Assistenza infermieristica al paziente oncologico

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SECONDA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE INFERMIERISTICHE

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE ONCOLOGICO ASPETTI PSICOLOGICI E RELAZIONALI FRA L’INFERMIERE, IL PAZIENTE E LA FAMIGLIA.

Relatore: Prof. Leonessa Vittorio

Candidato: Ascione Vincenzo

ANNO ACCADEMICO 2006/2007


…Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo troppo…

Seneca

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Dedico questo lavoro alla PAZIENZA! La Pazienza dei miei figli, Pasquale ed Enza, per il tempo a loro sottratto. La Pazienza di mia moglie, Rita, che mi è stata vicino. La Pazienza dei miei colleghi di lavoro per la loro inesauribile disponibilità . La Pazienza di tutti coloro che mi conoscono per avermi sopportato in questa breve parentesi universitaria. In ultimo, non per importanza, dedico questo lavoro ai miei cari genitori, e a chi come loro non potrà partecipare a questo evento, ma sono certo di essere stato guidato da loro e dalla loro eterna Pazienza.

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INTRODUZIONE Il cancro è uno dei principali problemi sanitari che affligge ancora oggi la nostra società, anche perché allo stato attuale mancano:

misure preventive di diagnosi precoce, trattamenti

curativi che rispondono totalmente alla domanda di assistenza del paziente oncologico, e personale adeguatamente preparato; a questo si aggiungono problematiche legate all’insufficienza delle strutture. Un programma di assistenza adeguato alle reali necessità del paziente oncologico deve prevedere: • la prevenzione, in modo da evitare l’insorgenza di un tumore allontanando i fattori di rischio, correggendo gli stili di vita, consigliando una sana alimentazione e promuovendo campagne per una diagnosi precoce • l’informazione e la preparazione agli esami diagnostici a cui il paziente deve essere sottoposto di volta in volta, in modo da alleviargli ansie e paure • il fornire al paziente un supporto psicologico, in quanto la diagnosi di tumore scatena sempre una serie di reazioni negative • la corretta preparazione ed esecuzione della terapia, che impegna l’infermiere: nel caso della chemioterapia, nell’approvvigionamento, preparazione, somministrazione e smaltimento dei chemioterapici; in caso di radioterapia, nel controllo dei segni e dei sintomi che possono manifestarsi durante il trattamento; in caso di trattamento chirurgico nell’assistenza pre, intra e post-operatoria con particolare attenzione alla ristabilizzazione dei parametri vitali e alla prevenzione di eventuali complicanze. 3


• l’attivazione delle cure palliative attraverso l’assistenza ospedaliera, domiciliare, il DH oncologico o gli Hospice allo scopo di migliorare la qualità di vita del paziente oncologico in fase terminale. Tutto quanto è possibile solo se l’infermiere ha una solida formazione che gli consenta di riconoscere i principali sintomi e segni della patologia e abbia le basi per un’assistenza specifica.

DEFINIZIONE Il termine tumore, usato per indicare un processo patologico di tumefazione di una parte qualsiasi del corpo, oggi è sinonimo di neoplasia, cioè neoformazione locale di un tessuto atipico; e sta ad identificare una serie di affezioni che hanno il loro denominatore comune nella perdita di controllo della crescita cellulare che porta a una “nuova formazione”, appunto neoplasia. I tumori a seconda dell’influenza che esercita sull’ospite vengono distinti in: 1)benigni quando presentano: una crescita lenta, centrale ed espansiva; con struttura e morfologia molto simile al tessuto di origine; un metabolismo che non interferisce con quello dell’ospite (non causa cachessia); non da metastasi e non tende a recidivare se viene asportato; 2)maligni quando presentano: una crescita veloce, periferica e infiltrante; una struttura e una morfologia diversa dal tessuto di origine; un metabolismo che interferisce con quello dell’ospite causando la cachessia; da metastasi e può dare recidive se asportato; Bisogna ricordare però che il concetto di benigno e maligno è più clinico che fisiopatologico, in quanto vi sono dei tumori che in 4


base alle caratteristiche sovra esposte sono da considerarsi benigni, ma in base alla sede in cui si sviluppano rientrano fra quelli maligni. Come pure, tumori che in origine sono benigni col tempo subiscono una trasformazione maligna. In rapporto al tessuto che viene interessato dal processo neoplastico i tumori si classificano in: 1) carcinomi se interessa le cellule epiteliali; 2) sarcomi se interessa il tessuto connettivo; 3) gliomi se interessa le cellule gliali del SNC; 4) linfomi se interessa il tessuto linfatico; 5) leucemie se interessa gli organi emopoietici. Acquista un ruolo fondamentale anche, la classificazione T.N.M. codificata dalla Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC), che distingue il cancro in stadi, valutandone l’estensione anatomica in base ai tre componenti espressi dalle lettere: T: estensione del tumore primitivo N: assenza o presenza di metastasi ai linfonodi regionali M: metastasi a distanza. Da tener presente che il tumore (o cancro) oggi è la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. Gli organi più colpiti sono la prostata nell’uomo e la mammella nella donna; seguono il colon-retto ed il polmone in entrambi i sessi. Esistono delle differenze nell’incidenza di specifiche neoplasie in diverse aree geografiche, come ad esempio, il carcinoma dello stomaco e del fegato hanno in Giappone una frequenza più alta che in qualsiasi altra parte del mondo, mentre il carcinoma della mammella e del colon, nello stesso paese, sono relativamente rari; però, il giapponese che emigra in America acquisisce la stessa incidenza neoplastica della popolazione americana dopo 5


solo una o due generazioni di residenza, ciò indica che il cancro anche se origina da fattori genetici, è altamente influenzato da fattori ambientali. In conclusione, possiamo dire che il tumore è una malattia multifattoriale, dove i fattori determinanti, quali: 1)genetico ereditario; 2)ambientali (inquinamento da agenti chimiche e fisici); 3)psico-emozionali; 4)socio-relazionali. singolarmente costituiscono una causa necessaria al loro sviluppo ma non sufficiente per manifestare la patologia, quest’ultima si scatena dall’interazione dei vari fattori, che hanno un ruolo causale sulle mutazioni dei geni che regolano la crescita e la divisione cellulare fino al punto di trasformarle in carcerogene.

GENETICA ED EZIOLOGIA DEI TUMORI Il cancro è primitivamente dovuto a una mutazione genetica. Di regola la mutazione è somatica (non germinale) perché colpisce una cellula dell’organismo, per cui la loro trasmissione non avviene per via ereditaria; questo spiega perchè la maggior parte dei tumori non viene ereditata dalle successive generazioni. Ma esistono alcune eccezioni, infatti alcuni tumori segregano, nelle famiglie, come patologie ereditarie. Questi tumori sono molto rari come il retinoblastoma (tumore della retina), tuttavia anche alcuni tumori abbastanza comuni, come quelli della mammella e del colon, possono occasionalmente essere ereditati. Questo spiega perchè nei familiari dei pazienti neoplastici il rischio di sviluppare la stessa neoplasia è significativamente aumentato. 6


Geneticamente i tumori hanno origine monoclonale. Le mutazioni che colpiscono i geni che controllano la crescita e la differenziazione cellulare danno origine a una cellula tumorale all’interno di una popolazione cellulare in crescita. Si conoscono tre specie di geni regolatori della crescita cellulare: 1) gli oncogeni, che sono segmenti di DNA presenti di norma nella cellula, sono deputati alla proliferazione e alla riparazione cellulare, e possono promuovere la neoplasia se attivati o potenziati da alterazioni dei proto-oncogeni; 2) i proto-oncogeni, che sono normali costituenti delle cellule e sono fondamentali per la crescita e la differenziazione cellulare; 3) gli onco-soppressori, che svolgono un ruolo nel controllo della normale crescita cellulare; uno squilibrio tra l’attivazione degli oncogeni e l’inattivazione degli onco-soppressori è alla base della cancerogenesi, processo attraverso il quale una singola cellula mutata proliferando e differenziandosi sviluppa la massa neoplastica. La cancerogenesi è costituita da due eventi distinti: l’iniziazione e la promozione. Durante l’iniziazione avvengono alterazioni irreversibili a carico del patrimonio genetico causate da agenti inizianti (carcinogeni) come alcuni conservanti per alimenti, agenti inquinanti e derivati del fumo di tabacco. L’iniziazione da sola non è in grado di causare la degenerazione neoplastica, ma una cellula alterata può trasmettere alla sua progenie la potenzialità di diventare cellula cancerogena. Nella promozione, invece, gli agenti promuoventi (co-carcinogeni) determinano cambiamenti della proliferazione cellulare, infatti nei primi stadi della promozione si verifica un’intensa proliferazione cellulare sia a carico delle cellule iniziate che delle cellule sane, in una 7


seconda fase l’azione iperplastica diventa selettiva solo per le cellule iniziate. Inoltre, sono da citare alcuni agenti che possiedono sia la proprietà di iniziazione che di promozione e quindi da soli possono indurre neoplasie, questi vengono definiti carcinogeni completi, come ad esempio le radiazioni ionizzanti. Coinvolti nella trasformazione delle cellule neoplastiche sono da menzionare, ancora, diversi virus come ad esempio il virus del papilloma che è responsabile del cancro della cervice.

SCREENING ONCOLOGICO Gli esami radiologici di routine raramente evidenziano neoformazioni del volume inferiore ad 1 cm cubo, per questo motivo negli ultimi tempi la diagnosi di tumore viene posta con la ricerca nei liquidi biologici di molecole prodotte in modo specifico dalle cellule neoplastiche, i cosiddetti

marcatori

tumorali, come: 1) la

CEA (antigene carcinoembrionario), presente nelle

neoplasie del polmone, della mammella e

dell’apparato

gastro-enterico; 2) l’alfafetoproteina, presente nelle neoplasie del fegato, dello stomaco, del pancreas, del colon, del polmone; 3) la gonadotropina corionica umana, presente nelle neoplasie del fegato, dello stomaco, del pancreas, e dell’ovaio; 4) il PSA (antigene prostatico specifico), presente nelle neoplasie della prostata, del mieloma multiplo e delle metastasi ossee; 5) la CA-125, presente nei tumori dell’ovaio; 6) la beta 2 microglobulina, presente nel mieloma multiplo. 8


Da tener presente che un periodico esame obiettivo completo e i comuni esami del sangue e delle urine sono gli elementi fondamentali per la diagnosi precoce dei tumori maligni; come pure l’esplorazione rettale, l’esame obiettivo della mammella e dei testicoli sono i mezzi più efficaci per la diagnosi precoce delle neoplasie dei vari organi. In merito alle neoplasie dei vari organi possiamo affermare che: • l’ecografia del seno, come pure la mammografia sono gli esami fondamentale per la prevenzione e valutazione delle neoplasie mammarie seguite dall’agoaspirato ecoguidato o con stereotassica mammografia in caso di noduli sospetti e non palpabili. • Il primo esame da effettuare in caso di sospetta neoplasia polmonare è la radiografia del torace, seguita quasi sempre dalla TAC toracica. Seguono: l’esame dell’escreato, la broncoscopia e l’agobiopsia per cutanea TAC-guidata che permettono l’identificazione istologica della neoplasia. • La gastroscopia è l’esame principe per diagnosticare i tumori dello stomaco, questa permette anche una diagnosi differenziale fra le lesioni neoplastiche e quelle di origine infiammatorie e/o ulcerative; inoltre permette di praticare prelievi bioptici. Il quadro diagnostico può essere completato dalla ricerca di sangue occulto nelle feci e da un emocromo. • La coloscopia ha ormai larghissima diffusione nella pratica clinica per la prevenzione, diagnosi e controllo del cancro del colon-retto, con eventuale prelievo bioptico; come pure il clisma opaco con la metodica a doppio contrasto.

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Affiancato sempre dall’esplorazione rettale e dalla ricerca di sangue occulto nelle feci.

EFFETTI SISTEMICI DELLE NEOPLASIE Molti sintomi provocati da una neoplasia sono dovuti alla presenza fisica della stessa o dalle sue metastasi, questi possono essere indiretti come l’anoressia; e particolari conseguenti l’azione di mediatori rilasciati dalla cellula tumorale stessa (le cosiddette sindromi paraneoplastiche). I sintomi più frequenti sono: Anoressia e cachessia La cachessia, cioè l’estremo decadimento psico-organico, è dovuta a svariati e complessi fattori: 1) anoressia; 2) depressione e malessere generale; 3) effetti generali della chemio e/o radioterapia; 4) alterazioni proteiche e del metabolismo energetico; 5) aumento del catabolismo conseguente alla febbre; 6) fuoriuscita di proteine nei cosiddetti terzi spazi (es. versamento pleurico). Alterazioni ematologiche Generalmente si assiste ad anomalie importanti nel sistema di coagulazione ed in tutte le linee cellulari ematopoietiche. Manifestazioni neurologiche Le metastasi cerebrali costituiscono la principale causa di disfunzioni neurologiche, queste possono derivare anche da anomalie metaboliche, infezioni opportunistiche del SNC o da un suo insulto ischemica o emorragico. Manifestazioni renali 10


Le cause delle disfunzioni renali sono molteplici: neoplasia primitiva, ostruzioni delle vie urinarie, squilibri elettrolitici, tossicità da chemioterapia. Manifestazioni endocrine Alcune neoplasie sviluppano una notevole capacità di rilasciare in circolo ormoni naturali in modo indipendente dai normali meccanismi di regolazione, per cui si hanno le cosiddette sindromi paraneoplastiche; come ad esempio il carcinoma polmonare detto a piccole cellule, la cui peculiarità consiste nel fatto che può dare varie sindromi a seconda dell’ormone prodotto: la sindrome di Cushing (ACTH), la diminuzione della concentrazione di sodio (ADH), la ginecomastia (HCG).

TERAPIA ONCOLOGICA Negli ultimi anni grazie alla genetica sono notevolmente aumentate le conoscenze sugli eventi che trasformano una cellula normale in cellula tumorale, queste conoscenze hanno permesso un miglioramento della diagnosi, della prevenzione e del trattamento dei tumori. Come pure, i notevoli progressi fatti nel campo medico, chirurgico e radioterapico hanno permesso a molte neoplasie di diventare curabili. Infatti, oggi, contro i tumori si può intervenire con: Trattamento chirurgico La resezione chirurgica totale è la più antica forma di trattamento scelta nella maggior parte delle neoplasie solide localizzate; poiché molte di esse hanno già dato micrometastasi al momento della diagnosi, si è soliti integrare il trattamento chirurgico con altre metodiche per ottenere il controllo locale e a distanza della neoplasia stessa. Esempio classico è rappresentato 11


dal carcinoma mammario localizzato che viene trattato oltre che chirurgicamente anche con l’impiego combinato della radio e chemioterapia. L’intervento chirurgico può anche essere solo palliativo, mirante a risolvere le complicanze di un carcinoma quali compressione di strutture vitali, ostruzioni intestinali e biliari, emorragie e perforazioni. Infine c’è la chirurgia ricostruttiva e plastica che partecipa alla riabilitazione dei pazienti oncologici già trattati; basti pensare alla ricostruzione del seno dopo mastectomia, e alla risoluzione delle contratture indotte dalla radioterapia. Radioterapia Circa il 60% dei pazienti oncologici trovano giovamento dall’impiego della radioterapia. Attualmente i notevoli progressi in campo tecnologico e le avanzate ricerche in campo della radiobiologia hanno fatto si che questa terapia abbia raggiunto livelli molto sofisticati con grande efficacia e con limitazione della tossicità. La radioterapia usa radiazioni ionizzanti ad alta energia per distruggere le cellule neoplastiche, causando la rottura di uno o più legami all’interno del DNA in modo da inibire la crescita e la replicazione cellulare. L’azione selettiva delle radiazioni si base proprio sulla differente capacità che hanno le cellule di riparare i danni a carico del DNA, infatti mentre le cellule sane anche se alterate dalle radiazioni sono in grado di riparare i danni del DNA, le cellule neoplastiche invece vanno incontro ad un danno irreparabile e quindi alla distruzione. La sensibilità delle cellule tumorali all’azione delle radiazioni dipende anche dalla presenza di ossigeno; infatti la distruzione 12


delle cellule in condizioni di ipossia richiede da 2 a 3 volte una dose maggiore rispetto a quella necessaria per le cellule ben ossigenate. L’ipossia cellulare si manifesta specie quando la crescita neoplastica supera la capacità di apporto nutrizionale dei vasi sanguigni come avviene soprattutto nella zona centrale del tumore dove si creano zone di necrosi. Le onde elettromagnetiche impiegate sono solitamente: i raggi X, generati da acceleratori lineari per il trattamento radiante esterno, queste radiazioni sono in grado di penetrare negli strati profondi dove è sito il tumore risparmiando quelli superficiali e quelli posti al di fuori della posizione geografica del fascio di radiazione; e i raggi gamma derivanti da isotopi radioattivi quali il cobalto 60 per la radioterapia interna. La dose da somministrare dipende dalla radiosensibilità del tumore, dalla tolleranza dei tessuti sani e dal volume del tessuto da irradiare. Siccome la somministrazione di una unica dose potrebbe dar luogo ad una tossicità eccessiva, il trattamento prevede applicazioni giornaliere di radiazioni, somministrate in frazioni da 1.8 a 2.5 Gray per 10 minuti, per 5 giorni a settimana per un totale di 7 – 8 settimane consecutive. Tale frazionamento migliora l’indice terapeutico (margine di sicurezza tra dose terapeutica e dose tossica), minimizza i danni ai tessuti sani e in più la graduale riduzione della massa neoplastica fa si che le cellule ipossiche tumorali giungano a stretto contatto col sistema vascolare diventando più ossigenate e quindi più suscettibili alle radiazioni. Inoltre vengono effettuati intervalli settimanali del trattamento per permettere al paziente di riprendersi dalla tossicità acuta e alle cellule di riossigenarsi. Purtroppo per alcuni tumori, che presentano un maggior rischio di recidive, è 13


necessario la somministrazione di una dose alta del

mezzo

radiante in una zona circoscritta. Lo scopo della radioterapia è quello di distruggere le cellule neoplastiche risparmiando quelle sane, ma la probabilità di arrecare danno a queste ultime aumenta con la dose. I tessuti più colpiti sono quelli che richiedono una rapida e continua proliferazione cellulare, come la cute, il midollo osseo, la mucosa gastrointestinale, per cui vanno soggetto a tossicità acuta che si manifesta con stomatiti, diarrea, leucopenia, mielodepressione; mentre la tossicità

tardiva, che dipende dalla dose totale

somministrata e dal tipo di frazionamento, si manifesta con fibrosi, necrosi, ed ulcerazione. In ultimo c’è da dire che, anche se la radioterapia costituisce il trattamento primario per alcuni tumori (carcinomi della cute), spesso viene combinata con la terapia chirurgica, come ad esempio la radioterapia post-operatoria utilizzata per ridurre il rischio di recidive locoregionale (dopo interventi alla mammella, polmone, ecc.); o quella pre-operatoria che viene usata per ridurre le dimensioni del tumore in modo che l’intervento chirurgico possa essere radicale e più conservativo. Chemioterapia Qualsiasi tumore ha un caratteristico tempo di crescita che va da 2 giorni a tre mesi ed oltre; in un primo tempo la crescita è di tipo esponenziale (ciò spiega perché le neoplasie si raddoppiano circa 30 volte prima di essere clinicamente rilevabili), in seguito una percentuale sempre maggiore di cellule entra nel pool non proliferativi a causa della morte e della differenziazione cellulare (fase di riposo del ciclo cellulare). Quest’ultima diminuisce la

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suscettibilità dei tumori agli agenti antineoplastici, che sono più attivi nei riguardi delle cellule che si dividono più rapidamente. Infatti, tutti i chemioterapici agiscono sulla divisione cellulare: gli antimetaboliti, agendo come analoghi di substrati fisiologici vitali, inibiscono la sintesi del DNA (il methotrexate è analogo all’acido folico, la citosina arabinoside è analogo alla pirimidina); gli agenti alchilanti, come la ciclofosfamide, interagiscono chimicamente con il DNA causandone la rottura; gli alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina) sono prodotti vegetali che arrestano il ciclo cellulare inibendo la funzione dei microtubuli; molti antibiotici ad attività antitumorale come le antracicline si intercalano nella doppia elica del DNA. La forte correlazione fra la dose letale e la dose necessaria per la cura dei tumori maligni giustifica la tossicità dei trattamenti; tossicità che, anche in questo caso, può essere di tipo acuto con nausea, vomito, alopecia, insufficienza renale, mielosoppressione e

cistite emorragica; tossicità cronica con

leucemia, fibrosi

polmonare, sindrome emolitico-uremica, neuropatia periferica e sterilità. La causa più frequente del fallimento della chemioterapia è la resistenza ai farmaci e la probabilità di svilupparla che è proporzionale alle dimensioni del tumore e al grado di mutazione del gene della farmacoresistenza, il cui prodotto è una proteina che impedisce l’accumulo intracellulare del farmaco stesso.

COME

GLI

INFERMIERI

POSSONO

AIUTARE

I

PAZIENTI ONCOLOGICI Il paziente oncologico necessita di continue cure dal momento della diagnosi fino alla guarigione o alla morte, per cui 15


rappresenta una realtà complessa vuoi per il tipo di malattia che per la “devastazione” che la stessa determina sul suo corpo, sulla sua psiche, sulla sua vita, sulla sua famiglia e sugli operatori sanitari che lo assistono. Una realtà composita, variabile da caso a caso, per la quale è difficile una standardizzazione dell’assistenza, perché un paziente differisce dall’altro a parità di malattia per: carattere, sensibilità, modalità di reazione all’evento malattia, rapporti familiari e sociali, condizioni economiche, capacità di comunicazione, fede religiosa. Quindi ogni persona ha una sua unicità irripetibile con bisogni e richieste proprie. Per questo motivo “curare bene” il paziente non basta, ma è necessario che il paziente abbia anche una risposta ai problemi di carattere psicologico etico e sociale che insorgono nelle varie fasi della malattia e anche nel periodo successivo alla guarigione. L'infermiere è la persona che passa più tempo in compagnia del paziente, è la persona a cui il paziente, spaventato e confuso per tutto quello che gli sta succedendo, spesso dall'oggi al domani (diagnosi di tumore, intervento in tempi brevi, necessità di trattamento chemioterapico), rivolgerà più domande; per cui le sue funzioni debbono essere finalizzate all’identificazione e alla soddisfazione della maggior parte dei bisogni di questo tipo di pazienti. Bisogni che interessano diverse aree: 1)L’area fisiologica: maggior controllo dei sintomi; ripristino della qualità dell’alimentazione, del sonno e della cura della persona. 2)L’area emotiva: bisogno di rassicurazione, di informazione sullo stato della malattia.

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3)L’area sociale: bisogno di comunicare con i familiari e le persone care, di occupare la giornata in modo soddisfacente, di assistenza per le necessità pratiche. In tale contesto l’infermiere deve: • informare il paziente per alleviare in lui ansie e paure • praticare la terapia antiblastica • provvedere alla manutenzione dei vari presidi utilizzati (sistema port, CVC, ecc.) • preparare il paziente all’intervento chirurgico • prevenire eventuali complicanze legate ai trattamenti antitumorali e all’evolversi della patologia • alleviare i sintomi e il dolore ricorrendo anche a cure palliative In questi casi gli infermieri debbono: • saper ascoltare ed osservare • saper comprendere anche la comunicazione non verbale e notare eventuali discrepanze tra comunicazione verbale e non verbale • essere in grado di rapportarsi e comunicare con tutti • saper individuare i problemi del paziente, risolverli da solo, quando possibile, o con l'aiuto di altri membri dell'equipe (medici, psicologi, altri operatori sanitari, famigliari) • saper dare informazioni e spiegazioni in modo chiaro e preciso, verificando sempre che il paziente abbia capito, (ciò diminuisce l'ansia). Per fare tutto ciò e dare delle risposte professionali è necessario che l'infermiere sia a conoscenza della patologia del paziente in

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questione, del tipo di protocollo terapeutico stabilito dal medico, degli effetti collaterali dei farmaci, del tipo di follow-up previsto una volta finito il ciclo di terapia. Senza queste conoscenze di base è molto difficile affrontare una conversazione con un paziente oncologico che ha bisogno di continue conferme e rassicurazioni, che spesso cercherà in tutti i membri dell' equipe. Se non si vogliono creare delle ulteriori ansie, tutti i membri dell’equipe assistenziale dovranno dare delle risposte basate su evidenze scientifiche, in modo tale che ad ogni domanda posta dal paziente, la risposta sarà sovrapponibile anche se data da persone diverse.

LA CHEMIOTERAPIA La chemioterapia si avvale dell'uso di farmaci in grado di eradicare buona parte di cellule tumorali distruggendo anche le metastasi, con minimo danno alle cellule sane. I meccanismi d'azione dei chemioterapici sono: • inibizione della biosintesi del DNA, del RNA e delle proteine; • inibizione della replicazione, trascrizione e traslocazione del materiale genetico; • inibizione della mitosi. Anche se l'obiettivo della chemioterapia è prettamente quello di distruggere le cellule tumorali, è inevitabile che vengano colpite anche alcune cellule sane, quelle che subiranno di più l’azione lesiva di questi farmaci sono tutte le cellule che si riproducono velocemente come quelle dei bulbi piliferi, della mucosa gastrointestinale,

del

midollo

osseo,

delle

gonadi.

Di

conseguenza compaiono come effetti collaterali, alopecia, 18


disturbi dell’appetito, nausea e/o vomito, diarrea o stipsi, mucositi, depressione midollare, sterilità. Gli effetti tossici o collaterali della chemioterapia possono essere suddivisi in: 1)comuni, come: l'alopecia (comparsa dopo 20 giorni), i disturbi dell'appetito (comparsa dopo ore o giorni). la depressione midollare (comparsa tra i 7 ed i 14 giorni), la mucosite (comparsa tra i 7 ed i 14 giorni); 2)specifici, come: la cistite emorragica (da ciclofosfamide ad alte dosi, ifosfamide), la cardiotossicità (da antracicline), la nefrotossicità (da cisplatino e methotrexate), la tossicità polmonare (da bleomicina), la neurotossicità (da cisplatino, taxolo, vincristina, vinorelbina, oxaliplatino), la congiuntivite (da ciclofosfamide, fluorouracile) 3)immediati, come: la nausea o il vomito. Sono effetti reversibili, dovuti alle caratteristiche chimico-fisiche dei farmaci; 4)precoci, come: l'anemia, la trombocitopenia, la leucopenia, l'alopecia, ecc. Sono anche questi effetti reversibili legati alle proprietà citotossiche e citostatiche dei farmaci; 5)tardivi, come: l'azoospermia, l'amenorrea, la teratogenesi, la fibrosi epatica, le miocardiopatie, l'induzione a tumori secondari, ecc. sono effetti irreversibili legati all'azione antiproliferativa dei farmaci, che possono manifestarsi dopo periodi più o meno lunghi dalla somministrazione del farmaco; 6)locali, come: la flebite, la sclerosi venosa, le ulcere e le necrosi dei tessuti circostanti la zona di stravaso. Nella gestione degli effetti collaterali da farmaci antiblastici è fondamentale conoscere la probabilità di avere una risposta tossica, in modo da poter intervenire con un approccio 19


sistematico incentrato su una continua valutazione del paziente, prima, durante e dopo il trattamento, infine, raccogliere e registrare le informazioni ottenute per poterle usufruire durante i trattamenti successivi. Un fattore determinante per la riuscita del trattamento chemioterapico è quello legato alle caratteristiche del farmaco stesso: • caratteristiche farmacocinetiche: durata ed intensità di esposizione del tumore al farmaco, conseguente alla: dose, via di somministrazione, distribuzione, metabolismo e eliminazione del farmaco stesso; • caratteristiche farmacodinamiche: “che cosa il farmaco fa" all'organismo, ciò permette al clinico di ottimizzare i trattamenti individuando le modalità di somministrazione e i dosaggi ottimali atti a controllare la crescita neoplastica; • caratteristiche di farmaco-resistenza: resistenza del tumore nei confronti del farmaco, nel senso che il tumore può essere aggredito farmacologicamente con una temporanea remissione completa della neoplasia, ma, in caso di recidiva, se trattato una seconda volta con lo stesso farmaco spesso non vi sarà alcuna risposta. La chemioterapia, in base al momento clinico in cui viene applicata, può essere distinta in: • neoadiuvante è quella che viene fatta prima dell'intervento chirurgico generalmente per ridurre la massa tumorale ed eliminare le micrometastasi;. • primaria è quella che viene fatta quando il tumore può essere trattato solo farmacologicamente;

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• adiuvante è quella che viene fatta dopo l'intervento chirurgico; • palliativa è quella che viene fatta dopo una ripresa della malattia e/o presenza di metastasi.

EFFETTI COLLATERALI DELLA CHEMIOTERAPIA I più frequenti effetti collaterali della chemioterapia sono: 1)L’alopecia, rappresenta un effetto collaterale dal forte impatto psicologico per il paziente, ma di nessuna rilevanza medica importante. Il paziente sottoposto a chemioterapia con farmaci alopecizzanti (ciclofosfamide, etoposide, adriamicina, ecc.) è generalmente soggetto ad ansia e paura per il rischio della perdita dei capelli e dei peli, a cui consegue un’alterazione della propria immagine corporea. La caduta dei capelli è comunque, sempre reversibile ed è legata al fatto che capelli e peli sono formati da cellule ad elevata attività mitotica, per cui facile bersaglio di alcuni antiblastici. Il modo migliore per affrontare questo problema e quello di informare il paziente circa il meccanismo che causa l'alopecia; informarlo dei tempi della possibile comparsa, della sua entità e della sua reversibilità; spiegargli la possibilità di variazione dell'aspetto e del colore della capigliatura al momento della ricrescita; consigliargli l'uso di parrucche, foulard e copricapo per attenuare eventuale disagio; l'uso di shampoo delicato e spazzole morbide al momento della ricrescita. 2)I disturbi dell' appetito sono conseguenti alla somministrazione di farmaci antiblastici e si manifestano con la diminuzione dell'appetito più o meno accompagnato da senso di sazietà precoce, e dall'alterazione del gusto, che può influire sull'appetito 21


e sulla dieta; in entrambi i casi vanno suggerite al paziente alcune procedure utili a diminuire queste spiacevoli inconvenienze. In particolare si dovrà consigliare al paziente di: • curare in modo particolare l'igiene orale • aumentare la quantità di spezie e condimenti nei cibi • aumentare il consumo di caramelle • consumare pollo, pesce e formaggi in alternativa alla carne rossa • sconsigliare al paziente di prepararsi da solo i pasti • impiegare cibi freddi se gli odori costituiscono un problema • marinare la carne e il pollo con aromi e spezie per mascherarne il sapore • evitare cibi insipidi • individuare le modificazioni giornaliere dell' appetito in modo da affrontare il problema della nutrizione e della dieta negli orari più appropriati. E' comunque di fondamentale importanza affrontare il problema nutrizionale e dietologico come parte integrante del programma di assistenza del paziente oncologico. 3)La nausea e il vomito, rappresentano gli effetti collaterali più frequenti legati al trattamento chemioterapico con farmaci antiblastici, infatti colpisce più dell'80% dei pazienti trattati. Questi fenomeni sono favoriti da alcuni fattori quali il dosaggio del farmaco, la via di somministrazione, la diluizione, l'uso e il tipo di antiemetici, e lo stress. La nausea è una sensazione spiacevole associata a sintomi fisici quali pallore, sudorazione, vertigini, avversione al cibo, mentre il

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vomito è l'espulsione forzata attraverso la bocca e/o il naso del contenuto gastrico. In genere è preceduto da sudorazione, pallore, variazione di frequenza cardiaca, vertigini, sensazione di vuoto alla testa e modificazione del respiro. Dal punto di vista clinico i fenomeni emetici si presentano secondo tre modalità di esordio: a) acuto si manifesta entro 24 ore dal trattamento, con un picco di insorgenza intorno alla 5 - 6 ora; facilmente controllabile con la somministrazione di antiemetici; b) ritardato si manifesta dopo le prime 24 ore dal trattamento, con un picco d'insorgenza intorno al terzo giorno, ed è più difficile da controllare farmacologicamente; c) anticipatorio si manifesta prima della somministrazione della chemioterapia e trova la sua causa nella predisposizione psicologica del paziente che ha subito un'esperienza negativa nel controllo dell'emesi in trattamenti precedenti. I pazienti affetti da nausea e dal vomito vengono trattati con terapia farmacologica stabilita dal medico (e supportata dall’infermiere), sulla valutazione del potenziale emetizzante dei farmaci antiblastici utilizzati, sui tempi di insorgenza e sulla durata dell’episodio emetico, allo scopo di garantire al paziente un'adeguata copertura temporale della remissione dei sintomi in base all’utilizzo di tutti i farmaci a disposizione compresi gli steroidi (che possono potenziare l'azione degli antiemetici), e gli ansiolitici. Oltre al trattamento farmacologico vi sono una serie di norme generali e suggerimenti che l'infermiere può dare al paziente per alleviare i fenomeni emetici:

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• informarlo sugli effetti emetizzanti del trattamento e sui farmaci utili per ridurlo • consigliarlo di alimentarsi poco e spesso in presenza di nausea • suggerirgli di sciacquarsi spesso la bocca per evitare secchezza delle fauci e di assumere liquidi in quantità ridotta durante i fenomeni emetici • raccomandargli di stare in piedi almeno un'ora dopo i pasti e di concedersi distrazioni come la lettura o l'ascolto della musica o fare quello che più gli piace • nel caso di nausea e vomito anticipatori, consigliarlo di eseguire tecniche di rilassamento che lo aiuteranno a prevenire questo fenomeno • favorire comunque e sempre risposte concrete ai quesiti esposti dal paziente in modo da ridurre l’ansia 4)Mucositi: per mucosite si intende l’infiammazione delle mucose, si presentano sotto varie forme a seconda della mucosa interessata (stomatite, esofagite, cistite, congiuntivite, ecc.). Ci occuperemo delle stomatiti e delle esofagiti, perché si manifestano più frequentemente in caso di somministrazione di 5FU, methotrexate e doxorubicina. L'assistenza infermieristico, in questo caso si basa principalmente sulla prevenzione, attraverso: • il controllo quotidiano del cavo orale • la segnalazione al medico di ogni minimo arrossamento • la richiesta di collaborazione da parte del paziente affinché segnali l'insorgenza di bruciori

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• l'istruzione del paziente ad una corretta igiene del cavo orale (spazzolini morbidi, sciacqui con bicarbonato di sodio o colluttori) • la pulizia delle protesi dentarie, in quanto i portatori vanno incontro con maggiore frequenza a stomatiti • l'astensione dal fumo e dall'alcool Nel caso di disturbi leggeri l'applicazione di ghiaccio, il consumo di gelati e/o bevande fredde possono dare sollievo; mentre in caso di stomatite severa si dovrà consigliare: una corretta dieta evitando cibi troppo caldi, consumando frullati, integratori e assumendo liquidi abbondante, o intervenire con l'impiego, su indicazione del medico, di anestetici o antimicotici locali e, nei casi più severi, di antimicotici per via sistemica. 5)Diarrea e stipsi, sono fenomeni frequenti, dovuti al fatto che la mucosa intestinale essendo costituita da cellule in attiva proliferazione sono molto sensibili all'azione citotossica dei chemioterapici. La diarrea è provocata specie dall’uso di: 5FU, methotrexate, actinomicina, irinotecan, nitrosuree. A questo si aggiunge la sovrapposizione di infezioni e l’alterazione della dieta che vanno ad aggravare la situazione. Anche se la diarrea può diventare pericolosa per i fenomeni di disidratazione ad essa legati (soprattutto negli anziani e nei soggetti debilitati), è comunque generalmente risolvibile con un'adeguata terapia medica e l'applicazione di alcuni accorgimenti che richiedono l'intervento dell’infermiere: • avvisare i pazienti sulla necessità di segnalare l'insorgenza di diarrea

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• individuare precocemente i problemi relativi a alla diarrea: disidratazione, squilibri idroelettrolitici, astenia e calo ponderale • modificare la dieta, evitando cibi irritanti per l'intestino • consigliare al paziente pasti piccoli e frequenti, e l’assunzione di liquidi ricchi di elettroliti • applicare localmente anestetici, nel caso di irritazioni anali • impiegare farmaci antidiarroici. La stipsi è dovuta ad una diminuzione della frequenza della peristalsi intestinale con conseguente difficoltà di fuoriuscita delle feci che diventano dure e secche. Questo effetto può essere legato ad una scarsa dieta liquida e attività motoria, alla stessa patologia tumorale (se localizzata all'intestino), al concomitante uso di farmaci antiemetici ed analgesici. L'intervento infermieristico si fonda sull'applicazione di alcune semplici norme igienico-sanitarie: • l'assunzione di una dieta ad elevato contenuto di fibre e di un’adeguata quantità di liquidi • la non sottovalutazione dello stimolo alla defecazione • lo svolgimento di un'attività fisica quotidiana • l'impiego di agenti emollienti o di blandi lassativi (preferibilmente derivati dalla senna). 6)Mielodepressione, anche i progenitori delle cellule ematiche sono elementi in continua proliferazione, quindi molto sensibili all'azione citotossica degli antiblastici come: carboplatino, cisplatino, oxaliplatino. L'entità dell'effetto mielotossico è legato al tipo di farmaco utilizzato, al dosaggio, alla tollerabilità

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individuale, alla concomitante radioterapia e ad eventuali trattamenti precedenti. In

generale

la

mielodepressione

è

caratterizzata

dalla

diminuzione dei valori assoluti dei leucociti (leucopenia GB < 3500/mm3), eritrociti (anemia GR < 4.000.000/mm3), piastrine (piastrinopenia PLTS < 150.000/mm3). Per quanto riguarda la leucopenia, in particolare la neutropenia, è caratterizzata da una diminuzione del numero di granulociti neutrofili, quest’ultima si definisce severa quando il numero dei neutrofili è < 500/mm3 , in questi casi possono facilmente comparire febbre, mucositi, infezioni delle vie respiratorie, urinarie ed enterocoliti. La presenza di febbre alta può rendere necessario il ricovero in ospedale per il trattamento con antibiotici e con fattori di crescita che stimolano le cellule staminali midollari a produrre nuovi leucociti. In tale situazione l'infermiere deve salvaguardare l'integrità delle barriere di difesa dell' organismo: • evitando, se possibile, procedure diagnostico-terapeutiche invasive (es. cateterismo vescicale) • controllando la sede di inserzione degli accessi venosi periferici • usando tecniche asettiche nella gestione dei dispositivi venosi centrali (CVC o port) • mantenendo l'integrità delle mucose e della cute • consigliando al paziente tutte le procedure igieniche atte a prevenire infezioni e contagi L'infermiere deve anche saper ridurre le potenziali cause ambientali di infezione:

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• lavandosi accuratamente le mani prima e dopo ogni contatto con il malato • assicurandosi che tutta l'attrezzatura sanitaria che viene a contatto con il malato sia lavata e disinfettata • evitando fiori e piante nella stanza del paziente • sconsigliando l'uso di saponette che possono rappresentare un ottimo terreno di coltura per gli agenti infettivi • tenendo i pazienti ricoverati in stanze di isolamento in modo da evitare il contatto con persone recentemente vaccinate o con bambini • consigliando al paziente una dieta a bassa carica batterica, usando solo cibi cotti ed escludendo frutta e verdura cruda • applicando l'eventuale profilassi antibiotica. L’anemia è caratterizzata dal calo del numero dei globuli rossi, dell'ematocrito e dell'emoglobina (GR < 3.500.000/mm3; Hb < 10g/dl; HTC < 30%); la sua sintomatologia è condizionata dalla rapidità con cui si instaura; in genere nell' anemia indotta dalla chemioterapia c'è un calo graduale dell' emoglobina e dell' ematocrito, spesso con una sintomatologia minima o assente. In presenza di anemia moderata e severa il paziente lamenterà dispnea, pallore, sudorazione, astenia, tachicardia. Oltre agli esami clinici una prima valutazione dello stato anemico potrà essere fatta anche dall'infermiere controllando le mucose, la cute e il letto ungueale. Accertato lo stato anemico, l'intervento infermieristico consiste essenzialmente nel: • favorire il riposo per facilitare il risparmio di energie • consigliare un'alimentazione ricca di carni rosse, fegato e verdure ricche di ferro

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• somministrare eritropoietina e, nei casi più gravi (Hb < 8g/dl) infondere emazie concentrate secondo prescrizione medica Per quanto riguarda la piastrinopenia essa consiste nella riduzione del numero delle piastrine < 100.000/mm3 (< 20.000/mm3 vi è un elevato rischio di sanguinamento). La prevenzione in questo caso si attua: • valutando eventuale comparsa di ecchimosi, petecchie • evitando, ove possibile, le procedure invasive e l’uso di farmaci che interferiscano con la funzionalità piastrinica e l'emostasi • utilizzando aghi sottili per la venopuntura e riducendo il tempo di applicazione del laccio emostatico • esercitando una pressione locale di almeno 5 minuti nella sede di un eventuale prelievo o iniezione • consigliando al paziente di evitare traumatismi da sport, da vita quotidiana e dall’uso di effetti personali (spazzolini da denti, rasoi, ecc.) 7)Lo stravaso, è un altro effetto collaterale indesiderato; si verifica in seguito alla fuoriuscita del farmaco, in corso di somministrazione parenterale di chemioterapici, dal lume vasale nei tessuti perivascolari. Le sue conseguenze sono definite da una serie di variabili quali: la sede, il tipo di farmaco, la sua concentrazione e la tempestività d'intervento. Lo stravaso può provocare seri danni funzionali ed estetici, alcune volte con conseguenze irreversibili tanto da costituire un problema medico-legale; per cui il Ministero della Sanità col D.L. 18 febbraio 1999 limita l'utilizzo degli antiblastici iniettabili all'interno degli Ospedali e afferma “sono anche frequenti i rischi 29


di lesioni necrotico-ulcerative dei tessuti molli nella sede di iniezione in seguito a stravaso del farmaco”. Lo stravaso di farmaci antiblastici è un'emergenza che chiunque li somministri può trovarsi ad affrontare, è quindi fondamentale che gli addetti a tale compito abbiano adeguate conoscenze riguardo la tossicità locale degli stessi, in modo da poter attuare tempestivamente interventi idonei a prevenire o attenuare i danni conseguenti a questa evenienza. Il personale infermieristico è responsabile dello stravaso quando non sa riconoscere i segni e i sintomi che lo identificano, perché inesperto, e quindi non li documenta perché li sottostima; infatti per valutare correttamente l'entità dello stravaso ci si affida ad alcuni parametri generali: dolore, rossore, gonfiore, ritorno venoso. I farmaci chemioterapici antiblastici, in base alla loro natura e al loro meccanismo d'azione, si possono suddividere in: inerti (methotrexate, ciclofosfamide) non sono né irritanti né vescicanti; irritanti (irinotecan, cisplatino) che possono causare sofferenza venosa con o senza reazione flogistica cutanea, edema ma senza nessun danno tissutale; vescicanti (mitomicina, antraciclina) che provocano danno tissutale con formazione di bolle o vesciche e ulcere necrotiche irreversibili. Studi clinici hanno dimostrato, però, che farmaci

ritenuti non vescicanti,

quali il 5FU, cisplatino, carboplatino, ifosfamide, hanno provocato gravi danni locali da stravaso. In seguito ad uno stravaso venoso si possono avere varie reazioni, come ad esempio l’eritema con possibile formazione di papule; queste possono evolvere in noduli o pustole suppurative; e, infine, in ulcerazioni necrotiche. 30


Il trattamento standard in caso di stravaso comprende una serie di manovre che possono essere attuate dall'infermiere senza il consulto medico e altre che prevedono, invece, la supervisione del medico. Infatti, qualora si abbia il dubbio che sia avvenuto uno stravaso si procede con le seguenti azioni: • interrompere la somministrazione del farmaco in corso senza rimuovere l’ago; • tentare di aspirare qualche millilitro di sangue per rimuovere la maggiore quantità possibile di farmaco; • rimuovere l'ago e sollevare l'arto per favorire il deflusso venoso; • utilizzare l’antidoto adatto e praticare impacchi caldi o freddi a seconda le indicazioni riportate sul prodotto; • non comprimere o frizionare la cute; • circoscrivere la zona con penna termografica per tenerla sotto osservazione per almeno 1 o 2 settimane; • se necessario chiedere un consulto del dermatologo o del chirurgo. L'utilizzo di FANS (per controllare il dolore e la reazione infiammatoria) e di antibiotici specifici rientra in quella seconda parte di manovre dove è necessaria la presenza del medico e la sua prescrizione.

MANIPOLAZIONE IN SICUREZZA DEI

FARMACI

ANTIPROLIFERATIVI Nell'ultima decade i farmaci antiproliferativi hanno trovato una più ampia applicazione per l’aumento dell’incidenza delle neoplasie e per il successo ottenuto dai trattamenti farmacologici,

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grazie anche all’uso di nuove vie di somministrazione (endocavitaria, loco-regionale, intra-arteriosa). La necessità di somministrare i chemioterapici ai pazienti affetti da tumore richiede, sul piano operativo, un' attività complessa (approvvigionamento, preparazione, trasporto, somministrazione, smaltimento) che impegna il personale sanitario (tecnici, infermieri, farmacisti, medici) in numero variabile e per tempi diversi in rapporto alle singole esigenze terapeutiche. In un reparto oncologico, ciò che compete all’infermiere per quello che riguarda l’utilizzo dei farmaci antiblastici è la loro conservazione, preparazione e somministrazione adottando i dispositivi di protezione individuali (D.P.I.) e le procedure di sicurezza in modo da ridurre al minimo il rischio di esposizione professionale e ambientale, visto che questi farmaci sono altamente cancerogeni, mutogeni e teratogeni. A questo scopo la Commissione Oncologica Nazionale ha deliberato per formulare linee-guida per la prevenzione del rischio e la manipolazione in sicurezza di questi farmaci, nonché di fornire idonee indicazioni di formazione/informazione per le categorie professionalmente esposte. Nelle linee-guida del 1999, il Ministero della Sanità raccomanda che ogni centro (ospedale, istituti universitari o a carattere scientifico) che utilizza farmaci antiproliferativi istituisca una specifica “Unità Farmaci Antitumorali” (UFA) centralizzata, isolata, chiusa, protetta e segnalata; con adeguati locali da adibire alla conservazione, manipolazione e preparazione dei farmaci e con personale specificamente formato. La messa a punto di metodiche molto sensibili ha permesso di rilevare che la contaminazione dell'ambiente e dell'operatore, da 32


parte di questi farmaci, anche in condizioni di buona protezione individuale ed ambientale appare possibile come conseguenza di errori nella manipolazione. Infatti, la manipolazione di tali farmaci dalla loro consegna, da parte dell'azienda produttrice, fino allo smaltimento dei rifiuti, comporta una serie di procedure che, se non eseguite correttamente in sicurezza, possono divenire occasione di contaminazione. Le confezioni di farmaci danneggiate durante il trasporto, la preparazione dei flaconi contenenti il farmaco liofilizzato, la diluizione, l’apertura delle fiale, il riempimento delle siringhe, il trasferimento in sacche, l’espulsione dell' aria dalle siringhe, costituiscono un rischio di esposizione e di contaminazione diretta con vapori e/o con gocce di liquido; come pure la pulizia quotidiana della cappa, la somministrazione dei farmaci e lo smaltimento dei residui degli stessi possono essere causa di contaminazione. Accertato che la contaminazione è comunque possibile ed imprevedibile, in tutte le UFA dovrebbe essere presente un protocollo di pronto intervento e un kit per l'emergenza contaminazione, dotato di tutti i mezzi idonei all’evenienza e delle relative istruzioni di impiego per far fronte all’emergenza stessa. Va comunque ricordato che in caso di contaminazione bisogna: togliere subito gli indumenti contaminati e lavare la zona interessata con acqua e sapone; avvertire sempre il medico competente che consiglierà quale antidoto usare; riferire l’accaduto al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.) e alla Direzione Sanitaria.

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LE CURE PALLIATIVE In base ai dati della letteratura e all’esperienza si può calcolare che il 70% circa dei pazienti che muoiono per neoplasia abbia la necessità di cure palliative, soprattutto nella fase terminale. La “medicina palliativa” è un termine coniato in Gran Bretagna nel 1987, ed indica lo studio e la gestione dei pazienti con malattia attiva in progressione avanzatissima per i quali la prognosi è limitata all’obiettivo della cura e della qualità di vita. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le cure palliative come: La cura o meglio l’assistenza (care) attiva, globale di quei pazienti la cui malattia non risponde più ai trattamenti curativi. Le cure palliative hanno come scopo: • affermare il valore della vita, considerando la morte come evento naturale; • non incidere temporalmente sull’esistenza del paziente; • provvedere al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi; • integrare gli aspetti psicologici, sociali e spirituali dell’assistenza; • offrire un sistema di supporto per aiutare: il paziente a vivere il più normalmente possibile fino alla morte, e la famiglia a convivere con la malattia e poi con il lutto; Le cure palliative, possono essere adottate anche nel corso della malattia in concomitanza con i trattamenti antiblastici, perché mirano a far vivere i malati terminali nel miglior modo possibile, compatibilmente con la loro patologia e di farli morire con dignità, facendoli rimanere a casa con i loro famigliari sfruttando l’assistenza domiciliare, o di godere di ambienti idonei alle proprie esigenze, quali: reparti oncologici ospedalieri, DH 34


oncologici e Hospice, dove possono ricevere le cure più appropriate.

DIPARTIMENTO ONCOLOGICO L’assistenza oncologica deve avere un’azione propositiva oltre che essere in linea con le indicazioni del Piano Sanitario Nazionale e Regionale che tende a costruire una rete di attività funzionalmente integrate e, a collegare i servizi ospedalieri con quelli territoriali e domiciliari attraverso la costituzione del Dipartimento Oncologico. Di questo, l’ospedale oltre che interessarsi del ricovero e dell’assistenza

pre,

intra

e

post-operatoria

del

paziente

oncologico, contribuisce anche alla cura dei malati neoplastici gravi formalizzando procedure di accesso facilitato alle prestazioni in regime di ricovero e DH, nonché di consulenza specialistica, a carattere diagnostico o trattamentale a scopo palliativo, per tutti gli assistiti in regime domiciliare o di ricovero in hospice. Le prestazioni di ricovero in regime ordinario o di DH possono essere richieste dal medico esperto di cure palliative e, nel caso in cui l’assistenza sia fornita in regime di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), anche dal Medico di Medicina Generale, comunque previa valutazione in Unità Operativa Dipartimentale (U.O.D.). Da tener presente che il ricovero, comunque si configura, rappresenta per il malato, la famiglia e l’istituzione sempre un momento di crisi: • Per il malato la preoccupazione per la malattia, la dipendenza dal personale ospedaliere, l’obbligo di adattarsi 35


a ritmi che gli sembrano assurdi, l’isolamento dal proprio ambiente familiare e sociale. • Per la famiglia il senso di colpa e di sconfitta di fronte all’ incapacità di curare il proprio congiunto, e ai cambiamenti dei ruoli e delle abitudini. • Per le istituzioni le procedure di ammissione, l’incertezza sulle competenze, gli esami di routine, il posto letto che più volentieri viene assegnato al paziente guaribile. Comunque il ricovero in ospedale è: corretto, se rappresenta la soluzione di un problema acuto o serve almeno a migliorare la qualità di vita del paziente; scorretto, se è richiesto per problemi che possono essere risolti da una adeguata assistenza domiciliare, in regime di DH o residenziale.

ASSISTENZA ONCOLOGICA DOMICILIARE I pazienti oncologici in fase terminale esprimono quasi sempre il desiderio di trascorrere gli ultimi giorni della propria vita a casa fra le comodità e la sicurezza domestica e in compagnia dei propri familiari; per questo, negli ultimi tempi, si sta diffondendo l’abitudine di assistere i pazienti oncologici al proprio domicilio anche perché questo sembra provocare, in loro, un minor livello di ansia, di dolore e di depressione. Inoltre, esperienze di altri paesi hanno dimostrato che i malati oncologici in fase terminale possono essere seguiti a domicilio fino al decesso, con notevole miglioramento della qualità di vita purché venga garantita loro una adeguata assistenza e alla famiglia un adeguato supporto. Il Ministro della Sanità con la Gazzetta Ufficiale del 01/06/1996, ha definito le linee guida per le cure domiciliari nel paziente

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oncologico ponendo come obiettivo principale e come valore assoluto “la qualità della vita”. Per poter realizzare l’assistenza domiciliare in modo concreto è necessario: • il consenso da parte del paziente • adeguate caratteristiche igienico, sanitarie e tecnologiche dell’abitazione • un grado adeguato di accettazione da parte della famiglia • un’equipe multidisciplinare che lavora in sinergia • un’accurata istruzione del paziente e della famiglia per l’utilizzo e la cura dei vari presidi • enfatizzare l’igiene e la disinfezione come misure di profilassi per le infezioni • spiegare al paziente e ai famigliari i sintomi di eventuali complicanze, in modo da poterle distinguere per trattarle • dare ai familiari dei recapiti per poter contattare il medico o l’infermiere in caso di necessità. Comunque il personale sanitario è tenuto ad eseguire controlli periodici in base ad un programma di follow-up che prevede un calendario di visite a seconda del tipo di assistenza domiciliare che il paziente ha bisogno: 1)Assistenza domiciliare programmata (ADP), deve essere strutturata in modo tale da fornire il minimo livello assistenziale da parte del medico di medicina generale con almeno una visita programmata a settimana. Inoltre viene garantito il servizio di guardia medica nelle ore scoperte dal medico di base. 2)Assistenza

domiciliare

integrata

(ADI),

prevede

una

necessaria integrazione tra il medico di medicina generale, le

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strutture sanitarie distrettuali e le Unità Operative per le cure Palliative (UOCP) in modo da garantire un intervento continuativo. Il medico di medicina generale dovrà fornire almeno due visite domiciliari settimanali e un’assistenza diurna. Durante le fasce orarie non coperte dal medico di medicina generale, il servizio di guardia medica si prenderà carico dell’assistenza. L’integrazione con le UOCP prevede visite domiciliari da parte del medico e dell’infermiere una volta ogni quindici giorni. 3)Assistenza continuativa palliativa domiciliare, è una modalità di assistenza con la quale la gestione del paziente è affidata al responsabile della UOCP che può collaborare con il medico di medicina generale. La continuità delle cure deve essere garantita 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno (per questo ospedalizzazione domiciliare); devono anche essere garantite almeno tre visite specialistiche e quattro visite infermieristiche settimanali. Nei tre casi l’attività deve essere necessariamente integrata con quella infermieristica; perché, l’infermiere, rappresenta l’anello di congiunzione tra il paziente, la famiglia e il medico; e tra quest’ultimo e la struttura. Tuttavia

per

poter

realizzare

una

assistenza

domiciliare

continuativa è necessario che la famiglia, che rappresenta il mezzo attraverso cui essa si concretizza, sia sufficientemente preparata a svolgere un compito che si presenta assai difficile; per cui l’equipe prende in carico non solo il malato, ma tutto il contesto familiare con i suoi bisogni e le sue ansie, rendendosi conto che non è sempre il malato ad avere bisogno di un maggior sostegno pisicologico. Infatti le difficoltà di una famiglia di fronte a un malato terminale nascono dall’impatto con una situazione straordinaria che impone 38


aspetti nuovi da capire e da gestire, che portano ad uno sconvolgimento della routine quotidiana e all’alterazione delle loro abitudini (saltano i riposi, le ferie, non si hanno più orari); a tutto ciò va aggiunto il clima di sofferenza psicoaffettiva in cui è costretta a muoversi. Infatti, non dobbiamo dimenticare che la malattia oncologica è un evento che apre una crisi nel sistema familiare alterando le normali dinamiche e relazioni parentali. Le risorse, le modalità di funzionamento, la forza e la coesione del sistema familiare vengono messe a dura prova. Il modo con cui una famiglia reagisce e si confronta con lo stress intrapersonale

ed

interpersonale

dipende

dalle

precedenti

dinamiche familiari e dalla capacità dell’equipe di offrire un reale sostegno e contenimento dei sentimenti evocati e messi a nudo dalla malattia e dall’assistenza domiciliare continuativa. Nel corso dell’assistenza domiciliare, la famiglia e l’equipe rappresentano due poli che nel momento in cui vengono a contatto devono continuamente ridefinire il proprio ruolo durante tutto l’iter assistenziale. Il tutto ruota intorno al malato terminale che si trova ad affrontare la crisi più grande e più importante della sua vita, quella di sentire la vicinanza della morte e il precipitare delle proprie condizioni fisiche. Bisogna ricordare che ci sono alcuni fattori sfavorevoli alla scelta dell’assistenza domiciliare, infatti possono esistere difficoltà nel fronteggiare situazioni di emergenza, la casa non è provvista di tecnologie igienico-sanitarie adatte, spesso si può verificare una carenza dei controlli da parte dell’equipe multidisciplinare di assistenza (medico di base, infermiere, fisioterapista, assistente sociale, specialisti, ecc.), ecc..

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DAY HOSPITAL ONCOLOGICO Negli ultimi anni, la tendenza delle Aziende Sanitarie è stata quella di potenziare i ricoveri in DH per i pazienti oncologici, specie quelli che debbano essere sottoposti a trattamento chemioterapico e quelli che si trovano nella fase terminale della malattia, in modo da ridurre i ricoveri nel reparto di oncologia solo per quei pazienti particolarmente critici o in caso di somministrazioni di farmaci altamente tossici che necessitano di un monitoraggio continuo. Se consideriamo principi: la qualità di vita, l'abbattimento dei costi, la possibilità di curare più persone fornendo comunque un servizio di alto livello, possiamo capire meglio perché sia più opportuno somministrare un ciclo di chemioterapia in regime di DH, piuttosto che in regime di ricovero ordinario. Trattandosi di terapie che, generalmente, prevedono una durata di poche ore a somministrazione, ma che si prolungano nel tempo (un ciclo può prolungarsi dalle 6 settimane ai 6 mesi), risulta evidente il disagio che si creerebbe al malato e ai suoi familiari nel dover affrontare un ricovero di tre giorni per ogni seduta (per il DRG il ricovero minimo è di 3 giorni) che deve essere ripetuta ogni 715-21 giorni a seconda del protocollo terapeutico. Per il ricovero in regime di DH, il paziente dopo la diagnosi di neoplasia può: 1)essere sottoposto ad intervento chirurgico e fare la "prima visita" oncologica presso il DH, con il referto dell'esame istologico e tutta la documentazione in suo possesso. In questa fase l'oncologo decide se è necessaria la chemioterapia; in caso affermativo stabilirà il protocollo adeguato in base al tipo di 40


tumore, allo stadio, al grado di replicazione, all'età del paziente e alle sue condizioni fisiche; 2)essere sottoposto subito a "prima visita" oncologica presso il DH perché la neoplasia è: a) inoperabile per stadio avanzato, metastasi, patologie concomitanti e quindi il paziente ha solo bisogno di cure palliative; b)operabile, ma bisogna ridurre la massa trattandola prima con la chemioterapia o con trattamenti combinati di chemio e radioterapia; c)si tratta di tumore che risponde bene alla chemioterapia (linfomi, mielomi). Da tener presente, però, che l'ultima scelta spetta comunque al paziente, che è libero di curarsi o meno in base alle informazioni ricevute. Dopo la "prima visita", se il paziente accetta di essere sottoposto al trattamento chemioterapico o ha bisogno di cure palliative, verrà indirizzato agli infermieri che si occuperanno della programmazione della terapia, previo posizionamento del CVC o del sistema port (quando il protocollo terapeutico preveda somministrazioni prolungate, nel caso di farmaci necrotizzanti, in pazienti con vene periferiche compromesse. L'infermiere dovrà spiegare al paziente e ai suoi accompagnatori il funzionamento del DH, gli orari, le regole da rispettare (che non dovrebbero essere infrante, se si vuole mantenere un buon funzionamento della struttura), come sarà la giornata del paziente che viene sottoposto a chemioterapia o cure palliative, i tempi, e se è necessario il digiuno e perché và osservato; accertarsi che abbia firmato il consenso informato e verificare che le informazioni ricevute dal medico siano state effettivamente recepite. Alla fine spiegare al paziente che una volta completata la terapia potrà tornare a casa. 41


I CENTRI RESIDENZIALI PER LE CURE PALLIATIVE (GLI HOSPICE) Il termine hospice deriva dal nome di una istituzione molto diffusa in Europa nel periodo medievale e indicava luoghi di accoglienza gestiti da ordini religiosi, nei quali il pellegrino riceveva asilo, protezione e cure. Dagli inizi degli anni sessanta si sono sviluppate, dapprima in Gran Bretagna e poi in altre parti del mondo, iniziative che comprendono servizi di assistenza continua per malati di cancro in fase avanzata tramite ricoveri in hospice. Attualmente si definisce hospice il centro residenziale per le cure palliative, una struttura con completa autonomia strutturale e funzionale che prende in carico i malati di cancro inguaribili o in fase avanzata che necessitano di protezione, assistenza sanitaria e/o sociale temporanea o permanente. Il ricovero, in questo tipo di struttura, mira a fornire un’assistenza specialistica per le cure palliative e, nel contempo, a offrire un ambiente confortevole al paziente e alla famiglia. Le principali funzioni dell’hospice sono: • ricovero per i pazienti per i quali non sussistano le condizioni necessarie all’assistenza domiciliare • supporto alle famiglie per alleviare lo stress conseguente al prendersi in cura il proprio congiunto • attività assistenziale di tipo diurno • valutazione e monitoraggio delle cure palliative inefficaci in regime domiciliare. Queste possono essere garantite attraverso: • hospice extra-ospedaliero, funzionalmente autonomo e fisicamente separato dalla struttura ospedaliera. E’ 42


caratterizzato

dalle

piccole

dimensioni,

dal

basso

contenuto tecnologico e sanitario e dall’elevato contenuto umano con interventi di sostegno psicologico, relazionale e spirituale. Tali strutture dovranno di norma essere allocate all’interno di strutture residenziali più ampie e complesse • hospice intra-ospedaliero (hospital hospice), collocato all’interno di una struttura ospedaliera e dotato di autonomia funzionale; questo modello consente la coesistenza specializzata

di

un’assistenza nel

trattamento

sanitaria dei

avanzata sintomi

e che

accompagnano la fase terminale della malattia, con un approccio alla sofferenza globale del paziente ricco di contenuti umani. L’hospice intra-ospedaliero può essere suddiviso in: sezione a degenza breve, con un maggior contenuto sanitario destinato a brevi periodi di ricovero per trattamenti non eseguibili a domicilio e come supporto alle cure domiciliari o a quelle prestate attraverso gli hospice extra-ospedalieri; sezioni a degenza media/lunga che è simile all’hospice vero e proprio. L’accoglienza nella struttura residenziale è vincolata alla necessità di trattamenti che non richiedono un ricovero presso l’unita oncologica ospedaliera e alla presenza di almeno una delle seguenti condizioni: • assenza o non idoneità della famiglia a prendersi cura del paziente • inadeguatezza della casa a trattamenti domiciliari • impossibilità di controllare adeguatamente i sintomi a domicilio.

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ASSISTENZA ALLA FAMIGLIA IN PREVISIONE DEL LUTTO Un ulteriore problema evocato dalla malattia terminale riguarda l’elaborazione del lutto sia nel corso dell’assistenza quando i segni della malattia sono tangibili al punto tale che la prospettiva della morte e quindi della perdita della persona cara è presente (lutto anticipatorio), che quando effettivamente il paziente viene a mancare e la famiglia si trova a dover gestire la perdita. E’ questo uno degli aspetti più sottovalutato e trascurato dalla medicina e dagli interventi socio-assistenziali nonostante diverse ricerche abbiano dimostrato la sostanziale vulnerabilità psichica e fisica della persona di fronte al lutto. In tal senso appare ragionevole prevedere che l’aiuto fornito durante una malattia terminale non dovrà avere solo un momentaneo beneficio per il paziente e i parenti stretti, ma creare le condizioni tali, da permettere alla famiglia di poter successivamente affrontare il lutto con una reazione meno gravosa. Oggi dato il vuoto culturale nei confronti della morte e la perdita dei significati del lutto, affinché vi sia un superamento positivo di tale esperienze, si deve confidare nelle capacità psicologiche dei superstiti e in una serie di coincidenze sociali fortuite: • contesto familiare allargato o limitato ad un nucleo ristretto • contesto sociale che permette relazioni (come esempio un area rurale rispetto ad un area urbana) • presenza di interessi ed attività che possono aiutare e spostare l’attenzione

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Per evitare che i familiari arrivino impreparati a questa fase si devono operare nei loro confronti degli interventi di supporto atti ad aiutarli prima, durante e dopo l’exitus.

COSA SIGNIFICA RICEVERE UNA DIAGNOSI DI CANCRO Il primo pensiero per chi riceve una diagnosi di cancro, anche in caso di una prognosi buona, continua ancora oggi ad essere: “Non mi rimane molto tempo da vivere". Questa idea è spesso dettata più dalla paura che la malattia evoca che dalla realtà, infatti in medicina esistono molte malattie che mettono a rischio la vita, come ad esempio: l’infarto, l’ictus, le malattie neurologiche degenerative; che tuttavia non spaventano così tanto il paziente. Questa visione negativa è spesso alimentata dai media che definiscono il cancro come una malattia incurabile. In realtà l’ oncologia non è una disciplina della medicina disperata e senza speranze, visto che dati statistici documentano la possibilità di curare validamente una buona parte di tumori e di guarirne definitivamente altri. Infatti, se diagnosticati agli stadi iniziali il cancro del collo dell'utero, della tiroide, del testicolo, della vescica, il linfoma di Hodgkin, alcuni tumori della pelle e alcune forme di leucemia infantile possono essere curati con curve di sopravvivenza, dopo 5 anni dalla diagnosi, molto elevate. Un caso a parte è rappresentato dal cancro della mammella, nella cura del quale, grazie alla prevenzione e alla diagnosi precoce, si sono fatti negli ultimi anni importanti progressi. Infatti i tumori alla mammella localizzati, di stadio I e II, hanno una sopravvivenza del 90% dopo 5 anni dalla diagnosi. 45


Tuttavia esistono anche tumori ad alta letalità come quelli: del polmone, dell'esofago, dello stomaco, del pancreas, del fegato, alcuni tumori cerebrali, che hanno una sopravvivenza piuttosto bassa. Possiamo comunque affermare che l'equivalenza “cancro = morte” che il paziente elabora nella sua mente in realtà è sbagliata, infatti non tutti i tumori hanno la stessa prognosi, essa dipende da molti fattori: tipo di tumore, stadio (TNM), grado di malignità, ma nonostante questa visione alquanto positiva, rimane comunque una patologia che crea al paziente ed ai suoi famigliari molti problemi. Infatti la diagnosi di tumore scatena in entrambi una moltitudine di interrogativi e paure che richiedono da parte di un medico comprensivo ed esperto aiutato da personale infermieristico ben preparato molta attenzione e dedizione. Inoltre è da tener presente che secondo la classificazione di Sinsheimer e Holland i pazienti si dividono in quattro categorie psicologiche distinte in base all’atteggiamento che essi hanno di fronte alla comunicazione dello stato di salute: Tipo I:persona con mentalità tradizionale, la quale pensa che la scelta della cura e dei piani assistenziali siano compiti esclusivamente del personale sanitario; quindi essere informato in dettaglio sarebbe come essere caricato di una responsabilità non desiderata, e ciò aumenterebbe inutilmente la sua ansia e il suo disagio. Tipo II:persona abituata ai ruoli di responsabilità, la quale fa le sue osservazioni e si documenta. In questo caso l’infermiere è considerato l’interlocutore tecnico, un consigliere che rispetta le decisioni del paziente. 46


Tipo III:persona in preda al panico, la quale non è in grado di partecipare alla sua condizione e non riesce a prendere nessuna decisione in merito perché è presa dalla minaccia della malattia che pende sulla sua vita. In queste una consulenza psicologica o psichiatrica può favorire gradualmente una partecipazione alle decisioni che lo riguardano. Tipo IV:persona che riesce a controllare la propria ansia per cui necessita di essere guidato perché è capace di accettare consigli e di integrarli con le proprie preferenze.

PROBLEMI

PSICOLOGICI

DEL

PAZIENTE

ONCOLOGICO La malattia oncologica è una minaccia esistenziale che avrà conseguenze sul ruolo lavorativo, sociale, familiare; inoltre potrà provocare trasformazioni fisiche tali da costituire una crisi per il paziente. Questa crisi può sfociare in una fase di shock o in una fase di reazione. La fase di shock è immediatamente successiva alla diagnosi, ed è vissuta in genere come una catastrofe di fronte alla quale il paziente mette in atto meccanismi di difesa (come la negazione) che lo portano a dilazionare il confronto diretto con una realtà che non è pronto ad affrontare, è importante in questa fase rispettare i suoi tempi e il suo stato d'animo senza forzarlo ad affrontare la situazione; nella fase di reazione la realtà s'impone attraverso le procedure mediche e i trattamenti chemioterapici o radianti. Infatti, l'impatto con la realtà suscita angoscia, rabbia, disperazione, amarezza. Il paziente potrebbe mettere in atto meccanismi difensivi quali la difesa maniacale (non sono mai stato così bene), la regressione a comportamenti infantili, la 47


proiezione (aggressività verso i medici e i propri cari a cui attribuisce la causa della malattia), l’isolamento delle emozioni dai fatti (parla della diagnosi con indifferenza). Sono questi meccanismi che, in altri contesti, farebbero pensare ad una struttura nevrotica o psicotica di personalità i cui livelli di ansia, rabbia e depressione sono indici della normale reazione del paziente nei confronti della malattia. Quando tali livelli sono elevati e non proporzionali agli stimoli, con manifestazioni ripetute e associate a reazioni interpersonali disturbate e ad una sofferenza soggettiva evidente, siamo di fronte a una reazione patologica del paziente nei confronti della malattia. Di particolare interesse in ambito oncologico è l'emergere di sindromi fobiche e ansiose, come nausea e vomito anticipatorio causato da uno stato di condizionamento psico-fisiologico del paziente agli effetti collaterali della chemioterapia tale che il disturbo viene evocato al solo pensiero della stessa. Tra le sindromi affettive si possono riscontrare: l'episodio depressivo e la sindrome depressiva ricorrente e persistente, come la distimia che porta dal punto di vista psicologico ad un abbassamento del tono dell'umore e del livello dell’autostima con idee di colpa, autoaggressività, disturbi del sonno, ansia e angoscia. Dal punto di vista biologico la situazione si complica poiché i sintomi quali la perdita d'interessi, la riduzione della capacità di provare piacere, il risveglio precoce, il peggioramento della depressione (specie al mattino), il rallentamento o l'agitazione psicomotoria, la perdita dell'appetito e di peso, la marcata riduzione della libido, possono essere imputate tanto alla sindrome depressiva quanto alla malattia cancerosa in sé stessa. 48


Non sono rari nei pazienti neoplastici stati confusionali e delirium conseguenti alla somministrazione di chemioterapici, o demenza con conseguente alterazione delle funzioni della memoria (calcolo, apprendimento, capacità critica, giudizio e linguaggio) in assenza di alterazioni della coscienza. Di particolare rilevanza sono i problemi inerenti alla sessualità nei pazienti con carcinoma prostatico, comprendenti disturbi del desiderio, dell’eccitamento sessuale e dell' orgasmo. In questi pazienti la neoplasia può interferire con la risposta sessuale e con la capacità riproduttiva perché va ad alterare l'apparato genitale, neurologico, vascolare e ormonale; a cui si aggiunge spesso, dolore, malessere generale e astenia. Possono insorgere preoccupazioni relative allo svolgimento dell'attività sessuale in

seguito a modificazioni dell’apparato

genitale conseguenti a interventi demolitivi, ripresa della malattia, possibilità di contagio, perdita della fertilità. A livello di coppia i problemi possono insorgere a seguito dei cambiamenti dei ruoli o della risposta emozionale e sessuale del partner verso la condizione del paziente. Tutto questo può essere correlato all’ansia e alla depressione. Tra i vari problemi psicologici che affliggono il paziente neoplastico, tre sono particolarmente difficile da gestire: la mancanza di iniziativa; la perdita del controllo (economico e personale) del presente e del futuro; la paura del dolore e di eventuali mutilazioni. Infatti, accettata l’ipotesi secondo cui l’evoluzione della malattia sia influenzata dalla personalità del soggetto, dalla sua resistenza psichica e dalla rassegnazione che ne consegue; vediamo che ogni individuo ha una propria,

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specifica reazione fisica e psicologica di fronte alla malattia, in quando costituisce un’unità psico-somatica unica e irripetibile. Nel passaggio dallo stato di salute a quello di malattia vengono interessate le tre dimensioni dell' esistenza umana: quella fisica, quella psichica e quella sociale. Infatti l'insorgere di una grave malattia rompe l'equilibrio dell'unità mente-corpo, per cui il paziente tende a percepire il proprio corpo come fonte di sofferenza e di insicurezza. L'incertezza dell'attesa di una diagnosi di cancro e la conseguente attuazione del programma terapeutico comportano mutamenti nell'identità del paziente che incidono in modo rilevante sulla sua vita e su quella della sua famiglia. Le terapie a cui deve sottoporsi modificano il ritmo di vita, producendo cambiamenti che possono creargli confusione e squilibrio sia a livello interiore che a livello relazionale. Questi aspetti possono assumere una dimensione rilevante per i pazienti con una neoplasia per la quale sia necessaria una terapia chirurgica demolitiva (tumore della mammella, tumore del colonretto, tumore del distretti cervico cefalico), perchè sono costretti a rivedere la relazione che hanno con il proprio corpo che, a seguito dell’intervento chirurgico, subisce delle modificazioni permanenti di aspetto, di funzione e di rapporto con il mondo esterno. Tutto ciò può avere delle ripercussioni sulla propria identità emozionale, lavorativa, famigliare e sociale. Ansia, depressione, irritabilità e rabbia sono reazioni comuni nei malati di cancro e sono comportamenti di una normale risposta dell'individuo all'esperienza che sta vivendo. La manifestazione di queste emozioni oltre ad avere un significato di adattamento

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alla realtà da parte della persona ammalata, gli permette anche di liberare tensioni interne e malesseri non altrimenti gestibili. Gli stati di disagio possono essere ricorrenti e intensi e possono compromettere la compliance del paziente, innescando una reazione emotiva che può svilupparsi verso se stessi e/o verso gli altri generando atteggiamenti di instabilità interna e relazionale. L’instabilità interna può manifestarsi con stati di angoscia, vergogna, colpa e raggiungere comportamenti autopunitivi di rifiuto delle cure, di negazione della realtà e della malattia o evidenziare rassegnazione e passività. L’instabilità relazionale si rivela con la tendenza all'isolamento sociale, il rifiuto a comunicare con gli altri, l'interruzione delle attività lavorative e l'insorgenza di problemi di coppia, familiari e sessuali.

REAZIONI

PSICOLOGICHE

DEL

PAZIENTE

ONCOLOGICO Esistono molti fattori che concorrono a determinare le reazioni psicologiche di una persona di fronte alla diagnosi di cancro: Fattori generali • età • sesso Fattori psico-sociali • personalità • grado di informazione del paziente circa la sua malattia • ‘status quo’ con cui inizia l’iter della malattia • condizioni sociali e livello culturale • ambiente familiare

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• rapporti con persone “significative” per il paziente Fattori medici • tipo, sede e grado di malignità del tumore • prognosi (sopravvivenza a breve, medio, lungo termine) • decorso (presenza o meno di complicanze, dolori, ecc.) • trattamenti terapeutici (chirurgici, chemioterapici, ecc.) Fattori assistenziali • rapporto medico-paziente • network assistenziale (medici, infermieri, psicologi) • strutture logistiche assistenziali (casa, ospedale, DH, ecc.) A questo si aggiunge che una patologia così particolare mette a dura prova le capacità adattative del portatore, per cui né scaturisce che alcuni pazienti sembrano adattarsi meglio degli altri

alla

malattia. Nonostante la specificità della reazione

individuale, è possibile identificare delle risposte adattative statisticamente

più

frequenti,

in

relazione

all’andamento

clinico della malattia. Ecco perché risulta opportuno esaminare le reazioni psicologiche del

paziente in rapporto alle diverse fasi

della malattia: 1)Fase precedente alla diagnosi (o fase del dubbio): comprende l’arco di tempo che intercorre tra la rilevazione soggettiva dei sintomi premonitori da parte del paziente e quella della comunicazione di una diagnosi da parte del medico. A causa degli approfondimenti diagnostici e delle comunicazioni infraverbali, il paziente intuisce di avere qualcosa di grave e viene colto da una forte ansia. Quando il sospetto si palesa in qualcosa di probabile, scattano nel paziente, meccanismi di difesa connessi alla paura e all’angoscia per la morte.

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Un fenomeno abbastanza diffuso in questa fase è il cosiddetto “ritardo diagnostico”, infatti molti pazienti al posto di recarsi subito dal medico alla scoperta dei primi sintomi, ritardano la visita. 2)Fase diagnostica: la formulazione di una diagnosi e l’eventuale comunicazione è uno dei momenti più difficile per l’equipe assistenziale, il paziente e la famiglia perchè genera ansia in quanto viene vissuta come una sentenza liberatoria o di condanna. Generalmente la diagnosi viene data ai familiari e non direttamente al paziente. Inizia così un “gioco”, in cui i membri della famiglia, da una parte, cercano di creare un’alleanza e una complicità con l’equipe assistenziale all’insaputa del paziente; questo, dall’altra parte, cerca di scoprire la verità ed entrambi si nascondono reciprocamente le notizie che sono riuscite ad ottenere. D’altra parte, per molti pazienti essere informati della realtà diagnostica direttamente può significare che il medico ha fiducia in loro, anche se nella maggior parte dei casi la verità genera sempre un intenso stato di angoscia. Di fronte a una realtà così angosciante, spesso l’individuo pone in atto, anche se inconsciamente, delle strategie che tendono a proteggere il suo equilibrio e che gli consentono di attudire gradualmente l’evento traumatico. Uno dei meccanismi di difesa dei pazienti oncologici in questa fase è una sorte di negazione della realtà che tende a scomparire nel giro di qualche giorno per essere sostituita da altre strategie difensive che consentono la progressiva accettazione della realtà che stanno vivendo.

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Al termine di questa fase di negazione si assiste frequentemente a brusche e ingiustificate reazioni di collera che sottendono penosi interrogativi (es. perché proprio a me) che poi sfociano in una marcata depressione, sottesa dall’angosciosa paura di morire. Accanto a questo tema cardine della depressione, si collocano altre paure legate ad ulteriori perdite (reali o presunte) che l’individuo dovrà subire (perdita della propria identità, degli affetti, del lavoro, ecc.) durante l’iter terapeutico. Insonnia, anoressia, perdita dei normali interessi, incapacità di concentrazione sono parte integrante della reazione depressiva che può trasformarsi in un quadro pisicologico caratterizzato da manifestazioni autolesive che possono portare, nella fase avanzata della malattia, al suicidio. Nelle persone che ben si adattano, il superamento dello shock diagnostico avviene con lo sviluppo di una sorte di alleanza terapeutica con l’equipe assistenziale e con la programmazione del trattamento terapeutico stesso, poiché quest’ultimo implica una speranza di guarigione, per cui il paziente è fortemente motivato ad affrontare tutti i disagi ad esso correlati. Accanto a questa reazione, definita “normale”, c’è tutta una vasta gamma di reazioni disadattative che vanno dal rifiuto di ogni forma di assistenza ad una affannosa ricerca di una diagnosi meno angosciante e ad una irrazionale fiducia in ciarlatani e santoni. Naturalmente è sottointeso che la reazione del malato è determinata anche dal modo in cui viene data la comunicazione della diagnosi e del programma terapeutico. 3)Fase terapeutica: le tre forme di intervento terapeutiche più usate (chirurgica, radioterapica e chemioterapica) comportano specifiche reazioni psicologiche per il paziente, a cui bisogna 54


aggiungere quelle conseguenti all’ospedalizzazione in se stessa (come la separazione dalla famiglia, dal proprio ambiente, dal proprio ruolo) che vanno a rafforzare l’ansia e la depressione. E’ da tener presente che al paziente giova molto essere informato circa la malattia, la terapia, i modi di somministrazione, la sua finalità, ed eventuali effetti collaterali; infatti questo lo rendono meno ansioso e più collaborante. Per quanto riguarda la terapia chirurgica, bisogna tener presente che il paziente, nei confronti dell’intervento, di solito ha un atteggiamento ambivalente perché se da un lato lo considera come il fulcro della speranza, dall’altro lo considera pericoloso e mutilante. Infatti nella fase pre-operatoria per proteggere l’equilibrio psicologico del paziente, entrano automaticamente in atto strategie difensive, in particolare la razionalizzazione che giustifica l’utilità dell’intervento e ne sottolinea la funzione positiva (es. devo vivere perché ho ancora i figli da crescere). Nella fase post-operatoria invece tende ad emergere l’aspetto mutilante dell’intervento, infatti il paziente è costretto a prendere atto dell’effettiva entità della menomazione subita e in che misura intacca il suo aspetto esteriore. La perdita di una parte del proprio corpo porta a un successivo crollo dell’autostima che lo fanno precipitare in una profonda crisi che intacca l’equilibrio preesistente alla malattia e all’intervento. Per questo bisogna porre in atto tutte quelle strategie che possono aiutare il paziente ad accettare la perdita subita e reinvestire al massimo sulla normalità residua, in modo da poter collaborare attivamente al rimanente programma terapeutico al fine di giungere al recupero di una vita il più normale possibile.

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Purtroppo spesso avviene un blocco con il sopraggiungere di una depressione reattiva sostenuta dal timore che le recidive e/o le metastasi fanno si che la malattia diventi persistente e invasiva. Di

conseguenza

l’individuo

tende

progressivamente

ad

autoisolarsi e a restringere l’ambito dei suoi interessi; questo si ripercuote negativamente sulle aree più significative della sua esistenza (famiglia, lavoro, sesso, ecc.). I fattori che possono aiutare il paziente ad avvicinarsi all’intervento con maggior serenità sono: una adeguata informazione pre-oparatoria, un rapporto di fiducia con il chirurgo, tempi di attesa non troppo lunghi, l’incontro con persone che hanno già subito e positivamente superato, anche sul piano psicologico e sociale, un intervento simile (a tale scopo in molte nazioni si sono costituiti associazioni e comitati). Nel caso di interventi che compromettono l’integrità sessuale, sembra utile il coinvolgimento del partner già nella fase preoperatoria, visto che anche per lui è necessario un certo periodo per elaborare la nuova situazione e per adattarsi ad essa. Per quando riguarda la radioterapia, è da tener presente che il trattamento scatena nel paziente reazioni ansiose e depressive prima e dopo il ciclo. Per attenuare questo stato ansioso è opportuno spiegare al paziente il tipo di terapia, le modalità delle applicazioni e gli eventuali effetti collaterali che essa comporta, soffermandosi sul fatto che essi sono temporanei e in buona parte controllabili. Per quando riguarda la chemioterapia vale lo stesso discorso rassicurativo della radioterapia, infatti una buona informazione e un buon rapporto con l’oncologo sono la premessa indispensabile

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per sgombrare il campo da interpretazioni errate o parziali e per affrontare le difficoltà e i disagi che la terapia stessa comporta. Un altro aspetto della chemioterapia da non sottovalutare per le sue ripercussioni psicologiche è l’uso sperimentale dei farmaci; per questo è importante la richiesta del consenso scritto da parte del paziente e la convinzione che il medico deve trasmettergli che il nuovo farmaco, anche se non completamente sperimentato, ha delle buone probabilità di essere efficace (in modo da non farlo sentire una cavia). Non è infrequente che il malato accetti di sottoporsi ad un trattamento sperimentale nella speranza che tutto ciò che si acquisisce, anche se non gioverà a lui direttamente, potrà essere utile a qualcuno altro. 4)Fase della remissione e della guarigione: quando la terapia da risultati positivi, il paziente diventa più ottimista e meno angosciato circa il suo futuro, anche se deve ancora affrontare i disagi della terapia a cui è sottoposto; egli si sente incoraggiato per essere riuscito a superare i momenti più critici della malattia. La fase della remissione rappresenta dopo lo shock iniziale la fase nella quale si accendono speranze di guarigione e si allontana lo spettro della morte. E’ a questo punto che la riabilitazione fisica e psicologica ha un’enorme importanza, anche se permane la necessità per il paziente di verificare se è realmente guarito. Infatti l’ansia relativa a possibili recidive o a metastasi, che aumenta fortemente ad ogni check up, tende a decrescere con il passare degli anni ma non a scomparire totalmente. 5)Fase della progressione della malattia: la comparsa di recidive o di metastasi portano di nuovo il paziente all’iniziale sconforto perché, percependo il fallimento della terapia, si riapre in lui quel 57


senso di ingiustizia, di impotenza e di perdita di controllo della situazione. La decadenza fisica, il dolore, l’incapacità a svolgere i propri compiti familiari e lavorativi, l’impotenza a combattere la malattia (che progredisce in modo incontrollabile) concorrono a rafforzare lo stato depressivo che si era instaurato. Le reazioni psicologiche scatenate da questi problemi se affrontate con l’aiuto di personale comprensivo ed esperto

possono essere

meno eclatanti così da ottenere un progressivo adattamento. Infatti alcuni soggetti portatori di neoplasie incurabili riescono ad adattarsi alla nuova situazione e a riorganizzare la propria vita. 6)Fase terminale: in questa fase il paziente diventa, solitamente, incapace di autonomia ed appare sempre più debole, magro e sofferente, per cui non ha più bisogno di essere incoraggiato o rassicurato, ma gli giova essere aiutato ad esternare tutto il suo dolore e a distaccarsi gradualmente dalle persone a lui care. E’ attraverso un rapporto empatico che l’infermiere istaura col paziente, che questo, si sentirà meno abbandonato alla sua solitudine e alla sua sofferenza. Secondo E. K. Ross le reazioni psicologiche del paziente in fase terminale sono le seguenti: • Fase I, per il soggetto non è possibile accettare ciò che è stato detto, entrano quindi in azione meccanismi di difesa, di rifiuto e di negazione. Il paziente non vuole vedere, non vuole sentire, non vuole pensare, ma può dimenticare o convincersi di un errore. In questa fase è importante che l’infermiere non lo contraddica e non gli neghi i propri progetti anche se sono di rifiuto della realtà • Fase II, “perché proprio a me?” è la fase in cui il soggetto ha un senso di perdita per il futuro che non è più quello sperato. 58


Il paziente è in collera, aggressivo, rivendicativo, prova invidia, rabbia e risentimento verso l’esterno, per le persone sane, attribuendosi colpe e responsabilità. • Fase III, in questa fase il paziente cerca dei compromessi con la vita, con Dio, con il destino, si sente in balìa di un genitore onnipotente che ha il potere di salvarlo. Le sue preghiere sono anche un tentativo di fuga dalla realtà e dalla malattia. • Fase IV, è la fase in cui il paziente avverte un forte dolore psichico, si trova in uno stato di depressione: esiste una depressione reattiva dove l’ammalato non può più nascondersi la verità sulle sue reali condizioni a causa dell’aggravarsi dei sintomi; il soggetto vive dei grandi cambiamenti relativi alla sua immagine, alla perdita dell’autonomia, dell’identità, del ruolo sociale e familiare. Esiste anche una depressione preparatoria in cui il paziente si avvia all’accettazione della morte e del suo destino; si sente inutile, come peso per i parenti e completamente impotente. In questo periodo particolare è molto utile per lui un più serrato rapporto umano soprattutto per ridurre i numerosi e profondi sensi di colpa che accompagnano la sua depressione. • Fase V, il paziente tende ad accettare la situazione, ciò non significa assenza di sofferenza, ma una sorte di vuoto di sentimenti in cui il dolore viene sostituito da silenzi profondi. L’accettazione della morte non equivale ad assenza di sofferenza fisica o psichica, ma piuttosto ad avere con essa un rapporto ricco di significativi. In questa fase, in genere, il paziente desidera avere vicino solo le persone a lui più care. E’ importante ricordare che le cinque fasi che sono state indicate non sono da considerarsi in sequenza cronologica e ordinata, in 59


quanto queste possono avere una durata variabile e si possono addirittura sovrapporre in tutto o in parte ed evolvere in forme spesso differenziate.

ASPETTI

PSICOLOGICI

E

RELAZIONALI

FRA

L’INFERMIERE, IL PAZIENTE E LA FAMIGLIA Di fronte ai problemi e alle reazioni psicologiche che affliggono il paziente oncologico la psicologia può offrire il suo contributo analizzando le possibili interazioni tra gli stati mentali dei soggetti (equipe assistenziale, paziente e familiari) e le possibili patologie sul loro nascere e sul loro divenire, seconda una prospettiva trattamentale atta ad accompagnare il paziente e le persone che lo circondano in un percorso doloroso e intriso di cambiamenti. Il trattamento comprende diversi modelli di intervento psicoterapeutico: • incoraggiare il paziente a verbalizzare i pensieri e i sentimenti negativi relativi alla propria malattia • chiarire l'influenza di eventuali esperienze precedenti sulla reazione attuale del paziente di fronte alla diagnosi di cancro • valutare il peso psichico aggiuntivo e la necessità di trattare

le

situazioni

stressanti

concomitanti

ed

indipendenti dalla malattia (ad esempio licenziamenti) • aiutare il paziente ad affrontare l'incertezza del futuro e le tematiche esistenziali generalmente associate alla diagnosi di neoplasia maligna • chiarire ed interpretare comportamenti ed emozioni disadattive relative al cancro 60


• favorire la comunicazione tra i membri della famiglia • aiutare il paziente e i familiari a trovare soluzioni alternative ai problemi pratici posti dalla malattia e dal trattamento. Considerando la famiglia come un "organismo" dotato di una propria omeostasi, bisogna guardare la neoplasia con un’ottica diversa della "semplice" malattia fisica del paziente, perché questa è anche la causa della rottura di quei legami e quei rapporti familiari che prima erano stabili. Per cui anche la famiglia, come il paziente, sperimenta nel corso della malattia tutta una serie di emozioni (paura, rabbia, ansia, impotenza, depressione) che sono del tutto normali e comprensibili. L’intensità di queste emozioni assume spesso un valore negativo agli occhi dei familiari spingendoli a reprimere, negare, anestetizzare le proprie e le altrui emozioni; questo controllo emozionale si traduce, spesso, in un incremento del reciproco senso di solitudine che porta all’aumento della distanza emotiva all’interno della famiglia stessa. La famiglia può andare incontro ad un ipercoinvolgimento, in questo caso tende ad essere iperprotettiva e invadente nei confronti del malato e dello staff assistenziale; o a mostrare scarsa partecipazione e disinteresse dei problemi del congiunto malato. Una struttura famigliare ottimale dovrebbe presentare delle caratteristiche di coesione ed intimità, espressione aperta alle emozioni, mancanza di conflitti importanti; ciò che crea, nel corso della sua esperienza, una propria convinzione e modalità di risposta agli eventi e quindi determina la storia della famiglia stessa. La situazione è più complicata se la storia familiare è costellata da lutti per cancro, poiché risulterà più difficile la 61


gestione delle problematiche e dei cambiamenti legati alla malattia stessa. Naturalmente, le variabili culturali (popolazione d'origine, costumi, tradizioni e religione) influenzano lo stile comunicativo all'interno della famiglia, l'adattamento alla malattia, la relazione con lo staff e con le istituzioni. Il supporto che il paziente e i familiari ricevono dalle strutture oncologiche e dai servizi sanitari rappresenta una variabile importante nel rapporto tra staff, paziente e famiglia al punto tale che va ad influenzare il significato affettivo, informativo e pratico che assume la relazione che intercorre tra essi. Spesso, le strutture sanitarie pongono poca attenzione alla famiglia del paziente che viene posta su un secondo piano perchè considerata come ostacolo al trattamento; dal canto suo, questa non si rassegna al fatto di doversi tenere in disparte mentre la struttura si prende in pieno carico il congiunto. Per cui entrano in conflitto. Altre volte, l'operatore tenda a dare informazioni chiare ai familiari raccomandando di non far sapere troppo al paziente, per questo l’incontro avviene, spesso, in maniera segreta quasi a definire un campo neutro. In questo modo, il paziente può fraintendere i messaggi che riceve al punto tale di sentirsi ingannato, incompreso dallo staff e dai familiari con uno scarso grado di controllo degli eventi e di collaborazione. Successivamente, nella fase terminale della malattia, la famiglia assume un ruolo marginale dal momento che deve limitarsi ad attendere solo l'evento finale senza poter far nulla. Per cui il coinvolgimento della famiglia dovrebbe basarsi sul presupposto che essa rappresenta, in questa occasione, un potente strumento "terapeutico" se opportunamente aiutata a superare le difficoltĂ 62


che si presentano senza essere abbandonata a sé stessa. Infatti, il confronto con più figure sanitarie (oncologi, infermieri, chirurghi) può aumentare, nei familiari, la sensazione di essere avvolti in un sistema a rete che li protegge e li sostiene in questa battaglia “già persa”. Tenendo presente questi aspetti, l’intervento dell’infermiere può concretizzarsi nella possibilità di offrire al paziente e alla famiglia: • sostegno e valorizzazione alle risorse familiari • contenimento delle sofferenze e dello stress intrapersonale e interpersonale • creazione di uno spazio di comunicazione tra familiari e l’equipe, e tra i familiari e il paziente • ascolto e informazioni rispetto alle decisioni da prendere in ordine ai diversi problemi che si presentano durante tutto l’iter della malattia • Preparazione e aiuto nella fase dell’elaborazione del lutto Uno dei compiti più difficili per l'operatore è mantenere un punto di vista esterno in modo da potersi rendere conto delle reazioni della famiglia e dello staff stesso rispetto alla malattia e al malato. A tale scopo è determinante che lo staff sia integrato e multifunzionale. E' importante definire in maniera chiara i modi di comunicare col paziente e con l'intera famiglia, identificando all'interno di questa ultima una figura chiave con cui si "intermedierà" l'approccio terapeutico, le procedure d'intervento (suddividendole secondo criteri e modalità tecniche) e tutto quanto interesserà il paziente e la malattia. Quindi l’equipe assistenziale deve: • Informare chiaramente i pazienti e i familiari 63


• Identificare figure a cui ci si possa rivolgere per domande e chiarimenti • Coinvolgere la famiglia nella cura del paziente • Essere realista differenziando desideri e speranze • Preparare i familiari a realizzare la perdita in caso di diagnosi maligna e, ad identificare i sentimenti ed esprimerli • Abituare i familiari a vivere senza il congiunto in modo da evitare che si chiudono in sé stessi • Interpretare i comportamenti del familiare, di fronte alla malattia, come reazione normale • Far comprendere alla famiglia che ciascuno reagisce a modo proprio di fronte alla malattia • Supportare tutti in maniera continuata • Valutare i meccanismi difensivi dei familiari • Identificare eventuali problemi e disturbi conseguenti al lutto.

L’EQUIPE ASSISTENZIALE DIFRONTE AL TEMA “MORTE” Il confronto con il tema della morte è un'esperienza centrale per chi lavora in oncologia, questo contribuisce a far sì che gli operatori sanitari (compresi gli infermieri) siano soggetti a rischio di una particolare forma di stress lavorativo, burn out, tipica delle cosiddette professioni di aiuto. Ciò deriva dal fatto che spesso risulta particolarmente penoso per il personale sanitario: • comunicare una diagnosi di cancro

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• assistere i pazienti durante l’iter terapeutico o in fase terminale • aiutare i familiari ad essere di supporto per il paziente • confrontarsi con le trasformazioni e il deterioramento psico-fisico di chi si è conosciuto prima che la malattia intaccasse la sua totale integrità. Comportamenti quali risposte evasive alla richiesta di dialogo da parte del paziente, bugie palesi sulla diagnosi, freddezza e cinismo nella relazione possono manifestare il desiderio di difendersi dal rischio di una immedesimazione con i problemi del paziente stesso; va poi sottolineato come i soggetti più giovani riferiscano di sentirsi maggiormente colpiti dal problema della malattia terminale, esprimendo nel complesso una maggiore difficoltà nel gestire il contatto con un paziente destinato a morire. Ciò sottolinea la necessità di riconsiderare seriamente il problema della formazione dei medici e degli infermieri e la creazione di strumenti di supporto per il personale più giovane, anche perché indagini recenti hanno evidenziato che le domande più frequenti di formazione attuate dal personale curante riguardano una richiesta di aiuto personale per poter rapportarsi con il paziente nei momenti critici quali la comunicazione della diagnosi di cancro, della fase terminale; e ai familiari la prospettiva del lutto. Per questi motivi, oggi, nei corsi di laurea e di specializzazione sanitarie vengono trattati anche gli aspetti psicologici nella cura delle malattie terminali, per dare agli

operatori sanitari una

conoscenza generale della dinamica psicologica ed una capacità di gestire le relazioni con questi pazienti e con i loro familiari. 65


Da ricordare che grandi passi in merito sono stati fatti dal 1965 in poi, quando la psichiatra Kubler-Ross cercò di organizzare il primo seminario sulla morte e sull’esperienza del morire rivolto ai medici, allora parve una proposta "sconcertante"; Oggi invece è ampiamente riconosciuto il bisogno di training specifici e di conoscenze psicologiche di base per chi lavora con pazienti malati di cancro, e vari autori hanno sottolineato come la mancanza di una formazione psicologica adeguata possa indurre il personale sanitario a reazioni difensive nell'impatto con il malato e con i familiari. Va sottolineato che questi training, non hanno l’obiettivo di far diventare psicologi gli oncologi o gli infermieri ma di fornire loro un aiuto concreto, di cui anche il paziente trarrà benefici. Quindi sullo staff che lavora in ambito oncologico si può intervenire con: • Criteri di selezione del personale • Training formativi in psico-oncologia • Interventi formativi per medici ed infermieri (seminari, workshop, gruppi di supporto). I possibili criteri di selezione del personale in oncologia riguardano procedure utilizzate in altri settori, anche se generalmente non è prevista nel campo della sanità per molteplici cause: • Abilità cognitive interpersonali (saper percepire il punto di vista altrui, empatia, cordialità) e capacità tecniche • Una personalità che favorisca l'adattamento di fronte a situazioni stressanti di lavoro (alta affidabilità con impegno e senso di responsabilità il lavoro)

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• Buon sistema di supporto sociale (relazioni sociali valide, interessi vari) • Buon adattamento nei confronti di esperienze precedenti in cui si è già avuto a che fare con la morte.

CONCLUSIONI Le ultime riforme sanitarie sono ispirate da principi quali il rispetto della dignità della persona, la soddisfazione del bisogno di salute, l'equità dell'accesso alla cura, l'appropriatezza delle prestazioni, l'economicità nell'impiego delle risorse. Questi principi si concretizzano in una serie di obiettivi: • volontà di apportare un miglioramento alla salute, • fornire un'assistenza sanitaria a tutti i cittadini in base al bisogno, • garantire il miglioramento continuo della qualità dell' assistenza sanitaria, • assicurare la finalizzazione dell'assistenza ai bisogni, • una maggiore efficienza nell'impiego delle risorse per far fronte ai bisogni crescenti. Le strategie utilizzate per raggiungere questi obiettivi sono di: controllo della domanda e dei costi; aumento della qualità, dell' efficienza e dell' efficacia delle prestazioni. Questi Principi, obiettivi e strategie richiedono da parte delle organizzazioni sanitarie e dell’equipe assistenziale una profonda innovazione. Lo stesso Infermiere per adeguarsi a quanto sopra e per offrire un'assistenza individualizzata al paziente, specie quello oncologico, deve riesaminare il proprio approccio assistenziale, trasformando il suo lavoro in un nursing autonomo basato sui bisogni del malato, perché solo in questo modo può 67


superare il suo ruolo tradizionale (legato alla dipendenza del medico) ed avere una maggiore responsabilità, autonomia e controllo gestionale ed organizzativo. Quello di cui ha bisogno questa figura professionale in quanto sicura di poter offrire un’assistenza migliore grazie al proprio grado di cultura che gli ha permesso di assumere un ruolo più attivo, più autonomo e indipendente. Quindi possiamo affermare che il progresso in campo tecnologico e scientifico, oltre a promuovere un salto qualitativo in tutti i settori della medicina, ha messo in evidenza l’importanza del ruolo che l’infermiere riveste nella cura del paziente, questa importanza emerge in modo particolare anche perché, spesso i ruoli del medico e dell’infermiere finiscono per integrarsi in modo tale da pregiudicare sulla rapidità, efficacia e efficienza dell’intervento. Da ricordare, inoltre, l’importanza della presa in carico di una persona malata a cui è legata in maniera imprescindibile l’educazione sanitaria che è uno strumento terapeutico specifico che richiede un’accurata preparazione dell’educatore, sia esso medico o infermiere, per cui i programmi di formazione del personale dovrebbero mirare a identificare e migliorare queste qualità, anziché trasmettere solo informazioni di tipo scientifico. L’educazione del paziente dovrebbe essere inclusa come materia fondamentale nei corsi di laurea per medici e infermieri, visto che la grande maggioranza di questi termina gli studi senza mai aver sentito parlare di ascolto attivo, di comunicazione efficace, di atteggiamento empatico e dei fattori psico-sociali che possono influenzare il paziente.

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Concludendo, al fine di apportare miglioramenti e adeguamenti all’assistenza infermieristica, specie quella riguardando il paziente oncologico, non devono sussistere remore a confrontarci con altre realtà e, a modificare gli aspetti organizzativi, le modalità assistenziali e gli atteggiamenti culturali, al fine di delineare nuovi modelli assistenziali in grado di migliorare veramente la qualità di vita di questi pazienti e delle loro famiglie.

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-Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori, Atti del II convegno per Infermieri in Oncologia, Conegliano Maggio 1999; -G. Marasso: Curare i Bisogni del Malato. L’Assistenza in fase avanzata della malattia, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 1998; -Linee d’Indirizzo per l’Assistenza al Malato Neoplastico grave e in condizione di terminalità e per

lo sviluppo delle Cure

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Farmaci

Chemioterapici


INDICE Introduzione……...………………………………...pag. 3 Definizione.………………………………………..pag. 4 Genetica ed Eziologia dei Tumori………………....pag. 6 Screening oncologico……………………………....pag. 8 Effetti sistemici delle neoplasie…………………....pag. 10 Terapia oncologica………………………………...pag. 11 Come gli Infermieri possono aiutare i Pazienti oncologici…………..……………………………...pag. 15 La Chemioterapia………………………………….pag. 18 Effetti collaterali della chemioterapia………..........pag. 21 Manipolazione in sicurezza dei farmaci antiproliferativi……………………………….........pag. 31 Le Cure Palliative……………………………........pag. 34 Dipartimento oncologico…………………….........pag. 35 Assistenza oncologica domiciliare………………..pag. 36 Day Hospital oncologico…………………….........pag. 40 I centri residenziali per le cure palliative (gli Hospice)……………………………………....pag. 42 Assistenza alla famiglia in previsione del lutto…...pag. 44 Cosa significa ricevere una diagnosi di cancro…...pag. 45 Problemi psicologici del paziente oncologico…….pag. 47 Reazioni Psicologiche del paziente oncologico…..pag. 51 Aspetti psicologici e relazionali fra l’infermiere, il paziente e la famiglia……………………….......pag. 60 L’equipe assistenziale di fronte al tema “morte”…pag. 64 Conclusioni……………………………………….pag. 67 Bibliografia……………………………………….pag. 70 Indice………………………………………….......pag. 72 72


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