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L’OSPEDALE PEDIATRICO: UNA COMUNITÀ ACCOGLIENTE

█ A cura della redazione

Presentazione di Gianpaolo Donzelli. Prefazione di Alberto Zanobini. La nave di Teseo in collaborazione con Fondazione Meyer. Collana: la cura. Luglio 2022

Progressi in medicina e accesso universale all’assistenza sanitaria hanno consentito di curare e prevenire molte malattie. Ma oggi sappiamo che non è sufficiente, occorre prendersi cura della persona e del suo contesto familiare e sociale; così come ogni aspetto della salute e della malattia ha luoghi prioritari dove essere affrontato. Tutto ciò chiama in causa molte dimensioni, molte competenze, molta collaborazione. È il tema della umanizzazione e della accoglienza nella cura, non solo un problema tecnico, soprattutto una cultura. L’assistenza pediatrica ospedaliera, in Italia in particolare, ha in tal senso un’esperienza di lunga tradizione e ad un tempo capace di innovarsi continuamente. Gli Ospedali pediatrici sono in molti casi strutture che risalgono all’Ottocento, ma sono però anche organizzazioni innovative. In esse si mette a punto e sperimenta non solo la prospettiva della guarigione, ma anche quella della curabilità. Una prospettiva presente “in particolare in età pediatrica e adolescenziale, ponendo anche il nucleo familiare in posizione protagonista”, come scrive in un capitolo di questo libro Lucia Celesti, pediatra. Si tratta di un libro ideato e curato da due architetti, esperti in progettazione ospedaliera, e nasce dalla consapevolezza che il progetto di un ospedale vive grazie alla comunità che lo abita. L’architetto, dichiarano i curatori, deve conoscere l’influenza dei fattori ambientali sui processi di cura, ma soprattutto deve sapere osservare la vita che si svolge dentro l’ospedale, se vuole progettare un luogo familiare, adattabile, facile da usare e da mantenere, dotato di senso per chi lo abita. Perciò in questo volume della collana “La cura”, Fondazione Ospedale pediatrico Anna Meyer di Firenze con La nave di Teseo, viene data voce ai protagonisti delle esperienze di accoglienza, che operano nelle strutture che afferiscono alla Associazione Ospedali Pediatrici Italiani. Nella prima parte del libro sono illustrati: il modello dipartimentale di presa in carico globale del bambino e dei suoi genitori; il modello delle attività di accoglienza e ludico-pedagogiche; cosa significa ‘spazio che cura’ e ‘cura dello spazio’; gli enunciati e le dichiarazioni dei diritti per la protezione e tutela dell’età pediatrica. Sono quindi illustrate in dettaglio le esperienze di accoglienza e le attività ludico-pedagogiche negli ospedali che hanno partecipato alla scrittura del libro. I capitoli successivi sono dedicati agli spazi sociali, educativi e fisici dell’ospedale pediatrico. Un capitolo affronta il tema degli hospice nell’ambito delle cure palliative in età pediatrica. Infine è raccontata la esperienza artistica e di architettura nel dare spazio alla creatività e alla spiritualità, quali risorse importanti della cura. Oltre ai tanti argomenti che sono trattati e approfonditi, quale è il messaggio di questo libro? L’accoglienza in un ospedale non si esaurisce al front office, essa è un sistema di attività e spazi diffusi che in qualche modo coinvolgono tutti: famiglia, personale medico e infermieristico, professionisti con diverse competenze e motivazioni, gli stessi pazienti che si aiutano reciprocamente. In un ospedale pediatrico questo è in molti aspetti evidente ed esemplare. L’accoglienza deve essere organizzata, il modello operativo e gli spazi devono potersi adattare nel tempo e a situazioni di emergenza, ma l’accoglienza si realizza solo facendone una cultura della comunità. Gli spazi possono favorire questo processo: ridurre i conflitti, le difficoltà, favorire sentimenti positivi, il rispetto reciproco. Ma più che di regole e requisiti, di modelli importati da altri contesti, i progettisti hanno bisogno di conoscere ed osservare esperienze e questo libro si può dire che proponga una “architettura narrativa”, quale contributo al tema della accoglienza e della umanizzazione.

EKH Children Hospital

L’EKH Children Hospital è un ospedale pediatrico privato in cui è stato sperimentato un approccio experience based per offrire un’esperienza unica ai giovani pazienti. I progettisti di Integrated Field (IF) infatti si sono immedesimati nei panni di un bambino e hanno sviluppato diverse strategie per rendere l’ospedale un luogo “divertente” incorporando aspetti del design di aree gioco nella pianificazione, nella funzionalità e nell’estetica dell’intero volume

DATI TECNICI

Localizzazione

Samut Sakhon, Tailandia

Progettisti

S:CSB

Interior design

IF (Integrated Field)

Superficie complessiva

6000 m²

Anno di inaugurazione

2019

Fotografie

Ketsiree Wongwan

Committente

Ekachai Hospital (EKH)

Lighting designer

Nopporn Sakulwigitsinthu

Costruttore

Adisorn Construction

█ Prospetto di ingresso dell’EKH Children

Hospital. Copyrights Ketsiree Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field).

IL PROGETTO

È ben risaputo che l’ospedale è il luogo che la maggior parte delle persone preferirebbe evitare il più possibile, soprattutto un bambino. A oggi ci sono diverse esperienze nazionali e internazionali in cui diversi progettisti si sono confrontati con la difficoltà di garantire la complessità strutturale, tecnologica e impiantistica dell’ospedale e offrire un ambiente a dimensione di bambino. Tra questi vi è anche il EKH Children Hospital, realizzato nella città di Samut Sakhon in Tailandia, a cura di S:CSB e lo studio del progetto di interior a cura di IF (Integrated Field). Durante la progettazione, gli architetti hanno affrontato la seguente sfida: “Abbiamo assistito al tentativo da parte di più istituzioni mediche di creare un ambiente più piacevole e amichevole, alcune con l’architettura e l’arredamento che sono quasi equivalenti a un centro commerciale o a un hotel di fascia alta. Se un ambiente così costruito può rendere in qualche modo più tollerabile la sensazione di andare in ospedale per noi adulti, che dire dell’esperienza dei più piccoli?”. I progettisti sono stati ben consapevoli, anche a partire dalla cultura locale, che per i bambini il lusso non è qualcosa che possa confortarli dal dolore, dalla paura per gli aghi, dall’evitare una visita ecc. Pertanto, i presupposti del progetto degli spazi sono proprio stati studiati con questo intento: realizzare uno spazio che possa rendere felici gli utenti pediatrici durante tutta la loro esperienza in ospedale. Infatti, nella mentalità di un bimbo, il divertimento è ciò che cerca istintivamente. Nonostante le loro diverse origini, tutti i bambini vogliono vivere la loro vita alla ricerca di qualcosa di divertente da fare. Utilizzare questo elemento di ‘divertimento’ come fil rouge è stata una grande sfida per i progettisti che si sono immedesimati in loro stessi da piccoli per rendere l’ospedale un luogo “divertente”. Tali input pertanto sono stati già riportati nel prospetto di ingresso dell’ospedale. L’arrivo e l’accesso in ospedale, infatti, possono rappresentare un momento critico per il giovane utente e proprio per scaturire curiosità (ed evitare possibili pianti) sotto il grande aggetto esterno vengono svelate alcune peculiarità della struttura tra cui uno scivolo giallo brillante che si avvolge a spirale attraverso la reception di ingresso. E dall’esterno è anche possibile vedere una piscina coperta caratterizzata da nuvole artificiali che caratterizzano l’ambiente.

IL PROGETTO FUNZIONALE

È importante fin da subito notare le ridotte dimensioni dell’edificio; quest’ultimo, infatti, è grande circa 6.000 mq ed è rivolto a soli utenti pediatrici. La struttura si va localizzare in prossimità dell’Ekachai Hospital, un ospedale generale privato che ospita circa 100 posti letto, ed è collegato attraverso dei corridoi di collegamento con l’ospedale esistente al primo e secondo piano.

█ Dettaglio del prospetto dell’EKH Children Hospital.

Copyrights IF (Integrated Field)

█ Layout del piano terra. Copyrights IF (Integrated Field). █ Layout del piano primo. Copyrights IF (Integrated Field).

█ Layout del piano secondo. Copyrights IF (Integrated Field). █ Layout del piano tipo. Copyrights IF (Integrated Field).

In generale, il piano terra ospita: █ i servizi di accoglienza per gli utenti, tra cui l’info point e attività commerciali, e per il personale, tra cui gli spogliatoi; █ i servizi generali, tra cui la mensa e la cucina; █ il Centro per lo sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza; █ l’area della piscina riabilitativa.

Il primo piano accoglie: █ nuovamente servizi di accoglienza per gli utenti, tra cui il CUP e la farmacia (ritiro farmaci); █ il Centro per l’infanzia; █ l’area diurna con gli ambulatori pediatrici. I piani superiori infine ospitano le aree di degenza, caratterizzate da camere singole, di diverse dimensioni, tra cui le stanze definite “VIP” in quanto ospitano piccoli salotti al loro interno. Infine, al piano interrato è localizzato un parcheggio a disposizione degli utenti. Come si osserva dai layout, gli ambulatori del piano terra e primo piano sono strutturati per essere accessibili sia dal percorso pubblico che quello sanitario con una doppia porta, e le aree di degenza sono strutturate su una tipologia distributiva a corpo triplo. Un’attenzione particolare è stata dedicata alle aree di attesa: ciascuna area funzionale è caratterizzata dal proprio spazio con sedute e piccole aree giochi, che a posteriori i progettisti rico-

noscono essere molto piacevoli, il che però richiede particolare maestria da parte dei genitori per convincere i bambini a lasciare l’ospedale.

SOFT QUALITIES

In termini di soft qualities, il progetto di interior dell’ospedale a dimensione di bambino propone un uso variegato di forme, ma-

█ Camera di degenza. Copyrights Ketsiree Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field). teriali, colori e simboli materializzati dal linguaggio del design che è fatto di linee delicatamente curve ed evita deliberatamente le forme geometriche perfette. Il design adottato rende l’estetica, che ricorda il modo in cui si continua a disegnare una linea curva senza concentrarsi sulla possibilità di formare un cerchio perfetto o meno, e finisce per dare un senso di libertà all’esperienza dei giovani utenti dello spazio. Queste linee si formano negli archi costruiti sopra le porte e le aree di attesa con dimensioni calcolate

█ Sala di attesa principale, localizzata al primo piano, con scivolo.

Copyrights Ketsiree Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field).

█ Sala di attesa e spazi ludici per i giovani pazienti. Copyrights Ketsiree

Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field) █ Hall di ingresso dell’ospedale. Copyrights Ketsiree Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field).

per essere proporzionate con il bambino, creando un ambiente confortevole capace di accogliere i comportamenti e le preferenze dei giovani utenti. Grazie al confronto con psicologi nell’ambito, sono state definite le diverse tonalità di colore. In generale l’uso di colori pastello incoraggia l’uso dell’immaginazione da parte dei bambini (infatti è ben risaputo che un bambino crei il proprio mondo immaginario quando vive uno spazio per la prima volta). I progettisti credono

█ Piscina riabilitativa. Copyrights Ketsiree Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field). fortemente che i bambini potranno godere degli spazi all’interno dell’ospedale secondo la loro personale immaginazione e sviluppare individualmente un’esperienza attraverso le loro interazioni con il programma spaziale curato. La principale sala di attesa, localizzata al primo piano, è progettata in prossimità del CUP e del bancone della farmacia (ritiro farmaci) come parte integrante della zona d’attesa che abbraccia lo “spazio gioco”. Infine, l’uso della luce indiretta con tutti i corridoi dell’ospedale assicura che i piccoli pazienti non siano disturbati dal disagio dell’eccessiva luminosità.

LE CAMERE DI DEGENZA

L’ospedale offre quattro tipi di camere singole (identificate come camere A, B, C e D), suddivise a loro volta tra camere standard, junior VIP e VIP (delle vere e proprie suite con un salottino). Sempre nella logica di offrire un ambiente a scala di bambino, le camere fanno riferimento rispettivamente alla Costellazione della Balena, della Tartaruga, del Leone e del Coniglio. Ogni camera è decorata con colore diverso e sopra il letto è installata un apparecchio luminoso personalizzato che simula una costellazione fosforescente per fornire sia un’illuminazione standard sia il livello di illuminazione adatto per un buon sonno. In conclusione, come suggeriscono i progettisti, “dato che noi adulti ci sorprendiamo, se non siamo un po’ gelosi della varietà e dello sviluppo ipnotico dei giocattoli per bambini […], l’EKH Children Hospital cambierà la percezione di tutti su quello che può essere lo spazio di un ospedale pediatrico”.

Ringraziamenti

Le informazioni utili per la scrittura dell’articolo sono state tratte da: █ descrizioni del progetto fornito dai colleghi di IF (Integrated Field); █ disamina tecnica delle piante del progetto; █ portali di architettura accessibili dal web.

In aggiunta si ringraziano per la realizzazione dell’articolo i colleghi di IF (Integrated Field) per la condivisione delle immagini e le piante pubblicate in questo articolo.

█ Sala di attesa dell’area diurna. Copyrights Ketsiree Wongwan, su gentile concessione di IF (Integrated Field).

L’autore MARCO GOLA

Design&Health Lab., Dip. Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito, Politecnico di Milano

Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, eccellenza della sanità privata

La nuova struttura è stata pensata per accogliere al meglio, con la massima efficienza, pazienti e visitatori, in piena sicurezza e comfort

A colloquio con il vicedirettore sanitario, Davide Brunelli, e con l’architetto Fernando Cordioli che ha curato la progettazione dell’elegante “biglietto da visita” della Cittadella Ospedaliera dedicata a San Giovanni Calabria

Nel cuore della Valpolicella, a pochi chilometri da Verona, sorge il grande e moderno complesso architettonico dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, voluto da San Giovanni Calabria nel lontano 1943, in pieno tempo di guerra, per assolvere ad una funzione di assistenza e ricovero per anziani. Col passare del tempo e degli anni questa realtà ospedaliera è divenuta senz’altro una delle eccellenze del Veneto e d’Italia, non solo per la grande professionalità di medici e personale paramedico, ma anche per le modernissime tecnologie strumentali e diagnostiche, all’avanguardia nel nostro Paese. Il complesso ospedaliero si è arricchito recentemente di una avveniristica struttura d’ingresso, che ospita la reception e le prenotazioni, con sistemi informatizzati che rendono ancora più efficiente e tempestiva la macchina organizzativa. Abbiamo chiesto al Vicedirettore Sanitario, dottor Davide Brunelli, di farci conoscere da vicino questa importante e preziosa realtà ospedaliera. █ Presentiamo in sintesi la struttura ospedaliera Sacro Cuo-

re Don Calabria: come appare oggi?

Oggi l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è formato da due poli ospedalieri - Sacro Cuore e Don Calabria - a cui si aggiungono i Poliambulatori situati a Casa Nogarè (dove sono collocate anche una Casa di Riposo e una Rsa). Queste strutture con Casa Perez/Clero (Casa di riposo) formano la “Cittadella della Carità”, chiamata così dal suo fondatore, San Giovanni Calabria, nel 1943 quando esisteva solo una Ricovero per anziani (Casa Sacro Cuore). Dal 2020 l’accesso a queste 4 unità è possibile da un unico ingresso, una palazzina (con entrata pedonale in viale Rizzardi) formata da cinque piani fuori terra a cui si aggiungono un piano seminterrato e due interrati, adibiti a parcheggio. Al piano terra si trova l’accettazione con i vari servizi dedicati al pubblico, mentre al primo piano è stata collocata il servizio di pre-ospedalizzazione

█ Facciata del nuovo ingresso dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria

(pre-ricoveri) e il centro prelievi. Gli altri tre piani sono stati riservati agli uffici tecnici, amministrativi e gestionali.

█ Quali aspetti vanno rimarcati per mettere in giusta luce la particolare sensibilità manifestata nella progettazione della nuova struttura d’ingresso dell’IRCCS Ospedale Sacro

Cuore Don Calabria?

La progettazione della nuova palazzina ha risposto all’esigenza primaria di facilitare il percorso dell’utente nell’accedere ai vari servizi e reparti. Da qui la realizzazione di un unico ingresso. La particolare configurazione dell’area ospedaliera dovuta ai successivi ampliamenti negli anni ha portato alla creazione di due ospedali (Sacro Cuore e Don Calabria) e di una struttura “Poliambulatori” con accessi distinti. Questo comportava non solo un certo disorientamento da parte dell’utente, ma anche disagio soprattutto per i pazienti disabili. Adesso grazie a un passaggio coperto il nuovo ingresso unisce i due ospedali e, tramite un altro collegamento questa volta al piano – 2, i Poliambulatori. I tre piani interrati con 297 posti auto sono un enorme valore aggiunto per il confort del paziente perché sono collegati direttamente, tramite ascensori e scale, al piano terra, dove si trova l’accettazione e l’inizio di tutti i percorsi verso i servizi e i reparti.

█ Che soluzioni sono

state adottate per favorire la reception, l’accoglienza e il confort dei pazienti nella nuova struttura e più in generale nell’intero nosocomio?

L’ingresso unico era anche l’elemento fondamentale per risolvere un’altra criticità di accesso: la dispersione in vari punti dell’ospedale degli sportelli di accettazione e dei cosiddetti servizi “ancillari” all’attività ospedaliera: ufficio relazioni con il pubblico, ufficio documentazione sanitaria, ufficio cassa, centro unico di prenotazione… Ora sono stati tutti accentrati nella grande

█ Sala di attesa pazienti pediatrici pre-ospedalizzazione

█ Zona di servizio pre-ospedalizzazione hall della nuova struttura, con 19 sportelli dedicati all’accettazione, di cui due riservati ai disabili. Una soluzione che ci ha permesso anche di razionalizzare l’impiego delle risorse umane. Lo stesso principio, ma declinato in senso sanitario stretto, ha guidato la progettazione del primo piano, in particolare il servizio di pre-ospedalizzazione (prericoveri). Qui i pazienti, ai quali è già stata fissata la data dell’intervento chirurgico – oltre 22mila all’anno –, effettuano in un arco di tempo contenuto tutte le visite e gli esami di routine prima dell’intervento: anamnesi infermieristica, prelievo del sangue, elettrocardiogramma, Rx torace, visita chirurgica e visita anestesiologica. Prima il paziente era costretto a fare la spola da un punto all’altro dell’ospedale per eseguire tutte le procedure. Il salto di qualità è evidente, anche sul piano dell’efficienza e della sicurezza, perché ad operare nel Servizio di pre-ospedalizzazione è un personale specializzato e dedicato solo a quell’attività. L’introduzione poi di sistemi robotizzati e digitalizzati, ci consente di tracciare ogni fase del percorso, abbattendo i rischi di errore dell’intero processo. Infine, la creazione di un unico servizio di pre-ospedalizzazione per 12 chirurgie ha decongestionato l’area ricoveri e si è dimostrata una soluzione particolarmente efficace nel periodo pandemico.

█ Il vostro ospedale è noto e apprezzato per una grande at-

tenzione all’aspetto umano, ai bisogni e al benessere dei pazienti: in quali forme si esplicita, in concreto, questa vostra preziosa prerogativa?

Per quanto riguarda la nuova struttura, abbiamo cercato di migliorare l’accoglienza del paziente coniugando l’aspetto tecnologico con quello umano. Per esempio, abbiamo introdotto la prenotazione on line dei prelievi. Sono stati installati dei totem interattivi per facilitare l’accesso agli sportelli e per ottenere i referti degli esami… Questo, tuttavia, non ci ha impedito di introdurre un servizio di accompagnamento, grazie all’apporto degli operatori della Cooperativa Don Calabria i quali hanno il compito di accompagnare le persone anziane sole o disabili negli ambulatori dove devono eseguire un esame o sottoporsi a una visita. Per questo scopo sono a disposizione all’ingresso e alle uscite pedonali dei parcheggi delle sedie a rotelle. Questa modalità di accoglienza, se esistono ulteriori esigenze, è anche prenotabile giorni prima tramite un servizio on line. Mi piace

anche soffermarmi sull’attenzione che è stata dedicata ai pazienti pediatrici, con la creazione di un percorso dedicato che prevede, nell’area pre-ricoveri, un accesso e di una sala di attesa riservati.

█ Come vengono affrontate queste tematiche nei percorsi

di formazione e aggiornamento del personale medico, paramedico, infermieristico e amministrativo?

La formazione etico-valoriale è inserita annualmente nel piano formativo generale redatto dall’Ufficio Formazione (diretto dalla dottoressa Martina Speri) a seguito dell’accurata analisi del fabbisogno e approvato dal Comitato scientifico e dal Consiglio di amministrazione. In ottemperanza anche agli obiettivi e ai requisiti nazionali e regionali per l’ottenimento dell’autorizzazione all’esercizio e dell’accreditamento, vengono organizzati corsi di formazione specifici rivolti a gruppi omogenei di dipendenti e ai singoli reparti tenuti da professionisti esperti (psicopedagogisti, psicologi del lavoro e anche religiosi). Negli ultimi due anni sono stati organizzati 37 corsi etico-valoriali che hanno coinvolto oltre 500 dipendenti. Tra questi il progetto dedicato al personale del front office, della portineria e del centralino in vista della riorganizzazione dei servizi dettata della realizzazione del nuovo ingresso unico. Da tempo, invece, sono stati pensati dei corsi specifici per i neo-assunti dove viene presentato l’ospedale anche dal punto di vista del carisma sul quale si fonda. Sto parlando del carisma di San Giovanni Calabria, secondo il quale ciascuno noi può concretizzare la Paternità di Dio attraverso il proprio agire, soprattutto con i fratelli più bisognosi.

█ Come avete impostato la vostra organizzazione per ga-

rantire la massima efficienza e igienicità dei locali, sia la loro sicurezza in termini di pulizia, igiene, sanificazione e sterilizzazione?

L’aspetto organizzativo, come quello strutturale, sono dipendenti dai requisiti standard a cui le strutture sanitarie devo conformarsi per ottenere dalla Regione l’autorizzazione all’esercizio e l’accreditamento. La prima è il provvedimento amministrativo che deve essere ottenuto per l’esercizio dell’attività sanitaria da parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato e prevede determinati requisiti di carattere strutturale. Infatti, questa autorizzazione è necessaria, per esempio, anche per un semplice ampliamento e viene sottoposta a verifica ogni 5 anni. L’accreditamento, invece, concerne l’autorizzazione ad operare per conto del Servizio Sanitario Nazionale e interessa soprattutto l’ambito organizzativo: sicurezza del paziente, igiene della struttura, percorsi diagnostico-terapeutici, procedure operative… L’accreditamento viene sottoposto a verifica dagli ispettori regionali ogni 3 anni. L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha ottenuto finora punteggi tra i più elevati del Veneto.

PER IL NUOVO INGRESSO: SOLUZIONI ARCHITETTONICHE D’ASSOLUTA AVANGUARDIA

L’architetto Fernando Cordioli, senior architect dello studio Zfin Engineering Srl, che ha curato la progettazione della modernissima struttura, ci parla del lavoro svolto per ridurre l’impatto ambientale dell’ospedale nel contesto urbanistico e abitativo.

█ Architetto, avete adottato soluzioni

architettoniche attente alla sostenibilità ambientale in fase di progettazione dell’opera?

La realizzazione dell’ingresso unico pedonale – e non più anche carraio come prima dei lavori – su viale Rizzardi, una delle vie portanti del paese di Negrar, ha diminuito fortemente il traffico su questa arteria. Traffico che si è spostato su via Ghedini dove però si trova la rampa dei parcheggi interrati. Sempre dal punto di vista ambientale, particolare attenzione è stata riservata al mantenimento, nonostante la notevole dimensione dell’intervento, delle piante e essenze arboree presenti, tranne per la vegetazione ammalata. In compensazione sono state messe a

dimora nuove piante. L’impianto di illuminazione è di tipo led. Sulla copertura è stato installato un impianto fotovoltaico da circa 82 kW che viene utilizzato per alimentare parti del nuovo edificio; nel caso di mancato utilizzo, l’energia viene inserita nella rete ospedaliera. L’impianto di riscaldamento è del tipo a ventilconvettori a 4 tubi più aria primaria per garantire sempre il ricambio e la filtrazione dell’aria, il controllo della temperatura e l’umidità relativa sia in inverno che d’estate. L’unità di trattamento è ubicata all’interno della centrale di ventilazione aria al primo secondo interrato; tale unità è del tipo a recupero di calore in modo da utilizzare l’aria ripresa dai locali per innalzare la temperatura di quella esterna aspirata nel periodo invernale e raffreddarla in quello estivo, garantendo così un sensibile risparmio energetico. Esternamente l’acqua meteorica proveniente dalla copertura è raccolta in apposita vasca di laminazione all’interno del parcheggio per essere riutilizzata per gli impianti di innaffiamento del giardino. La progettazione ha previsto prodotti ecocompatibili certificati dai competenti organi, quindi non inquinanti.

█ Quali sono le linee guida, i criteri architettonici e le

soluzioni più interessanti e innovative che sono state adottate nei vari interventi di edificazione, rigenerazione e ristrutturazione dell’Ospedale?

Esternamente il complesso è finito con muratura portante e vetrata continua intervallata da elementi verticali in simil legno per distinguerlo dagli altri edifici ospedalieri in quanto fulcro della nuova organizzazione. Il metodo costruttivo è costituito da struttura mista in pilastri e muratura portante in cemento armato. Le murature portanti dei piani interrati sono realizzate in calcestruzzo dello spessore di 45 cm. e isolate esternamente con guaine protettive contro l’umidità del terreno. I solai dello spessore di 45 cm. dei piani interrati sono finiti con una pavimentazione cementizia antisdrucciolo, mentre su quelli piani fuori terra è stato realizzato un pavimento galleggiante. La divisione dei locali interni è costituita parte in tramezze di laterizio e parte con pareti mobili. Per garantire una efficace ventilazione e ricambio d’aria ai vari piani è stato previsto un impianto di climatizzazione estiva ed invernale in grado di controllare tre ricambi d’aria esterna; nei servizi igienici sono previsti 20 volumi di espulsione e l’aria di rinnovo è prelevata sul tetto dell’edificio e inviata alle unità di trattamento e filtrazione. Senza dubbio sono particolarmente interessanti e innovative le soluzioni riguardanti la manutenzione, la sanificazione e la conservazione dell’immobile. Soprattutto per quanto riguarda la scelta dei materiali. Un esempio: il rivestimento esterno delle colonne portanti al piano terra sono in Corian.

█ Come si è svolto il lavoro di progettazione e quanto

è durato? Chi ha fatto parte dell’équipe?

L’équipe era formata dallo studio Zfin Engineering Srl (per la parte architettonica), dallo Studio Andrea Piccinini (parte strutturale), Studio Taddei (impiantistica) e Ingea Srl (Sicurezza). L’Ufficio Tecnico interno ha svolto la funzione di collegamento con la Direzione dell’Ospedale e di coordinamento con la parte ospedaliera in attività: Direzione Sanitaria, Ufficio Professioni Sanitarie, Ingegneria Clinica e i Sistemi informatici. Il lavoro di progettazione è durato circa 18 mesi.

IRCCS OSPEDALE SACRO CUORE DON CALABRIA IN PILLOLE

█ L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è una struttura della

Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da una sacerdote veronese, San Giovanni Calabria.

█ Ospedale classificato e presidio ospedaliero della Regione

Veneto. E’ un ospedale no profit: tutti gli utili di bilancio sono reinvestiti per lo sviluppo dell’ospedale stesso

█ Le ultime schede ospedaliere della Regione Veneto riconoscono all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di

Negrar 549 posti letto per acuti.

█ Il 24 maggio del 2018 è stato riconosciuto, con decreto del Ministero della Salute, Istituto di Ricovero e Cura a

Carattere Scientifico (IRCCS) per le malattie infettive e tropicali. Riconoscimento confermato – come da normativa – nel 2021

█ Quinto ospedale del Veneto per numero di ricoveri (30.661 nel 2021) a cui si aggiungono 1.548.894 prestazioni ambulatoriali e 22.318 gli interventi chirurgici.

█ Nel 2021 il 26,7% dei ricoveri è stato di pazienti provenienti da fuori regione, con punte di oltre il 65% per

Oculistica e Ginecologia

█ E’ un Cancer Care Center dove il paziente oncologico adulto trova tutte le specialità per la diagnosi e la cura dei tumori. █ Nel novembre del 2018 è stato riconosciuto dall’UNICEF

“Ospedale Amico dei Bambini”.

█ L’Ospedale si inserisce all’interno della “Cittadella della

Carità”, la quale è uno dei pochi esempi in Italia di

Comprehensive Health Center, dove sulla stessa area gravitano strutture sanitarie (l’ospedale) e socio-sanitarie (casa di riposo e Rsa). L’area sociale comprende invece 419 posti letto

█ Sono presenti tutte le specialità (ad eccezione della

Cardiochirurgia e della Neurochirurgia)

█ Centri di riferimento regionali: Oculistica (per le patologie gravi della retina), Ginecologia (Centro di riferimento per l’endometriosi), Malattie Tropicali; Ortopedia e

Traumatologia (riprotesizzazioni di ginocchio e anca);

Radioterapia Oncologica

█ Ricerca: sono 436 gli studi clinici in corso

█ Il progetto di ricerca “La valutazione partecipata del grado di umanizzazione delle strutture di ricovero” effettuata da Agenas in collaborazione con

Cittadinanza attiva, le Regioni e le Province autonome nel biennio 2017-2018 ha visto nel Veneto l’IRCCS

Ospedale Sacro Cuore Don Calabria al primo posto, su 40 strutture, con una media 9,2/10. La media nazionale è stata di 7.

█ Veduta dall’alto della Cittadella della Carità

L’applicazione del Disaster Management per aumentare la resilienza degli ospedali

Gli avvenimenti drammatici degli ultimi anni insegnano che gli ospedali, vista la centralità che questi hanno all’interno della nostra società, devo essere preparati ad affrontare eventi imprevisti e dagli effetti che possono essere devastanti. È per questo motivo che viene applicato il Disaster Management come approccio alla gestione strategica delle emergenze

Gli eventi che hanno contraddistinto gli ultimi anni sono un esempio delle numerose tipologie di disastro (naturale, biologico, tecnologico e civile) che possono colpire e sottoporre a stress gli ospedali. L’applicazione del disaster management (DM) rappresenta a oggi non solo un elemento indispensabile per una buona gestione di questi eventi e per il raggiungimento della resilienza ospedaliera, ma soprattutto un approccio che deve tendere a diventare una funzione aziendale con un ruolo chiave nella direzione strategica di queste strutture. Questo approccio, iniziato a diffondersi a partire dagli anni ’90, viene definito dall’UNDRR (United Nations Office for Disaster Risk Reduction) come “l’organizzazione, la pianificazione e l’applicazione di misure per prepararsi, rispondere e riprendersi a seguito di un disastro”. Nella sua accezione moderna, l’applicazione del DM si contraddistingue per il susseguirsi ciclico di quattro fasi: (1) mitigation – azioni o sforzi intrapresi per ridurre la probabilità e/o le conseguenze dei disastri, (2) preparedness – azioni intraprese prima del verificarsi di un disastro per assicurare una risposta e un ripristino adeguati, (3) response – azioni intraprese subito prima, durante o immediatamente dopo un disastro con l’obiettivo di salvare vite, ridurre l’impatto sulla salute e garantire la sicurezza pubblica, (4) recovery – azioni mirate al ripristino o al miglioramento dei mezzi di sussistenza e della salute, nonché delle attività, dei beni e dei sistemi.

FATTORI CRITICI, FACILITATORI DI IMPLEMENTAZIONE E FRAMEWORK AS-IS

Attraverso una revisione sistematica è stato possibile individuare le evidenze ad oggi disponibili a livello internazionale in materia dell’applicazione del DM al sistema ospedale per il rafforzamento della resilienza. Queste evidenze sono state integrate e declinate in quattro ipotesi di ricerca mirate a identificare i fattori critici (FC) strutturali, organizzativi e operativi e i facilitatori per l’implementazione del DM negli ospedali. FC strutturali. Tra questi rientrano le caratteristiche infrastrutturali e la posizione geografica degli ospedali. Questi due elementi devono essere presi in considerazione in ottica di mitigation e preparedness tenendo in conto, da un lato le caratteristiche dell’edificio che aumentano la resilienza infrastrutturale (l’accesso verticale, uscite e luci di emergenza, way-finding, i sistemi di allerta e di sorveglianza, il layout e le strutture di emergenza e la presenza di generatori di corrente) e dall’altro l’afflusso di pazienti in base alla vicinanza all’evento e la propensione dell’area ai disastri, ma anche possibili modalità di collaborazione con i punti di cura vicini. FC organizzativi. Tra questi rientrano le risorse umane, la governance e la leadership. È infatti emersa la necessità di valutare il numero di risorse a disposizione ed eventuali modalità di formazione di operatori di livelli inferiori e di volontari e l’importanza del benessere psicologico di questi. La governance e la leadership garantiscono una buona response e recovery grazie alla definizione chiara di ruoli e relazioni, la creazione di un clima coeso, la decentralizzazione del decision making per aumentare la flessibilità organizzativa e l’identificazione delle funzioni critiche. FC operativi. Tra i fattori critici operativi è emersa l’importanza nelle fasi di preparedness e response di un adeguato stockpiling, dell’aumento della capacità produttiva per gestire i picchi di domanda e della gestione delle aree produttive per rendere fluido il flusso di pazienti. È inoltre necessario prevedere sistemi informativi di backup e mezzi di comunicazione alternativi per un’efficace processazione e uno scambio efficiente delle informazioni. Gli spostamenti e il networking devono essere presi in considerazione per stabilire ex ante le modalità di evacuazione e di trasferimento dei pazienti e le modalità di coordinamento con gli altri punti di cura per condividere risorse, informazioni e per bilanciare il carico di pazienti. Facilitatori per l’implementazione. Tra questi rientrano la predisposizione di piani di emergenza continuamente aggiornati e frutto di esperienze passate e feedback; la formazione, processo che deve coinvolgere tutta l’organizzazione e gli stakeholders esterni attraverso strumenti come esercitazioni e simulazioni ed infine l’apprendimento, la vera sfida per un’efficace implementazione del DM. Insita nel trasformare l’apprendimento individuale in apprendimento organizzativo, servendosi anche di strumenti come le analisi di vulnerabilità e di esposizione ai rischi e reportistica frequente. I risultati di questa prima analisi hanno permesso di sviluppare un primo framework as-is (Fig. 1) che rappresenta l’insieme delle evidenze ad oggi disponibili in merito all’applicazione del DM per aumentare la resilienza degli ospedali. Come si evince dal modello, all’aumentare degli elementi implementati in ottica di DM aumenta non solo la resilienza ospedaliera, ma anche la healthcare resilience, la resilienza del sistema.

TEMI DA APPROFONDIRE E FRAMEWORK TO-BE

Un’analisi esplorativa ha permesso di identificare tre gaps a oggi presenti in letteratura che rappresentano temi e aspetti che dovrebbero essere approfonditi in futuro per definire in modo più completo gli elementi che influenzano e potenziano la resilienza ospedaliera. Innovazione dei FC e dei facilitatori di implementazione. Nonostante sia stato riscontrato un adeguato livello di innovazione e aggiornamento negli studi analizzati in merito agli elementi da implementare a livello ospedaliero, ad oggi esistono innovazioni strutturali, organizzative e operative applicate alla gestione ordinaria degli ospedali che non sono state analizzate ed estese, con le giuste accortezze, alla gestione straordinaria di eventi disastrosi. A livello esemplificativo vengono di seguito riportate: le strategie per un design resiliente delle infrastrutture ospedaliere identificate da Capolongo et al. (2020); l’utilizzo di sistemi di controllo strategico diagnostici e interattivi che possono potenziare i FC organizzativi; l’applicazione delle tecniche e degli strumenti dell’operations e lean management per potenziare FC operativi; l’utilizzo dei big data per potenziare i facilitatori di implementazione. Approccio ciclico al DM. È emersa una quasi totale mancanza di un approccio ciclico al DM nella declinazione degli elementi strutturali, organizzativi, operativi e dei facilitatori, in particolare con riferimento alle fasi di mitigation e di recovery. È indispensabile declinare le modalità di gestione dei disastri negli ospedali secondo le quattro fasi che compongono il ciclo al fine di generare un circolo virtuoso in grado di aumentare la resilienza a 360°. Commitment nazionale. È inoltre emersa l’assenza di una declinazione a livello locale delle normative e delle strategie nazionali e di una visione centralizzata della gestione dei disastri. È indispensabile definire politiche, misure e strumenti per il raggiungimento di un’omogeneizzazione del DM a livello nazionale con una successiva declinazione a livello di singole strutture. Alla luce di quanto riscontrato è stato possibile costruire un framework to-be (Fig. 2). Questo secondo modello è un’evoluzione del primo, resa possibile grazie all’inclusione dei tre gaps emersi dall’analisi esplorativa: l’output del modello resta invariato (il raggiungimento della resilienza ospedaliera e della healthcare resilience) e si è tenuto conto della necessità di innovare i FC e dei facilitatori, di declinare questi elementi secondo il DM Cycle e dell’intervento nazionale e internazionale per omogeneizzare l’applicazione di questo approccio.

ROADMAP PER LE DIREZIONI AZIENDALI

Si è ritenuto inoltre necessario formulare una roadmap composta da tre step che permettano alle direzioni aziendali di raggiungere un’implementazione diffusa del modello as-is e di gettare solide basi per evolvere verso un modello più completo come il framework to-be. (1) Diffondere la conoscenza – raccogliere, analizzare e diffondere dati e informazioni, esperienze passate e lezioni apprese, promuovere l’awareness, diffondere e applicare metodologie e modelli per la valutazione dei rischi e attivare un dialogo con la comunità scientifica per un decision making evidence-based. (2) Allinearsi a normative, politiche, programmi, piani e strategie nazionali – per promuovere un’implementazione omogenea delle misure di DM nazionali a livello locale, rafforzare le modalità di coordinamento e di cooperazione, gestire la mobilità delle vittime, definire ruoli e responsabilità in modo appropriato, allinearsi agli standard nazionali e rispettare le normative vigenti. (3) Canalizzare gli investimenti – per favorire la ricerca, l’innovazione e l’implementazione di misure per la gestione dei disastri e per favorire la declinazione delle attività ospedaliere nelle quattro fasi del DM Cycle.

Bibliografia

Coppola, D. P. (2021). Introduction to International Disaster Management. Butterworth-Heinemann. UNDRR United Nations Office for Disaster Risk Reduction. (2022). UNDRR.

Gli autori

CLARA DEL PRETE

MASS Università degli Studi di Milano

FEDERICO LEGA

CRC HEAD Università degli Studi di Milano

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Nel volume vengono affrontati tutti i diversi aspetti degli interventi in facciata, con indicazioni molto dettagliate dall’analisi dei degradi alla progettazione dei lavori, dalle check list per il posatore fino all’esecuzione delle opere – con tutte le illustrazioni per la cantierizzazione, comprese diverse illustrazioni che chiariscono le modalità operative delle attività da eseguire. Un Manuale dedicato a Progettisti, Tecnici e Imprese che operano nell’ambito del recupero e restauro di facciate degradate, nella riqualificazione energetica degli edifici civili e negli interventi di adeguamento e miglioramento sismico.

L’introduzione della telemedicina per pazienti affetti da sclerosi multipla

Oltre che per le televisite, che hanno rappresentato la priorità nel periodo di emergenza, la telemedicina può dare un contributo importante per distribuire i servizi e facilitare la collaborazione sul territorio nell’intero percorso di cura del paziente

LA TELEMEDICINA: PARTE INTEGRANTE E INTEGRATA DEL PERCORSO DI CURA

È ormai un fatto acquisito come la pandemia Covid abbia definitivamente reso la telemedicina una modalità accettata e diffusa per l’erogazione di servizi sanitari, come complemento delle attività in presenza. La “Survey sulle soluzioni di telemedicina implementate dalle aziende sanitarie” (1), condotta alla fine del 2021 dall’Osservatorio sulla Telemedicina Operativa (2) dell’ALTEMS (3), ha fotografato 278 scenari implementati da 128 aziende su tutto il territorio nazionale.

1 https://www.dati-sanita.it/wp/telemedicina/survey-sulle-soluzioni-di-telemedicinaimplementate-dalle-aziende-un-approccio-multidimensionale-per-lanalisi-e-lavalutazione-delle-soluzioni-di-telemedicina/ 2 https://www.dati-sanita.it/wp/telemedicina/osservatorio-telemedicina/ 3 https://altems.unicatt.it/altems-laboratori-e-osservatori-i-sistemi-informativi-sanitariper-il-governo-dell-organizzazione Considerata l’esigenza di estrema rapidità nell’implementazione, le soluzioni realizzate si sono basate su strumenti e tecnologie molto differenti (a partire dal semplice contatto telefonico) e sono state in gran parte frammentate e circoscritte al supporto a singole attività di cura e assistenza, indipendentemente dal contesto complessivo del percorso di cura del paziente.

L’obiettivo principale, adesso, deve quindi essere quello di “mettere a sistema” quanto realizzato sotto la spinta dell’emergenza, per integrare le soluzioni realizzate all’interno dei processi clinicoassistenziali e poter capitalizzare sui risultati raggiunti utilizzandoli come base per i successivi passi di evoluzione digitale del sistema sanitario, nell’ottica della continuità del percorso di cura del paziente, sia all’interno dei singoli centri che - tanto più - nella collaborazione ospedale-territorio che rappresenta uno dei principali obiettivi di evoluzione del SSN individuati nel PNRR.

Le piattaforme nazionali e regionali previste entro i prossimi tre anni nell’ambito del PNRR (4) rappresenteranno, quando operative, l’infrastruttura di riferimento comune (“l’autostrada”) con la quale dovranno integrarsi i singoli contesti. Queste piattaforme implementeranno necessariamente modelli di riferimento generici per le varie attività e quindi, da sole, non potranno soddisfare le esigenze specifiche dei diversi contesti e delle diverse patologie (“one size does not fit all”), in modo da consentire quanto evidenziato anche dal DM 77 del 22.05.2022: “le prestazioni di telemedicina non sostituiscono completamente le prestazioni assistenziali tradizionali, ma le integrano per migliorarne efficacia, efficienza, appropriatezza e sostenibilità”. del paziente in modo da assicurare la completezza e la sicurezza della decisione medica (fig. 1).

Gli scenari implementati devono quindi tener conto dei requisiti delle specifiche patologie e dei contesti clinico-organizzativi esistenti nonché essere integrati con i sistemi informatici già in uso (prenotazione, lista di lavoro, cartella clinica, prescrizione, refertazione, rendicontazione) sia a livello aziendale che regionale. Solo così si possono evitare frammentazioni nei dati e nei processi (si pensi alle cartelle cliniche specialistiche, diverse per ogni patologia e per ogni Centro), assicurando la coerenza del percorso clinicoorganizzativo e l’uniformità nella cura del paziente indipendentemente dal setting: in presenza o in telemedicina.

Queste esigenze sono a più forte ragione da tener presente nel momento in cui non ci si limita più alle attività di una singola patologia e di una singola struttura, ma si punta a supportare con la telemedicina la collaborazione territoriale fra diversi centri, organizzazioni e professionisti per assicurare al paziente un piano assistenziale individuale (PAI), personalizzato in funzione delle sue specifiche esigenze, anche in caso di co-morbidità.

In questi scenari, le indicazioni dei PDTA (nazionali e regionali) definiscono le necessarie linee guida di natura clinica circa le prestazioni medico-assistenziali da assicurare al paziente (“cosa va/ andrebbe fatto”), ma non possono arrivare a specificare le modalità operative ed attuative (“come va fatto”) nei singoli contesti, anche in termini di centri, ruoli e responsabilità dei diversi attori.

Per implementare un contesto organizzativo e tecnologico in grado di rispondere alle esigenze, un progetto di introduzione della telemedicina in un determinato percorso di cura si deve quindi necessariamente “partire dal basso”, con l’analisi del percorso seguito dal paziente nello specifico contesto territoriale e delle sue interazioni con i vari interlocutori, individuando quelle attività e quei momenti in cui si può far uso di strumenti di comunicazione remota, sia in sostituzione di contatti in presenza con il paziente stesso, sia come strumento aggiuntivo

In altre parole, la telemedicina non deve ridursi ad un prodotto tecnologico e/o ad una attività autonoma, alternativa e scollegata rispetto alle attività in presenza, ma deve costituire una risorsa aggiuntiva, complementare alle attività tradizionali, in grado di fornire un valore aggiunto al paziente ed al sistema e praticabile qualora le condizioni del paziente lo richiedano e lo consentano. Per esempio, all’interno di un centro, a seconda delle esigenze e a fronte dello stato di salute del paziente (che possono variare nel corso del tempo), deve essere sempre possibile erogare visite in presenza e/o in telemedicina, assicurando la continuità e la coerenza del percorso di cura e l’integrità del quadro clinico

4 https://www.agenas.gov.it/comunicazione/primo-piano/2061-agenas-pubblical%E2%80%99avviso-per-la-piattaforma-nazionale-di-telemedicina

per facilitare la collaborazione e la consulenza fra i professionisti sanitari (vedi anche l’articolo “Telemedicina nel percorso TerritorioOspedale-Territorio per la cura di pazienti cronici“ sull’esperienza del Centro di Medicina Predittiva del Policlinico Umberto I di Roma, sul numero di aprile 2022 di Progettare per la Sanita).

IL PERCORSO DI CURA DEI PAZIENTI AFFETTI DA SCLEROSI MULTIPLA

Partendo da queste considerazioni, l’ALTEMS - per tramite dell’Osservatorio sulla Telemedicina Operativa (5) e del Patient Advocacy Lab (6) -, l’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini e la ASL Roma 3, in collaborazione con la Associazione Italiana per la Sclerosi Multipla (AISM) e con il supporto non condizionato di Roche SpA, hanno avviato un progetto “sul campo” finalizzato all’analisi del percorso di cura e assistenza dei pazienti affetti da sclerosi multipla con l’individuazione e la sperimentazione delle possibili soluzioni di telemedicina in grado di migliorare l’efficacia clinica, la collaborazione sul territorio e l’esperienza dei pazienti, anche delocalizzando -ove possibile- l’erogazione delle prestazioni dall’ospedale a centri più vicini al paziente, fino al suo domicilio (Fig. 2). La metodologia, già adottata con successo nell’iniziativa “Telemedicina Subito!” (7) condotta fin dall’inizio della pandemia dall’Osser-

5 https://altems.unicatt.it/altems-i-sistemi-informativi-sanitari-per-il-governo-dell-organizzazione-osservatorio-sulla-telemedicina 6 https://altems.unicatt.it/altems-laboratori-e-osservatori-patient-advocacy-lab 7 https://www.dati-sanita.it/wp/telemedicina/telemedicina-subito/# , vedi anche l’articolo sul numero di Ottobre 2020 su Progettare per la Sanità vatorio sulla Telemedicina Operativa dell’ALTEMS in collaborazione con circa 40 aziende sanitarie, può essere sintetizzata in due fasi: a) l’analisi dei processi clinico-organizzativi attualmente in essere presso i centri sanitari (Ospedale di riferimento, strutture territoriali e MMG) nelle interazioni con i pazienti affetti da sclerosi multipla durante il loro percorso di cura e l’individuazione di quelle attività che possono essere effettuate mediante un collegamento in telemedicina senza dover ricorrere a un contatto in presenza; b) l’analisi delle interazioni - attualmente non formalizzate e gestite spesso su base volontaria, episodica e con strumenti informali - fra i vari attori sul territorio e l’individuazione delle possibili modalità di strutturazione con soluzioni organizzative e tecniche basate sulla telemedicina, in grado di ovviare a possibili criticità e assicurare, in definitiva, una migliore qualità ed efficacia all’intero processo di cura riducendo anche i disagi per il paziente.

Vista la molteplicità delle strutture interessate e la frammentazione della rete territoriale, va evidenziato come per questa analisi sia fondamentale il contributo dei Medici di Medicina Generale e dei pazienti che, in definitiva, sono gli unici a conoscere realmente l’interezza ed il dettaglio delle interazioni, potendone realmente evidenziare anche le criticità, inefficienze e difficoltà nell’accesso ai vari servizi. Grazie all’AISM, al progetto partecipano quindi attivamente anche alcuni pazienti con diverso grado di gravità della patologia e di disabilità, insieme ai loro care-giver e MMG, Questo, tanto nella fase di individuazione dello scenario, quanto nella identificazione e sperimentazione delle soluzioni di telemedicina più agevoli e facili da usare, a cominciare dall’interazione fra il paziente ed il suo MMG.

IL RUOLO CENTRALE DEI PAZIENTI PER UNA TELEMEDICINA MIRATA

La partecipazione dei cittadini, sia come singoli pazienti e caregiver sia come associazioni, è indispensabile per una effettiva ed efficace messa in opera della telemedicina nei suoi diversi campi di applicazione. Questa affermazione non si fonda solo sulla enunciazione di un diritto, quale quello dei pazienti ad essere informati, coinvolti e ascoltati in ogni percorso di cura, ma su uno stato di necessità: la passività del cittadino come soggetto che “usufruisce” della telemedicina vanifica il successo stesso dell’operazione. Infatti, oltre alla partecipazione degli operatori sanitari e delle dirigenze aziendali e alla adeguatezza dei sistemi informatici, uno degli attori fondamentali per la messa in opera reale di una innovazione di tale portata sono i cosiddetti destinatari del servizio, vale a dire i pazienti. Finora non si è molto tenuto conto di questo aspetto, tanto che dalla survey ALTEMS condotta nel 2021 sulle soluzioni implementate dalle aziende (vedi articolo sul numero di maggio 2022 di Progettare per la Sanità) emerge una scarsa informazione dei cittadini e una certa indifferenza nei confronti di queste metodiche, mentre servirebbe una adesione “appassionata” perché l’operazione possa funzionare e dare i suoi frutti. Poi si scopre anche che solo il 16% delle aziende partecipanti alla survey ha coinvolto le associazioni dei pazienti senza quindi ascoltare i destinatari delle attività previste, che -ad esempio- usano principalmente lo smartphone rispetto al PC, in funzione del quale - per semplicità - è stato progettato il sistema. Si tratta di segnali che dovrebbero essere tenuti in considerazione, perché (come d’altronde in qualsiasi progetto informatico) senza un ascolto serio delle esigenze degli utenti il sistema rischia di implodere in una autoreferenzialità foriera solo di insuccessi e rinunce. Eppure a sentire le associazioni dei pazienti, che hanno sperimentato sulla pelle dei propri iscritti che cosa significa non poter comunicare con il medico o l’ospedale per essere assistiti, curari, rassicurati, informati, la telemedicina viene considerata una delle priorità per una sanità del futuro, che faciliti l’assistenza domiciliare, l’eliminazione di file ed inutili viaggi, la semplificazione delle procedure, l’incremento dei servizi di prossimità e, perché no, la qualità e la continuità delle cure, grazie ai collegamenti per esempio tra specialisti ospedalieri e medici sul territorio per una vera presa in carico della persona. Certo, i pazienti pongono anche alcune condizioni e richiedono un continuo adattamento dei metodi messi in campo. Per esempio, vogliono una televisita che sia un televisita, con un colloquio serio con il professionista, la possibilità di vedersi anche se tramite video, la necessità di non cambiare continuamente interlocutore, evitando di spersonalizzare completamente il rapporto, l’esigenza di semplificare tutti i passaggi dalla prenotazione al pagamento eventuale del ticket, dalla realizzazione degli accertamenti al ritiro dei farmaci (perché non la home delivery per i pazienti allettati!?).

Un altro elemento forte che viene dall’ascolto dei pazienti, soprattutto se si intende utilizzare la telemedicina per facilitare i rapporti tra ospedale e territorio e avvicinare i servizi alle reali esigenze degli assistiti, è la personalizzazione delle cure e dei percorsi.

Si tratta di una modalità di approccio che ci viene soprattutto dal mondo dell’innovazione terapeutica, dove sempre più spesso si parla di medicina personalizzata e di medicina di precisione: ogni paziente è diverso, non solo per il suo DNA, ma perché reagisce diversamente, può avere concause differenti che influiscono sul processo di cura, e così via. Lo sanno bene i medici che ormai, soprattutto di fronte a gravi patologie, si misurano con il tema della diversità.

Per la telemedicina assistiamo allo stesso fenomeno: i pazienti cronici, principali possibili utenti di questi strumenti, non sono tutti uguali. C’è chi ha bisogno di fare periodicamente una visita a distanza evitando inutili viaggi, senza aver bisogno di altro perché stabilizzato e/o non grave, c’è che invece ha una pluripatologia o ho una patologia che tocca numerosi ambiti della sua salute (la cura della vista, la dieta, i problemi urologici, per fare un esempio) per cui richiede un continuo collegamento di servizi e professionisti diversi per garantire di essere preso in cura in modo adeguato mediante una vera collaborazione tra centro clinico e i diversi professionisti, c’è chi non è nella condizione di comunicare direttamente e quindi necessità di una assistenza molto più intensa e di una forte collaborazione tra caregiver, famiglia e servizi sanitari, c’è chi viene da un altro paese con tutti i problemi di comunicazione che questo comporta. La casistica potrebbe continuare, ma è utile perché indica un metodo: fatta salva e garantita la messa in rete di servizi e professionisti e data per scontata una strumentazione adeguata, la telemedicina va adattata alle esigenze di quel paziente e di quel contesto specifico, considerando che solo così il cittadino può capire la reale utilità di un tale approccio innovativo e collaborare a renderlo una vera alternativa, che gli renda la vita e la patologia più sopportabile e facile da gestire.

In figura 3 è schematizzato lo scenario relativo all’introduzione delle televisite nell’ambito dell’assistenza ospedaliera fornita dall’AO San Camillo-Forlanini. Con le dovute eccezioni e particolarità clinico-organizzative, da tenere comunque presente nella fase implementativa, lo schema è analogo a quanto individuato anche per altre patologie e contesti (vedi i manuali di www.dati-sanita.it, progettati nell’iniziativa Telemedicina Subito). I benefici della televisita (di controllo) sono essenzialmente legati alla non necessità per il di spostamenti in tutti quei casi (tendenzialmente tre all’anno) in cui l’incontro con lo specialista ha essenzialmente lo scopo di verificare l’andamento generale della patologia ed i risultati di esami ed accertamenti compiuti nel periodo, senza necessità di un esame obiettivo approfondito. Ben più articolato e complesso è lo scenario territoriale relativo ai pazienti con disabilità, per i quali è necessario delocalizzare il più possibile le prestazioni, dall’ospedale al domicilio del paziente, rendendo effettivamente “la casa come primo luogo di cura”. In figura 4 è schematizzato lo scenario attuale, che può evolversi e migliorare grazie all’introduzione di soluzioni di telemedicina come rappresentato in figura 5. Il MMG è il punto di riferimento principale: ha sia la responsabilità clinica di seguire e supportare il paziente nel suo decorso giornaliero, sia quella organizzativa di interagire con la ASL nella richiesta di servizi aggiuntivi, che possono comprendere sia esami diagnostici (per i quali la struttura territoriale assicura il prelievo a domicilio), sia visite specialistiche domiciliari, relative ad altre patologie di cui soffre il paziente. Alcune criticità sono di natura prettamente operativa, facilmente risolvibili in un contesto di comunicazione strutturato: ad esempio la necessità del care-giver di recarsi personalmente a ritirare i referti cartacei relativi al prelievo effettuato a domicilio, lo scambio di documentazione (prescrizioni, piani terapeutici, referti) fra il MMG ed il paziente che sono attualmente effettuati con canali informali e poco sicuri (SMS, WhatsApp, mail), la comunicazione allo specialista ospedaliero dei risultati degli esami e/o di situazioni particolari senza attendere la visita di controllo. Altre criticità sono invece più legate agli aspetti clinici della sclerosi multipla e come tali possibile causa di una minore efficacia delle prestazioni. Sia da parte dei professionisti sanitari che da parte dei pazienti è stato infatti evidenziato come tanto il MMG che lo specialista di altra patologia che effettua una visita domiciliare non sempre abbiano specializzazioni e/o competenze approfondite sulla sclerosi multipla e su come questa possa interagire e/o essere influenzata da altre patologie del paziente (oculistiche, ortopediche, diabetologiche ecc.). Questo limita inevitabilmente il ricorso a queste forme di assistenza, facendo sì che il paziente - anche se disabile - si rivolga il più possibile al proprio centro ospedaliero di riferimento (o a strutture private, considerati i tempi di attesa spesso incompatibili con le esigenze di salute), anche a costo di spostamenti e ulteriori disagi. È quindi necessario che siano strutturate forme di collaborazione e consulenza fra lo specialista ospedaliero che segue il paziente e tanto il MMG di riferimento, quanto lo specialista di altra patologia che effettua la visita domiciliare. Un consulto sincrono, senza la

presenza del paziente, è senz’altro utile, ma non può essere considerata la soluzione per un modello di delocalizzazione dei servizi tale da rendere la “casa come primo luogo di cura”, come previsto dal PNRR. Per venire incontro a questa esigenza, il modello in fase di definizione nel corso del progetto prevede la possibilità che il neurologo ospedaliero partecipi in remoto alla visita effettuata al domicilio del paziente dal MMG o dallo specialista, interagendo con i colleghi per raccogliere informazioni (certamente più complete e dettagliate di quanto possibile in una sola visita di controllo trimestrale di 20 minuti) e dare suggerimenti sulle scelte più appropriate. Si implementa quindi una “televisita multidisciplinare” come prevista ed auspicata già dalle “Indicazioni Nazionali” del 2020.

STRATEGIA PER LA VALIDAZIONE E LA SPERIMENTAZIONE DEL MODELLO

Rispetto allo scenario attuale, l’introduzione di questo modello di collaborazione fra l'ospedale e il territorio non è un processo né immediato né banale: █ dal punto di vista organizzativo e culturale, per il coinvolgimento di strutture autonome e con missioni e priorità non sempre coincidenti; █ sotto il profilo della gestione dei dati, che devono essere condivisi fra diversi titolari; █ per le soluzioni tecnologiche, che -anche con i futuri sistemi regionali e nazionali- richiederanno un certo tempo per andare a regime adattarsi alle singole esigenze peculiari ed integrarsi con le cartelle cliniche attuali, eterogenee già all’interno della stessa azienda.

Nella fase di messa a punto, validazione e sperimentazione fondamentali sono quindi la gradualità di introduzione nei contesti già operativi, la formazione e il cambiamento culturale sia negli operatori sanitari che nei pazienti (che assumono un ruolo diverso, molto più proattivo) e la possibilità di introdurre rapidamente in corso d’opera miglioramenti ed ottimizzazioni individuabili solo dall’esperienza sul campo, sia dal punto di vista clinico-organizzativo che relativamente ai benefici per i pazienti. Dal punto di vista tecnologico, pertanto, non è consigliabile per questa fase l’utilizzo di un sistema generico preconfezionato, che imporrebbe attività predefinite, oltre che tempi ed investimenti per l’installazione, la gestione e la formazione degli utenti. Senza poi considerare che la scelta dovrebbe essere comune ad ambedue le aziende (la ASL e l’AO), che dovrebbero sopportarne anche individualmente i costi. A maggior ragione nel momento attuale, in cui sono in corso iniziative finalizzate alla realizzazione di piattaforme nazionali e regionali di telemedicina, con cui i sistemi locali dovranno integrarsi.

Per la sperimentazione e messa a punto dello scenario di telemedicina, la strategia migliore può invece essere individuata nell’utilizzo -per tutte le attività interne alle singole strutture- degli stessi strumenti informatici (liste di lavoro, cartelle cliniche, sistemi di refertazione ecc.) già in uso, adottando, per le interazioni con i pazienti e fra gli operatori sanitari un sistema di comunicazione adeguato, che sia in grado - con le necessarie garanzie di sicurezza - di supportare in modo integrato le interazioni, evitando l’uso di strumenti frammentati ed insicuri (es. mail, sms, WhatsApp) e senza creare condizionamenti e/o richiedere interventi sui sistemi informatici attualmente in uso. Il primo requisito, imprescindibile, è l’unicità del sistema per l'interazione, che fornisca all’utente (paziente o professionista sanitario) un unico ambiente integrato tramite il quale eseguire tutte le attività necessarie, senza richiedere di dover “saltare” fra applicazioni diverse per ricevere o trasmettere comunicazioni, effettuare videochiamate,

ricercare documenti, accedere a link ecc. Uno scenario del genere, già poco agevole utilizzando un PC con molte finestre attive contemporaneamente, diventa del tutto ingestibile se si usa uno smartphone, per chiunque e a maggior ragione per pazienti di una certa età e senza particolare familiarità con lo strumento, nella maggior parte dei casi non certo di ultima generazione. Fatta questa questa premessa, possono essere individuati pochi requisiti essenziali: █ possibilità di interazione audio / video / e scambio di documenti (chat) in tempo reale durante il contatto; █ possibilità di scambio asincrono di documenti anche in modalità asincrona, prima e dopo il contatto; █ possibilità di interazione simultanea e di partecipazione per più di due interlocutori; █ immediatezza e facilità d’uso soprattutto per i pazienti; █ possibilità di operare, secondo una interfaccia ottimizzata, anche su smartphone, che costituisce lo strumento più diffuso ed adottato dai pazienti.

Un tale sistema di comunicazione può essere facilmente individuato in uno dei tanti già disponibili (Skype, Zoom, Teams, Gmeet), che forniscono le necessarie garanzie di sicurezza, che sono immediatamente disponibili (anche gratuitamente) e che sono già in gran parte conosciuti da operatori sanitari e - soprattutto - dai pazienti, riducendo così le difficoltà della formazione iniziale. Con questa attività di sperimentazione sul campo è possibile individuare le singole specificità e requisiti e selezionare di conseguenza le soluzioni tecnologiche più adatte nei singoli centri, nel rispetto delle indicazioni nazionali e regionali. Va infine sottolineato come questo approccio, affiancando ai sistemi già in uso uno strumento tecnologico finalizzato alla sola interazione con il paziente e senza archiviazione di dati in contesti separati, non solo assicuri la necessaria immediatezza e flessibilità nella messa a punto del nuovo modello (permettendo quindi di erogare rapidamente le prestazioni ai pazienti), ma consentirà anche la semplice sostituzione del sistema di comunicazione con le piattaforme e sistemi regionali e/o aziendali man mano che queste saranno disponibili, capitalizzando senza costi e/o impegni aggiuntivi sull’esperienza acquisita e sull’organizzazione implementata.

Gli autori FABRIZIO MASSIMO FERRARA

Docente di Informatica e sistemi informativi nel Corso di Laurea in Economia e Gestione delle Aziende e dei Servizi Sanitari e Coordinatore del “Laboratorio sui sistemi informativi sanitari” presso l’ALTEMS – Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari, Università Cattolica del Sacro Cuore

TERESA PETRANGOLINI

Coordinatrice del “Patient Advocacy Lab” presso l’ALTEMS – Alta Scuola di Economia Management dei Sistemi Sanitari, Università Cattolica del Sacro Cuore

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I pilastri della futura

sanità digitale

Lo sviluppo della sanità digitale è uno dei grandi obiettivi del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e prevede due grandi capitoli: il nuovo fascicolo sanitario e la diffusione di un sistema organico e omogeneo di telemedicina su tutto il territorio nazionale. Per approfondire questi temi, abbiamo intervistato Lorenzo Gubian, direttore generale di ARIA, l’azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti della Regione

█ Ingegner Gubian, ARIA è un po’ il motore tecnologico

della sanità lombarda su cui c’è grande attenzione a livello nazionale. Negli scorsi mesi è stato approvato e presentato un importante piano di sanità digitale, incluso nel PNRR, che prevede anche ingenti investimenti. A suo avviso questo piano come contribuirà a cambiare la vita dei cittadini?

La domanda è quanto mai attuale, vista anche l’entità degli investimenti che sono messi in gioco sul fascicolo sanitario elettronico e sulla telemedicina, che sono solo due degli obiettivi della mission 6 del PNRR. In particolare, sul fascicolo tutte le Regioni avranno un finanziamento di circa 600 milioni (300 sul potenziamento delle infrastrutture digitali e addirittura 300 sulla formazione degli operatori). Per la telemedicina - elemento che si deve integrare anche con il resto delle architetture già esistenti – è previsto un finanziamento di un miliardo di euro, di cui 200 milioni circa destinati alla piattaforma nazionale e 800 che saranno dati - con meccanismi che si sta finendo di mettere a punto - alle Regioni per la creazione di servizi di cura della telemedicina. Questo cambierà radicalmente la vita dei cittadini perché da un lato spingerà tutto il sistema sanitario nazionale, comprese le strutture private, a popolare il fascicolo dei documenti. Va ricordato che si parte da situazioni regionali profonda-

mente diverse: alcune Regioni hanno popolato molto il fascicolo e altre meno. Del resto, durante la fase pandemica la sanità digitale ha avuto una spinta fortissima per veicolare in remoto le prestazioni e la consegna dei referti. L’aspetto più importante è che la vita dei cittadini – grazie alle operazioni di sanità digitale che si stanno facendo grazie al PNRR - sarà migliorata perché l’attuale finanziamento potenzierà un aspetto che in realtà non era riuscito, o era rimasto solo parzialmente compiuto, nei precedenti progetti di sanità digitale, ovvero il coinvolgimento soprattutto degli operatori sanitari (medici e infermieri). Infatti, mentre i servizi digitali puri (come la consegna dei referti) sono oggi molto diffusi, la consultazione della documentazione digitale da parte degli operatori sanitari - per esempio - non ha invece raggiunto lo stesso livello, nel senso che paradossalmente la sanità digitale è molto usata oggi dai cittadini – con gli strumenti trasversali come il fascicolo - ma è poco utilizzata dagli operatori sanitari. Del miglioramento di questo aspetto tutti ne trarranno un beneficio diretto e indiretto perché la distanza ‘virtuale’ tra cittadini e operatori in questo modo dovrebbe diminuire. È questa una delle grosse operazioni che stanno dietro il finanziamento del PNRR: tutte e due le azioni (fascicolo sanitario elettronico da un lato e telemedicina dall’altro) mirano alla riduzione di questa distanza. Entrambe le azioni con le risorse necessarie per la prima volta non vedranno solo il cittadino o solo l’operatore come utenti del sistema e quindi fruitori dei servizi ma entrambi contemporaneamente attori: questa è la grossa novità nell’approccio ai progetti di sanità digitale finanziati dal PNRR.

█ Nella visione che è stata tracciata dal PNRR relativo a

piano di sanità digitale, il fascicolo sanitario elettronico dovrebbe di fatto alimentare un ecosistema dei dati sanitari che dovrebbero essere utili ai fini di governo della sanità e di ricerca. Lei ha una grande esperienza nella sanità lombarda così come l’ha avuta nella sanità veneto che ha sempre saputo “tesaurizzare” molto bene i dati raccolti. Come ritiene che questo sviluppo del fascicolo sanitario elettronico, con questa ricchezza informativa di dati sanitari, potrà aiutare a far evolvere le cure?

Va detto che il limite dell’attuale architettura 1.0 del fascicolo sanitario elettronico – intendendo con ciò quanto è stato fatto fino a ieri e che si sta facendo anche oggi ma che dovrà essere superato dalla nuova architettura – consiste nel fatto che è orientata al documento clinico (per esempio il reperto di laboratorio, la lettera di dimissione, il referto di radiologia, il verbale di pronto soccorso e così via) che costituisce l’odierno ‘dato atomico’. Con la nuova architettura del fascicolo, l’elemento atomico non è più il documento ma il dato del singolo esito. In sostanza oggi il documento “emocromo” entra con tutti i suoi parametri nel fascicolo, domani verrà “spacchettato” nei singoli esiti (che spesso sono numeri) alimentando registrazioni specifiche del nuovo fascicolo sanitario elettronico. Questi dati confluiscono poi in un sistema che è un grande Data Lake (o Data Warehouse) che è l’ecosistema dei dati sanitari. Questo è il nuovo progetto in cui tutto avviene in tempo reale (tramite la realizzazione di un’architettura in grado di gestire questa complessità). È chiaro che a questo punto interrogare il sistema sia sul singolo paziente (per es. mettere in grafico l’emoglobina glicata dell’ultimo anno) sia in termini di sanità pubblica (verificare la glicemia media di una determinata popolazione target con specifici criteri quali sesso, età, patologia) diventa un’operazione più semplice e immediata che, dal punto di vista della programmazione ma anche dell’analisi della ricerca, dà risposte con un dettaglio clinico/assistenziale molto più elevato rispetto alla precedente architettura orientata al documento, con tempi di risposta molto più rapidi. Con l’architettura tradizionale si sarebbe dovuto aprire a posteriori con difficoltà tutti quei documenti, recuperare i dati di dettaglio e interesse per una particolare domanda o una specifica ricerca di popolazione, raccoglierli insieme e poi iniziare le fasi di elaborazione di analisi. Questo metodo nei fatti si è dimostrato molto oneroso da gestire, anche in termini di impegno di progetto. Certamente nella prima fase il fascicolo sanitario elettronico 1.0 ha avuto il merito di poter costruire servizi ai cittadini - come il recupero del referto online o la possibilità di far vedere il referto al proprio medico di medicina generale - però non offre le stesse possibilità di analisi che darà la nuova architettura e che promette, una volta implementata, di dare agevolmente risposte in tempi molto più rapidi, portando il fascicolo sanitario a diventare uno strumento davvero poderoso in termini di analisi specifiche.

█ L’obiettivo della Telemedicina è riuscire a seguire da remoto più casi

con lo stesso assetto organizzativo in termini di risorse umane impegnate e, quindi, rendere un servizio a più cittadini che sono ovviamente curabili a domicilio ma che necessitano di essere seguiti e non abbandonati a loro stessi

█ Per quanto attiene la telemedicina in Italia, Regione Lombardia ha un

ruolo pilota anche per via dell’esperienza accumulata sia a livello di diverse aziende sanitarie sia a livello centrale

█ L’altro grande capitolo nel piano della sanità digitale è

quello della telemedicina, che è stata molto preziosa durante la pandemia per ridurre gli accessi non necessari alle strutture ospedaliere, facendo registrare anche il gradimento da parte del cittadino. Quali sono le sue aspettative sullo sviluppo della telemedicina, per il quale il piano per la sanità digitale individua un ruolo pilota per Regione

Lombardia?

Regione Lombardia ha questo ruolo pilota anche per via dell’esperienza accumulata sia a livello di diverse aziende sanitarie sia a livello centrale. Personalmente sono stato inoltre coordinatore per la stesura delle linee guida nazionali legate all’uso dei fondi del PNRR nel nuovo progetto di telemedicina sotto il cappello di AGENAS. Il gruppo era composto da medici e tecnici IT provenienti da tutta Italia. Questo documento è importante innanzitutto per motivi di carattere organizzativo: oggi l’obiettivo del livello nazionale è quello di seguire più pazienti focalizzandosi su cinque patologie specifiche (scompenso cardiaco, BPCO, diabete, patologie oncologiche e neurologiche) nel setting dell’assistenza domiciliare. Come effetti ‘secondari’ potrebbero derivarne altri vantaggi ma l’azione principale riguarda questo setting assistenziale su tali patologie. L’obiettivo è riuscire a seguire da remoto più casi con lo stesso assetto organizzativo in termini di risorse umane impegnate, quindi - grazie alla realizzazione in remoto di diverse prestazioni dell’assistenza domiciliare - rendere un servizio a più cittadini che sono ovviamente curabili a domicilio ma che necessitano di essere seguiti e non abbandonati a loro stessi. Questo è l’obiettivo che si pone il servizio di telemedicina: per attuarlo, il livello nazionale ha deciso - usando i fondi del PNRR – di tentare di rendere omogenei quattro servizi: telemonitoraggio, teleconsulto, televisita e teleassistenza. Questo è un obiettivo principalmente di salute, non riguarda l’analisi dati ma ovviamente richiede il governo, per cui è stato diviso in due: una piattaforma nazionale che deve governare come si stanno muovendo i numeri e delle piattaforme regionali che devono erogare i veri e propri servizi ai quali si è accennato prima (il telemonitoraggio, il teleconsulto e così via). La piattaforma nazionale deve rispondere a domande del tipo: “quanti utenti ha arruolato il telemonitoraggio questa settimana in questa Regione/in questa azienda sanitaria/in tutta Italia”, mentre le piattaforme regionali devono davvero erogare quei servizi di telemedicina; in particolare, è a livello aziendale dove avviene la cura mentre la Regione ha l’obiettivo di far sì che tutte le proprie aziende sanitarie abbiano implementato questi servizi. È dunque un gioco di squadra tra livello nazionale e livello regionale; qui interveniamo noi come Regione Lombardia insieme alla Regione Puglia - che sono state ritenute a livello nazionale due Regioni con un’esperienza piuttosto importante sia di IT sia di cura per poter fare da pilota per i modelli che dovranno essere diffusi poi su tutto il territorio nazionale. È un lavoro che dobbiamo fare in squadra perché da soli è difficile riuscire a definire quale può essere il fabbisogno e quali possono essere le modalità con cui andare a dispiegare servizi di questo tipo in tutta italia. Però ci viene riconosciuta la capacità di coordinare queste azioni ed è questo il motivo per cui alla fine ci è stato chiesto di essere Regioni pilota.

█ Questi sistemi puntano a migliorare gli esiti clinici? Un altro aspetto molto importante sta proprio nel fatto che la piattaforma nazionale vuole misurare se questi nuovi servizi tecnici di telemedicina a supporto dell’assistenza domiciliare migliorino davvero l’outcome dei pazienti a domicilio o, quantomeno, abbiano outcome paragonabili a un servizio più tradizionale. Questa è un compito non banale ed è per questo che il progetto di telemedicina usa in modo strumentale la nuova architettura del fascicolo per recuperare a livello nazionale non soltanto dati di processo ma anche dati clinici, così da capire se una nuova modalità di erogazione delle cure abbia un outcome maggiore o uguale rispetto ai servizi tradizionali.

█ In queste valutazioni saranno considerati anche quelli che

sono anche definiti patient-reported outcomes (PROs) e patient-reported experience (PREMs) cioè il punto di vista anche più soggettivo ed esperienziale del paziente?

Assolutamente sì. Abbiamo due grandi interlocutori da soddisfare: non solo il paziente ma anche l’operatore sanitario. Al paziente dobbiamo anche fornire un’esperienza-utente che sia funzionale a tutti i suoi bisogni e che gli renda semplice il dialogare attraverso questi nuovi mezzi con il sistema sanitario per evitare che lo strumento venga rifiutato. Dall’altra parte, su un versante ovviamente diverso, abbiamo lo stesso problema con gli operatori centrali. Trovare il comfort di entrambi questi attori non sarà facile ma è uno dei punti-chiave di successo o insuccesso del progetto. Quindi è importante misurare, per esempio, se il livello d’ansia di un cittadino curato con queste modalità sia più o meno alto rispetto a quello di un cittadino curato in modo tradizionale, oppure valutare che tipo di esperienza produca sul cittadino e sull’operatore sanitario il fatto che l’infermiere non venga a casa ma si colleghi e le operazioni normalmente eseguite in presenza siano effettuate da remoto. Sono aspetti rilevanti perché entrambi devono sentirsi più sicuri: l’assistito perché è una persona fragile con patologie croniche, l’infermiere perché deve sentirsi confidente che l’operazione compiuta tuteli il paziente e anche il medico e l’operatore sanitario.

█ D’altra parte, c’è una quantità crescente di studi che cor-

relano proprio il setting psicologico rispetto agli outcome di cura.

In effetti, in diversi progetti anche i questionari somministrati ai pazienti e ai cittadini sulla qualità della vita nel setting assistenziale sono stati uno degli elementi cardine per capire se tali progetti avessero funzionato o meno. Questi ultimi sono stati poi i precursori degli attuali modelli di teleassistenza.

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