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NOVITÀ PRODOTTI

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Un idrogeno sempre più verde

È stato dimostrato per la prima volta che la produzione di idrogeno verde dall’acqua può essere promossa da singoli atomi di rutenio

Un team di ricercatori dell’Istituto di chimica dei composti organometallici del Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con l’ETH di Zurigo, hanno scoperto che la produzione di idrogeno verde dall’acqua può essere promossa da singoli atomi di rutenio. I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che un complesso organometallico dinucleare di rutenio è un attivo catalizzatore per la generazione di idrogeno in una cella elettrolitica a membrana polimerica (PEM). L’apparato realizzato su piccola scala di laboratorio produce 28 litri di H2 (diidrogeno) per grammo di rutenio al minuto. In sette giorni di attività non si registrano fenomeni di degradazione del catalizzatore. Al momento l’efficienza non è paragonabile a un sistema commerciale, ma rappresenta una proof of concept per una nuova classe di elettrolizzatori. La ricerca è stata recentemente pubblicata sulla rivista Chemical Science.

L’IDROGENO È ANCORA TROPPO POCO “VERDE”

Attualmente il 95% dell’idrogeno è ottenuto da processi che impiegano fonti fossili. Solo il 5% proviene da fonti rinnovabili. Il paradigma per la generazione di idrogeno verde è l’accoppiamento della generazione di energia elettrica rinnovabile con l’elettrolisi dell’acqua (processo elettrolitico nel quale il passaggio di corrente elettrica causa la Nel nostro esperimento il contenuto metallico dell’elettrodo catodico è meno della metà rispetto al platino presente negli elettrolizzatori più performanti noti nello stato dell’arte. Ogni singolo atomo è coinvolto nella reazione di evoluzione di idrogeno, a differenza di quanto avviene con le nanoparticelle nelle quali solo gli atomi della superficie, e non tutti, partecipano alla reazione. Questo si traduce in un carico metallico più basso a parità di idrogeno prodotto. Il meccanismo di evoluzione di idrogeno proposto sarà utile alla comunità scientifica per la progettazione di catalizzatori su scala atomica e dispositivi elettrocatalitici migliorati. Il passo successivo sarà lo studio dei complessi molecolari stabilizzati da metalli non costosi e largamente disponibili in natura

FRANCESCO VIZZA, Cnr-Iccom e coordinatore dello studio

scomposizione dell’acqua in ossigeno e idrogeno gassoso). Tuttavia, l’elettrolisi dell’acqua presenta importanti ostacoli. In particolare, le tecnologie degli elettrolizzatori più performanti impiegano quantità ingenti di platino e di iridio, entrambi presenti nella lista dei Critical Raw Materials (CRM), ovvero materiali a rischio di approvvigionamento. Sulla base dell’attuale catena di approvvigionamento i metalli del gruppo del platino limiterebbero la produzione di elettrolizzatori a membrana polimerica a circa 6-7 GW anno, contro i 100 GW annui previsti dalla road map di decarbonizzazione al 2030. La ricerca è quindi orientata a eliminare tali materiali o a ridurne la quantità impiegata, aumentandone la durabilità e la riduzione dei costi dei dispositivi. Il progetto che ha permesso di ottenere questo risultato è stato finanziato dal MUR con fondi FISR-2019.

Rilevare le microplastiche prodotte dagli pneumatici

Secondo i ricercatori del CNR i risultati dello studio potrebbero essere utilizzati per sviluppare pneumatici o sistemi di frenaggio a minore impatto ambientale

Uno studio dell’Istituto per i processi chimico-fisici del CNR, in collaborazione con le Università di Göteborg e Le Mans, mostra come le pinzette ottiche Raman possano essere utilizzate per rivelare micro e nanoparticelle generate dall’abrasione degli pneumatici durante i processi di accelerazione e frenata. I risultati potranno aiutare a sviluppare gomme più sostenibili e con un minore impatto sulla salute. La ricerca è stata pubblicata su Environmental Science: Nano. L’abrasione degli pneumatici durante la circolazione dei mezzi di trasporto causa il rilascio di microparticelle inquinanti nell’ambiente, un fenomeno in forte crescita su scala globale. Le particelle si accumulano ai bordi delle strade per poi defluire nei corsi d’acqua, inquinando l’ecosistema idrico e causando preoccupazioni per la salute degli ecosistemi interessati. A causa degli attuali gap metodologici nelle tecniche di analisi, le microplastiche più piccole di 5 µm (micrometri) rimangono in gran parte non quantificate. In un nuovo studio dell’Istituto per i processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf) in collaborazione con il Soft-Matter Lab dell’Università di Göteborg e l’Institut des Molécules et Matériaux dell’Università di Le Mans, i ricercatori hanno combinato, per la prima volta, una strategia nonconvenzionale per l’intrappolamento ottico di particelle fortemente assorbenti (2D Trapping) con l’analisi Raman (Raman Tweezers), per rilevare e identificare la natura chimica del particolato nel range tra 500 nm (nanometri) e 5 µm (micrometri) prelevato nel lavaggio di una piattaforma per la revisione degli autoveicoli. Le ricerche mostrano come sia possibile utilizzare la combinazione di pinzette ottiche e spettroscopia Raman per caratterizzare le microparticelle rilasciate a seguito dei processi di abrasione degli pneumatici e delle pastiglie dei freni durante le brusche accelerazioni o le frenate che si verificano, per esempio, durante i test di revisione delle nostre autovetture. “I risultati dello studio potrebbero essere utilizzati per sviluppare pneumatici o sistemi di frenaggio a minore impatto ambientale” – spiega Giovanni Volpe di Uni-Göteborg. Le possibili applicazioni future sono molteplici. “Una sfida avvincente dal punto di vista tecnologico sarà quella di sviluppare nel prossimo futuro apparati di Raman Tweezers per l’analisi di campioni a bassa densità di particelle – conclude Gucciardi. Questo aprirebbe le porte, oltre che alle applicazioni nell’analisi ambientale, anche allo studio della contaminazione da nanoplastiche nei cibi, e ai suoi effetti sulla salute dell’uomo, tema che la European Food Safety Authority ha identificato come una delle sfide più importanti dei prossimi anni”.

Sfruttando le forze ottiche generate da fasci laser fortemente focalizzati, possiamo intrappolare particelle micro e submicrometriche direttamente in liquido. A seconda dei materiali, possiamo confinare le particelle nello spot del laser, oppure spingerle contro le pareti di una cella micro-fluidica. Una volta immobilizzate, possiamo poi analizzarne la natura chimica una alla volta

PIETRO GUCCIARDI, Cnr-Ipcf e coordinatore dello studio

VMC di ultima generazione

Un sistema unico da installare con estrema facilità in case monofamiliari e plurifamiliari. Studiato per qualsiasi dimensione e posizione di montaggio

Hoval HomeVent® ER è, inoltre, silenzioso e offre un nuovo livello di comfort abitativo. Lo scambiatore di calore entalpico, grazie allo speciale rivestimento, recupera sia l’energia termica (calore) che quella di vaporizzazione (umidità dell’aria). In questo modo, è possibile trasferire l’umidità secondo necessità dall’aria dell’ambiente a quella fresca immessa; il sistema mediante il processo di recupero integrato dell’umidità dell’aria, ne regola il valore entro un intervallo ideale tra il 40 e il 60%. Hoval HomeVent® è dotato di filtri per polveri sottili particolarmente potenti che depurano l’aria. I filtri impediscono infatti alle particelle più piccole di pervenire all’interno degli spazi abitativi.

Dal momento che garantisce una migliore qualità dell’aria in ambienti interni e consente di risparmiare energia per il riscaldamento, nei prossimi anni la ventilazione meccanica controllata (VMC) verrà installata sempre più frequentemente nelle nuove costruzioni. Con il nuovo sistema completo Hoval HomeVent® ER le imprese installatrici riescono a coprire facilmente la crescente richiesta di ventilazione meccanica controllata, in aggiunta a quella dei sistemi di riscaldamento e acqua calda.

HOVAL HOMEVENT® ER

Il nuovo sistema di VMC è appena stato introdotto sul mercato per affiancare il comprovato sistema di VMC HomeVent® FRT. I nuovi prodotti ER sono caratterizzati da una potenza eccezionale per la loro classe di grandezza. I ventilatori – ottimizzati con geometria 3D delle pale – raggiungono una portata d’aria di 400 m³ all’ora con un consumo di corrente sensibilmente ridotto. I sistemi di ventilazione meccanica controllata HomeVent® ER si attestano, pertanto, tra i più efficienti sul mercato, come confermato anche da TÜV SÜD.

“Con la nostra soluzione le ditte installatrici diventano partner per l’intera climatizzazione degli ambienti. Forniamo loro un sistema completo direttamente dal produttore e con il massimo in fatto di assistenza. Tutto l’impianto, che comprende riscaldamento, acqua calda e VMC, è comandato facilmente tramite Hoval Digital” PATRIK WOERZ, Responsabile dell’area ventilazione meccanica controllata di Hoval

SISTEMA ISI: ISOLATO TERMICAMENTE, INSONORIZZATO E FLESSIBILE

Per semplificare l’installazione, Hoval ha creato un nuovo sistema. Con Isi, infatti, dotato di tubazioni in EPP, l’azienda ha sviluppato un sistema unico sul mercato e appositamente pensato per consentire il montaggio rapido e sicuro degli apparecchi di ventilazione meccanica controllata Hoval HomeVent®. Con il sistema Isi il montaggio procede facilmente e si riduce al minimo il pericolo di lesioni. Inoltre, gli installatori non devono più occuparsi dell’intero processo di isolamento perché le tubazioni Isi sono già isolate termicamente. L’apparecchio di ventilazione Hoval è collegato direttamente al sistema Isi. I componenti non sono solo isolati termicamente, ma anche insonorizzati e si adattano tra loro grazie al sistema a innesto.

Il sistema Isi comprende: ■ IsiSound: silenziatore termoisolato, in materiale speciale ad assorbimento acustico, insensibile all’umidità; ■ IsiCube: blocco di connessione flessibile per il montaggio in spazi angusti; ■ IsiFlex: tubo flessibile con isolamento acustico per risolvere svariate esigenze di montaggio.

Hoval S.r.I.

Via XXV Aprile 1945, 13/15 24050 Zanica (BG) Tel. +39 035 6661111 info.it@hoval.com | www.hoval.it

Sensori-termometro per studiare la febbre del mar Tirreno

Ricercatori e subacquei insieme per studiare l’impatto del surriscaldamento globale sugli ecosistemi sommersi

Una rete di 67 sensori-termometro posizionati dai 5 a 60 metri di profondità per controllare la temperatura del mar Tirreno e monitorare l’impatto del cambiamento climatico sull’ecosistema marino e sui processi di dinamica costiera. È quanto realizzato nell’ambito del progetto MedFever che riunisce ENEA come partner scientifico, l’associazione MedSharks in veste di coordinatore, l’azienda Lush e un gruppo di subacquei volontari. I risultati del primo anno sono stati presentati alla vigilia della “Giornata nazionale del mare” che si celebra ogni anno l’11 aprile per promuovere la cultura del mare. A nemmeno un anno di distanza dalla posa dei primi termometri, i profili delle temperature sono già stati pubblicati sulla piattaforma open source SeaNoe. I dati e le osservazioni raccolte dai subacquei di MedFever consentiranno ai ricercatori di comprendere meglio i meccanismi alla base della sofferenza degli ecosistemi sommersi – in particolare di gorgonie, alghe coralline e madrepore arancioni – legata al surriscaldamento delle acque e alle onde di calore in mare, un fenomeno che gli scenari climatici indicano come sempre più frequente in futuro e che può influenzare in modo determinante gli ecosistemi costieri. A livello operativo, i sensori, delle dimensioni di una scatola di fiammiferi, sono stati calibrati dai tecnici dell’ENEA per raggiungere la precisione di 0,1 °C e misurano la temperatura del mare ogni 15 minuti. A posizionarli in 18 punti strategici presso l’Isola del Giglio (Toscana), il Golfo di Napoli, Capri e Palinuro (Campania), lo Stretto di Messina, Palermo e San Vito lo Capo (Calabria e Sicilia), il Golfo di Cagliari, Capo Figari, Santa Teresa di Gallura e Isola Mortoriotto (Sardegna), Nettuno e Ponza (Lazio) sono stati subacquei volontari di diversi centri immersione. “Dai risultati delle elaborazioni condotte dall’ENEA emergono indicazioni cruciali riguardo alcuni processi che regolano la variabilità ad alta frequenza delle correnti e della temperatura del mare – sottolinea Ernesto Napolitano, oceanografo del Laboratorio modellistica climatica e impatti dell’ENEA. Inoltre, l’integrazione delle misure con i nostri modelli operativi, tra cui MITO sulla circolazione del Mediterraneo, ha permesso di individuare fenomeni come la presenza di onde interne indotte dall’azione combinata del vento e della marea nel sito di misura “Banco di Santa Croce”, presso il Golfo di Napoli e le cui evidenze sono in corso di pubblicazione sulla prestigiosa rivista internazionale Estuarine, Coastal and Shelf Science”. “MedFever è un’iniziativa partita dalla società civile che non ha precedenti nel nostro Paese: con capillarità, i ricercatori volontari hanno installato una ventina di stazioni in tutto il Tirreno dove, prima di MedFever, esistevano solo due stazioni di monitoraggio delle temperature – evidenzia Eleonora de Sabata, presidente di MedSharks e coordinatrice del progetto. Non avendo termini di riferimento, è troppo presto per dire se quella passata sia stata un’estate “calda”, ma i sub hanno segnalato in diversi luoghi lo stato di sofferenza di gorgonie, madrepore, spugne e alghe calcaree”.

Queste misure rappresentano una base di partenza fondamentale per seguire, nel lungo termine, il riscaldamento del Mediterraneo e per monitorare lo stato di salute del nostro mare, una risorsa fondamentale per il nostro pianeta per il suo valore scientifico, culturale, ricreativo ed economico

ELEONORA DE SABATA, presidente di MedSharks e coordinatrice del progetto

Coltivare verdure in casa

I ricercatori ENEA stanno mettendo a punto un sistema che permette la coltivazione domestica di verdure e ortaggi

Coltivare verdure in casa grazie a un nuovo sistema semplice, sostenibile, low cost e senza uso di pesticidi, che prevede illuminazione di precisione, ventilazione mirata e uso minimo d’acqua. Lo stanno sperimentando i ricercatori ENEA impegnati in attività del settore della coltivazione non convenzionale presso i laboratori della Divisione Biotecnologie e Agroindustria. Il punto di forza del dispositivo – che si presenta come un semplice scaffale mobile di dimensioni adatte ad alloggiare la piante da coltivare – è costituito da un sistema di illuminazione sviluppato da Becar Srl, azienda del gruppo Beghelli, in collaborazione con ENEA nell’ambito del progetto PON ISAAC finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico, e basato su LED che forniscono alle piante luce nello spettro utile alla fotosintesi e con intensità adeguate a far crescere le piante sane. Questo sistema di illuminazione, abbinato alla ventilazione mirata ai fabbisogni delle piante e all’utilizzo di substrati convenzionali (terreno, terriccio, compost), permette di compiere in ambienti domestici un ciclo completo di produzione di verdure. I primi esperimenti hanno riguardato un ciclo completo di zafferano e si stanno conducendo prove anche per lattuga e pomodoro. “Il sistema è un vero e proprio downgrade del Microcosmo, il primo simulatore di campo hi-tech destinato alla ricerca scientifica mai realizzato in Italia per la coltivazione di piante al chiuso e in ambienti estremi brevettato da ENEA e FOS S.p.A. e commercializzato dalla start-up Piano Green – spiega Luigi d’Aquino, ricercatore ENEA del Laboratorio Bioprodotti e Bioprocessi. Rispetto a Microcosmo – aggiunge – questo dispositivo è più semplice ed economico da gestire, consente di coltivare al chiuso anche in ambienti domestici con buone rese produttive, permettendo anche al singolo cittadino di diventare produttore senza dover necessariamente avere particolari competenze o sostenere costi proibitivi”.

In Inghilterra un’intera città alimentata a biogas

Dal 2016 la produzione di biogas locale ha rimpiazzato il riscaldamento a gas naturale, coprendo il 40% del fabbisogno elettrico cittadino

Ormai da diversi anni la città di South Molton (Inghilterra) copre il proprio fabbisogno termico e parte di quello elettrico grazie alle agroenergie locali e alle deiezioni di pollo. Il merito è dell’impianto di digestione anaerobica Condate Biogas, realizzato nel 2015 e gestito dalla britannica Ixora, che utilizza colture energetiche, rifiuti agricoli e scarti animali per produrre biogas. Quest’ultimo viene poi pulito e pressurizzato prima di essere immesso nella rete del gas e rifornire le abitazioni locali. La parte eccedente, invece, viene impiegata per la generazione elettrica. Secondo quanto riportato da Ixora, la struttura oggi produce abbastanza gas per riscaldare tutte le abitazioni della cittadina britannica, fornendo nel contempo il 40% del fabbisogno elettrico. Ma con la possibilità di ottenere molto di più. L’impianto produce, infatti, come prodotto secondario fertilizzanti che tornano ai coltivatori locali per la produzione di mais. “Grazie all’efficienza operativa, ora siamo in grado di generare abbastanza elettricità rinnovabile per rifornire il 70% di South Molton – ha commentato Darren Stockley, amministratore delegato di Condate Biogas. Potremmo aumentare la nostra produzione di gas per coprire oltre 3000 case; ciò significa raggiungere una gamma più ampia di villaggi nelle vicinanze”.

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