I fondi strutturali Un crocevia critico tra Unione Europea, Stato e Regioni
Maria Teresa Salvemini
I fondi strutturali Un crocevia critico tra Unione Europea, Stato e Regioni
Maria Teresa Salvemini
Š by Queste Istituzioni 1995 Via E.Q. Visconti, 8 - 00193 Roma Realizzazione: IM.A.G.E. - Roma Stampa: I.G.U. - Roma - Ottobre 1995
I fondi strutturali: un crocevia critico tra Unione Europea, Stato e Regioni di Maria Teresa Salvemini
I Fondi strutturali europei finora sono stati visti solo come uno dei canali di alimentazione della spesa pubblica - e certo non come il più rilevante. Non si ha adeguata percezione del fatto che le politiche di sviluppo cui sono finalizzati i fondi strutturali rappresentano il complemento stretto, la contropartita forte, della costruzione della Unione Economica e Monetaria. Di conseguenza, quanto più si annette importanza alla partecipazione del nostro Paese al processo di creazione di tale Unione, tanto più è necessario che si utilizzino al massimo le potenzialità offerte dalle politiche strutturali comunitarie, che rappresentano la risposta più convincente ai timori, non ingiustificati, di impossibilità per il nostro Paese di accettare le regole di Maastricht e le loro conseguenze. Se si ha ben chiaro questo punto, si possono meglio inquadrare gli effetti positivi ai quali mira l'insieme di azioni proposte, con il Quadro Comunitario di Sostegno per i sei anni 1994/99, la logica che ha presieduto alla ripartizione delle risorse tra le varie finalità e la forte, e vincolante, scansione temporale, nei due trienni, con verifiche puntuali sulla esecuzione. Da questo inquadramento risulterà evidente la necessità di percepire i fondi comunitari come qualcosa di più che un insieme di risorse finanziarie che le Pubbliche Amministrazioni possono utilizzare per integrare fondi nazionali sempre meno abbondanti. Essi vanno colti come l'occasione per modificare l'efficienza, l'efficacia, l'economicità, cioè in breve la qualità, dell'uso delle risorse pubbliche destinate allo sviluppo delle aree svantaggiate, e quindi per imporre alcune radicali innovazioni nei modi di procedere delle nostre Amministrazioni. Le sanzioni poste dai regolamenti e dalla prassi comunitaria ai ritardi nella spesa dei fondi, alla 3
Unione Economica e Monetaria e politica dei Fondi strutturali
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carenza di valutazioni ex ante ed ex post, e di controlli efficaci, non potranno infatti essere evitate se fin da ora non si introducono, dal di dentro delle Amministrazioni, dei punti forti di decisione, di controllo, di valutaziòne. Anche qui, la coerenza tra una situazione di obbiettiva, e crescente, scarsità di risorse nei bilanci pubblici, anche a causa dei vincoli posti dall'Unione Europea, e la necessità di risolvere seri problemi di ritardo strutturale, può essere trovata solo in un uso migliore di tali risorse, non nel sogno di un impossibile isolamento politico ed economico, o di un più alto livello di crescita delle economie, gratuito, quasi piovuto dal cielo. Mi sembra anche necessario avere presenti le difficoltà che si frappongono ad un uso tempestivo ed efficiente di tali risorse, perché si possa procedere ad una sollecita rimozione. Mi sembra che nessun miglioramento potrà aversi rispetto alla situazione registrata in passato - ritardi, inadempienze, ripensamenti continui, che hanno reso 1 Italia un po la pecora nera dei Paesi utilizzatori delle risorse comunitarie - se non si percepisce il fatto che nel sistema e nelle regole comunitarie è implicito un modello diverso, un modello innovativo dei rapporti tra livelli diversi di Governo e di Amministrazione. Tale modello obbliga l'Italia ad una profonda revisione della sua organizzazione; ed è nella difficoltà, nella resistenza a procedere a tale revisione che va ritrovata la radice degli insuccessi registrati ancora di recente con riferimento al Quadro Comunitario di Sostegno 8 9/93 e delle difficoltà già incontrate all'avvio del nuovo Quadro Comunitario di Sostegno 94-99. Solo da una chiara percezione di questo punto può partire un approccio critico ad alcune regole o procedure comunitarie, un approccio che consenta di superare alcuni ostacoli, senza però significare la rinuncia ad utilizzare al massimo gli stimoli offerti alla costruzione di un adeguato sistema di gestione policentrica - federale, per usare un nome di moda ma ancora di grande significato europeo - della politica economica. La crescita, qualitativa e qùantitativa, degli strumenti finanziari destinati, nel bilancio comunitario, alle politiche di
sviluppo regionale (cfr. Tab. 1), va considerata in stretto collegamento con l'esigenza di proteggere il processo di unificazione monetaria dalle tendenze disgregatrici connesse all'esistenza di profondi divari tra le regioni della Unione. Assai minore, invece, se non del tutto inesistente, è certamente il suo legame con una visione stabilizzatrice della politica di bilancio comunitario, o con una concezione redistributiva della finanza pubblica. È in questa netta finalizzazione degli interventi di coesione che l'Europa sta cercando una nuova via per conciliare l'aspirazione ad un arretramento dell'intervento pubblico, e ad una maggiore crescita del mercato, con la percezione del fatto che senza interventi di politica economica significativi tale arretramento potrebbe avere seri costi. Il dibattito economico che ha accompagnato la nascita del nuovo Trattato, prima, e le prime due fasi dell'attuazione poi, ha messo in evidenza le conseguenze del passaggio ad una moneta unica se l'area è caratterizzata dalla presenza di realtà regionali economicamente tanto diverse da subire in modo asimmetrico shock di domanda provenienti dall'interno o dall'esterno dell'area. Non potendosi reagire a tali shock con movimenti del cambio, tale diversità genera specifiche e localizzate situazioni di crisi occupazionale, con tensioni sociali, esodo di forza lavoro, richiesta di sussidi pubblici, e, al ripetersi del fenomeno o all'insufficienza dei trasferimenti, può generare una crescente insofferenza verso l'Unione stessa. (Naturalmente,, il concetto di "Regione" cui si fa riferimento in questi studi è coerente alla scala sopranazionale del progetto, per cui in realtà coincide con gli Stati nazionali).
POLITICA STRUTFUPALE ANNI
1989 1990 1991 1992 1993 1994
FEOGA Azioni garanzia Strutturali
1
TOTALE
PESO POLITICA STRUTI'URALE
Comunitaria FEOGA Azioni garanzia Strutturali
Totale
Totale
(I)
(2)
(I)+(2)(3)
(4)
(1)1(4)
(2)1(4)
(3)1(4)
26.761 26.522 31.571 31.414 34.742 33.573
9.488 11.532 13.002 17.266 22.515 15.624
36.249 38.054 44.573 48.680 57.257 49.197
44.840 46.928 52.936 57.140 67.811 58.812
59,7% 56,5% 59,6% 55,0% 51,2% 57,1%
21,2% 24,6% 24,6% 30,2% 33,2% 26,6%
80,8% 81,1% 84,2% 85,2% 84,4% 83,7%
1
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1
1
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Tab. i Evoluzione dell'incidenz.a della spesa per i Fondi Strutturali sul complesso della spesa comunitaria anni 1989-1994, milioni di ecu
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Negli studi sul tema viene spesso citata l'esperienza degli Stati Uniti, dove diversità regionali e moneta unica sono stati resi compatibili da un imponente schema di trasferimenti interstatali affidati allo Stato Federale; per questo Sachs e Salai-Martin calcolano che un terzo o la metà dello shock iniziale negli Stati Uniti viene assorbito tramite i trasferimenti di finanza federale compensativi delle perdite di gettito, e suggeriscono analogo schema per l'Europal. Ma anche la storia della finanza pubblica italiana, con la presenza di meccanismi redistributivi a favore delle regioni meridionali (strutturali, peraltro, e non congiunturali come quelli sopracitati), appare rendere ben evidente l'obbligazione politica che emerge quando un'economia debole viene privata del meccanismo di difesa del cambio e del sostegno di politiche monetane autonome. Tanto più forte è tale obbligazione, e tanto maggiori i trasferimenti coinvolti, quanto minore la risposta in termini di spostamento della forza lavoro all'asimmetria degli shock. In Usa tale risposta è ancora forte, come lo fu in Italia fino all'inizio degli anni Ottanta. La maggiore mobilità del lavoro è considerata un fattore di riduzione dei divari regionali negli Stati Uniti anche se non tanto da ridurre a zero la dispersione dei tassi regionali di disoccupazione 2 ; adesso, da noi, i movimenti migratori interni sono assai più deboli, e non contribuiscono significativamente né alla riduzione dei divari nei tassi di disoccupazione strutturali, né all'attenuazione delle punte connesse all'operare di shock asimmetrici. Particolarmente significativa può essere l'asimmetria che nasce dal diverso grado di partecipazione delle regioni all'interscambio nell'area: se una regione ha un peso limitato nella produzione rivolta ai mercati esterni, non riesce a trarre vantaggio dai meccanismi del Mercato Unico: quando la domanda complessiva nell'area cresce per motivi congiunturali i prezzi salgono, ed essa paga di più le importazioni senza riuscire a esportare di più; quando la congiuntura è cattiva, alla caduta della domanda interna si somma una maggiore difficoltà a ricevere trasferimenti compensativi se la finanza federale opera secondo uno schema assicurativo : il trasferi-
mento dalla regione ricca a quella povera si riduce quando il reddito si riduce nella regione ricca 3 . L'affidare, dunque, la sopravvivenza della Unione Politica a trasferimenti compensativi è troppo rischioso, e giustamente non è questa la via presa nel Trattato. Esso prende piuttosto la strada di ridurre le asimmetrie di risposta agli shock di domanda, attivando, come si diceva all'inizio, politiche di coesione e di sviluppo regionale. Va notato che questa scelta ha un grande significato anche rispetto alle altre due ipotesi che pure possono essere prese in considerazione: quella di rendere più facile la mobilità territoriale dei lavoratori - ipotesi che pure è presente, è una delle libertà assicurate in Europa - e quella di attivare a livello di bilancio nazionale, non comunitario, le politiche di sussidio. La prima ipotesi va ridimensionata alla luce dell'osservata difficoltà a superare barriere linguistiche, sociali, culturali; la seconda cozza con il vincolo che la stessa Unione Economica pone alla crescita della spesa pubblica dei Paesi membri. Tale crescita non può essere finanziata con espansione della moneta e del debito pubblico: tutti sappiamo come le regole sul disavanzo e sul debito sono oggi la camicia di Nesso entro cui è obbligata ad operare la politica economica italiana. Ma la crescita della spesa pubblica negli Stati appartenenti all'Unione trova un serio limite anche nella necessaria armonizzazione fiscale; le imposte, sia dirette che indirette, non possono determinare livelli di pressione fiscale e strutture del prelievo troppo diverse, perché ciò attiva indesiderabili rilocalizzazioni nelle strutture produttive. Inoltre, come rileva E Isard, le condizioni fiscali attese influenzano la localizzazione delle attività produttive, e questo toglie spazi di manovra alle politiche fiscali nazionali 4 Sono problemi che sarebbero ancor più rilevanti nell'ipotesi, anziché di moneta unica, di cambi "irrevocabilmente" fissi. La storia monetaria segnala quanto variabile nel tempo sia stata la volontà politica di accettare la disciplina richiesta per il mantenimento di tassi di cambio fi1 5 Non possiamo essere sicuri che ad un certo momento del futuro il prezzo dell'uscita da una Unione non caratterizzata da un'unica mo.
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neta non divenga abbastanza conveniente, se i costi e te tensioni derivanti dalla maldistribuzione del reddito salgono oltre una certa soglia. È dunque una politica di sviluppo e di coesione regionale, una politica cioè capace di modificare la struttura produttiva di un'area geografica, non una politica anticiclica né redistributiva, quella che deve essere posta in opera dalla Comunità6 . La sua collocazione è ben chiarita dall'art. 130 B che recita 'Tattuazione delle politiche comuni e del mercato interno tiene conto degli obiettivi dell'art. 130 A (coesione economica e riduzione del divario di sviluppo) e dell'art. 130 C (Obiettivi del Fesr) e concorre alla loro realizzazione". Alla politica di coesione l'Unione Europea destina i Fondi Strutturali, che nel 1993 rappresentavano circa un terzo del bilancio comunitario, ma che nel 1999 raggiungeranno un peso del 36%. In termini assoluti, si passerà dai 21 miliardi di Ecu del 1993 ai 30 miliardi previsti per il 1999 (con un aumento, quindi, del 41%). Sempre nel 1999, i Fondi strutturali avranno un valore reale pari a tre volte quello del 1989. (Vedere la Tab. 2). In Italia, la differenza di struttura produttiva tra regioni del Sud e regioni del Nord è assai maggiore delle differenze Tab. 2 Risorse comunitarie, 1993-1999 (in Mrd di Ecu a prezzi 1992)
1993 inMrd diEcu Agricoltura Azioni strutturali • Fondo di coesione • Fondi strutturali Politiche interne Azione esterna Altre Impegni totali Totale stanziamenti di pagamento Totale stanziamenti di pagamento in % del PNL comunitario
35,2 21,3 1,5 19,8 3,9 4,0 4,8 69,2 65,9 1,2
1999 %
50,9 33,2 2,2 28,6 5,6 5,8 6,9 100,0
inMrd diEcu 38,4 30,0 2,6 27,4 5,1 5,6 5,0 84,1 80,1
%
45,7 35,7 3,1 32,6 6,1 6,7 5,9 100,0
1,3
Il totale degli impegni si riferisce agli obblighi giuridici assunti dalla Comunità, anche se gli stanziamenti di pagamento non vengono integralmente decisi nel periodo indicato. Fonte: Commissione europea
osservabili tra queste ultime e le altre regioni europee. Per molti anni, il nostro è stato il principale problema di ritardo regionale nella Comunità, prima che la Comunità si allargasse a Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, e poi alla Germania orientale. Il problema regionale italiano si misura su tre indicatori: primo, il reddito medio italiano è superiore al reddito medio europeo; secondo, oltre metà del Paese, tuttavia, ha livelli di reddito inferiori alla media nazionale; di conseguenza, le regioni povere sono povere sia nel confronto con le altre regioni italiane, sia nel confronto con l'Europa. Non è così, ad esempio, in Spagna, Grecia e Portogallo dove quasi tutte le regioni sono sotto la media europea. Ultalia è oggi più simile alla Germania, per la polarizzazione tra Regioni con reddito al di sotto e al di sopra della media; tutti gli altri Paesi europei hanno problemi regionali assai più circoscritti: il che significa che il condizionamento posto dal problema regionale sulle scelte di politica economica è assolutamente più forte in Italia e in Germania che non negli altri Paesi europei, siano essi ricchi che poveri 7 Significa anche che la partecipazione dell'Italia alla costruzione europea pone più conflitti che non, ad esempio, negli altri Paesi poveri dell'area mediterranea: le regole di Maastricht, ad esempio, impongono comportamenti di politica di bilancio che possono risultare assai meno facilmente accettabili dalle regioni povere che da quelle ricche; i vantaggi dell'Unione, viceversa, possono essere, colti meglio dalle regioni più avanzate. Ne deriva, in definitiva, che è particolarmente forte 1 interesse dell Italia a che politica regionale e politica di unificazione europea siano un tutt'uno; ed è anche forte il nostro interesse a che la fiducia nelle virtù del mercato sia temperata, in Europa, da un forte insieme di politiche di sviluppo. .
Il principale esercizio di programmazione negli ultimi anni, in Italia, è stato certamente l'impostazione della Proposta di Piano, che poi ha trovato accettazione e conferma nel Quadro Comunitario di Sostegno per le regioni dell'obietti-
Il Quadro Comunitario di Sostegno 1994199
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vo i 1994_99 8 È il principale per l'ammontare delle risorse in gioco per un sessennio (oltre 64.000 miliardi di lire) ma anche per le scelte strategiche in esso contenute, che rappresentano l'unica politica di sviluppo oggi "in partenza" per le regioni in ritardo o in crisi. È in primo luogo interessante la macro ripartizione delle risorse relative al Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (che è quello al quale farò sostanzialmente riferimento): 1/3 circa a progetti gestiti dalle Regioni; 1/3 a progetti affidati a soggetti diversi dalle Regioni; 1/3 per incentivi alle imprese (Appendice, Tab. 1-3). Una ripartizione che rispecchia una posizione del soggetto regione ancora relativamente debole in Italia (inizialmente la Comunità suggeriva che come in altri Paesi, alle Regioni venisse affidata la metà delle risorse); e tale debolezza è accentuata dal fatto che anche l'attività di attribuzione delle risorse tra assi prioritari multiregionali, e poi la scelta dei progetti, non vede, come pure potrebbe esservi, una presenza programmatoria delle Regioni, (ed anzi, queste lamentano spesso di non essere neppure informate delle azioni che verranno intraprese nel loro territorio). Si ha in ciò una conferma della visione centralistica tradizionale, malgrado i sensibili mutamenti istituzionali che hanno seguito la chiusura, nel 1993, degli organismi dell'intervento straordinario. La ripartizione indicata conferma l'importanza, nelle politiche di sviluppo, della creazione di infrastrutture. Gli studi più recenti hanno confermato che la dotazione di capitale pubblico e il suo accrescimento è il fattore esplicativo più importante per la crescita della produttività delle imprese, e quindi per la crescita degli investimenti industriali. Inserendosi in un filone di ricerca riaperto recentemente da Aschauer (ma di lunga tradizione) 9 lavori come quello di Canning Fay e Perotti, o di Munneil, hanno misurato empiricamente quanto le infrastrutture pubbliche siano un fattore esplicativo del tasso di crescita del prodotto e ne hanno spiegato il ruolo in due modi: perché le infrastrutture accrescono la produttività del capitale privato, e perché permettono l'introduzione di nuove tecnologi&°. D'altra parte, i vincoli e gli ostacoli finanziari ancora evi.
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denti per un autonomo processo di crescita del capitale privato hanno consigliato di non far conto su un processo del tutto sganciato da interventi capaci di abbassare il costo della formazione del capitale: la pur robusta fede della Comunità nella concorrenza e nel mercato ha dovuto ammettere la liceità degli aiuti alle imprese di fronte a situazioni in cui non solo la produttività è abbassata seriamente dalle carenze di infrastrutture, ma in cui il costo del credito è di diversi punti al di sopra del costo nelle aree più sviluppate del Paese (per non parlare degli altri Paesi, dove i tassi d'interesse sono ben più vicini dei nostri ai tassi di profitto attesi). Gli investimenti in macchinari delle imprese esistenti, la costituzione di capitali delle imprese nuove, sono peraltro anch'essi riconosciuti nella letteratura recente come un fattore causale dello sviluppo economico. Essa ha messo in evidenza che le politiche rivolte a favorire gli investimenti in macchinari, modificando le convenienze degli investitori e delle imprese nelle economie di mercato, producono importanti risultati". Ecco perché, pur riaffermando i benefici della concorrenza e del mercato, si giustifica una seria destinazione di risorse per incentivi alle imprese. Tali incentivi, peraltro, accrescono notevolmente il potere di Bruxelles: alla Commissione spetta, infatti, definire i criteri in base ai quali si stabilisce se un'area geografica può essere destinataria di aiuti, e anche con quale intensità e con quali tipologie. Inoltre, tra la Commissione e lo Stato membro si svolge un negoziato per definire la percentuale massima di popolazione che può risiedere nelle aree "eleggibili", ed in questo negoziato vi è una certa flessibilità di valutazione, che comporta, anche, una notevole discrezionalità degli organismi comunitari. Lo scopo dichiarato è comunque quello di evitare che le politiche di sviluppo territoriali si riducano ad essere delle politiche assistenziali. La sensazione che si ha è che nella filosofia comunitaria gli aiuti alle imprese, intese proprio come politiche rivolte a equalizzare le situazioni, abbiano un ruolo decisamente minore rispetto alle politiche atte a rimuovere le cause di inferiorità delle imprese operanti nei territori in ritardo. 11
Questo spiega la rigidità con cui è stato applicato il principio della temporaneità ed eccezionalità nel caso di aiuti rivolti ad abbassare il costo di produzione, come le fiscalizzazioni degli oneri sociali: è evidente che questo tipo di aiuti contrasta con l'idea che si debba lasciare all'operare delle forze di mercato la ricerca dell'equilibrio aziendale 12 Complessivamente, gli interventi che nei 6 anni 1994-99 si realizzeranno in Italia col cofinanziamento comunitario comportano investimenti complessivi per 32,4 miliardi di Ecu, 14,9 dei quali a carico dei Fondi Comunitari, 10,3 dei bilanci pubblici nazionali, e 7,3 a carico del settore privato (che peraltro comprende anche soggetti sostanzialmente pubblici come le Ferrovie) 13 Alla macroripartizione delle risorse tra grandi aree di intervento fa poi seguito quella tra assi prioritari. Nel caso italiano, la ripartizione degli investimenti riguarda, sempre a livello macrosettoriale, per oltre 5,2 miliardi di Ecu le infrastrutture di trasporto e telecomunicazione, e per 6,7 miliardi infrastrutture di supporto alle attività economiche, come acqua, energia, ricerca e ambiente. Altri 3,2 miliardi sono rivolti alla formazione (seppure, a mio avviso, con un'ottica ancora non ben mirata, come si era pensato inizialmente, alla formazione tecnologica di eccellenza). Agli investimenti delle imprese sono destinati 10 miliardi di Ecu: 7,3 di questi sono fondi pubblici, e 4,8 di questi fondi pubblici sono gli incentivi amministrati dal Ministero dell'Industria (gli altri sono gestiti dalle Regioni, dal Ministero dell'Università e della Ricerca, eda altri soggetti minori). Non sarà purtroppo possibile destinare queste risorse integralmente ad investimenti da effettuare nei prossimi anni, essendosi già deciso di utilizzarle in parte per chiudere la complessa partita degli incentivi concessi con la 1. 64/1986; i ritardi nelle procedure di erogazione non hanno potuto più nascondere il fatto che le risorse disponibili si erano rivelate gravemente insufficienti dato l'assurdo sistema di questa legge, che era una legge operante "a domanda", e senza un vincolo di risorse; d'altra parte, le imprese che sono in difficoltà .
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finanziaria ritengono preferibile il pagamento dei vecchi crediti piuttosto che l'avvio di nuove promesse di sussidio. Di fatto, si può temere che almeno un terzo di quanto utilizzabile per nuovi investimenti verrà invece dirottato su investimenti già completati 14 Per quanto riguarda poi, il "nuovo" regime di aiuti il fatto più saliente è il ritardo con cui si procede nel mettere a punto le procedure che dovrebbero consentire la spesa sia dei fondi comunitari, sia dei fondi di cofinanziamento nazionale (la 1. 488)15. Preoccupati di ciò, gli industriali hanno chiesto e ottenuto il varo, con il decreto legge n. 123/1995, di altre forme di aiuto, più "automatiche", nonché di un Fondo che concede sia contributi in conto interesse per operazioni di consolidamento dei debiti a breve termine esistenti al 30 settembre 1994, sia garanzie sulle medesime operazioni e su prestiti partecipativi; a questo punto, si profila un sistema complesso, "di incentivi multipli" del quale non è ancora chiara l'operatività - diciotto mesi dopo la data di avvio "giuridico" del Qcs. Vi è il rischio di cumulo dei benefici da parte di una stessa impresa, e vi è il rischio di tornare ad una distribuzione a pioggia, su iniziative di piccola entità, o di mero ammodernamento; iniziative incapaci di far conseguire alle imprese esistenti quel necessario salto nei livelli di produttività, o da assicurare la nascita di nuove imprese vitali. Non è inoltre chiara la ripartizione delle risorse disponibili tra le varie misure. È importante tuttavia osservare che anche su ciò il dialogo tra Stato e UE è continuo, e segnala un forte spostamento nelle responsabilità sul disegno di politica regionale ed industriale: uno spostamento il cui contenuto, peraltro, è ancora tutto da indagare. Alla macroripartizione tra soggetti e tra assi prioritari avrebbe poi dovuto far seguito, nei Programmi Operativi, la microripartizione tra progetti: com'è noto, il processo di pianificazione adottato dalla Comunità è un processo per programmi e per progetti. Solo a questo più analitico livello sarebbe possibile vedere se il principio, molto sottolineato nella proposta iniziale di piano italiana, della concentrazione degli .
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interventi, e della loro integrazione sia stato poi tradotto in pratica. Non è qui possibile fare questa verifica analitica per una ragione molto semplice: che i piani operativi non sono stati affatto una raccolta di progetti, neppure di massima, ma hanno ripetuto, con qualche maggiore precisazione, la ripartizione in sottoprogrammi. Questo rappresenta, a mio avviso, l'elemento piì negativo di tutta la situazione, un fattore rilevante di ritardo, del quale ci accorgeremo negli anni a venire. E va purtroppo detto che poco ha servito, il continuo "controllo" della Comunità sulle decisioni, anche settoriali; un controllo che era visto come un costo in termini di pesantezza amministrativa e procedurale, ma come uno stimolo ed anche come un momento di forte supplenza. E vero che di fronte ad una vistosa assenza di strutture statali consolidate, capaci di gestire in modo unitario il disegno della politica di sviluppo, gli incontri con i rappresentanti degli uffici della Comunità hanno finito per essere essi la sede principale di confronto, di informazione tra amministrazioni, di elaborazione di strategie e di politiche. Ma è anche vero che alla fine Bruxelles è stata costretta ad approvare documenti che non avevano certo il grado di analiticità e concretezza desiderata. In particolare, assai poco "operativi" sono risultati i Piani relativi alle risorse idriche, e la maggior parte di quelli presentati dalle Regioni. Una conseguenza che non può non colpire è il tempo necessario tra l'avvio del processo di decisione, e l'avvio dell'esecuzione del piano: quasi due anni nell'esperienza italiana. Si ritiene opportuno esporre le tappe fondamentali di questo iter per una migliore comprensione dell'impegno connesso al suo espletamento e per rendere esplicite le caratteristiche negoziali e di partenariato che hanno contrassegnato non solo i rapporti fra lo Stato membro e la Comunità, ma anche quelli interni fra le diverse amministrazioni coinvolte: - nei mesi di aprile e maggio 1993 le linee fondamentali per la redazione del Piano globale di sviluppo sono state definite ed esposte dal Ministro del Bilancio alla Conferenza Stato-Regioni e specificate in apposite lettere inviate ai Ministeri e ai Presidenti delle Regioni interessate con le quali si richiedevano contributi in merito alle opzioni formulate; 14
- sulla base dei contributi forniti dalle Regioni e dalle Amministrazioni Centrali è stata predisposta una bozza di Piano, inviata alla Commissione nell'agosto del 1993; - le scelte conclusive sono state oggetto di procedure d'intesa fra il Ministero del Bilancio e le Amministrazioni e le Regioni interessate che hanno portato alla presentazione al CIPE del documento di Piano, approvato, come già detto il 19 ottobre 1993 e successivamente trasmesso alla Commissione. Va precisato che il documento trasmesso è stato formulato sulla base di una stima delle possibili assegnazioni di risorse al nostro Paese, in mancanza della ripartizione ufficiale di tali risorse tra gli Stati membri interessati, da parte della Commissione. Tale ripartizione è infatti intervenuta il 21 ottobre 1993 (cioè appena due giorni dopo la delibera Cn'E di approvazione del Piano stesso) e ha costretto le nostre autorità ad una revisione delle ipotesi finanziarie poste a base del Piano, a causa della quantificazione in 14.860 Mecu delle risorse di fonte comunitaria contro i 17.000 Mecu considerati nella proposta del Piano; - il Piano globale, con l'insieme dei vari documenti che lo accompagnano, veniva messo a punto da parte nazionale (sia nel tener conto della definitiva attribùzione di risorse, sia per dettagliarlo e completarlo in relazione alla azione di partenanato nazionale e comunitario e formava oggetto di un esame approfondito e completo da parte delle diverse Direzioni generali della Commissione. Questo esame era finalizzato essenzialmente alla verifica della compatibilità degli interventi previsti ne1 Piano con le diverse politiche comunitarie e, quindi, - una volta identificati i problemi eventualmente emergenti e le possibili soluzioni - alla definizione delle linee portanti del "mandato" in base al quale svolgere il negoziato per la formulazione del
Qcs. I principali aspetti oggetto di analisi, prima, e di negoziato poi hanno riguardato: - numerose e complesse problematiche in ordine al rispet15
to delle norme sulla tutela della concorrenza, alla cui soluzione la Direzione Generale della concorrenza ha subordinato l'autorizzazione all'operatività del regime di aiuto a finalità regionale di cui alla 1. 488/92, nonché la definitiva approvazione del Qcs per la parte "incentivi all'industria"; - le questioni di carattere ambientale per la particolare attenzione posta dalla Commissione alla necessità di rendere il documento, per quanto possibile, il più idoneo a recepire le proprie istanze in questo ambito e anche più funzionale alle esigenze di una verifica attenta e continua degli interventi. Da parte nazionale queste istanze sono state recepite attraverso l'adeguamento del Piano al Programma triennale 19941996 per la tutela ambientale approvato dal CIPE il 21 dicembre 1993; - la ripartizione programmatica tra le diverse Regioni delle risorse dei Fondi strutturali, ritenuta dalla Commissione non adeguata alla correzione degli squilibri tra le varie aree. Ciò ha portato ad un riequilibrio alle risorse finanziarie in modo da consentire interventi più accentuati o, comunque, più intensi e specifici per le Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. L'ultimo aspetto di carattere generale che per il suo rilievo e la sua natura "orizzontale" ha particolarmente influenzato il negoziato ha riguardato la verifica della certezza delle risorse nazionali a fronte delle quali si andava ad impegnare il cofinanziamento CEE, nonché la verifica del rispetto del principio della addizionalità. L'analisi dei dati relativi alla spesa e la valutazione delle prospettive della spesa stessa (comportante notevoli difficoltà per il fatto che tali prospettive devono avere come riferimento temporale un orizzonte ben più ampio di quello triennale considerato nei bilanci previsionali) è stata effettuata invece dall'Osservatorio delle politiche regionali. Dall'insieme delle correzioni, integrazioni e modifiche apportate al Piano nel corso del lungo e complesso negoziato con la Commissione è scaturito il Qcs, la cui adozione formale, da parte della Commissione, è intervenuta il 29 luglio 1994. A febbraio 1995 non risultava impegnata una lira dei fon16
di comunitari nuovi. Alla data in cui viene licenziato questo saggio (21 giugno 1995) il timore che possa ripetersi l'esperienza passata, per cui, oltre un anno dopo la conclusione del periodo di programmazione, degli investimenti programmati nel Qcs 1989-93 risulta impegnato solo l'81% e speso solo il 55% non sembra del tutto infondato, e spiega la preoccupazione che gli uffici della Comunità continuano a manifestare. Un elemento importante dei regolamenti sull'uso dei fondi strutturali è l'obbligo, per i Paesi, di fornire, ex ante, una razionalizzazione delle scelte fatte, sia a livello complessivo, sia a livello di programmi e poi di progetti. Se non fosse chiara l'intenzione di imporre, attraverso i regolamenti, una procedura di decisione che obblighi ad un accurato inventano degli obbiettivi economici che gli interventi previsti intendono raggiungere, si dovrebbe parlare di una costruzione barocca, terribilmente time-consuming. In verità, senza un'accurata analisi degli effetti economici degli interventi attesi le risorse comunitarie, poche o molte che siano, rischiano di essere mal utilizzate, e di non raggiungere gli scopi prefissi. Il problema è che si corre il rischio di dare una risposta meramente "formale", non tanto nel senso di produrre analisi e valutazioni prive di effettiva validità tecnica ed economica, quanto piuttosto nel senso di dare a tali analisi il significato di un adempimento formale, sganciato da un serio processo di decisione. Sembra perciò importante richiamare quali risultati ci si aspetta, per l'economia italiana, dagli interventi previsti nel Qcs 1994-99. A livello macroeconomico, i risultati attesi sono: nelle regioni dell'obiettivo i, un aumento del tasso medio annuo di crescita attesa dal 2,15 al 2,36%; del tasso di crescita dell'occupazione dallo 0,37% annuo allo 0,49% annuo; del tasso di crescita del Prodotto pro capite dall' 1,78% all'i ,87%; ed un aumento del tasso di crescita degli investimenti lordi dal 3,53% al 4,25%; nell'intera Italia, per gli effetti di spillover interregionali (si stima che il 27% della spesa si trasforma in una domanda
Importanza per lo sviluppo economico
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di importazione dalle altre aree del Paese), il tasso medio annuo di variazione del prodotto passerebbe, per effetto del Piano, dal 2,15 al 2,23%; il tasso di crescita dell'occupazione dallo 0,37 allo 0,42%; il Prodotto pro capite accelererebbe la sua crescita dall'1,78 all'1,81%. Le tecniche adottate per dare questa risposta, pur essendo quelle oggi di uso comune, e di livello tecnico adeguato, non danno però conto degli effetti più importanti che ci si attende dagli interventi dei fondi strutturali. Esse utilizzano metodologie (analisi input-output, i modelli di equilibrio economico generale, matrici di contabilità sociale) che consentono di misurare l'effetto di domanda, cioè l'effetto di attivazione della struttura produttiva esistente, nella regione e fuori della regione. La quantificazione degli effetti di reddito, o di occupazione che è stata fatta, ci dice quindi, per quel livello e per quel& composizione di spesa, quale attivazione di risorse e di occupazione ne deriverà, in via diretta e indiretta. Non ci informa, invece, su quale effetto può avere questo programma di spesa sulla crescita della produttività del sistema produttivo esistente, e soprattutto sulla ricaduta di questa crescita in termini di creazione di nuove attività produttive e di ampliamento di quelle esistenti. Per sua natura, un approccio che usi queste metodologie, non consente perciò di vedere compiutamente gli effetti di composizioni diverse della spesa - cioè di composizioni diverse di assi prioritari. Si riesce a misurare l'effetto domanda (e un programma di strade è diverso da uno di ferrovie perché il contenuto sia di input che di importazioni è diverso) ma non si hanno elementi per spiegare, alla fine, se l'occupazione e il reddito generato da una crescita della dotazione di strade ferrate è superiore a quella generata da una crescita della rete stradale. Consapevoli di queste carenze, i criteri di selezione necessariamente hanno dovuto basarsi su indicatori, e su obiettivi, di natura fisica. Si è dovuto partire, cioè, da una valutazione di carenze infrastrutturali specifiche, pur consapevoli che in questo modo è impossibile dimostrare che si sono scelte le destinazioni più efficaci in termini di sviluppo economico (e infatti nessuna dimostrazione di ciò è data, né è richiesta). Il crite18
rio di intervento parte dunque da una valutazione di carenza in settori specifici, e finisce per utilizzare un approccio derivante da quegli studi, già in parte citati, che indagano il rapporto tra infrastrutture e produttività del sistema o che dimostrano, in analisi cross-section su molti Paesi, gli effetti in termini di accrescimento del tasso di sviluppo di lungo periodo di specifici programmi di spesa, come l'aumento delle linee telefoniche, delle strade asfaltate, o dell'energia disponibile 16 .
Nel caso italiano, la scelta è partita, inizialmente, da un'ipotesi di forte concentrazione degli interventi in due aree infrastrutturali che sono oggettivamente carenti nel Mezzogiorno, i trasporti ferroviari e l'acqua. La domanda per questo tipo di infrastrutture da parte delle imprese appare altissima, e condizionante lo sviluppo soprattutto delle grandi aree metropolitane che sono certamente quelle a maggiore potenzialità. È da valutare negativamente che la concentrazione degli interventi sia poi risultata minore; tuttavia, se verranno attuati i piani operativi presentati dalle Ferrovie e se il Ministero dei Lavori Pubblici riuscirà in tempi brevi a scegliere, tra le varie ipotesi in gioco, quelle prioritarie, soprattutto concentrando le risorse nel completamento di quelle opere che hanno significato "strategico" per il funzionamento della rete idrica, si potranno ottenere risultati importanti. È da ritenere perciò che se si potessero replicare da noi i risultati quantitativi delle ricerche già citate sui rapporti tra la creazione di infrastrutture, e la crescita della produttività 17 il nostro Paese trarrebbe davvero grandi benefici, e dovrebbe 'fare di tutto perché il programma comunitario si realizzi nei tempi più stretti possibili. C'è infatti da aspettarsi una crescita dell'occupazione e del reddito più forte di quella quantificata nel Piano stesso. La crescita della produttività è un risultato assai importante, anche alla luce del progressivo restringersi delle fiscalizzazioni degli oneri sociali. Il secondo accordo tra il Governo italiano e la Commissione (accordo Pagliarini-Van Miert) ha stabilito uno stretto calendario per la progressiva abolizione sia degli sgravi contributivi sia della fiscalizzazione differen-
,
19
ziale, in base al quale entro il 1999 questi strumenti rivolti a compensare le imprese delle regioni meridionali per la minore produttività del lavoro non saranno piìt utilizzabili. Si calcola che l'aumento del costo del lavoro si collochi attorno al 20%, il che non potrà non condizionare la dinamica salariale e quella dell'occupazione - a meno che non si sia riusciti, per quell'epoca, ad eliminare le cause che spiegano il basso livello di produttività delle imprese meridionali. D'altra parte, la Comunità da tempo aveva aperto una procedura d'infrazione per queste fiscalizzazioni e questi sgravi, considerati un intervento troppo generalizzato e non mirato specificamente a finalità di sviluppo; senza una chiusura di questo contenzioso non sarebbe stato possibile neanche avviare il nuovo regime di aiuti 18 .
Un approccio fattivo e concreto potrebbero anche ricevere dalla politica regionale comunitaria temi come l'intervento del capitale privato nella produzione e distribuzione dell'acqua, anche al fine di garantire il completamento e la messa a servizio delle molte opere incomplete lasciate dal vecchio intervento straordinario. Vi può, infatti, essere un collegamento tra i due sottoprogrammi relativi alle risorse idriche ("completamento di programmi e adeguamenti dei sistemi acquedottistici" e "Supporto alla riforma del settore e al project financing"; al primo sono destinati 1.000 miliardi di Ecu; quasi 700 al secondo). Ciò era suggerito anche da un gruppo di lavoro operante presso l'Osservatorio delle politiche regionali 19 Parlando di infrastrutture, vi è sempre chi ricorda che tale concetto non è riconducibile al solo capitale fisico, e che nel mondo moderno le infrastrutture necessarie per le imprese si allargano al settore dei servizi informatici e della formazione tecnica e universitaria. Nel Qcs sono destinate a questo scopo risorse importanti, il cui buon uso è essenziale. È da sperare che il Ministero dell'Università e della Ricerca si dimostri più capace del vecchio Dipartimento del Mezzogiorno nel selezionare le iniziative veramente utili, e nell'evitare la dispersione a pioggia, retta da motivi clientelari; in questo .
20
settore è il pericolo maggiore. Ancora più importanti (2739 milioni di Ecu) sono le risorse del Fondo Sociale Europeo, sul cui buon uso, in passato, sono stati sollevati forti dubbi. Va ricordato che la formazione e l'istruzione sono i settori sui quali hanno puntato con maggiore determinazione le cosiddette "Tigri Asiatiche" (Corea del Nord e del Sud, Hong Kong, Taiwan) e il risultato è davanti agli occhi di tutti, in termini di tassi di sviluppo realizzati. I regolamenti comunitari, relativi all'uso dei Fondi Strutturali impongono la regola dell'Addizionalità: questa vuole che per ogni obbiettivo, lo Stato membro debba mantenere nei territori interessati un livello della spesa pubblica a finalità strutturali almeno eguale a quello raggiunto durante il periodo programmatorio precedente; la regola è temperata dal fatto che occorre tenere conto delle condizioni macroeconomiche in cui si effettuano i finanziamenti e di altre situazioni specifiche (quali l'evoluzione congiunturale, e l'eventuale eccezionalità del livello dello sforzo pubblico effettuato nel periodo precedente). Storicamente l'addizionalità nasce, come vincolo, in risposta ad un sistema contabile inglese che, ponendo un tetto alla spesa complessiva delle Regioni, aveva reso i fondi strutturali dei meri sostituti delle risorse interne. Bruce Millan, che come ex Secretary of State for Scotland, si era trovato a contestare la tesi del Tesoro inglese, una tesi che di fatto sacrificava alla politica di contenimento della spesa pubblica la politica regionale, nella riforma dei fondi strutturali riuscì ad inserire una regola ovviamente riguardante tutti gli Stati, ma sostanzialmente pensata per obbligare il Tesoro inglese a modificare queste regole, considerando i fondi strutturali fuori del "tetto ,e aggiuntivi. Al di là dell'episodio, che però è importante, resta il fatto che l'addizionalità è un oggettivo fattore di alleanza tra Comunità e autorità regionali, in opposizione agli Stati, soprattutto là dove la finanza pubblica non è strutturata su forti autonomie di prelievo e di spesa delle regioni. Laddizionalità, infatti, impone un trasferimento aggiuntivo di risorse dal bi-
Addizionalità e, io1itica di
21
lancio statale alle regioni (o ad altri enti che spendono nella regione il cui sviluppo è oggetto di politica ad hoc), ed in una situazione di difficoltà finanziarie, di tagli di spesa, l'interesse di tale alleanza cresce, sia per il soggetto che riceve i fondi, sia per la Commissione, il cui ruolo politico risulta grandemente rafforzato, come di recente ha ben argomentato Mc Aleavey 20 che, descrivendo gli esiti della disputa sul finanziamento degli Scottish Coaldfields, scrive: "By ensuring the inclusion of the principle of additionality in the reforms of the structural funds, and by building a strategic alliance with local communities over a highly sensitive issue in the UK, the Commission proved able to pursue a case against a member state government and force a situation that will necessitate further clarification of the principle ofadditionality". L'addizionalità, dunque, finisce per essere un vincolo alla politica economica dello Stato centrale, in due sensi: primo, perché impone regole sulla struttura della spesa pubblica complessiva, con una specie di "riserva" a favore della spesa in conto capitale. Secondo, perché in questa riserva è implicita una redistribuzione di risorse dalle regioni ricche à quelle povere, non potendosi immaginare che le risorse aggiuntive per lo sviluppo siano trovate, da queste regioni, nella tassazione sui propri residenti attuali o (attraverso il debito della regione) sui propri residenti futuri. (Lo Stato centrale italiano, peraltro, preso tra l'esigenza di contenere la spesa, e quella di garantire le risorse alle politiche di sviluppo regionale, spesso si è lasciato, e si lascia, tentare dalla strada del rallentamento delle eroazioni utilizzando proprio le difficoltà procedurali connesse alla spesa dei fondi strutturali.) L'addizionalità, insomma, rappresenta un momento forte della politica di coesione e di sviluppo regionale dell'Unione Europea, e se la si guarda anche alla luce del rispetto dei vincoli di Maastricht si vede che essa in effetti condiziona la politica di bilancio imponendo che la scelta a favore dello sviluppo regionale sia perseguita anche sacrificando altre politiche (redistributive, ad esempio, o fiscali). L'Unione Europea impone poi che di questa scelta sia data 22
dimostrazione attraverso le cifre, e cioè fornendo i dati di spesa pubblica ripartiti per regione. Questo secondo ,aspetto, nei regolamenti comunitari si chiama verifica dell addizionalità", e al suo rispetto sono preposte anche sanzioni in termini di accesso ai fondi comunitari. Non si può dire che i termini in cui è esposto il vincolo, in quanto meri termini macroeconomici e incrementali, assicurino che lo Stato faccia una coerente politica di sviluppo e di coesione: riescono soltanto a garantire che non verrà del tutto vanificato l'intervento della Comunità. In questo senso, siamo ancora lontani dal poter affermare che questa politica di sviluppo e di coesione è passata dalla responsabilità degli Stati nazionali alla responsabilità dei poteri comunitari. Occorre fermarsi sulla questione del raccordo con le decisioni di bilancio: la regola dell'addizionalità, pensata, come si è visto, per il caso inglese, in Paesi che hanno sistemi di bilancio diversi, e regole di bilancio diversamente strutturate, non riesce ad esprimere la sua intera potenzialità. Nel caso italiano, è tutt'altro che agevole, innanzitutto, definire il livello di spesa pubblica interna da prendere come parametro di riferimento. La ragione di ciò è che non esistono conti pubblici regionalizzati, né per la Pubblica Amministrazione (l'aggregato di contabilità nazionale), né per il Settore Pubblico (l'aggregato di contabilità pubblica). In pii, l'Unione Europea usa un suo particolare aggregato, che comprende anche soggetti pubblici non compresi in nessuno dei due conti sopra citati, ma rilevanti perché destinatari di parte delle risorse comunitarie (si tratta, in particolare, di imprese pubbliche come le Ferrovie e le Poste, o di imprese a partecipazione statale, come la Sip STET). Inoltre, la classificazione "funzionale" della spesa, adottata nei bilanci italiani, è diversa dalla ripartizione funzionale retrostante la struttura "per assi prioritari" imposta dalla Comunità. I problemi sono molto seri, e non so se potranno essere tutti risolti (particolarmente rilevante è la questione classificatoria per la spesa per l'ambiente, che nel sistema italiano di bilancio non ha alcuna autonomia). Ma è davvero importante essere costretti ad affrontarli. 23
La mancanza di conti pubblici regionalizzati è assolutamente stupefacente in un Paese come l'Italia dove esistono diversità regionali serie, e importanti processi redistributivi o allocativi affidati alle azioni dei bilanci pubblici. Probabilmente la fondamentale causa di insuccesso dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, il fatto che è stato sostitutivo delle azioni ordinarie, e non veramente straordinario, in senso quantitativo oltre che qualitativo, è alla radice anche della mancanza di informazioni concernenti la spesa pubblica riferibile ai due insiemi di azioni. Altrettanto significativo, sia per la luce che getta sulla incapacità a fare una vera politica di sviluppo regionale, sia per la perdita di significato che ne deriva al vincolo dell'addizionalità, è il fatto che in Italia il DPEF (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria), che è il documento che esprime per il triennio successivo gli obiettivi di politica di bilancio, di fatto determina un vincolo forte solo in termini di indebitamento netto e fabbisogni, al lordo e al netto degli interessi. Assai meno forte - anzi pressoché inesistente - è il vincolo ( positivo o negativo, in termini di tasso di crescita, cioè, minimi o massimi) sulla spesa, sia a livello aggregato, sia nella sua "traduzione" in termini di bilanci (dello Stato, delle Regioni, degli Enti locali). Di conseguenza, solo ex post sarà possibile dire se il tasso di crescita diun determinato tipo di spesa, era effettivamente quello più appropriato rispetto agli scopi che esso si poneva. Non direi però che, oggi, il raccordo tra le cifre dei documenti programmatici e la spesa pubblica regionalizzata è soltanto un problema di conoscenza, statistica e contabile: lo è certamente. Ma il fatto veramente significativo è che non esiste, in Italia, alcun momento decisionale che riguardi gli obiettivi di crescita della spesa nelle singole Regioni, e questo sia nel suo volume complessivo, che nella sua struttura. Non esistono, perciò, obiettivi di politica di bilancio, raccordabili alla politica di sviluppo regionale 21 .
La dimostrazione dell'addizionalità non può essere data una volta per tutte perché l'orizzonte temporale del Qcs è diverso (è il doppio) dall'orizzonte temporale della programma24
zione (triennale) dei bilanci pubblici italiani. In pi1 i regolamenti comunitari ne prescrivono una verifica annuale ex post. Se non si vuole che la verifica dell'addizionalità resti un fatto burocratico, meramente procedurale, poco incidente sui sistema di decisioni (dal DPEF alla LF) è importante farne un momento forte della politica regionale; la via migliore sembra quella di collegarla alla norma (disattesa) della I. 96/93 che impone al Ministero del Bilancio di allegare al DPEF annuale un documento programmatico sulla politica di coesione (che è cosa ben diversa da quei vaghi paragrafi su generici obbiettivi di occupazione nel Mezzogiorno che si è usi trovare). Un tentativo di calcolo dell'addizionalità è stato effettuato all'interno della procedura di preparazione del Qcs. 1994/99 proprio dall'Osservatorio delle politiche regionali che ha poi avviato un progetto per una costruzione sistematica dei conti pubblici regionalizzati 22 . La tabella 3 riporta, in miliardi di lire 1994, secondo lo schema predisposto dai servizi della Commissione, lo sforzo globale realizzato nel passato dal settore pubblico allargato per le varie categorie di intervento (assai prioritari). Nella seconda parte della tabella i dati relativi alla spesa effettuata nel periodo 1989-92 vengono confrontati con i valori medi relativi al periodo 1994-99, che includono per il triennio 1997-99 valori piu labili in quanto ottenuti attraverso stime. Nella colonna 2 è riportato il settore pubblico in senso stretto (compreso !'ANAS), nella 3 gli Enti (ENEL, STET, Ferrovie, Autostrade), nella 1 il totale dei fondi (nazionali e comunitari) che passano nel bilancio pubblico, mentre il complesso delle spese del settore pubblico allargato al netto dei Fondi strutturali è riportato nella colonna 6. L'esame iniziale dell'addizionalità riportato nel Quadro comunitario di sostegno 1994-99 accoglie che "le spese pubbliche eleggibili al contributo dei Fondi strutturali delle regioni italiane dell'obiettivo i per il periodo 1989-92 sono stimate ad una media annua di 16.304 Mecu (previsione 1994); per il periodo 1994-99 le autorità italiane si adoperano a mantenere il livello annuale medio delle loro spese pub25
415,16 280,64
7.552,75 1,80
Fonte: Osservatorio delle politiche regionali
PERCENTUALE DEL PI L
37.631,94 30.079,19 7,17 8,98
4.348,72 1,04
8.016,35 33.283,21 p.m. 1,91 7,94
32.742,00 22.616,00 10.108,00 2,43 5,43 7,86
TOTALE
1.564,03 30.977,58 7,44 0,38
1,88
1,49
2.307,00
2.307,00
ALTRJ 1.746,42 0,42
846,90 p.m. 8,59 17,26 564,16 2.305,51
593,08 343,01 130,15 0,83 119,09
736,57 456,75 134,89 0,84 144,09
4.647,00 2.453,00 1.728,00 20,00 446,00
4.647,00 2.453,00 1.728,00 20,00 446,00
AMBIENTE PRODUTtIVO Industria e servizi Agricoltura Pesca Turismo
564,16
9.441,01 p.m. 8.233,99 852,99 88,92 256,85 5.928,25 3.311,75 531,31 1.761,30 323,39 2.014,15 1.063,88 623,97 57,02 269,27 11.455,16 11.455,16 9.297,86 9.297,86 1.476,23 1.476,23 145,94 145,94 535,12 535,12 3.910,43 1.996,25 1.593,11 19,16 301,91
273,82 60,84
170,91 52,87
2.817,00 1.251,00 387,00 957,00 222,00
2.817,00 1.251,00 387,00 957,00 222,00
33,01
773,73 287,89
7.552,75 2.360,73 2.381,07 2.810,94
2.854,06 p.m. 193,71 1.041,06 132,00 1.487,30
14
695,80
13=8-li
1.061,62
12
3.915,68 193,71 1.041,06 905,73 1.775,19
lI
Pr eStiti BEI
1.383,71 20.141,24 P.M. 336,36 9.269,56 200,52 2.464,93 345,95 2.841,22 288,33 1.701,86 184,29 402,90 244,12 28,26 1.705,91 1.510,73
lO
xtra Bilancio
FS
Spese totali al netto Nazionale delle spese (pubb.+ di Fondi privato) Strutturali
QCs
1.255,70 400,68 110,73 179,35 320,99 210,94
9
3.915,68 193,71 1.041,06 905,73 1.775,19
89+10
2.593,22 1.251,00 387,00 786,09 169,13
7
334,65
61-4
223,78
5
Bilancio
21.369,94 13.844,19 9.670,24 7.309,51 194,59 2.575,66 209,63 3.020,57 2.022,85 2.022,85 613,84 613,84 244,12 244,12 1.738,93 1.738,93 1.510,73 1.510,73
4
Totale
di cui
634,42 22.168,42 50,44 9.707,25 140,67 3.732,75 168,73 4.280,39 695,80 168,35 106,24 293,23 626,00 1.800,00 1.069,00
3
2
Presti a BEI
784,58 52,75 196,25 262,62 172,21 100,77
extra Bilancio
Bilancio
FS
Settore pubblico (nazionale + comunitario)
22.953,00 12.845,00 10.108,00 9.760,00 7.626,00 2.134,00 146,00 3.783,00 3.929,00 i352,00 4.191,00 4.543,00 832,00 832,00 392,00 392,00 626,00 626,00 1.800,00 1.800,00 1.069,00 1.069,00
I2+3
Totale
di
Spese totali al netto Nazionale delle spese (pubb.+ di Fondi privato) Strutturali
QCs
Madia annua 1994-1999
RISOR.SEUMANE Istruzione Formazione (conto capitale) Formazione (spese correnti) RTS
INFRASTRUTI'URE Trasporti Telecomunicazioni Energia Acqua Ambiente SanitĂ Edilizia Varie
Asse prioritari
Settore pubblico (nazionale + comunitario)
Madia annua 1989-1992
Tab. 3. Spesa del settore pubblico allargato connessa allo sviluppo nelle regioni dell'obiettivo 1: media annua 1989-92 e 1994-99 (miliardi di lire 1994)
buche eleggibili a 17.517 Mecu (previsione '94, vale a dire un aumento/diminuzione del 7,4%). Il principio dell'addizionalità è in tal modo rispettato ex ante. Quando il livello annuo delle spese pubbliche eleggibili nelle Regioni italiane dell'obiettivo i è inferiore alla media 1989-93 o, per il triennio 1994-96, alle previsioni di spesa di cui sopra, la Commissione valuterà, in base agli elementi trasmessi sopra, se il principio di addizionalità è compromesso". Risulta da questo calcolo che in effetti le risorse destinate a questo fine dovrebbero crescere sensibilmente, in termini reali, tra il vecchio e il nuovo periodo di programmazione (dal 7,86 all'8,98 in percentuale del Prodotto). Si tratta di una crescita "tendenziale" basata sull'estrapolazione dei dati passati, e che implicitamente esclude ogni intervento correttivo, non essendovi nessuna indicazione a questo fine nel DPEF. Risulta molto forte la crescita di peso dei Fondi strutturali (dallo 0,42 all' 1,04 del Prodotto). Risultano in crescita anche le risorse tratte dal bilancio pubblico (dal 7,44 al 7,94 del PIL). Quest'ultimo dato indicherebbe che la politica di riduzione della spesa pubblica non toccherà, nei prossimi anni, questo tipo di spese probabilmente perché essendosi avuta negli anni scorsi una forte contrazione delle spese di investimento, è da presumere che sia impossibile una ulteriore contrazione, e questo con riferimento a tutto il Paese e non solo alle Regioni in ritardo o in crisi. Quello riferito è un esercizio previsivo e, non una indicazione proveniente da documenti ufficiali. Questa notazione va sottolineata perché significa due cose: primo che in Italia non vi può essere raccordo quantitativo tra la politica di sviluppo "nazionale" e quella "europea" per il semplice fatto che non vi è in Italia una decisione politica riguardante esplicitamente tale politica. Nel DPEF (nel principale documento di politica di bilancio) troviamo soltanto le cifre tendenziali relative al conto capitale del Settore Pubblico: ad esempio, nel DPEF presentato nel maggio 1995, queste ci dicono che dopo la sensibile flessione registrata, in termini di pagamen27
ti, tra il 1991 e il 1994 (quasi 10.000 miliardi di minori erogazioni per infrastrutture), dal 1995 in poi vi dovrebbe essere un lento recupero che porterebbe le erogazioni per la costruzione di infrastrutture, nel 1998, sul valore del 199123. Nulla dice il DPEF sulla distribuzione funzionale o territoriale di tale spesa, o piii in generale di tutta la spesa del settore pubblico rilevante per la crescita. Il calcolo dell'addizionalità comporta anche un ultimo problema apparentemente tecnico, in realtà fortemente significativo sul piano delle scelte di politica di bilancio. Il problema è se l'addizionalità debba essere espressa in termini nominali (confronto tra i valori dei bilanci nei due periodi) o in termini reali (confronto tra valori deflazionati, in modo tale che sia imposto, nel secondo periodo, un tasso di incremento della spesa almeno pari al tasso di inflazione). La prassi finora è stata favorevole alla seconda interpretazione. Essa è logica; ma certamente confligge con l'idea che se un Paese ha un alto tasso di inflazione, la corretta politica di spesa pubblica è quella che mantiene il controllo sulla dinamica della spesa, non quella che lo perde 24 . In ogni caso, la programmazione finanziaria pluriennale, in Italia, è fatta in termini "nominali", ancorché possa essere implicita, nei valori nominali, la considerazione del tasso d'inflazione "desiderato". Il regolamento comunitario potrebbe semplicemente avere il significato di enucleare tale tasso, ma a prezzo di una minore raccordabilità dei dati europei ai dati nazionali. Per concludere sul tema dell'addizionalità, si può dire che per l'Italia questa regola è stata del tutto sottovalutata (e finché è stato possibile farlo, anche ignorata). Si tratta, invece, di una regola il cui scopo principale è fare emergere la politica nazionale di sviluppo. Nel nostro caso, la carenza di informazioni riflette una carenza di politica: si ripropone lo stesso problema dell'intervento straordinario che doveva essere aggiuntivo e non sostitutivo, ma nessuno era in grado di dire, ex ante, se lo sarebbe stato. Di più: l'addizionalità, coniugata alle esigenze di riduzione della spesa pubblica nel suo complesso, impone una profonda revisione dei meccanismi di 28
trasferimento e di sussidio alle Regioni povere; anche da questo punto di vista, la carenza di informazioni è significativa. Senza conti regionalizzati l'impegno a passare da una politica assistenziale ad una di sviluppo resta un pio desiderio, e il raccordo con la politica europea di sviluppo un obiettivo mancato. I fondi strutturali europei sono usati, tecnicamente, come "cofinanziamento di programmi nazionali" e di "regimi di aiuto nazionali". Questo vincolo è anche più forte, perché impone al Paese destinatario una particolare distribuzione dei fondi di bilancio destinati allo sviluppo, o, perlomeno, un vincolo di parte di questi fondi alla distribuzione imposta nel Qcs. La regola del cofinanziamento nella sua origine e nella sua logica, è molto chiara. Essa significa: se tu, Stato, hai un progetto o un programma che può essere valutato come utile e importante, ma non hai tutte le risorse necessarie a finanziarlo, ce lo porti, e se lo valutiamo positivamente, lo cofinanziamo. È un modello che anche altri organismi internazionali usano (ad esempio IDA, BIRD), e che nei Paesi arretrati ha il pregio di coinvolgere il governo del Paese, che non deve limitarsi ad "accettare" dall'esterno idee, soldi e realizzazioni. È dunque una regola di tipo microeconomico, settoriale. Non ha rapporto con l'addizionalità, che è una regola macroeconomica, perché non esprime alcun fatto dinamicò, alcun processo nel tempo: grande o piccola che sia stata la spesa complessiva, o settoriale, o di quel tipo nel periodo precedente, è il progetto, o il programma, ciò che conta. Sommata tuttavia alla regola dell'addizionalità, essa comporta un serio vincolo sul bilancio: non solo non si dovrà, nei prossimi anni, ridurre la spesa d'investimenti nelle regioni interessate, ma ogni centro di spesa, fin d'ora, deve essere in grado di' assicurare la disponiblità di quelle risorse per quelle particolari finalità: deve cioè dare non più soltanto una dimostrazione statistica; ma introdurre una regola di politica di bilancio, un vincolo operante sulla struttura della spesa, e una chiara identificazione della provenienza dei fondi.
Cofinanziamento
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Se il sistema finanziario del Paese è, come il nostro, un sistema "a finanza derivata" nel senso che gli enti che sono titolari dei programmi cofinanziati dall'Unione Europea, ricevono dallo Stato i fondi di cofinanziamento nazionale, il problema del vincolo si pone a livello del bilancio statale. È nel bilancio dello Stato che deve essere individuato se non il capitolo, certamente la legge di riferimento. Se in un settore, ancorché importante, quello Stato non ha leggi di spesa utilizzabili, non possono affluire risorse comunitarie: è quanto ha rischiato di avvenire, nel nostro Paese, per il programma di opere pubbliche per l'acqua. Se è un Paese con un sistema di autonomia finanziaria più o meno diffusa, la ricerca delle risorse di cofinanziamento va fatta nei bilanci dei soggetti coinvolti (dalle Regioni alle Ferrovie dello Stato, ai soggetti privati ad esempio). È interessante osservare che nel Qcs non esiste una tavola che esponga le leggi utilizzate per il cofinanziamento nazionale. Occorre procedere con indagini analitiche per sapere che per le Ferrovie esiste un contratto di programma 199398 tra FFSs e Stato e che in questo risultano le leggi di spesa attivabili; che per l'ANAS il riferimento va fatto alle leggi del Piano Decennale. Più conosciuto è il fatto che per gli incentivi all'industria, le leggi di cofinanziamento principali sono la legge n. 488/92 (con le modifiche apportate successivamente) e la legge n. 44/86 sull'imprenditoria giovanile; per altri programmi, si è ancora in situazione di incertezza. In molti casi, vi è come riferimento la legge n. 183/87, che istituisce il Fondo di rotazione. È interessante, poi, osservare in quale momento le risorse di cofinanziamento tratte dal bilancio dello Stato vengono effettivamente vincolate al progetto o al programma inserito nel Qcs: non è certamente la decisione parlamentare sulla legge di spesa, né è la decisione parlamentare sul bilancio. Ciò avviene invece in sede CIPE, attraverso cioè una decisione politica; ma non con la stessa decisione CIPE che approva prima il Progetto di Piano, e poi il Qcs, come apparirebbe ragionevole fare. Si tratta, invece, di delibere molto 30
parcellizzate e disperse, fino al punto che per alcuni programmi il cofinanziamento è individuato prima della stesura del Qcs, mentre per altri, per incredibile che possa apparire (dato lo schema logico sottostante come dicevamo, il cofinanziamento) ancora all'inizio del secondo anno del Qcs la delibera CIPE non era ancora intervenuta e il cofinanziamento non era stato individuato! È questo uno dei principali segnali di difficoltà del collocamento della politica regionale tra istituzioni europee, governo, autonomie locali. Fra le conseguenze di questo strano schema è che le risorse di cofinanziamento non stanno in appositi capitoli, ben individuati, e chiaramente vincolati, ma spesso sono una parte, non ben chiara, di capitoli di spesa più ampi. Vi è, a questo proposito, da notare che la fondamentale diversità di linguaggio "contabile" tra la Comunità e l'Italia è fonte, in generale, di serie difficoltà: come è noto per tutti noi, i bilanci pubblici italiani non sono 'per programmi", o per progetti , ma per categorie economiche. La conseguenza, per noi, è che non riusciamo a porre un nesso stretto tra due diversi livelli di decisione, quello relativo alla programmazione degli interventi, e quello, molto più strutturato e stringente, relativo alla ripartizione delle risorse finanziarie. L'uso dei fondi comunitari ci impone di affrontare questa separazione, ed eliminarla; ma le norme di contabilità pubblica non sono ancora state modificate. Ne deriva un difficile, complesso, sistema di adattamento del bilancio al programma che in molte strutture pubbliche non appare ben messo a punto. Ad esempio il sistema informativo della Ragioneria Generale dello Stato, che serve per tenere sotto costante osservazione la spesa, non è in grado di dare un'informazione precisa sullo stato di avanzamento dei programmi comunitari; e solo da poco si sta provvedendo per costruire questa informazione. Causa di grande confusione è la possibilità di attingere non a nuove leggi di spesa, ma a vecchie leggi, le cui risorse risultano non più utilizzabili per alcune destinazioni. È il ca31
so, macroscopico, della legge n. 64. Dalla "riprogrammazione" di questa legge il CIPE avrebbe dovuto trarre alcune risorse di cofinanziamento; a lungo non lo ha fatto, e alcuni fondi comunitari sono restati al palo di partenza 25 . Solo col decreto legge n. 123/1995 è stato infine superato anche questo ostacolo, trovando le risorse nei mutui della legge n. 488. La questione è stata ed è molto importante per i programmi regionali, poiché le Regioni non avevano risorse "proprie" se non entro il 30% (ed in par.te erano risorse rinvenienti, a loro volta, da programmi non attuati in passato). Un altro 40% doveva essere trovato nella riprogrammazione della legge n. 64, cioè dalla cancellazione di iniziative non partite, e considerate non più meritevoli o possibili. Il residuo 30% doveva essere fornito dal bilancio statale, attraverso la ripartizione - sempre ad opera del CIPE - del capitolo di spesa del cosiddetto "Fondo di rotazione". Il ritardo nella definizione della struttura del cofinanziamento non sembra meno pericoloso - ai fini di una spesa sollecita dei Fondi Comunitari dell'incapacità delle Regioni di produrre in tempo, e con adeguati contenuti, i Programmi Operativi. L'entità del problema è definita dalla tab. i dell'Appendice, che riporta, regione per regione dell'obiettivo 1, e fondo per fondo, il contributo dei Fondi Comunitari, e il contributo nazionale "atteso" per ogni Fondo. Come si è detto, ancora a maggio 1995, nonostante il fatto che tutte le Regioni dell'obiettivo i avessero già trasmesso alla Commissione UE le proposte per i programmi operativi, e alcuni di questi fossero stati già approvati, non risultava ancora definito il trasferimento delle risorse statali destinate al cofinanziamento dei programmi regionali. È evidente che il ritardo nel trasferimento delle risorse statali, destinate al cofinanziamento dei programmi regionali, rischia di costituire una importante causa di ritardo nell'attuazione degli interventi cofinanziati con riferimento al nuovo Quadro Comunitario di Sostegno 1994-99. A questo proposito lo stesso Quadro Comunitario di So. . . . cc , stegno prevede che 1 attuazione di questo dispositivo di cofi32
nanziamento sarà concertata in maniera che si possa accelerare la realizzazione degli interventi eliminando gli ostacoli di carattere amministrativo e per realizzare un efficace e buon utilizzo dei fondi comunitari". Successivamente, per le regioni dell'Obiettivo 1, e limitatamente al FESR, il CIPE del 22 giugno 1995 ha definito per il biennio 1994-96 la struttura del cofinanziamento. Le risorse sono state individuate nel Fondo di rotazione e nei mutui della legge n. 488/92. Questo ha definitivamente eliminato l'ipotesi di trovare le risorse sulla riprogrammazione della legge n. 64, il che certamente contribuisce ad una semplificazione del problema (anche se resta aperta una rivendicazione di alcune Regioni a trovare in questa riprogrammazione la quota di risorse proprie ). La tabella 7 dell'Appendice riporta le cifre di cofinanziamento per le cinque regioni i cui programmi operativi risultavano approvati alla data di delibera del CIPE. Qualche parola a sé merita il Fondo di rotazione ex legge n. 183/1987 Il Fondo è nato con la finalità di consentire una conoscenza precisa di tutti i flussi finanziari intercorrenti tra Italia e UE. Esso poi ha assunto il diverso compito di "anticipare" alcuni fondi comunitari (funzione rotativa in senso stretto). Infine, è stato usato per appostare risorse di bilancio destinate al cofinanziamento nazionale. Quest'ultima funzione ha costituito la base per uno stretto rapporto col CIPE, al quale il Fondo fornisce le informazioni necessarie per definire "le linee di fabbisogno finanziario, statale e regionale, connesso all'attuazione in Italia delle politiche comunitarie", e dal quale riceve le regole per la distribuzione di tali fondi. Non è però garantita dal CIPE, almeno allo stato attuale delle cose, la congruità tra le risorse apportate in bilancio e il fabbisogno di cofinanziamento cui il Fondo di rotazione dovrebbe provvedere. Il Fondo ha poi la responsabilità di erogare sia i fondi «cpropri» che quelli comunitari " a saldo" delle anticipazioni, secondo le norme poste dal suo Regolamento. 33
Sembra di poter osservare, in termini generali, due cose: primo che tale Regolamento, e ancor più la prassi che ne è derivata, sono stati concepiti in termini di controllo impeditivo", cioè di strumento per evitare un uso dei fondi diverso da quello previsto; il che si aggiunge certamente ai controlli, successivi o preventivi, delle normali regole di contabilità degli enti. Inoltre, le anticipazioni, che potrebbero arrivare al 90% per prassi sono state divise in due quote: il 40% a titolo di anticipo, e il 50% in relazione agli stati di avanzamento dell'azione; il che, chiaramente, appare coerente alle finalità del controllo impeditivo, ma aggrava anche, in qualche misura, le procedure, e, certamente dilata i tempi dell'esecuzione. La seconda osservazione da fare è che il Fondo rafforza la visione "centralistica" della politica regionale, in quanto opera come risorsa di bilancio da trasferire, con vincolo di destinazione. Una conseguenza negativa di questa impostazione - ma non la sola - è quella di esporre il trasferimento ad interventi dilatori connessi con 1 esigenza di mantenere entro certi valori il saldo di bilancio preventivato 26 Occorre chiedersi, allora, se non sarebbe più ragionevole passare queste risorse attraverso il normale canale di finanziamento generale della spesa in conto capitale delle Regioni (ex art. 9). Si potrebbe allora imporre o chiedere alle Regioni che le risorse ottenute vengano esplicitamente vincolate in bilancio al cofinanziamento dei programmi comunitari, e che il controllo sul loro utilizzo sia sostanzialmente quello della valutazione, ex post, previsto dai regolamenti sui fondi strutturali. In futuro, prenderà più importanza il problema del "momento e della forma che la decisione sulle risorse di cofinanziamento nazionale deve avere in un sistema a finanza decentrata. Come per le risorse del bilanciodello Stato occorre trasformare la delibera CIPE che pone il vincolo programmatico di destinazione in un vincolo sui capitoli di bilancio, tale da poter essere "letto" e "amministrato" dal sistema di gestione contabile della Ragioneria Generale dello Sta.
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to (oltre che, ovviamente, dal Ministero che è titolare di quel programma di spesa) così deve avvenire per gli enti decentrati. Non basta che gli uffici di programmazione scelgano programmi e progetti, e facciano precisi quadri di cofinanziamento: occorre che le risorse interne vengano vincolate a tale scopo nei bilanci annuali e pluriennali. Solo così si può evitare la confusione che attualmente accompagna, in Italia, la procedura di spesa relativa ai programmi cofinanziati. Per concludere sui tema del cofinanziamento è da sperare che, sia da parte dell'Unione Europea che delle autorità nazionali, di esso si veda la valenza forte, che è proprio quella di porre in più stretta relazione la decisione sulle risorse e la decisione sulla spesa; ma una volta fatto ciò non lo si deve interpretare come una regoletta formale molto rigida. Questa ultima preoccupazione ben si può capire guardando ad una questione che va prendendo sempre più importanza, quella della trasformazione in lire del vincolo di cofinanziamento espresso in Ecu. Un meccanismo pensato per un regime di cambi fissi, o stabili, qual era quello che lo SME sembrava aver realizzato nella seconda parte degli anni Ottanta, si trova ora ad agire in un regime di cambi fortemente instabili. Per noi, questo significa che la svalutazione della lira sull'Ecu apre una difficilissima questione (formale e sostanziale) di cofinanziamento: le risorse comunitarie sono fisse, ma in Ecu; quelle dei bilanci nazionali sono fisse, ma in lire; ugualmente fisse sono le regole di rapporto tra i due, (il tasso di "aiuto") asse prioritario per asse prioritario, programma per programma27. La variazione del tasso di cambio comporta perciò ovviamente un'incoerenza tra le varie regole, ed anche un effetto sull'ammontare complessivo della spesa di ogni singolo programma. Gli Uffici della Unione Europea sostengono la tesi che le risorse nazionali debbano essere aumentate, in caso di svalutazione, in modo da mantenere invariati sia il trasferimento comunitario che il tasso di aiuto; l'effetto di questo sarebbe un aumento complessivo, in lire, del valore dei programmi. 35
In mancanza di ciò ritengono inevitabile una riduzione del contributo comunitario. Il Governo italiano trova irragionevole che venga ridotto il sostegno comunitario proprio al Paese che si trova in difficoltà, come dimostra l'andamento del cambio. Perdippiìi, nella misura in cui tale andamento rispecchia la crisi del bilancio, e l'esigenza di ridurre la spesa pubblica, l'imporre una regola di aumento automatico di tali spese - al di là della sua inapplicabilità ad un sistema che comunque attribuisce al Parlamento ogni decisione sulle leggi di spesa - appare contraddittorio con la pressante richiesta, proveniente dai nostri partner europei, di mettere ordine nelle nostre finanze. Chiede, perciò, che resti invariata sia la quota comunitaria in Ecu che la quota nazionale in lire, e si modifichi, invece, il tasso di aiuto, con decisione ad hoc, presa programma per programma. Anche questo, comunque, produce un'espansione della spesa complessiva, rispetto all'ipotesi iniziale. Per mantenere invariato il valore complessivo occorrerebbe, addirittura, che l'aumento del controvalore in lire del finanziamento comunitario venisse compensato da una riduzione della quota nazionale, il che è palesemente macchinoso e inaccettabile. La soluzione dovrà essere trovata nell'imporre la regola sulla ripartizione del cofinanziamento solo nella fase di impostazione del Qcs, lasciando poi che le "percentuali" di composizione e la dimensione di programmi possano poi cambiare nel corso degli anni, ed essere diverse anche in ragione del grado di avanzamento dei singoli progetti. Inaccettabile, infatti, è l'idea che vengano ridotte le risorse comunitarie. È altrettanto inaccettabile che esse vengano aumentate nei confronti del paese la cui moneta dovesse eventualmente apprezzarsi sull'Ecu. Si tratta, come ben si vede, di un problema simile a quello che nel caso della politica agricola comune, fu risolto ricorrendo alla "lira verde" che ha operato per la politica agricola nella fase dei cambi variabili. Ma sarebbe certo una soluzione macchinosa e molto rigida quella della "lira regionale", anche se si tratta di un'ipotesi meno irrealistica di quanto si creda, 36
visto che nei calcoli del cofinanziamento, comunque, già si applicano tassi di cambio convenzionali Le cifre in gioco sarebbero relativamente modeste se non fosse che con gli attuali vincoli ai saldi e al debito ogni miliardo di spesa aggiuntiva crea un problema: come si è detto, le autorità italiane si sono impegnate a mantenere il livello annuale medio della spesa pubblica "eleggibile", a 17.517 milioni di Ecu (Mecu): al cambio di 1900 lire (quello al momento in cui il Qcs è stato impostato) ciò significa 33.283 miliardi di lire; nel febbraio scorso, col cambio a 2.034 lire, in alcuni incontri di lavoro si quantificava questo livello in 35.625 miliardi. Il principio da stabilire è importante, e richiede una decisione politica da parte del Governo e della Commissione. Vi è inoltre un problema di "rischio di cambio" connesso alle procedure di utilizzo dei fondi comunitari, che è ancora più difficile a risolversi se non si accetta il principio della variabilità del tasso di aiuto: è chiaro, infatti, che se si applicano tassi di cambio diversi nelle diverse fasi di esecuzione di un programma, l'Amministrazione avrà un rischio di cambio, avendo effettuato la spesa in lire; rischio che è tanto maggiore quanto più lungo il periodo intervenuto tra le varie fasi. L'aver consentito al Tesoro di tenere un conto corrente infruttifero in Ecu presso la Banca d'Italia non risolve il problema (anche se costituisce comunque un utile passo nella direzione di un'estesa contabilizzazione in Ecu) 28 .
Il nuovo Qcs opererà in un assetto istituzionale completamente diverso da quello precedente: l'intervento straordinario, con i suoi organismi, è finito; non c'è più un'unica legge di finanziamento e di cofinanziamento; la dipendenza finanziaria delle Regioni dal bilancio statale tende a ridursi, ancorché non sia ancora chiaro, né avviato, un compiuto disegno di riforma in senso federalista. Vi sono timori che il nuovo assetto aggravi i problemi che sono emersi in passato - ritardi, continue revisioni delle decisioni, procedure confuse e macchinose. Vi è poi, nella Comunità, la sensazione di aver perso l'interlocutore italiano,
La politica regionale tra livelli diversi
di Governo
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sostituito da un insieme di soggetti tra loro non coordinati, e con una non chiara ripartizione di poteri. Su questa prima questione, va osservato che molto nasce dalla non chiara percezione del fatto che nel Ministero del Bilancio esistono due diverse sedi - e livelli - di coordinamento: la prima, di natura amministrativa, è la Direzione Generale della Coesione, nata con la legge n. 96/93; la seconda, di natura politica, è il CIPE, presieduto dal Ministro del Bilancio su delega del Presidente del Consiglio dei Ministri; in funzione delle decisioni del CIPE, vi è un gruppo di lavoro al quale partecipano diverse Amministrazioni che hanno responsabilità nel processo di spesa dei fondi comunitari. Le due sedi sono assolutamente diverse, ancorché complementari, nel senso che quando le azioni di coordinamento svolte a livello amministrativo richiedono giustificazione e forza in una strategia di natura politica, la sede adatta è il CIPE. Quando invece, fatta l'analisi dei nodi e delle difficoltà, l'Amministrazione trova proposte di soluzione che essa stessa è in grado di realizzare, non c'è (o non dovrebbe esserci) bisogno di ulteriori interventi. Naturalmente il rischio di sovrapposizioni e confusioni di ruolo è tutt'altro che da escludere. Ma questo rischio nasce, mi sembra, più dal tentativo di fare del CIPE un "superorgano amministrativo" che dalla impossibilità di svolgere funzioni istruttorie e di coordinamento in una Direzione Generale. Col decreto legge n. 123 del 24 aprile 1995 si è tuttavia ritenuto insufflciente il potere di coordinamento del Bilando, ed e stata istituita la cabina di regia nazionale . Ne è definita la composizione e la funzione di rapporto alle cabine di regia regionali, ma non ne è definita, se non in modo molto vago, la competenza specifica. Quel che sembra importante è dunque definire il ruolo stesso della cabina di regia: essa non deve né riproporre una visione centralistica della gestione delle politiche di sviluppo e di coesione regionale, né consentire ad una dislocazione di responsabilità dalle singole amministrazioni all'organo politico collegiale. Sotto la parola "coordinamento" vengono talvolta fatte
passare ambizioni di tipo diverso: a scegliere, a decidere, a mediare tra interessi diversi. Quanto più si sottraggono queste responsabilità alle Amministrazioni di settore, e si duplicano, presso il Ministero del Bilancio, o altrove, le sedi di esame, tanto più lento, farraginoso e inefficiente diviene il processo di decisione e di attribuzione della politica di sviiuppo regionale. È nelle Amministrazioni di settore, innanzitutto, che va identificato con precisione un responsabile del coordinamento delle azioni che implicano l'utilizzo dei fondi comunitari: ed è in queste Amministrazioni che va sollecitata una visione settoriale " della politica di sviluppo regionale. Il Ministero del Bilancio meglio potrà svolgere i suoi compiti di coordinamento se si troverà di fronte Amministrazioni sensibili, ben organizzate, ben informate. La tentazione di un neocentralismo è molto forte, in particolare come soluzione all'osservata incapacità delle Regioni a spendere (e a spendere bene) le risorse comunitarie 29. Funzioni di supplenza sono state adombrate sia per la cabina di regia, che per l'offerta di "servizi" da parte di società ad hoc costituite; ma si arriva a riproporre l'ipotesi di una nuova Agenzia del Mezzogiorno. Un fermo rifiuto va opposto a tutto ciò. L'occasione va invece colta proprio come stimolo alla riforma, politica e amministrativa, delle Regioni. Politica, nel senso che deve essere chiara la responsabilità dei politici locali, finora comodamente attestati soltanto sulla posizione di chi si fa dare soldi da Roma o da Bruxelles: quando gli oltre 2.000 miliardi della Campania o della Sicilia, i 1.600 miliardi della Puglia, i 1.200 miliardi della Sardegna e della Calabria, i 700 della Basilicata e dell'Abruzzo-Mouse, resteranno lì, non spesi per le azioni che i cittadini si aspettano, sarà ai politici locali che se ne dovrà chiedere conto. Nessun alibi deve essere offerto, dal centro, alla classe politica locale. Per questo, prima, ho sostenuto la tesi della messa a disposizione completa, e senza controlli preventivi, di tutte le risorse finanziarie derivanti da trasferimenti dal bilancio statale. Ma anche gli amministratori dovranno essere chiaramente responsabilizzati, riattribuendo loro molti poteri, ma anche "
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imponendo quelle riforme che sono necessarie perché i regolamenti comunitari siano interiorizzati, per così dire. Mi si consenta una autocitazione: "tutti i regolamenti comunitari tenno a privilegiare il fattore tempo, il rapporto tra i costi e i-risulti, l'accertamento dei costi e l'accertamento dei risultati attesi. Onestamente, tutte cose alle quali le amministrazioni regionali italiane sono totalmente indifferenti" 30 Alle Regioni il disegno europeo attribuisce certamente un ruolo maggiore di quello avuto finora in Italia. Il partenariato avvia questo disegno. Il partenariato è concertazione in tutte le fasi della politica di sviluppo-definizione dei programmi, e dei progetti di attuazione, soluzione dei problemi, monitoraggio e valutazione; esso richiede perciò un ricco, e ben strutturato, tessuto di relazioni. Ma partenariato è anche attenzione agli obiettivi che si intende raggiungere: esso richiede allora rilevazioni statistiche e informazioni che travalicano la stretta gestione della spesa pubblica; compito del coordinamento è tessere tale tessuto di informazioni, assicurarne la circolazione, renderle rilevanti per le decisioni. Il partenariato, infine, vuole una riflessione critica continua su come gli obiettivi posti vengano raggiunti, e quindi un patrimonio comune di criteri di valutazione ex ante e ex post, e vuole momenti di analisi in comune, sedi responsabili di proposte confrontate e condivise. È un problema di metodo, di qualità del confronto: non è moltiplicando le sedi e i livelli di questo confronto che si otterrà il giusto equilibrio tra la dispersione delle azioni fra i centri amministrativamente responsabili, e la assicurazione che si sta attuandò il disegno complessivo di politica di sviluppo regionale. Il legislatore con la legge n. 96/93 poneva la parola fine alle strutture che per trent'anni avevano gestito, in Italia, la politica di sviluppo regionale e che lo avevano fatto anche in funzione di supplenza data la scarsa vitalità e forza dei soggetti politici locali (regioni, città, aziende pubbliche) e data la necessità di far convergere, su un unico progetto, azioni e .
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compiti di diverse amministrazioni ad esse sottraendo, quindi, tali azioni e tali compiti. Il legislatore consapevole della difficoltà di operare il ritorno dei poteri e delle responsabilità in mano alle amministrazioni ordinarie, nazionali e locali, ha voluto creare un Osservatorio delle politiche regionali. Una sede deputata a guardare, individuare i problemi, capire la fonte delle difficoltà, suggerire soluzioni; una sede indipendente, per quanto possibile, dal Governo e perciò più capace di avviare un dialogo non conflittuale con.i poteri regionali; una sede non coinvòlta nella gestione di risorse, nella attività amministrativa del giorno per giorno, e perciò più disponibile a riflettere col tempo sufficiente, con gli approfondimenti necessari; una sede particolarmente interessata alle informazioni, alla loro circolazione, alla loro trasparenza. L'Osservatorio ha pochi mesi di vita: quel che ha fatto può essere valutato positivamente o negativamente, non certo da me che ne sono il Presidente. La mia convinzione è che si tratta di un organismo particolarmente adatto in un momento di transizione dal centralismo al più articolato sistema su cui la politica di sviluppo regionale oggi poggia, tra Unione Europea, Stato, Regioni, e in cui ogni energia va spesa per favorire l'armonioso e ordinato dispiegarsi dei rapporti caratterizzanti il nuovo sistema.
I v. X. SALA-I-MARTIN, J. SACHS, Fiscalfederalism and optimum curreny areas NBER W. P. n. 3855, 1991 ott. 2 BARRY EICHENGREEN, Currency Union, «Economic Policr, Aprii 1990; v. anche sul tema: R. BARR0, X. SALA-I- MARTIN, Convergence across States and Regions,
Brooking Papers on EconomicActivity, 1991. 3 Cfr. SALA-I-MARTIN, SACHS, op. Cit. 4 Cfr.P.Istiw, The relevance ofFiscal Conditionfiìr the success ofEuropean MonetayIntegration, IMF W.P. 198916. 5 T. BAYOUMI, B. EICHENGREEN, Andamento delle economie in regimi di cambio alternativi: un 'analisi dell'evidenza storica in P.B. KENEN, F. PAPADIA, F. SAccoMANNI, Il sistema monetario internazionale tra crisi e rfbrme, Il Mulino 1994. 6 Secondo alcuni autori alla politica di bilancio gestita dall'Unione Europea dovrebbero invece essere attribuiti tutti gli strumenti e tutte le finalità delle politiche di redistribuzione e di riequilibrio regionale. V. G. CAMPA, Il ruolo della politica di bilancio nell'integrazione economica dell'Europa, in «Moneta e Credito'>, 1989. 7 Si vedano i dati e gli indicatori statistici contenuti in Commissione Europea: Competitività e coesione: tendenze nelle regioni. (Quarta Relazione periodica sulla situazione socioeconomica e sullo sviluppo delle regioni della Comunità, Bruxelles 1994).
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L'arr. i del Regolamento 20.7.93 così definisce i 5 obiettivi dei fondi struttura-
li: promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni il cui sviluppo è in ritardo (ob. 1), riconverrire le regioni gravemente colpite dal declino industriale (ob. 2), lottare contro la disoccupazione di lunga durata e facilitare l'inserimento professionale dei giovani e l'integrazione delle persone minacciate di esclusione dal mercato del lavoro (ob. 3), agevolare l'adattamento dei lavoratori e delle lavoratrici ai mutamenti industriali (ob. 4), promuovere lo sviluppo rurale, accelerando l'adeguamento delle strutture agrarie, nell'ambito della riforma della politica agricola comune (ob. Sa), agevolando lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle zone rurali (ob. Sb) L'art. 2 precisa che a questi obiettivi sono finalizzati il FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) il FES (Fondo Sociale Europeo) e il FEOGA - Oricntamento (Fondo per la Politica Agricola Europea). 9 D.A. ASCHAUER, Is Public Expenditure productive? in «Journal of Monetary Economics'>, 1989. IO D. CANNING M. FAY, R. PEROTTI, Infrastructure and Growth, Relazione presentata al Convegno del CEIs (Centre for International Studies on Economic Growth) su «International differences in growth rares», Frascati, 1992 . A. H. MUNNELL, How does Public Infrastructure affect Regional Economic Performance? In ',New England Economic Review», 1990. Per altri esempi di ricerche empiriche in questo campo si vedano sia le bibliografie delle opere citate , sia la rassegna fatta per il Journal ofEconomic Literature (1994) da E. GRAMLICH dal titolo Infrastucture andinvestment: a review essay. I cfr. I. BRADFORD I. B. DE LONG, L. H. SUMMERS How strongly do developing economies benefitfrom equipment investment? in «Journal of Monetary Economy», Dec. 1993. 12 Gli aiuti al funzionamento, nella forma di sgravi contabili, hanno rappresentanto, fra il 1986 e il 1993, oltre il 60% degli aiuti alle imprese nel Mezzogiorno. L'accordo Pagliarini-Van Miert, nel gennaio 1995, ha sanzionato l'uscita di Abruzzo e Molise dal regime speciale di sgravi contributivi, e ha stabilito un calendario per I' eliminazione in tutto il Mezzogiorno. È evidente che questo provocherà un aumento dei costi, che dovrà essere recuperato o sul lato della produttività, o attraverso riduzioni della componente aziendale del salario. 13 Al cambio lira Ecu di 2000 si tratta di un volume complessivo di oltre 64.000 miliardi, 30.000 dei quali a carico della Comunità. 14 Con il dl. 41195 è stato consentito l'utilizzo dei mutui della legge n. 488/93 anche per i "vecchi" incentivi e non solo per i "nuovi", come inizialmente previsto. Anche parte delle risorse comunitarie verrà, di comune intesa, dirottata su impegni nuovi ma relativi a vecchie domande. Lo spostamento di risorse dai "nuovi" ai "vecchi" incentivi potrà essere ridotto se si riusciranno ad utilizzare risorse "riprogrammate" della legge n. 64, il che è reso possibile dal fatto che molte azioni non sono state poi attuate. Spetta al CIPE effettuare questa scelta. 15 Con delibere dell'aprile 1993 e del dicembre 1993 il CIPE aveva disegnato un sistema semi-automatico di asta, basato su indicatori. Il regolamento attuativo di tali delibere ha avuto un iter lentissimo nel passaggio tra Ministri dell'industria; le modifiche suggerite dalla UE, e il desiderio di rivedere gli indicatori decisi dal CIPE, ne ritardano ancora (giugno 1995) l'operatività perché solo il 27 aprile 1995 il CIr'E ha definitivamente approvato il regolamento che è uscito poi nella Gazzetta Ufficiale del 20 giugno 1995. Restano ancora da mettere a punto alcuni importanti passaggi procedurali (V. «Il Sole 24-Ore» del 22giugno 1995, p. 21).
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16 CANNING, FAY, PEROTTI, op. cit. È interessante osservare che. anche la Banca Mondiale vi fa ampio ricorso (v. ad esempio R.I. SAUNDERS I.I. WARFORD, B. WUELLENI us Telecomunication and Economic Devdopment, World Bank Publication, John Hopkins, Un. Press. Baltimore 1983). 7 Tali risultati sono addirittura contestati per l'eccesso di importanza che finiscono per attribuire all'aumento di dotazione di infrastrutture rispettoalla crescita del capitale o del lavoro: la ragione è inspiegata, ma il risultato è confermato da moltissimi studi econometrici. Si veda E. GRAMLICI-J, Infrastructure andlnvestment: a review essay, in «Journal of Economie Literature», september 1994. 8 cfr. Audizione del Ministro del Bilancio Rainer Masera alla Camera dei Deputati, marzo 1995. 9 L'Osservatorio delle politiche regionali ha organizzato un gruppo di lavoro interamministrazioni, che aveva proprio lo scopo di esplorare la possibilità di far intervenire il capitale privato nel completamento di opere pubbliche incomplete; da questo gruppo è venuta un'analisi della situazione delle opere incompiute dell'Agensud Opere Infraatrutturali del soppresso intervento straordinario: stato di attuazione e prospettive di Project Financing— Aprile 1995. 20 P. Mc. ALEAVEY, The Politics ofEuropean Regional Development Policy: Additionality in the Scottish Coalfields, in «Regional Politics and Policy> ,1993. 21 Il DPEF, presentato nell'estate 1994, è particolarmente riduttivo:, non viene più nemmeno presentata quella versione programmatica della spesa pubblica che vi era nei precedenti DPEF, e che consentiva al Parlamento di dare indicazioni sulla dinamica desiderata delle voci del bilancio; esistono soltanto le cifre "tendenziali". 22 Il documento è stato pubblicato nella «Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 2, 1994. 23 Le variazioni percentuali attese nella voce "Costituzione di capitali fissi" del Settore Pubblico nel DPEF sono infatti pari all' 8% nel 95, al 12% nel 96 e al 10% nel 97. Il rapporto al PIL è in leggero aumento, ma resta al 2%, un punto al di sotto del rapporto "storico". 24 È un problema che fu molto discusso in Inghilterra, negli anni Sessanta, quando si usava impostare il bilancio pluriennale a valore costante. Il sistema fu abbandonato proprio per il suo impatto disastroso sul deficit pubblico. 2511 CIPE dovrà poi procedere comunque a riprogrammazioni dei fondi non più utilizzabili, e stabilire le nuove destinazioni. 26 In passato, questa è stata tra le cause non secondarie di malfunzionaniento della legge n. 64, sottoposta a vincoli annuali di utilizzo inferiori di molto al valore medio annuo previsto dalla sua natura di legge pluriennale; questo richiedeva per le azioni effettivamente avviate un intenso prefinanziamento bancario ( alle imprese, in particolare, ma anche alle Regioni e agli enti locali), esposto, a sua volta, al costo del ritardo nella erogazione. 27 Art. 22 del Regolamento CE n. 2082/93, n. 1866190 e n. 402/94. 28 Il d.d.l. comunitario in esame al Parlamento contiene una norma che autorizza il Fondo di rotazione a trasferire in Ecu alle Amministrazioni le somme ricevute dalle istituzioni comunitarie. 29 L'esperienza del Qcs 1989-1993, per quanto riguarda i programmi multiregionali, è particolarmente impressionante: nella primavera 1995 risultavano impegnate il 78% delle risorse programmate, e spese il 47%, malgrado una serie molto rigida e ben nota di scadenze, e un continuo riproporsi di riprogrammazioni, da parte del CIPE, con perdite di risorse per le regioni. È in atto un estremo tentativo, su pressione del Ministero del Bilancio, per evitare che i ritardi determinino una perdita di risorse comunitarie tra 1.600 e 2.300 milioni di Ecu. 30 M. T. SALVEMINI, Iliveii di governo dellafinanz.a pubblica: ragionando di fondi strutturali europei, in «Queste Istituzioni», 1994, n. 98.
43
Appendice
Tab. 1. Mezzogiorno - Totale Qcs Italia Obiettivo 1 1994-1999: Piano di finanziamento indicativo per fonte di finanziamento (ripartizione per sotto-Qcs) (milioni di ecu)
SPESA PUBBLICA Sotto QCS
Costo Totale
1=2.13
Tptale spesapubblica 2=3.8
Contributo dei Fondi comunitari
Contributo nazionale relativo a ogni Fondo
Totale
FESR
FSE
Foc
SFOP
Totale
FESR
FSE
Foc
SFOP
3=4+5.6+7
4
5
6
7
8=9.10.11.12
9
IO
Il
12
Abruzzo 465,338 393,549 234,400 107,000 43,500 83,900 Basilicata 1.206,380 979,167 141,200 214,800 599,000 243,000 Calabria 1.852,346 1.515,348 871,300 456,000 174,300 241,000 Campania 3.392,519 2.656,452 1.541,900 890,000 328,400 323,500 Mouse 520,437 481,525 124,000 48,000 120,000 292,000 Puglia 2.519,119 2.062,931 1.223,400 612,000 285,000 326,400 Sardegna 2.097,052 1.605,152 967,100 415,000 219,500 332,600 Sicilia 3.051,319 2.674,502 1.557,200 778,000 427,400 351,800 Toi, Reg. 15.104,510 12.368,626 7.286,300 3.625,000 1.667,300 1.994,000 Multi-reg. 17.334,061 12.818,392 7.573,700 6.035,000 Tot, Qcs
1.071,700
234,000
32.438,571 25.187,018 14.860,000 9.660,000 2.739,000 2.228,000
Settore Prestiti privato comunitar
13
14
159,149 102,859 380,167 226,924 644,048 423,374 1.1 14,552 877,443 189,525 110,596 839,531 537,000 638,052 392,951 1.117,302 703,917 5.082,326 3.375,064
13,500 42,790 56,343 96,900 71,644 149,030 125,144 111,965 18,629 60,300 112,401 190,130 87,501 157,600 178,885 234,500 664,047 1.043,215
5.244,692 4.644,429
364,814
87,429
148,020
4.515,669
233,000 10.327,018 8.019,493
1.028,861
1.130,644
148,020
7.251,553 9.000,000
233,000
71,789 227,213 336,998 736,067 38,912 456,188 491,900 376,817 2.735,884
Tab. 2. Mezzogiorno - Totale (milioni di ecu)
Qcs Italia Obiettivo 1 1994-1999: Piano di finanziamento indicativo per asse e fonte di finanziamento SPESA PUBBLICA Asse prioritario di sviluppo
Costo Totale i • 2+13
i
Comunicazioni 1.1 Strade ed autostrade 1.2 Ferrovie 1.3 Altri mezzi di trasporto 1.4 Telecomunicazioni
2 Industria, artianato e servizi alle imprese 2.1 Incentivi all'industria 2.2 Aiuti all'artigianato 2.3 Aiuti ai servizi alle imprese 2.4 Sviluppo locale e aree di crisi 2.5 Zone industriali e artigianali 3 Turismo 3.1 Incentivi agli investimenti wrisrici 3.2 Valorizzazione risorse d'interesse turistico 4 Divers., valoriz. delle risorse agricole e sviluppo rotaie 4.1 Risorse agricole e infrasrrutrure di supporto 4.2 Sviluppo rurale 4.3 Servizi di sviluppo in agricoltura e divulgazione 4.4 Obiettivo Sa 4.5 Misure in corso
-
i-or i e
.
. . Contributo dei Fondi comunitari
s esa publica Totale 2- 3+8
.
FESR
.
FsE
FEAOG
4+5.6.7
5.213,898 3.254,802 2.159,580 1.501,074 1.401,074 707,680 2.158,500 1.102,357 881,500 360,038 333,371 152,400 1.194,286 418,000 418,000
FEsR
9.10.11.11
9
3.546,329 3.482,200 2.351,129 2.287,000 293,400 293,400 261,700 261,700 492.100 492,100 148,000 148,000
150,300 150,300
2.107,079 1.659,012 984,049 584,212
862,100 324,700
774,600 237,200
1.123,030 1.074,800
537,400
537,400
4.351,031 3.547,596 2340,700
55,000
57,700 2.228,000
1.588,698 1.193,948 823,467 725,940
841,225 452,539
39,000 16,000
57,700
497,020 1.137,435 304,411
309,795 594,947 142,194
484,580 890,264 252,164
Totale
FsE
FEA0G
SF0P
iO
il
52
Settore Prestiti privato omunitar 13
2.943,995 3.000,0002 1.960,286 330,952 237,743 415,014
64,129 64,129
448,067 399,837
796,912 259,512
759,600 222,200
537,400
537,400
1.206,896
51,714
24,538 1.130,644
803,435
744,525 436,539
352,723 273,401
39,000 12,714
24,538
289,185 260,687
394,750 97,527
309,795 594,947 142,194
174,785 295,317 110,670
174,785 295,317 110,670
12,440 247,171 51,547
87,500 87,500
54
1.959,096 2700,000 1 100,000 1.056,143 26,667 776,286 1.600,000
1.095,222 1.095,222 693,394 693,394 220,857 220,857 180,971 180,971
219,580 707,680 881,500 152,400 418,000
10.197,824 7.253,829 3.707,500 3.557,200 6.748,715 4.788,429 2.437,300 2.287,000 917,752 586,800 293,400 293,400 761,143 523,400 261,700 261,700 1.474,214 1.059,200 567,100 567,100 296,00 296.000 148,000 148,000
SFOP
.
. . . Contributo nazionale relativo a ogni Fondo
37,312 37,312
48,230
Segue: Tab. 2.
Asse prioritario di sviluppo
Costò Totale 1.2.13
5 Pesca 6 lnfrastrutuure di sviluppo attività economiche 6.1 Acqua 6.2 Energia 6.3 Ambiente 6.4 Ricerca, sviluppo e innovazione 6.5 Infrastrutturesanitarie 7 Valorizzazione risorse umane (Ob.1, Ob. 3, Ob. 4) 7.1 Rafforz. dell'istruzione e formazione iniziale 7.2 Inserimento persone disoccupate 7.3 Formazione continua per gli occupanti 7.4 Pubblica amm.ne , Rafforz. sistemi formazione e impirgo 7.5 Strutture di formazione 8 Assistenza tecnica, pubblicità, monitoraggio
Totale I
500,417
6.755,211 2.238,400 1.167,079 1.527,458 1.680,479 141,795
SPESA PUBBLICA Settore Prestiti ora I e Contributo dei Fondi comunitari Contributo nazionale relativo a ogni Fondo privato omunitar s esa FSE FtroG SF0!' Totale FESR FsE FEAOG SF0!' publica Totale FESR T
2=3.8
415,877
.
.
.
6
4..6.7
257,400
24,400
5.883,648 3.235,920 2.992,520 2.238,400 1.119,200 1.119,200 556,190 312,180 312,180 1.327,458 748,000 652,500 1.619,805 975,100 864,100 141,795 81,440 44,540
243,400
95,500 111,000 36,900
.
.
'
233,000
9.10.iIl2
.
9
158,477
.
IO
.
il
10,457
12
148,020
13
84,540
2.647,728 2.543,747 1.119,200 1.119,200 244,010 244,010 579,458 538,767 644,705 597,230 60,355 44,540
103,981
61,440
776,444
140,857
40,691 47,475 15,815
871,563 3.300,0003 610,889 2.000,000 200,000 60,674
3.187,881 3.047,024 2.209,140
61,440 2.147,700
837,884
425,714 425,714 298,000 2.022,001 1.949,144 1.417,200
298,000 1.417,200
127,714 531,944
127,714 531,944
72,857
240,500
34,500
34,500
68,000
192,000
82,286 61,440
61,400
37,570
25,570
343,000
275,000
240,500
274,286 122,880
274,286 122,880
192,000 61,440
61,440
125,230
125,230
87,660
59,660
28,000
32.438,571 25.187,018 14.860,000 9.660,000 2.739,000 2.228,000
14
82,286
12,000
231000 1.0327,018 8.019,493 1.028,861 1.130,644
148,020 7.251,553 9.000,000
Comprende anche i prestiti destinati ai sotto-assi 1.1, 1.2 e 13; 2 Comprende anche i prestiti destinati al turiamo (asse 3); 3 Comprende anche i prestiti drstinati ai sotto-assi 6.1, 6.3 e 6.4
Tab. 3. Mezzogiorno - Multi-regionale Qcs Italia Obiettivo 1 1994-1999: Piano di finanziamento indicativo per asse e fonte di finanziamento
Asse prioritario di sviluppo
Costo Totale 1-2.13
SPESA PUBBLICA Settore Prestiti ota Ie Contributo dei Fondi comunitari Contributo nazionale relativo a ogni Fondo privato omunitar s esa FsE FEAOG SFOP Totale FESR FsE FEA0G SF0P publica Totale FESR T
2-3+8
9,10 .11.12
4*5+6,7
I Comunicazioni 1.1 Strade ed autostrade 1.2 Ferrovie 1.3 Altri mezzi di trasporto 1.4 Telecomunicazioni
3.554,786 1.727,000 1.413,000 1.413,000 498,000 498,000 249,000 249,000 1.752,500 701,000 701,000 701,000 110,000 110,000 45,000 45,000 1.194,280 418,000 418,000 418,000
2 Industria, artigianato e serviai alle imprese 2.1 Incentivi all'industria 2.2 Aiutiall'artigianato 2.3 Aiuti ai servizi alle imprese 2.4 Sviluppo locale e aree di crisi 2.5 Zone industriali e artigianali
7.740,000 5.482,286 2.752,000 2.714,000 6.417,143 4.508,286 2.265,000 2.227,000 385,714 270,000 135,000 135,000 457,143 320,000 160,000 160,000 480,000 384,000 192,000 192,000
3 Turismo 3.1 Incentivi agli investimenti turistici 3.2 Valorizzazione risorse d'interesse turistico 4 Divers., valoriz. delle risorse agricole e sviluppo rurale 4.1 Risorse agricole e infrastrutrure di supporto 4.2 Sviluppo rurale 4.3 Servizi di sviluppo in agricoltura e divulgazione 4.4 Obiettivo Sa 4.5 Misure incorso
(milioni di ecu)
9
314,000 249,000
314,000 249,000
65,000
65,000
lO
il
12
3
1.827,786 1.051,500 776,286
38,000 38,000
2.730,286 2.714,000 2.243,286 2.227,000 135,000 135,000 160,000 160,000 192,000 192,000
16,286 16,286
2.257,714 1.908,857 115,714 137,143 96,000
17,143 17,143
317,143 57,143
300,000 40,000
150,000 20,000
150,000 20,000
150,000 20,000
150,000 20,000
260,000
260,000
130,000
130,000
130,000
130,000
351,429
321,429
234,000
234,000
87,429
87,429
30,000
120,000
90,000
72,000
72,000
18,000
18,000
30,000
231,429
231,429
162,000
162,000
69,429
69,429
54
Segue: Tab. 3.
SPESA PUBBLICA Asse prioritario di sviluppo
Costo Totale 2+13
5 Pesca 6 lnfrastrurture di supporto attivitĂŹ economiche 6.1 Acqua 6.2 Energia 6.3 Ambiente 6.4 Ricerca, sviluppo e innovazione 6.5 lnfrastrutture sanitarie 7 Valorivazione risorse umane (Ob.1, Ob. 3, Ob. 4) 7.1 Rafforz. dell'istruzione e formazione iniziale 7.2 Inserimento persone disoccupate 7.3 Formazione continua per gli occupati 7.4 Pubblica amm.ne , Rafforz. sistemi formazione e impirgo 7.5 Strutture di formazione 8 Assistenza tecnica, pubbIicit, monitoraggio
Totale 1
465,560
Tota ie
Contributo dei Fondi comunitari s esa Totale FESR FsE FEAOG SFOP publica 2
3+8
381,020
Contributo nazionale relativo a ogni Fondo Totale
4.5.6,7 233,000
233,000
100,000
1.373,857 1.279,371
905,700
333,671
40,000
Fsrt
FeoG
SFOP
9
iO
li
2
148,020
3.449,857 3.245,857 1.789,000 1.689,000 1.742,000 1.742,000 871,000 871,000 485,000 281,000 170,000 170,000 80,000 48,000 80,000 48,000 1.142,857 1.142,857 700,000 600,000
945,700
100,000
FESR
148,020
Settore Prestiti privato omunitar 13
84,540
1.456,857 1.414,000 871,000 871,000 111,000 111,000 32,000 32,000 400,000 442,857
42,857
40,000
293,671
94,486
204,000 204,000
42,857
425,714 485,714
425,714 412,857
298,000 340,000
298,000 340,000
127,714 72,857
127,714 72,857
72,857
108,143
86,514
75,700
75,700
10,814
10,814
21,629
274,286 80,000
274,286 80,000
192,000 40,000
192,000 40,000
82,286 40,000
40,000
81,429
81,429
57,000
29,000
24,429
12,429
12,000
233,000 5.244,692 4.644,429
364,814
28,000
17.334,061 12.818,392 7.573,700 6.035,000 1.071,700
234,000
82,286
87,429
148,020 4.515,669
Consprende anche i prestiti destinati ai sorto-assi 1.1, 1.2 e 1.3; 2 Comprende anche i prestiti destinati al turismo (asse 3); 3 Comprende anche i prestiti destinati ai sotro-asoi 6.1, 6.3 e 6.4
14
Tab. 4. Mezzogiorno - Totale Regioni Qcs Italia Obiettivo 1 1994-1999
(milioni di ecu).
SPESA PUBBLICA Asse prioritarlo di sviluppo
Costo Totale i
2.i3
ota I e Contributo dei Fon& comunitari s esa FsE FEA0G SFOP publica Totale FESR T
2
3*8
6
4+5.6.7
6.170,101 3.413,005 2.539,380 1.527,802 746,580 746,580 814,800 407,400 407,400 39,000 1.103,948 769,225 2.680,671 1.468,360 1.324,960 21,440 21,440 42,880
INFRASTRUTrURE 1 Comunicazioni 3 Turismo 4 Risorse agricole 6 Supporto attività economiche 7 Strutturedi formazione
7.381,954 1.659,112 863,030 1.468,691 3.348,234 42,880
INCEN11V1 2 Industria, artigianato e servizi alle imprese 3 Turismo 4 Risorse agricole
5.946,553 4.459,005 2.597,675 1.076,400 2.488,743 1.792,574 955,500 843,200 926,906 544,2 12 304,700 217,200 16,000 2.530,904 2.122,2 19 1.337,47 5
RISORSE UMANE 7 Valorizzazione risorse umane (Ob.1, Ob. 3, Ob. 4) 5 Pesca
1.806,001 1.759,630 1.266,400 1.771,144 1.724,773 1242,000 24,400 34,857 34,857
ASSISTENZA 8 Assistenza tecnica, pubblicità, monitoraggio
TOTALE
43,801 43,801
43,801 43,801
30,660 30,660
201,100
672,525
57,700 143,400
672,525
199,800 1.321,475 112,300 87,500 1.321,475
Contributo nazionale relativo a ogni Fondo Totale 9.10,11,12
FESR
FSE
FEAOG
SF0P
9
10
li
12
0,000 2.757,096 2.400,249 781,222 781,222 407,400 407,400 334,723 39,000 1.212,311 1.1 51,187 21,440
85,662
271,185
24,538 61,124 21,440
271,185
0,000 1.861,330 1.004,145 837,074 789,231 239,512 202,200 12,714 784,744
85,155
772,030
47,843 37,312 772,030
S ettore privato 3
0,000 1.211,853 131,310 48,230 364,750 667,563
0,000 1.487,548 696,169 382,694 408,685
0,000 1.266,400 1.242,000 24,400
0,000
0,000
493,230 482,773 10,457
0,000
493,230 482,773 10,457
0,000
0,000
46,371 46,371
0,000
0,000
0,000
13,141 13,141
13,141 13,141
0,000
0,000
0,000
0,000
30,660 30,660
15.178,309 12.432,537 7.307,740 3.646,440 1.667,300 1.994,000
0,000 5.124,797 3.417,535
664,047 1.043,215
0,000 2.745,772
Tab. 5. Docup Italia Obiettivo 2 1994-1996: Quadro riepiogativo finanziario
Reoioni b
Costo totale 1=2+10
Valle d'Aosta Piemonre* Liguria * Lombardia Friuli - VeneziaGiulia Veneto Emilia Romagna * Toscana* Marche Umbria Lazio Totalegenerale
-
i- ot i e
s esa publica 2=3+6
Contributo dei Fondi comunitari
Contributo nazionale relativo a ogni Fondo
Totale
FESR
FsE
Totale
Stato
Regione
Altre
3=4+5
4
5
6=7+8+9
7
8
9
15.40 695.896 274.720 76.120 104.760 223.740 39.463 485.126 57.040 80.053 193.420
14.960 540.486 246.760 65.280 96.010 206.715 35.220 390.063 51.389 77.144 155.395
6.000 205.000 96.000 23.000 24.000 71.000 12.000 127.000 21.000 35.00 64.000
5.840 164.000 67.470 18.840 18.430 57.580 9.600 103.000 17.900 27.500 52.160
160 41.000 28.530 4.160 5.570 13.420 2.400 24.000 3.100 7.500 11.840
8.960 335.486 150.760 42.280 72.010 135.715 23.220 263.063 30.389 42.144 91.395
6.290 255.339 124.630 26.690 50.400 113.803 18.226 203.424 24.650 31.583 56.668
2.670 50.197 21.280 6.490 21.610 9.930 4.915 29.376 5.135 10.561 22.507
2.245.778
1.879.422
684.000
542.320
141.680
1.195.422
911.703
184.671
Docur' definitivo come dadecisione Ue nota: I rimanenti dati si riferiscono al Docur' inviati alla Commissione Ue per la decisione
Settore privato 10
12.220
480 155.410 27.960 10.840 8.750 17.025 4.243 95.063 5.651 2.909 38.025
99.048
366.356
29.950 4.850 9.100 11.982 79 30.263 604
Tab. 6.
Docup Italia Obiettivo 5b 1994-1999: Quadro riepilogativo finanziario
Rectioni o
Costo totale 1=2+11
Spesa_pubblica _________ ii ota e Contributo dei Fondi comunitari s esa FESR FSE FEOGA Totale publica 4 6 2=3+7 3=4+5+8 5 -
Contributo nazionale relativo a ogni Fondo
Settore privato
Totale
Stato
Regione
Altre
7=8+9+10
8
9
10
11
Valled'Aosra Piemontet Liugria * Lombardia Friuli - VĂŠnezia Giulia Veneto Emilia Romagna Toscanat Marche Umbria lazio P.A. diTrento P.A. di Bolzano
13,917 412,897 210,121 212,241 273,383 1.033,220 312,162 722,134 423,914 339,212 592,392 67,509 157,130
11,220 196,102 78,874 91,200 175,852 372,342 126,972 325,954 166,679 160,700 373,130 49,570 105,356
4,200 82,339 35,260 40,300 43,963 145,610 57,163 132,960 75,185 74,160 145,678 21,407 43,040
1,997 34,684 17,841 18,135 17,762 56,802 20,554 56,050 30,083 32,033 51,516 7,850 17,928
0,000 12,351 4,263 4,030 5,545 21268 7,074 18,450 8,011 9,642 24,128 2,826 . 5,193
2,204 35,305 13,156 18,135 20,656 65,540 29,535 58,460 37,091 32,485 70,034 10,731 19,919
7,020 113,762 43,614 50,900 131,889 226,733 69,809 192,994 91,494 86,540 227,452 28,162 62,316
3,605 80,529 33,108 33,534 93,278 181,618 48,431 137,974 69,669 64,384 154,256 2,730 5,078
1,545 17,715 10,506 11,611 35,201 13,424 18,547 37,042 19,551 22,156 63,306 25,432 51,501
1,871 15,519 0,000 5,755 3,411 31,691 2,831 17,978 2,274 0,000 9,890 0,000 5,738
2,697 216,795 131,247 121,041 97,531 660,878 185,190 396,180 257,235 178,512 219,262 17,939 51,775
Totale generale
4.770,233
2.233,951
901,265
363,233
124,781
413,251
1.332,686
908,193
327,535
96,957
2.536,282
Tavola finanziaria aggiornata con i Docur definitivi presentati alla commissione Ue
Tab. 7. SPESA NAZIONALE PUBBLICA. Periodo 1994-1996. Azioni di competenza regionale cofinanziare da FEsR Contributo nazionale pubblico a confinanziamento del FESR Regioni
Basilicata Calabria Mouse Puglia Sardegna Totale generale
Decisione Ue
C (94) 3765 del 16.12.94 C (94) 3767 deI 16.12.94 C (94) 3767 del 20.12.94 .0 (95) 1073 del 22.05.95 C(94) 3128 del 25.11.94
Fondo di rotazione L. 183/87
Totale L. 488/92
Totale Stato
1994
1995
1996
Totale
17,798 27,992 3,246 0,000 21,376
18,424 51,322 8,406 55,238 43,940
18,898 51,152 11,474 82,696 47,100
55,120 130,466 23,126 137,934 112,416
49,036 173,936 30,828 183,892 149,872
70,412
177,330
211,320
459,062
587,564 1.046,626
104,156 304,402 53,954 321,826 262,288
Totale Regione 66,344 159,900 22,476 136,564 112,410
Totale Nazionale 170,500 464,302 76,430 458,390 374,698
497,694 1.544,320
o
o
o
o
o
o