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Rio

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Samuele Fortunato

Samuele Fortunato

State of Mind è il nuovo album di un musicista esperto e con alle spalle numerose collaborazioni di grande prestigio

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Ci racconti chi è Rio?

Rio è il nome d’arte che scelsi quando nel 1991 entrai a far parte della Band dei Sold Out. Il motivo di questa scelta è stato semplicemente perché avevo bisogno di un nome facile da ricordare. Ebbi l’ispirazione da un film di Marlon Brando nel quale interpretava un

personaggio che si chiamava Rio. Rio è la parte di me con la quale convivo dall’età di 9 anni e che mi ha dato la possibilità di toccare i miei sogni musicali.

Raccontaci di State of mind: come sono andate le lavorazioni?

È cominciato tutto nel 2019 quando incontrai Gino D’Ignazio, grande musicista, al quale spiegai cosa avevo in mente di fare. Così, dopo aver scambiato con lui alcuni punti di vista inerenti al progetto, decisi di affidargli la produzione artistica. Avevo già sei brani completi, gli altri 4 in ordine di

tempo sono venuti durante la lavorazione del disco e sono: Loving you is a bad affair, Your eyes, Don’t stop the rhithym e if you let me say. Durante la lavorazione dell’album ho voluto fortemente la collaborazione di grandi musicisti tra cui Sergio Orso, grandissimo organista residente a Miami. Aurelio De Stefanis, chitarrista di livello internazionale. Le batterie, invece, sono state registrate da Giancarlo Ippolito e Sergio Di Natale, due musicisti fantastici e di grande esperienza e Vincenzo Boemia, chitarrista eclettico. I cori sono stati eseguiti da due talentuosissime cantanti, Alessandra Cicceriello e Martina Doni.

Perché hai scelto di cantare in inglese?

Non è una vera e propria scelta, ma un ritorno naturale su un percorso tracciato con i Sold Out anni prima ma anche dettato dal fatto che ho sempre ascoltato i grandi artisti americani come i Platters, Stevie Wonder, Donny Hathaway eccetera

Qual è la canzone del disco alla quale sei più legato?

Sono legato a tutte le canzoni del disco, ma se proprio fossi costretto a sceglierne una, sceglierei If you let me say l’ultima, in ordine di tempo che ho scritto e a cui sono particolarmente legato.

Hai collaborato con tantissimi grandi musicisti. Qual è la collaborazione che ti è rimasta maggiormente nel cuore?

Senza dubbio quella con Gigi Canu, Sergio Della Monica e Alessandro Sommella. I produttori dei Sold Out, oggi Planet Funk. Con loro ho vissuto l’arte della musica nel senso più profondo e costruttivo del termine calcando palchi come il teatro Hippodrome di Londra, trasmissioni televisive alla BBC One fino alla partecipazione al festival di Sanremo come gruppo ospite internazionale.

Quali saranno i tuoi prossimi progetti?

Per quanto riguarda i miei prossimi progetti, al momento non mi soffermo molto poiché sono concentrato su questo che ho in uscita e al quale sento di dedicare tutto il mio tempo e la cura di cui esso ha bisogno.

SYNTHAGMA PROJECT

“Onirica” è il nuovo disco della formazione nata da una costola degli InChanto e con orizzonti molto liberi e variegati

Come nasce il progetto? E perché la necessità di “staccarvi” da InChanto?

Quello di InChanto (a questo proposito quest’anno fanno 20 anni dal nostro debutto discografico con Muliermala) è un progetto nato alla fine degli anni ‘90. Con esso abbiamo avuto la possibilità di suonare in situazioni stimolanti e in contesti più disparati sia in Italia che all’estero. Sin dagli inizi, per una scelta progettuale e per il tipo di organico, abbiamo impostato il nostro repertorio, interamente originale, su partiture completamente scritte e rigide. Questo nel corso degli anni ha determinato un po’ una standardizzazione della nostra scrittura. Per evitare questa sorta di stagnazione e di ripetitività dei nostri cliché abbiamo sentito l’esigenza di un cambio di rotta. E’ nato così il progetto Synthagma con cui ci siamo voluti svincolare da questa sorta di gab-

bia in modo da dare un taglio netto a quanto fatto in precedenza. Quindi via libera ad ampi spazi per l’improvvisazione cambiando completamente, se non addirittura rovesciando, il metodo di comporre e arrangiare i brani. Molti di essi nascono in studio, magari ispirati semplicemente da un suono o da un accordo venuto fuori quasi per caso e solo dopo viene fissata su carta una “traccia” di riferimento. In questo modo si aprono decine di strade: non resta che imboccare quella che più senti vicina in quel determinato attimo e che puoi scegliere di cambiare anche nel corso dei concerti.

Mi sembra che le influenze in questo lavoro siano molto diversificate. Come avete scelto i brani da inserire?

La curiosità deve essere la chiave di tutto quando si ha la voglia di proporre qualcosa di diverso e di personale. Questo in ambito artistico in generale e a maggior ragione in quello musicale. I nostri ascolti sono quindi molto variegati, passando senza preclusioni di sorta, da Miles Davis ai Fairport Convention, da Debussy ai Led Zeppelin alle Cantigas de Santa Maria, dal Canterbury sound a Dvoràk. E in questo contesto è stato inevitabile prendere come base di partenza il progressive degli anni ’70, sia per l’intento di fondere più generi musicali rifuggendo dai canoni classici della forma “canzone”, che per l’attenzione al progetto grafico: quindi King Crimson, Van Der Graaf Generator, Gentle Giant, Genesis, Jethro Tull eccetera rivestono un ruolo di primo piano tra le nostre influenze. Per la composizione del repertorio non abbiamo fatto, in realtà, una scelta ragionata dei brani ma sono stati i brani che… hanno scelto noi. Il nostro progetto nasce fondamentalmente dall’esigenza di comporre musica originale. E’ successo, però, che ci siamo imbattuti in alcune composizioni di musica antica come Voi ch’amate o Huron carol con cui siamo entrati subito in sintonia facendoli praticamente nostri. Si è trattato anche di una sorta di sfida: “riscrivere” brani che hanno attraversato i secoli, dandone una diversa chiave

di lettura che, speriamo, risulti altrettanto affascinante.

Come nasce “Fragments” e perché l’avete scelta come singolo e video?

Quando abbiamo dato vita al progetto una delle cose che più ci intrigavano era quella di “estrarre” sonorità inusuali da strumenti acustici che, pur con tutte le loro limitazioni come nel caso della ghironda, conservavano il loro fascino arcaico. Fragments, che è nato quasi per caso nel nostro studio di registrazione, nella sua brevità è quasi un “corpo estraneo” all’interno di un cd in cui la maggioranza dei brani sono strutturati in modo abbastanza esteso e complesso. Al tempo stesso esso costituisce una sorta di “compendio” della nostra filosofia musicale e del lavoro fatto per Onirica: al suo interno coesistono improvvisazione, suoni acustici e voce, il tutto modificato e filtrato. Il video, quindi, anziché “raccontare una

storia” legata al testo ci ha permesso piuttosto di esprimere anche per immagini le sensazioni e le atmosfere che vogliamo comunicare con la nostra musica.

Siete musicisti esperti e collocati in posizione decisamente “alternativa” rispetto alle tendenze odierne. Qual è il vostro giudizio sulla musica italiana in questo momento?

Abbiamo cominciato a suonare, purtroppo o per fortuna, quando ancora non c’erano talent o contest vari: l’unico modo per esibirsi erano sale da ballo, sagre e discoteche. Era la cosiddetta “gavetta”: situazioni spesso non molto esaltanti ma che ti permettevano di confrontarti con molti generi musicali diversi e di crescere “on the road”. Riuscivamo con fatica a ritagliarci comunque degli spazi dove poter fare ascoltare le nostre cose. I mezzi che abbiamo attualmente a disposizione (parlo di internet, ma anche di scuole di ottimo livello e di stage) hanno permesso a molti giovani musicisti di crescere molto più rapidamente e con un tasso tecnico im-

pressionante: purtroppo la voglia di “sfondare” subito relega spesso in secondo piano la parte “creativa” della musica, sprecando così dei talenti notevoli. I fermenti creativi degli anni ‘70 e ‘80, la voglia di fare qualcosa di diverso si sono persi per strada, facendo posto, con l’instaurarsi della società dell’apparire, a un’omologazione verso il basso quale scorciatoia per il successo (effimero in molti casi). Questo grazie ad un’industria musicale sempre più miope ed interessata solo al profitto e ad una cultura musicale sempre più povera per il disinteresse della scuola e delle istituzioni. Però, cercando bene, riusciamo a scovare delle cose notevoli a cui andrebbe data la possibilità di avere più spazio e maggiore visibilità. In questo contesto è molto importante l’attività delle cosiddette “etichette indipendenti” che hanno il merito, nonostante le grosse difficoltà con cui si scontrano, di privilegiare l’aspetto creativo.

Quali i vostri progetti futuri?

Intanto vogliamo ricominciare a fare concerti in modo da portare finalmente i brani di Onirica davanti a un pubblico “reale” e non solo virtuale. Purtroppo l’anno scorso abbiamo dovuto annullare, per motivi di salute, tutti le date fissate ritardando di conseguenza anche l’uscita del cd. Quest’anno, invece, con il disco appena stampato abbiamo dovuto affrontare un ulteriore stop forzato dovuto al Covid-19. La speranza è di poter iniziare già con l’estate. Inoltre vorremmo sviluppare nei nostri spettacoli dal vivo l’aspetto “immagine”, elemento fondamentale del nostro progetto, attraverso animazioni, magari partendo proprio dai disegni del booklet dove abbiamo contaminato foto, elaborazione grafica e disegno. Infine stiamo già pensando a un nuovo disco: infatti, oltre ad alcuni brani che pur essendo eseguiti regolarmente in concerto non hanno trovato posto nel Cd, abbiamo anche diverso materiale non utilizzato durante le registrazioni che potrà costituire una buona base di partenza per nuove composizioni. Ma per il momento... godiamoci Onirica.

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