Pietro Vanessi
SATIRADV Sberle e sberleffi sul dorato mondo della comunicazione
Con i contributi di: Bruno Ballardini • Alberto De Martini • Pasquale Diaferia • Claudio Fois • Alessandro Fuscella • Gianni Lombardi • Lorenzo Marini • Susanna Schimperna • Enzo Sterpi
Prefazione di
Pasquale Barbella
SATIRADV di Pietro Vanessi
SatirADV di Pietro Vanessi © Settembre 2017 Un libro scritto e mai realizzato causa il cambio repentino d’idea di chi avrebbe dovuto editarlo, stamparlo e distribuirlo. Un caso di “malaeditoria” tutta italiana su cui voglio stendere un velo pietoso.
La riproduzione anche parziale di scritti o disegni qui contenuti è severamente vietata. I diritti editoriali appartengono ai singoli autori. Per contatti, suggerimenti, critiche o altro contattatemi scrivendo a: pietrovanessi@gmail.com
Pietro Vanessi
SATIRADV Sberle e sberleffi sul dorato mondo della comunicazione
Prefazione di Pasquale Barbella Con i testi di:
Bruno Ballardini Alberto De Martini Pasquale Diaferia Claudio Fois Alessandro Fuscella Gianni Lombardi Lorenzo Marini Susanna Schimperna Enzo Sterpi
PREFAZIONE
VANESSI E’ PAZZO. Pasquale Barbella
Mi ha chiesto di scrivere una prefazione a questa antologia di vignette satiriche. Ma, per restare in tema, dovrebbe essere satirica anche la prefazione. Cioè, dovrei fare della satira sulla satira. Anzi: della satira sulla satira sulla satira. Perché Pietro non ha fatto altro che rendere ridicole certe situazioni che lo erano già. Dico «erano» perché il mondo dell’advertising bersagliato da PV non esiste più. Almeno così mi dicono, ora che sono stato promosso al dorato mondo dei pensionati in attesa di esequie. Del resto lo dice anche Pietro, ogni volta che mordicchia il post-Eldorado. Come quando disegna un ragazzo incupito che vorrebbe «tanto lavorare nel dorato mondo della comunicazione.» Ma siccome posti non ce ne sono, per ora fa il gelataio, «che la differenza è minima ma la paga è migliore.» Vanessi è un cattivo di buon cuore. Ride del passato e ride del presente perché soffre di nostalgia. Ride per non piangere. La malinconia lo mette di buonumore. E il buonumore gli mette malinconia. Anche la satira, come l’advertising, è una specie in via di estinzione. La colpa è di chi detiene il potere, e il potere è detenuto – in molti campi e sempre di più – da comici volontari e involontari. I potenti di una volta, per esempio Adolf e Benito, erano ridicolissimi ma al tempo stesso tragici; facevano così paura che li si poteva sfottere solo da lontano, a debita distanza dai rispettivi bordelli, come fece Chaplin nel 1940 con Il grande dittatore. I bersagli di PV non hanno nulla di epico: sono stati un’élite senza potere. Sognavano applausi, aragoste e champagne, come i più comuni tra i comuni mortali. Idealizzavano l’arte e la creatività anziché il malaffare e la corruzione, che rendevano e rendono molto SATIRADV
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di più. Il gusto amaro delle vignette di Pietro sta nella scoperta che l’élite senza potere è diventata una non-élite. In comune, i dorati di ieri e gli sfigati di oggi hanno solo la stessa, assoluta carenza di potere – quella che, in una parola sola, si chiama “vulnerabilità”. La scena dell’advertising è popolata di senior rottamati e rottami junior. Questa, se non erro, è l’ossatura dell’umorismo – e del pessimismo – vanessiano. In questo allegro grido di dolore si racchiude la sua visione della storia e dell’attualità. Gli si può dar torto, volendo, ma solo fino a un certo punto. Dicevo che la satira è in stato comatoso. Non è un’opinione personale: ho notato che in giro si ride sempre meno. L’umorismo è diventato, in Italia ma forse anche nel resto del mondo, il tabù del momento. Un tabù à la page: la tetraggine fa figo, dovrebbero insegnarla alla Bocconi. Aumentano esponenzialmente di numero gli individui che si prendono maledettamente sul serio e che aspirano, nel contempo, ad esser presi maledettamente sul serio, come se i due desideri fossero compatibili. E tutti sembrano avere un impellente bisogno di maestri noiosi. Ricordo che una volta, poco prima che il dorato mondo perdesse la doratura, ospitai in agenzia gli allievi di una scuola di pubblicità. Per metterli a loro agio e per studiarne un po’ le reazioni, piazzai una Colt 45 al centro del tavolo da meeting. Nessuno rise e nessuno fece domande. Brutto segno. In un’aula universitaria, introdussi a sorpresa una lezione sull’umorismo con un’espressione alla Buster Keaton e queste parole: «Vi do una buona notizia. Oggi sono di pessimo umore. Quando sono di pessimo umore, tendo a dire solo cose divertenti.» Anche in quel caso, nessuno rise e nessuno fece domande. Preferivano prendermi sul serio. Se avessi detto che ero di ottimo umore, e che quando sono di ottimo umore tendo a dire solo cose sgradevoli, forse avrei strappato un sorriso. Ma che rottura di palpebre! Philip D. Stanhope, quarto duca di Chesterfield e uomo di stato inglese, per dare a suo figlio un’educazione da gentleman gli scrisse: «Io sono certo che, da quando ho avuto pieno uso della ragione, nessuno mi ha mai udito ridere.» Quando le lettere del nobiluomo a suo figlio vennero pubblicate, Samuel Johnson diSATIRADV
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chiarò che gli scritti del duca «insegnano una morale da puttane e le maniere di un maestro di ballo.» Dobbiamo desumerne che coloro che non ridono mai sono dei gran figli di Chesterfield. I personaggi di Vanessi ricordano vagamente quelli di Altan, per via delle palpebre appesantite dal disincanto e dalla disillusione. Sono definitivamente tramontati i bei tempi, quelli in cui le redattrici di Panorama telefonavano al pubblicitario di turno per le inchieste sui temi più scottanti del pianeta – il tanga, le vacanze intelligenti, l’adulterio. Nessun cronista, ahimé, ti telefona più per domandarti se, oltre alla famiglia, hai anche degli amanti. Nessun magazine dedica più, ai guru della persuasione occulta, quattro pagine intitolate «Vieni avanti, creativo». O tempora, o mores!
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INTRO
PERCHE’ UN LIBRO COSI’? Pietro Vanessi Un libro così perché... mancava. Mancava cioè un libro che “smitizzasse” un po’ questo magico mondo dorato della pubblicità o più in generale della Comunicazione e provasse a far scendere dal piedistallo tutta una serie di miti, rituali, icone e quant’altro gravitasse attorno a questo strano pianeta che solo qualche anno fa veniva chiamato orgogliosamente “Advertising”. Un mondo destinato ad evolversi e a cambiare al ritmo della tecnologia e degli stravolgimenti in atto, dove regole e modi fino a ieri considerati dei “must”, vengono lentamente scardinati e fatti defluire su altri fronti. Un cambiamento raccontato qui attraverso la “satira”, o meglio delle “vignette satiriche”: una delle cose più lontane dall’immaginario iconografico della moda e del graphic design più stiloso e “trendaiolo”. Satira quindi come elemento disturbatore, fatta di sfottò e sberleffi che, riesce a sollevare - seppur di pochi millimetri - il coperchio di un calderone bizzarro pieno di creativi, artisti frustrati, eccentrici manager, parolai ma altresì manager tosti e gente preparata sul serio. Esistono, eccome! Un Progetto “aperto e libero” che non è stato volutamente pilotato in nessun modo e dove alcuni amici scrittori sono stati lasciati completamente free di esprimere il loro personale punto di vista senza linee guida e senza brief. Un libro “multitasking” quindi, con capitoli scritti in maniera diversissima da autori altrettanto diversi (chi proviene dall’advertising classico, chi dalla letteratura, chi dalla televisione) tenuti assieme dal fragile collante delle mie vignette che fanno da trait d’union dell’intero progetto. Sì ma, insisto... Perché un libro così? Che domanda: perchè se fosse stato diverso non sarebbe mai stato un libro così. Sicuramente simile o molto probabilmente diverso. Vi prego, ora ditemi che è “abbastanza creativa” come risposta o, perlomeno, che rispetta in parte il brief iniziale. Non sia mai che... SATIRADV
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PREGIUDIZI
3570. Alberto De Martini
Questa è una storia vera. Per rispetto delle vittime, abbiamo mantenuto i nomi dei protagonisti. Per rispetto dei sopravvissuti, gli abbiamo cambiato il colore dei capelli. Il 3570 dava occupato praticamente sempre. Figuriamoci alle 18,10. Al sesto tentativo rispose un'operatrice con la tipica aria scazzata: arriva Kenia 23 in nove minuti. Alberto si ravviò stancamente il ciuffo biondo cenere e pensò: perché dicono nove? Tirano a caso. Oltre i sette minuti, io arrotonderei a dieci. Enrico allargò le braccia per dargli ragione, come faceva sempre, pur di non prolungare l'ennesima pippa sulla sbavatura, il refuso, l'imprecisione lessicale di turno. “Certo che bisogna essere veramente delle teste di cazzo”, disse Alberto riguardando il foglio che teneva in mano da mezz’ora: tecnicamente, una circolare. I destinatari erano i membri del comitato esecutivo della Mc Cann Erickson. L'autore era il nuovo vicedirettore della sede di Roma che, con quella nota, intendeva denunciare spese spropositate, autorizzate dai direttori creativi per presentazioni di new business. Kenia 23 era una Opel Ascona e puzzava di fumo. Enrico, un po’ perché era incazzato, un po’ per prevenire il commento scontato di Alberto sullo stato della macchina, riprese il tema della circolare: “Che cazzo ne sa poi Carlo Nez di come e perché l'ufficio di Roma decide di spendere soldi nelle presentazioni di new business?” “Ma poi, brutto coglione...” proseguì Alberto, “ vuoi prima parlarne con noi, chiederci spiegazioni, entrare nel merito? Poi, se non ti convinciamo, fai la tua bella circolare e vaffanculo, no?” “Bel modo di presentarsi alla squadra! Un uomo che sa come farsi amare...” rincarò SATIRADV
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Enrico. “Un uomo di merda”, concluse Alberto mentre estraeva il portafogli per pagare le 4.800 lire del taxi. Quindi, prima di scendere, appallottolò la circolare e la gettò sul tappetino posteriore dell'Ascona, in spregio un po’ a Carlo Nez e un po’ a quell'auto puzzolente, iscritta a un consorzio che non rispondeva mai. Quando ti girano le scatole, anche le cose normali diventano insopportabili. O forse, più semplicemente, ti rendi conto che non sono affatto normali. Per esempio, cosa vuol dire convocare una riunione con l'agenzia alle 18.30? Uno normale alle 18.30 comincia a riordinare le idee, approfitta della calma per sistemare un po’ di cose, poi chiama un amico, una moglie, organizza la serata...invece no: riunione con l'agenzia. Roba che, ora che saluti, ti siedi, caffettino, eccetera, alla fine fai le nove sicuro come l'oro. L'argomento che giustificava tutto questo sbattimento era un pay-off. Per i sughi Althea, marchio sottoposto a disperato tentativo di rianimazione, Alberto aveva stilato: più sugo alla pasta, più gusto alla vita. Il concetto piaceva, ma il direttore marketing si era preso la briga di contare i caratteri del pay-off ed era giunto alla conclusione che erano troppi. Non esiste un pay-off di quaranta caratteri. Alberto li contò mentalmente. Erano trentadue, senza spazi e punteggiatura. Con, erano quarantuno, perché il punto alla fine ci vuole. Quindi, conto sbagliato. Perché la gente è così approssimativa? La circolare inopportuna, il 3570 che non risponde e poi ti dà nove minuti, il taxi che puzza di fumo e adesso questo che non sa contare. Alberto non era sicuro di voler vivere in un mondo così. Alle 9,05 del giorno dopo, Enrico ed Alberto erano al loro posto, nell'ufficio della direzione creativa sistemato nella mansarda della villetta in via dell'Oceano Atlantico 198, sede della Mc Cann di Roma. Alberto era in totale disaccordo con chi aveva scelto quella sede. Chiunque fosse stato. Per lui in una villetta ci sta una famiglia. Un'azienda deve stare in un ufficio. Aveva ventisette anni, faceva il creativo, ma in certe cose ragionava come un vecchio, nevrotico amministratore delegato. Enrico era alle prese con un catalogo di tipografia, da cui selezionare il lettering con cui comporre i 32 caratteri del pay-off Althea. Lo faceva, come sempre, recitando il claim con toni di voce diversi, ispirati dai vari font. Alberto sfogliava Porta Portese perché voleva cambiare casa. Mentre SATIRADV
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stava per cerchiare di rosso un bilocale a Monteverde, la porta si spalancò violentemente verso l'interno dell'ufficio. La mano che l'aveva sospinta era quella di Carlo Nez, un omone di un metro e novanta per cento chili con una chioma folta e rossa come la coda di una volpe. Il nuovo vicedirettore generale guardò con aria torva e minacciosa i due direttori creativi e, dopo un silenzio teatrale di almeno tre secondi, sibilò: “La prossima volta che prendete un taxi, tenete la bocca chiusa!” Carlo richiuse la porta con la stessa violenza con cui l’aveva aperta. Nell’ufficio della direzione creativa calò un silenzio irreale. Alberto ed Enrico si guardarono increduli, pensando di essere in un film, o in uno strano sogno. Poi, forse per esorcizzare la tensione, forse per quel dono che hanno i creativi e, in generale, le persone che sanno difendere il bimbo che è in loro, si misero a ridere. All’inizio in modo timido e trattenuto, poi in modo irrefrenabile, come di chi capisce d'un tratto l'autentica natura dell'intera vicenda: non uno scherzo, ma un dono del destino, sospeso in magico equilibrio tra statistica, sadismo e idiozia. Un’ora prima. Salendo a bordo del taxi, Carlo non fu disturbato dalla puzza di fumo - lui ce l’aveva addosso tutto il giorno - ma dalla presenza di un foglio accartocciato sotto il suo sedile. Soliti romani zozzoni, pensò. Poi comunicò l'indirizzo di destinazione. “Ma pensa un po'” disse il tassista, “proprio ieri sera ho caricato due ragazzi dove sta andando lei!” Carlo poteva anche essere stronzo, ma non stupido. Raccolse il cartoccio, lo aprì, e vide la propria firma, in fondo alla circolare.
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I CLIENTI
TUTTI LI VOGLIONO TUTTI LI ODIANO Pasquale Diaferia
Stiamo parlando, ovviamente, dei clienti, Quelli su cui Pietro Vanessi mi ha chiesto di scrivere, per il suo libro, un testo divertente di 3000 caratteri. Ora, qualunque professionista con un filo di sale in zucca eviterebbe accuratamente di scrivere qualcosa di ironico su quelli che ti danno da mangiare. Ma notoriamente io sono considerato un po’ pazzo, quindi, roviniamoci e non se parli più. Cominciamo da lontano. Già nel 1990, con Gianni Lombardi avevo scritto Biz Diz, il primo dizionario ironico della pubblicità (Taslani Publishing). In quel libretto, che circolava in forma carbonara come una fanzine di Scientology, io ed il mio storico coautore avevamo pubblicato una voce encicloperdica sul tema: CLIENTE - Nessuno lo può vedere ma tutti lo cercano. Non capisce niente di pubblicità. Spesso non capisce niente di marketing. Spessissimo non capisce le campagne. Non si capisce come abbia fatto a diventare ricco. Comunque, il cliente è onnipotente. La sua grande vittoria è strappare all'agenzia un contratto che prevede un compenso all’1% invece del mitologico 15% degli anni ottanta. La sua grande sconfitta è che poi tutti i preventivi dei fornitori arriveranno gonfiati almeno del 30%. D’altra parte che ci possiamo fare? Il terziario avanzato o funziona così o andiamo tutti a fare i moto-taxi. Insomma, già più di vent’anni fa era evidente che per fare un’agenzia possono bastare un copy ed un art, ma è assolutamente fondamentale almeno un cliente. Magari solo per pagare gli stipendi dei due creativi. Invece abbiamo scoperto che nel corso di questi anni molte agenzie hanno preso due decisioni suicide: la prima è stata di riempire i reparti creativi di stagisti ed impiegatucci, che costano meno, molto meno di quei rompiscatole dei creativi di talento e si accontentano di contratti a tempo e rimborsi spese da fame. La seconda decisione è stata di collezionare clienti che pagassero poco, o che SATIRADV
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addirittura non le pagassero, le prestazioni. Voi direte: e perché mai lavorare gratis, quando tutte le imprese devono fare profitto? Noi risponderemo: nessuno l’ha veramente capito. Ma il risultato finale è che i clienti si sono così abituati a non pagare i progetti, o a negoziare per cifre infime, che ormai è diventato quasi impossibile recuperare una situazione così complessa. Si organizzano convegni, si invitano i clienti a considerare le agenzie partner seri ed affidabili. Ma voi togliereste il cappio ad un intero comparto che si è appeso per il collo? Se foste dei clienti, che pensano a come guadagnare di più spendendo di meno, probabilmente no. E così vi abbiamo definito cosa sono i clienti. Imprenditori che per anni hanno considerato i pubblicitari dei maghi delle vendite. Salvo poi, al primo momento di crisi strutturale, scoprire che non sono poi così onnipotenti. E metterli tutti in fila, come schiavetti obbedienti. Se vi sembra una descrizione troppo pessimista, probabilmente non siete in questo business. Se invece siete un cliente, o un ad di agenzia, sapete che sto descrivendo semplicemente quello che è successo in quest’ultimo periodo. Quindi non vi dispiacerà che, dopo aver crudamente descritto lo stato dell’arte, mi permetta di mettere il dito nella piaga della incompetenza dei clienti. Infatti solo degli incompetenti si potrebbero comportare come la moglie della famosa barzelletta che per punire il marito lo evirò. Scoprendo poi di non poter più sfruttare le poche doti del povero maritino. E’ quello che è successo in questi anni di crisi. I clienti che hanno seguito la regola “squeeze the supplier”, non si sono ancora accorte che, a furia di strizzare i loro fornitori di comunicazione, le loro campagne sono spesso inutili, banali, irrrilevanti, ininfluenti sulle vendite e poco incisive su quella società a cui vorrebbero dare forma come sistema industriale. “Questo qui sta esagerando, sta dicendo che i clienti sono incompetenti”, sento correre nei vostri pensieri di lettori di libro umoristico. Io non penso di esagerare, fatte le debite eccezioni. Per darvi qualche esempio, cosa dire di un famoso cliente che ha usato queste parole per commentare una presentazione di uno spot che avrebbe dovuto cambiare il corso degli eventi del suo prodotto: “...non capisco il senso. Però le parole mi piacciono!” SATIRADV
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Sempre meglio di quello che in un’altra riunione ha pronunciato la storica frase, rivolgendosi all’affranto direttore creativo che voleva convincerlo a prendere una posizione: “Primo, noi non decidiamo. Secondo, mai in modo definitivo.” Oppure vogliamo parlare di quello che rispondeva via mail ad un account dell’agenzia: “Su questo punto, c’è un’atriba.” Vederlo scritto e massacrato in questo modo, il termine diatriba, può aiutare a centrare il problema? Insomma, siamo nelle mani di manager capaci di dare un senso ad una riunione su uno spot per animali con queste semplici parole: “Un cane bastardo ed uno di razza, per il padrone sono uguali: tutti e due sono esseri umani.” Capite che, frequentando tutti i giorni queste controparti, a volte i creativi comincino a comprendere perché il divino Dante, parlando del lavoro su commissione, già qualche secolo prima dell’invenzione dei bocconiani, riusciva amaramente a parlare del suo lavoro su commissione: “quanto sa di sale lo pane altrui...” D’altronde, dovete capire questi manager o questi imprenditori che usano la comunicazione per dare un senso, prima che ai loro prodotti, alle proprie esistenze. Sono gli stessi committenti che dichiarano, di essere, in un modo o nell'altro, tutti leader. Come mi spiegò un giorno uno dei più importanti top manager nazionali: “Il leader di mercato non è quello che al mercato urla più degli altri, ma quello che vende di più. Il leader di costo non è quello che costa di più ma quello che costa di meno. E si potrebbe proseguire all’infinito, nel mettere in scena le invenzioni pubblicitarie.” No, non sto scherzando. Eppure, io come creativo indipendente ci lavoro tutti i giorni, con questi clienti. E devo dirvi che a me stanno davvero simpatici. Certo, anche quello che un giorno mi disse, serissimo: “Chi ha fame non ha i denti. Chi ha i denti non ha fame.” Ma anche lui, una volta convinto che sono un professionista serio, ha capito che se mi ascolta e si fida di me, insieme possiamo far succedere le cose che promettiamo con la nostra pubblicità. Perché alla fine questo è un mestiere facile. Servono due creativi, bravi, onesti, professionali, ed un cliente, bravo, onesto, professionale. Insieme si possono produrre segni, parole, promesse, artifici retorici che aiutino i consumatori a scegliere proprio quella marca, proprio i suoi valori, proprio quelle cose concrete che possono aiutare noi SATIRADV
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essere umani a vivere meglio. E le imprese a crescere, fare profitti, dare lavoro ad altri esseri umani. E’ un circolo virtuoso ancora percorribile, in cui i creativi producono idee originali e se le fanno pagare bene, ed i clienti usano nella maniera migliore tutti quei meccanismi di comunicazione che aiutano a costruire quella componente “immateriale” che spesso fa la fortuna delle marche. Quindi questo non sembra più un saggetto umoristico sui clienti, ma potrebbe diventare una sviolinata verso i nostri amati committenti, quelli che ci garantisco ancora il nostro quotidiano pane e salmone? Non illudetevi. Di clienti così colti, intelligenti, sensibili e lungimiranti non ce ne sono poi tanti. E quindi continuerà a succedere che, grazie a questi clienti, “un bozzetto pubblicitario sia la cosa che attira su di sé, nel corso di una riunione, il più alto numero di critiche stupide ed osservazioni inutili.” E’ il commento di un famoso direttore creativo con cui ho avuto l’onore di lavorare, tanti anni fa. A questa complicata situazione, in cui committenti di talento continueranno ad alternarsi a clienti di minor valore culturale ed intellettuale, abbiamo sempre la possibilità di usare le mitologiche parole di François Zille, elegante copywriter che in una poco elegante discussione con un suo cliente del secondo tipo, quello che voleva costringerlo a scrivere le cose in modo diverso da come lui le voleva esprimere lui, disse seccato: “Se proprio mi devi inculare, almeno fammi godere.” Ed è in questo singolare periodo ipotetico, in fondo, che si sintetizza tutta la dinamica tra creativi e clienti, le due componenti fondamentali di questo ancora bellissimo lavoro. A volte il rapporto potrebbe sembrare di sodomia. Ma fidatevi: se si è bravi e motivati, può essere il rapporto più bello, completo soddisfacente, sia a livello intellettuale che fisico. L’importante, come diceva un altro manager illetterato, è “non tirarsi mai la zampa sui piedi.”
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FUTURO
MEETING REPORT DAL 2025 Gianni Lombardi
Una volta nelle agenzie pubblicitarie il meeting report veniva scritto dagli account executive un paio di settimane dopo la riunione, quando il lavoro di cui si parlava nel meeting report era già stato fatto e rifatto due o tre volte. Questo rapporto sul futuro invece è in anticipo di trentacinque anni. Il futuro della comunicazione è già scritto. Grazie all'abolizione della privacy in tutto il mondo, le aziende nel 2050 sapranno tutto dei consumatori. Come spiegava assennatamente Steve Jobs all'inizio del XXI secolo (e Henry Ford prima di lui), i consumatori non sanno quello che vogliono, inutile quindi tenere conto di quello che dicono. Per esempio, a dar retta a quel che dicevano, tutti volevano telefonini meno costosi e più robusti. Invece com'è noto, una volta in negozio, i consumatori hanno sempre comprato con entusiasmo telefonini costosi che si spaccano subito. Un po’ come i rapporti con l'altro sesso: tutti vogliono sposare persone serie, a parole. Poi va spesso a finire che gli uomini sono attratti dalle donne vistose, e le donne sono attratte dai mascalzoni. È così anche con i prodotti. I consumatori comprano le porcherie, soprattutto se belle, vendute bene e le usano tutti. Il telefonino te lo impianto nel cervello. Gratis ma con comode rate per tutta la vita. Nel 2050 i telefonini saranno tutti prodotti da Google con il marchio Apple e non si romperanno mai perché non si pagherà l’apparecchio, ma si pagherà il servizio di connessione. Il telefonino sarà un microchip auto-aggiornante, che verrà impiantato alla nascita, gratis ma non senza impegno, a fronte dell'obbligo a pagare un abbonamento
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mensile per tutta la vita. Il telefonino-microchip sostituirà tutti i documenti di identità, il passaporto, ogni genere di collegamento informatico, ogni tipo di terminale, ogni tipo di spettacolo. A cosa serve un monitor o un tablet o un televisore da 60 pollici con lo schermo avvolgente se il microchip può visualizzare immagini, filmati, suoni, odori e sensazioni direttamente nel cervello? Praticamente si tratterà della realizzazione tecnica della telepatia, alla faccia di quelli che dubitavano. Marketing telepatico: scienza, non fantascienza. Questo telefono super-smart consentirà alle aziende di registrare tutti i pensieri e le emozioni delle persone, consentendo finalmente ai reparti marketing di sapere sempre e con la massima precisione cosa vogliono i consumatori, invece di tirare a indovinare come facevano una volta, nel 2015. Il telefono super-smart onnisciente fungerà inoltre da terminale di pagamento. Questo significa che sarà eliminata ogni forma di evasione fiscale. Tutto quello che si guadagna verrà direttamente accreditato all'Agenzia delle Entrate Mondiale, ribattezzata Agenzia del Totale Generale, che provvederà ad erogare settimanalmente al cittadino la paghetta per le sue piccole spese, pari a circa il 10% del reddito. Semplificazione fiscale: tutto allo Stato. L'aliquota fiscale unica sarà infatti pari al 90%. Il grosso vantaggio di questa imponente semplificazione fiscale, voluta dal Governo Mondiale ma ideata da un italiano, sarà l'abolizione dei commercialisti che comunque verranno tutti assunti dall’amministrazione pubblica. In pratica il Pil mondiale sarà diviso così: 90% allo stato per pagare gli stipendi degli statali, peraltro anch'essi tassati al 90% (nel 2050 l'Italia avrà contagiato tutto il resto del mondo). Il restante 10% va alle aziende private per i prodotti di consumo, che si spartiranno le quote di mercato grazie al marketing e alla comunicazione pubblicitaria. Questa però sarà una scienza esatta, grazie al marketing predittivo basato sull'analisi SATIRADV
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del Database Universale Digitale di Pensieri e Parole creato da Google con i dati provenienti da tutti i telefonini del mondo. Qualche svantaggio, molti vantaggi. Può sembrare uno scenario apocalittico, ma ha i suoi vantaggi. Per esempio, l’abolizione dei break pubblicitari sparati a casaccio in tv, con la conseguente abolizione dei festival dei pubblicitari e delle inutili discussioni sull'efficacia degli spot più premiati. Nel 2050 la comunicazione sarà finalmente una scienza esatta: l’azienda dice al consumatore “compra questo perché è quello che vuoi” e il consumatore lo compra. Unico problema: con il 90% di pressione fiscale, i consumatori di soldi ne avranno pochi.
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LA TEORIA DELLE GARE Bruno Ballardini
Senti, io non l’ho ancora trovata una via d’uscita per vincere questa gara e fuggire col budget. Se fossimo direttori creativi sarebbe una buonuscita. Invece siamo qui al chiodo da anni, vinciamo praticamente tutto quello che c’è da vincere e mai, non dico una proposta d’assunzione, ma nemmeno un aumento di stipendio. Ah ma stavolta è matematico che ce ne andiamo. Ricordi come avevamo iniziato a vincere quando lavoravamo per le agenzie più piccole? Con l’algebra di Borel. Un po’ come i sistemisti del totocalcio: piccolo budget, piccolo sistema. Poi, per le agenzie più grandi, abbiamo cominciato a usare le formule di Kolmogorov, la variabile di Cauchy, la distribuzione di Fisher-Snedecor, per prevedere che cosa avrebbero presentato le altre agenzie. Era matematico che vincessimo. E alla fine eccoci qua, nella più grande multinazionale del mondo che, fusione dopo fusione, ha inglobato tutte le agenzie esistenti. Praticamente ormai gareggiamo contro noi stessi. Ovvio che non possiamo più utilizzare il calcolo statistico per prevedere chi vincerà. Vinciamo sempre noi. Per questo abbiamo cambiato approccio, ora usiamo la teoria della relatività. Perché, dal momento in cui non esiste più nessuna agenzia al di fuori di questa, anche vincere è diventato relativo. Ora basta però, dobbiamo assolutamente uscire da questo posto e portarci via il budget, così ci sistemiamo una volta per tutte. Lo dici tu che abbiamo messo radici, io dico di no. Sarebbe la fine per due free lance del nostro livello, non voglio nemmeno pensarci. E poi guarda non è vero, la settimana scorsa sono perfino riuscito a tornare a casa e a farmi una doccia. Ma giuro che stavolta la trovo la via di fuga. Il mondo non finisce qui! Deve esistere per forza almeno un universo parallelo. Per questo è da mesi che mi spremo con la fisica quantistica. Non sarò un genio, ma non voglio nemmeno fare la fine di Einstein che riuscì a fuggire solo dopo
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che era morto. In un barattolo di maionese, per giunta. Altro che fuga di cervelli! La sai la storia, no? Come, non la sai! Allora te la racconto io. Dunque, il 18 aprile del 1955 Thomas Harvey, patologo, si trovava nell’ospedale di Princeton in New Jersey davanti al corpo di Albert Einstein per l’autopsia. Toccava proprio a lui esaminare il cervello del genio. Ma dopo aver eseguito l’operazione, invece di rimetterlo a posto nella scatola cranica del defunto, pensò bene di riporlo in un contenitore di formaldeide e tenerselo. Non poteva permettere che un patrimonio della scienza come quello potesse andar perduto. Così, Harvey lo portò con sé in giro per l’America per più di trent’anni. Fecero coppia fissa un po’ dappertutto e pare che in quella sua nuova vita sotto formaldeide il cervello abbia perfino accettato di recitare in un film di Mel Brooks nel 1974. Una piccola parte forse, ma in un ruolo chiave (per l’occasione Einstein indossò un vecchio contenitore da laboratorio con l’etichetta “Abnormal”). Probabilmente, dopo averlo visto al cinema, Marian Diamond, scienziata di Berkeley, chiese ad Harvey di poter analizzare quattro porzioni di quel cervello per scoprire il segreto del suo geniale umorismo. Harvey non se la filò per niente e continuò a portare in giro il suo amico sotto vetro. Per tre anni la strana coppia continuò a spassarsela sbancando tutti i tavoli da poker di Las Vegas. Anche alla roulette non erano poi così male, con il cervello che calcolava all’istante tutte le combinazioni statistiche possibili e suggeriva ad Harvey i numeri su cui puntare. Quando Harvey fu abbastanza ricco da potersi comprare un’intera università, pensò di non avere più bisogno di Einstein. Infatti, un giorno il postino suonò a casa della Diamond recapitandole un barattolo di maionese con dentro i tessuti che aveva richiesto. Ma erano soltanto tre, non quattro. Che fine aveva fatto il resto del cervello? Lo stanno ancora cercando. Forse aveva scoperto la stringa giusta per fuggire in un altro universo. Tu dirai, e la maionese? La maionese è impazzita. Esattamente quello che succederà anche ai nostri cervelli se non riusciremo a trovare una via d’uscita. A proposito, ma tu non hai fame? No perché, visto che dobbiamo fare ancora una volta nottata, avevo preparato delle tartine. Con la maionese.
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CARRIERE
L’ UOMO CHE SCAMBIO’ IL CULO DEL CAPO PER UN GELATO Enzo Sterpi
Cari Giurati del Leccaculo d’Oro, il 2015 sarà un anno importante per la nostra associazione, un anno ricco di novità e di riconoscimenti. Sono molto orgoglioso quindi di annunciarvi che è nata la Federazione Leccaculi Europei, perché ogni paese ha i suoi talenti, uomini e donne in carriera come i Lameculos, i Flunky, gli Speichellecker e anche i Flagorneur. Il merito di questo risultato è tutto vostro (non lo dico per fare il leccaculo), voi che ci avete sostenuto anno dopo anno dopo anno qualificando il nostro lavoro e la nostra lobby, sempre più diffusa nella società. Altra novità: cambiamo il nostro trofeo, grazie all’opera di un famoso maestro scultore che vi rivelerò più avanti. Infine, alcuni consigli e precisazioni: vi ricordo che siamo chiamati a selezionare i candidati del secondo mestiere più antico del mondo con rigore e severità, premiando solo la piena eccellenza. Perché leccaculi si nasce e si diventa, ma non ci si improvvisa. Ecco alcuni consigli per individuare il vero talento, anche quello più nascosto, in ogni ambito sociale, azienda, condominio, partito e parrocchia. Perché ovunque c’è un capo, c’è anche un leccaculo. I Sincronizzati non perdono mai un appuntamento. Con il capo, con chi conta, con chi gli serve. Capitano sempre al momento giusto: davanti alla macchina del caffè, in bagno a lavarsi le mani, sull’ascensore, sul balcone a fumare. E’ stupefacente la precisione con cui indovinano esattamente dove passerà il soggetto del loro desiderio. Sembra proprio che sia il destino a farli incontrare, non ci sono orari né giorni fissi né stagioni, il sincronizzato può capitare anche un sabato mattina, una sera dopo una lunghissima riunione, o una domenica d’estate. Hanno un radar nell’ipotalamo come i pipistrelli, captano le onde degli spostamenti del capo. SATIRADV
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I Galoppanti sono quelli che non vanno a velocità normale. Camminano velocissimi per non perdere tempo tra una riunione e l’altra, per essere più produttivi, per far vedere che non pensano ad altro, Quelli che davanti all’ascensore smaniano perché secondo loro è troppo lento e lo usa troppa gente e così si ferma a tutti i piani e non possono aspettare così tanto e battono il tempo con i piedi e strillano quasi sottovoce. A volte li vedi camminare normali, come tutti, poi improvvisamente se ne rendono conto e – bang! – si scuotono da quell’attimo di distrazione per ripartire a tutta velocità. Se fai una foto ad altissima risoluzione e poi ingrandisci lo sguardo a tutta parete vedrai una grigia espressione che implora attenzione, approvazione, assoluzione, promozione. Gli Abbronzati hanno un’unica fonte di vita, di energia e di calore. Il capo, che è il loro sole. Senza di lui sono disorientati, quasi persi, ma basta che appaia in fondo al corridoio e subito torna il vigore, la lucidità, l’efficienza. Davanti a lui si crogiolano, si riscaldano, sono convinti che stare vicino al capo faccia bene alla pelle. Infatti le rughe si attenuano, l’espressione si addolcisce, l’epidermide torna alla sua naturale luminosità, i capelli ondeggiano vaporosi e il contorno occhi acquista più intensità. Anche la camminata migliora notevolmente, dieci minuti con il capo danno più scioltezza ed elasticità di due ore di Pilates. I Dolly vorrebbero essere cloni, come la pecora. Assumono per gradi le caratteristiche del capo iniziando con le sue forme verbali infilate a forza nel proprio lessico, per passare poi alla camminata, la postura in riunione, i più audaci riescono a cambiare anche la risata. La metamorfosi completa però si celebra con l’abbigliamento, sempre un gradino più in basso del capo per non offenderlo con l’uguaglianza. Quante altre figure potrei elencarvi, cito solo le più note. Gli Smutanderos che uniscono il primo e il secondo lavoro più antico del mondo in un’unica figura, sono sempre pronti a far cascare la mutanda davanti a qualunque capo. I Geki che gli si attaccano e non li stacca più nessuno. I Neomelodici che sono sonoramente e vistosamente innamorati del capo e anche un po’ gelosi. SATIRADV
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Poi i Nomadi, gli Accesi, gli Aironi, i Walkman e tanti altri ancora. Ma non c’è più tempo, le giurie ci aspettano. Lasciate la vostra suite con piscina e scendete al centro congressi, dove untuosissime hostess saranno vicino a voi per tutta la giornata, pronte ad adularvi e a squittire per ogni vostro pensiero, parere, commento. PS: Come detto poco sopra, sono onorato di presentare il nostro nuovo trofeo, un’opera di grande maestria scultorea. Non più la grande targa in ottone che ci ha accompagnato per tanti anni, ma un magnifico maximegacono da passeggio, sormontato da due grosse palle di gelato messe a formare due bellissime chiappe e sotto, il nostro motto: dal sedere al potere. Tutto placcato oro. Buona votazione!
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CAMBIAMENTI
CAMBIARE SI DEVE ANZI SI DOVREBBE Claudio Fois Cosa c’è di più mutevole al mondo delle forme di comunicazione? Escluso una donna ovviamente. O Daniele Capezzone. Se poi Capezzone decidesse di cambiare anche sesso, a quel punto non ce ne sarebbe più per nessuno. Cambiare è inevitabile. È una legge della Natura. Ma è anche una necessità. Cioè, dico: ancora mi state con lo smartphone di sei mesi fa? No, perché quello nuovo, assemblato da bimbi di Taiwan con sei minuti di ferie l’anno (da fare, poi, in un ascensore con Daniela Santanchè), fa viaggiare a non sai quanti giga il tuo like contro le violazioni dei Diritti Umani. Io l’ho detto e tanto vi dovevo. Oggi grazie alla tecnologia e al cambiamento dei mezzi di comunicazione tutti possono creare e diffondere opinioni e pensieri, e questo accende la speranza. La speranza che i Maya avessero ragione, solo sbagliando di poco la data. Infatti di regola la quantità penalizza sempre la qualità (quindi, cara, fattene una ragione: le mie scarse misure sono un vantaggio) però più si comunica e più si diffonde conoscenza. È l’unico modo. Eccettuato il metodo delle scie chimiche con cui inaliamo i nanorobot, come riportato dal sito tuttoverogiuropinocchioforpresindent.it. Quindi ben vengano produzione e diffusione di massa poiché l’opposto, cioè niente del tutto, è peggio. I tempi cambiano e siamo noi che dobbiamo adeguarci. L’evoluzione dell’Essere Umano si può proprio identificare con il cambiamento della comunicazione. Prima tappa: il linguaggio usato con il prossimo. Seconda, parlare con un simile coprendo grandi distanze, però fisicamente. Indi trasmissione della voce. Ora riproduzione in tempo reale di “tutto”: voce, immagine e anche oggetti potenzialmente ovunque nel mondo e nello Spazio. Il problema è ora trovare qualche cosa di sensato SATIRADV
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da dire. Probabilmente ci vorrà una mutazione. Ma d’altro canto, scrivere con una Lettera 22, quando c’è Twitter è anacronistico e svantaggioso come tentare di curarsi con le sanguisughe, vale a dire andare in qualsiasi ospedale pubblico.Non è sempre facile adeguarsi al cambiamento. Stando a Carlo Conti nella sua litania “Noi che…”, dovremmo ancora essere affezionati al gettone telefonico. E forse il suo pubblico specifico, lo è, ammesso che sotto formalina l’audio della tv arrivi nitido. Entrando nello specifico del cambiamento nella satira, legata alla comunicazione, dico la mia. È fuori di dubbio che il satirico deve cambiare mezzo di comunicazione laddove se ne impone l’esigenza, visto che il mondo è diventato una rete di connessioni che oltre a Youporn servono anche a fare altro. Quindi Banksy che praticamente fa ancora pitture rupestri è un pirla? No, è un genio, perché poi il messaggio viene diffuso pure se non nasce in Rete, per cui alla fin fine cambiare il mezzo non è poi così necessario. Ora si pone la questione: la Satira può cambiare la Società o è la Società che cambia la Satira? O forse è il caso di cambiare domanda e portare una cosa a piacere? Se non l’avete ancora fatto, io al posto vostro cambierei capitolo. Avete deciso di proseguire? Allora “50 sfumature di grigio” ve lo meritate! La satira è critica calda servita su letto di umorismo. E questo significa anzitutto che devo guardare meno programmi di cucina in tv. In secondo luogo vuol dire che ciò che viene detto “contro” ha come veicolo la risata (o il sorriso) che a volte attenua il messaggio ma sicuramente lo distanzia anni luce dall’urlo belluino. Quindi, cambiare mezzo di comunicazione, diciamo che a volte è necessario e a volte è solo meglio. E i contenuti? Quelli sì, vanno cambiati per forza perché davvero, fare una battuta su Cossiga, potrebbe risultare un tantinello tardiva. Sempre che non si stia al Bagaglino, beninteso. Per quanto riguarda la censura, poi, a volte bisogna cambiare Paese se non si vuole finire a fare il fermacarte sulla scrivania del dittatore o sant’uomo di turno. Ora, dopo l’attentato a Charlie Ebdo, verrebbe da dire che nel momento in cui qualcuno SATIRADV
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ti spara per una vignetta, di sicuro si cambia condizione biologica da essere vivente ad alimento per bigattini con una consistenza che si trova sovente nelle specialità vegane. Però in ogni caso non cambia l’atteggiamento del satirico nei confronti del potere. Nessuno può fermare tutta la satira del mondo. La Satira da quando è nata non è mai cambiata nella sua natura, da sempre denuncia le magagne del “potere” o comunque le storture degli apparati umani e lo fa, come si è detto, in modo divertente e con ogni mezzo. E questo continua e continuerà a fare. Cambiare le cose, cambiare il mondo, questo sì, la Satira vuole provare a fare. Altrimenti è “solo” comicità (ma anche questa pur senza averne l’intento specifico un po’ il mondo lo cambia). E se un giorno tutto cambiasse grazie alla Satira? Magari grazie a nuove veicoli di comunicazione, che permettono di far arrivare il messaggio a tutti? E se la Società funzionasse in maniera virtuosa? Il satirico resterebbe senza lavoro… anche se chiamare “lavoro” quello del satirico è una parola grossa. Be’, vale la pena provarci. Ma ora restate con noi, non cambiate libro!
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LA CRISI
LA TRATTATIVA IN TEMPO DI CRISI Susanna Schimperna Dato che c’è la crisi, il tipo non ti paga. Ti aveva proposto due spicci, ora non ti vuole dare nemmeno quelli. Perché scusa, che altro può fare? Non pagano nemmeno lui. Ma in cambio del non pagarti ti tiene una lezione accalorata-addolorata sulla situazione generale, i guai della sua impresa, la cattiveria delle banche, la durezza e irresponsabilità di chi gli deve soldi e temporeggia, gioca al ribasso, se ne frega. Ti parla di centinaia di migliaia di euro che ancora non ha visto, di milioni di euro che gli hanno bloccato. Pretende che tu non solo lo capisca, ma lo compatisca. E se dopo tutto questo insisti a chiedergli il compenso per il lavoro che gli hai consegnato ormai da mesi, che delusione, che tristezza, che frustrazione. L’espressione dolente si fa ancora più cupa, e ci si aggiunge la sorpresa, manifestata nel modo più macchiettistico possibile: il tipo alza un sopracciglio e scuote leggermente la testa, con un mezzo sbilenco sorriso che vuole dire “ho parlato al vento, roba da matti, ti stimavo e ti credevo persona intelligente, ma vedo che non hai ascoltato e se hai ascoltato non hai capito, che ingenuo sono stato a fidarmi di te e onorarti della mia confidenza”. Allora tu cerchi di recuperare, in fondo il poveraccio ha i suoi guai, sembra in buonafede, non puoi pensare che questa lunga straziante confessione sia una sceneggiata per non pagarti i due spicci. Certo che lo capisci, aspetterai. E quando vedi che lui di colpo si illumina, anche a te si apre il cuore. «Però tu lo sai, io ci tengo tanto a te, non voglio perderti, la tua collaborazione è preziosa». Che bell’inizio. Praticamente una dichiarazione d’amore. Sai bene che il flattering, il fare complimenti, è tecnica squallida e puntualmente usata per fini truffaldini, ma ci caschi: un po’ perché sei umano, un po’ perché ormai sei stremato. Lo guardi con un po’ di imbarazzo, stai per rispondere “ma no, non esagerare, troppo buono”, quando lui fa subito marcia indietro. Altra tecnica abusatissima, quella del baSATIRADV
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stone e della carota. «Intendiamoci, sai bene pure che nessuno è indispensabile, e che i tuoi prezzi sono alti, direi fuori mercato in un momento come questo». Stoccata. Resti impietrito e non replichi perché forse è vero (no che non lo è, ma lui l’ha detto con tanta convinzione; e poi ti fa piacere pensare che lo sia, significa che hai quotazioni da star, e questo, nella tua imbecillaggine e in mancanza di tutto il resto, almeno ti gratifica). Il tipo insiste, vuole che tu capisca bene che può fare a meno di te senza il minimo problema, se poco poco gli rompi le scatole ancora. «Tanto sai, ormai la qualità conta poco, nessuno se ne preoccupa e tu m’insegni che in un momento di crisi pensare troppo alla qualità significa andare incontro al disastro certo, quindi mettere gente sul lastrico, cosa che io non mi posso permettere perché poi non ci dormirei la notte. Perché ho una coscienza, io. Sono fatto così. Sono rimasto un puro». A parte quel capolavoro di “tu m’insegni”, sottolineato con voce particolarmente acuta in modo che diventi inopinabile che queste cose le conosci e condividi anche tu, ti sta dicendo che non servi assolutamente a nulla, sei una cosa superflua che lui fa lavorare perché chissà, per motivi incomprensibili è un benefattore, gli sei simpatico, riconosce in te delle doti. Bada bene, però: le riconosce solo lui. Gli altri, quelli per i quali tu disegni, se ne stracatafottono. Vuoi insistere a chiedere denaro in una situazione in cui la tua insensatezza e insignificanza sono così palesi? Non ti preoccupano le famiglie in miseria, le gente che questo illuminato mecenate dovrà buttare per la strada per colpa tua? Velocissimo a cogliere la tua debolezza, il benefattore ti lancia un salvagente. «Però mi è venuta un’idea. E guarda, caro, che faccio un grande sforzo. Ma che te lo dico a fare, tu hai capito la situazione, sei persona molto intelligente e se così non fosse non ci terrei tanto ad averti con me». Sempre più complice. Ormai è come se foste soci. «Quindi ecco: io non ti pago quelle copertine… be’, non te le pago per ora, perché con me sai che devi stare tranquillo, è solo questione di aver pazienza… ma ti faccio fare tutte le copertine della nuova collana che sto progettando, e questa volta il tuo SATIRADV
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nome non lo metto solo nel risvolto, piccolo come si fa sempre, no, voglio che tue le copertine le firmi con il tuo autografo bene in vista, sotto a destra, come si fa con i quadri… che dici? Sei contento? E’ un esperimento, non ci ha mai pensato nessuno! Ma con te voglio tentare!». Finalmente realizzi che il tipo ti ha sempre preso in giro, ti ci sta prendendo ancora, non ha la minima vergogna, pensa che tu sia scemo, sta varando una nuova collana per cui i soldi ce l’ha e col cavolo che è sull’orlo del disastro, vuole incastrarti a lavorare gratis oltre a non pagarti quanto dovuto. Stai per dirgli tutto questo e ancora altro. Scopri che quel modo di dire, “mi prudono le mani”, è proprio vero, perché senti un prurito all’improvviso alle dita che monta, si fa insopportabile, e può essere alleviato solo col sano gesto di menare l’imbroglione mascalzone che hai davanti. Ma lui è più rapido. Balza fuori dalla scrivania e si china appena su di te per abbracciarti, ti saluta dicendo che allora verrai presto chiamato dal direttore editoriale per gli accordi, che è tanto contento, evviva, evviva, ma ora deve correre a prendere suo figlio a scuola perché gli ha promesso che mangeranno insieme. Ha già oltrepassato la porta quando torna indietro, premuroso: «Ma tu non hai figli, vero? E che aspetti? Non mi farai mica come quelli che non si sposano perché sono sfiduciati! Bisogna puntare sul futuro, sposarsi, fare figli. Io odio chi usa la crisi come alibi per rimanere immobili. Sposati, caro, e sarò con piacere il padrino del tuo primo figlio… sempre se mi vuoi!». All’ultima battuta ride e strizza pure l’occhio. Perché certo che è una battuta. Come potresti non volerlo come padrino del figlio che farai?
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L’ AG E N Z I A
L’OSSIMORO DEL CIRCO Lorenzo Marini
AAA Circo cerca clown. Massima serietà. Il paradigma perfetto della agenzia di comunicazione è il Circo. Si, il Circo, quello vero, quello classico, quello tradizionale. Domatori e leoni, clown e acrobati, trapezisti ed elefanti, mangiatori di fuoco e contorsionisti. Perché? Perché, come le agenzie, arriva facendo rumore, fa il suo spettacolo identico da decenni, smonta tutto il giorno dopo per rifarlo da qualche altra parte. La stanchezza delle quotidianità innestata sulle certezze della reiterazione. E come il Circo più classico, anche l’agenzia porta in giro uno spettacolo che non piace più. Non è brutto, intendiamoci. Non è nemmeno sbagliato, no. E’ solo vecchio. Il Circo classico è vuoto, come le prime trenta agenzie di pubblicità hanno il bilancio in rosso. Ma il cliente non è morto, anzi sta bene. Solo che si è spostato. Ora va a vedere il “Cirque du Soleil”. Il Cirque du Soleil non è propriamente un circo ma una citazione di generi, un caleidoscopio che riflette esattamente il gusto contemporaneo. In mancanza di “pensieri forti”, di ideologie portanti e di stili dominanti il nostro gusto è caratterizzato dalla contaminazione, un incrocio culturale che tocca l'arredamento e la moda, la cucina e la musica. C'è posto per tutto purché tutto non sia al proprio posto. E questo vale anche per il circo. Abbandonato a sé stesso, come la cedrata Tassoni e il Buondì Motta, sostenuto solo da uno zoccolo duro di nostalgici, il circo è stato reinventato dai ragazzi del Canada. L'attuale amministratore delegato era un mangiatore di fuoco e il responsabile dei nuovi progetti era un trampoliere. La grande famiglia del Cirque du Soleil è oggi composta da tremila famiglie e mentre in Europa la tradizione continua ricalcando gli schemi dei padri fondatori, in Canada reinventano. E lo fanno con il gusto di adesso; contaminazioni, apSATIRADV
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punto. Contaminazioni di generi, innanzitutto. Un circo che è anche teatro, musicato come un'opera, festoso come una danza. Sì, c’è un filo sottile che unisce tutto lo spettacolo, ma è una scusa, perché qui le tessere sono le più importanti del mosaico. Un ossimoro di circo, appunto. Ci sono costumi ma sembrano giocattoli, felliniani, creazioni di Jean Paul Gautier, un neo barocco di gran classe. Ci sono artisti, ma in realtà sono campioni olimpionici, macchine perfette, coreografie precostruite. Ci sono donne e uomini, ma sono asessuati, più vicini agli angeli e alle forme plastiche viventi. Ci sono cinesi e russi, sudamericani e canadesi ma non li riconosci in quanto individui: qui il melting pot è una realtà e la macedonia umana è il tema comune. Il trucco sul volto è il marchio, l'imprinting che ti dice: “Qui non ci sono artisti, qui c'è un solo artista ed è il Cirque du Soleil”. Qui non ci sono individualismi perché il risultato coreografico presuppone una visione da alveare, una gerarchia plastica necessaria alla costruzione globale. Non ci sono animali perché non vanno di moda, perché puzzano, perché alcune città non li vogliono, perché non sono trendy, perché gli animalisti protestano. Come un’agenzia di pubblicità – direttori creativi. Come quelle di – adesso. Solo chi si chiama Ca – Media. Poiché è li che si fa il denaro e il potere, adesso. È un'idea geniale di circo questa qui, dove il sogno si anima, la legge di gravità si sfida e l'atmosfera si reinventa costantemente. È un invito ad andarci, almeno per il bambino narcotizzato che ci portiamo dentro. È una festa, per la parte irrazionale e creativa del nostro cervello. È un’emozione, alla larga da logiche e ragionamenti. Io ci porto Ada e Gio Giò, miei nipoti di otto anni in due. Sì, ma il circo? Quello vero, intendo? Quello lì, quello degli anni del dopoguerra che arriva fino agli anni ‘70, quello della provincia, quello dell’Italia pre-televisiva, che fine ha fatto? Takimiri, che spettacolo. Adesso che il circo si è teatralizzato, cosa rimarrà del circo tradizionale? Non più artisti di strada ma tecnici professionisti, non più animali da domare ma acrobati da contemplare, non più clown ingenui ma mimi televisivi, non più segatura di legno ma plastica, non più gestioni di famiglie locali ma cultura e marketing internazionali. SATIRADV
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Il bello era che il circo arrivava, inondava la città di manifesti - spesso in spazi abusivi, montava il tendone e lo spettacolo con la stessa fretta e approssimazione con cui smontava e spariva nel nulla. Così. Arrivava e ripartiva come la primavera, come il raffreddore, come l'avventura. Tra i tanti racconti sul circo di periferia ne ho memorizzato uno assolutamente uguale a mille altri circhi di provincia, ma al tempo stesso assolutamente unico. Avete mai sentito nominare il Circo Takimiri? Nell'Italia centrale, tra le Marche e gli Abruzzi, pare girasse nel cuore degli anni Settanta questo meraviglioso mosaico dell'improbabile. Un circo piccolo, veloce, astuto e tutto impostato sulla flessibilità. Cinque persone che sembrano cinquanta. Come diceva Rockerduck, l'acerrimo nemico di Paperon de Paperoni: “Uno più uno non da due, ma undici”. Iniziamo dal parco animali: un leone stanco e due cavalli neri affamati. Fine. E Takimiri è anche domatore, vestito con cinta e bracciali di pelle quando addomestica il leone, e con giacca rossa e frusta quando fa girare i cavalli. Poi c'è la moglie di Takimiri con il triplice ruolo di cassiera, venditrice di pop-corn e arachidi sbucciate all'intervallo e trapezista come ruolo principale. Il figlio di Takimiri è anche presentatore quando il padre fa il clown, ma anche prestigiatore quando il padre, in smoking paillettato, fa il presentatore. Il padre, il signor Takimiri, oltre al domatore, clown, presentatore, attrezzista ed equilibrista è il motore di tutto, la benzina del surreale, la corrente elettrica nelle lampadine dello spettacolo. Che, come tutti gli spettacoli del mondo, si congeda con un gran finale. “Ed ecco a Voi, Dario, l'uomo più forte del mondo, il discendente di Ursus”. Il gigante buono, il pezzo forte, l'ultimo lato del pentagono Takimiri, l'armadio umano che, oltre a montare il tendone rosso e blu, è il protagonista del numero finale: alzare la parte posteriore di una Fiat 1100 nocciola bicolore mentre uno del pubblico, tale Enrico Vissani di Tolentino, quasi sempre lui, accelerava e scalava dalla prima alla seconda tra gli sforzi e le imprecazioni di Dario, l'uomo più forte del mondo. Che il mondo, in quei momenti, era davvero piccolo. Di grande c'era già la fantasia. Quella delle province lontane dal mondo. SATIRADV
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COPY WRITING
PAROLE CON LE ALI Alessandro Fuscella “Scipta manent” dicevano i latini. Ma lo sappiamo tutti, i latini erano dei gran romantici, sebbene il termine “romantico” arrivò secoli dopo. La verità cari amici, è che quando sei un copywriter, uno che scrive per la pubblicità, le parole che scrivi non durano affatto. Nonostante molti creativi le considerino figli propri, curati, nutriti, custoditi, quasi in maniera maniacale. Spendiamo ore a coniare. Le coccoliamo, le limiamo. Cerchiamo di affinarle, le facciamo decantare. Le passiamo a un art director nella speranza che siano impaginate a modo e gli sia data, almeno per qualche ora, la gloria desiderata. E ci incazziamo se salta un punto, una virgola, una maiuscola. Facciamo i poeti, gli intellettuali, a volte ci prendiamo licenze, cerchiamo di essere originali, arguti, graffianti, unici. Giorni persi su una strategia, su una headline, una bodycopy, un radio, o se sei fortunato, uno script TV. A volte durano il tempo di una riunione, prima di essere dotate di un bel paio di ali e volare via. Altre volte, resistono varie sessioni di brain storming, infiniti client-meeting e tutti gli step intermedi, prima di vedere la luce. Se sei fortunato finiscono su una bella paginetta stampa, un poster, una stazione radio… O per una ristretta elite, in TV. Tra due pezzi di film. Tra Marzullo e Travaglio. Tra il TG e le previsioni del tempo. Forse proprio per questo si dice “on air”… Se sei ancora più fortunato (o bravo, ci piace pensare), quelle parole vincono premi, qualcuno ne parla, magari finiscono su un annual che successivamente finirà sullo scaffale impolverato della stessa stanza in cui sono state pensate, la tua. Si perché diciamoci la verità, di quelle parole, a nessuno frega un cazzo. Eredita’ per posteri che non voSATIRADV
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gliono saperne, inutili case history per stagisti di turno, figli nati morti di creativi visionari. Inutili e come dicevamo, romantici. In pubblicità le parole volano. Si volano via. Sebbene siano scritte, non durano affatto. In culo ai latini. Quelle parole, le vediamo splendere per qualche giorno, come quelle farfalle sudamericane che muoiono nel giro di ventiquattro ore. E inevitabilmente vengono dimenticate. O finiscono nei nostri portfolio, sui nostri social network o sui nostri siti internet che nessuno guarda. Il problema e’ sempre lo stesso, della pubblicità’, alla gente, non frega un cazzo. Qualcuno potrà’ obiettare che quelle parole hanno fatto aumentare le vendite, o che nel migliore dei casi sono servite per sollevare una qualche questione sociale, raccogliere fondi per qualche croce colorata o aiutare associazioni che si occupano di malattie rare o piaghe sociali. Ma arriva sempre un punto in cui quelle parole, finiscono nel cestino. È un costante fuoco di parole che brucia, ma nessuno si scandalizza questa volta. E forse, l’ultimo volo di quelle parole e’ proprio un leggero pezzo di cenere che vola via. Per sempre. Certo, qualcuno puo vantarsi di aver scritto cose che hanno superato la prova del tempo, payoff o slogan che ancora vivono sotto qualche logo e che sono diventate famose. Ma quando lo raccontiamo a qualcuno, la gloria che ne riceviamo dura davvero poco. No, non salviamo il mondo. No, non lo rendiamo migliore. No, non siamo artisti, sebbene alcuni di noi facciano le cose a regola d’arte. E per dirla tutta, non siamo neanche creativi. Si, perché’ tutti possono essere creativi a modo loro, tutti possono scrivere parole, tutti possono avere idee. Scendiamo dal piedistallo, siamo solo pubblicitari. E quella che facciamo, non è arte.
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una relazione all’HSM World Business Forum 2008 ed una al CWSummit 2015.
Bruno Ballardini. Nato a Venezia, 1954, di formazione filosofo, dopo una carriera di copywriter nelle multinazionali della pubblicità è tornato ai libri e alla docenza. Tra i suoi saggi di maggior successo, La morte della pubblicità (Castelvecchi 1994; ediz. aggiornata, Lupetti 2013), Gesù lava più bianco (Minimum fax 2000, tradotto in 11 paesi), ISIS® Il marketing dell’Apocalisse (Baldini & Castoldi 2015).
Alberto De Martini. A 22 anni è copy in Armando Testa A 25, Direttore Creativo di Mc Cann Roma A 28, nell’83, fonda la Tonic. Tra l'83 e il 2004, Tonic cambia nome in Ata Tonic e poi, Ata De Martini & C. In quegli anni, De Martini vince un Leone d'Argento a Cannes, è giurato unico italiano a Cannes, e fonda la prima divisione web di un'agenzia in Italia (1994). Dal 2004 è Ceo di Red Cell, gruppo WPP.
Pasquale Barbella. (Ruvo di Puglia, 1941). Blogger, ex pubblicitario (1967-2003). È stato tra i fondatori dell’agenzia BGS (Barbella Gagliardi Saffirio) e ha rivestito ruoli internazionali nel gruppo D’Arcy. Ha tenuto corsi sulla comunicazione d’impresa all’Università degli Studi di Milano, all’Università di Urbino e al PoliDesign di Milano. Ha pubblicato saggi sulla comunicazione, racconti, un romanzo e un libro di memorie professionali (Confessioni di una macchina per scrivere, Liguori, 2008).
Claudio Fois. Nato il 1° maggio ‘63, è convinto che la festa nazionale sia per lui. Umorista, vive scrivendo testi per il Mago Forest, Crozza e Gabriella Germani, e forse un giorno li leggeranno pure. Ha lavorato anche con Serena Dandini, Ficarra & Picone ed Ale & Franz. Ancora non sa bene cosa farà da grande, forse un libro, forse un film, forse mettere un punto dopo questa frase. Fatto.
Pasquale Diaferia. Autore di famose pubblicità (Breil, Barilla, Clear, Moschino, Olivetti, Peroni, Panorama, Vespa, Bic, Agip, tra le tante) e apprezzato scrittore e giornalista, è un Innovatore della comunicazione. Tra i riconoscimenti: da creativo, 2 Leoni di Bronzo e 5 short list al Festival di Cannes e una mostra per i suoi 30 anni di attività; da produttore, l’Atlanta Film Festival ed il Big Apple di NewYork; da direttore di testata, l’Euromediterraneo; da studioso,
Alessandro Fruscella. Classe 1979. Nato sulla costa abruzzese, cresciuto a Roma nord e infine adottato dalla Grande Mela. Inizia in piccole agenzie romane, fa una breve sosta in Leo Burnett per poi finire in DLV BBDO, Roma e brevemente a Milano. Nel 2010 gli viene chiesto di trasferirsi in BBDO New York, dove tutt’ora lavora come Direttore
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WRITERS
Creativo. Leoni, Clio, Pencils, OneShow ed EuroBest sono solo alcuni dei premi vinti. Nel poco tempo libero scrive, cucina, viaggia, colleziona tatuaggi, macchinette fotografiche e strani oggetti; salta dagli aerei, fuma ganja e inventa cose. Scrive come parla, perché parla come pensa.
dotti in marche e marche in icone. Tra le sue pubblicazioni: i romanzi “Vaniglia” e “L’Uomo dei Tulipani”. Il saggio “Questo libro non ha titolo perché è scritto da un art director” è diventato un long seller nel settore della pubblicità. Il suo VISUAL ha appena ricevuto un Gold all’International Design Awards a Los Angeles. Vive tra Milano, New York e Los Angeles e scrive i suoi libri quasi sempre in aereo, ma la sua ultima passione è dipingere. Con tutti i colori del bianco.
Gianni Lombardi. Disegnatore di fumetti, marinaio, copywriter, scrittore freelance, istruttore di Yoga, in nessun caso mai veramente bene. Per dirne una, ha fatto per trent'anni il copy ma tutti i suoi clienti scrivono meglio di lui. Segretario dell'ADCI per quattro mandati e mezzo, nel 1995 ha curato il primo CD interattivo mai realizzato da un Art Directors Club, e la prima newsletter via e-mail del pubblicità italiana. Nel 2007 ha organizzato il primo Congresso italiano dei freelance e alcuni seminari professionali per l'ADCI. Collezionista di cariche, è stato segretario dello IAB Interactive Advertising Bureau, proprio negli anni in cui stava scoppiando la bolla speculativa.
Susanna Schimperna. Scrittrice, giornalista, autrice e conduttrice radiotelevisiva. Ha diretto il mensile di immaginario erotico «Blue», il settimanale di satira «il Cuore» e il mensile astrologico «Il tuo segno». Tra i suoi libri: Le amicizie amorose, Castità, Piccolo dizionario dell'eros, Perché gli uomini mentono, Abbandonati e contenti, Cattivi Pensieri. Enzo Sterpi. 25 anni di entusiasmo nelle più importanti agenzie internazionali e italiane. Ho avuto la fortuna di lavorare con i più bravi creativi del mio tempo: Cima, D’Adda, Pirella, Vigorelli, Moretti, Lorenzini. Poi mi trasformo in freelance e divento Freelenzo - Pubblicità dietro compenzo. Lavoro con tutti gli altri, con le migliori e con le peggiori agenzie, riuscendo però a ricordare la differenza fra le prime e le seconde. Sono un tassista della creatività. Vi porto dove volete, ma la macchina è mia.
Lorenzo Marini. Ama la creatività e la applica nell’arte, nella letteratura, nella grafica e nella pubblicità che è il suo principale lavoro. Architetto di formazione, è un art director che ama sia scrivere che dipingere. Lorenzo è fondatore e direttore creativo di Lorenzo Marini Group, un’agenzia di creatività integrata con cinque sedi a Milano e una a New York. Si occupa di branding trasformando pro-
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INDICE
Vanessi è pazzo... di Pasquale Barbella Perché un libro così?... di Pietro Vanessi 3570... di Alberto De Martini Vignette di PV Tutti li vogliono, tutti li odiano... di Pasquale Diaferia Vignette di PV Meeting Report dal 2025... di Gianni Lombardi Vignette di PV La teoria delle gare... di Bruno Ballardini Vignette di PV L’Uomo che scambiò... di Enzo Sterpi Vignette di PV Cambiare si deve, anzi, si dovrebbe... di Claudio Fois Vignette di PV La trattativa in tempo di crisi... di Susanna Schimperna Vignette di PV L’ossimoro del Circo... di Lorenzo Marini Vignette di PV Parole con le ali... di Alessandro Fruscella Vignette di PV Writers
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