BIRRA NOSTRA
NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO
ABBINAMENTI
IL BERE LENTO
di Roberto Muzi
MATERIE PRIME
UNA “MALTITUDINE” DI MOLECOLE
di Luca Pretti
TERRITORIO
BIRRE ALLE CASTAGNE, NOSTRO
PATRIMONIO CULTURALE
di Lorenzo “Kuaska”
Dabove
FOCUS
I ragazzi di QuAM Orzo, che faccio? Malto?
di Elia Biasini e Alessio Busi
N.3| GIUGNO 2024 MAGAZINE
I mi g l io ri calici e tumb l ers b i rr a
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LA PRE-BIRRA che ci fa riflettere
MIRKA
Professionista della scrittura e della comunicazione, collaboro da dieci anni al progetto Birra Nostra
La chiamano “protobirra” ed è una sorta di bevanda fermentata ritrovata in una zona dal nome evocativo di Golasecca. Se la scoperta è di per sé importante per chi si occupa di archeologia lo diventa ancora di più per chi, come noi, si occupa di birra artigianale. Spesso tacciati di essere eccentrici alchimisti, troviamo nei nostri avi della prima Età del Ferro che si erano insediati a ridosso delle vie d’acqua, una risposta storica alla nostra costante e continua ricerca di materie prime e di perfezionamento, ed è come se la genetica ci venisse incontro e ci dicesse che siamo così perché altri prima di noi lo sono stati, che è un qualcosa di ereditario e non stranezza da homebrewer!
Pensare che secoli prima di Cristo gli uomini abbiano lasciato in eredità ai posteri la loro civiltà e il loro essere dotati di curiositas, quel desiderio cioè di conoscere e di ricercare uno stimolo intellettuale che ci migliori e ci permetta di confrontarci con gli altri, porta inevitabilmente a riflettere sul destino dell’uomo contemporaneo e alla forse perduta capacità di guardare avanti, a chi verrà dopo di noi. Questo numero è una sorta di Giano Bifronte: guarda al passato e al futuro ma, al contrario della divinità,
non dimentica il presente. Ecco allora che oltre al già citato articolo di Davide Bertinotti troviamo anche quello di Angelo Ruggiero che tenta di riportare in vita stili birrari ormai dimenticati, o la musica dei Grateful Dead che Antonio Boschi consiglia di ascoltare degustando un’ottima birra che omaggia il loro passato psichedelico. Guarda invece al presente lo studio sul malto come materia prima indispensabile per ottenere buone birre e spetta al gruppo di studenti dell’Università degli Studi di Parma e a Luca Pretti fare il punto sulla questione, o ancora l’invito di Roberto Muzi ad un bere lento che ci rimetta in contatto con la capacità dell’uomo di godere e vivere il presente magari durante un tour birrario lungo la via Aurelia! Infine l’orizzonte futuro, che non dimentica però le nostre origini, viene tratteggiato negli articoli di Lorenzo “Kuaska” Dabove sulle birre alle castagne, la storia della prima Italian Grape Ale di Barley raccontata da Andrea Camaschella e l’analisi sulle nuove frontiere del marketing e del crowdfunding di Baladin analizzate da Matteo Malacaria. Come sempre non vi annoierete a stare con noi.
Buona lettura e buona bevuta!
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 1 giugno 2024
TOLINI
EDITORIALE
IN QUESTO NUMERO...
Mirka
di Davide Bertinotti
I RAGAZZI DI QUAM
2 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 SEGUICI SU facebook.com/BirraNostraMagazine
EDITORIALE La pre-birra che ci fa riflettere 1 di
La birra della
4
AMBIENTE Sostenibilità del settore birrario Novità dalla ricerca 10 di
Matraxia ABBINAMENTI Il bere Lento 16 di Roberto Muzi
Tolini ARCHEOLOGIA
civiltà di Golasecca
Michele
Orzo, che faccio? Malto? 22 di Elia Biasini e Alessio Busi MATERIE PRIME Una “maltitudine” di molecole 24 di Luca Pretti STILI BIRRARI Riscoprire stili dimenticati 30 di Angelo Ruggiero 4 24 16 10 NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO MAGAZINE BIRRA NOSTRA
BIRRE E BIRRIFICI
e iconiche
la capostipite delle Italian Grape Ale
di Andrea Camaschella
si fa la rivoluzione?
del crowdfunding di Baladin
di Matteo Malacaria
BIRRARIO
Da Genova a Camogli lungo la via Aurelia
di Mirka Tolini
TERRITORIO
alle castagne, nostro patrimonio culturale
di Lorenzo “Kuaska” Dabove
di Antonio Boschi
coi Grateful Dead
a cura della redazione
Birra Nostra Magazine - Bimestrale Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Verona in data 22 novembre 2013 al n. 2001 del Registro della Stampa
Direttore Responsabile Mirka Tolini
Comitato di Redazione Davide Bertinotti, Luca Grandi redazione@birranostra.it Hanno contribuito a questo numero Davide Bertinotti, Elia Biasini, Antonio Boschi, Alessio Busi, Andrea Camaschella, Lorenzo “Kuaska” Dabove, Rachele Lori, Matteo Malacaria, Roberto Muzi, Luca Pretti, Angelo Ruggiero, Michele Matraxia, Mirka Tolini
Quine Srl Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 12191 Direttore Commerciale Costantino Cialfi c.cialfi@lswr.it - tel. +39 3466705086 Coordinamento editoriale Chiara Scelsi c.scelsi@lswr.it
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Per la fotografia in copertina, scattata all’interno della riproduzione della capanna villanoviana nel modenese, ha posato Luca Bedini, archeologo e archeo ricostruttore. Il bicchiere di Pombia nello scatto è una ricostruzione filologica ad opera dello stesso Bedini.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 3 giugno 2024
Artigianali
BB10,
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MARKETING
Analisi
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TURISMO
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Qui
Birre
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BIRRA E MUSICA Farsi una
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NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO 62
birra
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LA BIRRA DELLA CIVILTÀ di Golasecca
No, il titolo sopra citato non è una battuta: Golasecca è realmente una località lombarda di 2600 abitanti lungo le coste del fiume Ticino, in provincia di Varese, a poca distanza dal lago Maggiore. Un borgo come tanti in Italia che tuttavia è diventato noto, soprattutto agli storici e agli archeologi, grazie ad antichi ritrovamenti scoperti a partire dal 1822 dall’abate Giovanni Battista Giani. Giani inizialmente ipotizzò che le tombe rinvenute a Golasecca (e successivamente in tutta l’area circo-
stante) fossero di epoca romana, ma nel 1865 Louis Laurent Gabriel de Mortillet, uno dei padri fondatori dell’archeologia europea, identificò le stesse tombe come appartenenti a una cultura preromana, della prima età del ferro. Successive ricerche in altre zone dell’Italia settentrionale evidenziarono similarità nei reperti e nelle tombe, portando gli studiosi a identificare una civiltà comune presente dal IX al IV secolo avanti Cristo in un ampio territorio, compreso tra i fiumi Po (a sud), Serio (a est) e Sesia
(a ovest) e delimitato a nord dai valichi alpini: alla civiltà fu dato il nome del luogo in cui avvennero i primi ritrovamenti, Golasecca. In particolare, sono stati identificati due epicentri della cultura golasecchiana, in prossimità delle “vie d’acqua” principali: la zona di Sesto Calende-Golasecca-Castelletto Ticino e quella nei dintorni di Como.
La possibilità di un facile accesso ai valichi alpini del San Gottardo, San Bernardino e Spluga, attraverso il corso dei fiumi e laghi, resero questa regione un
ARCHEOLOGIA
di Davide Bertinotti
implicato nei moti francesi del 1848, per sfuggire al carcere ripiegò in Italia dove trascorse i successivi quindici anni impegnato in studi etnografici (Foto: https://wellcomecollection.org/works/ w7k35t6d)
naturale collegamento tra Italia e il Mediterraneo con l’Europa centro-occidentale. Fiorenti commerci, in particolare di sale, ma anche olio e vino, oggetti di bronzo e ceramica, incenso e corallo provenienti dal sud scambiati con stagno dalla Cornovaglia e Galizia e ambra del Baltico svilupparono in particolare il comprensorio attorno a Golasecca che arrivò a contare non meno di tremila abitanti.
Dal punto di vista archeologico, le scoperte relative alla cultura di Golasecca sono considerate molto importanti per la conoscenza della storia antecedente l’influenza romana; in particolare a Castelletto Ticino, sulla sponda piemontese del fiume, in provincia di Novara, è stata ritrovata la più antica iscrizione in lingua celtica, databile attorno al VII
secolo a.C. Le informazioni che abbiamo su questa civiltà derivano principalmente dai ritrovamenti di tombe, seppur negli ultimi anni si siano ritrovate anche aree di abitato. Le aree funerarie erano separate da quelle abitative e generalmente collocate lungo vie di comunicazione, in prossimità di torbiere e aree paludose non destinate a usi agricoli.
Le sepolture più importanti erano collocate in posizioni più elevate e alcune erano circondate da allineamenti di pietra, simili alle strutture megalitiche. Normalmente la sepoltura avveniva con una cremazione, con il corpo adagiato
su una pira, in un luogo diverso da quello di sepoltura e successivamente ossa, i resti degli ornamenti personali e le ceneri erano raccolte in urne che venivano deposte in semplici pozzetti nella nuda terra o, più frequentemente, protetti da ciottoli o lastrine di pietra, oppure collocate assieme al corredo funerario in vere e proprie urne costruite con lastre di pietra. Il corredo, che variava in base allo status sociale, poteva comprendere un’ampia gamma di oggetti in bronzo come fibule, spille, bracciali, anelli, collane oppure in ferro quali armi e utensili, nonché oggetti in ceramica.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 5 giugno 2024 ARCHEOLOGIA
Louis Laurent Gabriel de Mortillet, archeologo, antropologo e politico francese;
Elmo di guerriero ritrovato in una tomba golasecchiana
Argomento molto interessante, mi direte, ma cosa c’entra la birra in tutto ciò?
Coincidenze fortunate
La birra appare casualmente nel 1995, quando nello scavo per una nuova area residenziale a Pombia (NO), pochi chilometri a sud di Castelletto Ticino, furono scoperte numerose tombe golasecchiane e, in particolare, quella denominata T11, databile attorno al 560 a.C., manteneva uno straordinario stato di conservazione: una urna cineraria conteneva, accuratamente appoggiato sulle ceneri del defunto, un vasetto di circa 20 cl contenente materiale organico. L’urna era stata chiusa appoggiando una ciotola posta a coperchio e la sua perfetta aderenza, unita al fatto che la sepoltura era stata effettuata con ceneri ancora calde, aveva permesso di ridurre di pa-
recchio l’umidità determinando, grazie alla proprietà igroscopica delle ceneri, un microambiente molto secco che ha consentito la perfetta conservazione del materiale organico.
Il residuo rossiccio del vasetto, di circa 1 grammo, era stato inizialmente ritenuto vino, ma successive analisi compiute nel 1999 hanno confermato che il bicchiere, offerto al defunto per accompagnarlo nell’aldilà, era invece una bevanda zuccherina fermentata e aromatizzata con erbe. In particolare, l’analisi dei pollini contenuti nel vasetto ha evidenziato la presenza di cereali, soprattutto orzo, lieviti (saccharomyces) ed erbe, in particolare luppolo.
Il ruolo della birra nell’alimentazione, nell’economia di scambio e nel rituale del banchetto nella protostoria europea è stato spesso sottovalutato, soprattut-
to a causa della scarsa disponibilità di riscontri archeologici ma la scoperta di Pombia ha confermato ormai definitivamente l’importanza della birra tra Piemonte, Lombardia e Liguria almeno fino alla diffusione dell’uva coltivata tra la media età del Ferro (VI-V sec. a. C.) e l’età romana.
Sorvolando su quest’ultimo aspetto “sociologico” della scoperta e concentrandoci sulle analisi polliniche, possiamo affermare che quella bevanda era sicuramente birra e probabilmente gli ingredienti non erano molto diversi da quelli moderni: l’orzo costituiva la maggior parte del materiale fermentabile, con farro, avena, segale e altri cereali selvatici a completare il quadro. Storicamente, la bagnatura dell’orzo e degli altri cereali, volta a favorire la loro germinazione e quindi le modificazioni chimico-fisiche per renderli adatti alla birrificazione (nel linguaggio moderno: maltazione) era seguita dalla fase di essiccazione per interrompere la crescita dei germogli. L’essiccazione poteva essere svolta grazie al calore del sole oppure, in sua assenza, tramite vicinanza al fuoco che prevedeva anche, indirettamente, un’affumicatura del cereale. Il colore rossiccio della bevanda di Pombia suggerisce la seconda opzione, identificandola come quella che gli studiosi chiamano cerevisia o cervogia celtica. Le analisi evidenziano poi che erano utilizzate, per aromatizzare la bevanda, infiorescenze di vario tipo ma una, in particolare, sorprende: l’Humulus lupulus, ossia il luppolo. Sorprende perché l’utilizzo del luppolo in birrificazione non è riscontrato sino al decimo/undicesimo secolo. La birra di Pombia lo avrebbe utilizzato 1600 anni prima degli scritti di Hildegarde von Bingen che sancì le sue proprietà conservanti nella produzione birraria.
La birra di Pombia, 2600 anni dopo
Che gusto poteva avere quella birra? Molto probabilmente qualcosa di diver-
6 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 ARCHEOLOGIA
Replica del vasetto contenente i residui della birra di Pombia
so dai prodotti odierni perché non conteneva solo orzo, come per la maggior parte delle produzioni a cui siamo abituati, e anche perché l’aromatizzazione era affidata, oltre al luppolo, anche ad altre infiorescenze.
La maltazione dei cereali era probabilmente svolta con una fase di essiccazione realizzata attraverso l’utilizzo di braci di legna che apportavano, come per le attuali rauchbier franconi, un gusto affumicato più o meno marcato al prodotto finale. La fase fermentativa è stata per lungo tempo un’incognita: sino agli studi di Pasteur nella seconda metà del diciannovesimo secolo, era avvolta nel mistero e interpretata come un avvenimento “magico”; non di rado quindi la “birra” poteva diventare preda di lieviti di differente caratterizzazione e avere un gusto acido. Allo scopo di diminuire questo “rischio”, il birraio ante litteram sovente inseriva nel mosto da fermentare del miele, raro e prezioso e dedicato quindi a produzioni di particolare pregio, o della frutta: entrambi gli ingredienti, infatti, contengono naturalmente lievito adatto alla fermentazione (per la frutta tale presenza è spesso riscontrabile sulla buccia). Questa birra aveva anche altre caratteristiche, lontane da quelle di oggi: non era servita fredda, se non a temperatura di qualche anfratto del terreno, e non aveva una gasatura tipica di un prodotto saturo di anidride carbonica mantenuto in un recipiente chiuso ermeticamente: un lambic belga piatto odierno è forse il gusto maggiormente approssimato. Replicare la birra di Pombia del VI secolo è abbastanza complicato e forse anche auspicabile non riportare troppo fedelmente le caratteristiche organolettiche del tempo: una birra acidula, affumicata, torbida, a temperatura ambiente e completamente “piatta” per assenza di saturazione non sarebbe forse totalmente gradita ai consumatori dei nostri tempi. Si può quindi ipotizzare di cogliere ispirazione da alcuni aspetti storici, rimanendo tuttavia “filologicamente” non troppo vicini alla bevanda originale.
Per la ricetta si possono utilizzare differenti cereali: oltre all’orzo, il frumento, il farro, l’avena e la segale. Una serie di malti tostati e torrefatti, utilizzati in minima quantità, può consentire di otte-
nere una birra dal colore rossiccio, probabilmente vicino a quello originale e minime percentuali di malti affumicati o anche torbati donerebbero l’affumicatura che si suppone ci fosse in quel
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 7 giugno 2024 ARCHEOLOGIA
Le risultanze delle analisi polliniche del vasetto T11
tipo di birra. Il luppolo dovrebbe essere impiegato in moderata quantità, per equilibrare il prodotto senza caratterizzarlo troppo. Quasi sicuramente la birra originaria era “no-boil” come per alcuni stili arcaici (berliner weisse o sahti finlandese, ad esempio): la bollitura con il luppolo può essere realizzata solamente con la disponibilità di un contenitore in metallo di grandi dimensioni e dubito che gli abitanti di Pombia del VI secolo avessero una pentola siffatta, sia per le difficoltà tecniche della sua realizzazione, sia per il costo probabilmente proibi-
tivo per le materie prime. Per una replica odierna, tuttavia, sconsiglierei di saltare la fase di bollitura, anche solo per non limitare eccessivamente la conservabilità del prodotto.
Una dose di miele potrebbe essere usata allo scopo di aumentare la gradazione alcolica finale, rendere la birra con un corpo più lieve e controbilanciare il dolce dato dal malto d’orzo. La scelta del lievito sarebbe totalmente arbitraria, non avendo nessuna informazione sui ceppi preistorici, ma probabilmente una opzione prudenziale sarebbe quella
di una varietà tendenzialmente neutra (Fermentis S04 o US05) per evidenziare le caratteristiche organolettiche del materiale fermentabile. I più ardimentosi potrebbero virare verso ceppi più “antichi” come un belga (POF+, quindi produttore di aromi fenolici) oppure un kweik norvegese.
L’acqua utilizzata, elemento comunque importante nella produzione della birra, aveva molto probabilmente una bassa mineralizzazione (6/7 gradi francesi) simile all’originale, verosimilmente proprio quella del fiume Ticino. ★
Per cimentarsi con la produzione della birra di Pombia...
Ricetta per 10 litri
Malto Pale 1.8 kg
Malto Frumento 0.4 kg
Farro 0.2 kg
Fiocchi di avena 0.1 kg
Malto di segale 0.1 kg
Malto rauch 0.2 kg
Malto peated 0.05 kg
Malto melanoidinico 0.08 kg
Roasted barley 0.08 kg
Miele millefiori 0.3 kg
Rapporto acqua/malto 3,5:1
5,3/5,35
- Bollitura
minuti
AA
min
Lievito: Fermentis S04
Temperatura fermentazione: 20 °C.
Il miele può essere inserito a fine bollitura oppure direttamente nel fermentatore a fermentazione iniziata.
18 °P (1.074)
FG: 4,5 °P (1.018)
Grado alcolico: 7,2
Temperatura di servizio consigliata: 8 °C
8 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 ARCHEOLOGIA
Mash in 52 °C 10
Amilasi 67 °C 50 min Mash out 78 °C Sparge Luppoli
90
EK Goldings 20
5
60
pH:
g
min
IBU: 25 Colore: 42 EBC OG:
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La sostenibilità del settore birrario NOVITÀ DALLA RICERCA
Nello scorso numero di BNM l’articolo di Eleni Pisano ha messo in luce una serie di considerazioni per migliorare la sostenibilità del settore brassicolo. Attualmente esiste una forte spinta sociale e politica che mira a ridurre l’inquinamento generato dalle attività produttive. Quasi tutte le nazioni sviluppate e in via di sviluppo stanno cercando di adeguarsi a questa tenden-
za, modificando i processi industriali in modo da renderli più sostenibili. Di conseguenza, la maggior parte delle grandi aziende non considera più gli scarti come rifiuti, ma piuttosto come risorse grezze da valorizzare in altri impieghi. Secondo Assobirra, negli ultimi 25 anni il settore della birra italiano ha dimostrato particolare attenzione alle tematiche ambientali, riducendo di circa
due terzi la quantità di acqua utilizzata in fase di produzione, di oltre un quarto il consumo di energia per ettolitro di prodotto e di circa un quinto la quantità di vetro utilizzato. Nonostante il settore birrario artigianale realizzi volumi infinitesimamente inferiori rispetto a quelli industriali, esso non può esimersi dall’affrontare questa problematica. Tutt’altro: l’approccio artigianale può
10 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 AMBIENTE
di Michele Matraxia
portare i piccoli birrifici ad essere un esempio di virtuosità da seguire per l’intero settore del beverage.
Con una produzione globale di 1,86 miliardi di ettolitri nel 2021, la birra è la bevanda alcolica più consumata al mondo. Ciò comporta la cogenerazione di una quantità non indifferente di sottoprodotti. Questo ha portato a ricerche e studi sul ruolo degli scarti della produzione di birra con l’obiettivo di scoprire misure proattive in grado di migliorarne la valorizzazione. In questo articolo saranno messe in rassegna le principali novità che la ricerca scientifica sta studiando negli ultimi anni per rendere realizzabili diverse idee e tecniche nella filiera brassicola, migliorando quindi l’impatto ambientale del nostro settore.
Malti esausti
Anche noti come trebbie o grani spenti (dall’inglese spent grain), i malti esausti rappresentano il principale sottoprodotto (85%) della filiera brassicola. Ottenuti dopo la fase di ammostamento e di separazione del mosto zuccherino, i malti esausti rappresentano la frazione insolubile che rimane della cariosside di orzo dopo l’impiego in birrificazione. Hanno un’umidità di circa l’80% e, oltre a piccole quantità di composti solubili, contengono principalmente cellulosa,
emicellulosa, lignina, proteine, lipidi, vitamine e sali minerali. La composizione chimica delle trebbie è rappresentata in Figura 1.
Visto l’elevato contenuto in acqua, la conservabilità (o shelf-life) è di circa una settimana a causa di potenziali infezioni microbiche. I grani umidi sono suscettibili all’attacco di muffe e si deteriorano entro breve tempo dalla produzione. È necessaria pertanto una tecnica che permetta di ridurre il tasso di umidità, preferibilmente fino al 10%.
Tra le tecniche più efficaci per conservare le trebbie troviamo:
❱ Pressatura ed essiccamento;
❱ Sterilizzazione in autoclave a 121 °C per 1 ora;
❱ Congelamento e crio-concentrazione;
❱ Essiccamento sotto vuoto
Date le loro proprietà nutritive, il principale uso che attualmente si fa delle trebbie è l’alimentazione del bestiame (70%), seguita dalla produzione di bio-
gas (20%) oppure smaltimento in discarica (10%).
Tra i nuovi settori in cui l’impiego di malti esausti può trovare spazio vi è quello alimentare umano. Le componenti fibrose e proteiche presenti nelle trebbie risultano fondamentali per la dieta umana e possono incrementare il valore nutritivo degli alimenti. I grani di scarto possono migliorare le capacità gelificanti ed emulsionanti, oltre che le proprietà organolettiche dei prodotti alimentari. L’elevato contenuto di fibra alimentare dei cibi addizionati (o “fortificati” in gergo tecnico) con i malti esausti, facilita l’organismo nel prevenire malattie croniche come tumori, disturbi gastrointestinali, diabete, disturbi cardiovascolari e preservando l’apparato digerente. I principali responsabili di queste funzioni sono i β-glucani (Figura 2), composti in grado di legarsi anche al colesterolo ed espellerlo dal corpo o di attivare il sistema immunitario nell’aggressione di cellule cancerose.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 11 giugno 2024 AMBIENTE
Fig. 1 - Composizione chimica delle trebbie (su sostanza secca)
Fig. 2 - Le strutture chimiche di diversi beta-glucani in base alla loro origine
I grani spenti possono anche fungere da valida alternativa agli antiossidanti di sintesi che spesso vengono addizionati durante i processi di trasformazione alimentare. Dalla macinazione delle trebbie può essere prodotto uno sfarinato con caratteristiche analoghe a quelle della crusca dei cereali. Questa farina è molto apprezzata nell’industria alimentare per la produzione di pasta, pane, biscotti, prodotti per la colazione e altre derrate cerealicole. Diversi prodotti da forno, dopo essere stati arricchiti con la farina di trebbie, hanno fatto registrare un miglioramento della dolcezza, della capacità di trattenere l’acqua e della consistenza. Alcuni ricercatori coreani hanno addirittura impiegato i malti esausti come ingrediente nella produzione di salsicce affumicate e a basso contenuto di grassi a base di pollame. Immaginate il connubio fra
una buona birra e salsicce prodotte da scarti di birra! Nonostante i vantaggi dell’utilizzo delle trebbie, il loro uso in ambito alimentare è ancora limitato, soprattutto a causa dei problemi di conservazione. Visto l’elevato contenuto in composti organici, le trebbie possono trovare impiego anche nella produzione di compost (Figura 3); grazie alle sue caratteristiche, il prodotto ottenuto migliorerebbe la fertilità fisica, chimica e biologica del suolo, garantendo anche un ritorno positivo nel bilancio della sostanza organica dei terreni agrari. L’elevato tenore in materiali fibrosi ha reso possibile, infine, l’impiego delle trebbie in materiali da costruzione (mattoni) e imballaggi: alla University of California di Santa Barbara un team ha progettato e realizzato un imballaggio sostenibile six-pack per birre, ottenuto proprio da grani esausti.
Lieviti esausti
I lieviti esausti sono ricchi in proteine, nucleotidi, minerali, β-glucani e vitamine B, C e D. Solitamente usati nel campo dell’alimentazione animale, trovano impiego anche come integratori alimentari o come agenti aromatizzanti. È anche riconosciuta la loro capacità di bio-assorbire i metalli pesanti. Tra le componenti dello strato interno della parete cellulare dei lieviti Saccharomyces sp. vi sono i glucomannani, sostanze con un’elevata capacità di trattenere e legare le micotossine, pericolose sostanze contenute in alimenti contaminati da particolari funghi, detti micotossinogeni. Il collegamento tra birra e micotossine potrebbe sembrare apparentemente forzato ma purtroppo esistono decine di studi che dimostrano la presenza di queste tossine nel malto e nella birra. La fase critica in cui si rischia di favorire lo sviluppo di
12 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 AMBIENTE
Fig. 3 - Cumuli sperimentali di compost
questi funghi è la bagnatura dell’orzo durante la maltazione. Se non viene rispettata una corretta essiccazione o se si conserva l’orzo o il malto in ambienti umidi, la produzione di tossine potrebbe contaminare il prodotto finito. Caratteristica di queste tossine è quella di essere termo-stabili, ovvero non degradabili dal calore. Esse tendono a bioaccumularsi nel nostro corpo, con effetto cancerogeno, teratogeno, mutageno ed immunosoppressore. Un altro potenziale impiego è quello della produzione di lieviti autolisati inattivati: una volta concluso il loro ciclo vitale, le cellule di lievito contengono ancora al loro interno nucleotidi, composti azotati, vitamine e sali minerali. Questi composti potrebbero favorire la crescita di altri microrganismi fermentanti in matrici in cui questi elementi sono carenti. Validi esempi sono i mosti di idromele o di uva, il cui contenuto in azoto viene spesso integrato con nutrienti specifici (Figura 4). I lisati di lievito andrebbero a compensare lo scarso contenuto in composti azotati organici e fattori di crescita necessari al corretto decorso della fermentazione.
Infine, secondo diversi autori, i lieviti esausti ottenuti dalla birrificazione possono essere impiegati come sostituti dei mangimi in uso nell’acquacoltura. La loro composizione chimica in termini di profilo amminoacidico, vitamine e digeribilità ha reso possibile la sostituzione dei mangimi fino ad oltre il 50-70%, in base alla specie ittica allevata.
Luppoli esausti e hot trub
I residui di luppolo rappresentano una minima parte dello scarto di lavorazione nella birra. Ciononostante, solo il 15% dei costituenti del luppolo viene trasferito in bollitura nella birra, mentre l’85% diventerà un sottoprodotto scartato insieme all’hot trub. Nel loro insieme comprendono materiali insolubili del luppolo, prodotti di condensazione dei polifenoli del luppolo e delle proteine del mosto e acidi isomerizzati del luppolo adsorbiti sui solidi dell’hot
trub. Nel dettaglio, contiene una buona percentuale di fibre (22-23%), oli essenziali, lipidi (4,5%), proteine (22-23%) e minerali (6-6,5%). La produzione di 1 hl di birra genera solitamente 0,2-0,4 kg di residui di luppoli. I microbirrifici utilizzano una quantità di luppolo per litro circa 5-10 volte superiore rispetto alle grandi industrie di birra, con un conseguente aumento di questo sottoprodotto. Data la crescita sul mercato delle birre analcoliche, questi luppoli esausti potrebbero essere utilizzati come agente aromatizzante nel processo produttivo. Esistono principalmente due opzioni per la dealcolizzazione della birra, utilizzate soprattutto dai produttori artigianali:
❱ evaporazione dell’etanolo mediante trattamento termico, che però tende
a rimuovere anche i principali composti aromatici desiderati; ❱ interruzione della fermentazione, che porta a birre con alti livelli di zuccheri non fermentati e bassi livelli di prodotti di fermentazione attivi dal punto di vista aromatico.
I composti aromatici derivati dal luppolo (linalolo, geraniolo, mircene ed esteri), vengono trasferiti in percentuali comprese tra il 20 e il 90% nella produzione di birre alcool-free, favorendo anche la formazione di esteri etilici derivati dal luppolo. Di conseguenza, il dry hopping può essere un’opzione per compensare le carenze aromatiche tipiche di queste categorie emergenti di birre. Durante il dry-hopping, circa un terzo delle componenti del luppolo
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 13 giugno 2024 AMBIENTE
Fig. 4 - Aggiunta di nutrienti azotati inorganici nella produzione di idromele
viene persa, il che indica che il luppolo esausto contiene un considerevole valore birrario e ha il potenziale per essere riutilizzato. Considerando le basse temperature a cui viene effettuato il dry-hopping, i precursori dell’amaro derivati dal luppolo non vengono né isomerizzati né trasferiti alla birra, rimanendo in quantità significative all’interno dello scarto. Considerando l’aspetto finanziario, le crescenti quantità di luppolo e i prezzi che superano i 20 €/kg, ne fanno uno degli ingredienti più costosi nella produzione della birra, rappresentando oltre il 50% del budget in ricette ad alto contenuto di luppolo. Un motivo in più per individuare soluzioni in un sistema di economia circolare.
Altre prospettive e conclusioni
Alcuni autori statunitensi hanno valutato la pratica di recupero della CO2 prodotta durante il processo fermentativo, abbastanza diffusa nei birrifici industriali di tutto il mondo. Lo studio in oggetto ha
preso in esame però la dimensione media dei birrifici artigianali negli USA, ben più grande rispetto a quella europea e italiana! Lo studio ha considerato questa pratica economicamente sostenibile e realizzabile in birrifici artigianali con volumi annui maggiori di 50.000 barili (ovvero circa 60.000 ettolitri). Tale cifra purtroppo è ancora lontana dalle capacità produttive dei microbirrifici italiani, anche se qualche recente e ambizioso progetto potrebbe rendere attuabile questa strategia.
Il birrificio Brewfist di Codogno (LO) da qualche anno ha adottato un sistema di recupero di anidride carbonica dalla fermentazione. Dato l’aumento del prezzo di questo gas, ciò ha permesso di avere un vantaggio sia economico che ambientale.
Da tempo, i produttori di birra artigianale si stanno impegnando a sperimentare metodi sostenibili per lo smaltimento dei sottoprodotti, a beneficio sia dell’ambiente sia della redditività dei loro birrifici. L’impiego di materie prime locali rappresenta senz’altro una pratica sostenibile, in quanto andrebbe a ridurre
le emissioni dovute ai trasporti, nonché a consolidare il rapporto con le aziende agricole del territorio. La crescita del mercato della birra è trainata principalmente dall’aumento della domanda di birre di alta qualità e artigianali. La sostenibilità rientra senza alcun dubbio tra i parametri qualitativi che i consumatori consapevoli ricercano in questi prodotti, essendo anche disposti a pagare un servizio ecosistemico come la riduzione di emissioni e di sottoprodotti inquinanti derivati dal settore brassicolo. Infine, la comunicazione delle pratiche sostenibili che il birrificio intende intraprendere, veicolerebbe una serie di informazioni che permetterebbero al cliente di compiere scelte di consumo consapevole. ★
Inquadra qui per consultare la bibliografia dell’articolo
14 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 AMBIENTE
TUTTO PRONTO per C’è Fermento 2024
Un totale di venti birrifici e undici cucine di strada che per quattro giorni animano il cortile principale del Quartiere della ex caserma Musso, portando il meglio della produzione di birra artigianale e di street food di qualità da tutta Italia a Saluzzo (CN).
È la 14a edizione di C’è Fermento, il salone della birra artigianale di qualità, che quest’anno dà appuntamento da giovedì 20 a domenica 23 giugno 2024 a Saluzzo, ai piedi del Monviso, nei cortili de Il Quartiere, sede della Fondazione Bertoni che cura l’organizzazione del festival in collaborazione con la Città di Saluzzo e la Condotta Slow Food del Marchesato di Saluzzo. Il Salone delle birre artigianali si conferma uno degli appuntamenti più attesi e importanti del settore a livello nazionale, un punto di riferimento per birrai,
intenditori e amanti della birra; la scorsa edizione di C’è Fermento ha infatti richiamato oltre 18.000 persone in 4 giorni. Un appuntamento che vanta quindi una solida notorietà e che, dopo oltre 10 anni di vita, sa coniugare al meglio alta qualità e convivialità all’interno di un’importante azione di promozione del territorio.
Saranno ben sette i nuovi birrifici e cinque le cucine che si presentano per la prima volta, cucine dal sapore nazionale e, una tra queste, dal sapore internazionale. La novità infatti è l’invito ad una cucina non italiana, il Messico. Alcune belle novità anche nel campo birrario, rispetto agli anni passati: Bastian Contrario dall’Emilia Romagna, La Villana dal Veneto, Birrificio del Catria dalle Marche, Exit dal Piemonte e Menaresta dalla Lombardia. Il ritorno di Beer Inn e
La Piazza dal Piemonte e poi tutti coloro che non possono mancare al Salone, belle conferme e bei ritorni a Saluzzo: Baladin, Birrificio della Granda, Croce di Malto, Filodilana, De Lab Fermentazioni, Kauss, Sagrin, Troll e Trunasse dal Piemonte, il Birrificio del Forte e Cantina Errante dalla Toscana, Ofelia dal Veneto, Maltus Faber dalla Liguria.
Insomma, una rappresentanza selezionata dalla Guida alle Birre d’Italia Slow Food e dal comitato scientifico formato da Luca Giaccone e Francesco Nota che copre a tappeto tutto il Nord e il Centro Italia. E poi, per la Città di Saluzzo arriva una bellissima occasione: raccontarsi attraverso il “saper fare” nella promozione del territorio. Ecco allora che dal 23 al 26 maggio il marchio CF sbarca ai Murazzi Presente al Salone anche una Birroteca, dove poter trovare le proposte in bottiglia e in lattina per un totale di 40 birre.
INFO PRATICHE E ORARI
Giovedì 20 giugno: 18-00
Venerdì 21 giugno: 18-01
Sabato 22 giugno: 18-01
Domenica 23 giugno: 18-00
Resta invariato l’ingresso gratuito al Salone, così come la formula di acquisto delle birre, esclusivamente tramite gettoni del valore di 2,50 euro l’uno. Per poter degustare è necessario acquistare il bicchiere in vetro direttamente al Salone al costo di 6 euro.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 15 giugno 2024 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
segreteria@fondazionebertoni.it
Per info: www.fondazionebertoni.it
Tel. 0175/43527 – 346/9499587
di Roberto Muzi
IL BERE LENTO
Lento. Come l’andamento di una buona cena. Come il tempo di un’esperienza significativa, il godimento di un momento. Un nome e una prospettiva che già dicono tanto su cosa voglia essere questo locale, che prende la sua energia dalla tensione culturale, dalle competenze e dalla dedizione di tre soci e amici.
Un’enoteca con cucina di cui, in una città come Roma, onestamente si sentiva la necessità: perché qui si fa un serio richiamo alla cura, alla necessità che tutto - nell’accoglienza, nel piatto, nel bic-
chiere, nel racconto - faccia parte di una felice esperienza di fruizione delle cose buone, della gioia e della condivisione.
Un’enoteca, dunque, con il concetto del bere al centro di tutto e una deferente dedizione al vino, ma anche con una cucina curata, in grado di accompagnare degnamente ogni bicchiere, improntata soprattutto sui piatti di terra. A cui, conoscendo lo spirito di apertura che anima chi la conduce, abbiamo proposto una doppia sfida: un menu di portate prevalentemente di mare e gli abbinamenti con le birre - che qui ci sono,
ma rappresentano un’offerta residuale rispetto a quella articolatissima di etichette vinicole italiane ed estere.
Il gastronomico duello è stato accettato e ci fa piacere raccontare i dettagli della stimolante cena che ne è stata conseguenza.
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Chi, come, quando e perché
Tre amici si ritrovano nel periodo dell’immediato post Covid-19 con l’idea di mettere su un’attività di somministrazione, sviluppando gradualmente il progetto concreto di come avrebbe dovuto essere. Sono: Marco Di Donna, originario di Rho (MI), ma romano d’adozione, laureato in geografia, ma dentro l’alcol consapevole da tanti anni, con formazione ed esperienze professionali importanti e un’instancabile voglia di raccontare piatti e vini, costantemente in cammino tra sala e cucina; Federico Desideri, titolare di un’azienda di ingegneria che si occupa di impianti industriali, collaboratore commerciale di Pretzhof, piccola e straordinaria azienda agricola familiare della Val di Vizze (BZ) - foltamente rappresentata nelle materie prime che compongono il menu - e talmente curioso di una nuova esperienza professionale che si è messo anche dentro questa avventura; Marco Romagna, assistente di volo, ma appassionato da tempi non sospetti di vini artigianali e di enogastronomia, di cui riconoscerete facilmente il sorriso buono e la grande disponibilità. Esperienze e storie di vita li rendono protagonisti opportunamente diversi e complementari, accomunati dal garbo nell’intrattenersi, dalla placidità e dalla voglia di far star bene chiunque varchi la porta a vetri con scritto Lento, unico segno di riconoscimento del ristorante, dall’esterno.
Trovato il locale giusto (in piazza Santa Maria Ausiliatrice, zona Appio-Tuscolano, quadrante sud est della città), riescono finalmente a dare concretezza alle idee e alle volontà iniziali. Anche grazie al giovane chef che si sono assicurati, Francesco Ferraioli, 26 anni: scuola Niko Romito, segnato da una maschera di autentico entusiasmo e perfettamente sintonizzato con gli umori e i sentimenti del terzetto. Sa farsi interprete dei variegati stimoli che gli arrivano, ma è anche bravo a proporre nuovi piatti in base alle materie prime a
disposizione, alla stagione, all’estro del momento.
Lento vuole essere un luogo di racconto enoico e culinario, attento nella scelta e nella proposta di ciò che si beve, ma proprio quella ricerca e quel racconto testimoniano la voglia di andare oltre, di pensare alla selezione come pezzo e interpretazione dell’affascinante varietà dei sistemi ecologici e alimentari. Lento è il tempo dell’attesa dei buoni prodotti artigiani, quello del viversi il bicchiere e il piatto, il compimento di un’esperienza di fruizione piena e intensa. Perché è lì che si deve tornare, a pensare all’importanza di quel momento, alla sacralità del consumo del cibo e delle bevande alcoliche e all’importanza del farlo insieme alle persone con cui si sta bene.
Non è infatti un caso che qui la maggior parte dei lunedì di chiusura siano dedicati a serate di cultura e convivialità enogastronomica.
Carta e minuta
Il menù varia stagionalmente, ma anche in base alla possibilità di inserire nuovi piatti che – vista la politica del menù corto e che Francesco in cucina è da solo – ne fanno uscire altri, con l’attenzione sempre a mantenere una proposta equilibrata tra diversità e capacità di allettare. Scegliendo piatti di mare abbiamo tralasciato molte opzioni stuzzicanti, dalla porchetta fatta in casa accompagnata dalla focaccia homemade, all’hot dog con l’immaginifico würstel di Pretzhof; dall’animella (raramente disponibile) alla particolare selezione di salumi e formaggi a latte crudo. Ma non possiamo lasciarci distrarre troppo da queste leccornie: siamo qui in missione speciale, dunque forchetta in mano, calice apparecchiato e penna pronta.
Si parte!
Iniziamo con i moscardini, provenienti da pescatori locali, serviti con salsa
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 17 giugno 2024 ABBINAMENTI
Moscardini con sugo di datterini, zest di limone e origano
di datterino pelato in conserva, zest di limone e origano calabrese essiccato. Un piatto gustoso, una partenza semplice e scattante, fatta di essenzialità e fresca esplosività aromatica e di uno sviluppo gustativo articolato sulla direttrice dolce-acidulo. Dalla disponibilità di birre in carta, per l’abbinamento optiamo per la Salina, salty ale da 5.2 abv, di Baroni Birra (giovane birrificio sito in Dattilo-Paceco, TP), con aggiunta del Fior di Sale di Nubia Presidio Slow Food, che aggiunge una lieve mineralità e accompagna con la morbidezza dei malti e il giusto corpo, riuscendo a tamponare l’invadenza tipica del sugo e lasciando il meritato spazio alla mediterranea e rinfrescante vena balsamica dell’origano.
[Intermezzo: mentre aspetto il secondo assaggio, siccome stanno facendo le prove per l’introduzione nel menu di un nuovo piatto stagionale, mi chiedono se voglio assaggiare: chiaramente, non posso esimermi. È un carciofo semplicissimo, con mentuccia e purè di patate all’aglio di Nubia Presidio Slow Food. Sono felicemente sgomento, è fantastico, una luminescente stratificazione di sapori differenti: condividiamo, approviamo.]
Arriva il secondo piatto: crostino con scarola appena scottata, olive itrane, alici e uvetta, il tutto servito su una fetta del filone di Zampa - fornitore ufficiale del pane, un forno etico di quartiere e tra i migliori della città, aperto e gestito da Giacomo Carlizza e Selenia Sacchetti, che lavorano con spasmodica attenzione alle farine utilizzate e ai tempi di lavorazione.
L’abbiamo abbinato con la Helles di Schönramer, che porta a livelli altissimi uno stile che fa dell’equilibrio e della semplicità le sue carte vincenti. Giusta opzione per un piatto “di materia prima” come questo, dall’alto grado di fruibilità: l’abbinamento crea un gustoso gioco di rincorse tra le dolcezze dei malti e dell’uvetta e la sapidità dell’a-
lice, mentre riesce a liberare l’acuta aromaticità complessiva del crostino. In bocca la birra taglia l’untuosità e aggiunge una fresca pennellata luppolata: il gioco di coppia è divertente, stuzzicante, un vero “abbinamento di servizio”, che mangi, bevi apprezzi e chiacchieri; e ancora, mangi, bevi, godi e chiacchieri.
Arriva il primo
Sono arrivato presto per fare le cose con calma, domandare, prendere appunti. Ma ora il locale comincia a riempirsi e ciò che diventa tangibile sedendosi al tavolo, è la cura delle persone e l’attenzione ai dettagli. Marco Di Donna, colui che più di tutti si occupa del servizio e dei tavoli, non ha solo enciclopedica competenza, ma possiede sincero e invincibile trasporto verso ciò che lo anima, cioè la ricerca certosina e il racconto paziente.
Il primo è rappresentato dalla Linguina Mancini, con burro di Pretzhof affumicato espresso e tarallo sbriciolato. Il piatto è morbido, il sapore voluttuoso, la cottura della pasta perfetta.
Per l’abbinamento scegliamo la Acamilla, White IPA da 6.5 abv di Finamore, neonato beerfirm toscano. Con un
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Crostino con scarola, olive, alici e uvetta
Salina di Baroni Birra
piatto in cui la grassezza e l’aromaticità del burro tendono a sopraffarti, circondati da un sottile refolo affumicato, l’idea è quella di lavorare in sottrazione, pulendo la bocca dal sovraccarico di grassezza grazie alla generosissima carbonazione e accompagnando felicemente questo “assedio affettivo”. Al rotondo bagaglio aromatico del piatto, la birra addiziona una lieve nota floreale e il flebile sottofondo delle note agrumate e tropicali, favorite dai luppoli scelti e dall’aggiunta di artemisia; l’originale spessore dei malti riesce a smorzare l’affumicato, lasciando sul finale una bocca pulita, appagata.
[Intermezzo 2: “No, no, ma lo so che hai già mangiato tante cose e che questo non l’avevi concordato con Marco, ma te lo voglio far provare lo stesso...”, mi dice Francesco sorridendo e rientrando in cucina. Io rimango impalato, con le braccia allargate e un sorriso scemo: mi sa che non sono stato in grado rifiutare. L’assaggio è una pasta, il tubetto Mancini con crema di patate, ottenuta con la riduzione del saporitissimo brodo di scarti del pesce lavorato, e cozze, con zest di limone a completare. Un piatto che è beata gioia e che ricorda i profumi delle zuppe delle vecchie osterie di mare.]
Un baccalà soave
Come secondo, abbiamo optato per il baccalà pil pil. Un piatto della tradizione basca (sembra sia nato a Bilbao, in piena Guerra Civile spagnola), che per la preparazione abbisogna solo di olio, aglio e peperoncino: prevede una dissalatura perfetta, simbolo realizzato del tempo e della pazienza, e una lunga cottura a bassa temperatura del pezzo intero con la pelle, che rilascerà gelatina e assieme all’olio formerà la salsa. Piatto talmente delicato da sembrare immateriale, che si sfrangia al primo morso e che, proprio per questa soavità, sembra più uno stoccafisso: non ha nulla delle note rustiche e della sapidità del baccalà. La salsa bianca su cui il
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 19 giugno 2024 ABBINAMENTI
Linguine con burro affumicato e tarallo sbriciolato
Baccalà pil pil, piatto di origine basca
pesce è appoggiato è un bianco latticello al gusto confortante dell’umami. Per l’occasione mi sono procurato l’ottima Vienna Lager di Birra del Doge (Zero Branco, TV), una delle rare rappresentanti (italiane) dello stile, che mette in bella mostra riconoscimenti di crosta di pane, cereali e miele di castagno, con una bocca caratterizzata da toni maltati e caramellati, una buona secchezza e una taglia etilica che si attesta al 5.4%.
Per un piatto del genere serve infatti una birra che sappia lavorare con delicatezza, che non abbia fuorvianti potenze alcoliche e amari non necessari, ma che invece sappia integrare le note caramellate-maltate con la levità del pesce e la calmante mollezza della sua salsa: esattamente quello che succede quando si forma questa coppia.
Dulcis in fundo...
Sono molto soddisfatto, ma ho bisogno di alzarmi: non lascio mai nulla nel piatto, è una forma di rispetto verso il cibo che non riesco a tradire. Ma mi rendo conto di due cose: ho mangiato tanto e, contemporaneamente, non posso
trascurare il dolce, soprattutto perché si tratta della colomba pasquale. Avendo già assaggiato il loro panettone e conoscendo la confidenza che hanno coi grandi lievitati, non posso davvero esimermi. Così, guardo Marco sorridendo e mi prendo il tempo di respirare un po’ d’aria della Roma di sera, prima di sedermi per la dolce conclusione. Quando arriva la fetta, ci metto subito il naso sopra: l’olezzo è coinvolgente. In bocca è morbida, partecipativa, delicata, si sente la presenza di ingredienti di primissimo livello. Grazie all’ottima lievitazione, la pasta ha una tattilità morbida, emana profumi avvincenti.
L’abbiamo abbinata con la Mena Dhu, stout dello storico birrificio inglese St. Austell, nato circa due secoli fa nella splendida Cornovaglia e considerato tra i migliori interpreti della tradizione
britannica, con 4.5 abv e rifermentazione in bottiglia.
Una grande birra, prodotta con una miscela di cinque malti diversi e l’aggiunta di roasted barley. La Mena Dhu prende spunto da una vecchia ricetta locale, si presenta con aspetto marrone scuro e offre ampi riconoscimenti olfattivi: liquirizia, caffè espresso, carruba, malto tostato, cioccolato e una tenue zaffata affumicata.
Il corpo di media entità, la morbidezza boccale e la cremosità permettono l’abbinamento a un dessert che non vanta un carattere zuccheroso e che si caratterizza per la delicatezza, i profumi e l’espressività: la birra dona uno spirito terrestre a un dolce lieve, che manifesta solarità e lo esalta con la bella interazione tra i canditi e le tostature, tra la tendenza dolce dell’impasto e la liquirizia.
20 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 ABBINAMENTI
★
Vienna Lager di Birra del Doge
Mena Dhu del birrificio inglese St Austell
SALONE
INTERNAZIONALE
MACCHINE PER ENOLOGIA E IMBOTTIGLIAMENTO
12-15 Novembre 2024 Fiera Milano (Rho)
GLI STATI GENERALI DELLA BIRRA
In mostra la migliore tecnologia, le macchine e le attrezzature più innovative. Incontri, workshop e convegni.
Unica protagonista: la birra
ORGANIZED BY
Con il contributo di
In collaborazione con
BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ
Orzo, che faccio? MALTO?
Rassegna di articoli a cura degli studenti del corso di Laurea ad orientamento professionale in “Qualità e approvvigionamento di materie prime per l’agro-alimentare” (QuAM) dell’Università degli Studi di Parma.
Quali sono le caratteristiche sensoriali dell’orzo maltato e dell’orzo non maltato? Queste poche righe hanno lo scopo di illustrare le caratteristiche sensoriali che l’orzo maltato e non maltato conferisce alla birra, concentrandosi sui suoi attributi chimici e sui suoi effetti durante il processo di produzione della birra. Intendiamo illustrare al lettore la differenza
delle due tipologie di processo che portano a una diversa composizione aromatica, una diversa tonalità e le sfaccettate proprietà associate alle diverse tecnologie produttive.
Per far la birra, ci vuole l’orzo L’orzo (Hordeum vulgare L.) gioca un ruolo fondamentale come ingrediente nella produzione di birra sotto forma di malto d’orzo. Negli ultimi anni però, sta rivestendo sempre maggiore interesse anche l’utilizzo di orzo non maltato per la produzione di birra. La dicotomia tra orzo maltato e non maltato è dovuta al processo di maltazione, tecnica che consiste nella germinazione, attentamente controllata, del cereale e dalla sua successiva
disidratazione. Questo processo attiva enzimi (principalmente alfa-amilasi) che danno luogo a profonde trasformazioni molecolari, trasformando infatti l’amido (polisaccaride) in mono e disaccaridi più facilmente fermentabili dai lieviti. Il processo di maltazione influisce significativamente sulla percezione sensoriale e sulle sfumature aromatiche della birra.
Il contributo del malto e dell’orzo alle caratteristiche della birra può essere meglio illustrato mediante lo studio dell’effetto su diversi parametri sensoriali.
Orzo maltato
❱ Profilo del gusto L’apporto dell’orzo maltato, per quanto concerne il sapore del prodotto, è
22 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 I RAGAZZI DI QUAM
Elia Biasini e Alessio Busi
di
causato da complessi processi molecolari. Uno tra questi è la “caramellizzazione”, risultato delle reazioni di Maillard, che porta allo sviluppo di composti aromatici particolari come le melanoidine (prodotti della riduzione di zuccheri, proteine o amminoacidi) che conferiscono il sapore tipico di caramello. I prodotti della rottura enzimatica dei ponti solfuro delle proteine ad opera della reazione di Maillard influiscono in parte sul profilo gustativo.
❱ Profilo dell’aroma
I composti volatili generati durante la maltazione dell’orzo, contribuiscono significativamente alla stratificazione aromatica della birra. Tra le molecole di maggior interesse che si sviluppano dal malto, abbiamo la categoria degli esteri, sostanze volatili che possono influenzare positivamente la percezione olfattiva talvolta arricchendola di sentori floreali. Tra gli aromi però potremmo avere anche la formazione di dimetilsolfuro (DMS), una molecola che si forma a partire dalla S-metilmetionina dai sentori simili al mais cotto e alle verdure bollite, che viene quindi poco apprezzato.
❱ Profilo del colore
Durante la fase di tostatura del malto, avvengono numerose trasformazioni molecolari ad opera delle melanoidine, molecole organiche di colore scuro e odore tipico del pane appena sfornato o del caffè tostato.
Le melanoidine producono quindi pigmenti che influenzano il colore finale della birra. Il colore del malto ottenuto dopo la tostatura e/o torrefazione, viene misurato in unità di colore standard (SRM o EBC). L’intensità del processo di tostatura del malto e il grado di colore che ottiene, determina poi il colore della birra.
❱ La palatabilità
Le attività enzimatiche che prendono parte al processo di maltazione, in particolare quelle catalizzate dalle alfaamilasi e beta-amilasi, influenzano la
composizione degli zuccheri fermentabili, condizionando così il contenuto alcolico e la tattilità. La presenza di zuccheri fermentescibili, infatti, influenza positivamente il contenuto alcolico. Il contenuto di zuccheri non fermentescibili invece, ha un effetto sulla palatabilità e sulla dolcezza residua.
Orzo non maltato
L’utilizzo di orzo non maltato per la birrificazione offre un profilo sensoriale unico, plasmato dall’assenza di processi legati alla maltatura. Gli approfondimenti sensoriali su queste caratteristiche sono i seguenti:
❱ Profilo del gusto
Il profilo di gusto della birra prodotta con orzo non maltato, risulta più pulito e neutro, probabilmente per l’assenza di alcuni prodotti metabolici provenienti della reazione di Maillard. Le birre prodotte con orzo non maltato permetteranno però di valorizzare altri ingredienti della birra, come ad esempio il luppolo.
❱ Profilo aromatico
Come per il gusto, anche il profilo aromatico delle birre risulta più delicato poiché richiama l’aroma dell’orzo. Per via della totale assenza dei composti volatili citati in precedenza si ottiene una bevanda meno aromatica che esalta principalmente le caratteristiche di altri ingredienti o del luppolo. In questo caso l’aggiunta di frutta, spezie o altri aromatizzanti è consigliata a fronte di un minor potere coprente della parte orzo.
❱ Profilo del colore
L’orzo non maltato nella produzione di birra non impatta in maniera significativa sul colore che rimane pressoché inalterato per la mancanza di tostatura.
❱ La palatabilità
In generale l’orzo non maltato comporta che vi sia nella bevanda una notevole leggerezza e una freschezza dovuta all’assenza di molti zuccheri liberati invece durante la fase di mal-
tazione. Questa caratteristica rende particolarmente adatte le birre prodotte con orzo non maltato a un consumatore che ricerca una birra meno complessa e più facilmente bevibile. Inoltre, l’assenza di zuccheri residui può influire sulla dolcezza della birra rendendola più amara rispetto a quelle che utilizzano una quota maggiore di orzo maltato.
In conclusione
La scelta tra orzo maltato e non e la scelta della percentuale di uno o dell’altro per la produzione di birra va fatta in modo consapevole e sempre tenendo in mente il risultato che si vuole ottenere. È utile ricordare che in Italia la birra per essere definita tale deve sottostare al D.P.R. 30 giugno 1998 n.272 in cui si specifica che “La denominazione ‘birra’ è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o con entrambi. La fermentazione alcolica del mosto può essere integrata con una fermentazione lattica. Nella produzione della birra è consentito l’impiego di estratti di malto torrefatto e degli additivi alimentari consentiti dal Decr. MINISAN 27.2.96, n. 209. Il malto di orzo o di frumento può essere sostituito con altri cereali, anche rotti o macinati o sotto forma di fiocchi, nonché con materie prime amidacee e zuccherine nella misura massima del 40% calcolato sull’estratto secco del mosto.”
Ciò significa che non si può produrre birra in Italia utilizzando una quantità inferiore al 60% dell’estratto secco di malto d’orzo o di frumento. Questo può limitare la varietà e la quantità di ingredienti utilizzabili; tuttavia, fornisce una base chiara e inequivocabile che garantisce una maggior sicurezza per il consumatore. La scelta tra orzo maltato e non, pertanto, va fatta consapevolmente entro i limiti di legge. ★
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 23 giugno 2024 I RAGAZZI DI QUAM
UNA “MALTITUDINE” di molecole
Nei ragionamenti che precedono la realizzazione di una birra, la stesura della ricetta è senza dubbio il momento attraverso il quale prende forma l’aspettativa riguardo le caratteristiche
del prodotto finito, sia che si abbia come modello uno stile conclamato o che si intenda realizzare un prodotto originale.
In questa fase è fondamentale avere a disposizione quante più informazio-
ni possibili riguardo le caratteristiche sensoriali delle materie prime e degli ingredienti accessori, nel caso sia previsto un loro utilizzo, e presumere le modifiche cui queste inevitabilmente
24 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 MATERIE PRIME
di Luca Pretti
andranno incontro nei diversi momenti del processo di trasformazione. Nella definizione delle proprietà sensoriali nel loro complesso infatti avranno grande importanza le interazioni che tra di esse si genereranno in seguito a processi fisici, come ad esempio le diverse temperature in fase di mash e bollitura del mosto, o biochimici generati durante la fermentazione e la maturazione della birra.
Il primo passo della tecnologia produttiva prevede che durante la fase di ammostamento gli enzimi presenti nel malto determinino l’idrolisi dell’amido, portando al rilascio di molecole di zuccheri semplici e destrine, affidando poi la loro fermentazione ai lieviti. Giocando con tempi e temperature durante la fase di mash si ha la possibilità di prevedere, con una buona approssimazione, la maggiore o minore quantità di zuccheri residui non fermentescibili che in linea di principio si traduce in una maggiore o minore sensazione di corpo. Ma una maggiore o minore resa estrattiva in questa fase può avere un ruolo anche sulla quantità di azoto amminico libero (FAN) che quando presente in eccesso può contribuire ad avere concentrazioni più elevate di diacetile, con conseguenze sui tempi e sulle performance fermentative.
Nel corso degli ultimi anni la corretta determinazione del profilo glucidico del mosto, cioè della tipologia e quantità delle molecole rientranti in questa “famiglia chimica”, ha assunto una maggiore importanza soprattutto nell’ottica della realizzazione di birre a bassa concentrazione alcolica o senza alcol.
C’è da dire che l’aspetto gusto-olfattivo del mosto di malto tal quale è decisamente povero se confrontato con ciò che deriva dall’apporto fermentativo o dai luppoli (in amaro o in aroma). In ambito scientifico moltissimi sono gli studi che mirano a enfatizzare e caratterizzare la frazione esterea derivante dalla fermentazione e sono stati isolati
centinaia di prodotti attivi nel definire il profilo sensoriale. La sempre maggiore specializzazione analitica in termini di strumentazione e professionalità rende la possibilità di separare gli apporti delle singole materie prime sempre più precisa, sia in termini qualitativi che quantitativi.
Aromi e maltazione
Dal punto di vista sensoriale, senza entrare nel merito dei diversi malti speciali, che presentano caratteristiche precise e indispensabili per la realizzazione degli stili per i quali sono previsti in ricetta, è durante il processo di maltazione che si conferisce colore e sapo-
re a questa materia prima. I descrittori principali che vanno dal caramello allo zucchero filato o quelli identificativi del cosiddetto “sapore di birra” sono conseguenti alle reazioni di Maillard che portano alla sintesi a molecole come il maltolo (il cui flavour è riconducibile allo zucchero caramellizzato o al pane appena sfornato) o l’etil maltolo (zucchero caramellato e frutta cotta) cui questi vengono associati. Rientrano in questo ambito anche alcuni alcaloidi per quel che riguarda la percezione di un certo livello di astringenza.
La selezione delle varietà di orzo più adatte alla trasformazione in malto ha avuto una evoluzione relativamente
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 25 giugno 2024 MATERIE PRIME
più recente se paragonata a quella degli stili conclamati ed è allo stato attuale più estesa rispetto ai luoghi eletti della culla delle diverse culture birrarie: interessa aree di coltivazione in molteplici luoghi, più che altro al servizio delle produzioni delle multinazionali.
All’espansione delle superfici investite in questa coltura contribuisce la necessità di utilizzo di materie prime locali dei microbirrifici agricoli, in costante ascesa nel panorama produttivo, e della volontà di altri microbirrifici che si pongono come obiettivo quello di legare le proprie produzioni al territorio.
Per questo motivo conoscere la risposta delle varietà di orzo storicamente più utilizzate porta alla necessità di assumere in maniera quanto più dettagliata possibile le informazioni chimi-
co-analitiche sulla composizione prima e dopo il processo di maltazione.
Le variazioni climatiche da una campagna di coltivazione all’altra fanno parte dei rischi di ogni prodotto agricolo ma i cambiamenti climatici che guidano da diversi anni anche le politiche agricole in ambito mondiale portano un ulteriore elemento di indeterminazione di cui si dovrà tenere conto nei decenni a venire anche nelle scelte varietali.
L’impatto dei cambiamenti climatici
Le incognite legate agli eventi meteorologici, hanno portato nel passato alla conseguenza della promulgazione dell’editto della purezza tedesco (Reinheitsgebot 1516) che indicava che per produrre la birra dovessero essere
utilizzati solo orzo, acqua e luppolo (i lieviti sarebbero stati scoperti alcuni secoli dopo) con conseguenze rilevanti sulla storia della birra. Il suo significato, apparentemente attribuibile ad una sorta di tutela per la qualità della birra, secondo alcuni autori intendeva invece evitare che il grano, più difficile da coltivare, venisse meno per la panificazione (bene primario) se destinato alla produzione della birra (bene voluttuario). Per questo l’editto sarebbe stato inserito all’interno di un documento più ampio recante norme di comportamento di carattere generale, da tenersi all’interno delle province Bavaresi.
L’attuazione localistica di questo provvedimento coincise con un’annata particolarmente sfavorevole alla coltura dell’orzo, e venne poi esteso a tutta la
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regione immaginando, probabilmente, che quel singolo evento potesse ripetersi negli anni a venire.
Ai giorni nostri le capacità predittive rispetto agli eventi climatici sono decisamente maggiori tanto che nel 2018 il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) aveva evidenziato la portata senza precedenti della sfida necessaria a contenere il riscaldamento entro 1,5 °C tra il 2030 ed il 2050 per evitare il progredire degli effetti cui si sta assistendo negli ultimi decenni, tra cui alcuni eventi meteorologici estremi come caldo estremo, le piogge torrenziali e siccità, che avranno un effetto sulle produzioni del settore agro-alimentare, soprattutto in America Latina e nel Mediterraneo.
Tuttavia, cinque anni dopo, secondo il rapporto presentato nel 2023, nessuna delle azioni in termini di tempistica e di impatto fin qui suggerite sarebbero
state sufficienti per ottenere i risultati auspicati.
Tra i cambi di paradigma in chiave climatica necessari per un effettivo cambio di prospettiva rientrano anche quelli richiesti al settore alimentare in genere, oltre ovviamente a quelli interconnessi ai trasporti, all’utilizzo dell’energia, all’industria, agli edifici e all’uso del territorio racchiusi nell’attuazione della sostenibilità in senso lato.
Tra le strategie da mettere in essere per poter compiere azioni utili alla salvaguardia dell’ambiente rientrano quindi anche quelle relative alla scelta di specie e varietà di cereali più facilmente adattabili a questi cambiamenti e che permettano, al contempo, rese in termini quantitativi in linea con quelle sviluppate nel corso degli anni, ma anche rispetto alle molecole capaci di trasferire caratteristiche di tipicità alle birre che con esse verranno realizzate.
Le condizioni climatiche hanno un impatto sulle caratteristiche compositive di ogni prodotto agricolo, per quanto in molte di queste varietà siano geneticamente programmate, ed è una regola alla quale non sfugge neanche la coltivazione dei cereali.
Alla ricerca del malto ideale Nel 2014, la Brewers Association, un’organizzazione che rappresenta più di 5000 birrifici negli Stati Uniti, ha sentito la necessità di pubblicare un testo che servisse come linee guida per i produttori di orzo identificando gli standard qualitativi per ottenere del malto “ideale” per la produzione di birra (“Malting Barley Characteristics for Craft Brewers”) proprio per richiamare a una maggiore attenzione sulle interazioni tra il genotipo dell’orzo e l’ambiente e su come, a parità di varietà, queste possano essere determinanti rispetto al risultato finale.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 27 giugno 2024 MATERIE PRIME
A complicare ancora di più le cose c’è da ricordare, nel caso ci fosse bisogno, che sono due le trasformazioni tecnologiche subite dall’orzo: la prima per arrivare al malto e quindi, come materia seconda, nella produzione della birra dove le risultanti di più combinazioni di fattori portano, rispetto alle conoscenze attuali, a una limitata comprensione dell’origine delle caratteristiche sensoriali, in senso genetico o di processo. Da queste necessità ha preso corpo uno studio complesso i cui risultati sono stati pubblicati recentemente sulla rivista Food Research International. La ricerca ha coinvolto diversi dipartimenti
dell’Università del Colorado con un approccio di tipo proteomico e metabolomico (intendendo per metaboloma l’insieme dei metaboliti di un determinato organismo). La ricerca è stata condotta in collaborazione con un birrificio dello stesso Stato e ha dimostrato che esiste un’associazione diretta tra il genotipo dell’orzo e l’aroma della birra e che la variazione combinata tra genotipo e ambiente può effettivamente riflettersi sulla composizione chimica delle birre risultanti, sul loro profilo sensoriale e sulla loro shelf-life. Uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro è però legato alla quantificazione di diverse
migliaia di molecole nel malto e alla identificazione di circa 200 di queste, che sono poi state raggruppate in sostanze azotate, lipidi (acidi grassi), glucidi, acidi organici, purine (basi azotate degli acidi nucleici), terpeni, ecc… Analogo lavoro è stato realizzato nella birra ottenuta che si è arricchita della frazione volatile includendo esteri, aldeidi, e alcoli. La comparazione di questi composti fornisce uno strumento utile per la valutazione predittiva sulle qualità sensoriali della birra tenendo in considerazione la variabilità delle condizioni ambientali di coltivazione e la loro influenza in termini quanti-qualitativi. ★
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di
Riscoprire stili DIMENTICATI
Penso spesso al concetto di stile nel mondo della birra. Nonostante mi sia chiaro che si tratti di un insieme di caratteristiche, tradizioni, modi di produrre e di servire una birra che si sono evolute nel tempo fino a darci quelle che
oggi sono le più diffuse tipologie birrarie, non mi rassegno mai al pensiero che così come qualcosa è arrivato fino ai giorni nostri, qualcos’altro si è perso.
E se si è perso, ci sarà un motivo, viene facile da pensare e concordare. Ma non è
sempre così, perché a volte le motivazioni alla base di questi cambiamenti nella storia recente della birra non sono interpretabili come semplici dinamiche darwiniane.
A volte le caratteristiche intrinseche di alcuni stili sono state tali da aver de-
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Angelo Ruggiero
cretato il fallimento di alcune tipologie.
Altre volte, semplicemente, l’improvviso avvento di avanzamenti tecnologici, cambi di rotte commerciali o isolamenti geografici hanno determinato condizioni per le quali di alcune birre si è potuto anche fare a meno.
Con la reinassance di stampo americano, però, abbiamo forse compreso come tutta questa diversità possa essere importante proprio per riscoprire nuove combinazioni di gusto e farsi nuovamente sorprendere. Con questo spirito mi sono affacciato ormai da anni al recupero in chiave personale di stili di birra poco battuti, per il semplice gusto di capirne qualcosa in più.
Ognuno di questi ha la sua storia, difficile a volte da ricostruire, ma spesso alcuni produttori casalinghi e professionali timidamente provano a recuperare questo piccolo grande patrimonio storico e culturale.
È questo il motivo, tra l’altro, per il quale organizzo da qualche anno il concorso di homebrewing che ho chiamato Lost & Found, dedicato esclusivamente a stili dimenticati, rispolverati e in parte recuperati (www.lostandfound.one), che raccoglie molti iscritti con birre spedite anche dall’estero e che nel 2025 arriverà già alla terza edizione.
Una moltitudine di stili
Sono tante le tipologie di birra che in questi ultimi tempi si sono riprese la scena, con differenti modalità. Fra tutte forse è interessante cominciare dalle rauchbier: non rappresentano un vero e
proprio stile perché la presenza di malto affumicato può essere prevista su birre da colorazioni e gradazioni anche molto differenti tra loro, ma queste lager
tipiche di Bamberg e di parte della Franconia hanno forse insegnato, una volta proposte anche all’estero, che c’è tanto oltre gli stereotipi delle lager chiare tedesche. Messaggio a cui hanno contribuito senza dubbio anche le kellerbier, anch’esse difficilmente comprimibili in uno stile per via della variabilità soprattutto della base maltata, ma sicuramente un fondamentale allargamento del concetto di birra chiara associato alla Baviera intera.
Sulla scia delle affumicate franconi, è scontato passare a uno dei pochi altri stili in cui i malti presentano una decisa componente di fumo, come un tempo
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 31 giugno 2024 STILI BIRRARI
Grodziskie, di bassa gradazione alcolica e delicatamente affumicata
era prassi. Per le polacche grodziskie, infatti, originarie dell’area attorno all’omonima cittadina di Grodzisk Wielkopolski, proprio quel trend di apprezzamento di birre affumicate potrebbe essere il motivo scatenante della loro recente ricomparsa. Essendo realizzate spesso al 100% da malto di frumento e non d’orzo, tra l’altro affumicato da legno di rovere e non di faggio come per le rauchbier, costituiscono una sorta di alternativa, leggera in gradazione e inten-
sità aromatiche, alle affumicate ormai più note. Decisivo nel recupero del metodo di produzione è stato il contributo dell’associazione di homebrewer polacca PSPD, nonché l’opera di divulgazione dello storico birrificio della città polacca di Grodzisk, unico testimone di un passato di fama per questo tipo di birra, un tempo molto noto ovunque.
Più contorto il cammino di un altro stile come quello delle grisette, termine per anni relegato solo a qualche etichetta
belga mainstream e oggetto alquanto misterioso. Oltre alla nota storia che racconta fosse la birra amata dai minatori, che uscivano grigi (appunto) di polvere dopo il lavoro, tra i vari blog belgi di appassionati degli stili e le fonti ritrovate, è sembrato alquanto chiaro che si trattasse di una sorta di saison, di basso grado alcolico, con una buona dose di frumento non maltato o “maltato ad aria” (erroneamente pensata anche questa come birra affumicata) e una luppolatura più abbondante del solito. Quest’ultimo aspetto si presta potenzialmente molto bene proprio per un’interpretazione più moderna, per cui affianco a versioni con moderate aggiunte luppolate sta diventando frequente, quando si incontra questa dicitura, ritrovarsi di fronte una saison carica di luppolo quasi come una moderna IPA. Se da una parte può risultare un po’ troppo generoso come approccio, dall’altro può contribuire a gettare più luce su queste tipologie del passato nell’area tra Belgio e Francia, luoghi di un altro stile criptico, ovvero le bière de garde
Difficile dare loro una definizione univoca e precisa, perché si tratta di birre molto maltate, con una caratteristica mineralità e una certa dose soprattutto di esteri e in parte anche di fenoli. Solo lontanamente accomunabili a saison, in realtà si distinguono per una diversa secchezza, qui sicuramente minore, oltre che per essere un altro inafferrabile stile senza maglie strette in termini di colore e grado alcolico, tant’è che sono difficili anche da ricostruire quali siano davvero gli esempi da considerare tali dei pochi produttori rimasti in attività.
Gli stili cechi
A differenza di quelli finora elencati, ci sarebbe un gruppo di birre tutt’altro che dimenticate, anzi molto prodotte, consumate e amate. L’unico neo è che sono apprezzate solamente nella loro patria: gli stili cechi, che spesso confidiamo sul fatto di conoscere declinando parole come bohemian pils e czech pils, ter-
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Bière de garde
mini che però non sono per nulla identificativi della scuola nazionale in tema di birre lager, che va ben oltre la più famosa chiara di Plzeň, l’unica a poter utilizzare la dicitura di pils sul territorio ceco. Per il resto gli ingredienti, i metodi e le attrezzature di produzione segnano tratti distintivi netti rispetto ad analoghe lager di tradizione bavarese. La leggerezza di una výčepní o di una světlý, con un loro forte impatto sia luppolato che maltato che si fa sentire molto pur con grande bilanciamento di questi contributi, poco hanno di simile rispetto a helles o keller, molto più secche e nette. Stesso discorso vale per le polotmavé, ambrate di carattere, molto profonde nella spinta maltata, o per le tmavé, corpose e caffettose senza perdere in equilibrio rispetto a corrispondenti dunkel e schwarzbier teutoniche. Il recente interesse per questi stili sta ulteriormente svelando queste differenze, per cui ora tocca solo prendere atto del tanto tempo perso ad averle relegate ad interpretazione “diacetilica” di lager dozzinali, opinione che nella maggior parte dei casi si dimostra ampiamente falsa. Leggermente diversa è la situazione di quell’insieme di birre scure a bassa fermentazione che va sotto il nome di baltic porter, ovvero lager scure generate dalle evoluzioni di quel grande traffico di stout più alcoliche che partivano dalle isole britanniche in direzione orientale. Queste interpretazioni di porter con lieviti tipicamente usate per le lager, unite al caratteristico tenore alcolico più elevato del solito, hanno prodotto birre poderose, molto tostate seppur secche e talvolta con un tipico strascico vinoso. Si trovano ancora marchi commerciali di ottima fattura recanti questa iscrizione di porter, nelle diverse lingue e alfabeti dell’area est-europea, ormai anche tra i moderni birrifici craft che le hanno rinnovate, spingendole su un grado alcolico ancor più alto, con molto più carattere tostato, a imitare quello che è stato il cammino delle imperial stout negli ultimi decenni ma chiaramente facendole occupare
range organolettici parecchio diversi da quelli tradizionali di questo stile. Ogni stile ha una storia a sé, a volte riesce a preservarsi dalle tempeste del mercato e del tempo, altre volte l’oblio è inesorabile. Per le california common è avvenuto un po’ tutto ciò, dato che il birrificio americano Anchor era riuscito a proteggere attraverso i secoli questa birra e a farne un suo baluardo, fino a cedere non tanto alle complicazioni di questo stile, una lager fermentata con lievito particolarmente affine ad alte temperature che lavora regalando parti-
colari note sulfuree e fruttate unitamente al tipico luppolo Northern Brewer, ma a questioni aziendali e commerciali. Qui è stato il birrificio simbolo a crollare, dovendo chiudere i battenti in tempi recenti e inghiottendo, di fatto, l’unica vera california common, altresì detta steam beer, sopravvissuta alle vicissitudini industriali americane. Difficilmente rivedremo quella specifica birra, né il segmento lager sembra possa sentirne particolarmente la mancanza visto l’innamoramento ormai definitivo per quelle ceche e della Franconia.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 33 giugno 2024 STILI BIRRARI
Una Baltic porter, “cugina” a bassa fermentazione delle più note porter britanniche
Ci sono anche altri stili identificati e sorretti spesso da rari o unici esempi in commercio e a questi strettamente legati. È sicuramente il caso delle seefbier, birre tipiche dei villaggi attorno a Anversa, prodotta non solo con orzo ma anche frumento, segale, avena e perfino grano saraceno. Ripresa ormai da un decennio sotto marchio registrato, è tornata ad inondare i banconi di Anversa. Scenario simile, per certi versi, alle mumme, birre ambrate tipiche della cit-
tà tedesca di Braunschweig, dove si contavano decine di birrifici specializzati in questa produzione e dove Nettelbeck ne produce ancora, benché la ricetta sia probabilmente ormai diversa perché in passato prevedeva avena, frumento, forse perfino fagioli e spezie, ma fondamentalmente malti speciali in grandi quantità e un lievito ale.
Complicato anche bere una steinbier ormai, sebbene qualche produttore in Baviera produca ancora mosto con l’aiuto di pietre arroventate inserite diret-
tamente nei tini. Sono legate più a tecniche del passato che a uno stile a tutto tondo e si trovano testimonianze di questo uso perfino in culture brassicole lontane dalla Germania, nella vicina Austria ma perfino nelle lande scandinave. Lì è davvero un’impresa fare beer hunting, per via delle distanze e del territorio ma soprattutto perché le farmhouse del luogo, tutte particolarmente diverse tra loro, sono quasi esclusivamente a uso e consumo del produttore e del contesto rurale del luogo.
Il termine kveik, parola che indica il lievito nelle varianti linguistiche scandinave, è un termine che racchiude questo gruppo di birre ma che non ne identifica una in particolare, racchiudendo numerosissime produzioni locali caratterizzate da unicità come l’uso del ginepro, birre non bollite oppure, al contrario bollite per ore, con lieviti imparentati con ceppi da panificazione e tante altre pratiche ormai inconsuete. Particolarmente interessanti in questo contesto possono essere anche le birre lituane, come le chiare kaimiškas o le scure keptinis, queste ultime ottenute a partire da malti chiari ma dal cui mash scaldato e tostato in forno si ricava una birra scura molto intensa. Sempre con l’uso del ginepro, del tutto unico è lo stile finlandese sahti, birra super maltata in cui questo sostituisce del tutto il luppolo nelle funzioni aromatiche e amaricanti, difficile da reperire e imitare altrove ma che incontra un interesse sempre più crescente.
I tempi cambiano
Nulla è statico, lo stesso concetto di stile implica cambiamento e adattamento ai tempi che mutano; perciò, non è neppure molto strano che tradizioni che sembrano ripartite possano nuovamente incappare in pause o momenti di smarrimento. Spesso sono proprio alcune recenti novità a trovarsi in questa condizione di parziale declino. Le spéciale belge, per esempio, nate in secolo scorso come risposta belga alle
34 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 STILI BIRRARI
Stili rari
Mumme, ambrata originaria della Germania centrale
più dominanti bitter e pale ale inglesi, dopo un boom in patria nei decenni passati hanno assistito a un lento e inesorabile fenomeno di dimenticanza, tant’è che quasi sempre pronunciando l’alternativo nome di belgian pale ale si
pensa erroneamente a una birra chiara e non ad una ambrata.
Anche le stesse gose e berliner weisse potrebbero rientrare in un caso del genere. Sono ampiamente reperibili ovunque versioni delle note birre di Lipsia e Berlino, rispettivamente, ma le interpretazioni con aggiunta di frutta e commistioni tra ceppi sono talmente all’ordine del giorno che risulta paradossalmente difficile bersi una versione tradizionale, se non tornando agli esempi originari o ai pochi in commercio che si mantengono sul classico.
Questo controsenso è indicativo di quanto le mode possano travolgere anche birre che non si pensava potessero subirle per eccesso di considerazione, invece che per l’oblio che qualche decennio prima le aveva condannate.
Ed estendendo queste considerazioni in termini di reperibilità e classicità, possiamo anche dire che irish red ale, english IPA, perfino golden ale e le tanto snobbate weisse e helles sono ormai più di al di là che al di qua della
staccionata e della linea di demarcazione tra cosa ordiniamo volentieri in un locale e cosa no. È raro trovarne in tap list, raro che vengano proposte al pubblico sia negli esempi craft che con i nomi classici delle terre d’origine: soffrono di un’etichetta di vecchio e superato, che purtroppo rischia di relegarle in fondo alla lista dei desideri di noi bevitori, nonostante siano birre tutt’altro che noiose o sgradevoli negli esempi ben fatti.
La pressione omologante a cui assistiamo oggi nel mondo della birra artigianale si comincia a far sentire. Il momento difficile tende a premiare stili da successo sicuro, ma è importante cercare di riaprire nuovamente lo sguardo e rivolgerlo verso quello che, in un modo o nell’altro, si è perso per strada o non è mai stato considerato. C’è un mucchio di altri stili, qui non nominati, che vale la pena riconsiderare: potrebbe essere una nuova occasione per continuare a bere mantenendo uno spirito di ricerca della conoscenza.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 35 giugno 2024 STILI BIRRARI
★
Dampfbier, una inusuale birra bavarese ambrata, brassata con solo malto d’orzo e lievito “weizen”
BIRRE ARTIGIANALI ICONICHE BB10 di Barley, la capostipite delle Italian Grape Ale
36 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 BIRRE E BIRRIFICI di Andrea Camaschella
La prima Italian Grape Ale non si scorda mai. E la prima, molti anni prima che venisse riconosciuto il primo e finora unico stile italiano, fu la BB10 di Barley.
La BB10 fu prodotta sul finire del 2006 e comparve sugli scaffali e nei frigoriferi di pub e beershop nei primi mesi del 2007.
In realtà il percorso di questa birra iconica era iniziato molti anni prima, quando il futuro birraio, Nicola Perra, iniziò ad appassionarsi alle birre e soprattutto all’homebrewing e applicò la propria curiosità e attitudine a guardarsi attorno per avvalorare ciò che lo circondava anche alle produzioni casalinghe. La sapa è un ingrediente molto conosciuto e molto utilizzato in Sardegna, soprattutto per i dolci, e Nicola scelse di usarlo come ingrediente in alcune sue cotte.
Di cotta in cotta il progetto di aprire il birrificio si fece strada nei pensieri di Nicola. In altri casi si parlerebbe di sogno, ma il nostro ci ha abituati a una concretezza tale che lui non sogna: pensa e inizia a concretizzare e a realizzare!
Il viaggio Nicola lo porta anche in “continente”, in quel di Pavia, più specificatamente nella “Nave” - il tema marittimo e isolano non c’entra - sede della facoltà di ingegneria da cui ne uscì ingegnere idraulico. Il mio pensiero è che in realtà confermò, a sé stesso e al mondo, che lui ingegnere ci era nato ma la burocrazia richiede anche il foglio di carta… In ogni caso, in quel periodo la birra era una semplice passione, nata frequentando un pub di Cagliari, il Merlo, dove già sul finire nel 1985 si trovavano birre inconsuete: “il Merlo aprì nel 1984 mi pare, io iniziai a frequentarlo dal 1985” - racconta Nicola - “era il covo dei dark, risse spesso e volentieri… ma avevano birre che non avevo mai visto né assaggiato prima”. Il Merlo, con il passare degli anni, è rimasto fedele alla ricerca di birre diventando un punto di riferimento per chiunque passasse da Cagliari e volesse bere qualcosa di buono, io non ho mai visto una rissa, ma gli anni ’80, l’epoca di dark, metallari,
paninari e compagnia bella sono anche passati da un pezzo.
Il birrificio si concretizza nel 2005 con l’apertura della società Birrificio Barley srl e l’inizio dei lavori in quella che sarà la prima sede e che Nicola e il suo storico socio, Isidoro Mascia, seguono passo a passo. Il 9 agosto 2006 fu inaugurato l’impianto con la prima cotta in assoluto di Friska, la blanche di casa Barley, anche questa ricetta nata dalle cotte casalinghe e dalla ricerca di ingredienti reperibili facilmente, come il coriandolo, coltivato in Sardegna. La Friska è, ancora oggi, uno dei migliori esempi di Blanche e non solo in Italia. A seguire arrivarono la Sella del Diavolo che deve il nome a un promontorio al
centro del golfo degli Angeli che caratterizza lo sfondo di Cagliari, dominando la spiaggia del Poetto. Si tratta di una Bière de garde, originariamente tipico dell’area attorno a Calais, nel nord della Francia, non lontano dall’odierno Belgio. La Sella, anche in questo caso, fa da riferimento allo stile e fu una scelta coraggiosa visto che lo stile era piuttosto dimenticato e già allora oscurato dalle Saison belghe.
Terza cotta fu la Toccadibò (incitamento tipico in sardo rivolto a cani e soprattutto cavalli), una Belgian Golden Strong Ale in pieno stile, fruttata e facile da bere a scapito del suo generoso tasso alcolico (8,4% Alc.). Nel frattempo, Nicola si mise all’opera per prodursi
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 37 giugno 2024 BIRRE E BIRRIFICI
Nicola Perra
la sapa di Cannonau, usando le uve della famiglia del suo socio: cottura lenta, seguendo la ricetta della tradizione familiare, perché la sapa, come dicevo, è tipica delle famiglie sarde.
Degustazione BB10
Ed eccola lì, nel bicchiere, scura, tendente al nero, con intriganti riflessi rubino, sormontata da una schiuma beige a grana media, non particolarmente persistente; avvicini il naso al bordo del calice e subito è lei, la BB10! I profumi sono avvolgenti, inebrianti, un bouquet rotondo e complesso che gioca tra tostature, lieve torrefazione, fruttato, panificato, e ancora caramelli e spezie. Nello specifico si percepiscono sentori di prugna, albicocca, ciliegie sotto spirito, uva passita, fichi secchi, carrube, frutta secca come mandorla e noci di macadamia, sentori di cacao, cioccolato al latte, un lieve caffè, qualche guizzo di liquirizia, toffee, zucchero bruno candito e quella nota che il buon Simone Cantoni definirebbe “calotta di panettone” che a me invece, raccordata alle note speziate, ricorda il panpepato. Il tutto accompagnato da note vinose che portano nella zona di Madera e ai suoi tipici vini, dove l’ossidazione è puro piacere. Sì, anche qualche nota calda, etilica, fa capolino in mezzo a tutto questo ben di dio e fa da legante, amalgama ogni profumo, rende ancora più esplosivo il bouquet. Il sorso è caldo, dolce in apertura, ma in realtà i sapori ci sono tutti, più o meno nascosti, dall’amaro al salato fino all’umami e all’acidità, perfettamente amalgamati e bilanciati in un corpo pieno e dalla centratissima sensazione di secchezza sul finale. La frizzantezza è ben percepibile e fondamentale per godersela fino all’esplosione retrogustativa, lunga, persistente tanto quanto avvolgente e piacevole, in cui gusto, tatto e olfatto si integrano confermando le sensazioni positive del naso. Col passare
Altri tempi: oggi per la rintracciabilità la sapa arriva direttamente dalle cantine vinicole; in particolare, Barley collabora con Argiolas grazie al rapporto personale che Nicola ha instaurato con l’enologo
Mariano Murru, direttore di produzione dell’importante cantina di Serdiana, che si trova a una ventina di minuti di auto dal birrificio. Tra l’altro, viene prodotta secondo le specifiche concordate da
degli anni, in bottiglia, la degustazione si arricchisce attorno alle note ossidative, la frizzantezza cala, il corpo perde lievemente consistenza ma la bevuta si conferma di altissimo livello: diventa una questione di gusto personale decidere se berla appena uscita sul mercato o se aspettare e quanto aspettare.
La temperatura di servizio indicata è oltre i 15 °C, io preferisco iniziare a qualche grado in meno, attorno ai 10, lasciandola len-
tamente arrivare alle temperature preferite e consigliate da Nicola e godermi man mano lo svelarsi di nuovi profumi che arricchiscono il bouquet fino a completarlo.
Il bicchiere perfetto è il balloon, il classico bicchiere da Cognac (imprescindibile se apriamo una bottiglia vintage), in alternativa anche il tulipano. Se la sete è tanta, anche la pinta si può adattare, ma nel caso… Do it at home (fatelo a casa e non guidate né mandate messaggini…)!
38 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 BIRRE E BIRRIFICI
Nicola e Mariano e con macchinari che ne controllano il processo al millesimo, cosa che in birrificio non era possibile.
Argiolas vende, in una elegante e preziosa confezione da 25cl, la propria sapa anche al pubblico senza specificare però il vitigno di partenza che, nel caso della BB10, è 100% da uve Cannonau.
La BB10 è di base una Imperial Stout più nordamericana che inglese, come testimoniano i 10 gradi alcolici nel bicchiere. A stupire, sin da subito, fu il perfetto equilibrio tra i due mondi in questione, quello brassicolo e quello enologico.
È assolutamente una birra, arricchita, impreziosita, da note vinose che donano rotondità e grande profondità nella bevuta. Nicola ne riassume così l’evoluzione gustativa “la liquirizia è standard, il caffè da giovane, il cioccolato al latte esce dopo una lunga maturazione”.
Le BB e la loro storia
La serie delle BB racconta al meglio Nicola Perra, la passione per il proprio territorio, la conoscenza della - complessissima - biodiversità sarda e la capacità, che dimostra spesso anche in cucina, di usare gli ingredienti esaltando gli uni grazie agli altri, dimostrando una creatività e una concretezza al tempo stesso che mi portarono a definire “ingegneria emozionale” il suo metodo lavorativo, perché da un ingegnere in effetti non ti aspetteresti quella creatività che poi regala emozioni ad ogni sorso, una birra per l’altra.
La prima BB “professionale” fu la BB10 con sapa di Cannonau seguita a breve dalla BB Evo su base barley wine (inglese) e sapa di Nasco (antico vitigno autoctono tipico della zona attorno a Cagliari). La BB 9 nacque nell’ottobre 2011 con sapa di malvasia di Bosa e una base malti chiari e “la sfida più complessa” dice Nicola “fu interpretare l’Inachis, il vino della cantina che mi conferiva la sapa”. Nel 2014 è ancora la sapa di Nasco ma questa volta interpretata sulla base di una Double Blanche, a dare vita alla Baccus, nata per festeggiare i 10 anni di un locale di Villasimius, il Baccusardus,
e poi rimasta in linea visto che alla sua prima serata ne furono bevute un centinaio di casse! Nel dicembre del 2014 fu la volta della BB Boom con sapa di Vermentino e una freschezza insospettabile con i suoi 9 gradi alcolici. La prima BB con mosto fresco fu prodotta nel dicembre del 2015, si tratta della BB7 con mosto fiore da spremitura soffice di uva moscato, ovviamente locale, su base golden ale. In occasione del decimo compleanno del birrificio, festeggiato nell’agosto del 2016, Nicola realizzò la BB Anniversario, una Scotch Strong Ale con aggiunta di sapa di Nasco. La prima cotta della BB6 fu a gennaio 2017, con mosto fresco di malvasia di Cagliari mentre a ottobre vide la luce la BB5, base Saison, con mosto fresco di Nuragus. Pochi mesi più tardi, nel marzo del 2018 fu la volta della BB Duck, nata per I 18 anni del Drunken Duck di Quinto Vicentino, una one shot con mosto fresco di Vermentino.
La Verblonde, prodotta nel marzo del 2019, sempre con mosto fresco di Vermentino, è invece una delle referenze costanti. Nel marzo 2019 Nicola torna a lavorare con l’uva Cannonau, usando però il mosto fresco, realizzando la RedNau, una Amber Ale con una base di malti molto simile alla Sella del Diavolo. Il mosto fresco di uve Carignano è invece protagonista della Arrevescia, nel novembre 2019, il nome, in dialetto campidanese, si riferisce alla scontrosità rilevata in produzione, con una fermentazione primaria che si protrasse per 42 giorni più che al sorso. In pratica ci mise più a fermentare che a sparire, una volta messa sul mercato, dalla cella del birrificio! Cambiano i vitigni e il metodo di utilizzarli, sapa o mosto fresco ma non cambia, mai, la filosofia di base: l’uva arrotonda, aggiunge ma non prende il sopravvento. Una referenza per l’altra non c’è mai dubbio, si beve una birra.
Un’occasione per studiare
Il periodo del Covid, dei lockdown, delle attese estenuanti che si riprendesse-
ro turismo e, di conseguenza, i locali di mescita, è stato sfruttato da Nicola per studiare ancora più a fondo ogni dettaglio della fermentazione e della maturazione: “è stato un percorso lungo alcuni anni a partire dall’introduzione quasi 9 anni fa della BB7, dove la produzione di tioli da secondari di fermentazione derivanti dall’uva doveva avere un’adeguata emersione” - ci dice Nicola - “Il Covid mi ha aiutato, avendo tempo per studiare un po’ di enologia, mentre eravamo rinchiusi in casa: ho notato che certi descrittori
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 39 giugno 2024 BIRRE E BIRRIFICI
BB Arravescia, l’ultima nata tra le IGA di Barley
hanno bisogno di tempo in maturazione lenta per venire fuori, come appunto i grandi vini bianchi, senza concedere spazio all’ossidazione ma unicamente all’ arricchimento olfattivo e gustativo”. Ora in cantina si seguono processi ancora più accurati e lunghi e questo ha prolungato la vita di ogni birra - non la scadenza, intendo proprio il momento di massimo valore gustativo - e di parecchio. Nonostante si partisse già da prodotti dalla qualità controllata e costante nel tempo: ora ogni referenza - e ancor di più le BB - è una birra evoluta (per profumi e sapori) e fresca al tempo stesso. In generale il birrificio era partito già con un livello molto alto ma Nicola non si è mai seduto sugli allori, anzi ha sempre lavorato e studiato per migliora-
re ogni minimo aspetto per raggiungere un livello che rasenti la perfezione. Poi, essendo lui sempre ipercritico con sé stesso, siamo certi che la ricerca continuerà sempre. Lo dimostra anche la scelta presa nel momento in cui il primo birrificio iniziò ad andargli stretto per i volumi che il mercato gli richiedeva, anziché spostarsi decise di raddoppiare il birrificio mantenendo il vecchio per dedicarlo alle BB e altre birre speciali. Districarsi tra due unità produttive, per quanto non lontane tra loro, comunque non contigue, aggiunge fatica a un lavoro già di per sé impegnativo, eppure assaggiando le birre non si può che dargli ragione.
Il birrificio, anzi i (due) birrifici Barley viaggiano sicuri sotto la guida di Isi-
doro e Nicola, ogni passo è ponderato. In produzione Nicola non demanda se non lo strettissimo necessario ma è sempre presente e sul pezzo e soprattutto non è mai capitato che Isidoro potesse vendere una birra che Nicola non avesse decretato come pronta. Le etichette sono immediate, i nomi, anche quando giocano sul dialetto e spesso sono parole sconosciute, sono facili da ricordare o mettono curiosità per capirne il significato. A oggi le birre disponibili della linea Italian Grape Ale conta 11 etichette (oltre alla Baccus che però è in esclusiva per Baccusardus) mentre la linea base conta 8 referenze. Tutte rigorosamente in bottiglia: dal birrificio Barley non è mai entrato e tanto meno uscito un fusto! ★
40 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 BIRRE E BIRRIFICI
Produrre BB10 a casa propria
Ricetta per 23 litri
Malto Maris Otte 6.3 kg
Malto Crystal 150 1.2 kg
Fiocchi d’avena 0.5 kg
Malto Special B 0.4 kg
Malto Cara Vienna 0.4 kg
Malto Chocolate 0.3 kg
Sapa (*) Uva Cannonau 1.0 kg
Rapporto acqua/malto 3:1
Sparge: 1° mosto (60% circa del totale), poi sparge in due parti (25% + 15%)
Luppoli - Bollitura 60 minuti
pH a fine bollitura a circa 5,15
Lievito: Safale S04
Temperatura fermentazione:
20 °C. Quando la densità è attorno ai 6 °P (1.023) pausa diacetile per 2 giorni a 16 °C, poi discesa T di 3-4 °C al giorno sino a 1 °C. Sosta a 1 °C per 5 mesi.
pH birra all’imbottigliamento: 4,2 circa. Imbottigliare con 5,5 g/l di destrosio e lievito per rifermentazione F2. Rifermentazione per 4 settimane a 20 °C. Affinamento per almeno 5 mesi a 16 °C.
°P (1.099) FG: 5 °P (1.020)
Grado alcolico: 10,2
Temperatura di servizio consigliata: 15 °C
(*) Mosto cotto a lungo, ottenuto da uve colte in vendemmia quasi tardiva: da circa un quintale d’uva si arriva a circa 50 litri di mosto e poi a 10,5 litri di sapa finale.
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 41 giugno 2024 BIRRE E BIRRIFICI IBU: 30 Colore: 50 EBC OG:
23,5
Mash in 54 °C 10 min Beta amilasi 62 °C 10 min Alfa amilasi 69 °C 80 min Mash out 78 °C 10
min
Cascade 35 g 7 AA 60 min EK Goldings 46 g 5 AA 15 min
LA C U LTURA BIRR A RI A N E LL E AN TI CH E C IVI LT À
Pensieri, abitudini alcoliche e dinamiche sociali dai Sumeri alla caduta dell’Impero Romano d i S im on m att i a R i v a
In qualsiasi angolo del mondo una birreria è probabilmente il luogo in cui più facilmen può capitarvi di fare nuove conoscenze iniziando a conversare con per fet ti sconosciuti.
Perché lo spumoso net tare di malto e luppolo esibi un potere socializzante che nessun’altra b possa eguagliare? La risposta non risiede nella presenza, peraltro estremamente modica, di alcol, ma deve necessariamente coinv più profondi e istanze vitali che accompagnano donne e uomini fin dagli albori della civiltà.
Questo libro, per la prima volta, prova a me a confronto storie, pensieri e abitudini al dei popoli antichi alla ricerca di una trac
ISB N 978-88-6895-286-0
Pagin e 200 | BN
P rez zo 18,90 euro
www.edizionilswr.it edizioniLSWR seguici su
QUI SI FA LA RIVOLUZIONE? Analisi del crowdfunding di Baladin
Un nuovo modo di vedere (e bere) la birra artigianale
Aspettavo impaziente un assist dal mondo dell’imprenditoria birraria e quel volpone di Teo Musso, che vede ancora molto lungo, me l’ha servito su un piatto d’argento: il tema di oggi, che è già sulla bocca di tutti, è il crowdfunding del Birrificio Baladin. Sono venuto per la prima volta a conoscenza di questo fenomeno tra le aule
dell’università. Ne sono rimasto talmente folgorato da decidere di farne l’oggetto della mia tesi di laurea, portando come caso di studio il celebre Equity for Punks di Brewdog. Da allora sono trascorsi quasi dieci anni ed ecco un altro caso che sta facendo parlare molto di di sé, e che ritengo valga la pena analizzare più da vicino. Partendo dalle basi.
Che cos’è il crowdfunding
Il crowdfunding è un modello di micro finanziamento dal basso che consente a singoli o collettivi, siano essi a scopo di lucro o meno, di reperire risorse attraverso il contributo di molti. In pratica è una raccolta fondi, anche se i più maliziosi - per non dire i più invidiosi - la considerano alla stessa stre-
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di Matteo Malacaria
gua dell’elemosina. A parte che anche l’elemosina può prevedere l’impiego di arte e astuzia, rimane il fatto che il crowdfunding gioca in un campionato a parte. Un campionato un po’ più impegnativo, diciamo, tant’è che entrano in gioco, nel ruolo di facilitatori dell’incontro tra imprenditori e investitori, le piattaforme di crowdfunding.
Uno per tutti e tutti per uno, anche di crowdfunding ne esistono diversi, differenti sia per obiettivi che per funzionamento. Quando non si specifica diversamente, quasi sicuramente si fa riferimento all’equity crowdfunding, che veicola la raccolta fondi alla ripartizione di titoli di proprietà d’impresa (azioni). Tuttavia esistono anche il donation crowdfunding, che prevede la raccolta fondi per beneficenza, oppure il reward crowdfunding, che veicola la raccolta al rilascio di ricompense, di solito proporzionali all’entità del contributo ricevuto; e infine il lending crowdfunding, una sorta di prestito tra pari, alternativo al tradizionale prestito bancario, di cui eredita la disciplina (e il tasso d’interesse) al netto delle garanzie fideiussorie.
La differenza tra le varie tipologie è importante anche per il fisco: mentre il donation crowdfunding non è tassato né è soggetto a IVA (e chi dona può detrarre o dedurre l’importo donato), i proventi derivanti dalle altre forme assimilabili a investimento sono tassati al 26%, alla stessa stregua dei prodotti finanziari (a meno che siano previsti sgravi fiscali).
Una svolta nel mondo della birra
Oggigiorno sempre più imprese (e imprenditori) ricorrono al crowdfunding per portare avanti le proprie iniziative. In Italia mancava un esempio birrario con dimensioni finanziarie importanti. Tuttavia, lo scorso 14 febbraio il birrificio Baladin comunica in conferenza stampa il lancio della campagna di equity crowdfunding, annunciando un obiettivo di raccolta massimo di 5 milioni di euro. La raccolta fondi è de-
stinata a supportare un progetto quinquennale finalizzato all’aumento della capacità produttiva del birrificio, alla nascita di Open Hub, un birrificio condiviso con sede a Bernareggio, con cui collaborano cinque birrifici italiani (Altavia, Birra Perugia, MC77, Opperbacco, Ritual Lab), e un progetto di economia circolare legato alle risorse idriche, che prevede la costruzione di un pozzo adiacente al birrificio per consentire il raggiungimento dell’autonomia nell’approvvigionamento dell’acqua e il successivo recupero dell’acqua impiegata nelle varie fasi produttive.
Il 5 marzo comincia quella che è stata ri-ribattezzata - lo stesso nome era già stato utilizzato in precedenza, ma evidentemente repetita iuvant - Beer Revolution: apertura della campagna di
raccolta fondi sul portale Mamacrowd, con l’impegno di portare il fatturato tra i 34 e i 49 milioni di euro di euro entro il 2028 (partendo da 16 milioni realizzati nel 2022) e la produzione da 25.000 a 50.000 hl annui nel solo impianto di Piozzo, in aggiunta ai 50.000 hl del birrificio di Bernareggio, ancora da mettere in funzione.
Il 6 marzo, dopo neanche 24 ore dalla partenza, la campagna di crowdfunding raccoglie 2,5 milioni di euro, praticamente metà della raccolta. E basta questo per dire che Baladin ha già centrato l’obiettivo, riuscendo a convincere circa 800 investitori, che è sicuramente un pubblico molto più succoso di quello dei rosiconi che ancora oggi si dedicano al social-vilipendio, gridando alla “poracciata”. Morale della favola:
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 45 giugno 2024 MARKETING
il progetto piace a tutti - perlomeno a oltre 2.000 - e unisce appassionati e investitori, tutti insieme ribattezzati “baladiniani”, raggiungendo l’obiettivo della raccolta fondi in soli sei giorni. Il che è doppiamente sorprendente se si considera che nel 2016 Baladin aveva già tentato un’operazione simile per supportare lo sviluppo del proprio stabilimento, raccogliendo con fatica 80.000 euro pari a meno della metà dell’obiettivo.
Fino a qui è tutta roba che si può leggere o ascoltare altrove, il bello comincia adesso. Perché il “turno” di raccolta fondi non per nulla si chiama round, proprio come nel pugilato, dove ogni round è una battaglia. E per vincere una battaglia occorre una solida strategia, oltre a una buona dose di allenamento.
Baladin, Teo Musso e anche suo figlio Isaac, entrambi volti del crowdfunding, hanno saputo fare uso di entrambi.
La Comunicazione
Partiamo dal chiarire che il crowdfunding in questione non è esattamente l’equity che vuole lasciare intendere. Per chi non lo sapesse, Baladin non è una società per azioni e in quanto tale non possiede azioni, bensì quote. Sicuramente in futuro l’obiettivo di Baladin è la quotazione in borsa, il che significa che ambisce a diventare una società con un azionariato diffuso. Tuttavia allo stato attuale, e ai fini dell’incremento di capitale, verrà ceduto solo il 10% della proprietà, lasciando il grosso (e il controllo) nelle mani della famiglia Musso al 70%, con una partecipazione mino-
ritaria, ma comunque significativa, di Oscar Farinetti (esatto, proprio quello di Eataly) per il 16%.
Oltre a questa precisazione vorrei sottolineare che un crowdfunding di successo necessita di almeno quattro ingredienti chiave, che potrei definire le 4C: Comunicazione, Coinvolgimento, Carisma.
La comunicazione di Baladin è riuscita laddove l’intero comparto della birra artigianale fatica, vuoi per scarso entusiasmo nell’argomentazione, vuoi per vero e proprio disinteresse da parte dei birrifici stessi, i quali preferiscono mantenere un basso profilo. Peccato, perché una comunicazione sincera, chiara ed entusiasta non lede certamente gli interessi di un birrificio, né tantomeno fare business mina la sua integrità. Al
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contrario apre le porte al grande pubblico, lo stesso dietro il quale - udite, udite! - si nascondono i grandi capitali. Buttali via!
La variabile del Coinvolgimento
Il crowdfunding per come è inteso oggi esiste proprio perché i social, rompendo le barriere di demarcazione tra gli interlocutori, mittenti e destinatari, avvicinano le persone, sicché le stesse si sentono parte di un progetto e non vedono l’ora di saltare a bordo, di essere fieri di dare il proprio contributo per una grande causa. Il ritorno economico dell’investimento è importante, certo, ma non è tutto. Lo dico per esperienza diretta - il mio primo libro è frutto di un progetto di crowdpublishing, una for-
ma di crowdfunding per l’editoria - una campagna aumenta significativamente le possibilità di successo quando raggiunge almeno il 20% dell’obiettivo nel giro dei primi due giorni. In pratica chi ben comincia è a metà dell’opera. Non importa che i primi a donare siano capitalisti, parenti oppure amici, l’importante è coinvolgere uno “zoccolo duro” che dia un segnale forte e chiaro: il progetto spacca. E se piace alla massa piacerà anche agli investitori, i quali non sono abbastanza sciocchi da seguire il gregge, ma certamente sono abbastanza furbi da distinguere un pastore vincente. Insomma, coinvolgere è sicuramente una delle principali sfide che deve affrontare chi decide di ricorrere al crowdfunding. In pratica l’unica maniera per convincere le persone a dare
soldi a un perfetto sconosciuto è riuscire a fare sentire quelle stesse persone fondamentali per il progetto di cui sono parte integrante.
L’importanza del Carisma
Il che conduce al terzo pilastro di un buon crowdfunding, il Carisma. In questo caso mi rivolgo all’imprenditore, non più al progetto, ossia a colui che incarna l’impresa e si fa carico di interpretarne gli umori, raccontandone le gesta in prima persona. Banalmente, come si sente tanto spesso dire, l’imprenditore è colui che ci mette la faccia. Teo Musso è imprenditore da sempre e da sempre ci mette la faccia, e per questo motivo da sempre viene considerato un esibizionista, un artista da palcoscenico. Chissà cosa ne pensano oggi quelle
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stesse persone, oggi che la professione dell’influencer o del social media coso è stata sdoganata, oggi utilizzare stories su Instagram è la quotidianità di chi utilizza la propria immagine per rastrellare cinque milioni di euro. Il fatto che Teo, in questo caso insieme a suo figlio Isaac, sia riuscito a convincere quasi 2.200 persone a cacciare di tasca dei soldi per finanziare un progetto che non appartiene loro, per “scommettere” su quella che allo stato attuale è soltanto una possibilità - pur supportata da alcuni numeri rincuoranti - dovrebbe rendere l’idea di quanto questo imprenditore, contrariamente a quel che dicono i suoi detrattori, ha carisma da vendere. E a differenza delle precedenti condizioni il
carisma è una dote che non si acquisisce, col carisma ci si nasce. Al più si può imparare a utilizzarlo e fare uso, ma certamente la dotazione iniziale è ciò che distingue un imprenditore mediocre da un grande imprenditore.
Le condizioni per il successo Insomma, queste sono solamente alcune delle condizioni necessarie a un crowdfunding di successo, tuttavia a mio avviso Baladin ha tutte le carte in regola per trasformare quest’opportunità in qualcosa di concreto. In attesa di conoscere gli sviluppi posso già affermare con certezza che l’intero comparto ne sta già beneficiando: sia perché si è scrollato di dosso un po’ di vecchiu-
me, lo stesso di chi rimane fossilizzato in una posizione senza migliorarsi; e poi perché il caso Baladin ha dimostrato che attorno alla birra ruota un interesse diffuso, che va ben oltre i quattro gatti che frequentano le birrerie e che si divertono a collezionare recensioni. C’è un mondo, là fuori, ancora da esplorare, e chissà che questo monito non sia il lascito delle vecchie alle nuove generazioni. Anche se di vecchio le precedenti generazioni hanno solo l’età, visto che lo spirito si mantiene arzillo e fa le scarpe anche alle più giovani.
Manca qualcosa? Ah sì, la quarta C. Bè, è facile intuire di cosa si tratta: si dice che la fortuna aiuta gli audaci, ma anche una buona dose di C… non guasta! ★
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TURISMO BIRRARIO
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DA GENOVA A CAMOGLI lungo la via Aurelia
La Liguria non è solo Genova. Fuori dalla città portuale si apre un dedalo di strade e paesini arroccati lungo il mare attraversati dall’antica Via Aurelia, millenaria strada che in età romana partiva da Roma caput mundi, per giungere alla cittadina francese di Arles. Il viaggio di questo numero si snoda proprio partendo da questa antica arteria e ci presenta le zone da Boccadasse a Camogli.
L’itinerario che vi presento è inserito nel volume dedicato al Nord Ovest dell’Italia di Turismo birrario - Guida per viaggiatori in fermento curato da Luca Grandi con il contributo di Alberto Calderoni, Gabriele Navoni, Andrea Camaschella pubblicato nel 2023, da Edizioni LSWR.
Boccadasse
Se il nome di questa località vi ricorda qualcosa non vi sbagliate affatto; è
proprio qui che Andrea Camilleri scelse di far vivere il personaggio letterario di Lidia, storica fidanzata del commissario Montalbano, che periodicamente raggiungeva la Sicilia nel tentativo di tenere viva la sua relazione a distanza.
Lontana appena 5 chilometri dal centro cittadino di Genova, giunti qui ci si rende subito conto di essere arrivati in un mondo a parte che nulla ha a che vedere con l’antico ed isolato borgo di pesca-
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di Mirka Tolini
tori. Ad accogliere i viaggiatori saranno i colori delle case che si affacciano sul mare e l’imponente Castello Türcke che le sovrasta. L’edificio dallo stile eclettico che mescola memorie medievali e neogotiche pensato dall’architetto, scultore e decoratore Gino Coppedè, è stato completato nel 1903 e ancora oggi svetta con le sue trifore decorate e le torri nella piccola insenatura.
Quarto dei Mille
Proseguendo verso sud, sempre sulla via Aurelia, si trova la località di Quarto da cui, il 5 maggio 1860, Giuseppe Garibaldi partì con un gruppo di soldati dalle camicie rosse direzione Marsala per quella che sarebbe stata poi conosciuta come “la spedizione dei Mille”. Il monumento che commemora la partenza dell’eroe dei due mondi è stato inaugurato nel 1915 da Gabriele D’Annunzio in persona.
Nervi
Proseguendo nel nostro itinerario, fatti pochi chilometri si giunge nella ridente località di Nervi la cui passeggiata sul mare è intitolata ad Anita Garibaldi. Tra queste strade, un tempo periferia della città di Genova, è possibile ammirare ciò che rimane delle costruzioni risalenti alla belle époque, dove i membri dell’alta
società genovese ed internazionale erano soliti trascorrere gli inverni. I Musei di Nervi (la Galleria d’Arte Moderna di Villa Saluzzo Serra, le Raccolte Frugone di Villa Grimaldi Fassio, il Museo Giannettino Luxoro e Wolfsoniana) rappresentano un vero e proprio museo diffuso dove ogni angolo di questa località merita di essere conosciuto e visitato per ammirare quadri, sculture, pezzi di antiquariato
e manufatti decorati espressione dei diversi movimenti artistici di fine Ottocento e inizio Novecento.
La stazione di Sant’Ilario
Se state pensando al ritornello di Bocca di Rosa di Fabrizio De Andrè non vi siete sbagliati! Percorrendo la passeggiata Anita Garibaldi si arriva proprio alla stazione dismessa di Sant’Ilario il cui edifi-
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 51 giugno 2024 TURISMO BIRRARIO
Una delle torri del Castello Türcke a Boccadasse
Il monumento dedicato alla spedizione che portò all’Unificazione d’Italia
L’ingresso in stile liberty di Villa Saluzzo Serra
cio giallo merita una sosta ed una foto ricordo.
Recco
Riprendiamo l’itinerario e ci dirigiamo a Recco per degustare la tradizionale focaccia IGP ripiena di crescenza. Immancabile prima una sosta per ammirare i campanili, come quello di Santa Margherita a Sori, e le crêuse, i viottoli liguri che dal mare risalgono verso l’entroter-
ra. A fare da cornice a questo suggestivo paesaggio è il giallo delle mimose e delle piante di limoni che donano colore ma soprattutto avvolgono i viaggiatori con un profumo inebriante.
Camogli
Destinazione del nostro viaggio è una tra le località più rinomate della Riviera di Levante e maggio è certamente il periodo migliore per visitarla perchè il sole scalda, i profumi riempiono l’aria e le spiagge ma soprattutto perché si svolge la festa patronale di San Fortunato che coincide con la popolare sagra del pesce che vede posizionare una enorme padella di diversi metri di diametro che ospiterà tonnellate di pesce da friggere e distribuire. Scenografici i palazzi e i colori di questa località che non mancherà di farvi venire voglia di tornarci presto! Poichè il tour vi avrà fatto di certo venire sete, immancabile, tornati a Genova una sosta in via Fegino dove ha sede la fab-
brica di Birra Cervisia nata dalla passione di due colleghi prima e amici poi che nel 2008 hanno deciso di trasformare la loro passione comune in una professione dando così vita al birrificio Maltus Faber a cui è poi seguito La Coccagna, un gastropub dove è possibile degustare le birre prodotte accompagnandole con una cucina ricercata e di alto livello.
Birrificio Maltus Faber Produzione via Fegino, 3/G 16161 Genova (GE) www.maltusfaber.com
La Coccagna (pub e ristorante) via Coccagna, 17R 16128 Genova (GE) www.facebook.com/lacoccagna
L’itinerario completo lo trovate su “Turismo birrario - Guida per viaggiatori in fermento” Nord Ovest di Alberto Calderoni, Gabriele Navoni, Andrea Camaschella, a cura di Luca Grandi. Edizioni LSWR.
52 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024
TURISMO BIRRARIO
Le origini della focaccia di Recco IGP risalgono al 1189, all’epoca della Terza Crociata.
I colori sgargianti dei palazzi di Camogli servivano ai pescatori per riconoscere, al ritorno dalle battute di pesca, casa loro
Le guide Le guide Le guide
IL MANUALE DEL BIRRAIO
Il testo più completo e autorevole sulla scienza e la pratica della birrificazione, riferimento indispensabile per tutti e per gli studiosi della materia. Illustra i principi alla base del processo di produzione della birra, dalla maltazione all’ammostamento, all’utilizzo del luppolo e del lievito.
Il volume approfondisce inoltre le fasi della fermentazione, i pericoli di contaminazione, la maturazione, l’imbottigliamento influenze sul gusto finale della birra.
Particolare attenzione è dedicata anche ingegneristici e tecnologici, per offrire teoriche e pratiche all’azienda birraria e piccole dimensioni.
ISBN 978-88-6895-767-4
Pagine 392 | 2 Colori
Prezzo 59,90 euro
BIRRE ALLE CASTAGNE, nostro patrimonio culturale
La nascita di un movimento legato alla produzione delle birre artigianali nel nostro paese si fa unanimemente risalire a metà degli anni Novanta. Così come avvenne una ventina d’anni prima per i primi birrai americani, protagonisti dell’esaltante Craft Beer Renaissance, i nostri pionieri iniziarono ispirandosi a stili di birre
scoperti, vere e proprie illuminazioni, in viaggi all’estero: solo per fare i due esempi più emblematici, la Germania come nel caso di Agostino Arioli per il suo Birrificio Italiano e il Belgio come nel caso di Teo Musso per il suo Le Baladin.
Ben presto però l’originalità, la creatività e la fantasia tipica di noi italiani
portarono detti pionieri e i primi che li seguirono, prima a interpretazioni personali degli stili classici ma subito dopo, e poi sempre più, a creare birre caratterizzate dall’utilizzo di ingredienti locali strettamente legati alla sconfinata ed impareggiabile biodiversità che il nostro paese può vantare. Abbiamo un numero impressionante di
54 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 TERRITORIO
di Lorenzo “Kuaska” Dabove
birre legate al territorio, tutte, doveroso specificarlo, pensate e nate sia per sfruttare il nostro patrimonio di diversità sia per mettersi in gioco. Nessun famolo strano quindi ma la voglia e la capacità di sperimentare nuovi aromi e sapori. Ed ecco arrivare birre con cereali, erbe, ortaggi, legumi, frutti che prima la maggior parte di noi non sapesse nemmeno che esistessero e che, anzi, proprio grazie a queste nuove birre locali, sono tornati in auge per vivere una sorta di resurrezione.
Nessuno o quasi conosceva, all’infuori degli indigeni, cereali come la saragolla, la romanella o il grano arso della Puglia, piante come il sommacco della Sicilia, frutti come la pompia della Sardegna per non parlare degli innumerevoli vitigni che coprono tutta la penisola!
Un mondo di castagne
Potrei citare mille esempi, da nord a sud, isole comprese, ma ne ho scelto uno davvero emblematico. Sapevate che Riccardino Franzosi per la sua straordinaria Quarta Runa avesse recentemente sostituito la classica e rinomata pesca di Volpedo con una bianca varietà, sottratta all’oblio, chiamata Guidobono che
nessuno voleva più coltivare perché appena toccata diventa nera e da buttare? Ma qual è stato il primo ingrediente utilizzato dai nostri birrai artigiani legato a questa biodiversità cui andiamo giustamente tanto orgogliosi? Risposta facile: la castagna, anzi le castagne, tutte locali, tutte diverse e oltretutto ricorrendo a svariati modi di utilizzarle. Geneticamente il marrone è uno, anche se poi sono presenti variazioni locali, mentre per le castagne i numeri sono incerti tra 300 e 450 varietà presenti in Italia. Nel registro nazionale sono al momento iscritte complessivamente 232 cultivar di castanea sativa ma non tutte le varietà presenti sui territori sono state iscritte al registro nazionale.
Sembra assurdo dirlo ma noi non ce ne eravamo resi conto e paradossalmente fu il grande, in tutti i sensi, degustatore ed esperto svizzero Laurent Mousson a comunicarcelo! Infatti, a inizio terzo millennio, Laurent, amico mio e dell’Italia, veniva a Piozzo a far parte della giuria del concorso estivo per homebrewers e ogni anno visitando birrifici e beer shops trovava sempre più birre con castagne.
Finalmente, consapevoli di aver inventato una sorta di primo “Made in Italy”
in campo birrario, i nostri artigiani sempre più spesso aggiunsero, alla loro gamma, birre con castagne: nel 2006
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 55 giugno 2024 TERRITORIO
Beltaine, birrificio dedicato alle birre con castagne
Strada San Felice di Grado Plato
e nel 2007 vennero trionfalmente celebrate tramite due edizioni, da me condotte, di una fondamentale manifestazione denominata “Rassegna Italiana sulla birra alle castagne” organizzata da Sergio Ormea nel suo microbirrificio Grado Plato di Chieri, nelle colline torinesi.
La prima edizione, un vero e proprio, coraggioso “numero zero”, 17 gennaio 2006, vide la presenza di 6 birrai con 9 birre mentre nell’esplosiva seconda edizione, 26 febbraio 2007, salirono sul palco 14 birrai presentando 20 birre alle castagne! Trovate un accurato report nel sito Mondobirra.org creato da Marco Tripisciano, che non ringrazieremo mai abbastanza per il supporto dato, sin dagli albori, al nostro giovane movimento.
Un’idea coraggiosa
Dopo i fasti del primo decennio del terzo millennio, le birre alle castagne hanno conosciuto un inarrestabile periodo di decadenza imputabile, secondo molti osservatori, all’avvento sempre più imperioso delle IPA amarissime con aromatici aggressivi luppoli americani, neozelandesi e australiani. Così come per le birre al miele, quelle alle castagne sono state vittime di pregiudizi totalmente sbagliati in quanto generati dal considerarle genericamente tutte simili senza tener conto delle diversità individuali. Frasi del tipo “sono pesanti, di non facile beva, dopo una mi stanco e non ne desidero una seconda” oppure “sono troppo dolci e stucchevoli, mi fermo alla prima o forse non parto nemmeno” non avevano alcun senso
ma ne hanno probabilmente causato la disaffezione e il conseguente decremento nel numero.
Anch’io, lo confesso, avevo ritenuto queste birre o, meglio, la tendenza di queste birre, più che in fase calante addirittura vicine, non dico alla scomparsa, ma ormai relegate in un loro angusto, ridotto spazio. La cosa mi dispiaceva perché si rischiava seriamente di perdere il primo esempio di una peculiarità tutta nostra nel fare le birre. Ma, per fortuna c’è un ma.
Nel marzo 2023 venni invitato da carissimi amici di lunga data della zona del lecchese a una cena organizzata da loro conoscenti legati da infinita passione per il loro paese, Piuro, e per la Valchiavenna e, in particolare, per le loro castagne che da qualche tempo avevano cominciato a utilizzare anche per fare birre presso il birrificio Dulac di Galbiate, sinonimo di qualità e affidabilità.
Bella serata, ottima cena, compagnia piacevole e birre davvero molto buone. Nacque istantaneamente un feeling tra noi che portò ad un’idea coraggiosa ma che piacque a tutti, quella di organizzare il primo Campionato Nazionale di birre alle castagne. Ci lasciammo, al momento dei saluti, con la promessa di non lasciar cadere il progetto e di sentirci a breve. Cosa che puntualmente avvenne tramite un collegamento in videoconferenza con tutte le componenti che si rivelò subito molto produttivo anche grazie al giovane e dinamico sindaco Omar Iacomella, innamorato del suo paese e che darà il sostegno della Comunità Montana della Valchiavenna, comuni di Piuro e Chiavenna, BIM dell’Adda sotto il coordinamento del Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna e con il patrocinio di IERSAF Lombardia.
Il primo Campionato Nazionale di birre alle castagne
Avevamo le idee chiare, dovevamo pensare in primis ai birrifici in gara,
56 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 TERRITORIO
Bastarnà di Montegioco
lavorando alla stesura di un regolamento vestito sulle loro esigenze e volevamo pensare anche agli appassionati, sia neofiti che sperimentati, per rendere il più attraente ed appagante possibile il programma della fatidica giornata.
Mi resi subito conto di aver a che fare con autentiche “cinture nere”, a partire da Mauro Bongianni, presidente Associazione Fondiaria del Comune di Piuro e Mauro Gerosa, presidente Castanicoltori Lario Orientale. Come se non bastasse entrò in squadra anche il Dott. Claudio Cantini, primo tecnologo CNR e capo panel AFC (Assaggiatori Farina di Castagne). I tre luminari terranno dei seminari di grande interesse durante la mattinata mentre la giuria lavorerà in un ambiente adatto, coadiuvata e supportata alla grandissima da volontari di lunga esperienza come i carissimi amici e storici discepoli Antonio Gaddi e Michele Oluic mentre l’insostituibile Cristina Rusconi avrà il fondamentale compito di far da tramite con i birrifici in gara.
Ognuno si sarebbe occupato del proprio campo di competenza e mi fu data carta bianca per tutto ciò che riguardasse il concorso, dalla composizione della giuria, con l’ideazione di una specifica scheda su cui farla lavorare, alla suddivisione delle birre in gara secondo criteri legati al tipo di fermentazione, tecnica di produzione, utilizzo della castagna, grado alcolico e così via. Prendevo in carico anche il cerimoniale della premiazione mentre gli organizzatori hanno pensato a una cena di altissimo livello con chef locali, da tenersi la sera della vigilia, con quattro portate abbinate a quattro birrifici della zona: Legnone, Pintalpina, Dulac e Lariano.
Stabilimmo data e location. Domenica 16 giugno 2024 nel prestigioso Palazzo Vertemate Franchi di Piuro, autentico gioiello del ‘500, che sarà eccezionalmente aperto per visite guidate così come sarà fruibile il bellissimo parco
esterno sperando in una bella giornata di sole. Il 21 marzo abbiamo effettuato tutti insieme, accolti dal sindaco, un sopralluogo dal quale sono tornato con gli occhi pieni di tanta bellezza e con la consapevolezza che faremo qualcosa di straordinario.
Le birre artigianali italiane alle castagne non sono estinte! Lo prova l’interesse che hanno suscitato le mie affollate degustazioni presso gli stand del
Birrificio La Petrognola e Luppolajo Farmhouse Brewery durante Beer and Food Attraction di Rimini nel febbraio scorso.
Sono certo che questo primo campionato darà nuovo impulso a questo stile di cui noi italiani dobbiamo essere gli orgogliosi depositari. ★
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 57 giugno 2024 TERRITORIO
Troverete tutto e di più al sito www.infopiuro.it
Marron di Petrognola
FARSI UNA BIRRA coi Grateful Dead
Precursori del merchandising in ambito musicale, i Grateful Dead possono fregiarsi anche di una birra che porta il nome di uno dei loro album più iconici. Si chiama, infatti, American Beauty Hazy Ripple IPA, una India Pale Ale non filtrata, prodotta con farro e una speciale varietà di lievito per accentuare l’aromaticità del luppolo. Quella che Sam Calagione, fondatore di Dogfish Head, ha creato è una birra
psichedelica, e altro non poteva essere visto che siamo al cospetto della band portavoce del movimento psichedelico di quei fantastici anni ’60. Con una gradazione alcolica di 7,0% questa American Beauty è una vera esplosione di note di frutti tropicali e agrumi ed è ideale per mettersi all’ascolto di un disco dei Grateful Dead, come può essere il live “Europe ’72”, uno dei più amati dal nutrito fan club della band californiana.
Chi sono i Grateful Dead
La miglior rock band di sempre? Domanda complicatissima, ma per me la risposta è e rimane sempre una: Grateful Dead. Qualcuno storcerà il naso, se vogliamo possiamo anche dire che forse - e ripeto forse - non sono tecnicamente i più bravi, certamente non i migliori sotto l’aspetto vocale, ma prendendo la globalità delle cose che hanno fatto, per come l’hanno fatto e per quello che ancora oggi rappresentano per una vasta fetta di pubblico non riesco a scalzarli (e manco voglio farlo) da quel gradino più alto di un illusorio ed inutile podio. La musica non è competizione, sono sentimenti che colpiscono l’anima e come Neil Young, Ry Cooder, Bob Dylan e Allman Brothers band, i Dead sono quelli che hanno marchiato a fuoco la mia anima. E a me basta questo.
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di Antonio Boschi
American Beauty di Dogfish Head
Scrivere la storia di questa monumentale band sintetizzando il tutto in poche righe è perlomeno difficoltoso poiché le cose fatte da questo gruppo di amici californiani sono così numerose e considerevoli che risulta difficile scegliere cosa sia più importante nella loro carriera. Forse l’unica risposta sensata è affermare che la punta massima sono stati i migliaia di concerti che la band ha tenuto fino a quel maledetto fatidico 9 agosto 1995, giorno nel quale morì Jerry Garcia (1942-1995), mente, guru e padre putativo dei Grateful Dead ma, anche, di un intero movimento che partendo dalle esperienze degli Acid Test e della psichedelia è sfociato nel filone JamBand.
Ma i Dead sono molto di più poiché la band formatasi a metà anni ’60 a Palo Alto aveva nelle proprie corde blues, country, jazz, bluegrass, rock che vengono analizzati, tagliati, deformati e ricuciti creando nuova sconcertante materia una volta trasferitasi a San Francisco. Se in studio i tempi ingabbiano le canzoni nei corti minutaggi imposti dalle case
discografiche, è negli interminabili spettacoli live che la band riesce a esprimere tutti i propri sentimenti in lunghissime cavalcate lisergiche (agli inizi) capaci di coinvolgere e calamitare a sé il sempre numerosissimo pubblico. La grandezza di Garcia è stata anche quella di voler registrare ogni concerto e, oggi, abbiamo la possibilità di poter accedere a tanto di quel materiale di altissima qualità che decidere quale disco dei Dead ascoltare è un tal dilemma che è inutile pensarci. Il live più famoso è indubbiamente il mitico “Live Dead”, un gigante per il periodo che racchiudeva, in un doppio LP del 1969, quella che forse è stata l’apoteosi psichedelica. Sei lunghissimi brani con la più bella versione di “Dark Star”, uno dei simboli dei Dead, e una versione del blues “Death Don’t Have No Mercy” dove il solo di Garcia risulta per me uno dei più alti momenti della musica di tutti i tempi.
Ma uno degli album che ho maggiormente amato è il terzo album live ufficiale uscito nel 1972, un solo anno dopo il famoso “Skull & Roses”, che raccoglieva il meglio della tournée europea
di quell’anno (recentemente è uscito un mastodontico cofanetto di 73 CD che racchiude tutte le date di quella primavera nel Vecchio Continente).
Grateful Dead “Europe ’72”
“Europe ’72” (Warner Bros. 3WX 2668), questo è il titolo del triplo album, ci regala estratti dei concerti svolti a Londra, Copenaghen, Parigi ed Amsterdam. Nella band figurava ancora uno stanco ed ammalato Ron “Pigpen” McKernan (1945-1973), anima blues del gruppo con la sua particolare voce e l’Hammond al quale si affiancò a supporto il pianista Keith Godchaux (1948-1980) arrivato assieme alla moglie Donna, backing vocalist, mentre non c’è più Mickey Hart (che tornerà in seno alla band nel 1974) che lascia nelle mani di Bill Kreutzmann tutto il peso della parte percussiva. Poi - pur pressoché mai presente sul palco - c’è sempre un altro Dead, fondamentale pure lui: il poeta, paroliere ma anche musicista Robert Hunter (1941-2019) che regalò alla formazione alcuni dei testi più importanti, capace di inserire le sue parole tra le
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 59 giugno 2024 BIRRA E MUSICA
Copertina dell’album Europe ’72
Jerry Garcia in una delle ultime apparizioni sul palco il 3 agosto 1994
note di Garcia e soci. Fortuna sua che a supportarlo c’è uno dei migliori bassisti, quel Phil Lesh vero innovatore dello strumento. Come frontman a fianco di Garcia e della sua magica chitarra il giovane del gruppo - Bob Weir - che ha saputo imporsi sia come songwriter che come cantante e, soprattutto, come chitarrista ritmico, capace di costruire melodie perfette per permettere al vero leader di compiere i voli pindarici sulla tastiera della sua chitarra.
Il suono della band aveva già avuto una prima trasformazione con il riavvicinamento alla tradizione statunitense che sbocciava dai bellissimi “Workingman’s Dead” e il seguente “American Beauty”, entrambi usciti nel 1970, e il suono che emerge dai solchi di questi 3 vinili potrebbe apparire più orecchiabile del precedente “Live Dead” ma contiene
delle melodie e delle costruzioni di una bellezza intramontabile. C’è ancora tanto blues, come nell’iniziale “Cumberland Blues”, nella classica e magnifica “I Know You Rider” o in “Hurts Me Too” di Elmore James dove troviamo Garcia impegnato nell’insolito uso della slide. Non mancano gli episodi ancora legati alla psichedelia e alla sperimentazione, sempre presenti nei vari anni, qui con la bellissima “Truckin’” che sfocia in “Epilogue” per poi diventare “Prelude” ed infine trasformarsi nella fantastica rivisitazione del brano di Bonnie Dobson e Tim Rose “Morning Dew”, una delle vette massime del disco. In merito a questa esecuzione c’è un simpatico aneddoto raccontato dall’allora tecnico del suono Dennis “Wizard” Leonard, incaricato di mettere su nastro l’intero tour. Durante gli show Leonard era relegato
all’interno di un camion con tutta l’attrezzatura per registrare, ma la sera del concerto londinese che chiudeva il tour si accorse che un microfono sopra la batteria pendeva; quindi, chiese a Steve Parish di prendere una moneta e andare a stringere la vite. Ma quella sera i quantitativi di LSD utilizzati erano piuttosto alti, tanto che Parish mandò letteralmente il tecnico a farsi fottere che fu costretto ad abbandonare il bellissimo MM 1000 multi-tracce della Ampex che stava macinando chilometri imprimendo note sul nastro magnetico, chiudere il camion e andare sul palco a regolare il microfono.
La band stava eseguendo l’interludio che si incuneava in “Morning Dew” che iniziò proprio nel momento in cui Wiz doveva abbandonare il palco, ma si bloccò per gustarsi il brano da una posizione privilegiata. Garcia si accorse che era lì e che, quindi, sul camion non c’era nessuno, ma continuò a suonare e cantare, felice che tutti fossero assieme alla band in quel momento. Un aspetto che caratterizzava fortemente il gruppo era proprio quello di creare un legame intenso tra pubblico e musica, e in quel frangente si era creata la perfetta alchimia. Arrivato al momento del solo di chitarra Jerry si girò, dando le spalle al pubblico proprio sotto lo sguardo di Leonard. Il suono che usciva dalla sua chitarra era qualcosa di unico e il fonico si accorse che Garcia stava piangendo, totalmente preso dalla musica. Stava suonando per il mondo e quello che resta è uno dei più alti momenti della musica dei Dead.
E, allora, se parliamo di capolavori non possiamo non citare “Jack Straw” oppure “Ramble On Rose”, “He’s Gone” e “Tennessee Jed”, veri episodi di grande musica per una band all’apice del successo, capace di portare il proprio pubblico in un interminabile viaggio nella tradizione statunitense, nel rock e nella più spericolata sperimentazione. Perché loro sono i veri, originali ed inimitabili Grateful Dead. ★
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Morning Dew
Le guide Le guide Le guide
La birra si fa da oltre 5.000 anni, ma le tecniche produttive si sono prog uniformate, in particolare nel brassaggio
In alcune zone remote dei Paesi scan orientale sopravvivono tuttavia pratiche inusuali, tramandate nell’ambito delle contadine, che risultano in aromi e dalla birra che abbiamo conosciuto fino
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CAL VIA IL CAMPIONATO
Italiano Homebrewing 2024
on il primo appuntamento svoltosi a Campogalliano (MO) il 1° maggio, è partita la nuova edizione del Campionato Italiano Homebrewing organizzato da MoBI.
Il campionato è aperto a tutti i birrificatori casalinghi non professionali (homebrewers), coloro quindi che non hanno mai avuto incarichi come birraio o aiuto birraio presso beer firm o birrifici italiani o stranieri. Non sono ammessi titolari di partita iva e soci di capitali di birrifici o beer firm. Il campionato è costituito da una serie di tappe che si svolgono sul territorio nazionale e costituiscono la “fase eliminatoria”. Alla fine della fase eliminatoria si svolge una finalissima definita “Finale MoBI 2024”. Ad ogni tappa del campionato, vengono premiati il primo, il secondo e il terzo posto (podio), più il vincitore della menzione speciale,
introdotta per uno o più stili specifici e diversa di tappa in tappa.
Ad ogni tappa i finalisti che si aggiudicano il podio sono automaticamente ammessi alla finalissima e, novità di questa edizione, la stessa cosa vale per chi si aggiudica le menzioni speciali. Inoltre per premiare la costanza degli homebrewer che amano mettersi alla prova partecipando alle varie tappe del campionato l’accesso alla finale è ottenuto anche grazie ad almeno tre piazzamenti tra il quarto posto e l’ottavo posto.
Ogni tappa della fase eliminatoria, in linea di continuità alle precedenti edizioni, assegna un punteggio sulla base del piazzamento, della partecipazione e della menzione speciale. I punti accumulati durante le varie tappe definiscono una classifica parziale che dopo l’ultima tappa, diventa definitiva. Dalla
62 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO a cura della redazione
classifica definitiva scaturiscono bonus per tutti i finalisti che avranno tenuto testa in tutta la fase eliminatoria. I punteggi attribuiti ai singoli concorrenti ad ogni tappa della fase eliminatoria saranno i seguenti (non cumulabili nella singola manifestazione fatta eccezione per i finalisti di tappa e la menzione speciale):
❱ primo classificato: 13 punti;
❱ secondo classificato: 10 punti;
❱ terzo classificato: 8 punti;
❱ finalista: 5 punti;
❱ menzione speciale: 5 punti;
❱ punteggio finale uguale o superiore a 30/50: 1 punto.
Durante ogni tappa del campionato, il meccanismo di avanzamento delle birre avviene tramite una prima scrematura basata su punteggio che viene assegnato in fase di prima valutazione al tavolo dei giudici, con compilazione della scheda BJCP.
Le migliori birre selezionate partecipano quindi ad un Best of Show in cui i giurati valutano le birre arrivate al tavolo, basandosi su parametri più ampi di quelli del semplice punteggio e che passano da una degustazione approfondita di ogni singola birra arrivata
Le Tappe del campionato 2024
❱ 1a tappa presso Birrificio Bandiga, Campogalliano (MO) mercoledì 1 maggio 2024 stile libero con menzione speciale Piwo Grodziskie (BJCP ref. 27);
❱ 2a tappa presso Isolabirra, Cagliari (CA) sabato 29 giugno 2024 con la collaborazione degli HBS
❱ (Homebrewers Sardi) stile libero con menzione speciale Fruit Beer (BJCP ref. 29.A-C);
❱ 3a tappa presso Birrificio Baladin, Piozzo (CN) domenica 14 luglio 2024 stile libero menzione speciale miglior clone;
❱ 4a tappa presso Il Villaggio della Birra, Rapolano Terme (SI) weekend
al BOS, al fine di determinare il podio. Ogni homebrewer potrà iscrivere fino ad un massimo di tre birre ad ogni singola tappa. Tutti i dettagli, i regolamenti e le modalità di iscrizione dei singoli concorsi saranno pubblicati sul sito di MoBI e/o sui propri Social Network (Facebook e Instagram) circa 1-2 mesi prima della tappa. La fase finale sarà svolta in Febbraio/ Marzo 2025 presso The Drunken Duck – Quinto Vicentino (VI) e avrà un regolamento specifico: le birre da presentare (almeno due), saranno una in stile Altbier e una a scelta libera dell’ho-
6-8 settembre 2024 stile libero menzione speciale Witbier (BJCP ref. 24.A);
❱ 5a tappa presso Abbazia San Martino delle Scale, Palermo domenica 20 ottobre 2024 stile libero menzione speciale Sour/Wild Ale (BJCP ref. 23.A-G, 28.A-D);
❱ 6a tappa presso Beer my Lover & Food Show, Brixia Forum Brescia (BS) weekend 22-24 novembre 2024 stile libero menzione speciale Czech Dark Lager (BJCP ref. 3.D);
❱ 7a tappa presso il Bifor, Forlì (FC) weekend 14-15 dicembre 2024
❱ stile libero menzione speciale English Ipa(BJCP ref. 12.C).
mebrewer; tuttavia non sarà possibile presentare birra di stili con cui, durante il campionato, si è arrivati a podio o si è vinta la menzione. La birra in stile Altbier avrà un bonus di 3 punti (se prima classificata), 2 punti (seconda) e 1 punto (terza classificata). Inoltre, i finalisti che hanno partecipato a più tappe, vedranno il punteggio accumulato nella classifica parziale convertito in bonus: sarà loro infatti concesso presentare più di una birra nella categoria stile libero in relazione al punteggio acquisito: tre birre in più per oltre 31 punti finali, due birre in più da 25 a 31 punti. Una birra in più se l’homebrewer è vincitore di una menzione speciale, cumulabile per ogni menzione vinta durante il Campionato. Per ogni tappa, i vincitori di tappa saranno premiati con buoni Mr. Malt del valore di:
❱ 1° classificato di tappa: 50€
❱ 2° classificato di tappa: 30€
❱ 3° classificato di tappa: 20€
❱ Menzione speciale di tappa: 40€
Inoltre, per la FINALE MoBI 2024 sono previsti trofei per i primi cinque classificati ma soprattutto, per il campione nazionale 2024, una cotta nell’impianto del Birrificio Baladin, con ricetta concordata con il team Baladin, un’occasione da non perdere! Dettagli
BIRRA NOSTRA MAGAZINE 63 giugno 2024 NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO
su www.movimentobirra.it
e regolamento
HANNO SCRITTO PER NOI
Davide Bertinotti
Dal… secolo scorso viaggio, bevo, produco (per autoconsumo) e racconto birre. Sono autore di libri sulla produzione, servizio della birra e sul mondo dei microbirrifici italiani. Docente di produzione presso ITS Mastro Birrario Torino.
Antonio Boschi
Grafico di professione e grande appassionato di musica e di arte. Titolare dell’agenzia WIT Grafica & Comunicazione, ho all’attivo l’ideazione e l’organizzazione di alcuni festival, tra cui il Rootsway premiato nel 2009 come migliore a livello europeo. Redattore della rivista Il Blues, da anni collaboro con Visit USA Italy oltre ad essere uno dei soci fondatori della società A-Z Blues. Autore del libro “Blues Pills e altre storie”.
Andrea Camaschella
Appassionato di birra da svariati anni, sono coautore dell’“Atlante dei Birrifici Italiani”, docente ITS Agroalimentare per il Piemonte e in svariati altri corsi.
Lorenzo “Kuaska” Dabove
Degustatore, esperto, docente, giudice e scrittore di birra. Pioniere nel supportare il movimento artigianale italiano. Principale combattente nel preservare il lambic e la gueuze tradizionali. Dal mese di aprile 2021 ho assunto la carica di Presidente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Accademia delle Professioni di Padova. Ho pubblicato “La birra non esiste”, “Le Birre” e “Il Manuale della Birra” con contributi e capitoli di libri di Michael Jackson, Tim Hampson, Garrett Oliver, Randy Mosher, Tim Webb e Stephen Beaumont.
Rachele Lori
Appassionata di fotografia, entusiasta e creativa. Con l’obiettivo sempre puntato sull’eccellenza visiva cerco di catturare l’essenza di ogni storia attraverso le lenti della mia macchina fotografica, cogliendo momenti unici per trasformarli in immagini coinvolgenti.
Matteo Malacaria
Giudice qualificato BJCP e beer sommelier, autore del blog Birramoriamoci.it e del libro “Viaggio al centro della birra”. Mi occupo di comunicazione e marketing applicati al settore birro gastronomico e sono docente presso la NAD di Verona.
Michele Matraxia
Docente di Scienze Agrarie, Dottore di Ricerca in Microbiologia Agroalimentare e homebrewer. Mi occupo di selezione e screening tecnologico su lieviti non-convenzionali per le produzioni di birre e idromeli. Ho da poco discusso la mia tesi di dottorato dal titolo “Innovazioni biotecnologiche nei processi fermentativi delle birre e di bevande fermentate a base di miele”.
Roberto Muzi
Formatore, sommelier, assaggiatore ONAF e consulente di settore. Laureato in Scienze Politiche, sono stato responsabile regionale per la “Guida alle birre d’Italia” di Slow Food Editore dal 2014 al 2021 e giurato in diversi concorsi birrari nazionali.
Luca Pretti
Laureato in Scienze agrarie e dottore di Ricerca in biotecnologie microbiche. Ricercatore nel centro Porto Conte Ricerche di Alghero, dal 1999 mi occupo della caratterizzazione di materie prime locali (luppoli e orzi) per le produzioni birrarie della Sardegna. Conduco corsi di divulgazione della cultura birraria per appassionati e professionisti e sono stato responsabile scientifico e docente del primo corso di formazione in Sardegna per birraio artigiano. In qualità di giurato ho partecipato al concorso Birra dell’anno ed al Bruxelles Beer Challenge. Collaboro inoltre con Slow food per l’area birra in Sardegna.
Angelo Ruggiero
Homebrewer dal 2006, nel 2010 avvio il blog berebirra.org, dove tuttora racconto i miei viaggi birrari e le cotte casalinghe. Dal 2012 collaboro con diverse associazioni e nel 2017 divento giudice BJCP, cominciando anche l’avventura da birraio per Lieviteria. Sono autore anche per Fermento Birra, docente in corsi di degustazione e homebrewing, organizzo e partecipo come giudice a concorsi. Sono autore con Francesco Antonelli di “Fare la birra in casa” (2020) e di “Birra a Praga” (2023) con Paolo Crovace.
Mirka Tolini
Professionista della scrittura, sono arrivata alla birra artigianale per amicizia. In dieci anni entrambi i legami sono fermentati!
64 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2024 NEWS
Davide Bertinotti
Roberto Muzi
Luca Pretti
Andrea Camaschella
Matteo Malacaria
Rachele Lori
Michele Matraxia
Antonio Boschi
Lorenzo “Kuaska” Dabove
Mirka Tolini
Angelo Ruggiero
2 5 ANNI DI I NNOVAZION I E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTAR I AMMOSTAMENTO FILTRAZIONE RAFFREDDAMENTO
LATTICI RAFFREDDAMENTO FERMENTAZIONE LIEVITO MATURAZIONE CONFEZIONAMENTO BOLLITURA 12 - 24 h 100° C
BATTERI