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N. 0 | SETTEMBRE 2019

BIRRA NOSTRA

MAGAZINE

NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

FOCUS SAISON

Homebrewing: 5 birrai rispondono MoBI Tasting Team

SARDINIA INSULA BIRRAE Luca Pretti

FILADELFIA: LA CITTÀ DELLA BIRRA AMERICANA Matteo Malacaria


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Le guide

Orzo/Malto

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Gli ingredienti della birra

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BIRRA NOSTRA NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

MAGAZINE

IN QUESTO NUMERO... EDITORIALE

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Siamo tornati! A cura di Mirka Tolini

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MoBI Ricominciamo, da zero! A cura di Miro Sampino

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MONDO BIRRARIO Microbirrifici in Italia: i numeri attuali A cura di Davide Bertinotti – Microbirrifici.org

I pionieri della birra

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A cura di Mirka Tolini

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BIRRA & TERRITORIO Sardinia insula birrae A cura di Luca Pretti

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HOMEBREWING Brassare una Saison: il Mastro Birraio risponde A cura di Norberto Capriata e Massimo Faraggi

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FOCUS SAISON Mobi TASTING SESSIONS: Saison A cura del MoBI Tasting Team

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facebook.com/BirraNostraMagazine

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NOME SEZIONE

DEGUSTAZIONI E ASSAGGI Impressioni da una verticale di Thomas Hardy’s Ale A cura di Daniele Cogliati

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TURISMO BIRRARIO Viaggio al centro della birra Filadelfia: la città della birra americana A cura di Matteo Malacaria

Birra Nostra Magazine - Bimestrale Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Verona in data 22 novembre 2013 al n. 2001 del Registro della Stampa Prossima uscita: gennaio 2020

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BIRRA & SOCIAL I peggiori intenditori di birra artigianale sui Social A cura di Ildegardo & Gambrino

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Direttore Responsabile Mirka Tolini

Impaginazione Roberta Venturieri

Comitato di Redazione Davide Bertinotti, Luca Grandi redazione@birranostra.it

Produzione Walter Castiglione

Hanno contribuito a questo numero Norberto Capriata, Daniele Cogliati, Massimo Faraggi, Matteo Macalaria, Miro Sampino, Luca Pretti, Simonmattia Riva

Quine Srl

Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 12191

SE NE PARLA Taglio alle accise Microbirrifici e birre artigianali ringraziano A cura di Mirka Tolini

Taglio alle accise è tutto oro quello che luccica? A cura di Davide Bertinotti

Presidente Giorgio Albonetti

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Amministratore delegato Marco Zani

Stampa Aziende Grafiche Printing srl Via Milano 3/5 20068 Peschiera Borromeo (MI) Archivio immagini Shutterstock

ABBONAMENTI Quine srl, Via G. Spadolini, 7 20141 Milano – Italy Tel. +39 02 88184.117 Fax +39 02 70057190 www.quine.it Rosaria Maiocchi e-mail: abbonamenti@quine.it Gli abbonamenti decorrono dal primo fascicolo raggiungibile.

Birra Nostra Magazine è frutto della collaborazione tra Birra Nostra e MoBI - Movimento Birrario Italiano www.birranostra.it - www.movimentobirra.it

BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ

Tutto il materiale pubblicato dalla rivista (articoli e loro traduzioni, nonché immagini e illustrazioni) non può essere riprodotto da terzi senza espressa autorizzazione dell’Editore. Manoscritti, testi, foto e altri materiali inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. Tutti i marchi sono registrati. INFORMATIVA AI SENSI DEL GDPR 2016/679 Si rende noto che i dati in nostro possesso liberamente ottenuti per poter effettuare i servizi relativi a spedizioni, abbonamenti e similari, sono utilizzati secondo quanto previsto dal GDPR 2016/679. Titolare del trattamento è Quine srl, via Spadolini, 7 - 20141 Milano (info@quine.it). Si comunica inoltre che i dati personali sono contenuti presso la nostra sede in apposita banca dati di cui è responsabile Quine srl e cui è possibile rivolgersi per l’eventuale esercizio dei diritti previsti dal D.Legs 196/2003. © Quine srl - Milano

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Editoriale

SIAMO TORNATI! B

irra Nostra Magazine è tornato ed è più in forma che mai. Il tempo intercorso tra l’ultima pubblicazione web e questa nuova edizione cartacea non è passato invano ma soprattutto non ci ha visti inattivi. Tra degustazioni, eventi fieristici, progetti di turismo esperenziale e partecipazioni a manifestazioni, seminari e convegni a tema brassicolo, siamo sempre stati circondati dai nostri lettori e dagli appassionati di birra artigianale. Birra Nostra Magazine è tornato ed è più grande di prima! Da questo numero accoglie infatti tra le sue pagine MoBI, l’Associazione culturale che riunisce gli appassionati di birra artigianale e promuove la cultura della buona birra; la loro autorevole presenza contribuirà a dare ancora più spessore e profondità ai temi che si tratteranno da qui in futuro. E per questo li ringraziamo. Birra Nostra Magazine è tornato e rimane coerente con sé stesso, mantenendosi neutrale nei confronti degli attori, del mercato e dei prodotti che

popolano il mondo della birra artigianale italiana, promuovendolo con serietà e competenza. Dietro alla nuova edizione, che uscirà con cinque numeri annuali, c’è un gruppo di professionisti della comunicazione e del giornalismo e di qualificati operatori di settore che collaboreranno uniti da una comune passione, la buona birra e dalla curiosità di conoscere, di scoprire e di spiegare ai lettori le dinamiche di un mondo che è più vivo che mai e che nulla ha da invidiare agli appassionati di brewing stranieri!

MIRKA TOLINI Professionista della scrittura e della comunicazione collaboro da dieci anni al progetto Birra Nostra

Birra Nostra Magazine è tornato dai suoi lettori e il miglior modo per festeggiare il ritorno è una fresca Saison ed un tasting dedicato proprio a questa birra, oltre ad una rassegna dedicata ai “pionieri” che hanno deciso di fare, quasi come folli visionari, di una passione una professione. Anche noi siamo visionari e nel nostro e vostro futuro vediamo pagine su cui raccontare le mille sfaccettature della nostra e vostra passione! Buona lettura

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A cura di Miro Sampino

RICOMINCIAMO, DA ZERO! C

orreva l’anno 2010, Il Movimento Birrario Italiano, per gli amici MoBI, si costituiva come gruppo spontaneo per rappresentare i consumatori italiani di birra. La gestazione era partita già nel precedente anno, forse anche prima, ma è nel febbraio 2010 che il primo numero della rivista Movimentobirra vede la luce e presenta, a uno sparuto pubblico di appassionati della nostra amata bevanda, il manifesto della prima associazione nazionale dei consumatori di birra in Italia. La giovane rivista, distribuita gratuitamente a cadenza quadrimestrale nei pochi avamposti in cui si predicava un “modo” diverso di bere birra, aveva il primo contributo dai pionieri del movimento artigianale italiano: Carlo Canegallo, Kuaska (Lorenzo Dabove), Schigi (Luigi D’Amelio), Davide Bertinotti, Massimo Faraggi e negli anni successivi si sono aggiunte nuove forze. Ventitré numeri prodotti in dieci anni e una tiratura che gradualmente è cresciuta hanno raccontato l’evoluzione del costume birrario nostrano, ma anche quello della scena internazionale, grazie ai contributi di esperti di cultura birraria, addetti ai lavori e homebrewers. Una rivista distribuita gratuitamente, che ha permesso a MoBI di essere totalmente indipendente da influenze esterne e di raccontare, con occhi critici ma anche materni, l’evoluzione di questa straordinaria bevanda. Oggi la birra è sdoganata e non è più relegata a bevanda di seconda scelta. Certo, i consumi ancora non sono paragonabili a quelli del vino, ma stanno

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aumentano e ci auspichiamo che il tutto avvenga di pari passo ad una crescita del “consumo consapevole” che è tanto caro a MoBI. In un contesto come questo, diventa fondamentale “evolvere” il nostro modo di parlare di birra, collegare il racconto su inchiostro a quello digitale, comunicare in maniera coordinata e moderna, uscendo dal concetto di nicchia per arrivare ad un pubblico maggiore, erogando contenuti attuali, accattivanti e critici. Quando, in una riunione del corrente direttivo, ci siamo imbarcati nella discussione su come celebrare i dieci anni di MoBI, abbiamo pensato che fosse il caso di dedicarci ad un restyling della rivista. L’opportunità si è presentata quando LSWR-La Tribuna, la casa editrice che cura la pubblicazione dei libri MoBI, ci ha sottoposto un progetto di collaborazione per un magazine di settore, dai contenuti di qualità, da curare assieme alla redazione di Birra Nostra. L’indipendenza dagli sponsor, essere super partes e la libertà di critica sono stati i pilastri su cui si è costruito questo nuovo prodotto che parlerà di birra ma soprattutto dei suoi consumatori. La scelta di pubblicare questo numero di Birra Nostra Magazine etichettandolo come “zero”, rappresenta per me la sintesi del pensiero che sta dietro a questo progetto. Lo “zero” oltre ad essere un numero è anche un concetto. Se da una parte rappresenta “l’annullamento” in senso lato, dall’altra è utilizzato per identificare l’inizio, il punto di partenza su quella bussola che ci guiderà in questo viaggio. Mentre nel primo numero

INFORMAZIONI DI CULTURA BIRRARIA A CURA DI MOBI - MOVIMENTO BIRRARIO ITALIANO - FEBBRAIO 2010

NASCE MOBI:

Scopi, obiettivi e attività per il 2010 e oltre L’INIZIATIVA DI MOBI: per etichette più informative e più trasparenti LA SITUAZIONE BIRRARIA IN GERMANIA IL RUOLO DEL CONSUMATORE BIRRE E LUPPOLO: TRE GRANDI BIRRAI SVELANO I LORO SEGRETI HOMEBREWING: IL BRAGGOT AROMI E..PUZZLE!

della rivista semineremo le basi per il futuro, anticiperemo le nostre ambizioni e tracceremo le rotte, in questo numero “zero” stabiliamo invece i confini del “nostro” mondo birrario all’interno del quale Birra Nostra Magazine navigherà. Alle “penne” storiche che hanno scritto per Movimentobirra, si affiancheranno contributor emergenti dai quali ci aspetteremo una cronaca inedita di questo mondo birrario in continua evoluzione. Ovviamente la nostra attenzione agli hombrewers crescerà in linea con quanto stiamo già facendo nell’ambito delle attività dell’associazione. Ringraziare tutti quelli che sino ad ora hanno collaborato con Movimentobirra, più che essere un dovere è piacere. Per loro è già pronto un posto a bordo. Alcuni li troverete già in azione in questo non numero. Un caloroso ringraziamento a Massimo Faraggi e a Norberto Capriata, che in questi anni hanno guidato la macchina della rivista Movimentobirra con passione e dedizione. Grazie a loro, questa macchina oggi è una nave e loro sono parte dell’equipaggio. Un in bocca al lupo a Luca Grandi e a Davide Bertinotti che in qualità di curatori del nuovo Birra Nostra Magazine saranno i nostri capitani. Un grazie ai membri del direttivo, con i quali ogni giorno condivido oneri e onori. Ai soci MoBI e ai curiosi, non mi resta che augurare una buona lettura! Miro Sampino (aka trukdrake) Presidente di Movimento Birrario Italiano - MoBI

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MONDO BIRRARIO

A cura di Davide Bertinotti – Microbirrifici.org

MICROBIRRIFICI IN ITALIA:

i numeri attuali N

on ricordo esattamente in che momento ho sentito per la prima volta la frase “il mercato della birra artigianale ormai è saturo” oppure “i birrifici sono troppi, adesso iniziano le chiusure”. Probabilmente era attorno al 2010 e chi pronunciava queste parole era sicuramente un operatore del settore,

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probabilmente un publican, un birraio o un titolare di un birrificio. I birrifici attivi censiti in quell’anno erano approssimativamente 350, spesso con capacità produttive molto limitate, così come lo era la loro capacità distributiva. Cominciavano a emergere i primi beer firm (comunque poco più di 20 e nessuno con la prospet-

tiva di fare il passo verso l’indipendenza produttiva) e gli analisti di Assobirra stimavano che il mercato occupato dai piccoli birrifici non superasse l’1% del totale delle vendite in Italia. Da allora ho ascoltato molte volte frasi apocalittiche simili a quelle sopra citate, in tempi di crisi e anche in momenti (po-

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non sono poi state dei grandi affari: da un lato una parte di appassionati, ma anche publican e distributori, ha abbandonato i marchi, delusi dal “tradimento” per la cessione al nemico di sempre, dall’altro una potenziale platea di nuovi consumatori, meno consapevoli, raggiunta attraverso i canali della grande distribuzione non ha evidentemente avuto stimoli sufficienti a coprire il differenziale di prezzo al dettaglio con prodotti più mainstream e i citati “crafty”. Probabilmente il futuro ci riserverà una diminuzione della ca-

Birrificio

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ratterizzazione di tali prodotti, magari anche qualitativa e di prezzo per questi marchi per la necessità di aumentare il livello competitivo in quei canali distributivi, come è capitato ad esempio negli USA, ma questo discorso esula in fondo dai temi di questo articolo. A leggere comunque i trend del settore dei microbirrifici, la flessione temuta, da qualcuno auspicata, non si è ad oggi ancora verificata. Le nuove aperture, dopo il boom impressionante nel periodo 2014-2016 con circa un centina-

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chi per la verità) in cui l’economia italiana sembrava volgere al positivo, offrendo a qualche imprenditore l’alibi che confermava fosse arrivato il momento di investire. Alibi che alla fine non sono stati (fortunatamente) necessari, perché in ulteriori otto anni molti hanno comunque voluto investire nel settore, dal momento che le aziende attive con proprio impianto produttivo sono nel frattempo più che raddoppiate, giungendo a un totale complessivo superiore alle 900 unità; supportate inoltre da una numerosa schiera di beer firm che conta quasi 500 aziende attive. Oggi gli analisti di Assobirra menzionano una quota “microbirrifici” attorno al 3,5% del mercato italiano, sicuramente includendo aziende che esulano dalla definizione di birra artigianale come Birra del Borgo, Hibu, Ducato che hanno perso i requisiti di indipendenza economica secondo la recente legislazione. A onor del vero – se escludiamo gli appassionati di supernicchia – il consumatore medio non ha la percezione di queste differenze legali sulla definizione di “birra artigianale” e purtroppo nemmeno numerosi operatori di settore che continuano a utilizzare in modo improprio il termine (per colpa o dolo) includendo nelle comunicazioni al pubblico talvolta anche prodotti che artigianali non lo sono mai stati. Ovviamente favoriti in questi “errori” da una crescente comunicazione da parte dei grossi gruppi industriali a favore del proprio segmento “crafty” con le proprie “non filtrate”, “regionali”, “N luppoli” etc. A proposito delle acquisizioni da parte dell’industria birraria multinazionale, devo rimarcare che per un certo periodo alle espressioni relative alla saturazione di mercato e all’eccesso del numero dei piccoli produttori si è aggiunta anche la frase “l’industria adesso compra tutti i marchi rilevanti”. Il concetto è presto scomparso dai commenti degli operatori e solo saltuariamente riemerge come un ironico ma auspicabile desiderata di qualche birraio/titolare di birrificio perché abbiamo capito, in primis le stesse multinazionali, che forse queste acquisizioni

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io di nuovi produttori all’anno, si sono certamente ridotte ai livelli 2008-2011 (quando iniziavano a sentirsi i primi peana di crisi!) e le chiusure hanno seguito un trend simile, mantenendo comunque i numeri complessivi delle aziende birrarie, produttive e beer firm, in costante crescita. In un certo senso occorre però anche leggere dentro il settore andando oltre i freddi numeri. Se molti birrifici nati negli anni 2008-2010 erano iniziative imprenditoriali di appassionati e spesso ex homebrewers che iniziavano la propria attività con microimpianti da qualche decina di litri a cotta, i nuovi attori oggi sulla scena partono con investimenti di altro tenore, piani imprenditoriali ben definiti, spazi produttivi importanti, oculata attenzione alle dinamiche distri-

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butive. E sale cottura con capacità minima da 10 hl (a salire). L’aumento di capacità produttiva ha coinvolto anche birrifici di vecchia data, ma questo forse non è una novità: se consideriamo aziende storiche come Baladin o Birrificio Italiano, vediamo che le sale cottura e le sedi produttive sono state frequentemente sostituite con altre di maggiori capacità, anche 6/7 volte nella loro storia aziendale lunga 23 anni. Altro elemento interessante da analizzare è il variegato mondo delle beer firm, che in dieci anni ha evidenziato uno sviluppo impressionante: passate da 10 nel 2008 a quasi 500 unità attive a fine 2018. D’accordo: esistono beer firm con alle spalle idee, ricette proprie, competenze tecniche e obiettivi di sviluppo chiari, così come presenze sul mercato

di semplici rivenditori di birre etichetta pensate e realizzate da altri e considerate più come complemento di altro brand (aziende commerciali di prodotti alimentari o aziende del settore vinicolo) che come linee di prodotto strategiche per il proprio business. E le statistiche corrono il rischio di non essere perfettamente allineate con la realtà odierna, dal momento che capita che qualcuno chiuda senza tanto clamore e altri decidano di sospendere l’attività in attesa di tempi migliori, mantenendo comunque formalmente attiva la società che sta alle spalle del progetto imprenditoriale. Esiste però anche una schiera di imprenditori che sfrutta l’attività di beer firm come primo passo, a investimento contenuto, verso altri auspicabili traguardi: dal 2010 ben 70 beer firm (sui circa

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550 aperti nel corso degli anni) hanno compiuto il passo di dotarsi di impianti produttivi propri dopo avere promosso il brand, acquisito o creato canali distributivi, appreso fondamentali esperienze sul settore e, soprattutto, reperito i capitali necessari all’impresa. In media, il passo è stato portato avanti da queste aziende dopo oltre 2 anni e mezzo dall’inizio di attività come beer firm, ma alcune di queste hanno atteso anche 7-9 anni per riuscire a diventare birrifici veri e propri. Facendo un’analisi regionale, la Lombardia si conferma area preferita per l’apertura di un microbirrificio: da sempre è stata la regione trainante del settore e si conferma oggi la più dinamica ospitando oltre il 15% del totale nazionale di aziende birrarie con impianto proprio. A seguire la conferma del Piemonte con il 9,4% di birrifici nazionali, che tuttavia non ha espresso gli stessi incrementi percentuali negli ultimi 5 anni come mostra ad esempio Veneto, oggi al 9,2%, Toscana (8,1%), Lazio (6,1%) e Puglia (5,4%). La Lombardia è anche la patria dei beer firm: quasi il 19% del totale nazionali di “birrifici” senza impianto sono posizionate in questa regione. Curiosamente, esistono regioni dove la propensione alla creazione di questo tipo di operazione imprenditoriale è superiore alle altre: oltre alla citata Lombardia, il rapporto tra beer firm attive e birrifici con proprio impianto è superiore in Lazio ed Emilia Romagna, mentre la propensione ad aprire beer firm è minore in Liguria, Trentino, Piemonte, Toscana e Sardegna. Ulteriore fenomeno degno di nota riguarda le modalità distributive. Se i primissimi birrifici puntavano a inserirsi nella ristorazione, come alternativa al vino, con formati da 75 cl e nei pub e beershop, ora è evidente come quel tipo di segmento di vendita sia saturo di offerta. Qualcuno ha provato a variare i formati, con l’introduzione delle bottiglie da 33 cl e, più recentemente, delle lattine, ma l’aumento generale della capacità produttiva doveva per forza essere indirizzata verso altri

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canali. La soluzione identificata da molti attori del settore è stata accorciare la filiera: diversi birrifici si sono trasformati in brewpub o per lo meno hanno aperto tap room annesse alla sede produttiva, con la possibilità di vendere almeno parte del prodotto a prezzi al dettaglio (tipicamen-

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te il triplo o quadruplo rispetto al prezzo offerto al distributore/grossista). I canali distributivi del prodotto in fusto destinato alla spina, da sempre controllati dai grossi gruppi industriali, hanno impedito in passato la crescita del settore craft, seppur negli ultimi

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MONDO BIRRARIO

REGIONI PIÙ DINAMICHE - dati Microbirrifici.org ©

Regioni più dinamiche - dati Microbirrifici.org © 180

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Veneto

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Toscana

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Emilia Romagna

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anni siano sempre di più i pub indipendenti che, proprietari delle proprie vie di mescita, possono decidere quali prodotti offrire alla propria clientela. Ma più recentemente si è assistito, comunemente nelle grandi città e in particolare nell’area di Milano, a un nuovo fenomeno: la nascita di pub a marchio del birrificio, talvolta frutto di joint ventures di diversi produttori. Soluzione forse non alla portata di tutti, ma per l’Italia sicuramente innovativa. Cosa ci riserverà il futuro? Nel settore dei microbirrifici, gli Stati Uniti, partiti 20 anni prima rispetto al nostro paese, hanno spesso anticipato trend e movimenti di mercato che si sono successivamente riprodotti in Europa e in Italia. Da consumatore, noto con rammarico che la nostra GDO non ha ancora compreso appieno il trattamento del prodotto “craft” e le sue peculiarità: negli USA la catena del freddo è assicurata da anni per questo prodotto anche nel più piccolo negozietto di paese, mentre in Italia le poche bottiglie che arrivano sugli scaffali hanno raramente una qualità che possa giustificare il differenziale di P/Q con i prodotti da primo prezzo: luce e temperature elevate sono elementi sempre sottovalutati da questi distributori. Più recentemente abbiamo assistito alla crisi dei birrifici USA regionali e di grandi dimensioni, compressi da una parte dalle multinazionali con i nuovi prodotti “crafty” e dall’altra dal sempre più numeroso esercito di “micro” che conquistano il mercato locale senza avere ambizioni di superare i propri confini geografici. Questo trend arriverà anche in Italia? Possibile, anche se le dimensioni sono certamente differenti: i nostrani “grandi” birrifici sono minuscoli rispetto ai citati statunitensi, sia per investimenti complessivi che per ettolitri prodotti e la penetrazione di mercato della “craft” sul totale del settore birraio è ancora molto diversa. Negli USA questa fetta di mercato vale il 13% in quantità e il 24% in valore: con il nostro 3,5% siamo ancora ben lontani da quelle cifre. ★

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mastri maestri & birrai

La variante umana della birra Da un’idea di Luca Grandi

BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ

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MONDO BIRRARIO

A cura di Mirka Tolini

I PIONIERI DELLA BIRRA

Le difficoltà e gli ostacoli, ma anche l’entusiasmo, le paure e i successi dei primi artigiani della birra. Incontro con i magnifici sei: Le Baladin, Birrificio Italiano, Birra Beba, Vecchio Birraio, Centrale della Birra e Birrificio Lambrate

S

ono stati i pionieri della birra. I primi a credere nel potenziale di quella che in Italia era considerata solo una “bevanda rinfrescante”; i primi a fondare un’associazione che tutelasse il progetto oltre che i prodotti. Sono stati

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loro a fare della loro passione un lavoro artigianale prima e da imprenditori dopo. Come non chiamare del resto Agostino Arioli del Birrificio Italiano o Teo Musso di Le Baladin? A loro e al birrificio Beba, a Il Vecchio Birraio, a Guido Taraschi della

Centrale della Birra e al Birrificio Lambrate, ci siamo rivolti per conoscere le difficoltà incontrate nel percorso di crescita e di evoluzione. Un tributo, se vogliamo, a chi ha gettato le basi per quello che è divenuto, oggi, un fenomeno di tendenza.

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Gli inizi Al Vecchio Birraio iniziano a pensare ad un birrificio agli inizi degli anni 90, decidendo di capitalizzare l’esperienza di distributori ed importatori di birra oltre che di conoscitori delle realtà birraie presenti nel nord Europa. Solo sei anni dopo, nel 1996, in seguito all’incontro con Alessandro Aversa che a Rimini presentava il suo progetto e l’impianto di eco brewpub, Stefano Sausa decide, carico di entusiasmo, di intraprendere questa strada e crea il suo prodotto. Risale invece al 1985 la produzione di Agostino Arioli di malto e birra in casa. Dopo un avviamento difficile è stato l’incontro con un maestro a fargli capire che doveva tralasciare il malto per concentrarsi sulla produzione della birra. Grazie a questo contributo, alla disponibilità ed all’entusiasmo di Gianni Pasa, Arioli entra in contatto con i primi brewpub e dopo varie vicissitudini, incluso il conseguimento di una laurea in Agraria, decide di aprirne uno proprio. «Lo spirito che ancora oggi anima la mia attività» ci racconta il fondatore del Birrificio Italiano «è l’approccio, prima che da homebrewer, da bevitore e da ricercatore di birre». In soli 70 mq si è concentrato il progetto del Birrificio Lambrate dei fratelli Sangiorgi e di Fabio Brocca che nel 1997, traendo ispirazione dal Brouwerij ‘t IJ di Amsterdam, hanno dato vita ad un pub (divenuto poi brewpub) nel quale era possibile degustare birre particolari e non commerciali. E cosa c’era allora di più “non commerciale” che la propria birra fatta utilizzando un piccolo impianto di appena 150 litri a cotta? Un inizio in “piccolo” per quello che è poi diventato un grande progetto! Nasce invece dalla constatazione che in Italia mancavano piccoli birrifici, l’idea embrionale di Birra Beba che grazie all’intuizione dei fratelli Alessandro ed Enrico Borio e ad una semplificazione legislativa ha sfruttato lo spunto e trasformato in realtà un’idea. Teo Musso apre il pub Le Baladin nel 1986 e da subito la sua passione per la

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AGOSTINO ARIOLI del Birrificio Italiano

birra artigianale lo porta a servire ai suoi clienti 200 etichette di produttori artigianali stranieri. «L’idea di andare oltre e proporre un mio prodotto» ci spiega Musso «mi è stata da subito chiara ma in Italia, a causa della legge, non è stato possibile fino al 1996. Quei dieci anni li ho usati per esplorare, ma soprattutto imparare grazie a tanti colleghi belgi». La Centrale della Birra nasce dalla curiosità di Guido Taraschi per le birre “diverse”, non omologate nel gusto. «In Italia il microbirrificio e la birra artigianale non esistevano. C’erano invece aziende, quasi sempre multinazionali, che cercavano di imporre birra tutta uguale, non troppo amara, non troppo alcolica o con un gusto non troppo forte … insomma, non troppo birra! All’estero intanto producevano prodotti che in Italia la maggioranza della gente avrebbe gettato nella spazzatura».

Le prime difficoltà Tutti e sei i pionieri evidenziano le stesse difficoltà e su tutte emergono quelle burocratiche dettate da una legislazione

in qualche modo ostile. Così Birra Beba parla di un Ufficio Tecnico di Finanza dove «non erano pronti, solo adesso cominciano ad esserlo un poco» a cui si affianca Vecchio Birraio che segnala «la difficoltà a reperire attrezzature e materie prime in un mercato a dir poco inesistente in Italia». Anche Le Baladin parla di «mancanza di conoscenza e tecnica, di difficoltà burocratiche ma anche di voglia di imparare e di esprimerci». Il Birrificio Italiano aggiunge che l’Ufficio Tecnico di Finanza «pur se disponibile, non sapeva proprio che pesci pigliare per non parlare poi della difficoltà a trovare qualcuno disposto a costruire un piccolo impianto basandosi sulle mie idee. Per fortuna ho incontrato Ugo Paglia, un fabbro di paese matto come me e geniale che ha raccolto la sfida e si è messo in corsa con me». Al Birrificio Lambrate è servito un anno per ottenere le licenze necessarie ad aprire un locale che sarebbe già stato pronto nel 1996. «Quando andammo ad esporre il nostro progetto all’Asl ci consigliarono di comprare birra già fatta evitando di produr-

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ne una nostra» ci raccontano «non parliamo poi dell’Ufficio Tecnico di Finanza, oggi Agenzia delle Dogane, che non sapevano neanche da che parte cominciare … c’era sì un comma di un articolo di legge ma la disposizione in materia era di competenza dell’ufficio provinciale e così riuscire ad ottenere la prima licenza fu davvero complicato e servì un intero anno e mille peripezie». «Lo sforzo fisico di scaricare i sacchi di luppolo» ci racconta Taraschi fondatore della Centrale della Birra «non era nulla rispetto agli sforzi fatti per convincere i responsabili del Servizio Sanitario e dell’Ufficio tecnico di finanza che produrre birra era diverso che produrre polvere da sparo. Per non parlare della burocrazia: i registri da compilare ad ogni cotta di soli 300 litri erano cinque e se, per qualche incidente di percorso dovevi eliminare del prodotto avariato, recuperare l’accisa versata per la produzione dall’Ufficio Tecnico di Finanza, era più difficile che entrare a Fort Knox».

Paure e ritrosie Inutile dire che le ritrosie più forti i pionieri le hanno incontrate proprio nel “consumatore”. Così lo segnala sia Vecchio Birraio ma anche Le Baladin che parla di «mancanza di cultura e difficoltà a convincere il cliente che anche in Italia avremmo potuto fare birra di qualità». Birra Beba afferma invece che «parlare di birra “cruda” era un po’ forte» mentre il Birrificio Italiano parla proprio di un «catechismo individuale, persona per persona. Il lavoro considerato fondamentale è quello svolto al bancone del nostro pub dove ad ogni singolo cliente spiegavamo i nostri nuovi prodotti. Per non parlare della scelta del nome … parlare allora di Birrificio significava usare un termine desueto ed inutilizzato, non come invece avviene oggi». A segnalare un buon rapporto con il consumatore, o meglio con amici e conoscenti è il Birrificio Lambrate che racconta di come, durante i mesi di chiusura in cui producevano le prime cotte, fossero proprio loro

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a fare “da cavie” diventando poi di conseguenza anche i primi veri estimatori. «Il resto del mondo stava a guardare»

Ce l’abbiamo fatta! Se il cliente è stato l’elemento critico che ha segnalato le prime paure e ritrosie da vincere, è sempre il cliente il filo conduttore che fa dire ai nostri “magnifici sei” che, in qualche modo, sono arrivati. Così

Vecchio Birraio trova «nei clienti che da molti anni siedono a bere al bancone del brew pub» la conferma di un primo importante risultato ottenuto e lo stesso vale per il Birrificio Italiano che indica il “giro di boa” nel fatto che «da due anni i clienti hanno cominciato a chiamare le birre per nome». I soci del Birrificio Lambrate si resero invece conto che “qualcosa si stava muovendo” quando la birra prodotta con il piccolo impianto non bastava più e dovevano aprire a giorni alterni per non consumare le “scorte” - al punto di decidere di impiantare una nuova sala cottura da 500 litri. Nel frattempo, nel 1999, organizzano nella Cascina Monluè, location storica di Milano, un evento tutto dedicato alla “birra cruda”. «L’evento è stato eccezionale; nel corso di tre giorni, è passata gente di tutti i tipi che, per la prima volta, ha

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assaggiato la birra cruda. È stato in quel momento che abbiamo capito che di lì a poco sarebbe sbocciato qualcosa di grande e nuovo. E non ci sbagliavamo». Alessandro ed Enrico di Birra Beba dichiarano che quando vedevano i clienti non solo tornare ma anche aumentare, cresceva in loro la consapevolezza di aver intrapreso una strada “giusta”, confermata anche dal ricordo di «un avventore della birreria che una sera ci maledisse dicendoci che non riusciva più a bere altre birre!». A Le Baladin evidenziano invece due momenti nei quali hanno avuto la sensazione che «qualcosa stava cambiando»; nel 2000 quando i produttori di vino iniziano a guardare con attenzione alla birra di qualità e nel 2005 quando Teo Musso dichiara di avere avuto «la sensazione che in Italia si potesse creare un vero e proprio mercato legato alla birra». «Il giorno dell’apertura non lo dimenticherò mai» racconta Taraschi della Centrale della Birra «erano venuti tutti, dico tutti perché non solo il locale era pieno ma anche la strada era piena di gente. Devo soprattutto alla birra se ho potuto condividere con persone come Agostino, Teo, Enrico, Alessandro e i fratelli Sangiorgi un periodo della mia vita che reputo spumeggiante. Abbiamo passato anni a divertirci facendo quello che avevamo sognato di fare. Certo l’energia bruciata è stata parecchia … dopo due anni mi sono venuti i capelli bianchi, dopo sette mi sono separato da mia moglie, dopo nove quando la mia compagna aspettava il primo figlio ho venduto il birrificio perché non volevo morirci dentro». «Di quel periodo» conclude Guido Taraschi «mi ricordo che quando tornavo da qualche evento, organizzato con i miei colleghi birrai, lodavo la loro capacità di lavoro e l’intesa totale con la quale lavoravamo insieme. Nessun dipendente che ho avuto è stato un compagno di lavoro valido come Enrico Borio, Agostino, Teo o Davide».

di qualcosa ma non da tutti è condivisa. Alessandro ed Enrico di Birra Beba dichiarano che «così come non ci sentiamo ancora oggi arrivati allo stesso tempo non ci sentiamo precursori di nulla perché la birra si fa da quasi sempre. Forse è più corretto parlare di ritorno alle culture artigianali che nel campo alimentare sono il nostro primo benessere». Diverso l’atteggiamento del Vecchio Birraio che dichiara orgoglioso «insieme ai colleghi che hanno iniziato nel 1996 e 1997 siamo stati sicuramente i precurso-

ri di qualcosa di nuovo». Anche Agostino Arioli del Birrificio Italiano si sente un pioniere perché si è «battuto come un leone per quella che era una fantastica nuova fede. Oggi l’idealismo è compresso dagli eventi e dalla constatazione che io solo posso seguire la mia strada e che non devo aspettarmi o lavorare perché altri lo facciano. Birra artigianale è tecnica, marketing ma è anche impresa “etica” e stile di vita nuovo … è rivoluzione virtuosa potenziale. Qualcuno lo coglie, altri no». Teo Musso si è più volte

Pionieri e precursori La sensazione di “essere arrivati” si accompagna a quella di sentirsi precursori

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sentito un precursore e cita il momento più recente quando «ho creato la prima birra 100% Italiana, prodotta con tutte materie prime italiane. La caparbietà di voler ricordare a tutti che “La Birra è Terra” e che è importante essere vicini alla filiera di produzione, dalle sue origini. Per questo continuo ancora oggi a sentirmi un precursore» conclude Musso. I soci del Birrificio Lambrate affermano che è impossibile dimenticare che agli inizi «eravamo solo sei microbirrifici in tutta Italia. Abbiamo subito imparato a conoscerci, a scambiarci idee, opinioni e problematiche. Di li a poco è nata l’idea di fondare un’associazione che diffondesse in tutti i suoi aspetti il prodotto birra artigianale ed è così che è nata Unionbirrai. Molto spesso siamo stati un punto di riferimento per chiunque fosse interessato ad imparare il nuovo mestiere; ricordiamo con piacere persone che sono passate da noi e poi un bel giorno le abbiamo riviste in una veste nuova, avevano cambiato lavoro ed avevano aperto il loro microbirrificio!». Di Unionbirrai Microbirrifici parla anche Guido Taraschi che ne ospitava la sede

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nel suo locale. «I primi micro birrai» ricorda «avevano lo spirito dei pionieri, la forza di chi deve lottare ogni giorno contro tutto: a parte l’ignoranza della nostra legislazione e di chi la fa rispettare, non era facile nemmeno reperire il malto e il luppolo. Allora però sono stato fortunato perché ho trovato chi ha creduto nel progetto. Per costruire il mio birrificio sono stato finanziato da cinque banche e il resto lo hanno messo i soci. Non avevo nulla a garanzia se non la forza dell’idea e un buon business plan preparato dal mio amico e commercialista dott. Tirindelli. Oggi faccio altro. Ho abbondanato il mondo della birra artigianale ma lo spirito, l’entusiasmo e le persone incontrate in quegli anni avventurosi le porto sempre con me».

Il futuro della birra artigianale Una visione comune alla base del progetto dei pionieri della birra si riflette inevitabilmente anche nella visione del futuro della birra artigianale. Sia Vecchio Birraio sia Le Baladin concordano nella crescita dei consumi e nell’attenzione del pubbli-

co, sul fatto che il numero delle etichette presenti sul mercato si stabilirà (per ovvie ragioni fisiologiche) ma allo stesso tempo segnalano che c’è il «bisogno di abbassare i costi di produzione per essere più competitivi sul mercato nazionale ed estero». Il Birrificio Italiano vede «grandi e importanti sviluppi perché in Italia c’è energia ed entusiasmo nonostante la nostra generale inettitudine» mentre Birra Beba mette l’accento «sul mercato della birra che in Italia non cresce e togliere quote all’industria è una battaglia durissima». Lo vedono roseo il futuro i soci del Birrificio Lambrate che, nonostante l’esplosione numerica di questi ultimi anni, ritengono che «ci sia ancora spazio per la crescita e la diffusione di una giovane cultura birraia italiana a patto che lo Stato garantisca un maggiore sforzo così da tutelare queste nuove e dinamiche realtà che non solo garantiscono nuovi posti di lavoro ma sono anche un brillante esempio di “made in Italy” in campo enogastronomico». È il caso allora di dire che “Chi beve birra campa 100 anni” ... e speriamo che chi la produce ne possa vivere ancor di più! ★

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A cura di Luca Pretti

SARDINIA INSULA BIRRAE

Conosciuta in tutto il mondo per il Cannonau e il Vermentino, la Sardegna si ritaglia un ruolo di tutto rispetto nel panorama birrario artigianale sfruttando al meglio il legame con la terra e i prodotti locali. Oggi il movimento birrario sardo si afferma come uno dei più attivi in Italia

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a Sardegna è una terra nella quale convivono bevitori in grado di disquisire sulla nobiltà di vini provenienti da uve di vitigni tradizionali di gran pregio, ma anche consumatori di birra industriale capaci di far

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impallidire i frequentatori dell’Oktober fest. Due mondi “etilici” che fino a non molto tempo fa rappresentavano due diverse filosofie di vita: una impegnata e colta ed una decisamente più easy. Una

divisione alimentata dalla tradizione enologica, ma anche da un lavoro di acculturamento che ha portato molti consumatori ad appropriarsi di un vocabolario pertinente a prescindere dalla capacità, di disquisire in maniera pro-

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pria di descrittori quali “fiori bianchi”, “allappante” e “pietra focaia”. A questo quadro bisognava invece sovrapporre la capacità di trangugiare ettolitri di bionda bevanda, nelle infinite serate al bar, percepita dalle cantine come un antagonista commerciale assai poco pericoloso, soprattutto nell’alta ristorazione. Il panorama brassicolo regionale si è evoluto negli ultimi dieci anni in maniera armonica rispetto a quello nazionale. E così il mercato pur non mostrando significative variazioni nella domanda, ha registrato una maggiore diversificazione nel segmento della birra di qualità grazie al rafforzarsi del ruolo dei microbirrifici artigianali. Uno degli aspetti più interessanti del movimento birrario nazionale, a cui quello sardo non fa eccezione, riguarda la possibilità di reinterpretare, in chiave nazionale, gli stili birrari provenienti dai paesi di conclamata cultura brassicola. La rivisitazione degli stili, prevede infatti, l’utilizzo di uno o più ingredienti in fase di produzione provenienti dalla cultura eno gastronomica locale. Mai come negli ultimi anni l’attenzione per le materie prime è stata così forte: per alcuni la presenza di un frutto, una spezia locale, basta per legare la birra al territorio locale, per altri produttori invece, la possibilità di utilizzare orzi (e malti) e luppoli coltivati sul luogo rappresenta il percorso obbligato per arri-

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vare ad un prodotto che possa definirsi in toto birra italiana.

I microbirrifci Per gli amanti della statistica e della storia, In Sardegna l’esperienza dei microbirrifici è tra le prime d’Italia. È nel 1993

che il birrificio Adis Scopel, in provincia di Cagliari, propose sul mercato locale le sue birre lager “dolomiti”. I primi produttori avevano come obiettivo quello di erodere quote di mercato ai prodotti di bassa fermentazione industriale, rincorrendo di fatto i consumato-

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ri su di un terreno dove il prezzo, più della qualità, dettava legge. Questo portò alcuni a tentare la via anche della grande distribuzione organizzata ma senza la necessaria capacità di attuare le indispensabili economie di scala, con costi e prezzi decisamente più alti e con problemi di shelf life decisamente sottostimati al di fuori della catena del freddo. Quello scotto fu però necessario se, a partire da quelle esperienze, il movimento birrario sardo si è poi affermato sia in ambito nazionale sia internazionale. A tutt’oggi nell’isola possiamo contare circa quarantacinque microbirrifici in attività, distribuiti su tutto il territorio isolano, con una maggiore presenza nel sud, dove si concentra più di un terzo della popolazione dell’Isola e quindi di consumatori. Un numero che è però da considerarsi mutevole data la velocità con la quale sempre nuove attività si presentano sul mercato. In generale, prevale la conformazione del “microbirrificio senso stretto”, ossia del piccolo-medio stabilimento non affiancato da un locale, in cui lavorano due tre persone al massimo. Ad oggi sono quattro i brewpub e diversi i beer firm alcuni dei quali già orientati verso l’autonomia produttiva. Un discorso a parte meritano i birrifici agricoli. Al momento sono due quelli attivi, uno dei quali dotato di maltatrice e di impianto di luppoleto di mezzo ettaro che rappresenta comunque, allo stato attuale, la dimensione media per questa coltura in Italia. Questi numeri si traducono, potenzialmente, in un impianto ogni 50.000 abitanti. Un numero sicuramente destinato a crescere dato che, stando ai rumors, più di un bar avrebbe intenzione di dotarsi di un proprio impianto produttivo. Le etichette, censite in 151, sono divise in 13 stili secondo quanto riportato da una recente catalogazione realizzata dall’Associazione Italiana Sommelier di Sassari, giunta quest’anno alla sua seconda edizione. Le birre vengono proposte principalmente nel mercato locale, anche se sono diversi i birrifici che hanno deciso di varcare il mare e

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proporsi nei locali tanto della Penisola che all’Estero. Non essendo l’Italia un paese a prevalente cultura birraria, anche in Sardegna gli stili presentati ripercorrono le esperienze comuni ai microbirrifici artigianali nazionali a partire dal trasferimento di know how delle tecniche produttive dei Paesi tradizionali (Belgio, Germania, Inghilterra) strizzando l’occhio anche ai prodotti nord Americani. Di queste etichette, solo alcune si rifanno alla bassa fermentazione. Le ragioni per le quali le Ale riscuotano maggior successo tra i produttori locali, sono da ricercare probabilmente nella possibilità che queste lasciano all’estro del mastro birraio. La conoscenza e lo studio delle materie prime, unite ad una maniacale attenzione per la qualità olfattiva dei propri prodotti, sono il risultato, nelle migliori produzioni, di birre complesse e strutturate. È però vero che, al di là dell’acqua, anche le birre targate Sardegna utilizzano materie prime comuni ai più affermati produttori d’oltre confine. Ed è qui che ritorna il legame del prodotto con la terra. La cultura del km zero, la possibilità di sentire l’orgoglio per le proprie produzioni, hanno fatto breccia anche tra i mastri birrai isolani. È pur vero che non sempre locale è sinonimo di buono ma, dal punto di vista del marketing, è una strategia che può dare dei buoni risultati in un mercato che, per quanto detto, tenderà nell’immediato futuro a livelli di penetrazione sempre minori. La scommessa è ovviamente quella di realizzare delle strategie di lungo periodo le cui basi sono già state individuate nel corso di quest’ultimo decennio. Se ad oggi non esiste per la birra un legame col territorio Sardo paragonabile a quello del vino, ci sono però birre con un forte legame con esso, e che figurano come icone nell’unico stile birrario italiano (Italian Grape Ale) riconosciuto all’interno del programma nord americano per la formazione dei giudici (BJCP) per i concorsi. Altri produttori hanno puntato sull’utilizzo di grani tradizionali ed anti-

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chi, un tempo usato per ottenere le farine da cui produrre il pane carasau, per una personale proposizione di blanche. Altri invece utilizzano per le proprie produzioni frutti del germoplasma locale (fichi d’india ma anche mirto) o addirittura erbe endemiche nella riproposizione del gruyt in chiave sarda. Questa strategia consente di tipizzare le birre ma il vero obiettivo rimane quello di poter utilizzare malti e luppoli coltivati in loco. Mancando completamente un database rispetto a queste colture, riveste un ruolo fondamentale la ricerca. Negli ultimi anni grazie al centro Porto Conte Ricerche sono stati realizzati alcuni specifici progetti di ricerca a sostegno delle produzioni brassicole locali. In particolare è stata valutata la possibilità di coltivare a queste latitudini alcune varietà di luppolo di provenienza nord americana. Le esperienze maturate hanno permesso la pubblicazione presso una rivista specia-

lizzata, dei primi dati relativi a tre anni di osservazioni sulla varietà Cascade. Inoltre, si stanno studiando le performance di trasformazione di orzi locali per la successiva maltazione. Sempre grazie alla collaborazione con il centro di ricerca, alcuni produttori realizzano birre gluten free a partire da materie prime non deglutinizzate e in tutto e per tutto simili a quelle destinate a consumatori non sensibili al glutine. A fare da cornice a questo panorama, non è da sottovalutare nel corso degli anni l’importanza della formazione ai consumatori che negli anni hanno contribuito ad elevare la conoscenza di questa bevanda smarcandola dall’immagine che anni di marketing ci hanno regalato. In pratica, si sta realizzando una rete di conoscenza che sembra preparare, per la birra in Sardegna, un futuro più che roseo. Ma anche biondo, golden, ambrato, bianco, scuro… ★

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A cura di Norberto Capriata e Massimo Faraggi

Brassare una Saison: IL MASTRO BIRRAIO RISPONDE

Lo stile Saison, storicamente originario tra la vallonia belga e i territori francesi di confine, è in un certo senso molto poco definito in termini di grado alcolico, colore, ingredienti e anche caratteristiche di fermentazione. Era la birra “di fattoria” creata per il consumo estivo dei lavoratori nei campi e per produrla si utilizzavano gli ingredienti al momento disponibili: cereali di vario tipo, spezie ed erbe del territorio. Abbiamo provato ad approfondire la sua produzione interrogando cinque birrai

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che hanno tra le proprie referenze almeno una birra che si ispira allo stile. I cinque hanno storia personale e professionale molto differente e ciascuno di loro è in grado di offrire al lettore una propria valida e variegata, proprio come lo stile, interpretazione della Saison. Ci sono un paio di vecchi marpioni che da anni padroneggiano lo stile come Luigi D’Amelio (Schigi) di ExtraOmnes e Fausto Marenco di Maltus Faber (anche se la sua saison è relativamente recente); un altro vecchio marpione che si sta

affacciando solo ora verso questa tipologia, Pietro Fontana del Carrobiolo (in questa intervista insieme al suo giovane vice, Matteo Bonfanti) e un paio tra i migliori birrai della nuova generazione come Pietro Tognoni di PicoBrew, reduce da un’interessante esperienza belga e il bravissimo e pluripremiato Nicola Coppe che collabora con il birrificio Bionoć. Il risultato è davvero molto interessante: buona lettura.

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FAUSTO MARENCO Maltus Faber

NICOLA COPPE Bionoć

Perché avete pensato di inserire una Saison fra le birre di vostra produzione? Come vi è venuta in mente l’idea? Luigi: Abbiamo, fin dall’inizio, improntato la nostra produzione ispirandoci agli stili Belgi ed era naturale cimentarsi con le Saison. Fausto: Per un birrificio di prevalente ispirazione belga la produzione della Saison colma una lacuna quasi imperdonabile! Pietro F e Matteo: Come obiettivo del 2019 ci siamo dati quello di dedicarci al caro vecchio Belgio e alle sue birre e soprattutto ai suoi lieviti. Ripensare la nostra Triple cambiandone il lievito, aggiustare la Senatrice Cappelli blanche e poi fare una birra nuova, la Saison appunto. L’idea era quella di produrne una con l’impiego di cereali locali (frumento crudo della Cascina Rampina) e utilizzando un ceppo di lievito Saison tra i meno attenuanti che, grazie ad un amico, abbiamo propagato dalla nostra saison preferita, D’Epeautre di Blaugies. Pietro T: L’idea di produrre Saison nasce pedalando in giro per il Belgio, tanto che il nome delle due Saison che produco è Road to Vallonia; è uno stile che amo perché raccoglie al suo interno tipologie completamente diverse tra loro e permette di spaziare molto. Nicola: Per me è stata una cosa estremamente naturale: già le facevo in casa e soprattutto sono sempre state delle birre che, data l’estrema secchezza, ho

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PIETRO FONTANA Carrobiolo

PIETRO TOGNONI PicoBrew

sempre apprezzato per la facilità di beva anche se aromaticamente molto complesse. Mi ha sempre affascinato l’evoluzione che le Saison hanno avuto dal loro inizio più primitivo in Vallonia, con gli esempi meno alcolici che i contadini producevano per dissetarsi e alleviare il faticoso lavoro nei campi, fino ad arrivare alle versioni più alcoliche e moderne e anche meno “sporcaccione”. Per me è dunque stato davvero fisiologico inserire queste birre nella produzione, non è stata una scelta: è venuta da sé. In birrificio la Staion ha sempre avuto gran successo; a questa ne sono state affiancate altre due e a breve arriverà l’ultima, quella meno alcolica. Conoscete altre Saison, quali apprezzate, e qualcuna è stata presa a modello, con eventuali varianti? Qual è stata l’idea per una “vostra” Saison? Luigi: Il modello di riferimento non può che essere Dupont, anche se le Saison tradizionali pare fossero abbastanza diverse. Su quel canovaccio abbiamo costruito la nostra Saison classica, più alcolica e con l’utilizzo di malto di Segale. Fausto: Apprezziamo le produzioni classiche belghe Dupont, Pipaix, Dottignes ecc. Personalmente non molto conosco del panorama Italiano. L’ispirazione quindi è alle Saison belghe ma con l’intento di limitare le tipiche note rustiche e terrose di queste birre. Pietro F e Matteo: Abbiamo cercato la giusta secchezza, senza estremizzarla

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LUIGI D’AMELIO ExtraOmnes

come oggi usa e una bella caratterizzazione sulla speziatura che quel lievito sa produrre, con sfumature originali di cardamomo e cumino. Altro obiettivo era di non esagerare con il luppolo e l’amaro per valorizzare sia il lievito che i cereali, così come riteniamo fosse storicamente. Oltre alla versione base prodotta solo in fusto e chiamata originariamente Saison, abbiamo realizzato una versione Brett-Saison, solo in bottiglia: stessa base ma rifermentata con Brettanomyces e fatta maturare per diversi mesi. Per noi uno spettacolo! Siamo rimasti molto soddisfatti della versione base ma quella brettata ci sembra davvero convincente. In Italia grande stima per le Saison del Birrificio dell’Aspide! Pietro T: Le Saison della linea base rispecchiano fedelmente lo stile e si ispirano a due birre molto differenti tra loro. La prima che ho prodotto, Road to Vallonia Etichetta Arancione, si ispira alla Saison de Pipaix della Brasserie à Vapeur. Non è proprio ciò che uno si aspetta da una Saison perché ha un inusuale profilo maltato e speziato e non si ritrova l’abbondanza di esteri e alcoli superiori tipici delle Saison quali la Saison Dupont. A quest’ultima si ispira l’Etichetta Verde, una Saison estremamente secca e un profilo speziato/fruttato dato dal lievito. Infine produco anche una Saison più moderna, la Primavera, nata in collaborazione con il birrificio belga BelleVaux e prodotta con luppolo Citra in formato cryo: in questo caso gioco tra la

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nota fruttata dal lievito e quella del luppolo che si uniscono in aromi di frutta a pasta gialla molto intensi. Nicola: Non è una risposta semplice: siamo diversi birrai nello stesso birrificio e ognuno con la sua testa pensante. Il cardine, come detto precedentemente, è stata da sempre la Staion, una saison dritta, moderna, di grado alcolico moderato entrata fin da subito nella produzione del birrificio. Le birre ispiratrici? Tantissime!! Dalle più neutre alle farmhouse a me molto più care, alle quali sicuramente mi sono ispirato di più, anche per un lavoro di contaminazioni/fermentazioni miste. Faccio sicuramente prima a dire a quale Saison di sicuro non mi rapporto, poiché non mi ci ritrovo: la saison Dupont, che pur essendo il capostipite di questo stile, a mio avviso non rappresenta quello che vuole o quello che voleva essere una Saison. Siete soddisfatti del risultato o vi sono margini di perfezionamento? Che riscontro ha avuto il vostro prodotto? Luigi: Negli anni abbiamo imparato a perfezionare sempre di più le fasi della

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fermentazione, ma la ricetta è rimasta invariata. È stata apprezzata e soprattutto gli è stata riconosciuta un’impronta identificativa unica. Fausto: Dopo due anni di produzione in fusto e sei mesi di produzione anche in bottiglia, la birra ci soddisfa e non crediamo necessiti di variazioni: gli aggiustamenti sono stati fatti sulle prime produzioni in fusto. Commercialmente funziona ed i nostri clienti l’hanno apprezzata parecchio sia per la bevibilità sia per l’equilibrio. Pietro F e Matteo: Il pubblico ha manifestato curiosità prima e apprezzamenti dopo, e quando la mettiamo in mescita al pub o ai festival fa sempre la sua figura. Non apprezzata dagli esaltati dell’ultrasecchezza accompagnata da elevati livelli di amaro che la trovano troppo educata. Ma noi cercavamo eleganza ed equilibrio… quindi va bene così! Essendo alle prime cotte di sicuro non ci accontentiamo e cercheremo di sperimentare piccole variazioni sia in fermentazione sia in luppolatura a freddo. Pietro T: Posso ritenermi soddisfatto; ho notato che l’Etichetta Arancione incontra molto i gusti dei clienti che cer-

cano birre non tanto amare come le wit. Chi si aspetta una Saison ricca di esteri potrebbe rimanere deluso. L’Etichetta Verde piace molto agli appassionati, come Simonmattia Riva ad esempio; l’ultimo lotto del 2018 aveva secondo me una nota fruttata troppo spinta e nella prima cotta del 2019 ho corretto il tiro e penso di essere arrivato ad una versione definitiva. La Primavera è una birra che può piacere agli amanti dell’amaro e del luppolato ma non per questo lascia in secondo piano l’animo belga e per questo spero che possa avvicinare le persone che bevono solo IPA ad aprirsi ad altri stili. Nicola: Sono molto soddisfatto delle Saison prodotte, in particolare della Miss Liken, nata ancora in casa da una pazza collaborazione con lo chef stellato Alessandro Gilmozzi del Molin di Cavalese. Lui, nel suo settore, è sempre stato un riferimento di cucina montana rivoluzionaria, quello che si è sempre spinto oltre alla ricerca di tutto ciò che fosse commestibile nel bosco, arrivando fino alla sua materia prima preferita: licheni. Questa è una Saison da 8° alc. fermentata con un lievito “belgian Saison“ che ho selezionato personalmente, con un attenuazione apparente del 102%: in pratica restano nel fermentatore solo acqua ed alcool. La fermentazione protratta per tre settimane ad una temperatura massima di 26°C libera molti esteri, ma allo stesso tempo emerge anche la cospicua aggiunta del lichene che sostituisce quasi completamente l’uso del luppolo. Al concorso birra dell’anno 2019 si è aggiudicata una medaglia d’argento. Un’altra Saison di cui mi occupo personalmente è l’Ardiva, uno dei prodotti di punta senza frutta del progetto Asso di Coppe. La base dei mosti è molto simile a quella della Miss Liken tuttavia qui c’è una bella aggiunta di luppolo. La fermentazione la differenzia completamente dalla sua sorella di mosto: mentre la prima fermenta in birrificio in perfette condizioni igieniche, questa fermenta sempre con un lievito Belga, ma in fermentatore aper-

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to all’interno della nostra bottaia dove trova, nel giro di qualche settimana, un importante inoculo lattico dai batteri e dai lieviti presenti nell’aria. Chiaramente siamo di fronte ad una Farmhouse in tutto e per tutto. La cosa che contraddistingue di più questa birra è il “dry-herbing” ovvero un dry hopping della birra pronta (dopo aver riposato 6-8 mesi in botti di rovere) con le erbe aromatiche del fieno di montagna, che le donano un aroma unico atto a ricordarne l’origine del nome “Ardiva“, che nel nostro dialetto è appunto il secondo taglio del fieno, quello più pregiato. Ci potete dare qualche dettaglio su caratteristiche e produzione? Gli homebrewer che ci leggono sono avidi di particolari utili... Luigi: Un mosto con la maggior quota possibile di zuccheri fermentescibili, grande ossigenazione del mosto, overpitching, temperatura in rialzo non controllata, mantenimento fino a fine fermentazione sui 28/30 tramite riscaldamento, se necessario. Fausto: Fornire i dettagli delle nostre produzioni è per noi un piacere! Solo malto Pils, luppolatura tradizionale Europea (Saphir, Styrian e Brewer Gold) e lievito Belgian Saison utilizzato a 24 °C. Pietro F e Matteo: Il Carrobiolo è un birrificio urbano mentre le Saison sono l’esempio più lampante di birre contadine, quindi abbiamo cercato di collegarci il più possibile ai nostri contadini. Abbiamo usato il 20% di frumento non maltato che cresce a meno di 20 km dai nostri fermentatori, prodotto dall’azienda Agricola Cascina Rampina di Monticello Brianza; mentre per il luppolo la scelta è caduta ovviamente su quello che è ormai un nostro fornitore diretto da cinque anni, Blaz Boznar e la sua famiglia che coltiva luppolo in Slovenia da moltissimi anni. Per il lievito abbiamo recuperato il lievito di Blaugies e lo abbiamo propagato per poi utilizzarlo in birrificio. Il mosto è stato prodotto utilizzando anche malto Pils e Munich II, seguen-

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La ricetta: Zen Saison

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La ricetta è ispirata alla Saison di Maltus Faber e la birra prodotta durante un corso MoBI da me tenuto a Genova il 27 gennaio 2019. Come in altre occasioni analoghe, Maltus Faber ci ha fornito la ricetta dettagliata che io ho adattato modificandola per tener conto delle caratteristiche dell’impianto usato per il corso (un semplize zapap), procedure utilizzate e tempi e relative efficienze: non si tratta quindi della ricetta originale del birrificio ma di una versione homebrewed ad essa ispirata Come sempre, la birra prodotta durante il corso sarà poi assaggiata in un incontro con i corsisti insieme all’originale.

Il nome della birra è un omaggio al Circolo ARCI Zenzero che da anni ospita i nostri corsi, nonché un richiamo alla pazienza zen che secondo la letteratura è necessaria per utilizzare il lievito Dupont, in questo caso non necessaria perché la fermentazione si è svolta senza alcun intoppo! CARATTERISTICHE OG 1047 FG 1004 ALCOOL 5,7 % vol. circa AMARO 30 IBU circa

INGREDIENTI X 13 LITRI MALTO PILS

LUPPOLO

LIEVITO liquido

2800 gr Brewer’s Gold AA 7.5%

6.5 gr

35 min *

Brewer’s Gold AA 7.5%

13 gr

0 min *

Hallertauer Saphir AA 3.9%

13 gr

0 min *

Styrian Goldings AA 3.5%

20 gr

0 min *

Wyeast Saison #3724 o equivalente

Gypsum

1 cucchiaino PREPARAZIONE

❱❱ Scaldare 8 litri di acqua a 72°C, aggiungere il gypsum e i grani, la temperatura si as❱❱ ❱❱ ❱❱ ❱❱

sesterà a 66°C circa. Sosta a 66°C per 40 minuti. Salire a 72°C. Sosta a 72°C fino a conversione (20 min ca). (Sparge tradizionale) Salire a 77°C Sparging fino a raccogliere 15,5 litri (indicativamente con altri 11,5 litri di acqua compresi i litri nel doppio fondo) Bollitura 60 min.

* A fine bollitura aspettare 30-35 min prima di raffreddare (equivalente a circa 20-25 min di ulteriore bollitura) NOTE Fermentazione: inoculo (con eventuale aggiunta di nutrienti) a 20°C poi a 25°C-26°C per 6gg + 14 gg e comunque fino a attenuazione prevista Priming 6 gr/lt Un ringraziamento a Maltus Faber per le informazioni. (Massimo Faraggi)

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do il consiglio del produttore di Saison perfetto: “Fai un mash basso e fermenta alto!” Dopo una breve sosta proteolitica, la conversione avviene a 63°C, bollitura di 90 minuti con una discreta aggiunta di luppolo da aroma negli ultimi 20 minuti. L’inoculo avviene a 26°C e lasciamo lavorare il lievito senza controllare la temperatura. Con questa Saison abbiamo prodotto due versioni, entrambe rifermentate in bottiglia. Una di queste birre è stata rifermentata con il Brettanomyces Bruxellensis che durante la lunga maturazione in bottiglia ha donato alla birra base le note caratteristiche del ceppo. Pietro T: Se volete produrre una Saison (tipo saison Dupont) con lievito Belgian Saison consiglio per le prime volte di rispettare lo stile, usare luppoli tradizionali come Styrian Golding e Saaz o altri luppoli nobili a basso AA. Ammostamento con solo pils a 63°C per la maggior parte del tempo, poi è il lievito che fa il resto. Partire da temperature di 22°C e lasciare il lievito a briglie sciolte fino a fine fermentazione. Nicola: Ultima tra le ultime, in arrivo il prossimo mese, una saison de table da 3,5° alcolici anch’essa attenuata allo stremo e prodotta con un mosto carico di fiocchi d’avena, segale e con una correzione importante dell’acqua in favore dei cloruri per arrotondare il corpo: in teoria questa birra sarebbe poco più che un’acquetta..! L’ingrediente Inedito, per il momento, fa da padrone sia dal punto di vista aromatico che dal punto di vista del colore, dando una sfumatura rosata alla birra. Avete avvertenze e suggerimenti per l’homebrewer che voglia produrre in casa una Saison? Ad esempio, il famigerato lievito Dupont vi ha mai creato dei problemi? Luigi: Il Belgian Saison va solo conosciuto e messo nelle sue condizioni ideali, poi dà grandi soddisfazioni dal punto di vista delle attenuazioni e spettro olfattivo. Fausto: Non utilizzare temperature di

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fermentazione estreme e comunque non oltre i 26°C: ciò garantisce un prodotto magari meno ricco, ma più corretto ed elegante. Il lievito che usiamo è quello della Dupont, ovvero il Belgian Saison 3724. Premesso che i nostri inoculi sono quantitativamente importanti, le fermentazioni si sono sempre completate normalmente. Pietro F e Matteo: Agli Homebrewer diciamo solo di fare mille prove con tutti i lieviti in commercio (compreso Dupont!) e di verificare come si comportano sui loro mosti ma anche di stare attenti ai luoghi comuni... non sempre serve andare alle stelle con le temperature di fermentazione! Provare per credere! Scegliete un lievito sano, abbondante e non temete di farlo lavorare ad alte temperature. E, no, a noi il lievito Dupont non ha mai creato problemi Pietro T: L’ambiente non deve essere sotto i 20-22°C perché il lievito rischia di impiantarsi e nel caso questo succeda, non è un’eresia inoculare, in fermentazione primaria, un secondo lievito Saison trattore molto attenuante, tipo un Belle Saison, che si mangi tutto quello che il Belgian Saison non si è mangiato. Gli aromi caratteristici sono comunque stati prodotti nelle prime ore di fermentazione. Diventa obbligatorio nel caso del reinoculo fare un travaso dopo la fer-

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mentazione primaria, cosa comunque consigliata. Nicola: Qui mettiamo il dito nella piaga: il famigerato impiantatore seriale, ovvero il ceppo 3724! Sinceramente, con questo ceppo non ho mai lavorato molto, ho preferito selezionare un Belgian Saison che mantenesse le stesse caratteristiche del 3724. In teoria sarebbe lo stesso ceppo, poiché il DNA mitocondriale dice che è il medesimo, ma in realtà le piccole mutazioni genetiche sono difficili da identificare anche con gli strumenti più moderni: il sequenziamento genetico completo non si fa praticamente mai per i costi vertiginosi e per il tempo che richiede. Posso dire però che il ceppo che uso per le mie birre è il Belgian Saison di Atecnos , azienda nel quale fino a pochi anni fa lavoravo. Questo non si impianta, almeno a me non è mai successo... sarò bravo?? Non credo forse conosco meglio i meccanismi cellulari e quindi vengo incontro alle esigenze di questo lievito con la produzione del mosto e dei suoi nutrienti. In ogni caso: Il lievito, qualsiasi ceppo sia, si blocca per diversi motivi e uno di questi è sicuramente la carenza di azoto. ❱❱ Il lievito non può mangiare carbonio (zuccheri residui) se non ha azoto a disposizione e quindi ecco che un

buon nutrimento azotato, in particolare quello complesso (aminoacidi ramificati BCAA: quelli per atleti culturisti sono ottimi) è sempre necessario. Specialmente se vogliamo arrivare ad attenuazioni a ridosso dello zero. Io arrivo a -0.2°P nella Miss Liken che ha 8° alc.) ❱❱ Il lievito per non “impiantarsi” ha bisogno di rispondere allo stress da etanolo che ne secca le membrane, rallentando sempre più il trasporto di membrana. Come fare? Ossigeno! L’ossigenazione del mosto serve principalmente a trasformare acidi grassi saturi in acidi grassi insaturi che rendono la membrana cellulare molto più fluida e quindi più efficiente, anche in condizioni di stress da etanolo. Io personalmente NON ossigeno, ma aggiungo direttamente acidi grassi insaturi (olio d’oliva) come nutrimento completamente sostitutivo all’ossigenazione. ❱❱ Piccola nota sui ceppi Saison: poco tempo fa ho scritto un articolo sul blog del mio sito Lab4beer.it relativo al problema del Saccharomyces Diastaticus, un lievito che mangia tutti gli zuccheri causando grandi problemi di sovra-attenuazione e gushing. Può essere utile! ★

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FOCUS SAISON

A cura del MoBI Tasting Team

Mobi TASTING SESSIONS:

Saison

Birre italiane e straniere, artigianali e (semi)industriali degustate e giudicate dal “MOBI Tasting Team”

L

o stile Saison è, nei suoi parametri fondamentali, davvero ampio: per grado alcolico, colore, ingredienti. Le birre che vogliono rifarsi allo stile dovrebbero però avere delle caratteristiche comuni, come alta attenuazione, buona secchezza e una carbonazione vivace. Leggiamo i commenti del nostro MoBI Tasting Team!

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I

membri del MoBI Tasting Team sono rinomati degustatori, giurati a concorsi birrari internazionali, giurati certificati BJCP, appassionati, talvolta anche birrai. Puoi trovare altre degustazioni e recensioni di birre in stile Saison sul Blog del sito MoBI. Inquadra il QR Code e segui il link!

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FOCUS SAISON

Bìsa, Balabiott

BB5; Barley

Stile: Saison; Alc. 6%

Stile: Saison/IGA; Alc. 5.5%

Saison d’Erpe-Mere; De Glazen Toren

Formato: in fusto

Formato: bottiglia da 37.5 cl.

Stile: Saison; Alc. 6.9%

Scadenza: -

Lotto: L-17-18

Formato: bottiglia da 75 cl.

Acquistata: pub

Scadenza: 1 anno dalla degustazione

Scadenza: -

Acquistata: esportatore

Acquistata: esportatore

Schiuma bianca, pannosa, abbondante e di persistenza media, colore dorato e buona trasparenza. Aroma abbastanza intenso nella sua delicatezza, di grande eleganza, nel quale convivono speziature belghe ed un notevole fruttato non riconducibile solo ad esteri da fermentazione. Il contributo dell’uva bianca (solo 2%) si sposa in modo molto interessante con quello del lievito Saison, conferendo un leggero vinoso da moscato e profumi di mela, pera, pesca e agrumi, molto ben integrati tra loro per piacevolezza ed importanza. L’assaggio rivela una buona coesistenza tra dolcezza e acidità, entrambe contenute, mentre il finale è leggermente astringente e amarognolo con retrogusto che riporta il fruttato e soprattutto gli agrumi. La secchezza dello stile convive con la morbidezza di una carbonazione dosatissima.

Schiuma bianca, bellissima ed esuberante, persistenza lunghissima. Colore tra il paglierino e il dorato, trasparenza inaspettata (soprattutto ad inizio bottiglia). Il naso è tipicamente belga, e come nei migliori esempi valloni, le speziature del lievito Saison sono accompagnate dalla tipica rusticità da crosta di pane, cereali, esteri che rimandano a frutta gialla matura, pesca e banana. Il malto fa la sua parte con tanto miele. In bocca la secchezza dello stile è presente ma in modo meno estremo rispetto ad altre interpretazioni più “moderne”, il corpo è medio-pieno e accarezza il palato facendo ritornare il miele e i cereali percepiti a livello aromatico in un sorso dolce, terroso e lunghissimo. Frizzantezza sugli scudi e sensazioni di calore regalano una bevuta appagante anche se piuttosto impegnativa.

Schiuma bianca piuttosto invitante e durevole. Colore dorato intenso con lievi velature. L’aroma rimanda subito allo stile, con le tipiche speziature donate dal lievito belga. Il contributo della menta citrata, indicata tra gli ingredienti, è ben presente e piacevole, sicuramente non invadente; le note citriche sono più rilevanti rispetto al mentolato che emerge soprattutto man mano che si lascia scaldare il bicchiere. Si avverte anche un po’ di fenolico. In bocca la secchezza tipica dello stile è evidentissima ed amplifica, insieme ad una netta astringenza, un amaro troppo importante e fastidioso, specie sul finale di sorso. La lieve acidità, piacevole e in stile, non è sufficiente per bilanciare il gusto. Giudizio complessivo Una birra molto interessante soprattutto per quanto riguarda la parte aromatica che sposa molto bene il carattere donato dai lieviti tipici con l’interessante contributo della menta citrina. L’assaggio invece è per ora molto faticoso forse proprio a causa della menta che amplifica la percezione dell’amaro. Qualche piccolo ritocco e potremmo incappare in un’ottima Saison.

65/100 (NC)

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Giudizio complessivo Saison o IGA? In questo caso siamo veramente al confine. In ogni caso la BB5 convince, assaggio dopo assaggio: un altro capolavoro di questo birrificio che, dopo tanti anni, non smette di stupirci per qualità, originalità e precisione nell’esecuzione. Un avvertimento: gustatela da sola, magari come aperitivo.

Giudizio complessivo Malgrado le nuove leve internazionali abbiano ormai adottato linee guida che si discostano leggermente da questo tipo di interpretazione dello stile, amplificando la secchezza e la beverinità (e talvolta luppolando a capocchia), la Saison d’Erpe-Mere rimane un caposaldo che non delude chi ama il vero Belgio, sporco, grezzo ed emozionante.

84/100 (NC)

86/100 (NC)

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FOCUS SAISON

Fonge; Brasseurs Cueilleurs (Brasserie Thiriez - FRA)

Fruit Saison; Birra Almond ‘22

Saison; Extraomnes Formato: bottiglia da 33 cl.

Stile: Saison; Alc. 4.1%

Stile: Saison con succo di ribes nero del Trentino (14%); Alc. 6.3%

Formato: bottiglia da 33 cl.

Formato: bottiglia da 33 cl. Lotto: 64

Acquistata: pub

Scadenza: 02/2020 Acquistata: beershop

Acquistata: pub

Limpida e gialla paglierino, con una moderata schiuma bianca e persistente. Al naso emergono, pur attenuate, le note calde, vinose e un po’ speziate tipiche di un lievito da Saison, affiancate da note erbacee da luppoli europei (Strisselspalt, First Gold e Barbe Noir). L’aroma di miele di acacia, è a tratti eccessivo ma non spiacevole; si fanno poi strada note di frutta gialla matura. La bocca contraddice le note dolci colte al naso: la birra è secca, watery, scorrevole. La carbonazione è moderata; nel finale l’amaro erbaceo è delicato e netto, quasi da pils.

Colore rubino con sfumature viola; appena velata. Schiuma pannosa con i classici merletti di Bruxelles, di inusuale colore rosa. Il ribes nero suggestiona l’olfatto e ci rimanda alle bollicine rosa, tra un Fragolino e un Brachetto. Il corpo è fruttato (pesca, melone retato, pera) con elegante floreale (gladioli, fiori di ibisco) e una vena fenolica (chiodi di garofano, pepe). Nel cuore i malti: frumento, crosta di pane, brioche, pasta frolla e zucchero candito. Carbonazione vivace, corpo da medio a pieno. Inizio dolce, poi amaro (tannini, agrumi, spezie) e un lungo retrogusto citrico (scorza d’arancia e lime). Acidità di frutta e frumento molto rinfrescante. Poi malti chiari (miele, brioche, pasta frolla) e floreale (fiori di arancio). Spezie (pepe, chiodi di garofano) e soprattutto frutta (pesca, melone, ribes nero) determinano il carattere di questa birra.

Schiuma fine, compatta, persistente e aderente. Colore aranciato chiaro con riflessi dorati, aspetto velato. Naso ricco di esteri fruttati (pesca, albicocca, arancia; ananas sciroppata, melone, banana), malti e frutta con un complessivo equilibrio. Il malto predilige le sfumature chiare: frumento (pane), brioche, pancarrè, pasta frolla, cereali e biscotto gelato. Le spezie: pepe, coriandolo, bergamotto; le note floreali ricordano fiori di campo, di arancio e delicata borragine. Carbonazione vivace, corpo da medio a pieno. Una birra esuberante: intensità e speziatura più accentuata al naso che in bocca. L’alcol dona un lieve warming e l’impressione che questa birra non debba essere sottovalutata. Il dolce (frutta e malti) è dominante ma spezie e alcol bilanciano e ripuliscono, senza l’atteso amaro. Finale pepato, vagamente piccante, persistente, fenolico (chiodi di garofano), speziato e amaro, con note di zeste di lime.

Giudizio complessivo Si ispira alle bollicine rosé e ne offre un’ottima interpretazione in chiave birraria. Stupisce per equilibrio e godibilità, risultando estrosa ma senza eccessi. Il risultato è godibilissimo, gentilmente acido e decisamente rinfrescante.

Giudizio complessivo Saison meno rustica del previsto, elegante ma non spocchiosa. Coesistono la nota alcolica e l’inaspettata dolcezza. L’amaro rimane sugli scudi e un assaggio alla cieca la scambierebbe per una voluttuosa Tripel. Berla è un gran piacere!

87/100 (MM)

86/100 (MM)

Giudizio complessivo Versione tradizionale di Saison, di moderata gradazione e facile beva. La sua scorrevolezza e poca intensità in bocca non è quindi una colpa, anche se le impedisce di lasciare ricordi indelebili. Mi sarei aspettato una maggiore caratterizzazione del lievito - si riporta una temperatura di fermentazione di 30 °C - sia come note aromatiche che come acidità e vinosità in bocca, quasi assenti; sarebbe forse auspicabile una maggiore coerenza tra naso e bocca. Rimane comunque una birra interessante, piacevole e ben riuscita.

76/100 (MF) 30

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Stile: Saison; Alc. 6.9% Lotto: L 212 18

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FOCUS SAISON

St Bretta Saison; Crooked Stave ABP Denver (USA)

Beau Monde; Brouwerij De Dochter Van De Korenaar

Saison De Dottignies; Brouwerij De Ranke

Stile: Saison; Alc. 5.5%

Stile: Saison; Alc. 6,2 °

Formato: bottiglia da 33 cl.

Formato: lattina da 37.5 cl.

Formato: bottiglia da 33 cl.

Lotto: B87T11

Scadenza: -

Scadenza: 10/2019

Acquistata: birrificio

Acquistata: beershop

Scadenza: 3 anni e 1/2 dalla data di degustazione

Colore paglierino, lattiginosa, con schiuma candida, compatta, abbastanza fine e di media persistenza. In prima battuta emergono sentori agrumati (scorza di limone maturo e lemon grass), dopo qualche secondo giungono gli aromi fermentativi (frutta matura: pesca gialla e ananas in evidenza) seguiti ulteriormente da un tocco aromatico e balsamico che ricorda il ginepro. Grande eleganza per la continuità gustativa tra la base maltata da Saison, una presenza minerale ai lati della lingua e un aromaticità speziata che emerge a medio palato ed è improntata ancora una volta al ginepro, con note di salvia e coriandolo. Il finale vira all’agrumato e al balsamico, ben bilanciato e pulito. Carbonazione vivace, il mouthcoating da Brett è delicato, senza alcuna asperità, il corpo snello e scorrevole.

Birra color ambrato chiaro con riflessi rossastri, schiuma color avorio, molto abbondante e dalla consistenza velata. Al naso note di caramello in apertura, sentori agrumati, arancia amara; gli esteri del lievito portano un aroma vinoso e speziato, alcol chiaramente percettibile. In bocca di nuovo il malto apre con note di caramello e liquirizia, note agrumate, arancia amara, mandarino ma poco percettibile; ritornano la vinosità e le spezie date dal lievito, buon corpo; l’alcol riscalda la bevuta soprattutto nel finale. Carbonazione vivace, chiude più amara con quella nota astringente che rende la bevuta ancor più interessante.

Giudizio complessivo Come in tutte le produzioni di Chad Yakobson, si assiste a una mirabile direzione d’orchesta dei Brett: non c’è una sola nota fuori posto. Eccellente il rapporto qualità-prezzo: six pack di lattine al birrificio costa 12$

84/100 (SR)

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Giudizio complessivo Birra ad alta fermentazione con farro e scorza di arancia amara, interessante ma allo stesso tempo impegnativa, malgrado il basso tenore alcolico. Equilibrata. Ottima in abbinamento a formaggi e salumi.

82/100 (CS)

Stile: Saison; Alc. 5,5°

Acquistata: beershop Dorata, velata, schiuma candida, generosa, compatta e pannosa: questo il biglietto di visita di una Saison che sembra profumare dei luppoleti di Poperinge, da dove proviene la maggior parte dei luppoli utilizzati: Brewer’s Gold, caratterizzate da intense note erbacee, terrose e pepate, suggestioni di tè verde. A bilanciare c’è la frutta a pasta gialla, il miele e la crosta di pane. Il finale è secco ed il palato è subito desideroso di un altro sorso. Giudizio complessivo Quella di De Ranke è probabilmente la Saison più amara che viene attualmente prodotta in Belgio: forse anche troppo. La si ama o la si odia. In ogni caso è sempre preferibile provarla nella bottiglia da 75 centilitri, formato nel quale le Saison regalano il meglio di sè.

78/100 (DS)

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DEGUSTAZIONI E ASSAGGI

A cura di Daniele Cogliati

Impressioni da una verticale di Thomas Hardy’s Ale Le degustazioni del beershop Casamia Birre & Co. a Villa d’Almè, in provincia di Bergamo, del sempre ottimo e competente Livio Gotti, sono garanzia di qualità inclusa questa verticale di Thomas Hardy’s Ale [da qui in avanti TH]. Qui il format delle degustazioni comparate non è una novità, ma viene solitamente declinato dal proprietario in una maniera molto informale, senza un conduttore a guidare le danze. Tutto ciò, unito al clima raccolto e al numero forzatamente ridotto di partecipanti a causa delle piccole dimensioni del negozio, regala ogni volta un’esperienza estremamente

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piacevole e rilassata in cui ciascuno assaggia, valuta, riflette e volendo condivide le proprie impressioni con gli altri presenti. La protagonista della serata è stata la mitologica TH. Come già molti illustri beer writers hanno avuto modo di sottolineare, la storia della TH è tutt’altro che lineare e facile da ricostruire. Ne ripropongo qui solamente i tratti essenziali, seguiti da una brevissima analisi stilistica.

STORIA TH nasce nel 1968 per celebrare il quarantesimo anniversario della morte del-

lo scrittore britannico Thomas Hardy (1840-1928). L’illustre letterato, originario di Dorchester, era un grande amico della famiglia Pope che dal 1870 si era unita alla famiglia Eldridge alla guida del birrificio cittadino Eldridge Pope, fondato nel 1828. Thomas Hardy amava molto la birra locale, tanto da dedicarle una descrizione lirica nella sua opera The Trumpet Major. TH doveva quindi inizialmente essere un prodotto una tantum, dedicato da Eldridge Pope al famoso concittadino, tanto che dopo il millesimo 1968 la produzione è stata sospesa fino al 1974. Il birraio incaricato della realizzazione del primo lotto si chiamava Denis Holliday; dal 1974 al 1999 (escluso il 1976) la birra è stata sempre prodotta dal piccolo birrificio di Dorchester. Dopo la chiusura di Eldridge Pope e uno stop forzato di alcuni anni, nel 2003 il marchio viene acquistato dall’importatore americano George Saxon, proprietario di Pheonix Importers, che da alcuni anni distribuiva TH negli USA. La rinascita della TH è affidata al birrificio britannico O’Hanlon. La seconda (o terza) vita della birra è però destinata a spegnersi rapidamente, dato che col millesimo 2008 la produzione viene nuovamente interrotta e il destino sembra ormai definitivamente segnato. Il 19 luglio del 2012 l’italiana Interbrau, nelle figure dei fratelli Sandro e Michele Vecchiato, rileva il marchio dall’anziano proprietario statunitense e commissiona la realizzazione della nuova TH al birrificio Meantime di Londra (oggi nella galassia Ashai Breweries). Il primo millesimo a essere commercializzato è marchiato 2015, ma

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DEGUSTAZIONI E ASSAGGI

la peculiarità del nuovo corso è la realizzazione di versioni speciali, come la Historical Ale 2016, passata in botti di Cognac e la commemorativa Golden Label 2018, per il 50° anniversario della prima produzione. TH ha quindi vissuto molte vite, scomparendo e riapparendo più volte sul mercato, per diventare oggi un oggetto da collezione e un sogno proibito di molti di appassionati. Nel corso degli anni alcune cose sono mutate, a cominciare dalla ricetta e dal formato della bottiglia, variabile tra “nip” da 180 ml, 25 cl e 33 cl. Presenze costanti sono invece l’effige dello scrittore impressa a volte in etichetta, a volte su un piccolo medaglione appeso al collo della bottiglia; la citazione letteraria tratta da The Trumpet Major, in cui la tradizionale strong ale di Dorchester viene descritta come luminous as an autumn sunset; la numerazione delle singole bottiglie. A ciò si aggiungono le caratteristiche organolettiche fondamentali che si sono mantenute nei decenni (grande complessità aromatica e intensità gustativa, corpo pieno, elevato grado alcolico) e la capacità di maturazione ed evoluzione in bottiglia “fino a 25 anni”, qualità che offrono spunti per verticali epiche.

STILE Oggigiorno la vulgata include TH nello stile English Barley Wine. L’assegnazione non è però mai stata univoca tra gli addetti ai lavori: già Michael Jackson nel suo The World Beer Guide to Beer (1977) inseriva questa birra nella categoria Old Ale insieme ad altri esempi mitici come Gale’s Prize Old Ale e Robinson’s Old Tom, intendendo il termine Barley Wine come una generica definizione adatta a descrivere numerose birre forti, anche molto diverse tra loro. Anche Martyn Cornell, nel seminale Amber Gold & Black (2010) e sul suo blog Zythophile, disquisisce sull’origine storica del Barley Wine e critica la divisione stilistica contemporanea, giungendo a proporre una ripartizione tra Burton-style ale, Dark

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Strong Ale e Pale Strong Ale, con TH inserita nel secondo gruppo. Barley Wine sarebbe, secondo l’autorevole parere di Cornell, una designazione generica con origini novecentesche, impiegata senza apparente sistematicità per identificare la birra con maggior tasso alcolico all’interno della gamma di un birrificio, spesso ma non sempre una Burton ale e comunque non vincolata a uno specifico stile di riferimento. Certamente lo stile English Barley Wine non è tra i più nitidi a livello di definizione e il range delle interpretazioni è abbastanza ampio, ma possiamo dire in due parole che lo stile

definisce una birra di chiara matrice inglese nella scelta delle materie prime come malti, luppoli, lievito, alcolica, corposa, avvolgente, intensa, strutturata, caratterizzata da grande complessità della componente maltata, cui il tempo può donare note ossidative evidenti e piacevoli, supportata da una buona ma mai dominante luppolatura con varietà preferibilmente inglesi (Northdown, Target, East Kent Goldings e Fuggles...). Mancano le qualità vinose di una old ale. Questa è la sottile e opinabile dal punto di vista storico, linea guida tracciata ad esempio dal BJCP.

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DEGUSTAZIONI E ASSAGGI

LA VERTICALE Lasciamo ora i cavilli stilistici e passiamo alla parte divertente. La serata comincia con due fuori programma: un assaggio di TH 2015 (prima edizione Meantime) e uno di O’Hanlon Brewers Special Reserve 2010, una sorta di pseudo-TH, prodotta quando ormai l’archetipo era già sparito dalla circolazione. La prima risulta essere ancora giovincella, con frutta matura, note pepate, agrumi canditi, caramello, biscotti, una sensazione riscaldante e quasi pungente in bocca, amaro ancora ben deciso e, in verità, una nota abbastanza evidente che tende al solvente in aroma. Abbastanza spigolosa, quindi, con le componenti principali non ancora perfettamente amalgamate e smussate dal tempo, rimane in ogni caso una birra di tutto rispetto, potente e ricca. Molto diversa la Special Reserve, che mostra buone note ossidative, frutta secca, vaniglia, marsala e risulta decisamente più rotonda sotto tutti i punti di vista, pur con una punta di solvente e un accenno fenolico che tende al medicinale in aroma. TH The Historical Ale 2016 Diversamente giovane Bottiglia n. 08209; formato 25 cl; 12,7% ABV; Meantime Questa versione speciale di TH si rifà decisamente al passato, a partire dall’etichetta e dal formato, ma soprattutto nel processo di maturazione in botte (9 mesi), che riprende la tecnica utilizzata nel 1968. In origine furono botti di Sherry, mentre nel 2016 si è optato per Cognac della distilleria francese Hine. Il risultato è una birra che dimostra più anni di quelli dichiarati, come se avesse subito un invecchiamento accelerato grazie all’affinamento in legno. Ale di un bel ramato intenso, limpida e con schiuma scarsa. L’aroma è intenso ma già abbastanza rotondo e potremmo descriverlo come cioccolato, marzapane, frutta sotto spirito, frutta secca, uvetta,

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mallo di noce, biscotti Digestive, legno bagnato, eleganti note ossidate di vino marsalato e melassa, nota alcolica speziata e fruttata. Al legno si associa un lievissimo sentore di muffa, che svanisce dopo alcuni minuti nel bicchiere. Il corpo è pieno, la carbonazione bassa e l’alcol evidente in bocca, pur rimanendo nei limiti di un riscaldante gradevole. TH 2008 – Luci e ombre Bottiglia n. T05575; formato 250 ml; 11,7% ABV; O’Hanlon Ultimo lotto prodotto da O’Hanlon, imbottigliata nella classica bottiglia da 25 cl con medaglione raffigurante il profilo di Thomas Hardy. Color mogano, senza schiuma e limpida, presenta la canonica base maltata di frutta secca ed essiccata (albicocca secca), cioccolato, caramello scuro, melassa, ma evidenzia anche una netta ossidazione con note non proprio aggraziate: cartone bagnato, birra vecchia/stale e un fenolico che arriva alle soglie del medicinale, quasi mentolato. La situazione purtroppo non migliora lasciando scaldare la birra nel bicchiere; emerge anzi un lieve solvente, che ritroviamo anche nel retrolfatto. Parrebbe quindi una bottiglia invecchiata male, rischio calcolato quando ci si avventura nel mondo delle birre vintage. In bocca è piatta, con corpo medio-elevato e un riscaldante molto lieve. Rimane il dubbio su come dovesse essere se assaggiata qualche anno addietro. Peccato! TH 1995 – Una signora elegante Bottiglia n. [senza numero]; formato 33 cl; 12% ABV; Eldridge Pope Bellissima nel bicchiere, ramato/mogano con riflessi rubino, limpida, senza schiuma. Il tempo è stato benevolo con questa bottiglia, la quale mostra tutti i segni di un’elegante ossidazione uniti a una grande profondità del profilo maltato: sherry, marsala, porto, vaniglia, frutta secca, tabacco, cioccolato in polvere, carrube, biscotti, marzapane, cotogna-

ta, melassa, frutta cotta, frutta candita, marmellata di mele e agrumi, frutta rossa, una lieve sensazione alcolica estremamente piacevole. Aprendosi escono anche la frutta rossa e la marmellata di fragole. In bocca la birra è piatta, con il dolce che si contrappone a uno spunto acidulo, quasi impercettibile ma interessantissimo. Nel retrolfatto di nuovo cioccolato, frutta essiccata, noci, mandorle, caramello, frutta cotta e alcol. Il corpo è medio, la carbonazione minima e si avverte una lieve astringenza. Complessa quanto deliziosa. TH 1990 Vecchierella con qualche acciacco Bottiglia n. R13077; formato 180 ml; 12% ABV; Eldridge Pope Elegantissima la bottiglietta da 180 ml, con medaglione al collo. Nel calice la birra è limpida, color ramato scuro, con schiuma assente. In aroma è sicuramente complessa, ma include note positive e note negative: emergono cioccolato, biscotti, melassa, caramello scuro, frutta sotto spirito, prugne, uvetta, frutta rossa, un alcol abbastanza rotondo; per contro si evidenziano un fenolico/medicinale e un sentore erbaceo e di caramella tutti frutti. In bocca è molto ossidata, con di nuovo la nota medicinale in evidenza e un amaro da radice sopra le righe, che a molti dei presenti ha ricordato addirittura un amaro alle erbe. La nota alcolica e riscaldante risulta evidente, ma nel complesso è ben integrata. Il corpo è mediobasso, la carbonazione assente. Questa

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DEGUSTAZIONI E ASSAGGI

TH è probabilmente una birra che ha ormai scollinato e si indirizza verso una vecchiaia non proprio dorata. 1982 - Flemish red wine Bottiglia n. L27477; formato 25 cl; [??? ABV]; Eldridge Pope Curiosa questa bottiglia, con etichetta frontale e posteriore scritte in francese, in cui viene denominata Bière de lux. Non è indicata la gradazione alcolica. Con questa annata si entra in un territorio inaspettato, ma in fondo chi partecipa a questo tipo di degustazioni spera sempre nella

sorpresa finale. Il colore è tra il ramato intenso e il marrone, con riflessi mogano; limpida e senza schiuma. Già a naso capiamo che TH 1982 sta ormai viaggiando decisa verso territori che richiamano alla mente certe birre scure fiamminghe. Certamente malto, tabacco, cioccolato, frutta secca, frutta molto matura, ma anche una nota vinosa, rustica e animale, di cuoio, buccia di salame, cantina umida, salamoia. Le due anime si sono integrate abbastanza bene. Estremamente complessa anche all’assaggio, con il dolce iniziale immediatamente soverchiato da

un acetico tagliente ma non eccessivo. Qui si percepiscono l’umami, il vinoso, di nuovo il tabacco, l’amaretto, il caramello scuro, il marsala e la sensazione alcolica riscaldante. Il corpo è esile, sensazione accentuata anche dal taglio deciso della componente acida. Se confrontata con le precedenti, questa birra risulta poco amara. Un’esperienza davvero interessante e unica con una birra che per motivi a noi ignoti è ormai fuoriuscita dai canoni dello stile Barley Wine, ma regala comunque spunti di riflessione interessanti e emoziona ancora con i suoi 36 anni.

Tiriamo quindi le somme della serata. Come sempre in questi casi ci sono state conferme e non sono mancate le sorprese, in positivo e in negativo. L’invecchiamento delle birre è sempre una scommessa e quando si scommette si può vincere, ma si può anche perdere. Nello specifico, però,

nessuna delle birre assaggiate è risultata completamente negativa: la 2016 con il suo invecchiamento accelerato è sicuramente la più facile da bere pur manifestando una complessità di tutto rispetto; la 1995 è quella che ha subito meno l’offesa del tempo e manifesta una eleganza sontuosa; la 1982

si è rivelata spiazzante nella sua deriva acida; la 2008 e la 1990, per motivi differenti, hanno invece mostrato luci e ombre, evidenziando grandi pregi ma anche alcuni difetti. Chissà come evolveranno nei prossimi anni? Ai posteri l’ardua sentenza … se troveranno ancora bottiglie disponibili! ★

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WHISKY• GIAPPONESE L A G U I D A C O M P L E TA A I W H I S K Y PI Ù E SOT I CI A L M O N D O

DOMINIC ROSKROW PR E FA ZI O N E D I

M I K E M I YA M O T O

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Il whisky giapponese è tra i migliori al mondo, ma è rimasto relativamente sconosciuto fino alla sua rapidissima ascesa negli anni 2000. In questo libro pioneristico, l’esperto di whisky Dominic Roskrow documenta il suo viaggio, dalla prima distilleria degli anni ’30, attraverso la cultura dei bar Tory degli anni ’50, fino agli highball e ai cocktail serviti oggi nei bar di tutto il mondo. Con appunti di degustazione su una grande varietà di espressioni, tecniche di produzione del whisky, profili di importanti distillerie, interviste a figure chiave del settore, questo libro ci propone un’affascinante esplorazione delle tradizioni, innovazioni e filosofie che hanno dato forma a questo distillato tanto ricercato.

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TURISMO BIRRARIO

A cura di Matteo Malacaria

Viaggio al centro della birra

FILADELFIA

LA CITTÀ DELLA BIRRA AMERICANA

L

’ho sognato talmente tanto intensamente da non riuscire a dormire la notte. Notti insonni trascorse elucubrando destinazioni, pianificando soste, soppesando alternative e dolorosi, ma necessari, tagli all’itinerario. Poi un giorno mi sono svegliato e il sogno era diventato realtà: stavo realiz-

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zando il mio coast-to-coast degli Stati Uniti: da New York a Los Angeles, su una strada dritta che si perde all’orizzonte per oltre 10.000 km e che attraversa 14 diversi Stati. Niente Cadillac o moto, solo una modesta autovettura presa a noleggio in grado però di trasmettermi la stessa sensazione di libertà che solo

quella strada può dare. E in mezzo, assieme alle soste carburante per alimentare il mezzo di trasporto, ci ho messo quelle per infiammare lo spirito: birrifici, birrerie e tutte le declinazioni possibili della birra. Il mio viaggio inizia da Filadelfia, la città della birra. Filadelfia è la principale

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TURISMO BIRRARIO

città dello Stato della Pennsylvania, nonché una delle più antiche e popolose città degli Stati Uniti. Qui l’alta percentuale di immigrati italiani è alle stelle e il cheesesteack (panino ripieno di formaggio e carne) è considerato l’espressione più prelibata dello street food locale. Filadelfia è una città che ha fatto la storia: qui sono state redatte la dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione degli Stati Uniti. In qualche modo i Padri Fondatori abitano ancora in città visto che davanti agli occhi di tutti, esattamente di fronte al municipio, si trova un tempio massonico eredità della loro presenza. Filadelfia ha poi fatto da sfondo a diversi film. Il più famoso è sicuramente Rocky, lo “Stallone Italiano”, pugile di strada interpretato da Sylvester Stallone a cui la città ha dedicato una statua apprezzatissima dai turisti. Ma non è merito dei Padri Fondatori né tanto meno del buon Rocky se Filadelfia è definita la città della birra. Il motivo è presto detto: Filadelfia è stato uno dei centri brassicoli più importanti degli USA; è qui infatti che nasce il primo microbirrificio degli Stati Uniti. Filadelfia ha la birra nel sangue: culla della primordiale birra americana, probabile luogo di nascita della prima Lager nazio-

nale (1840), conta oltre 20 birrifici attivi negli ultimi due secoli e, nel 1985, sede del primo microbirrificio degli Stati Uniti. Dock Street Brewing è stato il primo birrificio di Filadelfia a rompere il voto del silenzio del proibizionismo americano. Un nome che racchiude l’importante eredità birraria di Filadelfia dato che, agli albori, Dock Street era il nome del distretto portuale e birrario della città, dove marinai d’ogni genere attendevano di riprendere il mare in compagnia di un bel boccale di birra.

A Filadelfia batte un cuore italiano Rosamaria Certo è l’emblema del sogno americano. All’età di 10 anni Rosamaria emigrò assieme alla famiglia, da una Sicilia in difficoltà economiche. Non è chiaro come da studente di filosofia e materie umanistiche sia diventata imprenditrice nel settore birrario; fatto sta che con una produzione annua superiore ai 5.000 barili, l’unità di misura americana, Dock Street è stato uno dei primi grandi microbirrifici degli Stati Uniti. A quei tempi avviare un microbirrificio era pura follia. In un mondo dominato da industrie birrarie quali AnheuserBusch, Miller e Molson Coors, competere con questi giganti sembrava una sfida persa in partenza. Ma si sa, “chi non risica non rosica” e alla signorina Certo le sfide dovevano piacere parecchio visto che, oltre a sfidare i suddetti giganti, ha anche deciso di investire in un settore a vocazione esclusivamente maschile.

pubblico stenta ad arrivare. Tuttavia è solo questione di tempo prima che accada il miracolo. Un miracolo chiamato Michael Jackson. L’iconico scrittore birrario, da non confondere con l’omonimo cantante, assaggiò la Pilsner e la trovò deliziosa. La definì “una delle migliori Pilsner degli Stati Uniti”. Fu l’effetto farfalla: la recensione positiva lanciò il birrificio agli altari della cronaca richiamando l’attenzione dell’intero Paese e dei suoi assetati bevitori.

Galeotta fu la birra fatta in casa La prima sede del birrificio era un po’ gastrofighetta, con un’offerta culinaria ispirata alla cucina francese. L’obiettivo era sdoganare lo standard della birra, elevando la birra artigianale a bevanda da degustazione. Il birrificio ci prova prima con una American Amber Ale, la Dock Street Amber, ma fallisce nell’intento. Ci riprova con una Bohemian Pilsner ma il riconoscimento del

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Adiacente al birrificio si trova la Cannery, un luogo dove assieme alle birre della casa, qui anche in lattina, si servono cocktail e si organizzano eventi. Io vi sono arrivato in un soleggiato pomeriggio, trepidante, all’uscita da una bislacca metropolitana di cui tutto si può dire tranne che essere moderna. Quella che ho visitato non è la sede originale, oggi chiusa, bensì quella attuale: una ex caserma dei pompieri ubicata al piano terra di un palazzo in stile vittoriano, interamente costruito in mattoni. All’esterno, nel piccolo spazio di fronte all’ingresso, alcuni avventori stanno approfittando della bella giornata per godere di una birra all’aria aperta. Entro e scopro che l’interno è ancora più invitante e l’atmosfera di puro fermento è palpabile.

Dock Street: un brewpub dove si celebra il matrimonio più antico dell’umanità, quello di birra e pizza All’interno la sala principale è enorme. Dà l’impressione di una grande mensa, con tavoli e sedie di legno posti di fronte a un lungo bancone che si sviluppa su dei lati del perimetro. Alle spalle fanno capolino i serbatoi del birrificio mentre poco più in là, leggermente defilato, c’è un manipolo di pizzaioli che si dilettano nella preparazione della pizza cotta nel forno a legna. Una pizza che da buon italiano in terra straniera ho preferito non assaggiare, rimanendo col beneficio del dubbio circa la sua supposta bontà.

cask, tutte a rotazione costante a cui si aggiungono alcune birre servite direttamente dai serbatoi del birrificio. Ovviamente non mancano bottiglie e lattine. Nel complesso la gamma delle birre prevede 10 birre a produzione stabile e numerose altre stagionali, privilegiando le Sour durante la stagione estiva, stile particolarmente in voga negli Stati Uniti e ovviamente le birre ad alto contenuto di luppolo. Sempre stagionali sono le poche basse fermentazioni. Da una parte all’altra del bancone, giungo di fronte al birrificio vero e proprio. Si tratta di un impianto da 10 barili (circa 11 hl) e una cantina con 4 fermentatori e 6 bright tank. Un impianto che possiamo considerare grande rispetto ai microbirrifici italiani, ma che arrossisce di fronte agli standard americani. Il birrificio conduce un progetto di maturazione delle birre in botte, impiegando 200 caratelli, ex Whisky, Bourbon e Tequila ma anche quercia francese contenente vino Chardonnay. Quelli che seguono sono invece gli appunti di degustazione di quello che in America si usa chiamare beer flight, il classico campione di assaggi di diverse birre. ★★★ WEST OF CENTER ALE, GOLDEN ALE, 4.8% ABV: una birra incentrata sul luppolo, nelle varietà

Alla spina e a pompa; in bottiglia, lattina e growler. Insomma, di birra ce n’è per tutti i gusti La selezione birraria offre esclusivamente birre della casa servite in tre modalità: alla spina, a pompa e sotto forma di growler, il contenitore più iconico della birra americana, una sorta di caraffa utilizzate per portare la birra a casa. Il bancone dispone di 6 birre alla spina e 1 in

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Simcoe, Amarillo, EKG e Citra, aggiunti soprattutto nelle fasi finali della bollitura. Il risultato sono note aromatiche agrumate (arancia e pompelmo) e un amaro amabile e persistente. ★★★ CRACKLE AND SQUEEZ, SAISON CON PEPE BIANCO E NERO, 4.6% ABV: profumi avvolgenti e tendenza aspra se non addirittura acidula, frutto del combinato di frumento e scorza d’arancia. Latita il connotato speziato tipico dello stile, eccezion fatta per il coriandolo che rende questa birra più verosimigliante a una Blanche. ★★★ HONEY BLONDE, BLONDE ALE, 4.6% ABV: aroma ricco e intrigante, luppolato (erbaceo) con un occhio ammiccante agli agrumi. L’esatto contrario in bocca, dove l’iniziale tendenza dolce, ricca di pane e derivati, supporta il finale amaro prima e rustico dopo, leggermente terroso. ★★★ GOLDEN IPA, AMERICAN IPA, 6% ABV: aromi di luppolo in testa (agrumato e vivace erbaceo) ma c’è spazio in anche per i malti. In bocca l’amaro è gentile, ammorbidito dai malti caramello, evolvendo verso l’aspro in un secondo momento. Retrogusto di pompelmo.

un grido, che infonde una sferzata di agrumi (curaçao). L’esplosione vera avviene in bocca, dove gli agrumi incalzati dall’alcol raggiungono lo status di amaro agli agrumi. Ma nella città di Filadelfia non c’è solo Dock Street Brewing. Il pomeriggio prosegue e questa volta la destinazione si chiama Yards Brewing Company. Un birrificio con una bella storia da raccontare. Una storia che inizia nel 1994, quando Tom Kehoe e Jon Bovit, compagni di studi, iniziano a coltivare una comune passione per le birre anglosassoni. Tom e Jon, già colleghi presso la Maryland’s British Brewing Company, decidono di trasformare il loro garage in un rudimentale birrificio, equipaggiandolo con un impianto da 3.5 barili (circa 4 hl). Ancora non lo sapevano ma quel garage sarebbe stato il prototipo della moderna Yards Brewing Company. A quei tempi c’erano già diversi attori sul mercato, ma dato che gli Stati Uniti tutto sono enormi, si trattava solo scegliere il giusto canale e dato che non ce n’erano molti a puntare sulle birre di

★★★ MAN FULL OF TROUBLE, BROWN PORTER, 5.2% ABV: al naso spiccano le tostature (caffè) con divagazioni acidule che ricordano la salsa Worcester. L’ingresso in bocca è amaro, con note caramellate ad ammorbidire. Finale di liquirizia, caffè ed erbe amare, simili a una Black IPA. ★★★ LOUDER THAN BOMBS, DOUBLE IPA, 8.8% ABV: il millantato “frastuono” di luppoli è piuttosto

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Un dettaglio del vecchio impianto in mattoni, decisamente vintage

Una foto dei fondatori assieme al “cacciatore di birra” Michael Jackson

scuola anglosassone hanno deciso di seguire proprio quella filosofia. L’idea si è rivelata giusta: oggi Yards Brewing è il più grande birrificio indipendente di Filadelfia. Il birrificio, anche stavolta un brewpub, si trova all’interno di un capannone. Da una parte il bar, con il bancone a forma di “U”, affiancato dalla cucina. Di fronte, oltre il muro a vetro, il birrificio vero e proprio. Durante la mia visita era ancora in fase progettuale ma oggi è realtà il nuovo stabilimento ancora più grande, con una cantina cinque volte più capiente. L’impianto adotta tecnologia tedesca ma il cuore pulsante del birrificio è italiano. Sono infatti made in Italy la macchina per il risciacquo dei fusti (COMAC), l’imbottigliatrice (GAI) e l’etichettatrice (KOSME). Oltre a confermare la presenza di birre maturate in botte, la maggior parte delle quali ex-Bourbon, trovo interessante l’esistenza di un laboratorio di analisi interno al birrificio. Il birrificio impiega tecnologia filtrante – pratica piuttosto diffusa negli Stati Uniti, anche tra i microbirrifici indipendenti – e dispone di enormi serbatoi di

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del caramello viene equilibrata da un finale delicatamente tostato, di cola e nocciola. ★★★ ESA (EXTRA SPECIAL ALE), ESB, 6% ABV: ancora una volta l’aroma è quasi esclusivamente appannaggio dei malti, soprattutto miele. In bocca è più carbonata e amara della precedente, con decise note tostate (liquirizia, caffè) e punte di chinotto. Retrogusto aspro. ★★★ fermentazione da 100 e 200 barili (circa 110 e 220 hl). Tutte le birre di punta (Brawler, Philadelphia Pale Ale, Yards IPA, Love Stout, ESA) sono prodotte con un ceppo di lievito inglese ad alta fermentazione. E se da una parte si producono ricette nuove, dall’altra si ossequia l’eredità birraria di Filadelfia con le Ales of the Revolution, una linea di birre dedicata ai Padri Fondatori: George Washington’s Porter è frutto di una ricetta rinvenuta su una lettera scritta dal Generale su come produrre la birra – per non far soffrire ai soldati la lontananza da casa; Poor Richard’s Spruce Ale (pseudonimo di Benjamin Franklyn) è stata rinvenuta all’interno di libri che elencano gli ingredienti disponibili nella sua fattoria (miele, fiocchi di mais, malto, segale); infine la Thomas Jefferson’s Strong Golden Ale prodotta con aghi di pino al posto del luppolo, che di fatto la rende probabilmente il primo gruit americano. Con un bancone equipaggiato a 20 vie ho avuto l’imbarazzo della scelta. Ne ho assaggiate diverse, sia tradizionali che “rivoluzionarie”. ★★★ BRAWLER, ENGLISH SESSION ALE, 4.2% ABV: aroma ricco di malti, con un livello di pulizia tale da poterli dissezionare tutti. Caramello in testa e finale di frutta secca. Conferma le premesse in bocca, dove la dolcezza

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PHILADELPHIA PALE ALE, 4.6% ABV: birra straluppolata, zeppa di luppoli del Nuovo Mondo (uva bianca e succo di pomodoro). In bocca è vivace, rinfrescante, floreale, con una carezza finale di miele. Tappeto di malti fragrante e retrogusto aspro di agrumi. ★★★ INDIA PALE ALE, 7% ABV: aroma tradizionale, erbaceo e floreale, con malti fragranti a fare da tappeto. Una punta di arancia dolce connette i due mondi. In bocca è chiaramente amara, la buccia d’arancia amara a dominare la sorsata prima di fondersi con un vibrante erbaceo in chiusura. Suggestioni di pellicina di noce evidenziano un importante background maltato.

ando l’effetto di un Irish Mist (Whiskey scozzese al miele). Tracce di melassa lasciano sospettare la presenza di zuccheri residui. In bocca conferma l’impressione di liquore al miele, risultando una bevanda da fine pasto piuttosto che da tavola. Dovevano saperla lunga i Padri Fondatori, perché questa birra non è davvero niente male. ★★★ POOR RICHARD’S TAVERN SPRUCE, 5% ABV: profumi di bosco, soprattutto resina, che lasciano presto spazio al caramello. L’equilibrio tra le due componenti è il fattore chiave di questa ardita ricetta. ★★★ LOVE STOUT, 5% ABV (CON MESCITA A CARBOAZOTO): torrefazioni in testa (caffè tostato, cacao, cioccolato fondente) addolcite da tracce di vaniglia. In bocca è morbida, gustosissima, dal sapore di cioccolato al latte. Ogni sorso sembra una carezza di velluto. Stiano attenti i golosi. Devo ammetterlo: la Filadelfia della birra mi ha piacevolmente sorpreso e soddisfatto e, a questo punto, sono pronto a procedere oltre, verso una nuova meta e nuovi birrifici. ★

★★★ GENERAL WASHINGTON’S TAVERN PORTER, 7% ABV: aroma focalizzato su poche note tostate (cioccolato, cacao). Carbonazione decisa, gusto amaro ricco di tostature, cioccolato fondente in pompa magna. Birra monocorde che però probabilmente ben rappresenta l’antica ricetta di riferimento. ★★★ THOMAS JEFFERSON’S TAVERN PORTER, 8% ABV: pane, miele, biscotto e caramello vengono amalgamati e potenziati dall’alcol, cre-

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BIRRA & SOCIAL

A cura di Ildegardo & Gambrino

prima puntata

I peggiori intenditori

DI BIRRA ARTIGIANALE

sui Social

Guida semiseria, a puntate, ai tipici personaggi birrari del cyberspazio Quello che tiene la cazzimma È indiscutibilmente la figura attorno a cui ruota l’intero circo: qualunque spazio virtuale lo ospiti diventa immediatamente, tanto nell’opinione dei frequentatori assidui quanto in quella dei lettori occasionali, il suo. Vive però questa sua investitura per diritto divino con sobrietà e una certa dose di nobile indifferenza, a metà strada tra Ivan il Terribile e un satrapo dell’antico impero persiano: uno dei punti di forza che accentuano il suo carisma è proprio quello di esercitare con franca brutalità il suo potere di emettere condanne a morte o concedere la grazia sentenziando senza imbarazzo “lui è un mio amico, quindi può dire quello che vuole” oppure “sotterriamo questo c...ne” di fronte alla medesima frase espressa da due persone diverse.

Quando questo personaggio è anche un produttore ha un leale e decourbertiano senso della competizione con i colleghi: pur di vincere sempre e comunque manderebbe a suo nome una fotografia di Cindy Crawford dei tempi belli a un concorso di bellezza femminile. Di birre ne sa indubbiamente a pacchi, quindi leggerlo può essere davvero istruttivo e stimolante, se però non si è d’accordo con un suo giudizio o, nel caso sia un produttore, non si è gradita una delle sue birre, è meglio soprassedere a meno di essere pronti a subire un santantonio1 virtuale da far impallidire il metodo Boffo: Facebook pullula infatti di suoi devoti che plaudono come geniale ogni sua frase, fosse anche “devo andare con urgenza in bagno” o, nel caso sia un produttore, ciascuna sua bir-

ra, anche nel caso la cervogia in questione avesse la finezza olfattiva di un pacchetto di rotelle di liquirizia caduto in un secchio pieno di diluente per pennelli. Inoltre, pur non mostrando particolari competenze tecnologiche, è in grado di scovare su server indonesiani o guatemaltechi una foto in cui il malcapitato interlocutore, all’età magari di diciassette anni, si stava scolando a collo una pisciazza industriale delle peggiori: tale immagine viene naturalmente rilanciata nel cyberspazio e data in pasto ai suoi fedelissimi con la didascalia “guardate un po’ se devo rispondere alle critiche di uno come questo”. Esperienza: molto elevata Competenza: molto elevata Fastidiosità: autoritaria Stile Preferito: gli stili del Grande Belgio, in particolare delle Fiandre Birrificio preferito: Westvleteren

1 Nel gergo carcerario degli anni Settanta si definiva “santantonio” il pestaggio collettivo di un detenuto, spesso con il tacito assenso o addirittura la partecipazione degli agenti di custodia

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BIRRA & SOCIAL

Il @TaggaVIPs Relativamente nuovo del settore, sta ancora attraversando quella fase di entusiasmo tipicamente italiano, a metà strada tra l’innocenza dell’infante e il delirio di onnipotenza del Vicepresidente del Consiglio, che lo spinge a ritenersi già molto intimo con i pochi VIPs dell’ambiente. Questa convinzione lo induce a @taggare codesti VIPs in qualsivoglia post, con l’errata convinzione che: a. i suddetti VIPs, stimandolo di riflesso, apprezzino l’intimità di tale gesto e il loro rapporto ne risulti così ulteriormente rinsaldato. b. i semplici appassionati che non possono, poverini, vantare altrettanta vicinanza ai VIPs di cui sopra, ne risultino assai impressionati e lo riconoscano quindi, automaticamente, come maschio alpha del gruppo. La realtà, purtroppo per lui, è ben diversa in quanto:

Il wannabe president La sua vita è segnata dalla cifra tragica di uno Zeno Cosini o di un antieroe di Strindberg: in sostanza, vorrebbe essere qualcuno che non è. In particolare, vorrebbe essere Quello che tiene la cazzimma ma, malgrado foto dall’aria truce, massime di vita degne di un personaggio di Street Fighter come “bisogna far di tutto per non essere amici di nessuno” e un coerente ed incessante impegno a stare sui santissimi a gran parte dei birrai, publican e organizzatori di concorsi di tutta Italia e non solo, la cazzimma è matrigna come la natura di Leopardi: se non ti concede i suoi favori non la puoi ottenere nemmeno coprendola d’oro. Anche lui è che uno che di birre ne sa ed è pure un individuo parecchio intelligente ma ribalta curiosamente la famosa massima socratica: lui sa che gli altri non sanno, anzi, che sono proprio inferiori, come

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a. i suddetti VIPs non si ricordano mai chi sia o, quando se ne ricordano, lo considerano un rompiballe galattico. Pertanto non lo degnano di alcuna attenzione. b. i suddetti semplici appassionati percepiscono appena la sua esistenza, avvertendolo al più come il brusio fastidioso di un tafano in un pascolo appena concimato. Convinto che questa mancanza di riscontri dipenda soltanto da una comprensibile disattenzione da parte dei suoi amiconi virtuali, oberati dai loro impegni, il @TaggaVIPs continuerà imperterrito ad invocarli con enfasi via via crescente, provando a moltiplicare i richiami e le chioccioline, magari una non bastasse, arrivando a @taggare disperatamente

i dipendenti della Megaditta di Fantozzi di fronte al Megadirettore Galattico. Le sua specialità sono i match virtuali senza regole, alla Fight Club, in cui è capace di sostenere qualunque posizione, comprese molte da lui avversate in scontri precedenti, pur di dar contro all’avversario di turno e il tentativo di sabotaggio dei concorsi birrari a colpi di notizie riservate che qualche volta sono effettivamente corrosive ma più spesso somigliano alle bombe del compianto Maurizio Mosca. Un altro suo vezzo consiste nell’arrogarsi il merito di aver suggerito le ricette vincenti ai migliori birrari del panorama nazionale o di incrementare, con i suoi ficcanti commenti, gli affari di birrifici che hanno già l’intera cotta venduta prima ancora di partire con l’ammostamento: unisce quindi in sé, in versione nerd birraria, le virtù dell’antico fenomeno da bar che vantava di fare Milano-Varese in

chiunque, pur di ricevere anche un solo piccolissimo riscontro che legittimi la sua esistenza nell’etere: birrai, guru, publican, degustatori, giornalisti, camerieri, parcheggiatori abusivi, casellanti autostradali, sua mamma... Nessuno nella storia dell’Internet gli ha mai risposto. La sua vicenda si conclude in genere piuttosto tristemente ma con pietosa rapidità: offeso dalla totale mancanza di segni di vita da parte di chiunque, il @ TaggaVIPs si convincerà infatti ben presto che questo mondo, popolato da Addetti ai Lavori montati e da appassionati sfigati, non lo merita, e se ne andrà alla ricerca di altri porti più “a misura d’uomo”. Fino alla prossima delusione. Esperienza: bassa Competenza: bassa Fastidiosità: alta Stile Preferito: lo stesso di @emanuele colonna Birrificio Preferito: #extraomnes

dodici minuti da casello a casello e del cucador che si esalta raccontando come nessuna ragazza resista al suo fascino sulle spiagge di Pattaya o nei bar della Reeperbahn di Amburgo. Ha un suo piccolo esercito, imparagonabile per numero e fedeltà all’armata di Quello che tiene la cazzimma perché quest’ultimo, a differenza del Wannabe President, ogni tanto offre da bere. Esperienza: molto elevata Competenza: molto elevata Fastidiosità: retorica e persuasiva Stile Preferito: quello che non è stato ancora inventato Birrificio preferito: quello in cui beve gratis

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SE NE PARLA

A cura di Mirka Tolini

TAGLIO ALLE ACCISE

Microbirrifici e birre artigianali ringraziano È

con estrema soddisfazione che Coldiretti, AssoBirra e Unionbirrai hanno comunicato ai rispettivi associati l’inserimento nel Decreto della Legge di Bilancio 2019 di un alleggerimento fiscale per chi produce fino a diecimila ettolitri l’anno di birra. Una iniziativa che, secondo l’Annual Report 2018 di AssoBirra che ha registrato la presenza sul territorio di 862 micro birrifici e brewpub italiani, permetterà al 90 per cento di questi di beneficiare dell’agevolazione; un risultato molto atteso ed importante per un settore che, negli ultimi dieci anni, ha visto crescere in maniera esponenziale le iniziative imprenditoriali. AssoBirra da anni promuove campagne per sensibilizzare istituzioni, media e opinione pubblica sull’eccessiva pressione fiscale ed è stato verificato che dal 2017, anno in cui le accise hanno iniziato a subire una flessione è aumentata la produzione locale e parallelamente si è verificata una crescita del mercato nazionale e delle esportazioni e, di conseguenza un aumento del gettito fiscale. Plaude al risultato Michele Cason, presidente di Assobirra che dichiara «abbiamo auspicato una riduzione, ragionata e progressiva, delle accise per creare occupazione e impresa. La birra è degli italiani e occorreva una diminuzione di questa tassa ingiusta

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per tutti: siamo riusciti ad ottenere un abbassamento di un ulteriore centesimo per tutti i produttori a 2,99 euro per ettolitro e grado Plato, con un’ulteriore diminuzione del 40% per i piccoli birrifici sotto i 10.000 ettolitri e il versamento della tassa solo quando il prodotto esce dal birrificio. Diminuire le accise

MICHELE CASON presidente di Assobirra

sulla birra è una soluzione a favore di un settore che contribuisce allo sviluppo del Paese». Soddisfatta del risultato anche Union birrai, associazione che raggruppa 300 piccoli birrifici indipendenti che ha sottolineato come il provvedimento fosse atteso dallo scorso 30 dicembre quan-

VITTORIO FERRARIS direttore generale di Unionbirrai

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SE NE PARLA

do la Camera aveva, in prima istanza, approvato la manovra economica e come finalmente sposti «l’accertamento dell’accisa dal momento della produzione del mosto al prodotto finito». Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai ha dichiarato che la riduzione delle accise «è una grande notizia per il comparto perché ci ripaga del lavoro che, in tutti questi anni, è stato portato avanti con determinazione e solo con lo scopo di tutelare e creare sviluppo per i piccoli produttori indipendenti di birra in Italia». Un lavoro molto apprezzato dai consumatori e confermato da un netto aumento dei consumi che hanno raggiunto i 33,6 litri pro-capite con un incremento del 14,3% negli ultimi dieci anni, portano di fatto i brindisi a base di birra a superare i 20 milioni di ettolitri conquistando oltre la metà degli italiani e confermando che la birra è sempre più bevanda di degustazione con evidenti richiami al territorio e al Made in Italy. «Da nord a sud della penisola» evidenzia Coldiretti «il comparto della birra alimenta una filiera che, fra occupati diretti e indotto, offre lavoro a oltre 140mila persone. E volano le esportazioni che, nel primo trimestre del 2019, hanno fatto un balzo del 33% segnando il record storico di sempre, anche in quei Paesi per i quali la birra è una specie di tradizionale nazionale: dai pub del Regno Unito, dove finisce quasi la metà dell’export italiano, che hanno aumentato il loro consumo di quasi il 25% nel primo trimestre del 2019 a quelli della vicina Irlanda dove gli acquisti di birra sono più che raddoppiati (+114%) come in Germania (+113,5%), dagli Stati Uniti che sono il secondo importatore dopo la Gran Bretagna e sono cresciuti di oltre il 36% ai veri e propri record in Spagna dove la cerveza italiana è triplicata o in Olanda dove» conclude la Coldiretti «è addirittura quintuplicata, ma volano anche paesi del nord Europa come la Norvegia che sfiora l’80% di crescita». ★

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PRODUZIONE

12,1

1998

milioni di HL

13,3

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milioni di HL

16,4

2018

milioni di HL

CONSUMI PRO-CAPITE 2008

2015

2018

29,4 litri

30 litri

33,6 litri

ESPORTAZIONE

2007 1,1

milioni di HL

2008 1,5

milioni di HL

2011 2,1

milioni di HL

2017 2,7

milioni di HL

2018 3,0

milioni di HL

BIRRA NOSTRA MAGAZINE

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SE NE PARLA

A cura di Davide Bertinotti

TAGLIO ALLE ACCISE

è tutto oro quello che luccica?

DAL

2019

Opinioni e commenti

L

o scorso 14 giugno la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il provvedimento che introduce una riduzione di accise del 40% per i piccoli produttori di birra che non producono più di 10.000 hl all’anno, oltre a concedere la possibilità di modificare il calcolo dell’imponibile, tenendo conto delle perdite di produzione. Il provvedimento era stato anticipato nelle linee generali lo scorso dicembre, quando il Parlamento aveva approvato anche la limatura dell’aliquota da 3 a 2,99 Euro per grado Plato/hl. Probabilmente il centesimo in meno non sposterà gli equilibri economici del settore, pur rimarcando che ogni riduzione è la benvenuta. Le varie associazioni di categoria plaudono, giustamente, a quanto sopra, ma ragionando a mente fredda, possiamo considerare il provvedimento una rivoluzione epocale? Dal punto di vista del principio, sicuramente si: in quasi tutti i paesi europei esiste una modulazione dell’accisa per scaglioni, tesa a favorire i piccoli produttori. Il comparto dei microbirrifici auspicava l’abolizione di questa “flat tax” produttiva da molti anni e questa finalmente è giunta: coinvolgerà la quasi totalità dei piccoli produttori, dal momento che sono davvero pochi i birrifici che superano il limite dei 10.000 hl annui. Probabilmente però la seconda parte del provvedimento è ugualmente importante: la prassi del calcolo della quantità di mosto da tassare prima della fermentazione aveva come controindica-

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zione il dovere versare accisa sugli spurghi e sugli scarti di lavorazione che, a seconda del tipo di birra, può oscillare dal 5 al 15% e oltre. Con il nuovo provvedimento il birrificio, pur con qualche onere organizzativo, può chiedere il calcolo sul prodotto finito, al netto di scarti. Per un piccolo birrificio il decreto può tradursi in circa 20.000 Euro, in media, di risparmio annuo: in ogni caso, ossigeno per una piccola impresa. Cambierà qualcosa per i consumatori, quando si tratterà di pagare la pinta al bar? Probabilmente no, anche se gli aumenti delle accise degli scorsi anni sono stati spesso presi a pretesto da molti produttori per un ritocco dei listini. L’accisa attuale corrisponderebbe, per una birra di media gradazione, a

circa 12 centesimi sulla bottiglia da 33 cl. Il centesimo in meno di imposta peserebbe per 0,04 centesimi! Se la birra fosse prodotta da un microbirrificio, il risparmio salirebbe a meno di 5 centesimi circa a bottiglia da 33 cl, forse a circa 5,2 cent, considerando anche la mancata tassazione degli scarti. Al dettaglio, la bottiglia da 33 cl di un piccolo birrificio viene generalmente venduta a 4-4,5 Euro: i 5 centesimi sopra citati ben difficilmente andranno a vantaggio del consumatore. In ogni caso, i 12-14 milioni di Euro di risparmio annuo in accise, stimabili per l’intero comparto dei microbirrifici, non potrà che essere una valida iniezione di risorse a vantaggio di occupazione e investimenti. ★

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Il problema pertanto è la sicurezza delle costruzioni piĂš datate, e di un immenso patrimonio storico e culturale famoso in tutto il mondo, fatto di chiese, monumenti, palazzi storici, emblema di un passato grandioso che ha visto protagonisti i piĂš grandi artisti e ingegneri di tutti i tempi. Il tema della sicurezza degli ambienti in cui viviamo e lavoriamo, piĂš volte trattato dal nostro giornale e a cui le nostre imprese pongono molta attenzione, ritorna cosĂŹ alla ribalta in un frangente – purtroppo non l’unico negli ultimi anni - tanto eclatante quanto drammatico. Dalle pagine de L’Ammonitore abbiamo rivolto molti inviti al settore manifatturiero italiano a investire in tecnologie produttive innovative per continuare a essere competitivo, e questa volta ci sentiamo di invitare tutti a investire sulla propria sicurezza, lo Stato a salvaguardare la vita dei cittadini intervenendo significativamente sulle strutture pubbliche e sul nostro prezioso patrimonio artistico, perchĂŠ il futuro non si prevede, men che meno un terremoto, ma si prepara.

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R

iorganizzazione delle divisioni operative del Cni. E, in prospettiva, due sfide: quella dei servizi per gli iscritti e delle strutture territoriali. Armando Zambrano, presidente uscente del Consiglio nazionale degli ingegneri, si prepara a governare la categoria per altri cinque anni: dal 2016 guiderĂ gli ingegneri fino al 2021, quando completerĂ i suoi dieci anni di mandato. In attesa che arrivi l’ufficialitĂ del ministero della Giustizia e che i consiglieri designati indichino lui come nuovo presidente, è giĂ possibile fare il punto sulle prime mosse del nuovo Governo del Cni. “Siamo desiderosi di partire, visto che dai territori è arrivata un’indicazione cosĂŹ forte per la continuitĂ del Consiglio nazionale uscenteâ€?, è stata una delle prime dichiarazioni fatte da Zambrano.

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Ancora trattative e consultazioni? IN QUESTO NUMERO

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gni campo dell’architettura e dell’ingegneria nel senso piĂš ampio del termine ha fatto progressi, ha modificato modalitĂ , metodologie, tecnologie, mezzi e strumenti, fatto ricerche e scoperte. Le idee sono progredite, sono mutate, si sono evolute; si sono adeguate alla societĂ o hanno modificato modi e stili di vita. ROBOTICA MACCHINE UTENSILI Nessuno si è mai posto il problema Al centro della fabbrica intelligente 50seanni torni fossedi giusto o sbagliato; la cultura Oggi si parla molto di Industria 4.0 applicata alla produFondata da Paolo Giana nel 1966, Torgim compie il prestigioso traguardo dei del “fareâ€? ha privilegiato la sperimenzione. Ma occorre ricordare che l’efficienza del flusso pro50 anni di attivitĂ . Il comune di Magnago vide un grande sviluppo economico duttivo passa attraverso l’ottimizzazione della movimentazione e hadeiinsegnato che dagli ere industriale giĂ a partire dalla seconda metĂ del 1800. Con il passare decenni il territorio s’è via via arricchito di aziende manifatturiere cheimparare, hanno tazione dei materiali all'interno delle aziende. rori si può crescere, pro[pag. 10] rappresentato delle vere eccellenze in molti settori industriali. [pag. 11] gredire e migliorare. Non è mai stato chiesto ai professionisti se fossero – Anno 72 - n. 9 Novembre/Dicembre 2016 www.ammonitore.com d’accordo con un “SIâ€? o con un “NOâ€?. Ăˆ stato dato semplicemente per scontato che il cambiamento fosse insito nella natura dell’uomo e nel nostro caso dei professionisti, nella loro ricerca di miglioramento e progresso per il bene comune. Ci sono stati “siâ€? e “noâ€? dettati da successi e insuccessi; il buon senso e la comMENSILE D’INFORMAZIONE PER LA PRODUZIONE E L’AUTOMAZIONE INDUSTRIALE petenza hanno sempre fatto da guida nelle scelte e quindi nell’evolversi delle professioni. Per la politica evidenFINANZIAMENTI PMI TAVOLA ROTONDA Editoriale temente è diverso; ma ciò dimostra Via libera alla solo uno scollamento fra i problemi Italia scossa finanza innovativa, pratici della quotidianitĂ dell’individi Fabio Chiavieri quali risposte duo e l’incapacitĂ della politica ad Macerie ovunque, interi paesi Il buon senso non fa da alla strettaadeguarsi. del credito? rasi al suolo, gente disperata, ÂŽ No, nonŽè lo scesguardi persi. [pag. 14] guida; un referendum che fa contenSemplificate la vostra automazione con motion plastics igus . Potete utilizzare il braccio robotico nario di guerra che ci arriva da to/scontento la metĂ dei cittadini qualche zona remota del mondo, a cui siamo tristemente abiresta un problema non risolto. Il combinabili a seconda delle vostre esigenze. completo robolinkÂŽ, oppure i singoli componenti modulari tuati. Ăˆ la forza devastante del cambiamento è necessario e la civiltĂ terremoto che ha colpito, e continua a farlo, il nostro Cenparla da sola a tal proposito; ma il tro Italia. Una faglia che si è estesa per cinquancambiamento dovrebbe godere della ta chilometri, una ferita su quelle terre che non fiducia e della certezza di tutti i citsi potrĂ piĂš rimarginare. MATERIE PRIME L’Italia è scossa, fisicamente e mentalmente; tadini quando si parla di politica. Se schiaffeggiata dalla mano della natura che a M-Steel qualitĂ tutti quanti noi quando attraversiamo volte sa essere molto dura nella sua inarrestabile forza. Eppure il nostro paese risulta essere da oltre 40 un anni ponte o saliamo sulla cima di un nelle prime posizioni per quanto riguarda l’utiOvako, fornitore finlandese di acciai, rigrattacielo diamo per scontato di polizzo di tecnologie antisismiche nelle nuove copropone sul mercato la qualitĂ M-Steel. Cover_TerminiMecc_2017_Generale.indd 3 struzioni. terci fidare di chi ha pensato il proGrazie ad un incremento nella lavorabiCosa succede allora? Alessandro Martelli, Presi- In occasione di BIMU 2016, i vertici DMG MORI hanno dato vita a un interessante litĂ M-Steel si caratterizza per affidabigetto, forse non vuol dire che i prodente del Glis (Isolamento sismico e altre stralitĂ , coerenza e prevedibilitĂ nelle dibattito con la stampa tecnica specializzata, evidenziando le strategie in atto per lavorazioni, fessionisti potrebbero insegnare e ditegie di progettazione antisismica), ha dichiariducendo i cosĂŹ costi di prorato che “Oltre il 70% dell’edificato italiano at[pag. 8] duzione. [pag. 12] con piĂš forza alla rafforzare la posizione del Gruppo nel mondo e sul territorio italiano. re il loro pensiero tuale non è in grado di resistere ai terremoti che politica? n potrebbero colpirloâ€?.

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iorganizzazione delle divisioni operative del Cni. E, in prospettiva, due sfide: quella dei servizi per gli iscritti e delle strutture territoriali. Armando Zambrano, presidente uscente del Consiglio nazionale degli ingegneri, si prepara a governare la categoria per altri cinque anni: dal 2016 guiderĂ gli ingegneri fino al 2021, quando completerĂ i suoi dieci anni di mandato. In attesa che arrivi l’ufficialitĂ del ministero della Giustizia e che i consiglieri designati indichino lui come nuovo presidente, è giĂ possibile fare il punto sulle prime mosse del nuovo Governo del Cni. “Siamo desiderosi di partire, visto che dai territori è arrivata un’indicazione cosĂŹ forte per la continuitĂ del Consiglio nazionale uscenteâ€?, è stata una delle prime dichiarazioni fatte da Zambrano.

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inizio anno N. 64 ¡ Anno Panoramica XI ¡ dicembre di 2016

4. Indagine per la riduzione del consumo del suolo Importante sottolineare poi che in previsione della prossima approvazione del Piano Territoriale Regionale della Lombardia, la CROIL sta collaborando con l’assessorato regionale competente per una prima indagine sull’offerta territoriale dei Piani di Governo del Territorio su un campione di circa 450 comuni, ovvero quasi il 30% dei comuni lombardi. L’ indagine sarà utile per delle prime stime sperimentali finalizzate all’esercizio della riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato, ai sensi della normativa vigente di prossima attuazione, proprio per tramite dell’approvando Piano Territoriale regionale.

N° 5

#42

rezza stradale, trasporti e infrastrutture, internacendio) e dall’altra dal D.M. 3.8.2015 zionalizzazione, ricerca e innovazione, salute, che ha aperto un grande spiraglio Potenza ingegneria sanitaria sicurezza di novitĂ visto l’approccio alla sicuPAG. e20biomedica, L’Ordine a sostegno ONLUScalibrato sull’ef- deroga presentate, il loro esito e delle difformitĂ da questi e dell’esui luoghi di lavoro, sistemi innovativi e rezzadelle antincendio sperimentazioni efficaci per il governo dei fettivo rischio presente. Con questo motivazione e altre informazioni, sito favorevole o contrario delle servizi sanitari e socio-sanitari, formazione D.M. si parla oggi di norme non piĂš non possono essere utili per le con- misure proposte in loro vece. Si è e competenze professionali, strutture sporprescrittive ma prestazionali, cioè siderazioni che vogliamo proporre. tenuto conto anche delle deroghe tive. che tengono conto, in modo coordiInfatti, queste registrazioni in defi- non accettate perchĂŠ non dovute nato, delle varie alternative con cui nitiva contabilizzano il numero di (archiviate), o di quelle che avevano si possono mitigare le conseguenze istanze ricevute ed esaminate ma bisogno di integrazioni per carenze di un incendio e/o ridurne le proba2. Sicurezza sismica non tengono conto che un’istanza documentali (sospese), e delle attibilitĂ di accadimento. Ăˆ stato ripreso il dialogo con la Regione (al cui GDL, “Direzione può contenere un deroga a un solo vitĂ esistenti da quelle nuove, rifeGenerale Territorioâ€?, partecipa una nutrita rappresentanza di ingearticolo, oppure a decine di arti- rendoci all’attivitĂ esercitata e non gneri lombardi) sul perfezionamento delle attivitĂ di presentacoli per cui si propone istanza di tanto all’edificio che la deve conteMODALITĂ€ RACCOLTA DATI zione delle istanze di autorizzazione sismica nelle zone 2, e per il deroga, non si individuano quindi nere. Nella contabilizzazione, ogni Qualche anno addietro, pensavamo deposito della documentazione nelle zone 3 e 4. Proprio su sollegli articoli che creano piĂš difficoltĂ . singolo articolo per cui viene chiedi poter contare, per una analisi di cito della CROIL, l’attivitĂ informatizzata collegata alle istanze e Per lo scopo della nostra indagine, sta l’espressione del CTR costituisce dettaglio delle deroghe presentate al deposito era stata sospesa per consentire l’ interoperabilitĂ tra dunque, è stato necessario creare una singola deroga e per questa si a livello regionale, sulla puntuale il sistema informativo regionale e gli analoghi sistemi presso gli una diversa registrazione delle possono avere diverse opzioni:apregistrazione che di queste fa la enti locali. pratiche di deroghe esaminate dal provata; negata; archiviata (quando segreteria del Comitato Tecnico C.T.R., tenendo conto non solo delle non è necessaria la deroga); Regionale (C.T.R.) della Lombardia. attivitĂ (fra le 80 annoverate dal DPR sospesa in attesa di integrazione Purtroppo, i criteri di queste regi3. Infrastrutture 151/29011) ma anche di ogni singolo per incompletezza. strazioni, mentre valutano in modo Inoltre, il 4 settembre Regione Lombardia ha convocato la CROIL per articolo che si intende derogare, rigoroso e metodico le istanze di CONTINUA A PAG. XIII una valutazione di eventuali ipotesi di lavoro in vista di un prossimo Piano di ricognizione e monitoraggio infrastrutture viarie regionali. APPROFONDIMENTI Gli ingegneri lombardi hanno avanzato delle proposte, peraltro in sintonia con Regione, al punto da ritrovarle anche nella comunicazione relativa agli interventi per la sicurezza delle infrastrutture, Milano Lodi inviata dal Presidente Fontana al Governo e alla Conferenza delle Un compenso correlato al decoro del professionista Lodigiano, terra d’acque Regioni e delle province autonome.

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1. Nuovo protocollo d’ intesa PAG. perfezionato 6 Presumibilmente entro la fine di ottobre verrĂ un nuovo di Franco Luraschi* protocollo d’ intesa tra CROIL e Regione Lombardia, rappresentata dal Presidente Attilio Fontana e dalla Sua Giunta.Pavia Il protocollo si Questo articolo vuole informare | DRONI pone in TECH continuitĂ con l’analogo protocollo sottoscritto da CROIL i colleghi, che operano nel campo Settimana della Scienza con la giunta Maroni nel 2016: attualmente, si sta provvedendo all’aldella sicurezza antincendio, dell’eall’insegnadagli dell’ingegneria lineamento formale tra le competenze messe a disposizione voluzione qualitativa e quantitativa ingegneri lombardi in supporto alla Regione, e le deleghe dei nuovi delle deroghe che in questi anni assessorati dopo le elezioni del marzo scorso. Il protocollo è provengono sottoposte all’esame della Catanzaro dromo a una cabina di regia esclusiva tra ingegneri, governatorato e Direzione Regionale VVF della Lom-

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se fosse giusto o sbagliato; la cultura del “fareâ€? ha privilegiato la sperimentazione e ha insegnato che dagli errori si può imparare, crescere, progredire e migliorare. Non è mai stato chiesto ai professionisti se fossero d’accordo con un “SIâ€? o con un “NOâ€?. Ăˆ stato dato semplicemente per scontato che il cambiamento fosse insito nella natura dell’uomo e nel nostro caso dei professionisti, nella loro ricerca di miglioramento e progresso per il bene comune. Ci sono stati “siâ€? e “noâ€? dettati da successi e insuccessi; il buon senso e la competenza hanno sempre fatto da guida nelle scelte e quindi nell’evolversi delle professioni. Per la politica evidentemente è diverso; ma ciò dimostra solo uno scollamento fra i problemi pratici della quotidianitĂ dell’individuo e l’incapacitĂ della politica ad adeguarsi. Il buon senso non fa da guida; un referendum che fa contento/scontento la metĂ dei cittadini resta un problema non risolto. Il cambiamento è necessario e la civiltĂ parla da sola a tal proposito; ma il cambiamento dovrebbe godere della fiducia e della certezza di tutti i cittadini quando si parla di politica. Se tutti quanti noi quando attraversiamo un ponte o saliamo sulla cima di un grattacielo diamo per scontato di poterci fidare di chi ha pensato il progetto, forse non vuol dire che i professionisti potrebbero insegnare e dire il loro pensiero con piĂš forza alla politica? n

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Gli ingegneri chiamati a costruire la nuova classe dirigente. Questo il tema portante del 63° Congresso Nazionale degli Ingegneri. La volontà è affrontare una questione quanto mai urgente per l’Italia. “Essere ingegnere oggi si esplica in una pluralitĂ di modalitĂ , di settori e di luoghi: la scuola, l’universitĂ , la pubblica amministrazione, le imprese.â€?

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“Sentieri da Percorrere�

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63° CONGRESSO NAZIONALE

Intervista a Mario Ascari, Presidente del C3I

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La prima Giornata Nazionale della prevenzione sismica e della messa in sicurezza, volta alla sensibilizzazione del cittadino e delle istituzioni

Ultimo decennio del vecchio millennio: un famoso pay off pubblicitario recitava “prevenire è meglio che curareâ€?. Fabrizio Casadio, ingegnere e mitico doppiatore della nostra radiotelevisione, è stato la voce di quel dentifricio che ancora in tanti oggi ricordano. In questo senso la medicina ha certamente fatto passi da gigante negli ultimi decenni. La prevenzione in campo medico è divenuta pilastro fondante della ricerca, della programmazione, degli investimenti. Un pezzo del bilancio della nazione. Sono aumentate sensibilitĂ e consapevolezza. Ăˆ anche vero che, per loro natura, slogan, cosĂŹ come in generale comunicazione e pubblicitĂ , si portano dietro criticitĂ che non voglio nascondere. CriticitĂ legate all’etica, al business, alla capacitĂ (o incapacitĂ ) di pensare a un futuro a lungo termine per le generazioni che verranno dopo di noi.

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