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qUeste iStituzioni 1983/2 ° semestre

CENTRO E PERIFERIA: I CONFLITTI E LE INERZIE 3/ Tesoro ed enti locali: il caso britannico

di G.W. Jones e J.D. Stewart

11/ Energie rinnovabili e vecchi problemi: il prezzo del decentramento

di Vincenzo Spaziante

Fra il centro e la periferia non c'è pace. Nel periodo che viviamo, l'esperienza di tensioni profonde e addirittura di una radicale messa in questione dei rapporti istituzionali fra i due livelli di governo appartiene un po' a tutti i paesi, quelli industriali per primi. Il nodo fondamentale è quello dei rapporti finanziari. Osserva Luigi Graziano nell'introduzione del libro Centro e periferie nelle nazioni industriali (di Peter J. Katzenstein, Sidney G. Tarrow ed altri, Officina Edizioni, Roma 1983): « Lo sviluppo delle funzioni e dei servizi urbani nel periodo postbellico ha determinato, in tutti i paesi industriali, un forte incremento dei finanziamenti esterni ai governi locali - abitualmente da parte di autorità di governo più elevate. Da questi trasferimenti di fondi, gli studiosi sono stati generalmente indotti a concludere che i governi centrali hanno acquisito una maggiore influenza - secondo alcuni, anzi, un controllo assoluto sulle scelte politiche delle unità di governo locali ». Appena sotto ai rapporti finanziari c'è lo stesso nodo costituzionale. Il caso inglese è quel lo del maggior conflitto e della maggiore aggressività del governo centrale nel riprendere in mano i cordoni della borsa. Il discorso di Leon Brittan, allora Permanent Under Secretary al Tesoro, ora Ministro degli interni nel Gabinetto Thatcher del dopo-elezioni '83, costituì nell'estate del 1982 uno dei punti culminanti dell'affermazione di una legittimità solo centralistica del governo della finanza pubblica. Al punto da porre le cose sul piano


costituzionale: i poteri locali - disse Brittan - avrebbero mancato alla « convenzione costituzionale » secondo la quale spetta al governo centrale stabilire i limiti di spesa. Gli autori dell'articolo che pubblichiamo riprendendolo da « The Politicai Quarteriy » respingono appassionatamente gli argomenti di Brittan, ripro ponendo in alternativa la linea della « responsabilità fiscale » degli enti locali. Certo decisiva anche al fine di impedire che i poteri locali si consolidino nell'assetto di gruppo di pressione. La replica sarebbe pienamente convincente se rispondesse compiutamente all'argomento che potere impositivo locale e potere impositivo' centrale non possono essere considerati pienamente cozplementari, oggi, in termini di politica economica e di politica di bilancio. Riproporre la linea che potremmo chiamare del « federalismo fiscale cooperativo », secondo un'espressione in uso nella letteratura internazionale, va bene ma appunto solo dopo aver dimostrato (o ridimostrato) le possibilità concrete di tale complementarietà. Una ragione classica posta a fondamento dell'autonomia dei governi regionali e locali è la capacità di questi di cogliere meglio e direttamente bisogni e domande espresse dalla popolazione e dalla società civile. 'Quando la richiesta o la rivendicazione di spazio e funzioni proprie da parte delle au tonomie ha avuto successo bisogna andare a verificare come poteri e funzioni sono esercitate. Finita 'l'epoca degli « avvocati delle Regioni » è necessario, oggi, fare la vai utazione critica di che cosa è la realtà regionale. Sul caso delle inerzie della periferia in materia di nuove funzioni nel campo della politica dell'energia Vincenzo Spaziante compie una ricognizione critica severa: quella che serve oggi, proprio a difesa dell'autonomia dei poteri regionali e locali. Una ricognizione che diventa appassionata denuncia.

queste istituzioni 1983/20 semestre Direttore: SERGIO RISTUCCIA . Condirettori: GIOVANNI BECHELLONI (responsabile) e MASSIMO BONANNI. DIREZIONE, REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE, Casella postale 6199 - 00100 Roma Prati . Telefono 657.054. Conto corrente postale N. 57129009 - intestato a: GRUPPO DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI - casella postale 6199 - 00100 Roma Prati. « Queste Istituzioni » esce semestralmente in quattro o cinque fascicoli separati di dei quali dedicato ad un solo tema.

16.32 pagine, ognuno

Abbonamento ordinario: annuale L. 22.000. Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972). Spedizione in abbonamento postale - IV gi -ttppo. STAMPA: Litospes - Roma.

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Associato allUegi: Unione Stampa Periodica lt811ana


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Tesoro ed enti locali: il caso britannico di G.W. Jones e J.D. Stewari

16 luglio 1982: nel corso di una riunione dell'Associazione dei dirigenti degli enti locali il Segretario generale del Ministero del tesoro, Leon Brittan, pronuncia un discorso sugli orientamenti del suo Dicastero e sulle scelte del Governo conservatore in materia di finanza locale a partire daI 1971'. 11 succo del discorso di Brittan è che i governi locali spendono troppo, con grave danno per l'economia nazionale e comunque al di là dei limiti di spesa fissati dal governo centrale. Di fronte a quella che considera una violazione di una convenzione costituzionale, Brittan si chiede se sia ancora sostenibile l'opinione secondo cui « l'autonomia locale implica necessariamente il corollario della più completa libertà di determinazione dei limiti della spesa locale e dei livelli delle imposte locali sugli immobili (rates) »: con ciò lasciando intendere chiaramente di essere favorevole a un ripensamento del sistema di governo locale britannico, fondato sul diritto-dovere, per gli enti locali, di stabilire liberamente il livello delle .proprie spese finanziate con il gettito delle rates rendendone conto esclusivamente e direttamente ai propri elettori. Secondo Brittan (e secondo il Tesoro), come dimostrano anche i recenti studi di Joel Barnett e Leo Pliatzky, la spesa locale, anche se finanziata con il .gettito delle rates, non differisce dalla spesa statale e dovrebbe pertanto essere determinata dal governo centrale2 . Chi sfida questa elementare verità altro non sarebbe che un irresponsabile o un superficiale e i suoi argomenti, comunque,

non avrebbero mai validità scientifica. In realtà, il fatto che il Tesoro eviti accuratamente di replicare a quanti (professori, economisti, funzionari locali) in numero crescen, te manifestano opinioni diverse 3 nasconde o una difficoltà di risposta o un atteggiamento di paranoia istituzionale. Per quanto ci riguarda direttamente, non abbiamo mai sostenuto la tesi, che Brittan attribuisce indistintamente a tutti i suoi oppositori, secondo cui il governo centrale dovrebbe « concedere assoluta autonomia alle autorità locali »; né mai abbiamo detto che il governo centrale dovrebbe rimanere « indifferente rispetto alle decisioni finanziarie dei governi locali ». In realtà è Brittan, e con lui molti ministri e persino alcuni esponenti del governo locale, a rivendicare. al governo centrale il diritto a « interessarsi » della spesa locale, in quanto questa costituisce una voce assai importante della spesa pubblica complessiva4 A nostro avviso, il vero problema sta nella definizione e nella misura di questo « interesse ». Negli anni passati l'interesse del governo si limitava a prevedere e a tentare di influenzare il volume globale della spesa locale. A partire dal 1979, quest'interesse si è fatto più stringente fino a divenire una rivendicazione del potere di « stabilire limiti effettivi », di « ricomprendere la spesa locale nell'ambito della spesa pubblica complessiva », di « fissare un tetto per la spesa. de.gli enti locali » e di fissare dei limiti non più solo per il sistema del governo locale ma per i singoli enti locali. .


4 Noi non contestiamo il diritto del governo centrale di avere un « interesse » per la spesa locale, né il diritto di influenzare il volume complessivo di questa spesa con un'azione di persuasione o con un controllo diretto sull'indebitamento degli enti locali o stabilendo l'entità delle assegnazioni alla finanza locale (essendo queste ultime una spesa statale da finanziare con il gettito delle imposte generali). Contestiamo invece il preteso cliritto di imporre limiti vincolanti alla spesa dei singoli enti locali, anche laddove questa sia finanziata con il gettito derivante dalle imposte locali. Ammettere la fondatezza dell'interesse. del governo centrale per le finanze degli enti locali non significa, insomma, legittimare ogni tipo possibile di ingerenza. A nostro avviso, l'interesse del governo centrale dovrebbe, e potrebbe, trovare la miglior tutela in una legge che si proponga di responsabilizzare ancor. più gli amministratori locali. Che spetti al governo centrale occuparsi dell'economia nazionale è certo e trova, come osserva Brittan, un sicuro fondamento nel principio costituzionale della « sovranità del Parlamento ». Ma di qui a sostenere che la sovranità del Parlamento implichi necessariamente anche la sovranità dei ministeri ne corre di strada, e tanta. Ministri e alti funzionari statali tentano invece troppo spesso, e con eccessiva disinvoltura, di convertire la sovranità parlamentare in supremazia ministeriale, dimenticando che i confini del potere dei ministri sono quelli individuati dal Parlamento e solo quelli. . E il Parlamento non ha accordato a nessuno, nemmeno al Tesoro, un potere decisionale pieno su tutte le tasse e tutte le imposte. Non solo:, il Parlamento ha anche voluto che certi servizi pubblici fossero assicurati dagli enti locali, anziché dai ministeri, in modo da garantire una gestione più snella ed efficiente, e per queito ha attribuito agli enti locali un autonomo potere impositivo e di spesa: sì che

anche questa autonomia trova fondamento nel principio costituzionale della sovranità del Parlamento.

UNA CONVENZIONE IN VENTATA

Quando Brittan sostiene, come Tom King, che le autonomie locali hanno infranto la convenzione costituzionale con la quale « riconoscevano il diritto del governo centrale di fissare un tetto per la spesa degli enti locali e si impegnavano informalmente a rispettare questo tetto », si accusano le autonomie locali di mostrarsi « sempre meno disposte ad accettare il giusto e legittimo potere del governo centrale di stabilire limiti precisi di spesa ». In realtà, il Governo ha inventato questa convenzione costituzionale nel 1979. E' vero che per tutti gli anni Sessanta e fino ai primi anni Settanta gli annuali Libri Bianchi del Governo sulla spesa pubblica contenevano anche delle previsioni sulla spesa locale. Erano, tuttavia, previsioni di larga massima e provvisorie, e come tali venivano riconosciute e accettate fin tanto che non si fossero concluse le trattative sulle assegnazioni statali alla finanza locale e in attesa, comunque, di conoscere le effettive decisioni di spesa di tutti gli enti locali. A metà degli anni Settanta, la quadruplicazione del prezzo del petrolio indusse il Governo laburista a cercare di tagliare la spesa pubblica, compresa quella del governo locale: « la festa - come disse Io stesso Governo - era finita ». Ma la politica dei tagli era stata decisa avviando contestualmente un processo di consultazione e di cooperazione con i go verni locali, e tentando di convincerli a conformarsi ad obiettivi globali di spesa predeterminati. In ogni caso, il Governo laburista si preoccupò solo della spesa complessiva dei governi locali. Il' Governo conservatore ha radicalmente mu-


tato questo orientamento, attribuendo alle previsioni sulla spesa pubblica un significato molto più forte e facendone precisi strumenti di controllo del rispetto, anche da parte delle autonomie locali, di limiti predeterminati: in sostanza, il governo centrale non si limitava più ad influire sul .volume totale di spesa, ma si riproponeva di controllare la spesa di ciascun ente. E' dunque il governo centrale, non quello locale, ad aver violato le convenzioni; e i conflitti e le tensioni che ora caratterizzano i rapporti centro-periferia sono una conseguenza di questo comportamento. Brittan accusa i governi locali anche di una « persistente tendenza ad eccedere i limiti di spesa », rilevando che « è estremamente dannoso per il nostro sviluppo economico che un livello di governo - quello locale continui ad alterare sistematicamente l'equilibrio del sistema ». Tale tendenza « mette in pericolo l'intero equilibrio che il governo, e solo il governo deve stabilire fra spese, entrate ed indebitamento ». Così dicendo, Brittan accusa in sostanza di dissipazione gli amministratori locali, che sconvolgono la perfetta regolazione dell'economia britannica da parte del Tesoro. Tuttavia, fino al 198182, la spesa totale dei governi locali è rimasta molto vicina alle previsioni, con un margine di scostamento, talora per difetto, dell'i o 2 016 rispetto alle previsioni. In seguito lo scostamento fra spesa locale effettiva e limiti fissati dal governo centrale si è fatto più sostanzioso (fra il 5 e il 7-9%), ma occorre tener presente che queste cifre sono in parte il risultato dello scarso realismo dei limiti di cassa fissati dal governo centrale. Infatti, tali limiti imponevano agli enti locali tagli più drastici di quelli che il governo centrale aveva deciso di operare sulla spesa dei ministeri6 . I tagli alla spesa dei governi locali, insomma, sono stati sistematicaménte maggiori di quelli relativi alla spesa delle amministrazioni centrali. In ogni ca-

so, l'accusa di « spendere eccessivamente » non è sostenibile. Dal 1975 al 1981, la spesa del governo locale è passata dal 16% al 1496 in rapporto al prodotto interno lordo e dal 32% al 28% in rapporto alla spesa complessiva; nello stesso periodo, la spesà delle amministrazioni centrali è passata, rispetto ai medesimi indici, dal 33% al 35% e dal 68% al 72%. Il governo centrale ha dunque mostrato minore moderazione dei governi locali nelle proprie spese e tale tendenza risulta confermata anche escludendo dai calcoli i sussidi di disoccupazione. Brittan sostiene inoltre che « le autorità locali non sono capaci di amministrare i loro bilanci »8, ma la realtà è che è il governo centrale a mostrarsi incapace di controllare ef ficacemente la propria spesa; l'accusa di spendere eccessivamente che viene rivolta ad altri enti (università, imprese pubbliche e, soprattutto, governi locali) e la segnalata esigenza di controlli più rigorosi su questi centri di spesa altro non sono che degli espedienti per fare fumo e nascondere le proprie responsabilità. E' del resto significativo che dal luglio 1982 la sola componente della spesa pubblica per la quale il governo centrale si sia sentito in grado di fissare dei limiti per il periodo 1983-84 sia stata quella del governo locale9, e che non sia invece riuscito a formulare analoghi limiti per la spesa delle amministrazioni centrali. E' fuori di dubbio che il controllo della spesa pubblica globale sarebbe molto più efficace se il governo centrale concentrasse le sue energie sulla spesa per la quale è direttamente responsabile - vale a dire, la spesa dei ministeri - e non sviasse, invece, l'attenzione dalle sue responsabilità con accuse infondate alle autonomie locali. UN ATTACCO IRRESPONSABILE

Non si può che disapprovare energicamente il fatto che Brittan identifichi il governo lo-


cale con il « cattivo » governo. La spesa locale è solo una componente della spesa pubblica totale e neppure la più importante: in ogni caso, se eccessi ci sono, sicuramente non sono significativi per l'economia del paese in generale. Nel 1975 l'allora Sòttosegretario permanente del tesoro sostenne davanti' a una commissione d'indagine che una spesa aggiuntiva di un miliardo di sterline avrebbe avuto un effetto trascurabile sull'economia' 0 . Se nel 1975 si poteva tollerare una spesa aggiuntiva di un miliardo, sette anni più tardi se ne può facilmente sopportare una di un miliardo e mezzo. Tale somma, dopo tutto, rappresenta solo una piccola percentuale in riferimento sia alla spesa pubblica globale (che ammonta a 120 miliardi di sterline) sia al prodotto interno lordo (che è di 21.0 miliardi di sterline) e comunque rientra agevolmente in qualunque margine di errore di stima, dato che lo scostamento può arrivare a tre miliardi. Ne è credibile che una cifra del genere possa avere un impatto significativo sui tassi d'interesse e quindi sul livello degli investimenti industriali. In conclusione, Brittan ha esagerato le conseguenze della presunta tendenza dei governi locali a spendere eccessivamente. 'Ma sollevare una questione costituzionale così seria - quale la sorte stessa delle autonomie locali - per una somma talmente esigua e con conseguenze economiche relàtivamente insignificanti è un atto di vera e propria irresponsabiità, che minaccia di scuotere'dalle fondamenta la stabilità stessa delle istituzioni. L'òbiettivo economico primario del governo centrale è ricondurre l'inflazione entro limiti che consentano la ,ripresa dell'economia. Quando, come avviene ora, per raggiungere questo obiettivo si fa leva solo sulla politica monetaria, è necessario che il fabbisogno del settore pubblico e la creazione della base monetaria siano posti sotto stretto controllo. •Detto questo, occorre precisare alcu-

ni punti: che la spesa in conto capitale dei governi locali è controllata dal governo centrale; che i bilanci degli enti locali devono' essere in pareggio e non possono prevedere deficit della parte corrente; che qùest'anno gli enti locali, nonché indebitarsi eccessivamente, hanno accelerato il rimborso di interessi e sono stati anzi accusati dai ministri di spendere troppo poco sul piano degli investimenti; che solo il governo centrale può stampare carta moneta e accrescere la base monetaria. Da tutto ciò, proprio non si vede come e perché il governo locale possa essere biasimato. Ha pienamente ragione Brittan quando dice che il governo centrale deve « tener conto di ciò che fanno le autonomie locali »" e controllarne il livello d'indebitamento. Può anche essere condivisa la cautela sua e del Governo quando si tratta di « determinare l'importo delle assegnazioni agli enti locali, trattandosi di denaro dei contribuenti ». Ma questo non giustifica i tentativi di controllo della spesa locale finanziata con il gettito derivante da imposte locali. A partire dal 197677 i contributi del governo centrale alla spesa degli enti locali attraverso il sistema delle Rate Support Grants hanno incontrato forti limiti di cassa. Il flusso delle assegnazioni agli enti locali è dunque già saldamente sotto il controllo del governo centrale. Brittan usa poi un argomento trattato nel Libro Verde del Governo sulle alternative alle imposte sulla proprietà immobiliare 12 sostenendò che la concessione di nuove fonti di entrata per i 'governi locali potrebbe limitare la libertà dei Cancelliere dellò Scacchiere nel disegnare la politica fiscale del Governo. La tesi di Brittan è che « i contribuenti locali non possono spendere due volte il loro denaro. Se pagano le imposte locali, non possono pagare le imposte statali sul reddito ». Va da sé che tale argomentazione "ha ben poco a che fare con le esigenze di regolazione macroeconomica. Il Can-

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aelliere può manovrare liberamente una sene numerosa di imposte (dirette e indirette, sul reddito, sulla ricchezza e sui consumi) sulle quali i governi locali non hanno alcun controllo. In ogni caso, può esercitare poteri di controllo sulle imposte degli enti locali per controbilanciare, se e quando lo ritenga opportuno, le conseguenze delle loro decisioni fiscali. Ora, sostenere che l'unica tassa di cui gli enti locali dispongono può condizionare pesantemente la libertà di azione del Cancelliere dello Scacchiere non trova alcun fondamento nell'effettiva distribuzione del potere fiscale tra i due livelli di governo. In ogni caso, è noto che in altri paesi gli enti locali hanno a loro disposizione molte più imposte, di cui possono variare a discrezione le aliquote; mentre i ministri finanziari, che non cercano di controllame la gestione, non per questo si sentono indebitamente condizionati nel loro ruolo e spesso anzi ottengono risultati migliori dei nostri.

È DIFENDIBILE L'AUTONOMIA IMPOSITIVA DEI GOVERNI LOCALI?

Brittan afferma anche che il controllo centrale sulla spesa dei governi locali, pur se finanziata dalle rates, è necessario perché i contribuenti non possono investire il denaro che versano a titolo d'imposta locale « in qualcosa di più produttivo, o adoperano per acquistare beni prodotti in qualche altro set: tore economico ». Si tratta di una variante della tesi dello « spiazzamento », secondo cui la spesa locale sottrae risorse al settore privato. Ma è proprio questo il nocciolo dell'autonomia locale: la possibilità di scegliere fra consumi pubblici e privati. Se i contribuenti locali rinunciano a consumi privati in cambio di determinati beni e servizi pubblici e sono disposti a pagani con imposte locali, questa possibilità non dovrebbe esser-

gli negata, altrimenti non vi sarebbe motivo di avere un sistema di autonomie locali: comunque, non spetta al governo centrale limitare tale sfera di responsabilità. Brittan inserisce tuttavia nel suo discorso alcune considerazioni che finiscono con l'indebolirne la tesi principale: « Ciò non significa - aggiunge infatti - che esista un trade-ofi fra imposte locali e imposte centrali, né che le rates sprazzino sistematicamente la spesa del settore privato. 'Ma non possiamo permetterci di trascurare queste relazioni e anzi dobbiamo tenerne conto quando formuliamo la politica macroeconomica ». Tuttavia, espressioni del tipo « non possiamo permetterci di trascurare » e « dobbiamo tener conto di» vanno ben al di là dei tentativi del governo centrale di contenere entro limiti predeterminati la spesa dei governi locali finanziata con le rates. Simili affermazioni sembrano sottintendere che il governo centrale ha il potere di controllare l'economia e che le sue scelte sono infallibili; in realtà, si tratta solo di un atteggiamento presuntuoso che mal si accorda con un'impostazione etico-politica di fondo che riconosce, invece, la fallibilità dello Stato.

IL LIVELLO E LA QUALITÀ DEI SERVIZI LOCALI

Brittan passa poi ad alcune considerazioni che hanno ben scarsa attinenza con il controllo sulla spesa dei governi locali da parte del governo centrale. Tra l'altro afferma che il governo centrale « tende ad interessarsi anche di come vengono utilizzati i fondi nel settore dei servizi. Molti servizi forniti dagli enti locali devono essere integrati con quelli offerti dal governo centrale ». L'affermazione è sorprendente, anche se non è affatto chiaro a cosa ci si riferisca, dato che il governo centrale britannico ha poche funzioni direttamente operative in materia di


8 servizi. L'esempio che fa Brittan riguarda l'interesse del •governo centrale a garantire che gli enti locali « forniscano assistenza a quei pazienti che non sono coperti dal servizio di assistenza sanitaria nazionale ». Questa tesi può essere di qualche importanza quando si discutono le politiche dei ministeri di spesa, ma non ha nulla a che fare con i vincoli che il Tesoro impone alla spesa locale. In ogni caso, i tagli del governo hanno colpito più pesantemente la spesa sociale dei governi locali che il Servizio sanitario nazionale: in tal modo è stata ridotta la possibilità per i governi locali di assicurare assistenza proprio a quei malati per i quali il Servizio sanitario fa ben poco 18 Brittan giustifica anche « l'interesse » del governo centrale per la spesa locale con l'affermazione che « il governo centrale porta una certa responsabilità per il livello e la qualità dei servizi su tutto il territorio nazionale ». E' però un'affermazione troppo debole per giustificaré l'attività di controllo del governo centrale: l'espressione « una certa responsabilità » è troppo vaga, né mai si è concretamente avvertita una preoccupazione del Tesoro per « il livello e la qualità » dei servizi locali. Un compito del genere spetta, semmai, ai ministeri di spesa, che certo non devono considerare un tale comportamento da parte del Tesoro di grande aiuto ai loro sforzi di mantenere o migliorare la qualità dei servizi, ovvero di promuoverne una distribuzione e un livello uniforme. In verità, stando a quanto accade nel settore dell'istruzione pubblica, sembra piuttosto che le differenze nella qualità dei servizi tendano ad acuirsi e che addirittura per certi enti locali il livello tenda a scendere al di sotto di limiti accettabili. Se da ciò si può trarre una conclusione, questa è che gli obiettivi governativi di riduzione della spesa neggiorano la situazione. Brittan aiustifica l'interferenza del governo centrale in fatto di politiche, di standards e .

di liveffi di spesa ben al di là di quanto .è stabilito e richiesto dal Parlamento, tornando ad insistere sul problema macroeconomico: « ci preoccupiamo di garantire che le politiche governative dirette a migliorare le condizioni dell'economia nazionale non siano vanificate dall'azione delle autonomie locali. Per questo siamo interessati ad influenzare le loro decisioni sui livelli di spesa e di imposizione fiscale... Le autonomie locali sono parte integrante del sistema di governo e la loro azione, come quella di ogni altro ente del settore pubblico, può soffocare l'iniziativa privata, ostacolare lo sviluppo economico e distruggere posti di lavoro ». C'è poi, secondo Brittan, un altro aspetto da tener presente: la crescita della spesa locale e l'elevato livello delle rates sull'industria e sul commercio stanno annullando i vantaggi che alle imprese sono derivati dalle riduzioni delle imposte statali. A suo parere, « nessun governo che davvero intenda rafforzare l'economia britannica a ridurre la disoccupazione può rimanere indifferente di fronte a questi sviluppi ». Abbiamo più volte sostenuto che le imposte locali sugli immobili ad uso commerciale ed industriale (non domestic rates) non sono una fonte di entrata appropriata per i governi locali, in quanto non gravano direttamente sull'elettorato locale, e quindi dovrebbero divenire imposte statali. In tal modo, il Tesoro potrebbe avere pieno controllo su tutte le imposte sull'industria e il commercio, senza essere costretto a controllare la spesa dei governi locali e i livelli delle rates'4 . In ogni caso, l'impatto delle rates sull'industria è sopravalutato, in quanto rappresentano solo una piccola parte dei costi industriali, paragonabile alla spesa per il riscaldamento, la luce e il telefono. Pochi industriali ritengono che il loro problema pii pressante sia costituito dalle imposte. E' noto che le loro maggiori difficoltà attualmente scaturiscono, invece, dalla recessione e dal


basso livello della domanda, dal costo del denaro, dagli oneri sociali e dalle sovrattasse decise dal governo centrale.

RESPONSABILIZZARE GLI ENTI LOCALI

Tutto l'intervento di Brittan è dunque centrato sulla necessità di un controllo sulla spesa locale da parte del governo centrale, ma questa necessità non viene mai dimostrata in modo convincente, né viene mai seriamente confutata la tesi di chi ritiene, invece; sufficienti il controllo 8u11'indebitamento dei governi locali e sui livello dèlle assegnazioni statali, nonché l'opera di persuasione, stimolo ed influenza dei governo centrale". E forse un controllo del governo centralè sulla spesa locale - che pure rappresenta circa un quarto della spesa pubblica complessiva - non ha davvero valide giustificazioni economiche finché questa spesa è finanziata da imposte che gravano sull'elettorato locale. Dei resto, gli obiettivi macroeconomici dei Tesoro potrebbero essere realizzati più agevolmente associando i governi locali nell'impegno per un più accorto uso delle risorse. Se gli enti locali finanziassero una quota maggiore delle loro spese con le proprie imposte, si potrebbe raggiungere un miglior equilibrio fra spesa e imposizione fiscale. Invece di cercare di accrescere il controllo centrale, che serve solo a trasformare gli enti

H.M. Treasury, Dichiarazione Stampa, testo di un discorso di Rt. Hon. LEON BRITTAN, QC, MP, Segretario generale presso il Ministero del tesoro, alla Associazione dei dirigenti degli enti locali (So-

ciety o/ Local Authority Chief Executives - SO. LACE) tenuto al Viking Hotel, York, il 16 luglio 1982. Citato successivamente con L.B. 2 JoaL BARNETT, Inside the Treasury, Andre Deutsch, Londra 1982, pp. 74-79, e Sir LEO PLIATZKY, Getting and Spending, Basil Blackweli, Londra 1982, pp. 117-118, 189-190. Ad esempio, Camera dei Comuni, Seconda relazione del Comitato per l'ambiente, Enquiry into

locali in gruppi• di pressione sempre più esigenti, Brittan dovrebbe piuttosto richiedere agli enti locali di ridurre il loro grado di dipendenza dai trasferimenti del governo centrale, di rinunciare alle non domestic rates e di assièurarsi la maggior parte delle entrate attraverso le domestic rates e le unposte locali sul reddito. Tali riforme avrebbero l'effetto di responsabilizzare maggiormente gli amministratori locali, i quali, se volessero spendere di più, dovrebbero aumentare la pressione fiscale sull'elettorato locale. La « preoccupazione » del Tesoro dovrebbe dunque indirizzarsi verso una soluzione che rafforzi la responsabilità fiscale dei governi locali. E' singolare che un Ministro del Partito conservatore, che molti hannb considerato il paladino delle autonomie locali nei confronti della burocrazia centrale, abbia sferrato un attacco durissimo contro i governi locali, sostenendo con tono minaccioso che « La spesa dei governi locali gioca un ruolo talmente importante nella nostra economia che, se non si viene a capo del problema dei loro eccessi di spesa, le conseguenze non potranno che essere molto dolorose per i governi locali. Potrà infatti accadere• che il governo centrale sia costretto ad assumere comportamenti molto drastici, e con poteri ben più incisivi sulle finanze locali ». Siamo tutti avvertiti.

Methods o/ Financing Local Governrnent in the Contest o! the Government's Green Paper, Gmnd. 8449, Appendices, voi. III, luglio 1982, HN (1981. 82) 217-111, pp. 12-25. Per esempio, un discorso di T0M KING, Ministro di Stato al Dipartimento per l'ambiente, tenuto alla conferenza dell'Istitiuto di finanza e contabilità

pubblica (Chartered Institute o/ Public Finance and Accountancy) a Harrogate, 4 giugno 1982 (Dipartimento per l'Ambiente, comunicato stampa n. 196: « Il Ministro ha detto che la gran maggioranza della popolazione ritiene che il governo centrale abbia un legittimo interesse per il livello comples-


lo sivo della spesa dei governi locali a, p. 1). Anche nella sua deposizione al Comitato per l'ambiente, MC (1981-82), 217-1I, voi. 11, ;p. 247. Si veda anche l'opinione dell'Associazione dei tesorieri di Contea (Society o/ Conty Treasurers), « County CounciI Gazzette », ottobre 1981, ip. 202. Si veda JOHN STEWART, Overspen4ing - Ave the Government's Criteria Fair?, in Joi-n. STEWART et al., In De/ence o! Local Government, Istituto di studi sul governo locale, Birmingham 1981, pp. 2224, e How Councils Were Set Tougher Spending Targets Than the Government, « Municpal Journal », 14 maggio 1982, pp. 708-9. CS.O., Economic Trends; C.S.O., Financial Stalistics; CI .P.F.A., Local Government Trends. L.B., p. 9. Discorso di MICHAEL HESELTINE alla Camera dei Comuni. HC Debs. (1981.82), 27 luglio 1982, Cols. 923-31.

o Quattordicesima relazione del Comitato per la spesa, The Motor Vehicle Industry, vol. Il, MC (1974-75) 617-I1, pp. 201-2. " LB, p. 7. 12 Cmnd. 8449, dicembre 1981. 13 Sf veda nota 6. 14 Si veda GEORGE JoNEs, JOHN STEWART e ToNY

The Way Ahead br Local Government Finance, Istituto di studi sui governo locale, Bir-

TRÀVERS,

minghani 1982, p. 17. 15 ENoci-r POWELL ha scritto: « Con tutti i mezzi si pongono limiti alle assegnazioni dello Scacchiere. e ai prestiti dei Governo: ma ogni monetarista sa che le rates non possono causare inflazione e i Consigli non possono stampare carta moneta. Dunque, perché sollevare im putiferio da un capo all'altro del paese? Non ha alcun senso ». « Stmday Times a, 11 ottobre 1981.


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Energie rinnovabili e vecchi problemi: il prezzo del decentramento di Vincenzo Spaziante

Scopo di questa nota è di impostare una lettura critica della legge 29 maggio 1982 n. 308 sul contenimento dei consumi energetici e lo sviluppo delle fonti rinnovabili d'energia, mettendo in evidenza i complessi problemi applicativi che ne derivano per le Regioni e gli enti locali, cui la legge assegna un ruolo di notevole rilievo. Una primissima considerazione da fare è che, con l'approvazione della legge 308, la presenza delle Regioni e degli enti locali nel campo dell'energia s'avvia a prendere materialmente forma in maniera poliedrica, in relazione a cinque gruppi di norme che la qualificano in altrettanti modi.

LA LEGGE

308/1982

NELLA PROSPETTIVA REGIONALE

Un primo gruppo di norme (articoli 2, 3, 6, 9 e 12), che interessa esclusivamente le Regioni, prevede la partecipazione a titolo consultivo di questi enti a una serie di procedure finalizzate a decisioni (direttive di coordinamento, definizione di criteri d'intervento, riparto dei fondi) saldamente in mano dei poteri centrali. Per quanto tale attività consultiva possa anche avere effetti non trascurabili sui delicati processi dec.isionali di livello costituente e contribuire - come testimoniano •alcune recenti vicende - a un riorientamentO di ipotesi formulate dalle Amministrazioni statali competenti, non sembra tuttavia che da questo specifico contesto emergano particolari problemi applicativi.

Ben diverso è invece il caso di un altro gruppo di norme (articoli 6, 7, 8, 9 e 12) che costituiscono il corpo centrale della legge, sia sotto il profilo istituzionale che finanziario. Qui Regioni ed enti locali - a titolo pieno ed immediatamente spendibile le prime, in via solo eventuale e ulteriore i secondi hanno veste e poteri che sono propri di soggetti attivi di politica energetica. Ciò in forza della delega conferita alle Regioni sia per l'erogazione che per la determinazione dei criteri di priorità nella concessione di contributi finalizzati al sostegno dell'utilizzo delle fonti rinnovabili nell'edilizia e in agricoltura, nonché al contenimento dei consumi energetici nei settori agricolo e industriale. Il punto merita sicuramente qualche ulteriore considerazione, non fosse altro che per l'entità delle somme destinate al finanziamento ditali interventi (più di 1.000 miliardi di lire, pari a circa il 65% delle risorse pubbliche - 1.588 miliardi - complessivamente previste dalla legge). Sotto questo profilo è bene infatti ricordare che la norma contenuta nell'articolo 26 della legge 308 pone un rigido vincolo di tempestività all'esercizio dell'attività delegata alle Regioni. Le quali, se non riusciranno ad impegnare integralmente i fondi loro trasferiti entro l'esercizio successivo a quello d'iscrizione in bilancio, verranno a perderne la materiale disponibilità. In questo caso, infatti, le somme residue dovranno riaffluire al bilancio dello Stato, come dotazione del « Fondo nazionale per il risparmio e le fonti rinnovabili ».


12 Questa norma di prudenza è embiematica del carattere fortemente sperimentale che si è voluto dare alla prima attribuzione organica di competenze alle Regioni nel settore dell'energia. Pur con tutti gli escamotages possibili (quali, ad esempio, il differimento dell'iscrizione in bilancio dei fondi statali), essa rappresenta un impegnativo banco di prova per le Regioni. Le quali sono tenute - in termini, se vogliamo, di una •fiscalità giustamente severa ma certo abbastanza inconsueta per i centri di spesa del pubblico denaro - a dare la compiuta dimostrazione di essere effettivamente in grado di assolvere quelle funzioni tante volte reclamate: e di saperlo fare presto, prima e più ancora che bene. È dunque alla stregua di tale criterio che dovrà essere valutata ogni possibile ipotesi attuativa di questa parte della legge. Prima fra tutte quella che concerne la possibilità di una successiva sub-delega agli enti locali (province, comuni o loro consorzi o associazioni, comunità montane) da parte delle Regioni. In linea teorica, a favore dell'ipotesi di deleghe ulteriori gioca l'argomento, difficilmente confutabile, che in questa prospettiva si garantisce una dimensione di intervento più articolata e capillare, pienamente funzionale all'obiettivo di dare impulso indiretto alla produzione e all'offerta di nuovi beni attraverso la creazione e il sostegno di una domanda di tipo diffuso. Di fatto, l'opportunità di deleghe ulteriori non potrà tuttavia prescindere da una attenta considerazione degli eventuali limiti di fattibilità, in termini sia strutturali che organizzativi e procedurali, che si oppongono a questa ipotesi. Naturalmente, problemi analoghi si porrebbero per le Regioni anche nel caso in cui queste, ritenendo inopportuna la delega, decidessero di provvedere in prima e unica persona alla gestione degli interventi. In ogni caso, ove dovesse prevalere una scelta favorevole a una gestione degli interven-

ti quanto più possibile decentrata, resterebbero da sciogliere ancora altri nodi, di importanza non secondaria. Innanzitutto, quello relativo ai livello ottimale di decentramento, in riferimento sia alla natura degli interventi da realizzare sia all'affidabilità tecnico-operativa degli enti cui conferire la delega, da individuarsi sulla base di ciò che già oggi offre la mappa del potere locale, in ciascuna realtà regionale, ovvero ipotizzando una sua ulteriore articolazione, peraltro non sempre agevole, su un piano consociativo. In secondo luogo, quello relativo all'opportunità di attribuire indiscriminatamente la delega a tutti gli enti che rientrino nell'ambito delle grosse categorie tipologiche, canoniche o no, del potere locale, ovvero di calibraria per classi che potrebbero essere individuate secondo svariati criteri. Infine, quello relativo alla natura delle deleghe, le quali potranno prevedere o no condizioni e vincoli di varia natura secondo che le Regioni - a parte la necessità di individuare comunque le priorità da rispettare, in sede di esercizio delle deleghe successive, nella concessione dei contributi - intendano mantenere un potere più o meno esteso di programmazione, coordinamento e controllo sulle attività delegate, o rinunciarvi in tutto o in parte. Un secondo problema da risolvere tenendo ancora ben presente il vincolo sanzionatorio posto dall'articolo 26 riguarda la struttura amministrativa cui riferire l'esercizio delle funzioni delegate. Questo problema, che tocca indistintamente le Regioni e gli enti locali eventualmente delegati, parrebbe risolto dalla stessa legge 308 (art. 15, ultimo comma), che autorizza Regioni e comuni singoli o associati a dotarsi di appositi servizi per l'attuazione degli adempimenti di loro competenza previsti dalla legge 308 e dalla precedente legge 373 del 1976 in materia di riscaldamento degli edifici, e prevede che gli


13 enti pubblici operanti nel settore energetico possano fornire alle Regioni l'assistenza di cui abbiano bisogno. In realtà, il problema può dirsi risolto in maniera molto equivoca e comunque solo parzialmente. L'equivoco, in particolare, sta nel fatto che sembrerebbero legittimate all'istituzione di apposite strutture solo le Regioni e non anche - e comunque non tutti - gli enti locali indicati dalla stessa legge come possibili destinatari di deleghe da parte delle Regioni. La parzialità, invece, sta in ciò: che la legge considera i problemi delle istituzioni energetiche regionali e locali in termini generalissimi di strutture, lasciando molto discretamente nell'ombra le implicazioni che riguardano, in maniera più specifica, il personale necessario al loro funzionamento. Problemi, questi ultimi, non meno delicati e decisivi dei primi - come attestano eloquentemente alcuni casi clamorosi di inattuazione o di attuazione dimezzata dileggi per ragioni imputabili anche, se non esclusivamente, a carenze di personale (e oltre alla 373 ricorderei anche la legge « Merli » in materia di inquinamento delle acque). Occorre in ogni caso considerare che un efciente funzionamento dei servizi energetici regionali e locali non dipenderà unicamente dalla disponibilità numerica di personale. Un peso non secondario avranno anche fattori di tipo qualitativo, in considerazione delle nuove professionalità tecnico-amministrative implicite nell'attuazione di questa come di altre leggi che richiedono sensibili mutamenti nelle tradizionali culture amministrative. Nella stessa prospettiva, accanto a esigenze di formazione del personale - che peraltro potranno essere risolte nell'ambito delle convenzioni con gli enti pubblici energetici se ne pongono altre non meno importanti. Da quella, elementare e perfino ovvia, di assicurare un'azione costante di coordinamen-

to con e tra le competenze dei diversi assessorati o dipartimenti che operano in settori per loro natura interessati ai problemi dell'energia; a quella, più complessa, di avviare un processo di disseminazione della problematica energetica, esteso a tutto il campo dell'attività regionale e locale, mediante il quale l'energia diventi un elemento capace di informare diffusivamente e di riformare, se necessario, le singole politiche di settore. Del resto, un'esigenza del genere - che costituisce un terzo modo di presenza dellè Regioni e degli enti locali nel settore del risparmio energetico, a titolo di connessione o contiguità di competenze - è implicitamente richiamata da un altro gruppo di disposizioni della legge n. 308 (articoli 3 e 5), che evidenziano l'intreccio organico tra politiche di conservazione e risparmio dell'energia e altre politiche settoriali (nel campo dell'edilizia, dell'urbanistica, della tutela ambientale, dei trasporti). Un quarto possibile modo di presenza delle Regioni e degli enti locali traspare da un'altra serie di norme (articoli 4, 10, 13, 14 e 19) •che legittimano tali soggetti ad assumere, nell'ambito delle proprie disponibilità finanziarie o con contributi a carico del bilancio dello Stato, iniziative di natura progettuale e operativa in particolari settori: produzione di energia elettrica a mezzo di fonti rinnovabili o di processi di cogenerazione energia elettrica-calore per impianti di potenza non superiore a 3.000 kWe, progettazione e realizzazione di impianti per la produzione combinata di energia elettrica e calore, acquisto di veicoli per trazione elettrica o mista da adibire al trasporto urbano, riattivazione e costruzione di centraline idroelettriche, sfruttamento di risorse geotermiche a bassa temperatura. Caratteristica di fondo comune a queste norme è che individuano un'area di intervento fortemente eterogenea e tutto sommato abbastanza estesa, nella quale le autonomie ter-


14 ritoriali, regionali •e locali, avranno ampia facoltà di muoversi e di orientarsi, con la possibilità di disegnare per grandi linee a mano libera - ciascuna calibrandola sulla base delle proprie misure, delle proprie esigenze, dei propri mezzi e dei propri obiettivi - la parte che ritengono per sé più congeniale. Peraltro, anche questa autodeterminazione di ruoli e prospettive incontra dei limiti, di natura non più giuridica ma reale, di merito. Infatti, la valutazione di queste attività non rimarrebbe più su un piano di constatazioni puramente quantitative, come è per quelle delegate, ma necessariamente richiederebbe una verifica del merito sostanziale, tecnico ed economico, delle iniziative programmate o realizzate: verifica che potrebbe avere effetti immediati e preclusivi, quando le iniziative delle amministrazioni regionali e locali risultassero in concorrenza tra loro e con quelle di altri soggetti pubblici e privati per l'assegnazione di risorse finanziarie a valere sui fondi recati dalla legge 308; oppure effetti differiti di sanzione sociale diffusa circa. la gestione e i risultati di ogni altro tipo di. iniziativa realizzata. Un quinto e ultimo modo di presenza emerge infine da quelle norme che richiedono alle Regioni cli riferire alle amministrazioni statali competenti in ordine ai contributi erogati nell'ambito delle funzioni delegate. Il problema è molto delicato e non può essere riduttivamente visto come un adempimento puramente rituale, perché è da queste relazioni che il Governo e il Parlamento potranno trarre gli elementi indicativi necessari per decidére quale seguito debba avere la sperimentazione avviata con la legge 308. A questo proposito, dovranno essere tenuti presenti almeno tre aspetti. Il primo riguarda il contenuto informativo minimo di queste relazioni. Le quali dovranno essere costruite e articolate in modo tale da consentire a chi ha conferito la delega una valuta-

zione ragionata sull'effettivo svolgimento della delega stessa. E qui, senza dilungarsi oltre, varrebbe ricordare, come esempio che è augurabile non vedere - ripetuto, quanto si è verificato per gli interventi in agricoltura ai sensi della legge « Quadrifoglio », per i quali la Relazione del Governo al Parlamento ha apertamente confessato che « nessun giudizio è possibile esprimere sulla qualità, quantità e stratificazione degli interventi regionali, né tantomeno sugli organismi coinvolti, né sui beneficiari, stante l'assoluta carenza di argomenti informativi al riguardo ». Un secondo aspetto riguarda la leggibilità complessiva di queste relazioni ed implica l'esigenza di standardizzare le basi informative, omogeneizzando almeno i criteri di scelta e la tabellazione dei dati, così comeavvenuto per le relazioni regionali relative alla gestione della legge sull'inquinamento idrico. Un ultimo più importante aspetto concerne infine la possibilità di intendere estensivamente l'obbligo di riferire, in modo da consentire una valutazione non solo dell'attività svolta ma anche della effettiva ricaduta, in termini di politica energetica, degli interventi realizzati.

ATTUAZIONE ZERO

Fin qui il quadro dei principali problemi che l'approvazione della legge 308 poneva, nel maggio 1982, alle Regioni. Oggi, a un anno e mezzo di distanza, è non solo lecito ma doveroso chiedersi quali soluzioni le Regioni abbiano immaginato; quali effettivamente adottato e con quali risultatil Una prima e quanto mai dolorosa constatazione è che, per tutto questo tempo, l'immaginazione ha fatto largamente difetto alle Regioni; le quali hanno cercato di compensare la vistosa carenza propositiva usando senza risparmio l'arma i meno nobile ma for-


15 se più còngeniale della critica: molto spesso, come vedremo, incautamente e talora a sproposito. Si è dunque cominciato col dire - e per la verità non si è ancora finito di ripetere che la legge 308 interpreta in modo riduttivo il ruolo che alle Regioni compete in materia d'energia. Ma l'argomento, in tutta franchezza, è parecchio debole. In primo luogo, perché quale debba essere o sia• effettivamente questo ruolo non sta scritto, in maniera leggibile e chiara a tutti, da nessuna parte: né risulta che mai le Regioni abbiano prodotto ponderose riflessioni e tanto meno dettagliate proposte per far uscire finalmente questo fantomatico « ruolo » dall'evanescenza delle più vuote formule agitatorie. Non è male, poi, ricordare che un apporto significativo alla definizione della legge 308 nei termini oggi criticati è venuto proprio dalle Regioni, che concordarono tra loro e con il Ministro dell'industria una serie di emendamenti volti a stabilire il tasso di regionalizzazione della materia. Gli emendamenti furono fatti propri dal Governo e accolti poi tali e quali dal Parlamento. Sicché, pur riconoscendo che l'impianto legislativo era a quel punto già definito nelle linee portanti e difficilmente scardinabile dall'iniziativa regionale, appare di dubbio gusto la denuncia dei limiti di un testo che si è fattivamente concorso a costruire, con ciò stesso avallandolo. Un'altra critica ricorrente da parte della Regione si è rivolta all'esiguità dei fondi recati dalla legge 308. Neppure questa critica pare, per la verità, molto fondata. Non solo perché in termini assoluti i circa 1.600 miliardi (di cui 1.000 per interventi regionali) previsti dalla legge per il biennio 1982-83 sono una somma di tutto riguardo; ma anche perché, non disonendo di adeguati strumenti di valutazione sulle effettive capacità di spesa in un settore d'intervento del tutto nuovo all'azione dei poteri pubblici, stanziamenti

maggiori in un arco di tempo così limitato avrebbero urtato contro ogni più elementare regola di prudenza finanziaria. Altre critiche le Regioni hanno riservatò alle amministrazioni centrali dello Stato per la lentezza con cui sono stati assicurati i primi adempimenti attuativi della legge 308 e, in particolare, il trasferimento dei fondi. Qui, a dire il vero, le critiche hanno colto quasi sempre nel segno. •Ma non sarebbe onesto sottovalutare che da questa lentezza le Regioni, che pure qualche diretta responsabilità l'hanno avuta (come è avvenuto proprio per la definizione dei criteri di riparto dei fondi, sul cui ritardo ha ampiamente influito anche il disaccordo tra le Regioni stesse), hanno tratto un indubbio vantaggio. Se non altro quello di allontanare il momento cruciale della resa dei conti con la normacapestro dell'art. 26 della legge. E rinviare lo show-down significava guadagnare tempo prezioso ai fini di una più meditata soluzione dei complessi problemi metodologici e organizzativi prospettati dalla legge. Ma sotto questo profilo pare proprio che il tempo sia trascorso inutilmente. A un anno e mezzo dall'approvazione la legge 308 è di fatto inoperante: « ragionevolmente secondo il Ministro dell'industria (audizione sui problemi energetici, Commissione industria della Camera dei deputati, 26 ottobre 1983) - si può prevedere che l'erogazione dei primi contributi da parte delle Regioni più sollecite avverrà nel corso degli ultimi mesi del 1983 o nel 1984 ». Dunque, chi vuoi vedere la legge operante a pieno regime dovrà attendere ancora un po' e augurarsi, qualora intenda anche invocarne i benefici finanziari, la buona sorte di risiedere in una delle Regioni più sollecite (più sollecite, s'intende, solo rispetto alle altre Regioni). Non sappiamo se i potenziali beneficiari della legge 308 avranno tutti la pazienza di attendere e per quanto ancora. Certo non tut-


16 ti potranno mostrare comprensione per. il fatto che « le amministrazioni regionali co: me ha precisato nella stessa occasione il Ministro dell'industria - hanno incontrato difficoltà ad adempiere, nei tempi brevi, i disposti di 'legge, dovendo tra l'altro predisporre gli strumenti (delibere, leggi regionali) e dotarsi di strutture adeguate (uffici per gestire i cospicui fondi assegnati nei settori agricolo, industriale ed' edile) »; né c'è da attendersi che tutti saranno disposti a giustificare i ritardi quando gli verrà spiegato che, «essendo l'attuazione della legge n. 308 conseguibile solo attraverso uno stret-

to coordinamento tra ,le diverse' Regioni, la ricerca del consenso ha fino ad ora imposto tempi lunghi di mediazione e di concertazione ». Già, là ricerca del consenso. Trppe volte con quest'argomento si nascondono inefficienze, improvvisazione, irresponsabilità. Ma se davvero questa fosse la causa principale di ritardi che hanno l'effetto di disperdere il consenso - quel che resta - dei cittadini e di bruciare ricchezza nazionale, non sarebbe affatto male cominciare a chiedersi se abbia senso e sia ancora possibile sostenere costi tanto elevati.

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