lorenzo. Una sorta di corrida fatta con i cavalli. Altre feste tradizionali che fortunatamente stanno resistendo sono la Rama de Pomm al Santuario della Madonna in Campagna, eretto a difesa dalla peste del 1630 e la Contrada del Brodo (di cui si è parlato precedentemente). Dal 1933 c’era anche la festa dei Santi Almachio e Teodoro, di cui Gallarate ne custodisce le reliquie. Tra i personaggi religiosi a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento si ricordano i prevosti sacerdote Giovanni Buffoni (1886 – 1904) e Monsignor Pietro Sommariva (1905 – 1935). Da notare è il passaggio del titolo dei prevosti da “sacerdote” a “monsignore”. Per dare un altro esempio del rapporto tra i gallaratesi e la religione (per la precisione con gli edifici religiosi), particolarmente espliciti sono – oltre la chiesetta di San Pietro – la chiesa di San Rocco (nel 1912 la sagrestia venne messa in comunicazione con il corpo centrale mentre il campanile è dell’Ottocento, edificato in sostituzione dei due pinnacoli). Nel corso del primo conflitto mondiale, la chiesa di San Rocco (e anche quella di Sant’Antonio) venne temporaneamente requisite per essere utilizzate come magazzini.
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16. Eroi gallaratesi di tutti i giorni 16.1 Il Piott, messaggero di lettere e segreti Un personaggio di Gallarate del primo Novecento che entrò a far parte della mitologia gallaratese, fu il Piott. Il soprannome già la dice lunga sul ruolo e sulla professione del Piott, infatti egli era un postino. La curiosità di questo personaggio, che è esplicativa anche del tipo di socialità e di società esistente all’epoca a Gallarate (una società in cui “tutti conoscono tutti”), è che consegnava lettere, telegrammi, pacchi e…comunicazioni e messaggi. Il Piott infatti faceva da tramite, da “ambasciatore” di messaggi orali indirizzati a terzi. Chi consegnava il messaggio al Piott non aveva da temere sulla riservatezza perché il postino gallaratese non rivelava assolutamente nulla se non ai diretti interessati. Il Piott era solito andare a salutare la statua di Garibaldi (collocata nell’omonima piazza) e con essa salutava anche Giovannino Battaglia, il custode dei giardini che un tempo facevano compagnia all’effigie dell’Eroe dei Due Mondi. Il Battaglia era un vero fan di Garibaldi, tanto che avrebbe desiderato far parte dei suoi drappelli. Inoltre egli teneva sul comodino una riproduzione dell’ingresso di Garibaldi a Gallarate attraverso Madonna in Campagna. Questa sezione cerca di presentare e di ricordare quei personaggi che popolavano più che altro la piccola storia di Gallarate, i racconti, le chiacchiere e talvolta le leggende cittadine mettendo – almeno per una volta – in secondo piano i grandi personaggi che sono passati alla Storia e a cui sono state dedicati i nomi di alcune strade (anche a Milano, come è accaduto per Costanzo Cantoni, Giovanni Cadolini, Pompeo Castelli, Giovanni Masera, Luigi Majno, Andrea e Ettore Ponti e Francesco Restelli).
16.2 Il Bar Bossi e il venditore di caffè Gallarate nel corso dei secoli e degli anni ha accumulato un discreto numero di leggende e storie inerenti a personaggi – gallaratesi – altrettanto leggendari per abitudini, usanze e comportamento. Una di queste storie è legata ad uno specifico venditore di caffè noto alle vecchie generazioni della città della brughiera. Bisogna premettere che ai tempi il caffè era un lusso che ben pochi si potevano permettere quotidianamente perciò spesso le famiglie preparavano la bevanda calda riutilizzando più e più volte lo stesso fondo della cogoma (la moka in dialetto locale). In questo modo però ne risentiva la qualità del caffè, così non era insolito che i gallaratesi, dopo il pasto, andassero a prendere il caffè nello storico Bar Bossi (ora chiuso) dove la signora Virginia, aiutata dalla figlia e
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dalla nipote, preparavano l’esotico infuso con una cogoma di rame poiché le macchinette non erano ancora all'ordine del giorno. Tornando al venditore di caffè di fiducia che riforniva le dispense dei gallaratesi, egli era un certo Minestra, il quale si riforniva del caffè da Milano apponendovi il marchio di fabbrica Il Piantatore di Caffè e vendeva la sua merce tra le vie della città trasportando i prodotti su un carretto ambulante, per la precisione un furgoncino a pedali dalla forma di baule e con il coperchio ribaltabile. Il prezioso caffè era impacchettato con carta di diverso colore (ogni colore indicava la tipologia di caffè e il relativo prezzo). Purtroppo poi la spagnola si portò via questo amato personaggio (siamo tra il 1918 e il 1920). Con la scomparsa del venditore, veniva messo a repentaglio anche un tradizionale gioco che facevano i bambini con i sacchetti: essi li gonfiavano d'aria per poi farli esplodere con un colpo di mano. Lo stesso gioco che fanno i bambini oggi. Alcune cose non cambiano mai.
16.3 Il Boufalora Verdurèe Ai primi del Novecento, Cedrate era ancora autonoma, cioè Comune, rispetto a Gallarate, ma alcuni dei suoi abitanti erano molto conosciuti anche nella città dei due galli poiché in essa vi avevano stabilito un “commercio” di fiducia. Questo è il caso del Boufalora Verdurèe, venditore ambulante residente in via Parrocchiale (dietro la Chiesa di Cedrate). Il Boufalora Verdurèe era proprietario di uno sgangherato carretto con cui trasportava la sua merce – per lo più verdura e frutta - e di un asino altrettanto malconcio, che conosceva oramai a memoria il percorso e le fermate da Cedrate a Gallarate, tanto da fermarsi automaticamente anche senza il consenso del compagno di sventure umano. Inoltre il venditore aveva un paio di scarpe molto lunghe ed era vestito alla bell’è meglio, anche d’inverno, periodo dell’anno in cui indossava un vecchio cappotto militare e dei guanti con le dita per tenersi al caldo; invece l’asinello era coperto con una coperta di lana dotata di buchi per garantire la traspirazione. Anche se era dotato di pochi averi, di certo non gli mancava tenacia e perseveranza: mentre girava per le strade richiamava gli acquirenti gridando “Persiguni! Oi bei per! Insalatina fresca! Oi bei pomm! Boulottouni! Oi scigùl!”. Sfortunatamente un giorno l’asinello morì e il povero Boufalora Verdurèe proseguì la sua attività come meglio potè finchè anche lui non decise di seguire le orme del compagno a quattro zampe che da sempre gli apriva la strada.
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16.4 Pindin, Duardin e Tealdin Come i tre moschiettieri, il Pindin, il Duardin e il Tealdin formavano un terzetto davvero caratteristico, anche se forse un po’ meno affiatato. Infatti mentre Duardin e Tealdin volevano assolutamente darsi alla musica e formare un terzetto canoro, il Pindin non ne voleva sapere e preferiva una vita lontana dalle luci della ribalta (anche perché sembra che non fosse propriamente intonato). La precedenza per il Pindin l’aveva il lavoro: tutti e tre si sedevano sul basamento della Crocetta (che un tempo era posta al centro della piazza e dietro alla quale c’era una fontanella di acqua fresca) aspettando di essere chiamati per lavorare a giornata come braccianti agricoli. A volte capitava che i tre dovessero aspettare fino a mezzogiorno e allora il Pindin preparava un gran minestrone frutto del miscuglio tra le diverse cose che venivano offerte (tra cui la polenta del Magrett) e condividevano il tutto con il Tarola. Il Duardin era un fervente fedele tanto che recitava il rosario ovunque si trovasse e, nel caso in cui qualcuno lo deridesse, lo prendeva a calci. Il Tealdin invece se la passava un attimo meglio: lavorava come cocchiere per la ditta Attilio Palazzi, la quale prendeva in concessione le vetture dei Martignoni e del Del Tredici per trasportare le persone dalla stazione di Gallarate verso i paesi limitrofi. L’immagine del Tealdin era, poeticamente, identica a quella del cocchiere nel Far West: portamento altero, foulard legato al collo, cappello a cencio e un vestito logoro.
16.5 I frequentatori della piazza Ai primi del Novecento la piazzetta di San Pietro era ancora il punto di ritrovo prediletto dai Gallaratesi dell’epoca. Qua si davano appuntamento diversi personaggi cittadini per scambiare informazioni, notizie, pettegolezzi e chiacchiere. C’erano il Tapin del Sorbett, il Brumeta strascèe, il Zac e il Leonin, accompagnato dal fedele carrettino di acqua e limone (limunada) per un ghell. Inoltre, una volta chiusi i negozi, per godersi la fine della giornata lavorativa, anche il tabachèe Vedovazz, il capelèe Pedrin, lo scarpatt Bagoia e il Pezun (addetto al gas) si trovavano in questa piazza. Questa sede era punto di ritrovo anche per il coro parrocchiale prima della Messa domenicale. Del coro facevano parte il capocorista el Pinela (Giuseppe Nicora), el Giouan Pinaia (Giovanni Maria Colombo), el Giouan Schiavini e i fratelli Renato e Luigi Misani (quest’ultimo chiamato il Bumburona). Anche le autorità si incontravano in questa piazza, alla stregua di Don Camillo e Peppone: il sindaco Olinto Pasta e il prevosto Pietro Sommariva. Se le cose prendevano una brutta piega, intervenivano
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i carabinieri con un battaglione che era di stanza fissa a Gallarate. Talvolta essi erano accompagnati dal Tealdin, che si sentiva in dovere di intervenire in aiuto ai militari. Infine nella piazza giungevano ad orari imprevedibili e per le motivazioni più disparate anche il Bicc con la famiglia e il Ghita (Giovannino Gabardi), che invece faceva il becchino e, per forza, il lavoro lo portava nella piazza davanti alla chiesa. Esiste anche un modo di dire cittadino che cita: “L’è in màan al Ghita”, per voler dire che una determinata persona oramai stava per passare all’altro mondo.
16.6 La Regina Saracata La piazza era luogo d’incontro per tutta la città ed erano presenti diversi venditori dai tratti caratteristici e folkloristici che tutti conoscevano. Tra questi personaggi c’erano la Baleù e la signora Poretti, meglio conosciuta come la “Regina saracata”. La Poretti era così chiamata perché vendeva i saracch, le aringhe affumicate e i capponi. La Regina era solita consigliare di accompagnare il pesce con della polenta e un bicchiere di buon vino (per dare una valida alternativa alla polenta con la carne, più costosa).
16.7 Giovanni Masera Un uomo di poche parole ma di grande concretezza fu Giovanni Masera. L’ingegnere era rinomato tra i suoi concittadini per esprimere con brevi frasi i suoi sentimenti, sia che essi siano di approvazione piuttosto che di disapprovazione. Tra i Gallaratesi circolava addirittura la voce che Masera chiese alla futura moglie Maura Castelli di sposarlo con le seguenti parole: “mi ghè voeri ben”. Tuttavia sembra che i fatti abbiano dato forza ai sentimenti ermeticamente espressi da Masera, infatti i due convogliarono a nozze l’1 giugno 1881 (prima in Municipio e il giorno seguente in Basilica). Due elementi del loro matrimonio sono davvero caratteristici e descrittivi: la cura nei preparativi e nello svolgimento (anche dei dettagli, come ad esempio le lettere auree scritte sui cartoncini del menù, tutto preparato in casa; il vestito della sposa che rispecchiava la moda dell’epoca; il coinvolgimento dei parenti) e il viaggio di nozze con destinazione finale Milano. Le lune di miele internazionali non erano ancora accessibili a tutti. I coniugi Masera si stabilirono a Gallarate in via Fraccia 9 e, ad un anno di distanza dal matrimonio, nacque il primogenito Ercole Giuseppe Andrea Masera.
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Giovanni lavorò come impiegato al Comune occupandosi dei problemi urbanistici e acquisendo notevole esperienza, al punto che qualche anno dopo venne assunto all’Ufficio Tecnico del Comune di Milano divenendone dirigente. Per quanto riguarda il periodo gallaratese, l’ingegnere si occupò del Piano Regolatore di quegli anni decentrando le nascenti industrie verso le aree periferiche della città. Quando Masera andò in pensione, il Consiglio Comunale del 1921 scelse all’unanimità di predisporgli una pensione speciale. Una curiosità sull’impiego comunale a Gallarate: in molti Comuni lombardi era rimasta l’usanza risalente al periodo della dominazione austriaca di corrispondere in anticipo gli stipendi ai propri dipendenti.
16.8 Alcuni intellettuali Tra coloro che hanno contribuito a raccontare la propria città spronandola in quell’aria di rinnovamento ed innovazione sono da ricordare (oltre alle tradizionali famiglie Majno, Borgomaneri, Ponti, Cantoni ed altre): i Piceni, famiglia originaria del Verbano insediatasi a Gallarate ai primi dell’Ottocento; i Sironi, famiglia di industriali, avvocati e letterati che parteciparono anche alle imprese risorgimentali; i notai Vittorio Emanuele Porro, Carlo Ranchet, Vito Missaglia (primo sindaco di Gallarate città che ospitò nella propria dimora re Umberto); gli educatori e scrittori Angelo Curioni, don Giovanni Tenconi, l’abate Francesco Bonomi, Cesare Forni, Pompeo e Temistocle Castelli.
16.9 Renzo Colombo Grazie alla “Scapigliatura lombarda”, si affermò anche a Gallarate l’individualità dell’artista in contrapposizione alle forme espressive tradizionali. Tra gli artisti che risentirono di questa idea ci fu Renzo Colombo (16 febbraio 1856 – 28 settembre 1885, Normandia; i resti furono tumulati a Batignolles, nei pressi di Parigi) che, anche se è temporalmente al limite con il periodo affrontato in questo progetto, merita di essere citato per il suo contributo artistico alla città di Gallarate (così come il pittore Giovanni Puricelli (31 maggio 1832 – 17 luglio 1894). Lo scultore gallaratese frequentò l’Accademia di Brera grazie all’interessamento di Costanzo Cantoni (quando c’erano ancora i mecenati) e costituì uno studio nella città natale solo in un secondo momento dopo aver girovagato per il mondo alla scoperta e alla ricerca di diversi stili artistici. Le testimonianze storiche descrivono il figlio del musicista Giacomo Colombo e della maestra elementare Maria Grangè con l’aspetto che nell’immaginario comune hanno tutti gli artisti: aspetto trasandato, capelli folti e ribelli,
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testa tra le nuvole e sbadato, caratteristiche che spesso lo portavano in situazioni strane e imbarazzanti. Molte delle sue opere sono state destinate come ornamento delle cappelle nel Cimitero Monumentale.
16.10 Flaviano Salvatore Gallotti Nell’Ottocento Gallarate vide dare i natali anche ad importanti musicisti, tra cui Flaviano Salvatore Gallotti (19 aprile 1853 – 10 giugno 1928), il quale operò nell’ambito della musica sinfonica, di quella sacra e di quella profana. L’artista proveniva da una famiglia di musicisti: il nonno Paolo fu maestro di musica, mentre il padre Francesco fondò e diresse la banda cittadina e la Società Filarmoniche. Flaviano Salvatore iniziò i propri studi musicali alla Schola Cantorum di Colombo (il padre dello scultore Renzo Colombo); studiò inizialmente pianoforte con il maestro Ottavio Luoni e successivamente frequentò il Conservatorio di Milano (a soli tredici anni) dove ebbe modo di esercitarsi e di apprendere l’arte della musica con insegnanti del calibro di Panzeri, Boniforti e Antonio Bazzini. In seguito alla vincita di una borsa di studi per merito consegnata da Tito Ricordi, Salvatore Gallotti visse per un periodo della sua vita a Parigi. Tra le composizioni più conosciute si ricordano: “La battaglia di Lepanto” e un “Magnificat”. Dopo il periodo parigino, tornò in Italia dove occupò il ruolo di Maestro di Canto e di Musica alle Scuole Municipali di Milano e Maestro di Cappella alla Chiesa di San Carlo. Dal 1883 divenne Maestro di Cappella del Duomo e nel 1891 ne assunse il ruolo di direttore. Conobbe musicisti di importanza internazionale come Haller e Herbel. Compose il Requiem per il Re Umberto (eseguito nel 1911 e diffuso su spartito a New York nel 1913). Nel 1915 promosse un corso biennale di canto ambrosiano e gregoriano. Si sposò con Bice Pestalozza e visse fino alla morte a Milano, mentre a Gallarate spese per lo più gli anni della fanciullezza nella casa di via Postcastello. Era solito tornare a Gallarate per incontrare vecchi amici e frequentare il Teatro Condominio (dove spesso eseguivano le sue composizioni).
16.11 Alessandro Durani, Giovannino “Ghita” Gabardi e Giuseppe “Stringhin” Cattoretti: custodi dei “campi elisi” Tra i personaggi vivi che frequentavano per professione il Cimitero di Galalrate all’inizio del Novecento ci furono Alessandro Durani, Giovannino Gabardi (detto “Ghita”) e Giuseppe Cattoretti (chiamato “ul Stringhin”). Gli ultimi due erano gli aiutanti del Durani (custode ufficiale del Cimitero) e
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facevano il mestiere dei seppellitori (in dialetto “sateroù”). Si dice che il Ghita facesse anche spazzole con il crine di cavallo e attendesse che Stringhin lo chiamasse per aiutarlo. Esiste un detto locale (“l’è in màan al Ghita”) per indicare quando una persona è sul punto di morire e non si può fare altro se non affidarlo ai sateroù.
16.12 Prevosto cavalier Pietro Sommariva Il prevosto cavalier Pietro Sommariva nacque il 26 dicembre 1851 a Milano, entrò nel 1865 nell’Istituto Villoresi e venne ordinato sacerdote nel 1875. Subito dopo venne a Gallarate. Ben voluto dai gallaratesi, venne nominato Prevosto nel 1905, dove esercitò la professione nella Basilica decorata con opere di artisti del calibro di Macciacchini, Cavenaghi e Stocchetto. Le testimonianze lo descrivono come una persona pia che seguiva una vita austera e devota nei confronti della Chiesa e della Patria. Conosciuto dai concittadini come “don Peder”, fu maestro di religione, scienze e lettere nelle Scuole Tecniche, nell’Istituto Canossiane e nel Circolo San Cristoforo. Sempre secondo le testimonianze, Sommariva viene descritto come disinteressato della politica, anche se venne nominato Cavaliere della Corona d’Italia per l’impegno patriottico.
16.13 Famiglia e Parco Bassetti Il polmone verde della città di Gallarate attualmente è costituito da Parco Bassetti. La vasta area boschiva era incorporata a villa “Costa “ di proprietà dei Rosnati ed era collocata leggermente poco distante dal centro abitato di Gallarate vero e proprio poiché veniva usata come residenza estiva dalla nobile famiglia. Il Parco si estende dai piedi fino alla cima (dove è stata edificata la villa) della collina della località Ronchi di Gallarate, una delle prime increspature moreniche prealpine. Situata leggermente all’interno rispetto alla strada del Sempione, lungo il tratto che unisce Gallarate con la località del Bettolino (Crenna). Successivamente la proprietà passò nelle mani dei Baroncini (industriali tessili di Rescaldina), i quali a loro volta cedettero la villa a Giovanni Bassetti il 13 luglio 1885. Fino al 1885 alcune stanza della villa venivano affittate dai Rosnati (che erano ancora per poco proprietari) all’Istituto Elvetico Linguistico e di Commercio. L’edificio settecentesco chiamato “Costa” venne riedificato ed ampliato assumendo il nuovo nome “Villa Rosa”. Tuttavia l’antico titolo della villa rimase in qualche modo preservato nella storia, infatti al cognome Bassetti venne aggiunto “della Costa”. Inoltre bisogna precisare che la Costa era quell’aera rurale che da Seprio raggiungeva l’Alojsianum (un tempo chiamato Maccabruno).
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Giovanni Bassetti (originario di Arnate) sposò Rosa Piantanida di Gallarate con la quale ebbe tre figli: Ermete, Felice e Giovanni. Purtroppo la sorte non fu molto favorevole per il capostipite dei Bassetti a Gallarate perché, stando alle testimonianze scritte, nel 1893 morì. La grande eredità dei Bassetti venne portata avanti dalla consorte con l’aiuto di Alessandro Ottolini per poi passare nelle mani dei figli.
16.14 Augusto Giovanni Melchiorre Scampini Augusto Giovanni Melchiorre Scampini nasce il 31 Luglio 1880 a Gallarate in via Fara, attuale via Trombini al numero civico 24. Fin da bambino, sollecitato da clienti e amici, inizia nel cortile della trattoria a esibire la sua vibrante e acuta voce. Decimo di quindici fratelli, si ritrova costretto a lavorare e si sposta a Milano per professare come pasticcere. Qui intraprende studi privati di canto con la maestra Cigola e successivamente riesce ad accedere al conservatorio come allievo prediletto del maestro Dal Fiume. Grazie alla sua voce di “tenore di forza” e recitando in vesti di personaggi sempre differenti, acquisisce importanti successi nei maggiori teatri italiani. La reputazione nazionale conduce A. Scampini all’estero, in centri come Madrid, Barcellona, Budapest, Kiev. Tra i suoi più rilevanti ammiratori vi sono personaggi imponenti dell’epoca: i sovrani d’Europa, dai Savoia ai Reali di Spagna e Russia. Durante la prima guerra mondiale non viene richiamato al fronte, ma assegnato ad una compagnia che organizza spettacoli d’arte per i soldati feriti. Sposa Elvira Barbiera, soprano drammatico, dalla quale ha due figlie: Elsa e Brunilde. Nell’anno 1927 Augusto, accompagnato dalla figlia maggiore Elsa, si trasferisce a Barcellona. Apre qui una scuola di canto che riscuote smisurato successo. La figlia minore, Brunilde, segue le orme del padre e con lui fa la sua prima apparizione nel 1921 in un concerto di beneficenza. Giunge al successo all’età di 25 anni. Nel corso della sua vita Augusto Scampini realizza uno strumento denominato “Teatrofono Scampini” che permette di sonorizzare i film, attraverso un movimento sincronizzato a quello del proiettore cinematografico. Grazie a tale dispositivo gli viene attribuito il “Gran Premio” e una medaglia d’oro. Brevetta l’apparecchio e fonda la società “Teatrofoni Scampini” con sede a Milano. Successivamente un esemplare viene inviato in omaggio anche a Mussolini, capo del governo di quel periodo.
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Augusto Giovanni Melchiorre Scampini muore a soli 59 anni nel 1939 a causa di un progressivo aggravamento del suo stato di salute. La sua figura viene ricordata come una delle più influenti del teatro in un’epoca in cui il melodramma italiano possedeva un elevato grado di prestigio.
16.15 Le ultime Rosnati In questa epoca le dame investivano molto denaro per la creazione di un abito. La famiglia Rosnati nella città di Gallarate aveva un rango di nobiltà, tanto che l’ultima discendente di essa ha lasciato nelle persone un ricordo notevole. Achille Macchi afferma : “ Fino allo scorso secolo tra le famiglie notabili di Gallarate figura Rosnati o Rusnati. Detti anticamente da Rosonatis (1397) si illustrarono nei molti secoli che fiorirono in Gallarate per i commerci e nel campo ecclesiastico, dove appunto li si ricordano continuamente. Ludovico Rosnati (morto prima del 1576) sposa Anna Caccarana, sorella del Capitano Annibale; come questo, altri matrimoni con nobili gallaratesi faranno acquistare a questa famiglia, col tempo, nobiltà e prestigio. I Rosnati usufruivano dell’antico beneficio ecclesiastico detto della B. Vergine della Cintura eretto nella Chiesa di S. Pietro, in Gallarate, nel 1721 da Francesco Rotondi. Ricordiamo Gian Leopoldo nominato da Carlo VI Re di Spagna, ragioniere capo della mezza per cento e del traffico del sale per tutta la Lombardia, carica che tenne per quaranta anni. Il figlio di Gian Leopoldo, Ludovico, fu Regolatore Generale delle Finanze; i nipoti Francesco Felice, Ludovico e Giovanni ottennero la concessione di nobiltà con decreto della I.A. il 21 Luglio 1842; più tardi il riconoscimento di nobiltà da parte del Governo Italiano con D.M. del 16 giugno 1895. Del ramo di Ludovico ricordiamo: Agostino, giureconsulto e notaio; il fratello Gian Paolo, capitano nel 1704; Paolo di Agostino, dottore fisico. Questo ramo alla metà del Settecento circa, figura in Caravate forse qui trasportatosi in occasione del matrimonio di Agostino notaio, con la nobile Cecilia Rosnati di Caravate.“ Il nobil Macchi, partendo da Ludovico Rosnati, da la genealogia dei Rosnati. Dei cinque figli che aveva avuto, soltanto due di loro ebbero progenie: Francesco sposato con Laura Ponti, e Gerolamo. Il ramo dei discendenti di Francesco Rosnati ottenne la concessione di nobiltà, come prima specificato, nel 1842.
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Bisogna sottolineare che lo stemma della famiglia Rosnati è riportata nell’Enciclopedia dello Spreti. Gallarate deve essere grata a questa famiglia, in quanto l’unico palazzo di qualche entità è il palazzo Rosnati, ora sede della Banca Popolare di Novara. Probabilmente contemporaneamente alla frescatura della Chiesa di S. Antonio il canonico bustese, Biaggio Bellotti, pittore e architetto, frescò le sale del palazzo Rosnati. Tale residenza, nel 1905 figura di proprietà di Rosnati Ottavio e Caterina. Bisogna precisare che i Rosnati, famiglia antichissima che ora si è spenta, appartenevano a vari rami e che quello abitante nel palazzo di Piazza Garibaldi aveva soltanto un quarto di nobiltà. In seguito, dal palazzo di Piazza Garibaldi si trasferirono in Via Dante, dove si spense la signora più anziana e poi la più giovane e la famiglia cessò di esistere, ma i vecchi gallaratesi certamente le ricordano.
16.16 El doutour Courbéta e el Tougnétou Couloumb Abitava in una bella villa in via Borghi e la mattina con il suo cocker al fianco, qualche volta incatenato e qualche volta no, le mani dietro la schiena, gli occhiali ( orgnetti ) a stanghetta collocati a metà naso, una giacca di velluto a costoni, un paio di polacchi, calzoni normali con tasche a sbieco sul davanti, un gilet fantasia a fiorellini di seta e lana, un cappello a cencio: ecco el Tougnétou Couloumb. Durante la sua passeggiata la sosta presso il Caffè Bossi era obbligatoria. Qui vi erano i soliti anziani e in particolare i grossi industriali Gallaratesi di quel periodo, tra i quali gli Introini, i due Maino, i Bellora, i Borgomaneri, ecc., nonchè i direttori e i vicedirettori della Banca di Gallarate che si susseguivano. Caffè Bossi era il caffè degli aristocratici e i più giovani lo guardavano con tanto rispetto. Era invalso l’uso per tenere i figli quieti e bravi durante la settimana dicendo loro che la domenica potevano essere portati in piazza per vedere i signori mangiare i sorbetti. Egli era l’unico che, nel 1905, aveva il telefono fisso in casa ( in questo periodo erano solo 59 gli abbonati al telefono).
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El Tougnétou Couloumb veniva chiamato come cacciatore maza la bisa, storpiato in: “maccia la biccia, per imitare il modo in cui egli parlava. Alle feste indossava il tubino nero o cenere, e costantemente, indipendentemente dalla situazione, la sua immancabile pipa di radica o di schiuma. Ne aveva infatti diverse, che ruotava a seconda dell’occasione, facendo in modo che non si formasse in esse quel deposito di bago, che necessariamente si sarebbe depositato utilizzando l’oggetto ogni giorno. Aveva un figlio che lavorava come agente di cambio a Milano, città in cui egli stesso decise di trasferirsi e dove vide il termine dei suoi giorni. Qualche volta però tornava a Gallarate per trovare gli amici e alla partenza, lasciando la sua città, aveva sempre le lacrime agli occhi.
Un’altra figura che merita di essere collegata al seguace di Nembrod era il dott. Ferdinando Corbetta, persona venerabile, medico cosciente, che esercitava il suo mestiere al fine di aiutare chi ne aveva bisogno e non come mezzo per arricchirsi. Un signore con una barba piccola, cravatta con il nodo, un bastone di ebano con il pomo, un paio di occhiali con il cordoncino di seta che li teneva in modo da non perderli, e che, anche lui, teneva a metà naso onde lo sguardo potesse spaziare al di sopra di essi. Aveva un cuore generoso e un portamento nobile. Era possessore di una bicicletta rovinata con un fanale a carburo che utilizzava per le chiamate urgenti, soprattutto di notte, in quanto di giorno preferiva camminare a piedi. Oltre alla sua professione da medico chirurgo professava anche come dentista e dalle grida dei suoi pazienti si poteva intendere che la sua mano non fosse molto ferma. Si dilettava a suonare il violino, ma per i rumori da lui emessi veniva chiamato dai suoi vicini con il nomignolo di gratafurmai. Suonava però molto bene nell’orchestra del Circolo cattolico di Cultura come violino di spalla, ma risultava sempre insoddisfatto delle sue capacità in materie e per questo faceva continui esercizi. Nel suo tempo libero, nei giorni feriali, prendeva il suo fucile da caccia e, assieme al suo cane, girava per i campi con addosso un equipaggiamento fornito da alcuni polacchi. Di domenica invece, da buon cattolico, si recava in chiesa senza trascurare alcuna ricorrenza religiosa.
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Era denominato il “cippilimerloâ€? (aspetta che viene il merlo), che, anche se come cacciatore era poco considerato, era considerato un gentiluomo che vale molto di piĂš.
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Postfazione a cura di Elio Bertozzi: la nascita del Liberty in Europa Raggiunse il suo apogeo, probabilmente, durante l’Esposizione Internazionale d’arte decorativa moderna, a Torino nel 1902. Anno in cui furono esposti i progetti di designer provenienti dai maggiori paesi europei, tra cui gli effetti e le stampe dei famosi magazzini londinesi di Arthur Lassenby. Stile Liberty è il nome che è stato dato in Italia all’Art Noveau, dal momento che questa corrente artistica e non solo, ha origini francesi. Nata inizialmente in Belgio, grazie all’architetto Victor Horta, il Liberty si diffuse presto in tutta Europa, divenendo in breve lo stile della nuova borghesia in ascesa. Con Art Noveau, “l’arte nuova”, si indica una vivace moda decorativa apparsa tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Si sviluppa nell’ultimo decennio dell’Ottocento e raggiunge il suo pieno sviluppo intorno al 1900 coinvolgendo pittura, grafica, design e architettura. Fu chiamata Modern Style in Inghilterra e Francia Art Noveau in Francia, in Belgio Jugendstil, dalla rivista d’avanguardia “Jugdin” in Germania, Sezeslonsstil in Austria, dove prese nome dalla secessione viennese, il Liberty o “Stile Floreale” in Italia, Art Jouen o Modernismo in Spagna, Art Noveau anche negli Stati Uniti. Il movimento riscuoterà successo nel settore dell’arte applicata, nel settore delle decorazione d’interni, nel settore dell’arredamento per affermarsi anche nell’architettura e nell’arte grafica. Lo stile, fortemente ornamentale, è caratterizzato dalla presenza di linee sinuose e continue che sprigionano un movimento vigoroso e carico d’energia. Grande sensibilità plastica e gusto per il movimento e la simmetria, ricerca di espressività della funzione attraverso la decorazione, sono i segni distinti di un mondo creativo che punta alla elevazione delle arti applicate allo stesso piano delle arti figurative e, assieme, propone una unità delle arti fra pittura, scultura, e architettura, per ricostruire gli affetti e i luoghi della vita.
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Il Liberty nasce dal rifiuto degli stili storici del passato che nell’architettura di quegli anni fornivano gli elementi di morfologia (studio) progettuale. Caratteri distintivi del liberty Accentuato linearismo e l’eleganza decorativa, nel concetto di coerenza stilistico e progettuale tra forma e funzione. Adottando le nuove tecniche di produzione industriale, e di nuovi materiali quali il ferro, il vetro, il cemento di fatto il liberty giunge per la prima volta alla definizione di una nuova progettualità, quella definita Industrial Design. In Italia il Liberty si sviluppa sostanzialmente pigro e che sembra aver dimenticato le spinte ideologiche e popolari del Risorgimento in una nazione convinta di aver superato tutti i suoi problemi per il solo fatto (certamente importante) di essere stata finalmente unita. In buona sostanza ecco il rischio di vedersi ridurre il liberty ad una moda investendo superficialmente la tematica connessa al rinnovamento del rapporto tra arte e società, che è invece alla base delle contemporanee esperienze europee dell’Art Noveau. Comunque una considerazioni che può essere sfatata. Sfatare,cioè, un luogo comune nato anche dal clima di diffusa lamentela degli intellettuali italiani, secondo il quale il Liberty avrebbe tardato molto nella sua diffusione in Italia. Seppur vera questa testi non rende ragione dell’apporto innovativo e profondo di alcune personalità artistiche italiane, che pure parteciparono al dibattito artistico europeo.
Elio Bertozzi
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A corredo di questo lavoro è in nostro possesso anche: - un mezzo audiovisivo al seguente link https://izi.travel/browse/d2c5c5ed-5e33-4232-ab5d-34c4e796139f/it - una presentazione Power Point sui beni immateriali a Gallarate.
Bibliografia - A. Grassi, La Prealpina, 05/08/2011, “Il teatro sia più gallaratese” - B. Vanotti e C. Cotta, Pro Loco Gallarate, I Notiziari della Pro Loco Galalrate, anno 1, Numero 1, luglio 2004, “Di festa in festa” - Provincia di Varese - A. Novello, P. Allevi, E. Guglielmi, G. Pensa, L. Piatti, E. Zambon, Varese 1926 - 1940 L’Apoteosi della Provincia, Ferrari Editrice 1992 - E. Bertozzi, “L’amarcord dei vecchi mestieri all’inizio dello scorso Millennio” - E. Bertozzi, Collana Galerate, “I cimiteri antichi di Gallarate – Il Campo Santo Nuovo” - Collana Galerate, “Il Venditore di caffè” - E. Bertozzi, La Prealpina, 21/11/2017, “Tutta la città in uno spicchio”
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- La Prealpina, 17/05/2018, “Viaggio nella toponomastica: vincono le vie intitolate a città” - Collana Galerate,I “Quaderni della Collana Galerate – Quaderno n.71 – aprile 2017, “Fatti non foste per vivere come bruti” - E. Bertozzi, La Prealpina, “La storia sbiadita della città” - E. Bertozzi, La Prealpina, 11/04/2018, “C’erano una volta gli antichi mestieri. Lo ricordano due arzilli novantenni” - La Prealpina, 28/02/2002, “Anche Gallarate nella Provincia Liberty” - La Prealpina, 17/04/2018, “Pindin, Duardin e Tealdin: trio in” - F. Gernetti, “Settimo itinerario. Da via Don Minzoni al rione dei Ronchi” - V. Sgarbi, Sgarbi Settimanali, “A rischio (per un parcheggio) un altro gioiello liberty” - Collana Galerate, “Gallarate che scompare. La casa del Fajetto” - Collana Galerate, “Gallarate, Dogana, Sottoprefettura, Municipio e… Palazzo Borghi” - La Prealpina, “I professionisti dell’ultimo viaggio” - La Prealpina, “Riaprite il museo della basilica” - E. Bertozzi, La Prealpina, 26/11/2014, “Il tesoro della basilica merita Expo” - E. Bertozzi, Edizioni Varese, “Musei per conoscere la nostra storia” - La Prealpina, 10/11/2018, “L’arcivescovo Mario Delpini inaugura la “nuova” basilica” - E. Bertozzi, La Prealpina, “I capolavori sono conservati in soffitta” - La Prealpina, “Addio al vecchio Condominio: il sipario calò 70 anni fa” - La Prealpina, 01/10/2018, “Memorie della Regina Saracata” - Collana Galerate, “Augusto Giovanni Melchiorre Scampini” - E. Bertozzi, La Prealpina, 22/07/2018, “Quando il Piott consegnava lettere e segreti” - E. De Martini, M. Boschetti, Pro Loco Gallarate, “L’evoluzione economico-sociale del Gallaratese”
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