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CHI È RICCARDO OLDANI

Giornalista e scrittore scientifico, Riccardo Oldani ha al suo attivo numerose collaborazioni con riviste di divulgazione italiane e internazionali. Ha visitato e conosciuto direttamente le realtà di molti istituti di ricerca dove nascono gli “spaghetti robot”, da cui prende nome il titolo di un suo libro di successo.

interessante, ora stanno rapidamente diventando un’opzione sicura in molti contesti e settori. Ma, al di là dei classici stereotipi dei “robot” umanizzati e tuttofare, proposti da qualche film, è bene sgombrare subito il campo da un equivoco di fondo. Le macchine robotizzate restano macchine, hanno bisogno di istruzioni, regole e percorsi definiti da un operatore. Per questa ragione (per fortuna!) la robotica non sarà mai in grado di sostituire del tutto il lavoro dell’uomo a parità di efficacia e in modo economicamente conveniente. Proprio su questo tema, infatti, oltre che sull’innovazione tecnologica, si concentrano le preoccupazioni etiche e sociali di quanti temono che il lavoro robotizzato, almeno in alcuni campi produttivi, prevalga e avvilisca quello umano. Del resto, senza principi etici, che affermino la centralità della persona anche nei processi produttivi, i rischi del “modello cinese” non appaiono così remoti, anche se estranei alla cultura occidentale, fortunatamente basata, almeno ancora in gran parte, su valori umani irrinunciabili. Attualmente è corretto parlare di complementarietà del lavoro. La robotica, infatti, non va considerata come uno scomodo concorrente dell’uomo, ma quale preziosa opportunità offerta alle industrie più avanzate per far crescere le competenze dei propri dipendenti: sia nei processi di produzione delle macchine per la pulizia, sia - soprattutto - nelle operazioni, che prevedano il loro valido impiego “a disposizione” delle imprese di pulizia impegnate, non solo a fornire un servizio di pulizia ottimale e completo, ma anche ad utilizzare i dipendenti in altre fondamentali mansioni che comportino un uso più funzionale e intelligente degli addetti. In sostanza, un giudizio ponderato ed equilibrato ci porta a poter affermare serenamente che l’impiego di macchine robotizzate non comporterà una completa sostituzione del lavoro umano, che al momento non è pensabile, ma ad una collaborazione uomo-macchina che rappresenta la scelta ottimale nell’automazione industriale. La scomparsa di alcune mansioni dovuta all’automazione sarà probabilmente compensata dalla nascita di inedite opportunità e nuovi operatori, che dovranno essere sempre più qualificati per poter svolgere un lavoro efficace, sempre più specialistico e avanzato. Del resto, già in molti settori di nicchia del professional cleaning, l’impiego di attrezzature e macchine robotizzate costituisce da tempo una consolidata realtà. Pensiamo, ad esempio, alla manutenzione e sanificazione delle condotte aerauliche, solo per fare un esempio. Nel mondo del cleaning l’automatizzazione, oltre a essere perseguita da alcune industrie produttrici di macchine per la pulizia, punte di diamante del Made in Italy, è già a buon punto in varie specie nella Grande Distribuzione Organizzata, dove ci sono ambienti di lavoro perfetti per le macchine di pulizia autonome: distribuzione ottimale degli spazi, lunghe corsie, ampi cor- ridoi e l’organizzazione ordinata dei percorsi. Analoga considerazione vale anche nell’industria e nei magazzini adibiti alla logistica e allo stoccaggio, ma anche nelle aree aperte al pubblico come aeroporti, grandi stazioni, centri commerciali, industrie, palazzetti sportivi, ipermercati e supermercati. L’utilizzo delle macchine per la pulizia robotizzate è reso possibile e sicuro anche in presenza del pubblico, grazie ai sistemi di sicurezza di cui sono equipaggiate: pensiamo, soprattutto, a quelli che lavorano in contemporanea e sono in grado di farle muovere in totale autonomia. I bumpers posizionati ai lati delle macchine, entrando in contatto con un ostacolo imprevisto, oppure rilevando la presenza di una persona che cammina, arrestano istantaneamente la macchina. Di fatto, ormai, non si contano i modelli di robot collaborativi (cobot) progettati e realizzati in Italia da noti marchi del settore, guardando al futuro, destinati specificamente a pulire medie e grandi superfici, affiancando il prezioso lavoro degli operatori di pulizia.

Abbiamo incontrato Riccardo Oldani, giornalista scientifico, che segue da anni la robotica italiana con attenzione e passione, per rivolgergli alcune domande al riguardo. Oldani, tra l’altro, è autore del libro “Spaghetti Western”, nel quale ha disegnato un quadro completo del settore, frutto di un lavoro serrato e decine di interviste. Il made in Italy della robotica, ha dichiarato più volte, è tra i pochi ambiti della ricerca in grado di trattenere ancora entro i nostri confini cervelli ed esperti di livello internazionale.

Come siamo messi, nel nostro Paese, nel campo della ricerca applicata alla robotica, soprattutto in relazione alle esigenze produttive delle aziende?

“In Italia abbiamo un'idea del livello della nostra ricerca che non corrisponde adeguatamente alla realtà, almeno in alcuni settori, compresa la robotica.

Il rischio è che i frutti della ricerca ita liana vengano esportati e valorizzati all’estero. Il nostro Paese può contare su realtà di assoluta eccellenza, come la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, oppure l'Istituto Italiano di tecnologia di Genova; in questo caso, sono i ricer catori stranieri che ambiscono ad un posto di ricerca in tali strutture, non il contrario. A livello internazionale i nostri ricercatori robotici sono molto conosciuti e apprezzati, anche in Pae si come gli Stati Uniti, la Germania o il Giappone, che da sempre riteniamo l'eccellenza in questo settore tecno logico. La mia esperienza personale è che nei centri di ricerca italiani impe gnati in questo ambito, dove ancora si respira un’atmosfera di vivace interna zionalità, non venga meno l’entusia smo. I ricercatori sono molto spesso ragazzi giovani, creativi, provenienti da molti Paesi del mondo, appassionati talmente al loro lavoro da non cono scere orari”.

Come è organizzata la ricerca nel campo della robotica in Italia?

“Questa tipologia di ricerca è suddivisa in numerosi e importanti poli di ricerca presenti un po’ in tutta Italia: Torino, Milano, Verona, Genova, Pisa, Napoli, Catania, Palermo, Roma. Abbiamo eccellenze internazionali come la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’IIT di Genova, ma anche istituti del CNR e dell’Enea che se ne occupano, un po’ in tutti i settori, dalla robotica umanoide a quella chirurgica, dai robot sociali a quelli per l’assistenza alle persone anziane, dai robot per giocare a quelli per l’industria alle protesi robotiche. Gli obiettivi sono sostanzialmente due: da un lato fare ricerca su fronti innovativi e di frontiera, come l’intelligenza artificiale, il machine learning, dall’altra trovare idee per trasformare le conoscenze della ricerca in prodotti da realizzare e proporre sul mercato. Intorno ai centri di ricerca che ho citato nascono molte spin off e startup che hanno come obiettivo l’i- deazione di prodotti o di componenti per la robotica. Stiamo vivendo un momento chiave, quello in cui emerge chi ha le idee migliori ma anche la maggiore capacità di trasformarle in impresa. In questo, forse, paghiamo dazio ad altre realtà, non per il valore dei nostri ricercatori, ma per il distacco che molte parti della società civile, a partire dalla politica, hanno con la ricerca in Italia. Cominciamo ad assistere all’arrivo di grandi gruppi internazionali che investono qui da noi, acquisiscono startup italiane e le introducono in sistemi di business che porteranno i risultati fuori dall’Italia. Questo è sicuramente molto peggio rispetto alla fuoriuscita di molti studiosi italiani che vanno all’estero, seguendo un processo di mobilità delle idee e della formazione che è normale in tutto il mondo e che solo noi vediamo come qualcosa di negativo. Il fatto che uno studioso italiano vada in un’università americana a completare la sua formazione o a insegnare è un normale arricchimento culturale. Peggio è vedere che le idee nate in Italia non vengono capite e apprezzate qui, ma da menti imprenditoriali e capitali esteri”.

Come vede il futuro della robotica, ci sarà sempre spazio per il fattore umano?

“Le macchine, non dimentichiamolo mai, sono nate per contribuire a ridurre la fatica dell’uomo, facendo di conseguenza sparire alcuni lavori e creandone altri. In molti, oggi, evidenziano il rischio che robot intelligenti

INTELLIGENZA ARTIFICIALE, QUANTO NE SAPPIAMO?

L’Intelligenza Artificiale è qualcosa di cui si parla molto, ma che sembra non fare ancora parte delle nostre vite. Come riporta Adnkronos, infatti, secondo la ricerca dell'International Corporate Communication Hub con Università Iulm l’81,9% dei cittadini ha sentito parlare dell'IA da almeno un canale media nell’ultimo anno, in prevalenza dalla tv, un dato che conferma la crescente attenzione dei media e dei cittadini nei confronti di questo argomento. Attenzione però: solo il 19,3% dei cittadini ammette di riconoscere come "pervasiva e estesa" la presenza nella sua vita di questa tecnologia informatica che rivoluziona il modo con cui l'uomo interagisce con la macchina, mentre il 40,6% ne percepisce un utilizzo minimo o nullo e il 40,2% un utilizzo medio. La ricerca rileva anche delle differenze di genere: gli uomini riportano un’esposizione maggiore a notizie riguardanti l’Intelligenza Artificiale, con un valore di esposizione dell’85,2%, il 6% in più circa rispetto a quello delle donne che si attesta al 79,1%. I ricercatori sottolineano come l’esposizione sia comunque molto alta in entrambi possono soppiantare le persone in un gran numero di occupazioni. In pochi, invece, si sforzano di immaginare come realmente cambierà lo scenario del lavoro e quali nuovi tipi di professionalità si renderanno necessari in un mondo con una maggiore densità di macchine intelligenti. Ancora oggi i robot sono macchine molto specializzate, che sanno fare un numero limitato di cose e che hanno bisogno di una costante assistenza e manutenzione da parte dell'uomo. In un immediato futuro vedo quindi i generi. Per quanto riguarda l’età delle persone che entrano in contatto con il tema dell'Intelligenza Artificiale, i ricercatori sottolineano che giovani e adulti risultano maggiormente esposti, attestandosi su valori rispettivamente di 85,2% e 86,5%, più elevati degli over 55 che si collocano ben 10 punti percentuali sotto, intorno al 75%. E mentre non si riscontrano differenze significative per aree di provenienza, si riscontrano invece differenze in base al grado di istruzione: più questo è elevato, maggiore è l’esposizione a informazioni sull’Intelligenza Artificiale, arrivando ad un massimo del 91% per i laureati, ed un minimo del 66% per i rispondenti con il diploma di licenza media o elementare. Nell'ultimo decennio, l'IA si è diffusa notevolmente, mostrando un elevato potenziale in diversi ambiti, dal marketing e pubblicità, al sistema giudiziario, dal sistema sanitario a quello delle campagne politiche. Tuttavia man mano che l'IA diventa più diffusa e centrale nella società, emergono sempre di più aspetti controversi rispetto all’eticità e la pervasività del loro utilizzo nella società. una forte diminuzione nella richiesta di lavoro pesante e manuale, a fronte di una sempre maggiore necessità di personale formato dal punto di vista tecnico, che sappia sovrintendere al funzionamento delle macchine, sviluppare software, risolvere problemi operativi. Anche l'operaio, insomma, sarà sempre meno un lavoratore che opera manualmente e sempre di più un collaboratore che utilizza la propria intelligenza per far funzionare le macchine, assumendo un ruolo di supervisione più che di produzione”.

Le aziende italiane hanno accolto la sfida dell’innovazione robotica investendo in mezzi e risorse adeguate?

“Sì, senz’altro. L'industria dell'automobile è quella che ha investito di più in automazione. Ma la robotica si vede sempre di più, anche in aziende medio piccole del manifatturiero italiano, in grado di lavorare fianco a fianco con gli operai, e in settori tradizionali come quello del mobile, dell'abbigliamento, dell'alimentare. Noi poi siamo eccellenti nel settore meccatronico e nella produzione di macchine per l'industria. Le migliaia di aziende italiane di questi ambiti sono tra le più automatizzate del mondo e già da tempo investono nell'acquisto di robot e di sistemi di automazione. Ciò mi pare stia accadendo anche nel comparto del professional cleaning: potrei citare importanti e conosciuti marchi nazionali che stanno lavorando da anni su questo filone, con ottimi risultati”.

Sempre a proposito del settore del professional cleaning, vede effettive possibilità di sviluppo nelle applicazioni?

“Certamente. Non bisogna dimenticare che quello della pulizia è il settore in cui sono comparsi i primi robot commerciali. Il famoso Roomba di iRobot è stato il primo a entrare in quantità massicce nelle case e ad adottare un sistema di navigazione complesso per potersi muovere in maniera autonoma in ambienti confinati. Se vogliamo, in un certo senso i robot per la pulizia sono stati gli antesignani di generazioni successive di macchine capaci di fare anche cose molto diverse, come le auto autonome per esempio. Dal mio punto di vista, quindi, quello del cleaning resterà sempre un ambito di frontiera per la robotica, il primo dove vedremo applicate nuove tecnologie e nuovi concetti. Ci sono molte interessanti aziende che operano nel settore, anche in Italia. Penso a imprese che sviluppano robot per la pulizia delle piscine, oppure robot giardinieri che tagliano i prati. Sono convinto che, grazie a queste macchine, anche il professional cleaning subirà una trasformazione in attività di servizio piuttosto che prestazione d'opera manuale. Gli operatori del settore metteranno a disposizione delle aziende i propri robot per le pulizie e venderanno i loro servizi al metro quadro, perché le macchine saranno in grado di certificare con esattezza le superfici pulite. Gli addetti svolgeranno più che altro un ruolo di rifinitura, sovrintenderanno al funzionamento dei robot, si occuperanno di spostarli dove servono e di metterli in condizione di lavorare fornendo i consumabili. Sarà un lavoro meno pesante e più di controllo che richiederà la capacità di imparare il funzionamento delle macchine e la risoluzione di eventuali problemi. Anche questo tipo di professione richiederà un certo grado di conoscenza e di preparazione”.

Ritiene che le aziende italiane costruttrici di macchine indirizzate professional cleaning, abbiano fondate ragioni per affrontare questa impegnativa sfida?

“Ne sono più che convinto, anche se so perfettamente che si tratta di un percorso difficile e impegnativo. Di certo Paesi come gli Stati Uniti e il Giappone, dove le aree di centri commerciali e luoghi pubblici sono immense, e assai più ampie che in Italia, si prestano molto di più alla pulizia con strumenti robotici, che comunque hanno bisogno di grandi spazi con pochi ostacoli per dare il meglio. Questi spazi, a dire il vero, non mancano neanche in Italia, basti pensare ai grandi magazzini, alle fabbriche, alla GDO, e presto avremo macchine autonome capaci di muoversi al loro interno pulendo, magari anche sorve- gliando, quello che succede. Ci sono concreti e vantaggiosi margini di manovra nel settore per sviluppatori di robot o di macchine, che possono farci capire e ideare nuovi utilizzi, nuove applicazioni. Penso ad esempio alla pulizia dei vetri o dei pannelli fotovoltaici, operazione a mio giudizio facilmente automatizzabile ma per la quale mancano ancora soluzioni convincenti. Pure sui modelli di business occorrerà fare una riflessione e un ragionamento, perché è fuori di dubbio che una maggiore automazione anche nel professional cleaning comporterà una profonda revisione di mansioni, funzioni e servizi. Pensare che l’automazione sia una cosa lontana, che interesserà poco il settore del cleaning e l’Italia, può rivelarsi un errore. Magari la transizione ai robot non sarà così rapida come qualcuno la prospetta, ma cominciare a pensarci è importantissimo per non trovarsi impreparati quando si verificherà”.

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