Mai Molestin

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Mai

Scritti

MOLESTIN Scritti di Donne sulla violenza e il femminicidio Pietro Vanessi Con le vignette di:

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Mai Molestin Š AAVV



Mai Molestin

A cura di Pietro Vanessi



Introduzione di Alessandra Menelao Prefazione di Mara Romandini

Scritti e riflessioni di:

• Elena Pareti • Fiorella Perini • Sabina Vannucci • Paola Rambaldi • Patrizia Liva • Dora Det • Vicky Amendolia • Cinzia Cavallaro • Sabrina Vanessi • Francesca Targa • Rita Funaro • Monica Bianchetti • Elisabetta Pasi • Michela Buttaboni • Lucilla Masini • Monica Barresi • Antonella Paloscia • Veronica Frilli • Bianca Del Ninno • Agata De Nuccio • Toth Tunder • Kasia Pisarek • Tina Cannone • Marta Cocco • Chiara Meneguzzi • Antonella Verde • Anna Maria Perna • Renata Forni • Monica Palermo • Antonella Nardini • Daniela Cococcia • Simona Capobianco • Bruna Benelli • Chiara Zannini • Paola D’Amico • Antonella Morini • Alida Mazzaro • Rita Digenova • Miriam Boschian • Carmen Boi • Anna Laura Folena • Fernanda Belotti • Lidia Atzori • Alessia Granvillano • Annapaola Depaulis • Antonella Biordi • Maria Leonardi • Nadia Fabbroni • Gina Guida • Martina Zaccone • Alida Castagna • Veronica e Denise Molella • Nevia Furlanetto • Elisabetta Ansovini • Maria Luisa Tegon • Mirella Leotta • Marina Como • Margherita Verzilli



Il libro che mancava di Alessandra Menelao*

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* Alessandra Menelao. E’ Responsabile Nazionale dei Centri di Ascolto UIL Mobbing & Stalking contro tutte le violenze


Prefazione di Mara Romandini*

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anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femminicidio in Italia.passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. Finto testo con il pezzo di Mara sulla violenza contro le donne e i casi di femmi12

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* Mara Romandini. Avvocato, esperta e docente di sessuologia ecc ecc, qualcosa su di lei, in cosa è laureata e su quello che fa. Un bignami di 2 righe che ci racconta un po’ del suo curriculum.


Perché è nato questo libro di Pietro Vanessi

Come nasce un libro, francamente non lo so. Non c’è un’unica strada o un’unica ispirazione. L’idea di questo libro, per esempio, è nata da un gioco di parole, ossia dal titolo e dall’idea di raccontare, come fossero note su un taccuino personale, vite vissute, esperienze e riflessioni sul tema della violenza sulle donne e sul femminicidio in generale. Nessun saggio cattedrattico o riflessioni dotte, né tantomeno testimonianze ben condite dalla “vip” di turno ma un taccuino di donne “comuni”: lavoratrici, casalinghe, mamme, single, mogli, persone della società civile, persone anonime e senza “nomi di grido” o testimonial forzati. Solo donne che hanno avuto esperienza, più o meno diretta, col tema di cui si parla. Un tema che ho affrontato a più riprese nelle mie vignette e che ho pensato di raccogliere in questo strano block-notes, frutto di un lavoro collettivo che ha visto all’opera moltissime persone che generalmente non si espongono e che per lo più, tengono per loro certe impressioni, certi ricordi o certi fatti. Un libretto atipico, che non è fatto per vendere migliaia di copie e che non è frutto di abili operazioni di marketing, ma che nasce solo per dare voce a donne che raramente si esprimono o si espongono e che stavolta hanno trovato la forza di raccontarsi, nel bene e nel male. Donne che ringrazio fin da subito, qui. Comprese quelle che non hanno contribuito fattivamente al progetto perché non se la sentivano di rievocare fantasmi del loro passato. Il mio “abbraccio” va anche, e soprattutto, a loro. 15

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1. Non amo particolarmente le generalizzazioni ma penso che vi siano in natura caratteristiche fisiche/comportamentali comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne, a volte trovo divertenti battute ironiche su queste caratteristiche ma la cosa finisce lÏ. Gli eventi di cronaca che purtroppo ascoltiamo dai media mi hanno portata ad una riflessione. Uomini o donne che siano devono curare la gelosia ingiustificata e il possesso, capire da dove è nata l'idea che qualcuno possa

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possedere un altro essere umano. Occorre che ognuno di noi comprenda che le parole che usiamo quotidianamente scatenano queste violenze fisiche o psicologiche. Sento/vedo uomini che sostengono il diritto della donna di scegliere come vivere e dopo un secondo postare la foto di una donna seminuda con scritto “tr..a”. O donne che, pur di ottenere qualcosa, manipolano l'uomo a proprio piacimento fingendosi dolci e protettive per poi sclerare se lui dice ciao ad un'amica o se non si comporta come loro vorrebbero. Sento/vedo uomini che sostengono il diritto della donna di scegliere come vivere e dopo un secondo postare la foto di una donna seminuda con scritto “tr..a”. O donne che, pur di ottenere qualcosa, manipolano l'uomo a proprio piacimento fingendosi dolci e protettive per poi sclerare se lui dice ciao ad un'amica o se non si comporta come loro vorrebbero. Donne che insultano altre donne che hanno un comportamento, a loro parere “libertino” e magari fino al giorno prima hanno urlato al diritto di essere donne libere. Le istituzioni facciano il proprio dovere e noi prendiamoci la responsabilità di valutare quanto pesano le parole che pronunciamo. Inneggiamo tanto alla libertà ma siamo ancora prigionieri di una società che ci condiziona. © Elena Pareti

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2. Una cosa che mi colpì successa anni fa: era estate finestre aperte sotto casa e sentii due che litigavano. Mi affacciai e vidi che lui le mollò due schiaffi. Intervenni e gli dissi al tipo: “ma come ti permetti?

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Guarda che chiamo i carabinieri”. Lui zitto. Lei mi guardò e mi disse: “lei si impicci degli affari suoi!” Basita rientrai in casa. Non so che fine ha fatto quella donna ma certo che era la classica situazione in cui anche se le prendi non vuoi denunciare... © Fiorella Perini

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3. E mi son perdonata finalmente quella stupidità infantile quel bisogno e quella strada facile intrapresa senza guardar davvero a ciò che eri e mi son perdonata tutto il danno fatto per non aver riconosciuto quel tuo fingerti innocuo come sai quella recita sordida che fai quel veleno impalpabile che sei quell’apparente dignità che dai e finalmente mi sono perdonata niente più colpe d’ingenuità bambina e di comoda scelta e d’incoscienza mi ha prosciolta una amica, stamattina: “Tanto cieca... quanto eri innamorata!” © Sabina Vannucci 4. Mi fa venire in mente dell’estate che andai in discoteca a Milano Marittima con le amiche. A un certo punto ne trovammo una a baciarsi con uno sconosciuto, entrambi ubriachi. Il termine femminicidio allora non era ancora stato coniato, ma il tizio le raccontò della ex che l’aveva sfinito di gelosie e di come l’avesse strangolata nella sua auto nel posto tal dei tali. L’amica gli allungò una gomitata come a dire “certo che ne hai 21

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di fantasia!” e risero dello scherzo che aveva raccontato in modo così realistico. Ci riaccompagnò alla pensione dove alloggiavamo dicendo che era lì solo di passaggio. Solo il giorno dopo leggemmo la notizia sul giornale, con tanto di foto della vittima coperta da un lenzuolo, nell’auto, nel posto tal dei tali, coi carabinieri intorno. © Paola Rambaldi 5. Penso che tutte noi, da figlie, da sorelle, da mogli... abbiamo sperimentato, in modo più o meno grave, la violenza in famiglia. E penso anche che per molte di noi diventa la normalità, un circolo vizioso da cui non si riesce ad uscire. Poi molto spesso ci sono anche le difficoltà economiche che ti tengono legata ad un rapporto malato. Le donne, molto spesso, dovrebbero essere aiutate economicamente, questo sarebbe sicuramente un punto da cui partire. Anche la signora di Latina, alla fine lei non è andata avanti con la denuncia perché aveva bisogno dell’aiuto economico del marito per poter far vivere dignitosamente le sue bambine. © Patrizia Liva 6. Chi commette un femminicidio, è uno spregevole essere che non accetta una donna che possa vivere e respirare anche senza di lui. © Dora Det 22

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7. Silenzio nel bosco intorno a me. Non sento più i canti degli uccelli e nemmeno fremere le foglie. Prima c’era un venticello piacevole che sembrava giocare tra i rami degli alberi dove gli uccellini si lasciavano cullare. Adesso tutto tace. Vedo il mio corpo abbandonato tra i cespugli, gli occhi sbarrati, la lingua nera, pendente fuori dalle labbra, gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite. Mi ha strangolato, il bastardo. Ha stretto le sue mani intorno al mio collo, stringendo prima piano, poi sempre più forte, con rabbia, poi con furore, scuotendomi come un fantoccio. ”E’ colpa tua!”- urlava- “Non dovevi lasciarmi! Lei non è nulla per me! Per me eri importante solo tu! Io amavo solo te”. E menomale che amava solo me! Mia madre, le mie amiche, perfino il parroco, tutti, proprio tutti non facevano che dirmi di lasciarlo prima possibile, che il suo non era affetto, che il suo era un amore malato. La mia vita era un delirio: quante botte mi dava per amore! Io, ovviamente, me ne guardavo bene dal fare qualcosa che potesse urtare la sua suscettibilità, ma non serviva a niente: ogni volta che, secondo lui, mi comportavo male, lui sentiva il bisogno di picchiarmi, perché solo così avrei “imparato”- diceva. Dopo un po’, per farsi perdonare, diventava l’uomo più dolce e affascinante del mondo, mi riempiva di regali, baciava e accarezzava i lividi che mi aveva procurato, giurando che non l’avrebbe fatto mai più. La cosa assurda è che io gli credevo, gli ho sempre creduto … o forse no. Forse gli volevo credere. Forse pensavo che non avrei 24

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avuto altre alternative, perché capivo che lui non mi avrebbe mai lasciata andare. E poi, dove sarei scappata? Chi mi avrebbe aiutato a sparire? Una volta i vicini, sentendo per l’ennesima volta urla provenire da casa nostra, avevano chiamato i carabinieri che erano subito venuti, se l’erano portato in caserma e poi il giorno dopo il magistrato ne aveva disposto il rilascio: quando lui uscì dalla caserma venne da mia madre, dove mi ero rifugiata, e picchiò selvaggiamente sia lei che me e questa volta non lo denunziammo. A che sarebbe servito? Lo avrebbero ripreso, l’avrebbero rilasciato e lui sarebbe ritornato a cercarmi per raddoppiare la dose. Lui si era poi fatta anche un’amante stabile, una ragazza di buona famiglia, una sua collega. Io lo venni a sapere, perché ci sono sempre le anime pie che te lo raccontano. Ma a me tutto sommato non dispiaceva: chissà se così mi avrebbe picchiato di meno! Chissà se mi avrebbe finalmente lasciata! Invece, forse fu proprio il fatto di aver intrapreso questa relazione che lo determinò ad uccidermi, anche se non voleva ammettere a se stesso che fosse questo il motivo: io non potevo permettermi il lusso di lasciarlo, perché ero “cosa sua”, ma lui poteva provvedere ad eliminarmi dalla faccia della terra. E ora… niente … Il mio corpo è buttato lì, sull’erba bagnata di brina e io non sento più niente, non ho freddo e non ho più paura. © Vicky Amendolia

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8. Deve assistere a questo spettacolo grave e dolente? Deve rimanere indietro sempre e farsi del male con gli occhi stanchi e nauseati? Deve far finta che non stia succedendo niente e prestarsi a un gioco truce e impavido? Deve? O può estrarre il pugnale e agire prontamente? © Cinzia Cavallaro

Non le corri incontro scappi. Non l’accarezzi più picchi. Non cerchi i suoi occhi uccidi. La lasci indietro. Scartala come avanzo di femmina putrefatto e pronto per il concime. © Cinzia Cavallaro Sguardo duro mascelle serrate denti frementi. Le tue mani l’hanno stretta troppo. Il tuo colpire le ha fatto male al cuore. Lei è più forte di te. Peccato che non lo sa dire. © Cinzia Cavallaro 26

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9. Non si è soli quando, vicino a te non c’è nessuno. Si è soli quando vicino a te c’è qualcuno ma è come se non ci fosse. © Sabrina Vanessi 27

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10. Ho deciso, oggi dico basta. Scarico la zavorra dalla mia mongolfiera e prendo il volo, indocile, indomabile, inafferrabile. Lascio il capo branco. Sento la brezza leggera del vento, taglio i fili del bucato, mi sporgo dal terrazzo, barcollo la testa pesa più del corpo mi capovolgo e finalmente cado, giù, senza più radici , senza più cappi. Oggi non è più giorno di lutto nell’assenza del confine mi lascio fluttuare nel cielo della libertà. Niente più domande, niente più bugie, ferite attenuate o camuffate, laddove tutto si stingeva come le sue mani sul mio collo, come i lividi sulla pelle color blu, verde e infine giallo ocra ora sento solo lo sfiorarmi dell’aria La bocca non è più sigillata posso parlare 28

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e tirar fuori l’urlo che per anni si è mangiato il mio buio. L’ombra che mi cammina accanto se ne va ed io smetto di guardare la vita da una finestra. © Francesca Targa

11. Io sono nata libera. Libera da pregiudizi. Libera da obblighi preconfezionati. Libera di scegliere. Tu invece no. Ma non è mai troppo tardi. Puoi. Scegliere di cambiare. Scegliere di rispettare. Scegliere di essere anche tu un uomo. Libero. © Rita

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Funaro


12. Sono distesa sulla branda. Il silenzio dell’alba m’avvolge, rotto solo da un respiro pesante, il fruscio di un lenzuolo tirato sotto il mento, un colpo di tosse. Fa caldo. Il tempo scorre, lento e appiccicoso. Cerco di non muovermi per vedere se riesco a prendere sonno, ma la pressione che sento al petto e alle tempie mi costringe a girarmi e rigirarmi. Sento ancora quegli sguardi umidi e bavosi scorrermi sul corpo. Allontano questa sensazione distogliendomi da me stessa, e vado col pensiero alla mia casa in Bosnia. Il silenzio dell’anima mi disincaglia dal presente e avverto un profumo, un po’ dolce e un po’ amaro, che mi conduce a me bambina, le corse sui prati, i piedi nel fiume, i fiori tra i capelli, le gare coi fratelli…“Corri, Slavenka…” La meravigliosa melodia del ricordo entra nei meandri del mio cuore, nei recessi della mia anima. I profumi sono pericolosi, ti riportano al passato. Ma non è tempo di ricordi. I ricordi feriscono. Le mie compagne di stanza dormono tutte, sono così stanche. Anch’io sono stanca, ma non dormo. Resto sveglia, in attesa del giorno. Ho come la sensazione di essere a pezzi, espropriata dal mio corpo, straccio da spolvero. Quanto vorrei essere qualcun altro… invece sono solo una lucciola che cerca di farsi passare per stella. Dei passi rimbalzano alle mie orecchie. Non è il brioso ritmo dell’altrui camminare, ma sono passi strascicati, trasversali, quasi 30

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un frastuono tonante. La porta s’apre. I sensi s’allertano. “Forza ragazze, in piedi…” la voce è cruda, grassa, rasposa come una lima. Odore di caffè e sudore, lustrore in occhi di un’avulsa noncuranza. Come tante crisalidi le ragazze escono dai loro letti disfatti come i loro volti, tristi farfalle stropicciate. Con rapidi movimenti di mani tentano di camuffarsi, si tingono le labbra di rosso e gli occhi di blu. Hanno imparato bene a fingere perché fingere è il loro mestiere, il mio mestiere. Scruto con uno sguardo vuoto i loro sguardi vuoti. Nessuna possibilità di scelta. Mi guardo le mani. Lo sporco sotto le unghie spezzate, lo smalto sbracchiato, l’odore delle ascelle…non sarò mai più sufficientemente pulita. Mi alzo e mi osservo allo specchio. La mia pelle è bianca, liscia, i miei occhi chiari e sinceri, d’un azzurro di cui nemmeno il mare può vantarsi, labbra rosee e piene. Strano. Sono ancora io. Questo volto innocente potrebbe ingannare chiunque. Chiudo gli occhi e rivedo l’uomo della sera prima. Mi dice che è sposato, che ha due figli,…perché allora è con me? Non importa, tanto io non sono con lui… Continuo a prepararmi. Cerco di nascondere le occhiaie sotto il fondotinta. Infilo gli stivali e la minigonna. Siamo pronte. Tra di noi regna uno strano silenzio, silenzio di parole non dette. Silenzio di anime alla deriva. Siamo solo merce in vendita. 31

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Cerco di trattenere un conato, di ringoiare la nausea che m’assale. Porto una mano al ventre. Una carezza… Comincia già a vedersi. Prima o poi lo scopriranno, ma intanto il segreto è solo mio e sogno già di amarlo. Unica cosa pulita tra tanta sporcizia. Abbasso lo sguardo e una lacrima mi cade sul dorso della mano appoggiata sul grembo. Sobbalzo. Non pensavo una lacrima potesse fare tanto rumore. La stanza delle donne lentamente si svuota. © Monica Bianchetti 13. “Non sono ancore di salvezza le braccia che ti stritolano. Sono macigni pesanti che ti portano a fondo togliendoti l’aria e la vita. Aggrappati agli aquiloni che leggeri ti portano via… verso l’azzurro”. © Elisabetta Pasi

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14.

Una donna non dirà mai cosa desidera perché adora aver vicino qualcuno a cui non dover chiedere nulla. Intuire è presenza, presenza è amore. © Michela Buttaboni

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15. Le molestie sono all’ordine del giorno, purtroppo statistiche impietose lo rivelano: oltre il 43% delle donne italiane le ha subite (di cui l’8,9% sul posto di lavoro). E questi sono i dati dichiarati, perché c’è chi, come me, per paura o disinformazione non ha denunciato, o perché dalla violenza l’uomo è passato al femminicidio, e la vittima non può testimoniare nulla, se non rientrando silenziosamente in una grottesca statistica di morte. Avevo 23 anni v-e-n-t-i-t-r-e, e oltre a frequentare medicina all’università, facevo la hostess di terra. Un giorno durante la pausa pranzo inforcai la bicy per andarmi a comprare un panino. Era l’una e mezza di un tiepido settembre, la sottana stretta e sopra il ginocchio della divisa d’ordinanza e le scarpe col tacco mi impedivano non poco la pedalata, ma noi donne siamo stoiche, e poi dopo quattr’ore e mezza in piedi mi sarei magnata pure le ruote del ciclo, quindi pedalavo in volata come Cipollini, mio concittadino. Lucca è circondata da mura meravigliose, respiravo a fondo il profumo dei prati mentre, all’apice della spensieratezza, percorrevo un vialetto sassoso prospiciente un baluardo baciato dal sole settembrino, ancora potente all’ora di pranzo. Ad un tratto sentii alle spalle sgommare una bici, un tizio mi raggiunse e bloccandomi il passaggio mi spinse a terra, mi saltò addosso, e allungando una mano dove purtroppo stava battendo la luce dell’astro a causa della posizione supina, mi domandò: “E adesso che facciamo”? La sua mano era lì, come un’arma impropria e impropriamente puntata verso la mia intimità. Io non so quale santa mi abbia dato la forza ( in un momento di 34

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shock in cui la mente è al buio e priva di connessioni) di ammollargli da sotto una pedata nelle gioie, di sfilarmi una scarpa, battergliela più volte non so dove e rinfilarla; fatto sta che quest’ometto viscido e inerme non fece in tempo a risalire sul mezzo e rincorrermi, ché nel giro di dieci secondi ero già un pun-tino trafelato all’orizzonte, a cavallo della sua fedele bicicletta. Pensavo solo a scappare, mi era passata la vita davanti, compresa la fame. Lacrimavo e pedalavo, cercando di dare invano spiegazioni al gesto di uno squilibrato, senza trovarne mezza. Che gli avevo fatto? Chi era costui? Perché si permetteva di rovinare la serenità di una ragazzina, cercando impunemente di violare il suo corpo? Che faccia aveva? Gli occhi, ecco sì, ricordo solo quegli occhi vuoti e impietosi… In quegli anni non c’erano i social, non eravamo molto informate, e i genitori cercavano amorevolmente (e forse erroneamente) di preservarci da qualsiasi tipo di orrori, anche e soprattutto di quel genere. Alla prima cabina telefonica chiamai il fidanzato che abitava a 50 km e mi gridò fino a perdere la voce di telefonare alla polizia, ma io ero apparentemente tranquilla, e mi sentivo forte ed orgogliosa per la prontezza del mio gesto, e soprattutto intimamente mi vergognavo molto, come se la colpa fosse stata mia che indossavo la gonna in bici, per andarmi a comprare un panino. In realtà mi ero infilata in una bolla di vuoto spinto per smorzare il panico, e in quell’area ristretta non entrarono più rumori ed emozioni per un lungo lasso di tempo. Ogni volta che leggo un fatto di cronaca in cui una donna è vittima di violenza le gambe mi si paralizzano, contrariamente ad allora, perché un'innocente non ce l’ha fatta, e mi logora il senso 35

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di colpa per non aver denunciato una bestia infame al momento, che avrebbe potuto molestare chissà quante altre donne, se non lo avessero internato. Quel flash mi ha rincorsa per anni (ma io sono più veloce di lui) ha popolato i miei sogni (ma ogni mattina so svegliarmi) mi ha dato soprattutto da pensare a quante ragazze se la sarebbero cavata al mio posto; se non avessi avuto i riflessi di una molla a quest'ora chissà quante paure e traumi e incubi e taboo sessuali mi perseguiterebbero. Di una cosa mi rammarico: non credo di avergli fatto tanto male, perché un uomo così, le palle non sa nemmeno di averle. © Lucilla Masini

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16. Oggi piango. E se piango non è solo per me, ma per tutte quelle che come me, si son viste schiacciare sotto terra, la loro tenera anima. La stessa donata ai loro carnefici, quelli che poi la ridurranno in polvere. Quanta tristezza c’è nell’accorgersi che la sensibilità umana, vive solo in pochi eletti. Per quanto tempo le mie orecchie hanno dovuto accettate frasi di ripudio ed umiliazione,malgrado l'amore, il brivido, l’abbandono. Eppure, mio carnefice, hai conosciuto i miei pianti e assaggiato la dolcezza dei miei occhi erranti su di te. Hai sfiorato le mie dita gelate. Sola venni a te, sfuggendo l'uragano che vedevo corrermi dietro e sola, torno a me, ormai esanime. E non può essere il destino, l’unico maledetto colpevole. © Monica Barresi 17. Ah !! Quanto onore maschile ha giustificato nel tempo quel padre, fratello, marito, amante, figlio per aver ucciso la traditrice ...e quanto poco ha funzionato quell’onore a non vendicare la stessa donna, figlia, sorella, moglie, amante, madre, ferita e uccisa da quella onorevole mano. Onore a tutte le donne... colpevoli di tradire una ipocrita tradizione. © Antonella Paloscia 37

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18. “La violenza è semplice. Le alternative alla violenza sono complesse” (Friedrich Hacker) La prospettiva sociale e politica della violenza di genere è largamente dibattuta, ma senza dubbio manca un’attenta analisi psicologica sulle cause di questo fenomeno che, senza in alcun modo giustificare gli atti di violenza o in qualche modo “discolpare” i colpevoli, è determinante per dare il giusto peso ai segnali di allarme e quindi, nei limiti del possibile, prevenire gli atti violenti, elaborando sul lungo termine strategie funzionali a ridurre e combattere concretamente il problema. Siamo immersi in una cultura dalla struttura linguistico-concettuale maschilista e patriarcale, ma che contemporaneamente rivendica con forza la parità dei sessi e l’emancipazione femminile, creando una sorta di doppio legame paragonabile a quello descritto da Bateson nell’esempio della madre che dice al figlio di amarlo ma contemporaneamente si irrigidisce al contatto o devia lo sguardo, creando un secondo legame invisibile e contrario derivante da un linguaggio non verbale e paraverbale non congruenti a quello espresso verbalmente. Tale meccanismo è all’origine, nel bambino, di un’incapacità di codifica del tipo di comunicazione veicolata dalla madre e poi, per estensione, della perdita di un criterio di codifica verso la realtà in generale. “La violenza è una mancanza di vocabolario” (Gilles Vigneault) Ogni volta che un uomo è violento, tale reazione nasce da un sentimento di helplessness, di fragilità, considerata inaccettabile so38

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cialmente per un maschio, alla quale egli cerca di resistere usando la violenza fisica nel vano tentativo di coprire la sua paura e il suo dolore. La violenza è per molti uomini la conseguenza del tentare di controllare uno stato depressivo senza accettarlo e deriva da sentimenti di umiliazione sentiti come inaccettabili: spesso queste persone sono cresciute in ambienti violenti, essendo umiliate o maltrattate o minacciate o trascurate gravemente dalle figure di riferimento. I disturbi di personalità, di cui sono affetti circa l’85% degli uomini maltrattanti e abusanti (a fronte del 15% della popolazione), hanno una genesi familiare ed è importante dunque che sin dall’infanzia la scuola rappresenti un fattore di protezione rispetto ad alcuni contesti familiari potenzialmente dannosi. “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (Publio Terenzio Afro) Nella nostra società il doppio legame citato si concretizza frequentemente nel fenomeno del sessismo benevolo, caratterizzato da uno slancio apparentemente positivo dell’uomo nei confronti della donna, la quale spesso diventa oggetto di attenzioni e protezione. In questa direzione vanno letti i comportamenti spesso paternalistici dell’uomo nei confronti della donna, la volontà di preservarla da compiti troppo onerosi e tutti quegli atti da “uomo d’altri tempi” che sottendono un’immagine di donna da proteggere, difendere, controllare. “Nulla che sia umano ci è estraneo”, dunque è necessario abbandonare l’impostazione dualistica secondo la quale il mondo è diviso tra uomini razionali e uomini che uccidono le donne: più si rappresenta la violenza come emergenza che riguarda solo alcuni, più 39

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la si può considerare estranea alla nostra “normalità”, come un segno di pazzia, di una barbarie da allontanare dopo aver sfogato commozione o indignazione per passare ad altro tranquillizzati, ma di un rilevante problema che riguarda la nostra società, la nostra cultura, il rapporto con la diversità e con il cambiamento sociale e personale. “Soltanto i deboli commettono crimini: chi è potente e chi è felice non ne ha bisogno” (Voltaire) Educare fin dall’infanzia sia i maschi che le femmine a riconoscere, accettare e regolare le proprie emozioni, tollerando le frustrazioni senza passare ad atti lesivi o autolesivi, è determinante per una prevenzione efficace: un’alfabetizzazione emotiva, uno spostamento del focus sulle relazioni e una nuova attenzione all’altra faccia della medaglia nella violenza di genere, della quale si parla soltanto dal punto di vista della vittima e mai di ciò che spinge un uomo ad usare violenza, sono necessari per allargare la lettura ad aspetti psicologici utili ad educare alla relazione e combattere la violenza di genere. © Veronica Frilli

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19. Non cercare di spiegare a me cos’è l’amore, che non ho nessuna voglia di ricordare come siano stati quei battiti di cuore, quel furore di adrenalina, quei tremori e la paura, non so quale più forte, che tu tornassi o che non ritornassi più. Di questo sono morta due volte. © Bianca Del Ninno

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20. L’amore resiste. Nel guscio di una noce io bambina mi rifugiavo dagli uomini e la vita l’essenza della tenerezza rubata da una mano senza testa il cuore mi batteva dalla rabbia anima persa io, leonessa in gabbia e mi dicevano, chiedi perdono a chi ha rubato e ucciso il mio sogno E non ci sto, non ci sto a perdere un’altra volta il muro di silenzio diventerà una porta, per aprire il cielo amore voglio, amore vero. Nei petali di rosa ho incartato le spine del tempo rimasto nell'ombra posa le tue mani , sopra un fiore non usare violenza con gesti e parole. L’amore esiste, resiste nel tempo di un abbraccio. © Agata

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De Nuccio


21. La Donna deve partire dal rispetto di sé stessa. Nel momento in cui ti rispetti, agli altri non dai spazio ad equivoci e interpretazioni sul tuo carattere e sul chi sei. è l’unico modo per selezionare le persone “a priori”. Non bisogna avere paura di rimanere sole o ferire le persone perché non siamo come ci vogliono loro. Nel momento in cui rinunciamo al nostro essere, ci mettiamo in condizioni di poter essere manipolate o gestite secondo l’esigenza dell’altro. Da lì comincia il lento gioco al massacro interiore, ai sensi di colpa che l’altro ci trasmetterà sempre più frequentemente e diventerà la “normalità”. L’unica responsabilità che abbiamo è quella di volerci bene. © Toth Tunder

22. Mio gentiluomo violento Pensa prima di alzare la voce, Pensa prima di infliggere un colpo, Pensa se ne vale la pena Fare del male nel nome dell’amore Fare del male per un senso di superiorità, Pensa se in me non vedi una parte di te, E ricordati quando qualcuno maltrattava pure te. Pensa ma soprattutto, fermati! © Kasia

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Pisarek


23. Ma poi... perché questo accanimento sulla violenza delle donne! E perché no, su quella degli uomini? Ve lo siete mai chiesto, “maschi” ? © Tina Cannone

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24. P. All’improvviso si sentì prendere da dietro. Col tacco pestò il piede dell’assalitore tutto in ritardo, lavoro accumulato, cazziattoni vari e nuove scadenze. “Non ho tempo neanche per me e ora ci sei tu che vuoi farmi chissà cosa! Eh no bello mio! Sicuramente sei qua per farmi del male, violentarmi! Dio solo sa cosa, perché non riesci ad avere neanche una sana relazione con qualcuno e ti scattano i grilli strani per la testa! Ma che si fa così?! Si prende una persona alle spalle per farle del male? Ma che problemi hai? Sicuramente non hai saputo gestire la cosa e lo fai con la violenza!? E’ una cosa ri-di-co-la! Senti, reggi la spesa che non trovo nemmeno le chiavi che per colpa tua sono cadute”.. Il malintenzionato si trovò spiazzato non sapeva come reagire, cosa dire o fare. F. l’aveva lasciato. Voleva vendicarsi ed era livido di rabbia! “Me la prenderò con la prima che capita” aveva pensato, ma non aveva messo in conto P. che ultimamente aveva le balle girate già di suo. “Perché lei ha ragione, ho fatto una stronzata, ma cosa avevo in mente?! E ho pure la spesa di una sconosciuta in mano. Ora la lascio qui e me ne vado, zitto zitto...” Intanto P. aprì la porta. “Oplà, aperta anche la porta!” Si girò e vide che il tizio non c’era più. “Boh... vabbhè, con questo dichiaro chiusa la mia giornata” facendo spalluce e chiudendosi la porta alle spalle. © Marta Cocco

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25. Le cadute non sono cascate. Il sangue non è acqua. Spezza la violenza sulle donne. Donale solo viole. La donna è bella e intelligente. Senza sce e senza ma. Se non tiri fuori gli artigli, ti uccideranno dall’interno. © Chiara

Meneguzzi

26. Francesca come i suoi occhi neri e veri. Come il suo sorriso grande, le sue braccia aperte, la sua anima bella. Come il suo corpo ferito, l’anima lacerata, i sogni calpestati. Come il suo coraggio, la sua fermezza, la sua dignità. - Da quando ho chiesto la separazione lui mi segue ovunque, mi controlla, mi minaccia. Ma è per loro che lo faccio, me l’hanno chiesto loro. Mi hanno detto mamma, lui ora deve andare via, ci pensiamo noi a proteggerti. I miei ragazzi, capisci? 46

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Lui non fa più la spesa, non paga più il mutuo, mi ha tolto tutto: i soldi, l’auto. Ma loro, loro sono la mia forza, è per loro che andrò fino in fondo. Perché loro sì che saranno uomini veri. Lo dice con i suoi occhi neri e veri, lo sguardo dritto e fiero e la sua anima bella. Francesca si allontana, mano nella mano con i suoi bambini, si volta e mi regala il suo sorriso grande. L’ultimo che avrei visto. © Antonella Verde

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27. Chi conta e chi balla. Non guardo mai la tv. Se capita cerco di seguire un telegiornale e facendo zapping, un giorno mi sono imbattuta su Rai Due, nel tg dell’una. Ho notato che hanno il conta-femmine morte dall’inizio dell’anno! Una roba raccapricciante ma col senno di poi mi sono detta che forse tenere il numero di donne morte per mano dei loro uomini, serve.

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Eh, ma a cosa? A chi? Oggi passa una notizia e già in cuor mio so chi è l’assassino, siamo abituati ormai a capire al volo, tra le mille incertezze del giornalista di turno, chi possa essere il colpevole di tanto orrore. Sapere il numero, costantemente aggiornato, di quante donne sono morte fino all’ora di pranzo, a me, donna, non serve. E credo non serva nemmeno per scoraggiare i futuri assassini. Invece guardo con piacere Jessica Notaro mentre volteggia da Milly, il sabato sera, con i suoi capelli posticci, l’occhio bendato, il volto sfigurato dall’uomo che diceva di amarla. Io la trovo angelica. Fa impressione a cercare di immaginarla com’era prima. Intanto il mostro che le ha sfregiato il volto con l’acido fa l’offeso in galera, adducendo che la sua ex si stia facendo pubblicità. Pure??? Pubblicità di cosa? O piuttosto prova vergogna che milioni di persone ricordino che esiste un mostro del genere che è stato capace di ferire così profondamente una donna, e che non è riuscito a zittirla allora e non ci riuscirà nemmeno ora? Propongo quindi il contauomini assassini in evidenza, con tanto di nomi però! Quello si che sarebbe un pugno nei coglioni, a chi si è reso colpevole e a chi sta progettando di farlo. Vorrei non saper contare. © Anna Maria Perna

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28. Mia mamma era nata nel 1919 al nord. La sua mamma è morta quando lei aveva 7 anni. Le sono rimasti, purtroppo per lei, cinque fratelli e un padre tutti padroni della sua vita. Purtroppo per lei perché il suo dramma è stato avere una famiglia maschilista che l'ha costretta, nonostante fosse una bambina intelligente e sveglia a fare la serva di sei uomini. Povera mamma, sì la serva, perché non fa differenza essere nati al nord o in qualsiasi altro paese del mondo, se la tua famiglia è composta da uomini ignoranti e pieni di pretese e di boria. Essere presa a sberle se osava mettere da ragazza un rossetto: quelle cose erano solo per prostitute. Quando gli uffici pubblici, durante la guerra, hanno richiamato donne a svolgere le mansioni degli uomini al fronte, i suoi fratelli le hanno proibito di lavorare. Per una donna lavorare fuori casa era poco decoroso. Per fortuna finita la guerra ha incontrato mio padre, uomo generoso e mite. La vita è diventata più serena, ma lei ha continuato a fare la casalinga perché quello era il destino delle donne sposate. E comunque i coi fratelli non hanno mai smesso di sfruttare la sua generosità e di sindacare sulle sue scelte. Ascoltavo da bambina i suoi racconti e pensavo che forse Cenerentola era esistita davvero. Da ragazzina, è cresciuta in me la rabbia perché trovavo il mondo 50

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popolato di maschilisti prepotenti e prevaricatori. E così sono arrivati gli anni della contestazione femminile. A cosa è servito lottare tanto? Siamo tornati indietro o forse abbiamo avuto solo l'illusione di poter cambiare le cose? © Renata Forni

29. Si pensa sempre alla violenza da parte di un uomo, non ho avuto uomini che mi hanno usato violenza, se non un padre severo. Violenza può essere anche da parte di un’amica, una sorella, un collega/datore di lavoro. Violenze psicologiche in primis. Un livido passa. Una ferita dell’anima resta. Una frase detta o non detta. Le abbiamo dentro, col tempo si riescono ad arginare, magari anche con un aiuto terapeutico. Sono lì, in stand by, ma basta un attimo affinché riaffiorino. E si soffre di nuovo come fosse proprio quel giorno, con lacrime di un dolore che fa ancora male. Non sempre ne parliamo, sono vissuti privati, nascosti agli occhi dei più, solo chi ci conosce può capirlo. Si inventa una scusa, si cerca di sorridere, è meglio che i ricordi non prendano il sopravvento, riaccenderebbero il passato, lontano, ma ancora presente. © Monica Palermo

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30. è che vorresti stare alla larga dai problemi, non puoi sentirteli addosso tutti... ma... come si fa a restare indifferenti di fronte all’ennesimo delitto ormai ribattezzato "femminicidio"? Ho evitato di approfondire ma...”bruciata viva” ...passanti che tirano dritto... no...è davvero troppo!!! E allora ecco che torna un fortissimo senso di angoscia, impotenza... ecco che ti torna alla mente un occhio nero... non il tuo... ma quel nero ti si è stampato nell’anima e riaffiora ogni volta che senti storie così. I femminicidi continuano perchè maturano in una cultura che non ammette, ancora oggi, che una donna possa cercare, volere più libertà... perchè la donna è una proprietà e delle proprietà si può fare ciò che si vuole... persino ucciderle... disfarsene! Uomini, ricordatelo... il colore dell'amore è rosso passione... come il papavero... non viola tumefatto o peggio... nero bruciato... © Antonella Nardini

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31. Era una bambina di nove anni quando capì certe stranezze della vita ma soprattutto quelle del sesso maschile. Erano gli anni dove si giocava per strada, sui marciapiedi con le biciclette, i pattini, la palla, le biglie, la campana e la corda. Un’infanzia spensierata, senza paure e drammi sociali. Aveva uno zio che spesso le chiedeva se volesse fare un giretto con la sua vespa, a lei non interessava, tutta presa a giocare con le sue amiche. Spinta dalla curiosità e insistenza dei suoi amichetti invidiosi, decise di accontentarlo. La prima volta chiese di mettersi dietro a lui, si sentiva più sicura con le braccia intorno ai suoi fianchi. Quando tornò dal giretto della piazza, i suoi amici le chiesero cosa si provasse, io non avevo avuto nessuna emozione. A distanza di giorni, suo zio le richiese se volesse fare un altro giro in vespa. Lei le disse di sì ma invece che dietro la mise davanti a lui dicendole che era più sicuro essendo piccola. Non poteva immaginare quale fosse il suo proposito... Si teneva sempre più vicino a lui e sentiva il suo membro farsi duro. Si stringeva sempre più a sé e se solo si allontanava... chiese di scendere. Lui insistette promettendole di portarla a prendere un gelato. Si misi a piangere e la portò a casa. Non disse mai niente a nessuno, tanto nessuno lìavrebbe creduta. Perché piccola com’era doveva provare piacere e magari un orgasmo con lei? Oggi come ieri cosa è cambiato? Noi bambine, donne, mamme siamo sempre oggetto di desiderio e di morte fisica e psicologica. © Daniela Cococcia 53

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32. Ogni giorno nel mondo, una donna si sveglia e sa che dovrà fare, dimostrare e difendersi più degli uomini. Quella donna, che nella stragrande maggioranza dei casi è stata cresciuta anche da un uomo con tanto amore, dovrà acuire i sensi per captare l’opportunità, e sentirne il pericolo. Quella donna a cui si, sono state raccontate le favole, è la stessa a cui è stato insegnato il coraggio e la determinazione con l’esempio e storie di successo al femminile. Non importa la sua educazione, i suoi titoli o il suo modo di vestire, prima o poi ogni donna dovrà confrontarsi con l’ignoranza e la paura di certi uomini, di certi branchi. Dovrà sperare di non imboccare un corridoio buio da sola, dovrà temere di perdersi nelle meraviglie di una festa di piazza o semplicemente dovrà stare attenta alle porte che si chiudono dietro di lei in un ufficio. Ogni giorno quella donna uscirà di casa da principessa e ne tornerà guerriera. Non importa che tu sia protagonista o spettatore, ogni volta che una donna subisce violenza se non ti ribelli, se non fai qualcosa per cambiare, se non fai tutto ciò che in tuo potere per sedare gli animi, tu stai fomentando la guerra. Che tu sia uomo o donna l’importante è desiderare la pace. Lavorare sempre per ottenere uguaglianza, rispetto e amore! … e non dimenticare mai, noi donne siamo la maggioranza! © Simona Capobianco

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33. Per me solo rose gialle. “Non sono morta subito, ho avuto il tempo di pensare e di chiedermi quali sbagli avessi commesso per arrivare a questo punto. Me n’è venuto in mente solo uno: aver sposato la persona sba-

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gliata. Ci vuole fortuna anche in questo, o meglio tocca stare con gli occhi aperti, non farsi sfuggire niente, non trascurare certe frasi di gelosia e di possesso, o che ti mortificano e ti annientano. Non bisogna giustificarlo sempre perché è stanco, in fondo lavora per due, perché ti ha fatto lasciare il lavoro… Io invece per la speranza di far tornare tutto come i primi tempi, nascondevo qualunque segno con il trucco, ero diventata un’esperta a coprire i lividi, ma questo taglio alla gola, non credo sarei mai riuscita a farlo sparire. E così me ne sono andata, senza aver dato un senso alla mia vita… Chissà forse parleranno di me, ma io non lo saprò mai perché sono già morta”. © Bruna Benelli

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Ero una donna, ma non consapevole di esserlo. Conoscevo il dovere, ma non il diritto, quello no. Ho giurato di non restare in silenzio, dopo quella notte, e per tutte le altre in cui una donna è costretta a subire sofferenze o umiliazioni. "TOC TOC". Chi è, diavolo. Sono arrivata 2 mesi fa, ho perso il lavoro, si quello che "posso fare anche studiando" e ora devo cominciare da capo. Torno a casa? No, sono arrivata fino a qui, in Inghilterra e ci rimango. Cosa dovevo fare? Ah sì: qualcuno alla porta. Shiv Nagar ha 25 anni compiuti da poco, una carriera universitaria già predistinata al successo, e un lavoro che lo attende al termine dei studi. Chiara Yao, ne ha 26 e si é appena laureata. Entrambi sono a Oxford, per delle ragioni diverse, appartendo a classi sociali diverse. La loro storia inizia nel più romantico dei modi: una rosa, una bicicletta, un panino. Devo assolutamente trovare un lavoro migliore, io non voglio chiedere soldi ai miei. La vacancy... quella là... cavolo? Come si chiamava il sito? Cosa? Sono già le 9? Devo cominciare al ristorante: 10-17. E poi la scuola, alle 18. Oggi, ho il tiricinio? Devo controllare. CHI è ALLA PORTA? Grandi sono le promesse: l'incontro con i contatti giusti, il progetto di vivere assieme, l'aiuto economico, e l'incontro con le famiglie. Shiv é empatico. Shiv é gentile. Non ha dubbi, ho insicurezze. É impegnato e si distingue per la classe: un'eleganza innata nei movimenti. Mi sveglio tra poco, dieci minuti. Comincio ad essere stanca. Da quando non mi diverto più? Una serata con

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le amiche, leggera e frizzante. Chissà se Shiv sarà d'accordo. Mi ha espresso la sua tristezza quando, 2 settimane fa, sono stata al museo con Katherine. Gli ho dato tutte le password per metterlo tranquillo, per rassicurarlo che, anche quando non sono con lui, sono sempre per lui. Boh. Mi alzo nel buio. Socchiudo la porta dietro di me: a Shiv piace l'odore del caffé. Schivo, infastidido dagli odori del mondo comune. Shiv preferisce i locali di nicchia, in cui si ritrova al centro dell'attenzione. Shiv pensa di essere la cosa più migliore che potesse capitare nella vita di Chiara. Lui vi é entrato per cambiare quella vita: i vestiti, l'alimentazione, il taglio di capelli, le opinioni politiche, i gusti musicali. Comincio a non capirci più nulla. è entrato al ristorante, mi ha chiamato Puttana davanti ai colleghi. Mi ha accusato di averlo fatto sbattere fuori di casa : é colpa mia se é sempre nervoso. Che gli succede? Eppure ha passato l’ultimo esame universitario. Eppure ho rinunciato ad uno dei due lavori. Saranno 6 mesi che non vedo la mia famiglia. Mi mancano tutti. Aspetta. Sarà mica perché non ho fatto la spesa? Che cavolo! Stasera veramente dobbiamo parlare. Volevo anche festeggiare. Chiedo in cucina di preparmi qualcosa da asporto: cosi tra un buon boccone e un buon vino, forse, riusciremo a chiarirci. Quella notte Shiv oltrepassa il limite. è arrabbiato perché Chiara ha trovato un lavoro migliore, un lavoro che la porterà a viaggiare ed essere felice. Quella notte Shiv non la prende per il braccio. Spalanca la porta della camera in cui Chiara sta per mettersi a dormire e la prende per il collo. è un momento di deboli palpitazioni e di respiro spezzato. Capisco tutto. Ora la mia visione é limpida. Non é il mio sesso, non é il mio genere, non é un dovere. L’esiguità della mia condizione é da imputare a me stessa. Non sono inferiore. Devo alzarmi. 58

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Devo lottare. Non voglio lasciarmi intimidire. Forza del fallo: stupida, infame, ingiusta. Non devo essere salvata. Sono io che comando. Sono io che scelgo. Devo arrivare alla porta e chiuderla per sempre. © Chiara Zannini 35. Disprezzo. Che follia, quale donna vorresti esser tu con quelle macchie nere sulla pelle? Miserabile Vana Speranza Unica colpevole; Maledetta la tua debolezza, tu, prigioniera di menzogne; che dici di scappare e poi ti rifugi nell’oscurità di quella sporca figura Non confonder la dea notte, madre protettiva; con l’ombra d’un folle E sadico assassino Che dice di provar affetto e poi leva il pugno in alto; Che dice d’esser superiore Che blatera e commenta, divorato vivo e masticato Da quella bestia d’ignoranza Oh, vorresti ora prender il coltello in mano? Immagini già il rosso, vedo, ma sulle carni sbagliate Tu, pazza! Allora è vero che ora a te bada solo la miseria! © Paola D’Amico 59

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36. Lividi. Di nero seppia, il viso si tinge di lacrime e dolore. Dimora nella mente, l'assiduo pensiero. Un brivido annuncia il suo arrivo e cala di colpo la notte, come un'eclissi, presagio di sventura. Sento i suoi passi, pesanti come pietre e la paura, si fa strada nel mio cuore, i battiti accelerano e il respiro, diventa aanno. Un giro di chiave e la porta si apre; Dio! Dove sei? Ti cerco in una preghiera, forse sarà l'ultima!? Un odore nauseabondo di alcol, fuoriesce da quella bocca di fuoco, ed ecco la rabbia, scatenarsi sulla mia faccia, lividi che urlano giustizia. 60

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Con voce tremula, imploro “BASTA!” Per un demone, il basta, non esiste. © Antonella

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Morini


37. A chi dirlo se non serve? Un mese prima Lei aveva avuto un incidente d’auto, una di quelle esperienze che cambiano la tua vita e forse anche quella degli altri. La tua certamente. Non era morta per puro caso, anche se sappiamo che il caso non esiste. Esistevano però una frattura della scapola e della clavicola, un labbro spaccato e lividi ovunque, oltre alla perdita di memoria e di coscienza di sé, per fortuna (o forse no) riprese. Le avevano ingessato il braccio, per poi decidere che ingessare non era più di moda, ed allora le avevano messo un tutore quasi invisibile incrociato in mezzo ai seni che sosteneva oltre i seni anche la spalla. Amici di amici di amici di amici si erano preoccupati di farla visitare dal super primario della cittadina di provincia nella quale viveva. Il medico era uno di quelli importanti, di quelli che erano l’orgoglio della regione, di quelli che seguivano la squadra di calcio di serie A, di quelli che “per fortuna che c’è Lei, Dottore”. La prima visita era stata frettolosa e con qualche sorriso di convenienza. Fu molto più difficile coordinare la seconda, Lui aveva problemi, era un medico di quelli che oltre a visitare operava e aveva sempre pochi minuti da dedicare alle persone che stavano più o meno bene. Quando Lei si presentò alla segretaria, le fu detto che il medico poteva vederla 5 minuti, tra una operazione e l’altra. Nel piccolo atrio dietro alla sala operatoria. Lei era bella, da sempre intrigante e molto desiderata dagli uo62

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mini. Ora l’incidente l’aveva resa più fragile ed il corpo era ancora tumefatto. In quei mesi era e si percepiva piccolo animale impaurito ed indifeso. L’incidente era stato un’ esperienza devastante, le aveva cambiato la vita i sogni e la realtà. Negli occhi le si leggeva ancora la paura della morte. Aspettava il medico. Anzi Primario di ortopedia. Quando Lui uscì, le sorrise. “Fammi vedere come sta la spalla” Era un uomo sui sessanta anni, per Lei un uomo vecchio e privo di attrattive. Ed anche se fosse stato giovane e attraente, non se ne sarebbe accorta, non era proprio il momento. Si aprì il vestito. Era una cosa che le dava sempre imbarazzo, farsi vedere seminuda. Il primario la guardò. Con gli occhi la valutava. Valutava Lei, non la sua spalla. Lei se ne accorse. Pochi secondi, Lui le si avvicinò, iniziando a palparle i seni, spingendola con decisione e prepotenza verso un angolo. Fu lucida, reattiva, riuscì a svicolare in fretta ed ad andarsene. Non disse nulla. Erano i primi anni ottanta, nessuno avrebbe dato importanza e ascolto ad una donna che era stata “solamente” infastidita da un medico potente ed importante. Le avrebbero detto che era stata certamente lei, donna separata ed autonoma, donna che viveva e viaggiava da sola a sedurre un uomo anziano e talmente sensibile da essere ancora sedotto dalla bellezza femminile. Lei, malata, non esisteva. Le storie del mondo sono state scritte dai uomini e le donne ne hanno scritto i sottotitoli. Iniziamo a scriverle noi, donne. © Alida Mazzaro 63

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38. Vittima e carnefice Credi di non esserne degna ma, dici, non puoi vivere senza di LUI Cerchi la sua mano ma trovi una lama, tagliente come la sua lingua affilata, a sigillarti il respiro e la bocca che avresti voluto chiusa da un bacio. Con lui non puoi vivere, puoi solo morire. © Rita Digenova 38. Dio che vita , che fantastica vita ,sempre alla ricerca di quel non so che ....manca , manca sempre e non sai neppure cosa sia ! Nasciamo senza volerlo e moriamo senza desiderarlo è in questo lungo o breve periodo, tra questi due verbi , viviamo. Esperienze ! La vita ne è colma , belle da ricordare e brutte , spaventose , da dimenticare , da sotterrare ...Vivi cercando , non smetti mai e non ti senti mai completamente felice . Ti domandi cosa o chi possa rendere meraviglioso questo cammino ...forse i figli, siano loro i nonsochè? Ma quando arrivano capisci che non devi addossargli la tua se64

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rena felicità perché ami e amare significa lasciare andare quindi continui la tua ricerca. L’amore? Pensi, ahhh se avessi un amore tutto mio, solo mio, allora si saprei gioire! Ti sposi, diventi tutto ciò che ti hanno insegnato, moglie, amica, amante, mamma e Dio solo sa cos’altro dovremmo essere! Un giorno ti svegli ed hai tutto eppure ...quella vocina dentro che prima non avevi tempo di ascoltare perché “dovevi essere perfetta nel tuo ruolo prestabilito” inizia a bisbigliare e tu fingi di non sentirla, hai tutto! Che vuoi vocina impertinente??? Passano giorni, mesi, anni e il bisbiglio si trasforma in voce è in urlo, non puoi più far finta che non esista, diventa irriverente, assordante e non ti fa riposare giorno e notte, sei costretta a riprendere la tua ricerca ma i passi che fai per trovare questo nonsoche ‘ calpestano le persone che ti stanno vicino, distruggi gli altri che non comprendono per non distruggere te stessa! Il cammino riprende, gli anni passano e stai ancora cercando, non sei più giovane, non sei più fresca, non sei più ...ma non puoi smettere di chiederti dov’è? Cos’è? Poi d’un tratto ecco ...lo sai! è un vento leggero che che ti sfiora i capelli, una passeggiata, una melodia improvvisa, un sorriso che esce dal cuore senza che te ne accorga, la vita ! © Miriam Boschian

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39. Lo sapevi che sarebbe successo fin da quando, così, all'improvviso, ti aveva colpito in pieno nel viso. Il motivo, diceva, eri tu Incapace di dargli di più. Ti era uscito neppure un lamento Nonostante l'intenso magone Il guaio era pensassi che avesse ragione. Adesso sei il numero di una serie di donne, in prima pagina col tuo sorriso, che non è più perché un uomo che amavi un certo giorno alla fine ha deciso che schiaffi e botte a tutte le ore non esprimevano a fondo il suo "amore". Ogni donna picchiata da un uomo Che non si ribella con l'urlo del tuono Che soprassiede pensando sia un caso Che cede all'abbraccio col sangue dal naso Che crede alle scuse e ad un amore narciso Diventa simile ad un fiore reciso E pagherà ogni futuro sorriso 66

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a quelle scuse dal gusto banale. Pur sapendo che non servono a niente... Porteranno di nuovo, e soltanto, altro male. © Bianca

Del Ninno

40. E' difficile da accettare, ma la realtà mi ha colpito in tutta la sua durezza, sono stanca, avvilita! L’amore non è quello che mi raccontavano i miei nonni, con lunghe passeggiate mano nella mano, notti di passione; un sentimento che ti travolge ed è capace di illuminare le giornate più buie. Oggi però tutto va di fretta, anche l’amore, nessuno è disposto ad aspettare, a valutare e questo è l'errore... il mio! Ogni uomo nasconde dei segreti... piccoli o grandi... il mio nasconde il segreto peggiore: la violenza. Sono una donna che aveva bisogno di stabilità, di sicurezze, di amore; quando conobbi Marco mi sembrò una ventata di aria fresca... bello, simpatico, spiritoso, coinvolgente... mi corteggiò in maniera sfrontata per giorni fino a quando non cedetti alla sua corte. Avevo voglia di scoprire l’amore, di lasciarmi andare alle emozioni, che mi procurava il solo fatto di stargli accanto. Le farfalle ormai dimoravano fisse nel mio stomaco. Il “mostro”, ricordo, che iniziò a manifestarsi con dei rimproveri, per delle sciocchezze, poi iniziò con le urla, improvvisamente i 68

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miei pregi erano diventati difetti... la rabbia dominava la sua persona. Dalla violenza verbale a quella fisica il passo fu breve, dopo pianti, scusa... fino a quando spariscono anche quelle. Basta! Bisogna dire basta! Non è amore questo, lui non mi ama, ma neppure io amo me stessa. Mi guardo allo specchio... rivedo la donna che ero una volta, combattiva e serena.... ho deciso! Chiudo la porta, vado a denunciare Marco... vado a denunciare il suo segreto. © Carmen Boi 41. “Ho picchiato la fronte contro una finestra aperta”, mi hai detto. E ti ho creduta, perché siamo amiche e ci siamo sempre raccontate tutto. “Ho sbattuto contro una porta”, mi hai assicurato, mentre guardavo il tuo labbro tumefatto. E ti ho creduta, perché qualcos’altro mi sembrava impossibile. “Sono scivolata in bagno”, mi hai detto indicando uno zigomo viola. E ti ho creduta, perché un’altra spiegazione mi avrebbe fatta stare troppo male. “Sono caduta dalle scale”, mi ha sussurrato reggendoti il braccio ingessato. E volevo crederti, perché sarebbe stato meno scomodo e doloroso per me. Ti ho abbracciata, chiedendoti scusa. Perdonami! Perdonami perché, volendoti credere, sono stata anch’io quello spigolo della finestra, quella porta, quel pavimento bagnato, quelle scale 69

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scivolose. La mia disattenzione ti ha ferita, insieme alle mani di quell’uomo che non ti permetterò più di vedere. La mia distrazione avrebbe potuto ucciderti insieme alle sue mani strette attorno al tuo collo. Invece, ora ti circondo con le mie braccia, che saranno ali robuste per farti volare al sicuro. Libera di farti amare da chi per te avrà solo carezze. La Tua Amica. © Anna Laura Folena

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42. Donna non spogliarti non cantare l’amore con il tuo sguardo puro all'anima sconosciuta Perversa nella sua passione non ti ascolterà ti coprirà di sangue ti accecherà ti possiederà nel tuo silenzio con il suo orgasmo rosso le mani serrate sul tuo collo ti ucciderà Donna non spogliarti non sorridere con ingenuità nel gioco dei desideri poi che l'anima sconosciuta si rivela si impadronisce di te e tu perdi te stessa. © Fernanda

Belotti.

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43. Nata sola Donna Sei la follia Che cammina in ogni alba Sui sentieri del dubbio E ad ogni passo - Perduto e straziato - Abbracci i silenzi Per ritrovarti ancora. Per te L’amore è sempre lontano Dall’impossibile Sei Il mistero della vita Che nell’intimità suggerisce Sempre Un nuovo incontro. Donna Sei nata sola per imparare ad amare Sei nata sola Per imparare a morire © Lidia Atzori 44. C'era una volta (nemmeno troppo tempo fa), in un paese né vicino né lontano, una giovane che aveva perso la mamma. Il papà si era risposato con una perfida matrigna ma poi si era sentito poco bene ed era morto anche lui. Sì, lo so amore che questa favola è ricca di stragi famigliari. Non è colpa mia se a quei tempi il ruolo di protagonista veniva assegnato solo alle orfanelle. 72

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Comunque. Sta di fatto che questa povera orfanella era bella, bella, bellissima e dolce, dolce, dolcissima: mentre la perfida matrigna l'angariava con i lavori di casa, lei non diceva una parola ed eseguiva tutto, tirava su l’acqua dal pozzo, parlava con gli animaletti del bosco e tutti la conoscevano come Biancaneve. Perché la chiamavano Biancaneve e parlava con gli animaletti, amore? Te lo spiego quando sarai più grande. La perfida matrigna possedeva uno specchio parlante, in grado di stabilire chi fosse la dama più fashion di tutto il reame. Questo specchio parlante stabilì che la fanciulla più trendy del reame altro non era che… indovina? Esatto, amore. Biancaneve. La perfida matrigna, alquanto gelosa, affidò pertanto ad un giovane cacciatore il compito di eliminare la rivale e, come pegno, chiese esserle consegnato il cuore della fanciulla. Il cacciatore non ne ebbe il cuore di e spinse la fanciulla a scappare nel bosco. La poveretta si imbattè in una casetta abitata da sette vecchi nanetti, ove chiese asilo politico che le venne concesso a patto che, in cambio, si occupasse delle faccende domestiche. Morale della favola: Non importa se sei nata Biancaneve o Cenerentola, se ci sono lupi cattivi, matrigne, cacciatori, sette nani sfruttatori o principi azzurri salvifici. Quanto ti vessano o quante prove dovrai superare. Ciò che conta e che, se ci credi, ci sarà sempre il tuo... E VISSE PER SEMPRE FELICE E CONTENTA. © Alessia Granvillano

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45. Lo credevi frutto surreale dello slogan datato, di un dopobarba maschile: “Denim, per l’uomo che non deve chiedere, mai.” Punto. Scopri invece che, nella casistica di un metaforico zodiaco su vizi e virtù dell’animo umano, il “nato sotto il segno del Denim”, esiste: attualissimo, data la percentuale in netto aumento sul territorio mondiale. Breve ma esaustivo quadro del soggetto. Ascendente boomerang: tutto ciò che fai ti ritorna contro, pietra: granito, colore: nero, pianta: cactus, fiore: crisantemo, tombale per sventurati che lo incrociano sul proprio cammino. Fuor di esoterismo: irascibile, vittimista, arrogante, freddo, volubile, intollerante, sarcastico. Pregi: sincerità finalizzata al non assumersi responsabilità. Egoista puro, come la liquirizia nera, sembra stimolante ma sarà impossibile condividerci alcunché. Modello acciaio inox. E' un "esen”: non è un pianeta di recente scoperta da cui proviene, ma la sintesi della sua capacità di esentarsi da rischi e responsabilità, ciò nonostante ottenendo sempre, per la peculiare abilità di frequentare persone da cui sa, a priori, di poter ottenere, evitando le altre. Rischiare un rifiuto è un trauma insostenibile per l'ego spropositato che lo fagocita. Vagliabile per un trattato sull’autotutela. Tutto deve stragli “al paro della bocca”. Gradisce "accoppiamenti" con partner pronte a mettetegli un poker di assi in mano, ovvero “capitolare” al di lui cospetto, senza fargli fare neanche lo sforzo di scomodarsi a prendere le carte. Affascinante affabulatore, si spaccia di vedute più larghe di quelle che albergano nel baccello di fagiolo di molti uomini con il solo fine di esplicitare una cattiva opinione su chi si "fa desiderare". Balle. Non deve 74

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chiedere mai ma, purtroppo, sa essere insistente. Tiene le distanze ma ammicca coccole, facendo intendere che dovrete andare a prendervele. Le vostre reazioni gli indicheranno come muoversi. Più conservatore del Papa, soprassiede non vi siate mantenute vergini nella di lui attesa, non per sentita accettazione ma perché, non avendo il coraggio di praticare la pedofilia, deve pur scendere a qualche compromesso. Classico l’uso indiscriminato di: "amoretesorocucciola" che non significano niente di più sentito che lettere tenute con lo scotch ma vi lanciano nel trip da: “Grande,

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grande, grande” di Mina. Spiego: l’ascolto di certa musica può latentemente instaurare nella fragile emotività di un’adolescente l'idea che un uomo che, persone ancorate alla realtà dei fatti definirebbero con termini poco carini, sia meraviglioso. In età più matura, si evince dal testo che le amiche ricevono regali e rose rosse, con lui bisogna discutere ogni stronzata ma… va bene così perché, in un attimo: vedi “tesoro” diventa un grande… Bastardo! Distrutto lo sviluppo sano del concetto di vero uomo. Si annoia facilmente e si stancherà: prendete atto e defilatevi, no? Perché ostinarsi contro chi, fino a ieri, vi ha chiamato “amore” e ora vuol dirlo a qualcun altro senza avervi tra le balle? Soffrite? Pazienza. Non cedete. Intendo: MAI! Non si può cavar sangue da una rapa. Giocate, semmai, la sua strategia e, dopo eventuale invito: ognuno a casa sua. Porsi in discussione non è contemplato o, da rarissimi illuminati, viene liquidato con un laconico “sono fatto così: prendere o lasciare, mi sembra già molto concederti il beneficio del libero arbitrio”. Se deciderete quindi di “condividere”, cioè accettare senza discutere alcunché, ne consegue dovrete farlo per sempre e senza recriminare: vi aveva avvertito! è un nichilista: non crede in niente, tantomeno nell’amore e, se per sciagura ha in pugno il vostro, sappiate che gli riserverà negazione, silenzi, sparizioni. Colpe? Non poter capire a priori che vi siete imbattute in un disturbato emotivo in realtà veramente molto deluso: di sé, che sente e sa del terribile abbaglio che state prendendo, regalandogli un'anima di cui farà straccetti, incapace di comportarsi diversamente. Non ostinatevi nel vano tentativo di renderlo felice: non dipende da voi, come ama lasciarvi a cre76

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dere per ottenere sempre di più. Sistematicamente, vi smonterà: distruttivo. La violenza psicologica lascia ferite profonde nell'anima tanto quanto l'intensità di lividi sul corpo. Non sapevo che la psicologia aveva già dato, agli “uomini Denim”, un nome: narcisisti. L’ho scoperto a mie spese. A stargli dietro, si muore nell’anima. Lasciateli vincere, ovvero: perdervi. © Annapaola

Depaulis

46. Mi aggiro bianca tra ombre sporche Linde vesti nonostante il sudore Occhi stanchi ma che vedono Bocca che si schiude ad un sorriso Mani che hanno stretto tutto e son rimaste quasi pulite Strade che hanno raccolto tanta polvere e fango e non si son sporcate E mi ricordo di te, quando nel rammendar di una veste usavi dire “aggiustata, ma pulita”. La mia anima è così. Mille volte lacerata e strappata, investita e infangata Mille volte ricucita, lavata Ma oggi somiglia al tuo ricamo su vecchie stoffe: profuma ancora di buono odora ancora un po' di pulito. © Antonella Biordi 77

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47. Erica era una ragazza come tante, ma come tante, o forse poche, soffre il suo essere grassa, in sovrappeso. è brillante a scuola, creativa, alquanto simpatica. Erika fa la rappresentante di classe, insieme a Renato. Un giorno, durante un’assemblea di classe, Renato appare alquanto su di giri e particolarmente nervoso. Il ragazzo ha tanti sbalzi d’umore, dovuti forse al fatto che rulla canne all’ultimo banco e fuma sempre, prima di entrare in classe, in ricreazione, dopo le lezioni… fatto sta che il bel Renato se la prende con Erika, perché non d’accordo con lei su alcune proposte rivolte alla classe, e cosa fa lui: non urla, ma senza pensarci nemmeno un secondo, spinge Erika contro un banco, la quale urta il fianco con lo spigolo, cade a terra e sopra di lei cade anche il banco.Soddisfatto per la supremazia di forza mascolina, Renato non dice nulla, i compagni aiutano Erika a rialzarsi, rimettono a posto il banco e le chiedono come stia. Erika non risponde, rivolge solo uno sguardo torvo a Renato, in quel momento lo avrebbe voluto ammazzare di botte, ma non lo fa, perché sa di non sapere né attaccare, né difendersi. Renato rischia la sospensione, ma alla fine alcun male gli viene fatto. Erika dopo meno di una settimana si iscrisse a scuola di arti marziali e negli anni diventò cintura nera di karate. Oggi Erika non può più fare arti marziali, per via di un problema al ginocchio, ma fa tanta ginnastica e si mantiene forte fisicamente e mentalmente, senza mai dimenticare che è meglio non arrivare alle situazioni di pericolo, ma quantomeno essere in grado di fronteggiarle. © Maria Leonardi 79

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48. Era notte...una notte fresca ...torno da una festa ...sono contenta entro in garage... parcheggio l’auto... esco e mentre giro intorno all’auto mi sento spingere sul baule... mani che corrono... labbra che cercano la mia pelle... urlo... ma non esce suono dalla mia bocca... mi dimeno e metto due dita nei suoi occhi... li sento ancora adesso mollicci sotto le mie dita... mi lascia e io scappo... vado a casa e ricomincio la mia vita di sempre ...chi mi avrebbe capito. © Nadia Fabbroni 49. La sensazione è quella di essere entrata in un vicolo cieco o di trovarsi imprigionata in una ragnatela cercando disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi che possa aiutarti a uscirne, a venirne fuori anche a costo di farsi male. La disperazione e il panico fanno brutti scherzi e quando tutto e finito ci si guarda indietro increduli per quello che si è dovuti affrontare... La consapevolezza di avere quotidianamente qualcuno che ti insegue e che da un momento all'altro ti possa far del male è terribile e anche quando tutto si risolve positivamente, l’esperienza ti segna e rivive nell'incoscio attraverso i sogni. Anche quando tutto si conclude positivamente grazie all’intervento della legge, a volte per fortuna succede, resta in chi ha subito questi atti persecutori la paura che tutto possa ripetersi con altre persone, in altre storie e nel peggiore dei casi si resta in una 80

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specie di limbo affettivo e rimane l’incapacità di fidarsi ancora, di lasciarsi andare... di approfondire relazioni affettive. Spesso si è sole nell’affrontare questi mostri che continuano ad infierire nonostante le denunce. Mostri con donne sole ma vigliacchi con il resto del mondo. © Gina Guida 50. Quella che vorrei raccontare non è una storia di morte o sofferenza, ma di vittoria, perché io ho avuto la fortuna di conoscere una delle poche, pochissime donne che hanno avuto il coraggio di chiudere la porta in faccia alla paura. Sì, perché quando non si è capaci di rispondere alla violenza, nella maggior parte dei casi si tratta di questo: paura di essere picchiate ancora una volta, di dover cedere ai ricatti e alle pressioni continue di chi non sa amare, di finire in fondo alla lunghissima fila di coloro che non hanno vinto questa battaglia. Avevo, anzi avevamo, appena 16 anni e come tutte le ragazzine di quell’età sognavamo il principe azzurro, l’amore puro e sincero che tutte meritiamo. Soprattutto lei, la mia migliore amica, Laura, la persona più dolce che io abbia mai conosciuto. Un giorno davanti al caffè fumante del mattino, mi confidò di aver conosciuto un ragazzo in Chiesa. Ho subito pensato che fosse perfetto, che un ragazzo di chiesa non poteva essere i cattiva fede. Però volevo conoscerlo. “Uno di questi pomeriggi usciamo così te lo presento e mi dici cosa ne pensi” mi disse entusiasta. Le brillavano gli occhi, si vedeva che

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era felice di questa nuova storia che stava nascendo. Lo conobbi un pomeriggio di primavera, lei emanava gioia da tutti i pori, lui si avvicinava a passo strascicato e con sguardo annoiato. Si vedeva che avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì. Si presentò con fare superiore e per tutto il pomeriggio ignorò le con-

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versazioni che facevamo. Proprio non mi andò a genio, ma quando lei mi chiese che ne pensavo, per non deluderla dissi semplicemente: “Un bel ragazzo”. A lei bastò, perché avrei potuto dirle qualunque cosa, non avrebbe fatto caso alle mie parole, perché tanto era già innamorata cotta. Fu un paio di mesi dopo che mi raccontò che l’aveva presentato in famiglia. Quella notizia mi sbalordì, forse era troppo presto, eravamo piccole per le cose così serie. Più i mesi passarono, più mi rendevo conto che c’era qualcosa che non andava in quella storia e più Laura si allontanava da me e dagli altri amici: non usciva, non parlava con nessuno di lui, neanche con me, aveva perso la sua solita radiosità. Fu un anno dopo, che dopo l’ennesimo invito rifiutato le chiesi: “Ma non è che lui ti impedisce di uscire con noi?”. Lei prese la mia domanda così male che si allontanò ancora di più, con la scusa che i suoi voti a scuola erano scesi e che i suoi non la facevano più uscire, passava pochissimo tempo con noi amici. Tra litigi e incomprensioni arrivò il giorno del suo 18esimo compleanno, due anni erano passati, ma della vecchia Laura neanche l’ombra. Ma quella sera qualcosa mi illuminò. Lui le regalò un anello, uno di quelli con tanto di diamante, che si regalano solo in vista di un matrimonio. Quando me lo mostrò le dissi: “Una catena al collo in pratica”. Fu forse un commento esagerato nei confronti di Laura, ma avevo visto giusto. Me ne accorsi quando, qualche ora dopo, durante l’attesa che i genitori venissero a prenderci, lui commentò: “quando inizierà la scuola non ricomincerai a frequentare con questi?!”. Lei non riuscì neanche a 83

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reagire. Ci rimasi così male, che per evitare brutti litigi andai via, ma in quel momento avevo ottenuto due conferme: lui non era il tipo di persona che professava di essere; Laura mi avrebbe difesa con le unghie e con i denti se non avesse avuto paura di qualcosa. Cominciai a chiederle di uscire, ovviamente invano, fino a che un giorno andai a trovarla direttamente a casa. Mi aprì la porta sua madre e con gentilezza mi invitò a entrare, chiedendomi di attendere che Laura finisse di fare la doccia. Quando si presentò nel salone indossava un vestitino che le arrivava fino al ginocchio che, quando si sedette, si alzò di qualche centimetro, rivelando una coscia cosparsa di enormi lividi. “Come te li sei fatti?” le chiesi sbalordita. Lei se li coprì immediatamente. Fu in quel momento che capii tutta la storia. “O mi spieghi tutto o vado a dirlo a tuo padre”, fu l’unica cosa che mi venne in mente. Era un problema più grande di noi, avevamo solo 18 anni e non saremmo certo state capaci di andare a denunciarlo sole. Mi spiegò tutto: delle gelosie di lui, delle botte a ogni rifiuto, delle costrizioni a restare chiusa in casa e ad uscire coperta anche ad agosto. In quel momento uscì un lato di Laura che si era assopito, quello di una donna combattente: lo lasciò e quando lui cominciò a seguirla lo minacciò di denuncia. Non lo abbiamo visto più. © Martina Zaccone

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51. Milano, 10 luglio 1984 Ormai stanca accettò il passaggio che lo sconosciuto le offriva. Montò in auto, svelta e titubante, desiderosa di arrivare presto a casa. Lui la condusse invece all’Idroscalo. Tentò la fuga allora, invano. Fu subito raggiunta; una morsa improvvisa le fece sapere che era facile per lui spezzarle la schiena. La luna, gli alberi, la notte semibuia, la pozza immobile e la riva deserta e silenziosa sembravano approvarne le intenzioni: sì, era una scenografia perfetta per violentare e uccidere! Per morire ammazzata, però, era troppo bella la notte. Priva di nostalgia, fissò lo sguardo sulla luna: domani, ci rivedremo domani, fu il giuramento silenzioso. I giornali non avrebbero parlato del ritrovamento di un corpo all'Idroscalo. I detective non avrebbero scandagliato la sua vita, né i sommozzatori le scure acque del bacino, fu la promessa silenziosa e certa. Guardò il bruto. Un uomo, senza cervello, senza grazia, senza chances. Rubava alla vita ciò che la vita gli negava. Certi bottini, però, hanno l’involucro vuoto, macchiano senza saziare. Avrebbe voluto dirglielo ma non si trovava nella condizione di pontificare. Non era l’aula giusta, quella, né era quello l’orario. Subire la violenza non sarebbe bastato a salvarla. Lei lo sapeva, lo sapevano i suoi capelli, i suoi seni, le sue gambe. E loro volevano vivere, respirare ancora, guardare ancora la luna, 85

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gli alberi, il mondo. In un attimo lo ebbe in pugno. Gli avrebbe fatto dimenticare l’illegalità dell’atto, avrebbe mascherato la violenza facendola apparire inaspettato consenso. Non simulò il piacere, no, quello sarebbe stato troppo; troppo per lei, e forse troppo anche per lui. Doveva giustificare il tentativo di fuga, dissipare in lui il sospetto del disgusto. - Stai attento, stai attento - piagnucolò tra quelle braccia ignote e ignoranti - ti prego, non mi mettere incinta, per favore…Le venne voglia di morire ma non lì, non così! Era da poco diventata sterile, a poco più di vent’anni, ma lui no, lui non doveva sapere il suo segreto. Con quella supplica costringeva il bruto a immaginarla nel futuro, ad accordarglielo un futuro, dunque. Fu un ordine nascosto, il suo e lui, senza saperlo ubbidì. Tornò a casa felicemente incredulo, lui. Si sarebbero rivisti, credeva, e guardava commosso quel numero che lei aveva acconsentito a dargli. Domani l’avrebbe chiamata, le avrebbe dato appuntamento, l’avrebbe portata a cena, poi forse, di nuovo là, all’idroscalo, o in una stanza d’albergo, magari. Lei tornò a casa, come aveva predetto, viva; una vittoria dolorosa, triste, fangosa. Sotterrò la sua sporca bandiera e pianse. © Alida Castagna

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52. Fermati amore, fermati adesso.

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Un brivido, il ghigno astuto del demonio che accarezza i suoi pensieri. Mi osservi, lo sento dietro le spalle. Mi osservi, la lama del terrore trancia i nervi delle mie gambe. I nostri mobili hanno sempre scricchiolato, ma mai così forte. Ti compiaci di quel suono, dell’orrore che mi procura, quando l’ospitalità della tua sedia tramuta in dardo da scagliare. Oggi sembri piu ̀ alto, amore mio. Sei piu ̀ alto di qualsiasi montagna. Una guglia di rabbia mortale che mi sovrasta oscurandomi. Ti prego, fermati adesso. Fermati prima dell’orrore. Ciò che un tempo era carezza ̀e divenuto ormai uno schiaffo. Lo spigolo della credenza mi sfiora la spalla. E ̀ tardi, vita mia. La notte come il giorno origliano e sbirciano. Chissà come fanno a rimanere così taciturni, ingiusti. Un tonfo. Ho un gran male alla testa. Ti prego, non urlare piu ̀, non farmi del male. Ho paura. 88

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Perdonami. Inghiotto i singhiozzi, le gambe strette contro il petto Amore mio, sono ancora io quella che hai sempre amato? Gattono, il pavimento impiastrato di liquido vermiglio. Il sapore del ferro. Non vedo piu ̀ nulla. Perdonami. Perdonami amica, sorella, perdonami mamma. Io lo amavo con tutta me stessa. Tace la paura. Muore il dolore. Inabisso nel nulla. © Veronica e Denise Molella

53. La mia è stata un’esperienza letale che mi porto ancora dentro, non violenza fisica ma psicologica, credo peggiore della prima... si traduce in una semplice parola: gelosia morbosa che mi ha annullato per un bel po’ di anni...magari chi legge e l’ha subita sa di cosa sto parlando... è anche questo femminicidio del peggior tipo... le donne non sono proprietà, perché non lo capiscono? © Nevia Furlanetto 89

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54. è un social. è un’amicizia. è un caffè per conoscersi. Un caffè innocente come un primo giorno di scuola, nero come ciò che può celare. Mesi di conoscenza telefonica. Ti fidi. Sa molte cose di te semplicemente perché gliele hai dette. Lo incontri. Declino ogni altro incontro. Lui finge di rassegnarsi. Amici? Ok. Una sera di un mese dopo. Una persona è ferma al lato dell’entrata del tuo garage. Non lo riconosci. Ti accorgi tardi che qualcuno è entrato dietro di te. Si nasconde dietro una colonna ma tu hai capito che li dietro c'è qualcuno. L’istinto ti fa bloccare le portiere rimettere in moto e riaprire il cancello. In un attimo la tua mente va a tutte le notizie di violenza riportate dai tg. Vai per uscire ignorando le sue implicazioni. Sfiori la tragedia perché lui cerca di fermarti. Riesci ad uscire e cambi zona. Sai che lui non ha macchina. Gli gridi al telefono di andarsene ma lui piange affermando di non avere soldi per un pernottamento. è lontano dalla sua città... polizia... diffida... paura. Entri scortata e ti consigliano di non uscire per qualche giorno ...Ho cambiato casa. © Elisabetta Ansovini 90

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55. - Che talento hai? - Nessuno - Come nessuno? Tutti noi abbiamo almeno un talento, una cosa che sappiamo fare bene. - Ero brava a cucinare, mi piaceva. - E poi? - Eh, ma poi lui diceva che dimenticavo il sale. - Non hai un hobby? Una cosa che ti piace fare? - Mi piaceva tanto suonare, ma adesso non più. - Perché? - Perché non sopportava il rumore, allora smisi. Ah, e facevo delle lunghe camminate. Ma mi assentavo davvero troppo. E scrivevo: racconti, sì, raccontini banali. E poi dipingevo, quanto mi piaceva dipingere… - E? - Non sopportava l’odore e poi non ero abbastanza in ordine; mi sporcavo di vernice. - Ma non posso credere che non ti dicesse mai che eri brava. - Beh, sì. Diceva che ero brava a letto. - E poi? - Veniva. © Maria Luisa Tegon

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56. Credo che il termine femminicidio abbraccia diverse branche... Non è solo quello che appare nei mass media che altro non è che il processo finale e l’epilogo cruento... a priori ci sono violenze psicologiche e morali che non fanno altro che dar soccombere l’io femminile che ogni giorno perde quella parte di vitalità fino all'epilogo finale. Abbiamo bisogno di supporti sociali che non permettano alla donna di sentirsi abbandonata fino quasi a giustificare il carnefice di turno come se questo fosse quasi il giusto prezzo da pagare... © Mirella Leotta 57. Diversità Licenziato, “che fortuna, tutto er giorno a nun fa' gnente”. ’A risposta è solo una che me piji n’accidente. “Beata te! Perché arabbiata c’hai più tempo pe’ a casa” Er pensiero è a tera rasa è che so’ disoccupata ma n’te manno n’accidente nun te dico deficente è ‘a società dell’ommini che n’ ce capisce gnente. © Marina Como 92

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58. Ogni 300 anni, come i terremoti, nelle piccole comunità nascono delle anomalie genetiche che non c’azzeccano una beata minchia con i fenotipi dell’ambiente circostante. Se l’anomalia nasce maschio allora è una fortuna, se nasce femmina una tragedia. Mia era l’anomalia di un piccolo paese, in cui le leggi dei maschi erano ben definite e consolidate dal tempo. La madre si accorse della catastrofe, quando, la bimba rasò i capelli a Barbie Principessa. Durante la prima elementare la portarono a visitare un laboratorio di analisi... Lì vide un microscopio... ci guardò dentro per un minuto, e fu meraviglia, fu magia... Scrisse la letterina a Babbo Natale e chiese in regalo un microscopio. Invece ricevette Sbrodolina. “Non ti piace?” “ ...una bambola che sbava... avevo chiesto un microscopio... l’avevo scritto anche in lettere maiuscole….” Per alcuni anni continuò a scrivere a Babbo Natale, sempre la stessa richiesta: un Microscopio, invece riceveva: il dolce forno, Barbie Sirenetta, Barbie Sposa, ma mai il microscopio. Un giorno smise di scrivere: Babbo Natale era un’idiota, analfabeta! Quando le sue amichette giocavano a fare le signore con il set di pentoline, lei giocava a fare il suo laboratorio. E quando la sua amichetta le offrì la torta fatta con il fango lei ricambiò con un piattino pieno di nematodi. “Che schifo... non giochi più con noi... non capisci il gioco!” 93

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Mia se ne andò con il suo piattino di nematodi “almeno la mia torta è commestibile”. A Carnevale, mentre tutte le bambine volevano travestirsi da principesse, lei voleva essere Rita Levi Montalcini... sapeva che la madre non avrebbe mai approvato, per cui scelse un abito da fata turchina, ma solo perchè aveva la parrucca bianca. Quando l’amichetta le disse:”Io sono la principessa del Castello”, Mia rispose “Io sono Rita Levi Montalcini, la principessa del laboratorio”. “Tu non puoi più giocare con noi, non capisci il gioco” E anche stavolta Mia si allontanò. La mamma sempre più preoccupata dall’emarginazione di sua figlia, decise di iscriverla a danza. La infiocchettava più di ogni altra bambina, sperando così che non si accorgessero dell’anomalia… Ma mentre tutte contavano fino a 8, lei andava per conto suo contando tutti i numeri che le venivano in mente. Poi un giorno le crebbero tette e culo... E finalmente, al saggio di fine anno, la maestra si accorse che il pubblico prestava più attenzione allo “sballonzolio” delle tette di Mia che alle sue coreografie, le disse: Non sarai mai una ballerina” “ Ma io voglio diventare una scienziata come Rita Levi Montalcini”. Intanto cresceva, e mentre le sue amichette ormai adolescenti, sognavano il vestito bianco a meringa come quello di Barbie sposa e appendevano i poster dei ake at, lei sognava di vincere il premio Nobel e appendeva il poster di Rita levi Montalcini. Le sue coetanee si fidanzavano ufficialmente e lei progettava di iscriversi a Biologia (facoltà che presupponeva ore di laboratorio al microscopio), il primo passo lungo la strada per il Nobel... e dato che sua madre desiderava tanto di vederla in abito da sposa, decise che l’avrebbe indossato a Stoccolma il giorno della premia94

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zione. Non aveva intenzione di fidanzarsi, nonostante la madre ogni giorno le diceva “Sai chi si è fidanzata? La figlia di quella mia amica... perché non sei normale?... perché non sei come le altre? Perché proprio a me una figlia così strana?... verrai punita per questo”. Capì da subito che i maschi erano bestioline semplici, li definiva: “un libro di tre pagine, di cui due erano figure e una i ringraziamenti”. Mia si divertiva a provocarli... Era divertente sbattere le ciglia e ottenere ciò che voleva, ma non si spingeva mai oltre una certa so-

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glia... sapeva di essere piu intelligente, piu colta, piu interessante dei maschietti della sua comunità…. Li snobbava… lei era destinata al Nobel! Il 23 Agosto, qualche settimana prima di partire per l’università, tre uomini del paese la stavano aspettando... la aspettavano per punirla… Punivano il suo atteggiamento nei loro confronti … Punivano il suo essere un’anomalia. Mia capì subito, la madre aveva ragione: “sarai punita per questo”. La violentarono... la umiliarono... e mentre lo facevano ripetevano “così impari”. Lei non pianse, urlò solo una volta quando la prima penetrazione la sverginò e sentì il rumore di qualcosa che si lacera, che si rompe per sempre... continuò a fissare per tutto il tempo una macchia di muffa sul soffitto che sembrava un microscopio... e intanto iniziava a morire. Aveva imparato la lezione. Non andò più all’università, non dormì più con la luce spenta, non riuscì più a farsi toccare da un uomo senza che quel senso di sporco le tornasse addosso, e poi quel suono di qualcosa che si rompe. Mia era morta... al suo posto una donna fenotipicamente come le altre del paese... La sua colpa: aver desiderato un microscopio. Si sposò ( come voleva sua madre, con il vestito più a meringa in commercio) ebbe una figlia. Qualche giorno prima di carnevale, Mia comprò un vestitino da principessa per la sua bambina. “ Mamma… non mi piace…. non voglio essere una principessa, io voglio essere un’astronauta….da grande farò l’astronauta”. 96

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Mia abbraccio la bimba e finalmente iniziò a piangere. “Mamma perché piangi?” ”Rita……piango perché questo vestito da principessa fa schifo anche a me… andiamo subito a cambiarlo…“ © Margherita Verzilli

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Un piccolo libro solidale, scritto da donne comuni: amiche della porta accanto, colleghe di lavoro, mamme, impiegate, disoccupate, single, ricche, povere, tutte accomunate dal desiderio di dire qualcosa, anche una piccola testimonianza su questo tema che coinvolge sĂŹ le donne ma che poi si allarga alla violenza in generale. Sugli esseri umani e sugli animali... per dire NO a ogni violenza, fisica o psicologica, su chicchesia.

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