ROSE D’ITALIA. Il Risorgimento invisibile lombardo

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ROSE D’ITALIA

il Risorgimento invisibile lombardo


ROSE D’ITALIA: “Il Risorgimento invisibile” lombardo *“Forsan et haec meminisse iuvabit”, Virgilio, Eneide, I, 203 “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”*, Eleonora Fonseca Pimentel mentre sale sul patibolo.

Delle Cinque Giornate di Milano si disse che “Grande… fu il numero delle donne uccise e imprigionate”. Ma, una volta spenti i riflettori sull’epoca risorgimentale, le donne scomparvero rapidamente dalla memoria storica italiana. Eppure, la presenza femminile si era manifestata a largo raggio, coinvolgendo donne di diversi ambienti sociali. La mostra vuole rendere omaggio a tanta generosità e passione di donne che, pur nelle diversità sociali e ambientali, hanno trovato nel motto “O si fa l’Italia o si muore” il coraggio di combattere per un ideale comune. Esse sono state figure straordinarie che hanno saputo trasformare il loro quotidiano, mettendo in pericolo le loro esistenze e i loro affetti per un futuro migliore. I salotti dell'alta società, i cosiddetti “giardini” di Milano, frequentati dalle donne “giardiniere”, si trasformarono in vivai di idee e di raccolta fondi per aiutare la causa degli insorti e dei volontari. Altre invece ricamavano ventagli con frasi patriottiche o confezionavano coccarde e bandiere con il rischio di essere scoperte e arrestate, oppure si inventavano vere e proprie mode che si diffondevano rapidamente. Accanto a loro, le eroine, le donne del popolo, che scesero in piazza per combattere, per partecipare a battaglie, manifestazioni, a rischio della loro stessa vita. Fu però la “Bella Gigogin”, a diventare il filo conduttore del Risorgimento e ad accompagnare con il canto chi andava a combattere. Ancora oggi la storia della bella orfanella, che fece innamorare i combattenti sulle barricate di Milano a Porta Tosa, è cantata dai nostri bersaglieri ed è diventata il loro inno ufficiale. Queste donne coraggiose superarono le barriere sociali e le divisioni dei ruoli di separatezza. Colsero con le loro scelte l’occasione storica che si presentava per uscire dalla vita privata e adoperarsi per il bene comune, manifestando il proprio pensiero e diventando così, con l’azione, le tessitrici dell’Unità d’Italia. Ornella Bongiorni Curatrice della mostra


ROSE D’ITALIA: “Il Risorgimento invisibile” lombardo

Questa nuova iniziativa culturale ospitata allo Spazio Oberdan della Provincia di Milano, è la logica e coerente prosecuzione del percorso celebrativo che la Provincia di Milano ha avviato nel 2010, anno del centocinquantenario della Provincia di Milano. Un cammino proseguito nel 2011 con le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che ora procede con la mostra "Rose d'Italia, il Risorgimento invisibile Lombardo” grazie alla quale, infatti, si intende testimoniare l’impegno profuso ed il ruolo assunto dalle donne nel processo unitario; continua cosi il "fil rouge" che la Provincia di Milano ha posto alla base delle iniziative promosse in questi mesi di celebrazioni del 150° dell'Unita' Nazionale e che abbiamo denominato 150 anni “in rosa". Grazie alle opere esposte ed a testimonianze storiche di grande pregio, rendiamo omaggio a quelle personalità femminili lombarde che, a vario titolo, hanno segnato l’epoca risorgimentale; usi, costumi, eredità ed esperienze, convinzioni, principi religiosi e civici, hanno sostanziato e permeato la Nazione Italiana nei secoli, sfociando nel processo risorgimentale e unitario, che intendiamo, con questa mostra, riproporre, evidenziando il ruolo svolto dalla donna, troppo spesso sottaciuto e ancora oggi poco conosciuto, offrendo quindi, un ulteriore momento di riflessione nell'ambito delle celebrazioni dei 150 anni dell'Italia unita. Se il Risorgimento è sfociato nell'Unità della nostra Nazione, grazie anche al ruolo generoso assunto dalle donne, e' importante sottolineare anche il fatto, altrettanto inoppugnabile, che l'Italia, unica Nazione al mondo, si è formata anzitutto come Nazione culturale, cementata da una lingua e da un'Identità prima che da un'organizzazione statuale. Cultura che si è nutrita della passione e dello slancio eroico profuso dai personaggi che poniamo all'attenzione di tutti i cittadini della Grande Milano, ed in particolare dei giovani che, anche attraverso questa mostra, avranno un’opportunita' ulteriore di conoscere ed approfondire la storia della nostra Nazione e del nostro popolo, convinti come siamo che solo conoscendo la propria storia si puo' rafforzare la propria identita' e costruire il futuro di una Nazione. On. Guido Podestà Presidente della Provincia di Milano Dott. Ing. Novo Umberto Maerna Vice Presidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Milano


Teresa Casati Confalonieri 1787 –1830

La moglie del Risorgimento

Teresa Casati nasce a Milano nel settembre 1787, primogenita di Don Gaspare Casati. Rimane orfana di madre all’età di 6 anni. La vita di Teresa è segnata dall’incontro e dal matrimonio con il conte Federico Confalonieri. In assenza del marito, impegnato nei moti di liberazione, Teresa mantiene i contatti con i più autorevoli liberali lombardi. Il suo salotto diventa il ritrovo della setta segreta dei federati, che ordisce i fili della rivolta a Milano e progetta un governo lombardo-veneto federato al regno sabaudo. Il suo nome è passato alla storia come la “ostinata giardiniera”, cosiddetta per il coraggio che ha saputo infondere nella causa in cui credeva, il destino dell’Italia, e per la tenacia dimostrata nel voler salvare da morte certa l’uomo che ammirava e amava. Insieme alle amiche Bianca Milesi, Matilde Viscontini e Maria Frecavalli fa parte del nucleo milanese della carboneria femminile. In un rapporto segreto della polizia si parla di lei come una pericolosa cospiratrice. Durante un estenuante interrogatorio gli agenti austriaci ricorrono ad un espediente per costringerla a parlare, mostrandole alcune false lettere attribuite ad una amante del marito. Ma lei non cade nella trappola e non parla. Dopo i moti falliti del 1821, un’ondata di arresti colpisce molti carbonari milanesi, tra i quali proprio il conte Confalonieri condannato a morte insieme all’amico Andryan dopo un processo sommario. Per Teresa Casati inizia il calvario che la conduce alla morte precoce. Negli anni seguenti si impegna senza sosta e raccoglie molte firme di personaggi famosi contro la sentenza di morte. Chiede invano pietà e udienza all’imperatore d’Austria che non le concede nemmeno di andare a vivere vicino al carcere dove è rinchiuso il marito. Ma non si da per vinta e riesce ad incontrare la giovane imperatrice Carolina, la quale intercede in suo favore. Nel 1830, Teresa ormai colpita da un male incurabile invia all’Imperatore una lettera scritta per lei da Alessandro Manzoni, riuscendo dopo tanta insistenza in extremis a far commutare la pena della condanna a morte in quella del carcere duro a vita da scontare nella prigione “risorgimentale” dello Spielberg, dove già erano rinchiusi gli amici Silvio Pellico e Maroncelli. Il 26 settembre 1830 Teresa muore, a soli 43 anni. Il marito le aveva inviato un biglietto che arrivò a destinazione dopo quattro mesi dalla sua morte, su cui era scritto: “Ricordati, ricordati anima mia che la tua conservazione è la mia vita. Pensa che tu hai donato tutta te stessa all’idolo del tuo cuore, che ora la tua conservazione è tutto ciò che egli vuole”. Viene sepolta a Muggiò nella tomba di famiglia.


Bianca Milesi 1790 –1849

La maestra giardiniera

Nasce a Milano il 22 maggio 1790 da Elena Viscontini e da Giovan Battista Milesi. Studia sino all’età di 10anni in un convento a Firenze dove si fa notare per la vivacità. Conclude poi gli studi a Milano, nei conventi di S. Sofia e di S. Spirito. Alla morte del padre, nel 1804, incomincia a viaggiare con la madre per molte città italiane e capitali estere. Visita Parigi, Londra, è in Germania, in Olanda e in Ungheria, viaggi che le permettono di aprire gli orizzonti sulle realtà europee. Incontra numerosi artisti e, seguendo i consigli dell’amico Appiani il pittore delle “Grazie”, decide di dedicarsi alla pittura. Frequenta quindi le più celebri scuole della classicità a Roma, dove conosce Canova ed è allieva di Hayez. Qui ha modo di conoscere l’inglese Mary Edgeworth e la tedesca Sofia Reinhardt, incontri che la portano a maturare una visione meno convenzionale del ruolo della donna. Abbandona così la leggerezza dei salotti per gettarsi nell’impegno sociale e nella politica, volti alla conquista della libertà e della giustizia. Cambia radicalmente anche il modo di vestirsi, abbandonando quasi del tutto i vestiti alla moda. Si taglia le trecce e si acconcia con capelli corti, calzando scarpe grossolane e indossando vestiti semplici. Viene ricordata in giro per Milano con scarponi militari, un bastone e con il “Saggio sulla Tolleranza” di Locke, portato sempre con sé sotto il braccio. Nel 1820 Bianca si affilia con Teresa Confalonieri, la cugina Matilde Dembowsky, Camilla Fé, Cristina Belgioioso e le sorelle Cobianchi, all’organizzazione segreta come Maestra giardiniera, che aveva come parola d'ordine per il riconoscimento il detto “Costanza e perseveranza”. Viene implicata nei moti milanesi del 1821 insieme alla cugina e subisce vari interrogatori. “Giovane energumena, molto accarezzata dai rivoluzionari” - così era definita dalla polizia che la stava indagando. E’ lei a dipingere col tricolore lo stendardo degli studenti di Pavia e a inventare la carta frastagliata con cui segretamente comunicavano i rivoltosi. Dopo i moti del ’21 si rifugia per un anno a Londra. Rientrata dall’esilio, all’età di 31 anni si sposa con Carlo Mojon, rettore dell’università di Genova, con cui genera due figli. Nel 1833 si trasferisce con il marito a Parigi, dove conosce Sthendal e un giovane, ma promettente, Cavour. Muore insieme al marito di colera durante la pestilenza che si abbattè su Parigi nell’estate del 1849. Ora riposano insieme nel cimitero di Montmartre.


Giuditta Bellerio Sidoli 1804 –1871

La collaboratrice politica di Mazzini Giuditta Bellerio era nata a Milano nel 1804 da nobile famiglia lombarda: il padre Andrea era un magistrato nel regno italico e barone dell’impero. Ricevette una buona educazione presso il Real Collegio di San Francesco. Nel 1820, a soli 16 anni andò in sposa a un ricco possidente terriero, Giovanni Sidoli di Montecchio da Reggio Emilia, di chiara e convinta fede carbonara che le dischiuse il cuore e la mente alle idee di libertà e di giustizia. La condivisione degli ideali, primo dei quali la speranza di un’Italia unita e la cacciata dello straniero, resero Giuditta e Giovanni una coppia forte e passionale. Dopo i moti del 1821, per sfuggire alla sentenza di morte del marito, dovette seguirlo in esilio in Svizzera e qui mise al mondo quattro figli. A soli 24 anni e dopo la morte del marito Giovanni per una grave malattia, le furono tolti dal suocero i figli perché egli non voleva che la sua discendenza fosse allevata da una “ribelle”. Rientrata in Italia nel 1831 per partecipare ai moti d’insurrezione di Modena, venne bandita dal ducato e prese nuovamente la via dell’esilio. A Marsiglia, dove si rifugiò ospitò, molti esuli italiani e divenne per molti esuli una sorella affettuosa, un approdo sicuro fornita com’era di mezzi economici. Arrivò tra questi anche Giuseppe Mazzini uscito da poco dal carcere di Savona. Tra di loro nacque un fortissimo sentimento e una grande collaborazione politica, tanto che lei divenne sua consigliera più ascoltata. Inoltre contribuì con Mazzini a fondare il giornale politico “La giovine Italia”. Ma l’amore per gli ideali non poté in nessun modo lenire il dolore profondo per la lontananza dai figli, che continuavano a vivere con il suocero Bartolomeo a Reggio Emilia. Una vera e propria ossessione, accentuata dalla preoccupazione per il tipo di educazione che avrebbe imposto ai suoi figli: obbedienza al duca Francesco I e ai gesuiti. La sua vita trascorse in un continuo peregrinare per gli Stati d’Italia e d’Europa, nella ricerca dei figli e nella partecipazione ai vari moti rivoluzionari. Una donna che pagò duramente la fedeltà ai suoi ideali, come testimoniano le vicende della sua vita segnati da gravi perdite e persecuzioni. Nel 1851 si trasferì definitivamente a Torino, dove poté vivere finalmente con le figlie Elvira e Corinna. La sua casa diventò ancora una volta punto di riferimento, frequentata da molti patrioti ed esuli, tra i quali Francesco Crispi, Giuseppe Lamberti, Aurelio Saffi ed altri. A Torino rimase per gli ultimi vent’anni della sua vita, fu donna determinata e coraggiosa, coerente fino alla morte che arrivò il 28 marzo del 1871.


Adelaide Bono Cairoli 1806 –1871

Il sacrificio di una madre per l’ideale dell’unità Adelaide Bono nasce a Milano nel 1806 da Francesca Pizzi e dal conte Benedetto Bono, avvocato e consigliere del regno napoleonico per tutto il periodo della dominazione francese. La sua famiglia appartiene a quella generazione lombarda aperta alle nuove idee. Una borghesia colta, che aspirava al progresso umano, alla libertà civile ma soprattutto con un forte senso di unità nazionale. La sua delusione avvertita dopo la restaurazione austriaca fu quindi molto forte. Adelaide sin da piccola dimostrò di possedere un carattere forte. Infatti fu attratta a soli 15 anni dalle imprese dei carbonari e sviluppò un forte sentimento patriottico e di odio verso il governo austriaco. A 18 anni si sposò con il professor Carlo Cairoli, rettore dell’Università di Pavia, vedovo di 46 anni con due figli, Giovanni e Carolina. Dal matrimonio nacquero cinque maschi e tre femmine: Benedetto, Ernesto, Luigi, Enrico, Giovannino, Rachele, Emilia e Carolina. Adelaide fu una donna di grande cultura e sensibilità, oltre che di grande generosità. Si occupò personalmente dell’educazione dei figli, incitandoli all’amore della Patria. Finanziò giornali patriottici, ospitò un salotto politico letterario e mantenne una fitta corrispondenza con gli intellettuali dell’epoca. Nel 1848, durante il governo provvisorio di Pavia, il marito Carlo diventò sindaco della città e Adelaide fu messa a capo di un Comitato di raccolta fondi per i partenti in guerra. Arrivò a Pavia anche Giuseppe Mazzini e dalla lontana America giunse Giuseppe Garibaldi, con il quale iniziò un rapporto di amicizia che non si sarebbe mai più interrotto. I figli maschi cominciarono a partecipare attivamente alle battaglie e nel corso degli anni, pur avendoli incitati alla prudenza, ne perse ben quattro durante le battaglie e i moti di liberazione. Adelaide ne soffrì moltissimo. Le era rimasto solo Benedetto, il quale riscattò i sacrifici dei fratelli con una carriera politica che gli fece ricoprire i massimi livelli istituzionali, prima di deputato al Parlamento e successivamente di Presidente del Consiglio. Adelaide, profondamente colpita nel fisico, visse gli ultimi anni a letto, ma continuando comunque ad appoggiare la lotta patriottica. Garibaldi ebbe verso di Lei un’ammirazione e un affetto così profondi da rivolgerle queste parole di omaggio: “L’amore di una madre per i figli non può essere compreso dagli uomini… con donne simili una nazione non può morire!” Spirò il 27 marzo 1871.


Cristina Trivulzio di Belgioioso 1808 –1871

La Principessa del Risorgimento Lombardo Cristina Trivulzio di Belgioioso nasce il 28 giugno 1808 a Milano da Gerolamo Trivulzio e Vittoria Gherardini. Alla giovanissima età di 16 anni sposa un giovane libertino, il nobile Emilio Barbiano di Belgiojoso. La loro unione non dura molto. Anche se ufficialmente non divorziarono mai, nei fatti si separarono pochi anni dopo, rimanendo però buoni amici. Dopo l'arresto del patrigno, Alessandro Visconti D'Aragona, Cristina si avvicina alle persone più attive nei movimenti di liberazione e diventa "giardiniera", aderendo a soli 20 anni alla Giovine Italia. Nobildonna ricca e potente, viene pedinata e controllata in ogni movimento dagli austriaci, che arrivano a minacciarla più volte, tanto da costringerla a scappare nel sud della Francia. Tutti i suoi averi furono congelati e per molto tempo non poté attingere al suo denaro. Si arrangia alla bene e meglio per alcuni mesi, poi si trasferisce a Parigi dove vive dando lezioni di musica, scrivendo saggi e facendo ritratti di personaggi illustri. Con i soldi inviati dalla madre e con quelli recuperati dai suoi redditi, riesce ad organizzare un tipico salotto d'aristocrazia, che diviene luogo di ritrovo e di riunione degli esiliati italiani e degli esponenti più in vista della borghesia europea. Nei dieci anni trascorsi a Parigi non si stancò mai di contribuire alla causa italiana, accattivandosi la simpatia dei potenti e scrivendo articoli a favore dell’indipendenza italiana. Divenne infine lei stessa editore di giornali politici. Continua ad essere riferimento per gli esuli italiani, ai quali versava regolarmente il denaro per la loro sopravvivenza. Nel 1838 la sua vita subisce una svolta, con la nascita della prima sua figlia, Maria. Due anni dopo rientra a Locate, quella che considerava la sua città, e inizia l’attività di filantropia sociale, facendo costruire un asilo, scuole elementari e superiori, un falansterio, abitazioni dignitose per i contadini con una cucina comune, promuovendo corsi di igiene per le donne e garantendo l’assistenza sanitaria gratuita. Mentre si trova a Napoli durante lo scoppio delle cinque giornate di Milano, non esita a riunire 200 uomini e guidarli sino a Milano in aiuto ai rivoltosi. Da una barricata all’altra. Da un’insurrezione all’altra. E’ in prima linea a Roma a organizzare il servizio sanitario e ospedaliero, distinguendosi per la sua abnegazione e la dedizione alla causa comune. Da Roma, dove la rivolta viene sedata con l'aiuto deludente dei francesi, salpa su una nave diretta a Malta ed inizia un viaggio che la porterà dalla Grecia all’Asia Minore. Grazie ad una amnistia, può riottenere i permessi e tornare finalmente a Locate, dove muore di polmonite ancora giovane, nel 1871, a soli 63 anni.


Laura Solera Mantegazza 1813 –1873

Una donna all’avanguardia

Laura Solera nasce a Milano nel 1813 in una famiglia di ideali risorgimentali. Il padre a causa delle sue idee patriottiche viene costretto alla fuga in Svizzera. Perciò Laura Solera cresce con la madre e studia al Collegio femminile Coudert. Dimostra da subito sensibilità etica, civile e politica. Nel tempo libero, infatti, insegna ai figli dei domestici analfabeti. Alla morte della madre viene affidata ad un tutore che, dopo aver compiuti i diciassette anni, la fa sposare con Gian Battista Mantegazza. Dal loro matrimonio nascono tre figli, della cui educazione se ne occupa personalmente. Durante le Cinque Giornate di Milano, nel 1848, è in prima fila nella raccolta di fondi e nell’organizzare l’assistenza ai patrioti. Incaricata ufficialmente dal Governo Provvisorio della Lombardia, istituisce un servizio di ambulanze per il soccorso ai feriti. Nello stesso periodo compone un breve scritto dal titolo “Madre lombarda” in cui incita le concittadine all’impegno civile e politico. Nel 1850 fonda il Ricovero per lattanti e slattati (bambini dai quindici mesi ai due anni e mezzo) con sedi in varie zone della città e una scuola per adulte analfabete. Continua intanto l’attività politica raccogliendo fondi a sostegno delle imprese di Garibaldi. Raggiunge poi il Generale alla fortezza di Varignano vicino a La Spezia, per assisterlo dopo il ferimento in Aspromonte e svolge il ruolo di coordinatrice per gli aiuti sanitari, materiali, economici e politici alla causa garibaldina. Dopo l’unità d’Italia costituisce un’associazione tra donne italiane per la promozione dei prodotti nazionali e per il boicottaggio di quelli austriaci e francesi, ma che si pone anche l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro dei ceti popolari. Negli stessi mesi, insieme a Ismenia Sormani, fonda l’Associazione Generale di Mutuo Soccorso per le Operaie il cui motto era “Lavoro, affetto, istruzione” che in breve tempo diviene la più efficiente e avanzata società mutualistica completamente gestita da donne. Le socie avevano sussidi per malattia, maternità, vecchiaia e cronicità. Nel 1867 vi affianca una sezione di lavoro e cucitura a macchina per sostenere le socie nei periodi di disoccupazione, un fondo prestiti, doni di nozze e sussidi a vedove e nubili. All’Associazione furono collegate una scuola festiva e una scuola gratuita di “cucitura meccanica”, con la possibilità data alle allieve di acquistare a rate la macchina per cucire. L’ultima impresa fu la costituzione, insieme all’amica Alessandrina Ravizza, di una scuola professionale all’avanguardia nell’istruzione femminile per l’insegnamento di materia come la computisteria, disegno industriale e pratica economica. Laura Solera muore il 15 settembre 1873 a Cannero sul Lago Maggiore.


Clara Maffei 1814 –1886

Il Salotto di Milano

Nata a Bergamo il 13 marzo 1814 dal conte Giovanni Battista e da Ottavia Gambara, contessa di nascita, era una donna esile e minuta, molto elegante e colta. Nel 1832 sposa a soli 18 anni, il poeta Andrea Maffei e dal matrimonio nasce una bambina che morirà precocemente a soli 9 mesi. Un dolore straziante che per Clara rimarrà incancellabile. Si dice che fu proprio per mitigare questo dolore che il padre iniziò ad aprire la casa ad artisti e letterati, dando vita al famoso salotto di casa Maffei. Raffinato ed elegante, agli inizi fu prevalentemente letterario ed artistico, frequentato da intellettuali del livello di Verdi, Manzoni e Hayez che resteranno sempre suoi buoni amici. Nel 1846, dopo la separazione dal marito, Clara Maffei si dedicò esclusivamente al salotto che assunse una fisionomia sempre più politica, soprattutto quando la sede fu trasferita in via Bigli a Milano. Ricordata come una padrona di casa amabile e accogliente, cercò sempre di mettere a proprio agio gli ospiti, un'apprezzata salonnière dunque, che accoglie e tratta gli amici con riguardo e discrezione. Faceva scrivere il nome e una dedica a chiunque partecipasse alle serate su un album, che man mano si riempiva così di versi inneggianti alla libertà e al patriottismo tanto da farlo diventare un documento molto pericoloso. Tra i numerosi ospiti del suo salotto ricordiamo Carlo Tenca, letterato e patriota, col quale Clara Maffei intrecciò una lunga e appassionata relazione che durò tutta la vita, pur mantenendo ognuno la propria autonomia. Durante il 1848 sostenne moralmente e finanziariamente i patrioti delle Cinque giornate di Milano, prodigò assistenza ai combattenti e ospitò Cristina di Belgioioso, arrivata a Milano con 300 uomini in aiuto dei rivoltosi. Il suo salotto divenne anche il punto d'incontro dei redattori del giornale patriottico di orientamento mazziniano “Il Crepuscolo”, su cui scrivevano di politica Zanardelli e Cattaneo. Con il precipitare della situazione e dopo i moti di Milano, Clara Maffei fu costretta alla fuga e riparò a Locarno. Ritornata grazie ad un’amnistia, fece rivivere il suo salotto, descritto come sempre aperto, accogliente e tanto famoso da ricevere un ritratto autografo di Napoleone III. Davanti alla casa di Via Bigli 21 una lapide la ricorda così: IN QUESTA CASA DIMORÒ TRENTASEI ANNI E MORÌ IL 15 LUGLIO

1886

LA C O N T E S SA C LARA MAF F E I IL CUI SALOTTO ABITUALE RITROVO DI INSIGNI PERSONALITÀ DELL’ARTE DELLA LETTERATURA E DELLA MUSICA FU PURE TRA IL 1850 E IL 1859 CENACOLO DI ARDENTI PATRIOTI TENACI ASSERTORI DELLA INDIPENDENZA E DELLA UNITÀ D’ITALIA


Luisa Battistotti Sassi 1824 –1876

Una eroina del popolo

Nasce a Stradella in provincia di Pavia il 26 febbraio 1824 e si trasferisce a Milano per il matrimonio con l’artigiano Sassi, andando a dimorare nel quartiere della Vettabbia. Luisa Battistotti, detta anche “la brunetta di borgo Santa Croce”, partecipa ai combattimenti ininterrottamente durante le Cinque Giornate di Milano. Viene ricordata per aver strappato la pistola di mano ad un austriaco ed aver intimato ad altri quattro di arrendersi. Mette da parte gli abiti femminili e indossa pantaloni e giubba, dando inizio alla prima barricata di Milano, a Borgo Santa Croce. Combatte intensamente e partecipa anche all’assalto di un deposito di munizioni sul naviglio. Non si ferma fino a che non si porta sulle guglie del Duomo, facendo sventolare la bandiera tricolore. Immagine che viene immediatamente diffusa per le strade dopo la vittoria. Il giornale “Il valore Italiano” narra uno dei molti episodi che la riguardano, descrivendola così: “… Ella era ardente nella zuffa e mostrava forza insuperabile di braccio e meravigliosa intrepidezza d’animo. L’amore alla libertà e l’odio anti austriaco moltiplicarono le sue forze. Era sempre in prima fila ove maggiore appariva il pericolo. Per cinque giorni non lasciò mai le armi e fu instancabile nel ferire, nell’incoraggiare e nel correre a portare soccorso di viveri a quelli dei suoi che, chiusi dal nemico, pericolavano di morire di fame… ” Anche Carolina Invernizio, nel romanzo storico “La trovatella di Milano” pubblicato nel 1889, rievoca quelle giornate e nel secondo capitolo intitolato Cuore di popolana scrive: “Nel 1848… vi fu la Luigia Battistotti maritata Sassi, la quale deposti gli abiti femminili, sotto le spoglie di fuciliere, corse nelle vie a cercare il pericolo, incoraggiando ovunque, colla sua presenza, i combattenti; anche la Giuseppina Lazzaroni, una bella giovinetta milanese, che seguì a Ponte Vetero il fratello e combatté intrepidamente al suo fianco, comunicando il suo ardore agli altri, facendo prodigi di valore… ”. Per le sue azioni le viene attribuito un premio dal Governo Provvisorio che volle onorarla riservandole con Pasquale Sottocorno il posto d’onore in prima fila insieme alle autorità nel Duomo di Milano per il solenne "Te Deum", celebrato dopo la cacciata degli austriaci, e riconoscendole una pensione di 365£. Vitalizio che non le fu possibile riscuotere perché costretta all’esilio dopo il rientro degli austriaci a Milano. Ripara dapprima in Piemonte, poi parte per l’America e vi rimane fino alla morte, che la coglie a San Francisco nel 1876. La città di Milano, per onorare il suo eroismo, le ha intitolato una via.


La Provincia di Milano celebra il 150° dell’Unità d’Italia “in rosa”

ROSE D’ITALIA

il Risorgimento invisibile lombardo Spazio Oberdan, Viale Vittorio Veneto 2, Milano 28 settembre - 23 ottobre 2011

Il Presidente della Provincia di Milano On. Guido Podestà Il Vice Presidente e Assessore alla Cultura Dott. Ing. Novo Umberto Maerna

Si ringrazia tutto il personale della Provincia di Milano per la collaborazione e il supporto alla realizzazione della mostra

Un ringraziamento speciale a Museo del Risorgimento, Milano Fai (Fondo per l'ambiente italiano) Civica raccolta delle stampe “A. Bertarelli”, Milano Archivio storico Provincia di Milano Biblioteca di Palazzo Isimbardi

Foto di copertina: particolare, Episodio delle 5 giornate di Milano-1898 di C. Stragliati (Museo del Risorgimento di Milano)


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