14 minute read

TECH

Next Article
NOVITÀ PRODOTTI

NOVITÀ PRODOTTI

Anche le bioplastiche, se disperse nell’ambiente, hanno lunghi tempi di degrado

Uno studio pubblicato sulla rivista Polymers ha mostrato che i materiali bioplastici, sottoposti a un processo di degradazione, impiegano tempi lunghi per disperdersi nell’ambiente

Se disperse nell’ambiente, anziché conferite correttamente nel compost, anche le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto lunghi, comparabili a quelli di materiali plastici non bio. Lo dimostrano i risultati di un innovativo esperimento condotto congiuntamente da Consiglio nazionale delle ricerche, Istituto dei processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf), Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar), Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e Distretto ligure per le tecnologie marine (Dltm), con il supporto di Polizia di Stato – Centro Nautico e Sommozzatori La Spezia (CNeS). Lo studio, pubblicato sulla rivista open access Polymers, ha riguardato il comportamento a lungo termine di differenti tipologie di granuli di plastica vergine (resin pellet) utilizzati per realizzare oggetti di uso comune. Sono stati comparati due polimeri tra i più impiegati negli oggetti di plastica, HDPE e PP, e due polimeri di plastica biodegradabile, PLA e PBAT, verificandone il grado di invecchiamento e degradazione rispettivamente in acqua di mare e sabbia. In entrambi gli ambienti, nell’arco di sei mesi di osservazione, né i polimeri tradizionali né quelli bio hanno mostrato una degradazione significativa. L’osservazione dei campioni, unitamente all’esito di analisi chimiche, spettroscopiche e termiche condotte presso il laboratorio pisano del Cnr-Ipcf, coordinato dalla ricercatrice Simona Bronco, mostra che nell’ambiente naturale le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto più lunghi rispetto a quelli che si verificano in condizioni di compostaggio industriale. “Data l’altissima diffusione di questi materiali, è importante essere consapevoli dei rischi ambientali che l’utilizzo della bioplastica pone, se dispersa o non opportunamente conferita per lo smaltimento: è necessario informare correttamente”, spiega la ricercatrice Silvia Merlino del Cnr-Ismar di Lerici (La Spezia), coordinatrice del progetto. L’esperimento, a oggi il primo di questo tipo realizzato interamente in sito, ha utilizzato per il set up sperimentale la piattaforma multiparametrica Lo studio mette in luce l’importanza di una corretta informazione riguardo alla plastica biodegradabile, soprattutto dopo lo stop alla plastica usa e getta in vigore in Italia da gennaio 2021 in attuazione della direttiva europea ‘Single use plastic’, che ha portato alla progressiva commercializzazione di prodotti monouso in plastica biodegradabile, come i polimeri presi in esame

MARINA LOCRITANI, ricercatrice dell’Ingv e co-coordinatrice dello studio

di monitoraggio ambientale “Stazione Costiera del Lab Mare” posta a 10 metri di profondità nella Baia di Santa Teresa nel Golfo della Spezia, realizzata nell’ambito del progetto Laboratorio Mare del Distretto ligure per le tecnologie marine (cofinanziamento Regione Liguria, risorse PAR-FSC 2007-2013 “Fondo per lo sviluppo e la coesione”), alla quale collaborano anche l’Istituto Idrografico della Marina e l’Enea. Qui – grazie anche al supporto del Centro nautico e sommozzatori di La Spezia e della Cooperativa mitilicoltori spezzini – sono state alloggiate particolari “gabbie” progettate per contenere i campioni di plastica; è stata, inoltre, predisposta una vasca contenente sabbia, esposta agli agenti atmosferici per simulare la superficie di una spiaggia. L’esperimento è tuttora in corso e si concluderà nel 2023. Ulteriori esperimenti riguarderanno lo studio dei processi di degradazione in condizioni di maggiore profondità, grazie all’installazione di ulteriori gabbie contenenti plastiche e bioplastiche nella “Stazione profonda del Lab Mare” a circa 400 metri di profondità, sempre in acque liguri. Inoltre, in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (Izto), è già in corso un ulteriore studio che prevede l’analisi comparata dello stato di degradazione dei resin pellet in mare e della presenza di sostanze chimiche (IPA, PCB, pesticidi) ivi disciolti e da essi assorbiti, nonché il confronto con i processi di ritenzione di contaminanti da parte dei mitili, storicamente ritenuti le “sentinelle” dell’inquinamento.

Fonti rinnovabili per riqualificare la villa in Trentino

Per sfruttare al massimo le rinnovabili, l’impianto termico ha previsto l’adozione di un impianto a pavimento radiante con sistema di riscaldamento a bassa temperatura

Una vecchia villa in completo disuso in provincia di Trento è stata ricostruita con particolare attenzione al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti alternative per l’approvvigionamento. La costruzione è di tipo tradizionale con telaio in cemento armato e isolamento di tutte le superfici verticali e del tetto a falde, nonché tripli vetri basso emissivi e isolamento anche del pavimento dei locali interrati. Per la schermatura solare i progettisti hanno optato per l’adozione di frangisole applicati sulla parte esterna del serramento, azionabili e modulabili sia manualmente che digitalmente con sistema domotico.

IMPIANTO TERMICO

Per quanto riguarda l’impianto termico, l’esigenza era quella di sfruttare al massimo le rinnovabili per provvedere a riscaldamento e raffrescamento dell’abitazione, nonché al riscaldamento dell’acqua della piscina, della rampa e dei camminamenti esterni, per evitare la formazione di gelo o l’accumulo di neve nel periodo invernale. Un impianto, quindi, indubbiamente complesso, ma anche una sfida per progettista e l’installatore. L’abitazione si sviluppa su 3 piani con una superficie complessiva di 400 mq ed è classificata in Classe A+ dal punto di vista energetico. Il progetto dell’impianto termico ha previsto l’adozione di un impianto a pavimento radiante con sistema di riscaldamento e raffrescamento a bassa temperatura per sfruttare a pieno le poten-

PROGETTO

Tipologia di intervento: ristrutturazione

Prodotti Viessmann:

■ pompa di calore split Vitocal 200-S; ■ caldaia a gasolio a condensazione Vitoladens 300-C; ■ 5 pannelli solari termici piani Vitosol 200-FM; ■ 16 pannelli fotovoltaici Vitovolt 300 e batteria LG da 10 kW. Progettista: Studio Delta di Massimo Cerquettini. Installatore impianto termico: Oscar Polo (Partner per l’Efficienza Energetica Viessmann). Installatore impianto fotovoltaico: Andrea Donei – DONEI DARIO SRL.

zialità della pompa di calore aria acqua Vitocal 200-S abbinata a un impianto fotovoltaico con moduli Vitovolt 300. Sono stati posati 500 mq di impianto di riscaldamento all’interno e 400 all’esterno, per il preriscaldamento della rampa. Tale scelta ha permesso di sfruttare la produzione di energia elettrica da fotovoltaico con costi di gestione molto bassi, grazie anche all’utilizzo di sistemi di accumulo elettrico. I pannelli solari termici Vitosol 200-FM provvedono al riscaldamento estivo della piscina. La residenza utilizza inoltre la caldaia a gasolio a condensazione Vitoladens 300-C di supporto. Tutti i dispositivi sono integrati e dialogano tra loro per assicurare la massima efficienza e semplicità di utilizzo. Per il progetto di efficientamento termico dell’edificio, lo Studio Cerquettini è stato premiato tra i Menzionati del Concorso di Idee 2018 promosso da Viessmann.

Sistemi di accumulo a lungo termine: un algoritmo per valutare i materiali migliori

Il lavoro di un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino dimostra come l’Intelligenza Artificiale possa rivestire un ruolo chiave per lo sviluppo di nuovi materiali nel settore dell’energia e della sostenibilità

Uno dei limiti delle fonti rinnovabili è la loro disponibilità intermittente e, in tal senso, i sistemi di accumulo di energia risultano tecnologie fondamentali per la raccolta e stoccaggio dell’energia e la sua messa a disposizione indipendentemente dalla disponibilità della fonte. Per far fronte a questo problema il team di ricerca del Politecnico di Torino, composto da Giovanni Trezza, Luca Bergamasco, Matteo Fasano ed Eliodoro Chiavazzo del laboratorio SMaLL – presso il Dipartimento Energia-DENERG, ha condotto una ricerca che è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature npj Computational Materials.

ALGORITMI DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Il lavoro dei ricercatori mostra come algoritmi di Intelligenza Artificiale possono essere sfruttati attraverso tecniche conosciute come high-throughput computational screening (analisi intensiva computazionale) per generare un’enorme quantità di nuovi possibili materiali innovativi dalle inedite caratteristiche e opportunità per l’ingegneria energetica. In tal modo si sviluppano metodologie sempre più efficienti e veloci per una “selezione” mirata dei materiali più promettenti data una certa applicazione, come appunto lo stoccaggio dell’energia. Nello specifico, gli algoritmi sono stati allenati su un ampio insieme di nuovi ipotetici materiali potenzialmente adatti all’accumulo dell’energia termica. Tali materiali, denominati reticoli metallorganici (MOF), presentano una struttura cristallina – simile a una gabbia – in grado di “intrappolare” altre molecole e quindi la loro energia. La ricerca si è focalizzata sullo sviluppo di una tecnica per scegliere i migliori materiali che massimizzano il calore, quando intrappolano l’acqua. Lo studio si rivela molto importante proprio perché la scienza dei materiali si sta sempre più orientando verso l’analisi automatica di una grande mole di nuovi e “ipotetici” materiali, con nuove o migliorate proprietà rispetto a quelli già disponibili. “Scegliere il materiale ottimale per una certa applicazione è un’esigenza comune a molti ambiti ingegneristici. In questo lavoro, abbiamo considerato oltre 5000 MOF ipotetici, calcolando, per mezzo di dati parziali di letteratura e opportuni modelli sviluppati ad hoc, le prestazioni energetiche che avrebbero in esercizio – spiega Giovanni Trezza, primo autore della ricerca. Riuscire a prevedere in anticipo le prestazioni di questi composti consente di fare un primo e necessario screening su quali sarebbe interessante riprodurre in laboratorio e poi nella pratica industriale o civile. Inoltre, tramite tecniche di intelligenza artificiale, abbiamo identificato le caratteristiche chimiche più rilevanti ai fini energetici. Queste ultime possono essere impiegate per l’ottimizzazione sequenziale dei materiali. Per esempio, se si ha a disposizione un insieme di MOF da testare in laboratorio, tali tecniche permettono di dare un’indicazione su quale sia il successivo materiale da esaminare senza dover testare tutti i materiali possibili, con un sostanziale risparmio di tempo e risorse economiche; in particolare, gli algoritmi sviluppati hanno dimostrato una potenziale accelerazione del 90% nella scoperta di materiali innovativi per l’accumulo termico”. “Crediamo che l’efficientamento energetico dei sistemi di gestione dell’energia nasca da uno sforzo multidisciplinare che sappia combinare l’ingegneria con le scienze di base, al fine di sviluppare tecnologie e materiali migliori rispetto a quelli di cui disponiamo oggi – aggiunge Luca Bergamasco, co-autore della ricerca. In particolare, nel nostro studio abbiamo combinato le nostre conoscenze in ingegneria energetica, nozioni di termodinamica e scienza dei materiali, nonché utilizzato i più innovativi strumenti che la tecnologia informatica mette oggi a disposizione, ovvero l’intelligenza artificiale”. “La ricerca non si conclude qui – specificano i quattro ricercatori coinvolti. La metodologia e gli strumenti sviluppati possono infatti essere facilmente utilizzati per valutare le prestazioni dei materiali per altre applicazioni di interesse nel settore dell’energia e della sostenibilità; per esempio, la cattura dell’anidride carbonica dall’atmosfera oppure il recupero di acqua dall’umidità dell’aria in zone aride”.

Materiali bidimensionali per migliorare l’efficienza dei pannelli fotovoltaici

Perovskite, grafene e altri materiali bidimensionali, in sostituzione del silicio, permettono di migliorare l’efficienza delle celle solari: lo dimostra un esperimento realizzato a Creta da un team di ricercatori italiani

Un parco solare di 4,5 metri con pannelli fotovoltaici di terza generazione basati su nuovi materiali, quali perovskite e grafene e altri materiali bidimensionali in sostituzione del silicio, è stato realizzato a Heraklion, sull’isola di Creta, dai ricercatori italiani dell’Università di Roma Tor Vergata, della start up BeDimensional Spa, Greatcell Solar Italia Srl Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), Istituto di Struttura della Materia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISM) e dell’Università di Siena, insieme all’Università ellenica del Mediterraneo. La ricerca è stata pubblicata su Nature Energy. Il parco solare nasce nell’ambito delle attività di trasferimento tecnologico dell’iniziativa europea Graphene Flagship, volte a testare nuovi dispositivi a base di grafene e altri materiali bidimensionali in applicazioni concrete. I test eseguiti sui nuovi pannelli hanno dimostrato che i nuovi materiali sono vantaggiosi in termini di prestazioni e di impatto ambientale, rappresentando una pietra miliare verso la fase di commercializzazione di questa tecnologia fotovoltaica. La tecnologia delle celle solari a perovskite è caratterizzata da bassi costi di produzione e da un’elevata efficienza di conversione, simile alle celle solari in silicio monocristallino di ultima generazione, che possono convertire circa il 26% dell’energia solare in elettricità. I materiali bidimensionali (2D) sono elementi fondamentali di questo dispositivo in quanto migliorano l’efficienza e, soprattutto, la durata, che è la chiave per il percorso verso l’industrializzazione.

IL PARCO SOLARE

Il team ha integrato nove pannelli solari per un’area totale di 4,5 metri quadrati e li ha installati a Heraklion, insieme ai necessari componenti elettronici di potenza, ai sistemi per acquisizione dati e una stazione meteorologica. I ricercatori hanno misurato le prestazioni e la stabilità del parco per 9 mesi dopo la sua installazione, dimostrando che la potenza generata è in grado di alimentare l’attrezzatura di laboratorio. Se messo in collegamento con la rete elettrica, il parco solare potrebbe iniettare nel sistema un’energia pari a 546 kWh, supportando così i consumi della popolazione in modo sostenibile. “Siamo stati in grado di dimostrare che l’uso di materiali bidimensionali come il grafene è importante per modulare le proprietà delle celle solari a perovskite non solo nei test di laboratorio ma anche su pannelli di ampia area in condizioni reali, aumentando così la maturità di questa tecnologia”, afferma Aldo di Carlo, Direttore dell’Istituto di Struttura della Materia del CNR e Deputy del Work Package “Energy Generation” della Graphene Flagship. I test all’aperto del nuovo parco solare hanno condotto alla produzione di una potenza in uscita superiore a 250 W, che è simile a quella sviluppata da 60 celle di silicio cristallino assemblati in pannelli solari. Inoltre, poiché la temperatura influisce sulle prestazioni dei pannelli solari, i ricercatori hanno confrontato i nuovi pannelli di perovskite/grafene con le tecnologie presenti in commercio al variare della temperatura, osservando che i nuovi pannelli hanno una caduta di tensione a circuito aperto inferiore rispetto a quelli in silicio anche quando le temperature raggiungono i 70 °C. Questa è una caratteristica promettente che può consentire la realizzazione di sistemi fotovoltaici con elevata efficienza di conversione per applicazioni esterne soprattutto in vista del loro utilizzo nei paesi caldi. È stata inoltre eseguita una valutazione del ciclo di vita (LCA) per valutare la sostenibilità dei processi di produzione, laminazione e installazione dei pannelli solari, secondo gli standard ISO 1404014044. I ricercatori hanno identificato che l’evaporazione dell’oro nell’elettrodo posteriore rappresenta la fase più critica in termini di sostenibilità della produzione di questi pannelli solari. Il modello LCA indica che la sostituzione dell’oro con il grafene associato ad altre modifiche ne riduce l’impatto ambientale: produrre 1 kWh di elettricità con questo parco solare ottimizzato ha un’impronta ambientale inferiore di circa il 50% rispetto all’utilizzo dei mix di elettricità attualmente utilizzati in Europa.

Frutta e verdure fresche più a lungo

Da ENEA una pellicola trasparente a base di estratti di pompelmo e mela da applicare sul prodotto

Nuovo rivestimento antimuffa a basso costo da applicare direttamente su frutta e verdura per mantenerne inalterate qualità e proprietà nutrizionali fino a dieci giorni. È quanto ha messo a punto una ricerca condotta da ENEA, insieme all’Università degli Studi di Salerno (Dipartimento di Ingegneria Industriale). Si tratta di uno speciale film protettivo trasparente, commestibile, inodore e insapore, fatto di nanocompositi naturali a base di pectina, estratta dalla buccia di mela, e di olio di semi di pompelmo, dalle proprietà antimicrobiche, che viene incapsulato in nanotubi di silicato di alluminio. Per testare il biorivestimento alimentare, il gruppo di ricerca ha scelto un frutto particolarmente deperibile, come la fragola; i risultati ottenuti in termini di conservazione del prodotto sono stati molto incoraggianti, soprattutto nel caso del film protettivo che conteneva la maggiore concentrazione di olio di semi di pompelmo. “Abbiamo immerso per due minuti le fragole in tre diverse formulazioni caratterizzate da un differente contenuto di olio di semi di pompelmo. Poi, le abbiamo lasciate a temperatura ambiente per dieci giorni, con tasso di umidità del 60%. Al decimo giorno, i frutti trattati con la maggiore concentrazione di olio essenziale erano ancora integri e commestibili, mentre quelli senza biorivestimento, dopo solo due giorni, erano già marci, ricoperti completamente di muffa”, spiega Loredana Tammaro, ricercatrice ENEA del Laboratorio Nanomateriali e dispositivi del Centro Ricerche ENEA di Portici. La pectina è un addensante naturale presente nella buccia di mele e agrumi, utilizzata nell’industria alimentare anche come rivestimento per le sue proprietà ‘filmogene’. “I film a base di pectina pura, però, favoriscono la crescita microbica poiché sono una fonte di carbonio per funghi e batteri. Ecco, quindi, l’idea di rendere ‘attivo’ questo polimero naturale con agenti antimicrobici, come l’olio di semi di pompelmo, per ottenere materiali sostenibili, sicuri per la salute e a basso costo, adatti per il confezionamento e la conservazione degli alimenti”, aggiunge la ricercatrice ENEA. Gli oli essenziali sono sostanze naturali attive che, a parte il loro impiego come agenti aromatizzanti, hanno un’interessante attività antimicrobica nei confronti di alcuni batteri e patogeni di origine alimentare. Tra tutti gli oli essenziali, quello ottenuto dai semi di pompelmo è noto per le sue proprietà antimicotiche, antiparassitarie, antibatteriche, antiossidanti e antitumorali e mostra un’azione di inibizione della crescita microbica contro i batteri Gram-positivi e Gram-negativi. “L’impiego di pectina accoppiata all’olio di semi di pompelmo incapsulato in nanotubi di halloysite – un’argilla a base di silicato di alluminio – ha determinato un miglioramento delle prestazioni meccaniche del film biodegradabile (aumento del modulo elastico, sforzo a rottura, e deformazione alla rottura) e una riduzione dell’assorbimento all’acqua, rispetto al film di pectina pura”, sottolinea la ricercatrice ENEA. Per preservare la stabilità di queste sostanze si è dimostrata una strategia incoraggiante quella di incapsularle in nano-contenitori. Durante i test, è stato rilevato il rilascio, fino a 21 giorni, di acido linoleico, il componente principale dell’olio di semi di pompelmo. “Ciò dimostra la possibilità che abbiamo di agire sui tempi di rilascio delle molecole attive grazie all’impiego di nanotubi di halloysite, che hanno suscitato un notevole interesse perché sono materiali green e disponibili a buon mercato con migliaia di tonnellate presenti in natura”, conclude Loredana Tammaro.

This article is from: