Scopriamo i segreti di Stefano Berni
Cresce l’elenco delle DOP e IG casearie
Numeri e prospettive del settore
Organismi di controllo della produzione
INNOVAZIONI E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTARI
Scopriamo i segreti di Stefano Berni
Cresce l’elenco delle DOP e IG casearie
Numeri e prospettive del settore
Organismi di controllo della produzione
INNOVAZIONI E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTARI
PER LA VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ
Bioagro offre una vasta gamma di starter per le produzioni casearie
UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE E DI SICUREZZA SANITARIA
Collaborazioni con molte tra le più importanti aziende agroalimentari italiane
Forte attenzione alle piccole produzioni locali
Colture “confezionate su misura” in esclusiva per i propri clienti
COLTURE STARTER PER FORMAGGI DI ALTA QUALITÀ
BIOAGRO S.r.l.
INNOVAZIONI E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTARI
Thiene - Tel. 0445.380793 - bioagro@bioagro.it
Consulenza tecnica nella scelta delle soluzioni produttive migliori
DIRETTORE RESPONSABILE
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DIRETTORE EDITORIALE TECNICO-INDUSTRIALE
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COMITATO EDITORIALE TECNICO-INDUSTRIALE
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Chiara Marinuzzi - Studio Legale Forte
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Scienza e Tecnica Lattiero-Casearia
Autorizzazione del Tribunale di Parma n. 377 del 31.03.1965
Iscrizione al ROC n. 12191 del 29.10.2005
Lente di ingrandimento
Innovazione: realtà e narrazione 4
G. Mucchetti
Primo Piano
Intervista
I segreti di Stefano Berni? 6
V. Bozzetti
Focus
Diritto e rovescio
Piccole DOP crescono 10
S. Milanello
Economia
Il settore lattiero-caseario, numeri e prospettive 16
L.A. Ferraro
Ricerca scientifica internazionale 22
Attualità
Territorio
Agris Sardegna, qualità e sostenibilità economica delle produzioni ovi-caprine 26
F. De Vecchi
Probiotici
Prodotti fermentati: mercato, impatto sulla salute e prospettive future 32
M. Halker
Tecnica
Impiantistica
Fermentazione controllata al meglio 36
S. Milanello
Macchine&Impianti 40
Tecnologia applicata
Montasio DOP: formaggio alpino ricco di tradizione 42
M. Halker
Normativa
Pillole legislative Organismi di controllo e certificazione delle produzioni agroalimentari 48
C. Marinuzzi
Scienza
Scientific papers/Original article
Production of cheeses enriched with by-products from the food industry: focus on sheep’s milk cheeses processed with the addition of grape pomace in Sicily 54
Produzione di formaggi arricchiti con sottoprodotti dell’industria alimentare: focus sui formaggi a base di latte ovino processati con l’aggiunta di vinacce in Sicilia
L. Sciurba, R. Gaglio, L. Settanni Effetti della bactofugazione del latte sulla composizione e sulla maturazione proteolitica di un formaggio a pasta dura da latte crudo 61
Effects of milk bactofugation on composition and proteolysis of raw-milk hard cheese
M. Sindaco, V. Rosi, L. Pellegrino, P. D’Incecco
Ai sensi dell’art. 13 Regolamento Europeo per la Protezione dei Dati Personali 679/2016 di seguito GDPR, i dati di tutti i lettori saranno trattati sia manualmente, sia con strumenti informatici e saranno utilizzati per l’invio di questa e di altre pubblicazioni e di materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dagli art. 5-6-7 del GDPR. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Quine Srl intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio delle copie della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Quine Srl, Via G. Spadolini 7 - 20141 Milano, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione di cui agli articoli 15-21 del GDPR.
Ibanchi della GDO sono colmi di prodotti sulle cui etichette compaiono colorati riquadri con numeri indicanti i grammi di proteine forniti dall’intera confezione. Il nuovo è presentarli come fonte privilegiata di proteine o “high pro”. Perché?
L’industria alimentare compete con le aziende farmaceutiche per il mercato degli integratori alimentari a base proteica. La lattiero-casearia compete con i prodotti analoghi di origine vegetale. Latte contro soia – come d’abitudine – è la sfida principale, anche se alcuni gruppi nati come lattieri hanno aziende leader in tutti i settori.
Le proteine, separate da latte e vegetali con operazioni di cracking, sono l’ingrediente principale di barrette o “beveroni”, la cui immagine e formulazione rischia di limitarne il target agli sportivi e privilegiare la gara come occasione di consumo.
L’innovazione. Proporre la stessa massa di proteine contenuta nella singola barretta o bottiglietta a un target più ampio, sfruttando il traino di offrire alimenti, quali quark, yogurt o latte, dall’immagine antica, salutare e rassicurante per tutti, sportivi veri e aspiranti tali.
Il restyling di questi prodotti richiede limitate innovazioni di processo, ma molta attenzione alla comunicazione, sull’etichetta e in rete. È quindi terreno per grandi aziende, non per start up. Lactalis-Nestlé Ultra Frais con il marchio svedese Lindahls propone “kvark proteici” aromatizzati con il 10% di proteine e quasi zero grassi. Le proteine in realtà sono un po’ meno del 12% previsto dal Käseverordnung tedesco per il tradizionalissimo Quark magro. Il sounding svedese colpisce anche Granarolo che a marchio YOMO propone un suo “High protein kvark”. Muller, Emmi o Mila propongono yogurt magri a elevato tenore proteico, tuttavia lo stesso apportato da tradizionalissimi Labneh mediorientali, yogurt greci “colati” o Skyr islandesi. Non sfugge al restyling nemmeno il budino, prodotto a base latte ma dolciario. L’addizione di proteine concentrate al latte sviluppa una gamma di dessert proteici con strutture create da idrocolloidi, gelatina e in qualche caso azoto per dare volume. In questo segmento la competizione è anche con aziende non tipicamente lattiere quali Cameo.
L’innovazione di questa gamma di prodotti “high pro”, più narrativa che reale, probabilmente risiede nella globalizzazione di prodotti un tempo locali, modificati in gusto e texture per renderli idonei al consumo come snack e “on the go”. Anche questi modi non convenzionali di proporre il latte contribuiscono tuttavia a valorizzarne la filiera.
GERMANO MUCCHETTI Professore ordinario di Scienze e tecnologie alimentariStrumentino portatile che rileva in tempo reale il grado di pulizia delle superfici.
Kairosafe propone il Lumitester Smart abbinato ai tamponi Lucipac A3, con i quali si preleva il campione.
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codice 61324 - Lumitester Smart
codice 1702671-60361 - Lucipac A3 Surface, tamponi
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Berni Stefano, classe 1955, laurea in Scienze della produzione animale presso la facoltà di Agraria a Bologna. Già impegnato politicamente in gioventù è stato Consigliere Capogruppo a Poggio Rusco (1974-1984), viene eletto per il Collegio di Verona (arrivando primo nelle preferenze di tutto il Veneto) alla Camera dei Deputati della XI Legislatura (10 giugno 1992-14 aprile 1994).
Le sue esperienze professionali includono l’impiego alla Coldiretti di Mantova, la Direzione dell’Associazione Produttori Latte di Mantova,
la costituzione e il coordinamento di APROSOIAL Lombardia, APROCARNI e APROZOO e la Direzione della Coldiretti di Padova dal 1989. E, contemporaneamente (dal 1991 al 1993), la Direzione della rivista “Il Coltivatore”.
Nel 1994 fu nominato Direttore generale dell’Associazione Nazionale Bieticoltori (ANB) con sede a Bologna (avente 200 dipendenti e 60.000 associati); Sindaco del Consorzio Agrario di Padova, del Consorzio Mantovano Latterie Sociali-Burro Virgilio, della DeltaLat e numerose altre cooperative e associazioni. Dal 1995 al 1998 è stato eletto nel Consiglio d’Amministrazione di ABSI e Finbieticola; e in quali-
tà di Direttore generale ANB ha creato SADA, la società di commercializzazione di prodotti bieticoli realizzando un fatturato di 50 miliardi delle vecchie Lire. Dal 2013 al 2017 è stato Presidente del Consorzio di Tutela Aceto Balsamico di Modena.
Ma soprattutto il dottor Stefano Berni è stato nominato, nel 1998, Direttore Generale del Consorzio Tutela Grana Padano.
Dottor Berni, che situazione ha trovato quando è arrivato al Grana Padano?
Sono arrivato in un momento in cui c’erano tensioni derivanti da diversità di vedute tra
chi pretendeva un rigoroso rispetto della tradizione (latte crudo, affioramento naturale e caldaie di rame da due forme) e chi avrebbe preferito scorciatoie, di più agevole gestione, come la termizzazione, la sgrassatura mediante centrifuga e l’uso di grosse caldaie polivalenti. Queste diversità avevano indotto anche la conclusione del rapporto con l’allora Direttore e la fuoriuscita di un gruppo di caseifici che si erano riuniti in un’associazione che chiamarono “Consorzio Produttori Grana Padano”. Arrivai quando mancava da molti mesi il Direttore e queste rissosità avevano indotto perdita di autorevolezza istituzionale del Consorzio e addirittura scarsa attenzione, quando non addirittura insofferenza, dagli allora vertici del Ministero dell’Agricoltura (si chiamava così). Io arrivai il 1° settembre 1998, il Presidente Marani, dirigente illuminato, cedette la Presidenza a Baldrighi dopo pochi mesi dal mio arrivo, nel marzo 1999.
Ad autunno 1999 le cose cominciarono a cambiare radicalmente. I fuoriusciti che stavano producendo nel rispetto del disciplinare rientrarono e dal gennaio 2000 è iniziata
tutta un’altra storia, che ha portato il Consorzio e il sistema Grana Padano a diventare leader assoluto delle DOP nei consumi italiani e mondiali, primato che migliora ogni anno, e conferma di un altro primato: la remunerazione più alta tra il latte omogeneo, cioè quello che prevede l’uso del silomais.
Dal 1998 ad oggi, quasi 25 anni con un’unica direzione e diverse presidenze. Quali sono i limiti e i confini della buona pratica gestionale?
Beh, in realtà durante la mia direzione ho lavorato pochi mesi con il Presidente Marani, 21 anni con il Presidente Baldrighi e da 3 anni con il Presidente Zaghini, che nei 17 anni precedenti aveva, però, ricoperto il ruolo di Tesoriere, una delle quattro cariche di massimo vertice consortile (la Presidenza, le due Vice-Presidenze e la Tesoreria). Quindi si può dire che negli ultimi vent’anni ho lavorato con gli stessi dirigenti. Ciò ha favorito sintonia, condivisione e armonia. Solo con questo clima si poteva ideare – come abbiamo fatto –il Piano Produttivo, uno strumento formidabile, copiatoci in tutta Europa, che orienta le crescite produttive (oltre il 2% all’anno di media, pari a quasi 60.000 tonnellate di latte in più che ogni anno, ormai da quasi vent’anni,
affluiscono a Grana Padano) e raccoglie le risorse per garantire l’espansione dei consumi. Nel 2022 abbiamo esportato 2.300.000 forme, pari al 45%, grazie all’intensa attività promo-pubblicitaria che riusciamo a realizzare all’estero con i soldi derivanti dal Piano Produttivo. Ad esempio, nel 2023 investiremo fuori Italia circa 19 milioni di euro, pari a oltre 3,6 euro per ogni forma prodotta. Senza il Piano Produttivo ciò sarebbe impensabile.
Ho seguito come osservatore diverse assemblee del Consorzio Grana Padano e, se la memoria non mi inganna, ho visto approvare i deliberati con maggioranze tra il 90-95%. Qual è il sistema per trovare tali equilibri?
Il sistema per trovare gli ampi consensi sono l’equilibrio e l’intelligenza imprenditoriale dei consorziati. L’equilibrio può derivare solo se lungo la filiera si realizza un’equa ripartizione dei vantaggi che la nostra DOP garantisce. Noi l’abbiamo inventata e la chiamiamo “Equa Correlazione”. Un sistema che svantaggiasse una parte per avvantaggiarne un’altra sarebbe un sistema già morto, dal fiato cortissimo.
I consorziati, o almeno la stragrande maggioranza di loro, con i loro suggerimenti e
STEFANO BERNI Direttore Generale del Consorzioconseguenti delibere, spingono in questa direzione e così siamo diventati il Consorzio più importante, per influenza anche sulla filiera lattiera non coinvolta nel Grana Padano, certamente d’Italia, ma credo di poter dire pure d’Europa.
Qual è stato il momento migliore in tutti questi anni?
Il momento migliore è stato quando l’Assemblea, pressoché all’unanimità, ha votato nel novembre 2005 il primo Piano Produttivo. Pochi insieme a me avevano allora la percezione che quel giorno avevamo cambiato la storia e invertito una deriva che si stava presentando mortale per molte aziende. Molti l’hanno votato per fiducia, altri per scoramento dettato dalla situazione di quei mesi, ma molti hanno capito che quel giorno si svoltava.
Un secondo momento “migliore” che ricordo con grande piacere fu l’Assemblea tenutasi a Villa Fenaroli nel dicembre 2013, a cui partecipò il compianto Governatore lombardo e amico Roberto Maroni.
C’era un’azione trasparente e legittima, ma insensata – ripeto insensata – perché appariva come un vero ossimoro dell’economia lattiera italiana, tesa a bloccare la vita del sistema e cioè il Piano Produttivo, azione che durava da tempo.
La discussione in Assemblea fu franca e democratica, ma dura.
I favorevoli al Piano Produttivo furono il 97,4%. Visto l’esito esaltante mi spostai con una scusa dietro la lavagna e mi abbandonai a qualche lacrima liberatoria. Nella mia vita professionale era la prima volta che mi commossi così, ma era troppa la gioia e tanta la soddisfazione per il consenso così ampio.
E il momento peggiore?
Il momento peggiore sarà durante l’Assemblea dell’aprile 2024, allorquando mi commiaterò dal ruolo di Direttore Generale che cesserà due mesi dopo, il 30 giugno 2024, dopo 26 anni e dovrò salutare professionalmente tutti i consorziati. Dico professionalmente perché di molti sono diventato amico e continueremo a sentirci, ma non più nel ruolo di Direttore del Consorzio.
Quale situazione lascerà al successore?
Il mio successore sarà una persona capace e fortunata, perché troverà una situazione consortile organizzativamente e finanziariamente molto solida, ma soprattutto potrà contare, come ho potuto fare io, su Consiglieri capaci e illuminati. Del resto, nel Consiglio di Amministrazione del Consorzio ci sono quasi tutte le realtà che contano nel sistema lattiero-caseario italiano, perché tra i
big del sistema nazionale manca, al momento, solo Granarolo, ma nel 2024 forse…
A che punto è la difesa del termine “Grana” nei tribunali italiani?
La difesa del termine “Grana” è molto salda, finora le abbiamo vinte tutte e vinceremo anche le prossime.
Sono sinceramente stupefatto dall’ostinazione di chi insiste nel volercelo scippare. Presto riusciremo addirittura a tutelarlo anche in USA, perciò non vedo rischi seri in Europa e tantomeno in Italia.
Dottor Stefano Berni, un messaggio finale ? Ringrazio Scienza e Tecnica Lattiero-Casearia e chi avrà voglia e tempo di leggere questa intervista, ma non posso parlare solo del passato e dei commiati.
Voglio parlare del prossimo anno e mezzo perché, come diceva Baglioni, “La vita è adesso”.
Non sarà facile, i prezzi sono saliti alle stelle ma gli stipendi sono rimasti dov’erano perciò è calata la capacità di acquisto dei consumatori.
Dobbiamo perciò attenderci una riflessione dei valori, ma sono sicuro si manterranno a livelli adeguati a compensare tutte le imprese coinvolte dal sistema Grana Padano. L’importante sarà ragionare lucidamente, non farsi prendere da frenesie e ansie e, com’è sempre stato, ascoltare i suggerimenti e gli orientamenti del Consiglio di Amministrazione del Consorzio.
Posso certificare, e lo faccio senza condizionamenti o interessi professionali grazie alla libertà che mi deriva dall’essere vicino all’esodo, che gli imprenditori chiamati nel tempo a essere Consiglieri del Consorzio, sulle scelte fondamentali, in 25 anni non ne hanno sbagliata una. Per un semplice motivo: sono i migliori.
U n o b i e t t i v o c o m u n e d e l l e a z i e n d e l a t t i e r o c a s e a r i e è q u e l l o d i u t i l i z z a r e a l m e g l i o l e m a t e r i e p r i m e e g a r a n t i r e r e s e e l e v a t e e p r o d o t t i f i n i t i a q u a l i t à c o s t a n t e .
G r a z i e a l l a s o l u z i o n e P r o F o s s ™ 2 s a r à p o s s i b i l e , d u r a n t e l a f a s e d i t i t o l a z i o n e d e l l a t t e , c o n t r o l l a r e i n t e m p o r e a l e i v a l o r i d i G r a s s o , d e l l e P r o t e i n e e d e l r a p p o r t o G r a s s o / P r o t e i n e , c o n l ’ o b b i e t t i v o d i r a g g i u n g e r e i t a r g e t i m p o s t a t i e r i du r r e d r a s t i c a m e n t e l a v a r i a b i l i t à d i p r o c e s s o .
I n q u e s t o m o d o , è p o s s i b i l e a u m e n t a r e l a r e s a e i l p r o f i t t o r i s p e t t a n d o s e m p r e i r e q u i s i t i n o r m a t i v i e d i q u a l i t à .
P r o F o s s ™ 2 u n i s c e g l i u l t i m i s v i l u p p i n e l l a t e c n o l o g i a
N I R , i l s o f t w a r e e i s e r v i z i d i g i t a l i s f r u t t a n d o i l p i e n o p o t e n z i a l e d e l l ’ a n a l i s i i n l i n e a
L’elenco delle IG casearie italiane cresce di anno in anno. Spesso si tratta di formaggi poco conosciuti fuori dai territori di origine, che sperano in un maggiore inserimento nel mercato nazionale e internazionale e nella tutela della denominazione dalle imitazioni
Stefania MilanelloIdati più recenti e completi sul comparto dei prodotti DOP e IGP italiani sono riportati nel Rapporto Ismea Qualivita del
2022. Da essi si evince che la DOP economy italiana, non solo ha tenuto durante la pandemia, ma ha raggiunto nel 2021 un valore complessivo alla produzione pari a 19,1 miliardi di euro (+16,1% su base annua) e un
export da 10,7 miliardi di euro (+12,8%). Si tratta di risultati importanti, che evidenziano l’importanza del contributo del comparto DOP e IGP al fatturato complessivo del settore agroalimentare nazionale, grazie a una
quota del 21%, 198.842 operatori coinvolti e 291 Consorzi di tutela autorizzati dal Ministero. In particolare, la categoria dei formaggi conta 56 denominazioni e 24.659 operatori, per un valore alla produzione di 4,68 miliardi di euro in crescita del +12,8% in un anno. La produzione certificata cresce soprattutto il valore, merito certamente delle grandi DOP, Parmigiano Reggiano, Grana
Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Gorgonzola e Pecorino Romano, tutte in crescita sul 2020, ma anche della ripresa della domanda con il progressivo ritorno alla normalità post-pandemia e le riaperture dell’Ho.Re.Ca. Bene anche le esportazioni dei formaggi DOP e IGP, che hanno raggiunto i 2,38 miliardi di euro nel 2021 con un +15,4%. Accanto alle grandi e storiche IG
italiane ci sono delle produzioni minori che ogni anno entrano a far parte del comparto dei formaggi tipici certificati con marchi comunitari. Con i Consorzi di tutela Pecorino del Monte Poro DOP, della Burrata di Andria IGP e della Mozzarella di Gioia del Colle DOP, abbiamo cercato di capire quali sono le loro aspettative, le difficoltà e le azioni future per tutelare e valorizzare questi formaggi.
Le aspettative del Consorzio sono di far conoscere in tutto il mondo le caratteristiche organolettiche del prodotto, ma anche far conoscere la tipica cultura casearia locale, frutto del connubio tra tradizione e nuove tecnologie. Altro aspetto fondamentale è favorire la crescita del tessuto socio economi-
co locale. Grazie al legame pluridimensionale con il territorio, l’inserimento e il conseguente sviluppo del marchio, può determinare uno slancio all’economia territoriale favorendone la vitalità anche nelle zone più marginali. Senza dubbio le maggiori difficoltà incontrate sono state legate all’inseri-
Presidente del Consorzio per la Tutela del Pecorino del Monte Poro DOP
mento del prodotto nel mercato nazionale e internazionale soprattutto nell’anno della pandemia. Ma, grazie al sistema di qualità su cui è radicato, siamo riusciti a seguire il trend di settore, facendo sì che il Pecorino del Monte Poro DOP rientrasse tra i prodotti che hanno ottenuto un buon riconoscimento tra i consumatori. Infine una certa difficoltà viene riscontrata nel garantire che i prodotti immessi sul mercato con il marchio DOP siano quelli ottemperanti il disciplinare, mettendo
Il Pecorino del Monte Poro è un formaggio prodotto con latte di pecora proveniente esclusivamente da allevamenti ubicati nel comprensorio del Monte Poro. È ottenuto da due mungiture (mattina e sera precedente) di capi allevati con sistema semibrado che solo nel corso della notte vengono fatti stabulare negli ovili. Viene commercializzato, a seconda del periodo di stagionatura, a tre diverse tipologie: fresco, da 20 giorni a 60 giorni di conservazione; semi-stagionato, da 61 giorni a 6 mesi di stagionatura; stagionato, da 6 mesi a 24 mesi di stagionatura.
al bando quelli che ne utilizzano impropriamente la denominazione. Il Consorzio, al fine di promuovere il Pecorino del Monte Poro DOP si impegna nella partecipazione alle grandi fiere nazionali e internazionali del panorama enogastronomico. Inoltre, in compartecipazione con le grandi associazioni di filiera territoriali, si impegna nella realizzazione di attività promozionali prestando particolare attenzione alla “vigilanza” sul corretto uso della denominazione.
Il pecorino del Monte Poro presenta una forma rotonda a facce piane. La crosta è dura, rugosa, di colore variabile dal giallo oro per la tipologia “fresco” al nocciola più o meno scuro per la tipologia “semistagionato” e “stagionato”, tendente al rossiccio, se unto con peperoncino e olio extravergine di oliva per trattare la crosta esterna. La sua pasta ha struttura compatta con eventuale leggera occhiatura irregolarmente distribuita. Al taglio il colore si presenta variabile dal bianco per la tipologia “fresco” al paglierino più meno intenso nella tipologia “semistagionato” e “stagionato”. La consistenza della pasta è morbida al taglio nella tipologia “fresco” e via via più consistente nella tipologia “stagionato”. Il sapore del pecorino del Monte Poro è fragrante e con aromi di fiori selvatici, di macchia mediterranea e di fieno, pastoso e piacevolmente nocciolato all’assaggio, caratteristiche che diventano sempre più intense con l’aumentare del periodo di stagionatura, accompagnandosi a una decisa pungenza e sapidità nella tipologia “stagionato”.
La Mozzarella di Gioia del Colle DOP è un formaggio fresco a pasta filata, ottenuto da solo latte intero crudo di vacca, eventualmente termizzato o pastorizzato, ed è caratterizzato da una tecnologia di produzione basata sull’impiego di siero-innesto autoctono. Il prodotto ha sapore di latte delicatamente acidulo, con lieve retrogusto di fermentato/siero acido, più intenso nel formaggio appena prodotto; odore lattico, acidulo, con eventuali sfumature di burro. La Mozzarella di Gioia del Colle è commercializzata nelle seguenti tre diverse forme: sferoidale, di nodo e di treccia. Il suo peso, secondo la forma e le dimensioni, varia dai 50 ai 1.000 grammi. La zona geografica di produzione comprende territori ricadenti nella Murgia barese e tarantina, ove le aziende zootecniche da latte (le “masserie delle vacche” di origine federiciana) sono presenti in gran numero. In questo territorio gli allevamenti e le aziende di trasformazione sono poco distanti tra loro (in diversi casi sono coincidenti) e producono Mozzarella di Gioia del Colle da tempi lontani: già nel 1885 si parla di “squisite mozzarelle nelle Puglie” ne “L’Italia agricola, giornale dedicato al miglioramento morale ed economico delle popolazioni rurali” (Redaelli, Milano). La tecnica di trasformazione prevede il solo uso di latte fresco e l’aggiunta di innesto autoctono che rappresenta un ulteriore legame con il territorio: il siero del giorno precedente viene lasciato acidificare, arricchendosi così in fermenti lattici caratteristici dell’ambiente di caseificio, determinando in gran parte l’autoctonia della componente microbiologica.
Le maggiori difficoltà sono legate all’inserimento del prodotto nel mercato nazionale e internazionale e nella tutela della denominazione dalle imitazioni
Nell’ingresso nella DOP avevamo posto grandi aspettative che purtroppo a oggi non si sono ancora materializzate. La Mozzarella di Gioia del Colle DOP è un prodotto di eccellenza realizzato a mano con latte proveniente da vacche alimentate con pascolo, foraggi e alimenti nobili quali soia, pisello, fave, frumento, avena e orzo. La cagliata si ottiene con innesto di siero acidificato naturalmente. Quindi una Mozzarella sostenibile, genuina, salutare e soprattutto senza aggiunta di chimica e conservanti. Insomma, una mozzarella uguale alle altre per definizione, ma diversa con precisi elementi che la contraddistinguono per qualità. Purtroppo, dobbiamo registrare che non ci sono state ancora grosse commesse commerciali: la GDO ritiene che il prezzo di vendita sia alto. È comunque un prodotto che si presenta con un prezzo leggermente al di sopra delle altre per ripagare l’artigianale e oneroso processo di produzione. L’inflazione sta pro-
ducendo una riduzione dei consumi e soprattutto un aumento dei prezzi al banco; essendo un prodotto fresco e senza conservanti non si riesce a garantire la shelf life che alcune catene di distribuzione richiedono. In ultimo, sinceramente poco è stato fatto anche in termini di promozione e divulgazione. Per questo, nel 2023 il Consorzio intende investire in alcuni progetti di promozione che coinvolgono buyer soprattutto nazionali ed europei. È in programma la partecipazione a Tuttofood di Milano. Sono in corso investimenti per iniziative di comunicazione sul web (sito internet, pagine su social, etc.). I presupposti commerciali e la qualità del prodotto non mancano. Confidiamo nella giusta scelta del consumatore per rilanciare una mozzarella completamente naturale, interamente “costruita” sul territorio della Murgia barese e tarantina che rispetta l’ambiente, il benessere degli animali e soprattutto la salute del consumatore.
CLAUDIA PALAZZO Presidente del Consorzio Mozzarella di Gioia del Colle DOP“Aspettative non ancora materializzate: assenza di grosse commesse commerciali, poca promozione e divulgazione”
MOZZARELLA GIOIA DEL COLLE
La Burrata di Andria IGP è un formaggio a pasta filata prodotto con latte vaccino e ottenuto dall’unione di panna e formaggio. L’involucro è costituito esclusivamente da pasta filata, mentre l’interno c’è una miscela di panna e pasta filata sfilacciata a mano. Una parte di pasta filata, infatti, viene ridotta in fettucce sfilacciate a mano e raffreddate in acqua fino a formare un ammasso spugnoso che viene successivamente miscelato con panna per costituire il ripieno (“stracciatella”). La panna utilizzata proviene dalla centrifugazione del latte o del siero di latte fresco; successivamente subisce il trattamento di pastorizzazione. La Burrata di Andria IGP ha un peso variabile tra i 100 g e 1 chilo e un involucro di spessore pari o superiore a 2 mm. Si presenta rotondeggiante a forma di sacca, dalla caratteristica chiusura apicale realizzata manualmente e di dimensioni tali da poter consentire eventualmente la legatura dell’apice tramite rafia alimentare. Al gusto si sente il latte fresco o cotto unito a burro e panna. La zona di produzione l’intero territorio della regione Puglia. Si narra che nei primi decenni del secolo scorso, durante una forte nevicata, fu impossibile portare il latte in città dalle masserie. Così, per non sprecarlo, fu necessario trasformarlo. In quell’occasione, il casaro andriese Lorenzo Bianchino ebbe l’idea di creare un “sacchetto” di pasta filata in cui racchiudere degli sfilacci fatti della stessa pasta, immersi nella panna che affiorava dal latte (la cosiddetta stracciatella); richiuse il tutto e modellò con cura l’imboccatura donandole la caratteristica forma apicale. Nacque così la prima Burrata di Andria, uno dei più pregiati e particolari prodotti caseari della Puglia.
La necessità di tutelare la Burrata di Andria IGP nasce dalla volontà di difendere la No-
stra Eccellenza dalle continue imitazioni da parte di produttori italiani e stranieri, al fine
Direttore del Consorzio di tutela della Burrata di Andria IGP
BURRATA DI ANDRIA
h U s O im P r OP ri O D i U n termine
“ generic O ”
di impedire che l’originale Burrata, quella di Andria, venisse sminuita e finisse nell’oblio della volgarizzazione a causa dell’uso improprio di un termine generico burrata, così come dell’uso di materie prime e metodi produttivi che non ne rispecchiano la tradizione. Obiettivo del Consorzio di Tutela della Burrata di Andria IGP è ottenerne la glo-calizzazione (diffusione globale e contemporanea difesa dell’originalità della nostra cultura produttiva) preservandone artigianalità, freschezza e qualità. La Burrata di Andria nasce con una grande vocazione per i mercati esteri. Nota, negli anni sessanta, era infatti la passione dello Scià di Persia per la nostra eccellenza che ne chiedeva la spedizione via aerea per averla il più fresca possibile. Oggi le imitazioni e l’Italian Sounding relative a produzioni extraregionali ed estere, così come le produzioni meccanizzate avviate in altri paesi europei come Spagna e Francia (che grazie all’uso del termine
burrata stanno invadendo l’intero mercato europeo), mettono a rischio le produzioni pugliesi, le uniche che possono fregiarsi del riconoscimento europeo e ottenere la giusta tutela della Denominazione impedendo ad altri l’uso improprio del nome. Utilizzare il termine Burrata in maniera impropria rappresenta un’ingiusta appropriazione della nostra storia, della nostra cultura e dei nostri valori oltre che un danno per la nostra economia. Il Consorzio di Tutela fin dalla sua nascita nel 2017 sta cercando di difendere la Burrata di Andria IGP comunicando agli organi preposti l’esistenza di situazioni in danno alla Denominazione e intervenendo, laddove nelle sue competenze, avendo già in più occasioni chiesto e ottenuto che l’uso improprio della Denominazione cessasse soprattutto sul web. Oggi, laddove sarà necessario, il Consorzio non esiterà ad avviare anche azioni legali a tutela della Denominazione.
“Ottenere la glocalizzazione, ovvero la diffusione globale e la contemporanea difesa dell’originalità della nostra cultura produttiva, preservandone artigianalità, freschezza e qualità”
Con circa 490 tipi differenti di formaggi l’Italia è protagonista assoluta nel mondo per diversità e gusto.
Sono ben 56 le produzioni casearie che si possono fregiare della denominazione di origine
Il lattiero-caseario è il secondo settore alimentare italiano (dopo carni e salumi) e rappresenta circa il 14% del fatturato complessivo dell’industria alimentare. La struttura produttiva è costituita da poco più di 3.600 imprese operative nella produzione dei derivati del latte (Tabella 1), in prevalenza di piccole dimensioni, spesso a carattere artigianale o gestite da allevatori
associati in cooperative dedite a produzioni tipiche della tradizione locale (soprattutto nel segmento dei formaggi). Malgrado nel settore si riscontri un certo fenomeno di concentrazione, la produzione è ancora molto polverizzata, soprattutto nell’Italia centrale e meridionale dove l’elevata frammentazione del sistema produttivo nella fase agricolo-zootecnica della filiera si ri-
scontra anche nella fase di trasformazione; per la maggior parte si tratta di aziende di piccole e medie dimensioni, specializzate in produzioni indirizzate esclusivamente al mercato locale.
Discorso diverso per le aree a vocazione lattiera dell’Italia settentrionale (rappresenta l’86% della produzione di latte vaccino nazionale), dove sono presenti la maggior par-
Specialista di analisi competitiva esperto del comparto lattiero-caseario Cerved Group
te delle grandi e medie imprese. Molte imprese del settore (e alcune, come Granlatte/ Granarolo, Latteria Soresina, il Consorzio Latterie Virgilio, con quote di mercato estremamente significative) sono cooperative e
consorzi di allevatori, nati per lavorare e trasformare il latte fornito dagli associati e per valorizzare la materia prima fornita. Tale forma associativa è particolarmente diffusa tra i produttori di Grana Padano e Parmigiano Reggiano.
Attualmente il settore ha un buon grado di autoapprovvigionamento con una produzione di latte vaccino pari a 13,1 milioni di tonnellate e un patrimonio zootecnico di 35 mila allevamenti bovini, circa 1,6 milioni di vacche da latte, ai quali si aggiungono 1.900 allevamenti bufalini e 87mila ovi-caprini. Nel settore è rilevante il ruolo svolto dai Consorzi di Tutela dei formaggi DOP, associazioni di produttori riconosciute dalla legge che nascono con l’obiettivo di promuovere e tutelare il nome del prodotto (identificato da un marchio), garantire, su incarico ministeriale, le caratteristiche dei prodotti (e quindi garantire il rispetto dei disciplinari
di produzione, effettuare controlli di qualità, etc.) e sviluppare politiche di promozione delle esportazioni.
Nel suo complesso, il settore ha dimostrato, durante l’emergenza sanitaria (biennio 20202021), di essere dotato di resilienza e dinamicità, reggendo l’impatto della pandemia. Nel 2022 si stima un valore della produzione settoriale pari a 16,8 miliardi di euro (Tabella 2), in crescita del 7,5% rispetto al 2021, grazie soprattutto all’ulteriore forte sviluppo delle vendite sui mercati esteri (+19,2%). I consumi settoriali, pari a 16,5 miliardi di euro nel 2022, registrano una sensibile crescita (+10,2% rispetto al 2021) dovuta esclusivamente all’incremento dei prezzi dei prodotti finiti, conseguenza del forte incremento delle quotazioni del latte e dei costi di produzione. Di fatto, in termini reali si
IMPRESE (NUMERO)
3.600
16.800
EXPORT/PRODUZIONE (%)
29,7
a) - produzione industriale e artigianale Fonte: elaborazione Cerved su fonti qualificate
5.000
IMPORT/MERCATO INTERNO (%)
27,5
Tabella 1. Dati chiave di settore VALORE DELL’EXPORT (MN. €) VALORE DELLA PRODUZIONE (MN. €)(a)registra un ridimensionamento di quasi tutti i segmenti.
I formaggi concentrano la parte preponderante del mercato con il 62% circa dei consumi settoriali a valore (Grafico 1), seguiti dal latte alimentare nel suo complesso, con un peso maggiore del latte a lunga conservazione (9%) rispetto al latte fresco ed ESL (6%), seguono yogurt e dessert (9,5%). Contenuta l’incidenza dei consumi di burro (2,5%) e panna (2,4%).
FORMAGGI: ECCELLENZE
E AMPIA OFFERTA
I formaggi italiani rispecchiano la varietà del territorio, dei foraggi e degli animali: con circa 490 tipi differenti l’Italia è protagonista assoluta nel mondo per diversità e gusto.
Fra le diverse produzioni hanno una grande rilevanza i formaggi che hanno una certificazione riconosciuta: ad oggi sono 56 le produzioni casearie del nostro Paese che si
possono fregiare della denominazione di origine (53 DOP, 2 IGP, 1 STG) e nel 2022 sono stimate complessivamente in quasi 5 miliardi di euro all’ingrosso che raggiungono gli 8,4 miliardi al consumo.
Le due principali DOP italiane, Parmigiano Reggiano e Grana Padano, insieme realizzano circa 3,2 miliardi di euro, seguite da Mozzarella di Bufala Campana (530 Mn) e da Gorgonzola (oltre 400 Mn).
Vi sono inoltre prodotti non DOP (mascarpone, ricotta, crescenza) che sono unici nel panorama produttivo mondiale e che hanno buone potenzialità di sviluppo sui mercati esteri nel medio e lungo termine.
L’Italia ricopre un ruolo di rilievo nel panorama mondiale: è il 6° Paese nella classifica dei maggiori esportatori, alle spalle di Nuova Zelanda, Germania, Olanda, Francia e Stati Uniti. Considerando i soli formaggi si posiziona al 3° posto assoluto dopo Germania e Olanda.
Le esportazioni sono trainate dai prodotti “tipici” della gastronomia italiana, come i formaggi Grana Padano e Parmigiano Reg-
Fonte: elaborazione Cerved su fonti qualificategiano e le mozzarelle, rappresentando un canale di sbocco di crescente importanza per le aziende del settore.
Il saldo commerciale settoriale, in tendenziale miglioramento negli ultimi anni, a eccezione del 2022, nel 2019 è diventato positivo (Grafico 2).
Nel commercio con l’estero (Tabella 3) si nota la preponderanza del peso dei formaggi, in particolare per quanto riguarda l’export (88,2% sul totale): tendenzialmente l’Italia importa prodotti di fascia medio-bassa ed esporta prodotti di fascia alta.
Particolarmente rilevante la presenza degli importatori nel latte confezionato a lunga conservazione (13,4% a valore), panna uht e nel burro (9,9%), dove diverse aziende produttrici, in particolare quelle che impiegano panna di affioramento nel processo produttivo, utilizzano burro in pani di importazione (da centrifuga) per migliorare la qualità del prodotto.
Elevatissima l’incidenza delle importazioni nello yogurt, dove si stima che quasi il 50% dei prodotti consumati in Italia (a volume, poco più a valore) siano di produzione estera.
Relativamente ai principali paesi di destinazione dei prodotti italiani (Grafico 3), la Francia è in assoluto il mercato più importante con un peso di oltre il 20% sul totale export a valore, seguito da Germania 13,7%, USA (9,0%) e Regno Unito (6,9%). La gran parte dei Paesi nel 2022 ha incrementato in maniera importante le importazioni di prodotti italiani, ad eccezione della Germania (-2,6%). Fra i paesi più dinamici per crescita in valore assoluto (Tabella 4), si nota la Francia (+27,2% rispetto al 2021), Spagna (+31,9%) e USA (+12,5%), ma anche paesi extra-UE con un peso inferiore come il Giappone (+34,1%), Canada
(+27,4%) e Cina (+71,5%, 0,8% il suo peso sul totale).
Per quanto riguarda le importazioni sono, invece, predominanti quelle dalla Germania
che sfiorano il 35% del totale (Grafico 4) e che riguardano sia prodotti finiti che materia prima in diverse forme. Seguono Francia (11,2%), Olanda (8,4%) e Belgio (7,4%).
Nel 2022 si stima un valore della produzione settoriale pari a 16,8 miliardi di euro, in crescita del 7,5% rispetto al 2021
per crescita, gennaio-ottobre 2022
Dopo i forti incrementi del latte alla stalla nel corso del 2022, sta emergendo un incremento dell’offerta di latte a livello mondiale che dovrebbe portare a un ridimensionamento dei prezzi dei prodotti finiti nel corso del 2023, anche se in maniera contenuta, almeno fino a che si manterranno elevati anche gli altri costi di produzione.
Le attese del settore nel breve termine sono di un lieve incremento della produzione a valore (Tabella 2), sostenuta dall’export, mentre i consumi registreranno un ridimensionamento a valore ma torneranno positivi in termini reali.
Fonte: Analisi e stime Cerved su dati ISTAT
A differenza di quanto avviene in generale nel largo consumo, la distribuzione tradizionale, data l’elevata frequenza di acquisto di alcuni prodotti, mantiene un ruolo importante, anche se progressivamente decrescente, nella commercializzazione del latte fresco, dei prodotti freschissimi e dei formaggi.
La distribuzione moderna rappresenta il principale canale di vendita dei prodotti, con un ruolo assolutamente dominante per prodotti come il latte a lunga conservazione e lo yogurt. Nel settore assume un ruolo rilevante anche la ristorazione, particolarmente significativa nel caso della mozzarella: circa un terzo delle vendite di mozzarella è indirizzato alle pizzerie.
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DOI: 10.1016/j.fbio.2022.102096
Use of nisin and bioprotective lactic cultures to extend the shelf life of sheep and goat cheese whey. Food Bioscience, Volume 50, parte A, dicembre 2022
B. Ricardo de Castro, L. Junior, A. Artigiani, L. Tribst
È stata valutata la fattibilità dell’uso della nisina (12,5 mg/L) e dell’inoculazione di colture commerciali di Lactobacillus helveticus (LH 091-C28527), Lacticaseibacillus rhamnosus (LRB-0283705A) e Lacticaseibacillus casei (BGP1-304799A) come bioprotettori nel secondo siero di latte (SCW, second cheese whey) degli ovini e di formaggio di capra (GCW). I risultati hanno mostrato che la nisina inibiva L. helveticus e la popolazione nativa e riduceva la conta di L. rhamnosus (~4,5 log CFU/mL). L. casei è cresciuto durante la conservazione in presenza/assenza di nisina, raggiungendo conteggi per l’appeal pro-
DOI: 10.1016/j.foodres.2022.111751
biotico, mentre L. rhamnosus è stato parzialmente inattivato. L. helveticus ha fermentato SCW in 23–46 ore e GCW in 60 ore ed è stato inibito da L. rhamnosus. Inoltre, i campioni fermentati avevano una conta più bassa di batteri dell’acido lattico dopo la conservazione (≤3,6 log CFU/mL), mostrando un’inibizione del pH. Pertanto, tra le alternative studiate, l’aggiunta di nisina e/o L. casei è l’opzione migliore per prolungare la conservazione di SCW e GCW fino a 28 giorni. Questi risultati sono utili per la produzione artigianale e possono essere applicati direttamente per la conservazione del siero di latte.
Free fatty acid profiling of Greek yogurt by liquid chromatographyhigh resolution mass spectrometry (LC-HRMS) analysis. Food Research International, Volume 160, ottobre 2022
C. Mantzourani, CS. Batsika, MG. Kokotou, G. Kokotos
Lo yogurt è un prodotto caseario fermentato ad alto valore nutritivo, diffuso in molte parti del mondo. Gli acidi grassi liberi (FFA), che si formano durante la fermentazione, possono alterare le proprietà organolettiche dello yogurt, rendendo la loro determinazione importante. L’articolo presenta un metodo di cromatografia liquida-spettrometria di massa ad alta risoluzione (LC-HRMS), che consente la determinazione simultanea di un ampio set di FFA comuni e non comuni nei campioni di yogurt, evitando qualsiasi fase di derivatizzazione. Venticinque FA
saturi e insaturi comuni, insieme a 21 acidi grassi idrossi-grassi saturi (SHFA) e 17 acidi grassi oxo saturi (SOFA), sono stati analizzati in 26 campioni di yogurt greco di vacca e 7 di pecora. Per la prima volta è stata eseguita un’analisi dettagliata di SHFA e SOFA bioattivi in campioni di yogurt. Sono state osservate differenze nelle concentrazioni di sei FA comuni e cinque FA ossidati tra i campioni di vacca e pecora. Sulla base di questi FA, l’analisi dei componenti principali (PCA) consente di discriminare i campioni di yogurt di vacca da quelli di pecora.
degli acidi
liberi dello
greco mediante cromatografia liquida e analisi di spettrometria di massa ad alta
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DOI: 10.1016/j.lwt.2022.113476
Influence of milk quality and cheese-making procedure on functional fatty acid transfer in three Italian dairy products: Mozzarella, Raveggiolo and Ricotta LWT, Volume 163, 15 giugno 2022
Le caratteristiche qualitative del formaggio sono influenzate in primo luogo dalla qualità del latte e in secondo luogo dai protocolli di lavorazione. Il procedimento di caseificazione svolge un ruolo importante nel trasferimento delle componenti grasse funzionali dal latte al formaggio con importanti implicazioni sul valore nutritivo dei prodotti lattiero-caseari. Per valutare l’influenza del procedimento di caseificazione, sono stati lavorati e analizzati in termini di trasferimento di acidi grassi dal latte ai latticini tre formaggi freschi italiani della stessa massa di latte, ovvero la Mozzarella, il Raveggiolo e la Ricotta. Gli acidi grassi sono stati trasferiti con diverse differenze. In particolare, C14:0 (P = 0,0011) e C14:1 (P = 0,0007) hanno mostrato il
DOI: 10.1016/j.foodcont.2022.108951
Microbial risk assessment of Escherichia coli shiga-toxin producers (STEC) in raw sheep’s milk cheeses in Italy. Food Control, Volume 137, luglio 2022
valore più alto in Raveggiolo mentre C16:0 era più alto in Raveggiolo e Ricotta (P = 0,0002). Gli acidi grassi trans-monoene hanno un effetto dannoso sulla salute umana, tuttavia gli isomeri trans C18:1, da 6 a 10, e trans12 non hanno mostrato differenze significative nel trasferimento dal latte ai prodotti lattiero-caseari. Al contrario, gli acidi vaccenico e linoleico, che sono acidi grassi benefici per la salute umana, sono stati recuperati in percentuali più elevate nel Raveggiolo rispetto a Mozzarella e Ricotta (rispettivamente P = 0,0188 e P <0,0001). Il recupero dell’acido oleico, un acido grasso antiaterogeno, è stato maggiore nella ricotta (P <0,0001). Non è stato riscontrato alcun effetto sull’acido linoleico coniugato.
DOI: 10.1016/j.jclepro.2022.132600
Environmental impacts of cow’s milk in Northern Italy: Effects of farming performance. Journal of Cleaner Production, Tomo 363, 20 agosto 2022
È stata condotta una valutazione del ciclo di vita di 55 aziende lattiero-casearie ubicate nel Nord Italia per indagare l’effetto delle prestazioni delle aziende lattiero-casearie sull’impatto ambientale della produzione di latte. Sono state considerate cinque categorie di dati principali: acqua utilizzata nell’azienda agricola, mangimi al di fuori dell’azienda agricola, risorse energetiche, mangimi in azienda e materiali per lettiera. Gli allevamenti da latte sono stati classificati in mandrie ad alto, medio e basso rendimento in base alla produzione media di latte. Gli impatti ambientali degli indicatori erano inferiori negli allevamenti ad alte prestazioni rispetto a quelli a basse prestazioni e inferiori per il cambiamento climatico, il cambiamento climaticobiogenico, il cambiamento climatico-fossile, la formazione di
ozono fotochimico sulla salute umana (POCP) ed eutrofizzazione terrestre, rispetto alle mandrie con prestazioni medie. Valori simili tra i gruppi sono stati osservati per l’acidificazione, le radiazioni ionizzanti per la salute umana e gli indicatori del potenziale di riduzione dell’ozono. Le categorie di mangimi fuori azienda e in azienda hanno avuto la quota più alta di valore degli indicatori di impatto. La fermentazione enterica e la manipolazione del letame hanno contribuito in modo significativo alle emissioni di gas serra, mentre la formazione di particolato e il POCP erano principalmente legati alla gestione della stalla. I risultati di questa ricerca potrebbero essere utili nel settore lattiero-caseario grazie alla completezza degli indicatori di impatto atteso valutati con il metodo PEF.
L’E. coli produttore della tossina Shiga (STEC), associato a gravi malattie di origine alimentare, può contaminare il latte durante il processo di mungitura attraverso la materia fecale e sopravvivere o crescere durante la produzione del formaggio, se non è stato applicato un trattamento di pastorizzazione.
È stato quindi sviluppato un modello stocastico “farm-to-fork” per valutare il rischio di infezione umana da O157 STEC, uno dei principali sierotipi patogeni, associato al consumo di formaggio di pecora crudo prodotto in un caseificio a Italia. La concentrazione di STEC aumenta principalmente dopo la formazione della cagliata e la maturazione iniziale. Il rischio medio di malattia dopo il consumo di una porzione di formaggio a breve, media e lunga stagionatura
variava tra 1,64×10-4 e 4,03×10-4 per gli adulti. Considerando solo una differenza nella dimensione della porzione, il rischio per i bambini variava da 1,35×10-4 a 3,34×10-4.
Tra le diverse strategie di intervento simulate per mitigare il rischio, la somministrazione di batteriofagi è stata di gran lunga la misura più efficace con una riduzione media del rischio di 34 volte seguita dall’uso di probiotici e antimicrobici, che ha abbassato il rischio di circa 12 volte. I parametri che maggiormente influivano sul rischio all’interno del caseificio sono: la possibilità che nell’allevamento sia presente uno spargitore, il verificarsi della contaminazione del latte con le feci e la prevalenza all’interno dell’allevamento del patogeno.
Francesca De Vecchi
Tecnologa Alimentare OTALL e divulgatrice scientifica
Sperimentazione e innovazione tecnologica sono fattori chiave per lo sviluppo economicamente sostenibile di un territorio. In Sardegna, l’Agenzia Agris svolge compiti di ricerca scientifica di
base e applicata nel campo dell’agricoltura; mantiene inoltre un forte legame con gli operatori agro-zootecnici e con il sistema delle imprese nei settori agricolo, agroindustriale, dell’allevamento animale, forestale e delle risorse ittiche dell’Isola, promuovendo attivamente il trasferimento tecnologico. Opera infatti con l’obiettivo di favorire lo sviluppo rurale sostenibile e
competitivo, tutelando e valorizzando la biodiversità vegetale, animale e microbica, secondo quanto definito dalla legge istitutiva (L.R. 8 agosto 2006, n. 13) e dalle norme dello Statuto dell’Agenzia. Abbiamo approfondito gli aspetti che riguardano in particolare il settore lattierocaseario ovi-caprino della Regione Sardegna con il responsabile del Servizio Ricerca
Prodotti di origine animale (SRPoA) e con i coordinatori dei rispettivi Settori del Servizio che, in Agris, sostiene e promuove gli interventi per la crescita sostenibile e lo sviluppo competitivo delle aziende e delle imprese di trasformazione e commercializzazione del comparto agro-zootecnico.
“Tipicità e innovazione di prodotto rappresentano i due aspetti che, sebbene apparentemente antitetici, devono essere perseguiti per valorizzare la produzione lattiero-casearia della Sardegna e permettere alla stessa di fronteggiare i mercati, che sono sempre più caratterizzati dalla forte competizione sui prezzi e da esigenze di tracciabilità e certificazione di prodotto”, spiega Giovanni Piras, direttore del SRPoA.
Anche la qualità è un elemento imprescindibile, su cui si deve puntare, sia che si vada verso l’innovazione, sia che si esalti la tradizione. In questo senso, le attività di ricerca del SRPoA sono indirizzate sia al miglioramento qualitativo dei prodotti
tradizionali e DOP, nel rispetto del disciplinare di produzione, che a favorire la diversificazione produttiva, con l’obiettivo di soddisfare le esigenze del consumatore. Riguardo ai prodotti DOP, Agris è impegnata nella collaborazione con i rispettivi Consorzi di Tutela: per il Pecorino Romano DOP si sta operando per razionalizzare alcune fasi della tecnologia di produzione del formaggio con particolare attenzione all’utilizzo di un scotta-innesto naturale; per la definizione dei trattamenti termici del latte, per la condotta della stagionatura e per la quantità di sale nel prodotto finito; per il Fiore Sardo DOP invece, l’attenzione è focalizzata sullo sviluppo di metodi analitici che consentono di preservare l’utilizzo di latte crudo dai tentativi di frode. Infine un’area di intervento riguarda l’aggiornamento delle tabelle nutrizionali delle tre DOP (Pecorino Romano, Fiore Sardo e Pecorino Sardo) in osservanza del RE 1169 del 2011.
GIOVANNI PIRASAllo stesso tempo il Servizio, per favorire e supportare la penetrazione commerciale delle produzioni sostenibili regionali porta avanti attività di trasferimento tecnologico delle conoscenze, di divulgazione e di
condivisione di strategie innovative. “In quest’ottica,” precisa Piras, “i progetti di ricerca realizzati permettono di proseguire le attività di studio, così da individuare soluzioni tecniche per la diversificazione delle produzioni casearie, il miglioramento qualitativo e l’ottimizzazione dei processi produttivi”.
Il SRPoA si articola in quattro Settori (Tecnologia, Microbiologia, Chimica e Analisi Sensoriale) che portano avanti le attività con un approccio multidisciplinare e di collaborazione con le aziende del comparto.
In particolare, il Settore di Tecnologia, sotto la responsabilità di Massimo Pes, si occupa principalmente di ricerca applicata, innovazione e trasferimento tecnologico dei processi di trasformazione del latte ovino e caprino. Le più importanti linee di ricerca del Settore riguardano il miglioramento qualitativo dei prodotti tradizionali e DOP della Regione, la diversificazione produttiva, la messa a punto di tecnologie innovative alternative a quelle tradizionali, con
Direttore del SRPoAparticolare attenzione ai prodotti con caratteristiche compositive, nutrizionali e funzionali, predeterminate. Studia inoltre gli effetti della variazione della qualità del latte e dei suoi derivati sull’efficienza tecnologica di trasformazione.
Recentemente, per migliorare l’offerta alle imprese, è stato completato il progetto di rinnovamento del caseificio sperimentale, che consente di eseguire, su scala ridotta, tutte le principali operazioni tecnologiche applicate ai processi industriali di trasformazione casearia.
La formazione è fra le finalità principali per Agris. “L’attività di trasferimento tecnologico,” spiega Pes, “si realizza attraverso brevi corsi e seminari rivolti al personale delle aziende e delle imprese di trasformazione, anche per mezzo di dimostrazioni in campo presso le aziende interessate”.
Nel prossimo futuro, il Settore sarà impegnato nell’organizzare una specifica attività formativa rivolta alle figure professionali destinate all’industria casearia sarda (tecnici e maestranze), per lo più improntata all’applicazione pratica.
Il comparto lattiero-caseario oggi guarda alla ricerca scientifica per innovare prodotti e processi, per avere consulenza e formazione.
“Il Settore Microbiologia risponde a tali richieste con laboratori attrezzati per svolgere analisi di microbiologia classica e biologia molecolare, per identificare, caratterizzare, conservare e impiegare in produzione il microbiota che colonizza il latte ovino e caprino e i prodotti fermentati che ne derivano” chiarisce Roberta Comunian, coordinatrice del Settore.
Particolare attenzione viene rivolta allo studio della sicurezza (es. antibiotico-resistenza, virulenza), qualità e shelf life dei prodotti tradizionali e DOP della Sardegna e alla conservazione, tutela e valorizzazione della biodiversità microbica agroalimentare, attraverso la gestione di una collezione. “Le collezioni microbiche, infatti, permettono di identificare, caratterizzare e conservare vitali ceppi tecnologicamente utili e le relative informazioni, al fine di garantire l’accesso a servizi microbiologici di qualità e quindi lo sviluppo delle biotecnologie e della bioeconomia sostenibile e competitiva”.
La collezione microbica Agris-BNSS, fondata nel 1967, è costituita principalmente da batteri lattici isolati da latte e formaggio di pecora e capra, ma ospita anche isolati provenienti da altre matrici, come prodotti a base di carne fermentata (salsiccia sarda), olive da
tavola, tratto digerente di ovini, intestino di pesci e sperma di ariete. La collezione consta di oltre 20.000 isolati congelati (a -80 e -150°C) e/o liofilizzati e di alcune colture naturali miste, catalogati in un database in parte pubblico (n. 1.741 ceppi), in parte a esclusivo uso di laboratorio. Occasionalmente, il settore Microbiologia fornisce gratuitamente colture starter autoctone a piccoli caseifici lattiero-caseari locali.
La collezione Agris-BNSS è anche membro associato della Joint Research Unit MIRRI-IT, il network delle collezioni microbiche italiane, nodo nazionale di MIRRI-EU, l’infrastruttura di ricerca paneuropea per la conservazione, la fornitura e la valorizzazione delle risorse
Agris Sardegna opera con l’obiettivo di favorire lo sviluppo rurale sostenibile e competitivo , tutelando e valorizzando la biodiversità vegetale, animale e microbica
microbiche e della biodiversità (vedi box Agris per la biodiversità microbiologica sarda).
Il Settore di Chimica, porta avanti attività sperimentali e di ricerca, in collaborazione con gli altri Settori del SRPoA e di Agris, in ri-
sposta alle richieste che provengono dal comparto lattiero-caseario della Sardegna. Vengono messi a punto e validati metodi analitici, per la valutazione delle caratteristiche fisico-chimiche e nutrizionali sia dei principali alimenti a uso zootecnico (foraggi, fieni e concentrati) sia del latte ovino e caprino e dei prodotti derivati (formaggi, yogurt, ricotta etc). L’applicazione riguarda anche lo studio dell’evoluzione, durante la stagionatura, delle caratteristiche fisico-chimiche, nutrizionali e funzionali dei prodotti lattiero-caseari derivati, lo studio della shelf life, della tracciabilità e della ricerca di molecole e marcatori che legano il prodotto al territorio (molecole aromatico-volatili, terpeni etc).
cazione di metodi analitici online aspecifici, che consentono la determinazione dei principali parametri fisico-chimici dei prodotti lattiero caseari, in maniera rapida, economica e non distruttiva del prodotto. Questo tipo di analisi può essere facilmente effettuata sul prodotto, anche da personale non formato, direttamente in azienda”.
Coordinatrice Settore Chimica di SRPoA
Importanti sono poi le collaborazioni: il Settore di Chimica collabora con i Consorzi di Tutela delle produzioni casearie DOP (Pecorino Romano, Fiore Sardo e Pecorino Sardo) nelle attività di caratterizzazione dei prodotti DOP e di aggiornamento delle tabelle nutrizionali; oltre a offrire consulenza tecnicoscientifica alle aziende agro-zootecniche e di trasformazione casearia per la caratterizzazione delle produzioni.
“Il Settore,” chiarisce la sua coordinatrice Margherita Addis, “negli ultimi anni si è impegnato nello sviluppo, validazione e appli-
Dal 2020, Agris, capofila del Progetto MicroBioDiverSar (Mipaaf, L. 194/2015), insieme alle Università di Sassari e Cagliari, ha istituito la Collezione sarda MBDS che attualmente ospita 2.143 ceppi, tra batteri, lieviti e funghi filamentosi, isolati da matrici alimentari e ambientali della Sardegna. Le relative informazioni sono organizzate in un database, progettato in collaborazione con l’Ospedale S. Martino di Genova, secondo criteri e standard internazionali, e il Catalogo è consultabile sul sito www.mbds.it.
Il Settore Qualità Sensoriale e Valorizzazione dei Prodotti infine svolge attività di ricerca scientifica in merito alla caratterizzazione sensoriale e alla percezione dei consumatori. Dotato di un laboratorio con 8 cabine per la valutazione individuale (a norma DIN EN ISO 8589), si avvale di un panel di giudici addestrati, con esperienza pluridecennale sulla valutazione dei prodotti lattiero-caseari per valutare il profilo sensoriale e le differenze sensoriali percepibili tra prodotti e per identificare le caratteristiche distintive e descrivere la dinamica dell’evoluzione nel tempo dei prodotti presi in esame.
“Opera indistintamente sia sulla valorizzazione e tutela dei prodotti tradizionali che sullo sviluppo di prodotti innovativi,” precisa il coordinatore Riccardo Di Salvo, “secondo
Coordinatore Settore Qualità Sensoriale e Valorizzazione dei Prodotti di SRPoA
l’analisi statistica multivariata e le più moderne tecniche di consumer science. Studia inoltre la percezione edonica dei consumatori; identifica i driver di gradimento dei prodotti e il loro profilo emozionale e determina la segmentazione dei consumatori attraverso lo sviluppo di mappe di preferenza”.
Il settore collabora attivamente con i consorzi di tutela delle tre DOP e svolge attività di formazione e affiancamento, per la costituzione e l’addestramento di panel interni, alle principali aziende del comparto lattiero-caseario regionale.
Oltre alle attività svolte nell’ambito della qualità sensoriale dei prodotti, il settore applica tecniche di analisi molecolari in Real Time PCR per identificare le eventuali adulterazioni, come ad esempio l’aggiunta di latte caprino e/o bovino in latte di pecora destina-
to alla caseificazione in cui il disciplinare prevede l’utilizzo di solo latte ovino. L’insieme di tutte le attività del SPRoA hanno l’obiettivo di garantire alle produzioni regionali una qualità che renda i prodotti competitivi nei mercati globali: “I maggiori costi di produzione del sistema sardo,” conclude Piras, “possono essere bilanciati, infatti, solo da produzioni di qualità, riconoscibili e uniche, capaci di coniugare gli elementi tradizionali con le esigenze del consumatore moderno”.
» Cluster bottom-up “La diversificazione di prodotto nell’ambito del Pecorino Romano DOP (POR-FESR 2014-2020);
» Cluster bottom-up “Sviluppo di nuovi prodotti nel settore agroalimentare - Contaminazioni: formaggi freschi al gusto di Sardegna (POR-FESR 2014-2020);
» “IDOLI - Innovation in Dairy and Olive Industry” (POR-FESR 2014-2020);
» “BioMilkChina - Business Intelligent” Organic milk for the Chinese market (POR-FESR 2014-2020);
» “Canestrum casei - Development of a synergy model aimed to Qualify and Valorize the Natural Historic Cheese of Southern Italy in the Sicilian, Sardinia, Calabria, Basilicata and Campania regions” (AGER);
» “MicroBioDiverSar – Conservazione, tutela e valorizzazione dell’agrobiodiversità microbica della Sardegna” – Finanziamento Mipaaf, Fondi Legge 194/2015 Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità’ di interesse agricolo e alimentare (annualità 2018-2020);
» Microbiodiversità Sardegna – MiBioS (MIPAAF Legge 194/2015, annualità 2020-2021);
» “Sviluppo di una nuova tipologia di formaggio ovino o caprino destinato ai giovani consumatori (youth-friendly)” (L.R. 07/2007, annualità 2019);
» Val.Ide.S. - “Valorizzazione e tutela dei sistemi di produzione agroalimentare Identitari del centro Sardegna – Val.Ide.S. - Primo contributo (L.R. 07/2007, annualità 2020);
» “FORBIO - Formaggi bio” (Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, Sottomisura 16.2);
» “ABISSO” (Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, Sottomisura 16.2)
Benefici per la salute, i prodotti fermentati interessano molto i consumatori europei, tanto che il mercato continua ad aumentare sia a volume che a valore. Problemi ancora da risolvere a livello normativo sul riconoscimento della categoria
Il 7° Simposio IDF sulla Scienza e la Tecnologia del Latte Fermentato (IDF Symposium on Science and Technology of Fermented Milk) si è tenuto lo scorso 29 e 30 novembre. Si è trattato di un simposio virtuale, in cui sono state presentate le ultime ricerche e innovazioni di prodotto nel settore del latte fermentato, allo scopo di informare e attrarre il mondo accademico e la ricerca, le aziende e le autorità di regolamentazione. Una cospicua parte del simposio ha riguardato le proprietà salutistiche di yogurt e dei latti fermentati e il crescente interesse da parte dei consumatori nei confronti di questi prodotti.
Rosanna Pecere, Direttore Esecutivo di IPA (International Probiotics Association) Europa, durante il simposio IDF, si è soffermata sullo stato dell’uso del termine “probiotico” nei paesi europei e sui limiti normativi e ha presentato i risultati di un’indagine sui probiotici e la percezione del consumatore svolta in 8 paesi dell’UE. IPA riunisce produttori di colture probiotiche o alimenti probiotici, integratori, prodotti nutrizionali o terapeutici, allo scopo di promuovere i probiotici in Europa, ottenere l’accettazione del termine “probiotico” in tutta Europa come categoria definita, avviare un dialogo con tutte le parti interessate a livello europeo e mondiale per stabilire standard probiotici e linee guida volontarie. Rosanna Pecere ha detto che nel 2021, il mercato europeo degli integratori probiotici dell’UE valeva 1,4 mi-
liardi di euro (25% della vendita globale). Italia, Germania e Francia insieme rappresentano il 64% delle vendite in UE (775 milioni di euro). Per quanto riguarda gli yogurt probiotici, l’UE è il secondo mercato mondiale (5 miliardi di euro nel 2021), mentre rappresenta il 47% delle vendite mondiali di prodotti a base di latte acido. Il mercato europeo di yogurt naturale, aromatizzato e da bere con probiotici è al 2° posto, dopo l’Asia Pacifica. Sono stati raggiunti 5.001,5 milioni di euro nel 2021, a fronte di 4.674 milioni di euro nel 2018, con un aumento del 7,0%. Il mercato europeo di prodotti a base di latte acido era valutato 2.583,8 milioni di euro nel 2018 e ha raggiunto 2.936,1 milioni di euro nel 2021 (+13,63% di aumento).
Pecere ha posto l’accento sulla situazione normativa. Dal 2007 la maggior parte degli Stati Membri ha seguito gli orientamenti della Commissione Europea sull’attuazione del Regolamento 1924/2006. Sulla base della guida, la parola “probiotico” in quanto tale non può essere utilizzata nell’etichetta e nella comunicazione, anche se guida CE non è vincolante. Attualmente è possibile solo un’indicazione sulla salute sulla “digestione del lattosio” - indicazione art 13.1. Per
consentire l’indicazione, lo yogurt deve contenere almeno 108 CFU di microrganismi starter vivi (Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e Streptococcus thermophilus) per grammo (opinione positiva EFSA ID 1143, 2976). Al momento solo alcuni Paesi (Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Danimarca, Grecia, Italia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Spagna) consentono il termine probiotico nelle etichette di alimenti, bevande e integratori, con riferimento agli effetti nutrizionali/fisiologici oppure come denominazione della categoria. Altri paesi europei stanno considerando un approccio nazionale/europeo per identificare gli alimenti contenenti microrganismi probiotici (Francia, Romania, Svezia, Slovenia, Regno Unito). “I risultati positivi del mercato in Europa riflettono l’aumento dell’uso del termine ‘probiotico’ in diversi paesi europei. I probiotici sono sempre più popolari in Europa e ampiamente pubblicizzati su Internet”, ha affermato Rosanna Pecere. “L’indagine ha decretato che i consumatori europei amano i probiotici e vorrebbero saperne di più.” Gli obiettivi dell’indagine erano di valutare la comprensione da parte delle persone dell’offerta di probiotici attualmente sul
mercato, il loro uso di alimenti probiotici e integratori alimentari nella vita di tutti i giorni e su cosa i consumatori vorrebbero saperne di più. Sono stati presi in considerazione 8 paesi europei (Italia, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna, Polonia, Belgio, Germania e Svezia), 8.000 interviste, 1.000 consumatori dai 18 anni in su per paese rappresentativi della popolazione generale, da diverse aree geografiche, garantendo così un’equa distribuzione geografica. Risulta che le donne e gli uomini consumino probiotici quasi allo stesso modo. I probiotici sono popolari, tanto che anche le persone che non usano o acquistano i probiotici conoscono il termine, anche se le conoscenze sugli alimenti probiotici e sugli integratori alimentari variano da Paese a Paese. La maggior parte dei consumatori non si sentono però informati sui probiotici nei prodotti. In tutti i mercati testati, i consumatori vorrebbero vedere il termine “probiotico” indicato sulla confezione. Gli intervistati affermano che la loro principale spinta al consumo di probiotici è la salute e il benessere generale. L’indagine ha cercato anche di capire se la situazione normativa stia o meno influenzando il mercato europeo. Sembra di sì, in quanto i consumatori meglio informati vivono in Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Spagna: in questi paesi il termine “probiotici” è – parzialmente – consentito dalle linee guida/standard nazionali. Pecere ha affermato che “la mancanza di un quadro giuridico chiaro sui probiotici nell’UE non soddi-
sfa la domanda dei consumatori di una migliore informazione sui prodotti alimentari”. Secondo IPA Europe: “l’uso del termine ‘probiotico’ dovrebbe essere consentito sia sui prodotti alimentari che sugli integratori alimentari, dovrebbero essere stabiliti criteri adeguati a livello europeo per evitare confusione tra i consumatori. Ciò aiuterà a differenziare i microrganismi probiotici da altri microrganismi e i consumatori a fare scelte alimentari informate”.
Lo yogurt e il latte fermentato sono stati consumati per migliaia di anni nelle comunità intolleranti al lattosio. Lo yogurt è un alimento ricco di nutrienti: calcio, vitamina B12, proteine, riboflavina e fosforo. Dennis Savaiano, Professore di Scienza della Nutrizione alla Purdue University ha esposto il suo studio “Yogurt, latte fermentato fermentato e salute: una revisione sistematica” (Dennis A. Savaiano e Robert W. Hutkins Nutrition Reviews 2020 vol. 79(5):599-614)
in cui conferma l’associazione positiva tra il consumo di latte fermentato e la riduzione del rischio di cancro al seno, colorettale e T2D, il miglioramento del mantenimento del peso e della salute cardiovascolare, delle ossea e del tratto gastrointestinale. Savaiano ha posto però l’accento sul fatto che sono disponibili pochi studi di alta qualità relativi allo yogurt e al suo impatto sulla salute. Le limitazioni riguardano la difficoltà di distin-
guere l’effetto della densità dei nutrienti degli yogurt fermentati dal latte. Molti studi hanno utilizzato un confronto, altri no. Un altro fattore limitante è la selezione della popolazione su cui viene effettuata la ricerca. Un fattore di confusione negli studi di coorte e in altri studi basati sulla correlazione è che gli individui con una propensione verso diete sane possono semplicemente consumare più cibi fermentati. Pertanto, secondo Savaiano, è fondamentale condurre studi controllati e in cieco con popolazioni abbinate.
Chris Cifelli, vicepresidente del Consiglio nazionale lattiero-caseario per la ricerca sulla nutrizione USA, si è occupato del valore degli alimenti fermentati e dei microrganismi in essi contenuti, come fonte di microbi vivi attivi, migliorativi di gusto, consistenza e digeribilità. Inoltre, essi aumentano le concentrazioni di vitamine e composti bioattivi negli alimenti, rimuovono/riducono le sostanze tossiche o anti-nutrienti negli alimenti crudi, aumentano la sicurezza alimentare e la shelf life. Cifelli ha fatto notare che il consumo di yogurt è collegato a una migliore qualità della dieta e a maggiori assunzioni di nutrienti nei bambini e negli adulti. NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey), un programma di ricerca del National Center for Health Statistics per valutare la salute e lo stato nutrizionale di adulti e bambini negli Stati Uniti e per tenere traccia dei cambiamenti nel tempo, ha mostrato che i consumatori di yogurt assumono più fibre, calcio, magnesio, potassio e vitamina D. I dati NDNS (National Diet and Nutrition Survey), che valutano la dieta, l’assunzione di nutrienti e lo stato nutrizionale delle persone nel Regno Unito, hanno mostrato che un’ele-
La mancanza di un quadro giuridico chiaro sui probiotici non soddisfa la domanda dei consumatori di una migliore informazione sui prodotti alimentari
vata assunzione di yogurt è collegata a una maggiore assunzione di calcio, iodio e riboflavina nei bambini rispetto ai non consumatori. Entrambi gli studi hanno riportato che i consumatori di yogurt avevano una dieta di qualità superiore e migliori marcatori di salute metabolica. Una nuova revisione sistematica mostra che i latticini fermentati forniscono benefici per la salute. Esiste un legame diretto e causale tra il consumo di yogurt e la digestione e la tolleranza al lattosio. Sono state osservate associazioni positive tra i latticini fermentati e la riduzione del rischio di cancro al seno e al colon-retto, diabete tipo 2, malattie cardiovascolari e miglioramento del mantenimento del peso, salute delle ossa e del tratto gastrointestinale. Questi studi, secondo Cifelli, aprono le porte ad aree di opportunità future per i latticini fermentati. In particolare: miglioramento del sistema immunitario, interazione dell’asse intestino/cervello, la salute della pelle. Secondo una recente ricerca NDC, il 37% degli intervistati consuma cibi e bevande per migliorare o prevenire futuri problemi legati al sistema immunitario. Diversi studi hanno dimostrato che il consumo di yogurt può migliorare la salute intestinale ed extraintestinale e potrebbe essere utile per migliorare il malassorbimento del lattosio, trattare la diarrea infettiva, ridurre la durata e migliorare le risposte immunitarie e antinfiammatorie. Secondo una recente ricerca NDC, il 49% degli intervistati riguarda o cura la salute mentale ed emotiva e il benessere (stress, ansia, felicità). I latticini fermentati possono influenzare il microbiota e produrre esiti positivi per la salute direttamente legati all’asse intestino/cervello. I prodotti lattiero-caseari fermentati, secondo Cifelli, potrebbero essere apprezzati anche per il loro contributo positivo alla salute della pelle. La modulazione del microbioma con probiotici – come L. acidophilus da prodotti a base di latte fermentato – può
avere effetti benefici sull’omeostasi cutanea, sull’infiammazione cutanea, sulla crescita dei capelli e sulle risposte dei tessuti allo stress percepito. Tutto ciò a dimostrazione che i latticini fermentati hanno un grande potenziale per supportare le aree di interesse per la salute dei consumatori.
Anche Christophe Chassard, ricercatore dell’Università Clermont Auvergne e VetAgro-Sup, nel suo intervento si è soffermato sull’impatto sulla salute dei latti fermentati. Presentando diversi studi, ha posto l’accento sull’adattamento e la coevoluzione del cibo e dei batteri lattici intestinali, ma anche sull’impatto positivo sulla salute del latte crudo, dei formaggi e del microbiota del formaggio sulla salute intestinale. Attenzione posta anche sull’Azione COST PIMENTO “Promuovere l’innovazione dei cibi fermentati” CA 20128 (2021-2025). Si tratta di un progetto europeo (https://www.cost. eu/actions/CA20128/), che ha come obiettivo porre l’Europa all’avanguardia dell’in-
novazione sugli alimenti con microrganismi, promuovendo la salute, la diversità regionale e la produzione locale, contribuendo allo sviluppo economico e sociale nonché alla sovranità alimentare. Per rispondere a questa sfida, le comunità scientifiche e non devono unire le forze e co-costruire una visione multi-stakeholder e dinamica nel campo dei Fermented Foods (FF). Presenti in tutte le diete europee, i cibi fermentati (FF) occupano un posto strategico per i benefici che offrono in termini di nutrizione, sostenibilità, innovazione, patrimonio culturale e interesse dei consumatori. Il potenziale dei cibi fermentati per migliorare la salute umana, ma anche guidare l’innovazione alimentare e la produzione locale nei prossimi decenni è diventato molto rilevante. La sfida è quindi quella di collegare la comunità scientifica e le altre parti interessate che lavorano sui cibi fermentati. PIMENTO mira a far conoscere e supportare, con prove scientifiche, i loro benefici per la salute, costruendo un approccio rischi/benefici al fine di promuovere l’innovazione e rispondere alle aspettative delle diverse comunità europee.
All’inizio era solo un vasetto bianco da consumare saltuariamente durante la colazione e solo se si era a dieta. Adesso i vasetti di yogurt si sono moltiplicati
nei banchi frigo. Le occasioni di consumo si sono allargate alla merenda o anche ai pasti, abbinando lo yogurt a frutta o cereali. Nel frattempo lo yogurt ha visto mutare la sua
I maturatori o fermentiere assicurano il controllo dei parametri fondamentali per la trasformazione del latte in yogurt. Si adattano alle diverse realtà produttive e concorrono alla buona riuscita del prodottoStefania Milanello Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica
dolcezza. La quantità di zucchero negli anni è diminuita, la qualità del latte aumentata, così come quella della frutta, che alcuni produttori vogliono solo locale. Sul mercato sono disponibili yogurt non solo da latte vaccino, ma anche caprino, ovino e bufalino, con o senza lattosio. Cresce l’interesse dei consumatori per prodotti quali il kefir e lo yogurt greco. Si stanno ritagliando uno spazio importante nel mercato dello yogurt e dei latti fermentati anche le tipologie arricchite di proteine, in linea con il trend degli alimenti high-protein. Evoluzione nei gusti, ma anche interesse verso la sostenibilità. Sono sempre di più le aziende produttrici di yogurt che investono in packaging con più cartone e meno plastica o in vasetti di vetro più facilmente riciclabili. Il comparto di yogurt e latti fermentati, come detto, è vario. Nel mercato italiano la gran parte degli yogurt sono a coagulo rotto, ovvero il coagulo viene rotto da pale che agitano il prodotto al termine della coagulazione che avviene in fermentiere, prima dello scarico e del confezionamento. In crescita in questi ultimi anni anche il mercato dello yogurt compatto o a coagulo intero, in cui il latte, dopo essere stato pastorizzato, viene addizionato di fermenti e confezionato. La fermentazione avviene nel vasetto stoccato in opportune celle a temperatura costante fino al raggiungimento del valore di acidità voluto. Infine lo yogurt da bere è uno yogurt a coagulo rotto con un residuo magro più basso. Molto spesso evitata la fase di standardizzazione del latte e subisce un raffreddamento più spinto dopo la rottura del coagulo (fonte Assolatte). I latti fermentati sono prodotti grazie all’addizione di fermenti e altri ingredienti. In ogni caso per tutti questi prodotti viene mantenuta la catena del freddo a 4°C.
In commercio si possono trovare yogurt a coagulo rotto con differente contenuto di gras-
so: yogurt magro (< 1% di materia grassa), parzialmente scremato (1,5% - 2,0% di materia grassa), l’intero (>3% di materia grassa) e gli aromatizzati.
Per definizione, lo yogurt è il prodotto della fermentazione del latte da parte di due specifici batteri, il Lactobacillus bulgaricus e lo Streptococcus thermophilus, che trasformano il lattosio in acido lattico, senza formazione di siero, facendo coagulare il latte in seguito alla precipitazione della caseina. A questi ingredienti base possono essere aggiunti ingredienti ausiliari, come le puree di frutta, fibre e altri aromatizzanti (cereali, caffè, cioccolato, etc.). Durante la shelf life dello yogurt, i batteri lattici devono mantenersi vivi e vitali in quantità non inferiore a 10 milioni per grammo di prodotto.
Il latte viene innanzitutto trattato, ovvero preparato per la fermentazione, quindi pastorizzato e aggiustato per titolo di grasso. Se previsto, la linea consta anche di un turbomiscelatore per aumentare la sostanza secca, mediante concentrazione latte o dissoluzione di polveri nel latte. Il livello di concentrazione dipende dal prodotto finale; in media si va dal 15% per gli yogurt aromatizzati alla frutta, al 30% per quello naturale magro. La concentrazione del latte può avvenire in diversi modi: per evaporazione con ricircolazione forzata in camera del vuoto, grazie alla sottrazione di umidità dovuta a rilascio di vapore acqueo, per evaporazione a multiplo effetto e per piccoli volumi produttivi, per separazione con membrane, che separano la sostanza secca (permeato) dal resto del latte (ritentato). Il lat-
te viene trattato termicamente (90-95°C) con scambiatori a piastre, non solo per essere sanificato, ma anche per denaturare le proteine e quindi trattenere umidità, omogeneizzato, tipicamente con un omogeneizzatore a doppio stadio, con pressioni che possono superare i 200 bar, e mandato in fermentatori o maturatori in cui avviene la fermentazione e quindi la coagulazione. Infine lo yogurt ottenuto viene raffreddato, eventualmente aromatizzato e confezionato.
Macchinari fondamentali per la produzione di yogurt, le fermentiere o maturatori sono dei serbatoi in cui il latte, adeguatamente trattato e preparato, entra ad alta temperatura (9095°C) per sanificarne le pareti e poi condizionato a 42-43°C per ricevere i fermenti lattici, che opereranno la fermentazione lattica. La fermentazione necessita di almeno 4-5 ore. In questo lasso di tempo il lattosio, contenuto nel latte, viene parzialmente trasformato in acido lattico, che abbassa il pH a 4,2-4,5, per favorire la coagulazione delle proteine. Il coagulo viene rotto all’interno della fermentiera grazie a degli agitatori, senza che vi siano grumi o separazione del siero. Lo yogurt a questo punto viene raffreddato per bloccare l’attività fermentativa dei batteri lattici e il conseguente abbassamento del pH. Il raffreddamento può avvenire quando lo yogurt si trova nel maturatore, con una camicia di acqua gelida o grazie a uno scambiatore di calore.
Le fermentiere consentono non solo di ottenere yogurt, ma anche la preparazione di latte-
Le fermentiere consentono non solo di ottenere yogurt , ma anche la preparazione di latte-innesto , siero-innesto , per la produzione di formaggi tipo grana e la maturazione della panna
innesto, siero-innesto, per la produzione di formaggi tipo grana e la maturazione della panna. Entrando nel dettaglio delle fermentiere, esse sono serbatoi dotati di camicia acqua gelida, scarico attraverso pompe di trasferimento, preferibilmente a lobi, in grado di lavorare a basse pressioni e bassi numero di giri, agitatore per mescolare latte e fermenti e rompere successivamente il coagulo, pHmetro per il monitoraggio dell’acidità. Per quanto riguarda le fermentiere, le possibilità di scelta sul mercato sono molte, tra dispositivi che lavorano in batch e in continuo. Tutte devono essere realizzate secondo la Direttiva Macchine (Direttiva 2006/42/CE) e i relativi requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute.
Sul mercato sono disponibili maturatori costituiti da serbatoi cilindrici ad asse verticale in acciaio inox AISI 304 con fondo bombato, boccaporto apribile e camicia, che possono servire per la circolazione di acqua calda per la pastorizzazione, il mantenimento della temperatura e il raffreddamento. L’agitatore verticale può essere ad esempio a pale radenti, munito di un dispositivo di lavaggio in modo da elimi-
nare residui di prodotto e sanificare il serbatoio per il processo produttivo successivo. I fermentatori automatici funzionano con ricette preimpostate da un operatore attraverso PLC, in cui vengono programmate tutte le operazioni quali la pastorizzazione del latte, il mantenimento della temperatura di incubazione, la fermentazione per il tempo stabilito, la velocità di raffreddamento, la programmazione del lavaggio a riciclo etc. Gli impianti possono essere dotati anche di una stazione di miscelazione con puree di frutta o altri ingredienti aromatizzanti. Le fermentiere hanno capacità diverse da pochi litri di latte a migliaia. Nelle piccole fermentiere il riscaldamento avviene il più delle volte a bagnomaria, grazie a una camicia in cui passa acqua calda. Il raffreddamento può essere realizzato automaticamente tramite un’elettrovalvola di ingresso acqua di rete comandata dal PLC oppure utilizzando acqua gelida proveniente da un impianto esterno. Il riscaldamento e il mantenimento della temperatura avvengono grazie a una resistenza elettrica gestita dal PLC. Il PLC è in grado di effettuare una registrazione grafica della curva reale tempo – temperatura anche per più fer-
mentiere, impostare cicli di pausa – lavoro per ogni agitatore, il trasferimento di una quantità prefissata di prodotto, tenere sotto controllo il buon funzionamento dell’impianto e la registrazione degli allarmi.
Le fermentiere possono essere fisse o mobili. Nel primo caso sono montate su piedi regolabili. In genere si tratta di fermentiere cilindriche verticali a doppia parete con fondi conici. Il coperchio apribile consente l’ispezione. La capacità è variabile, pochi litri e da 2-5000 l a seconda che si abbia a che fare con fermentiere mobili o fisse. In commercio ci sono anche fermentiere per la fermentazione simultanea di più lotti di prodotti. In queste fermentiere è possibile riempire diversi scomparti, con modalità di fermentazione diverse.
I maturatori sono provvisti di agitatori che lavorano a velocità di rotazione variabile. Essi possono essere di diversi tipi: a pale, tubolare con circolazione dei fluidi di riscaldamento o raffreddamento, a “U” per una rottura ottimale del coagulo dello yogurt. I gruppi lisciatori-miscelatori hanno anche lo scopo di eliminare i grumi dello yogurt e miscelare la frutta e lo zucchero, eventualmente aggiunti, prima del confezionamento. Le aziende produttrici stanno ponendo particolare attenzione al motoriduttore e alla struttura stessa dell’agitatore, al fine di ridurre al minimo i consumi energetici ed evitare riscaldamenti. Le tipologie e il design degli agitatori sono studiati per tenere conto sia della tipologia di prodotto che della geometria del serbatoio. Nei maturatori sono presenti anche di misuratori di livello, che fanno sì che l’agitatore funzioni esclusivamente quando interamente coperto dal prodotto e non a vuoto. Inoltre, aiutano a regolare il livello di riempimento del serbatoio, dando segnali sul livello ottimale di prodotto al suo interno. Ne sono un esempio i sensori radar o i misuratori di livello a interruttore a vibrazione. Questi ultimi sono precisi, lavorano a diversi valori di temperatura, pressione e densità del prodotto da misurare e non necessitano di taratura.
Tradurre in operatività il piano di controllo delle materie prime, dei prodotti intermedi e finiti è uno dei momenti più importanti per chi gestisce gli aspetti del controllo qualità, al fine di minimizzare i rischi legati alla sicurezza alimentare, ai costi e ai tempi di rilascio dei lotti. Il software AYAMA agevola le attività di predisposizione dei piani di controllo e facilità le attività di raccolta e valutazione dei dati analitici fornendo una base sicura per la rivalutazione periodica del piano di controllo.
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Storico formaggio del Friuli, il Montasio mantiene la ricetta pressoché originaria. Il latte, la cui provenienza è controllata dal Consorzio di Tutela, viene trasformato in Montasio utilizzando una tecnologia rispettosa della flora microbica naturalmente presente
Martina Halker Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientificaIl Montasio DOP è un formaggio alpino prodotto esclusivamente con latte bovino. Il latte viene prodotto e trasformato in Montasio DOP solo nel Friuli, precisamente
nelle province di Udine, Pordenone, Gorizia e Trieste, e nel Veneto orientale, ovvero nelle province di Belluno e Treviso, e in alcune aree delle province di Padova e Venezia. Il formaggio Montasio deve il suo nome al massiccio dello Jôf Montasio situato in Friuli, fra Italia, Austria e Slovenia. All’inizio del millennio, il formaggio alpino era un modo per immagazzinare un prodotto facil-
mente deperibile, come il latte, per i periodi di nulla o scarsa produzione. In particolare, il Montasio nasce verso il 1200 nelle vallate delle Alpi Giulie e Carniche grazie ai frati Benedettini. A Moggio Udinese (sul versante nord del Montasio) si trova il convento, oggi utilizzato dalle suore Clarisse, in cui probabilmente vennero affinate e riportate le varie tecniche di produzione proprie dei mal-
ghesi della zona. Questa tecnologia produttiva trovò ben presto una notevole diffusione nelle vallate di tutta la Carnia e nella Pianura Friulano-Veneta. I primi documenti che riportano la dicitura “Formaggio Montasio” sono i prezziari della città di San Daniele, datati 1773, che stabiliscono il prezzo del Montasio di molto superiore alla media degli altri formaggi. Da quel momento il Montasio è sempre stato presente in tutti i documenti mercantili dell’Italia nord-Orientale. L’impulso alla produzione del Montasio, così come lo conosciamo oggi, avvenne dopo il 1923, anno in cui nasce a opera di Enore Tosi, tecnico della Camera dell’Agricoltura di Udine, la scuola per casari di San Vito al Tagliamento, rimasta aperto fino al 1981. A difendere e tutelare la produzione e il commercio del formaggio Montasio, l’uso della sua denominazione, a salvaguardarne la tipicità e le peculiari caratteristiche, ci pensa il Consorzio per la Tutela del Formaggio Montasio, costituito da allevatori, caseifici e stagionatori, nato il 20 novembre 1984. Il 10 marzo 1986, con decreto del Presidente della Repubblica, il formaggio Montasio ha ottenuto il riconoscimento D.O. - Denominazione d’Origine. Nel 1996, l’Unione Europea, con il Reg. CE 1107/96, ha riconosciuto il Montasio prodotto DOP.
La ricetta è rimasta pressoché quella originaria. Il latte, la cui provenienza è controllata dal Consorzio di Tutela, viene trasformato in Montasio utilizzando una tecnologia rispettosa della flora microbica naturalmente presente. Per questo non viene pastorizzato. Per guidare la fermentazione si utilizza un innesto a bassa acidità ottenuto in caseificio, facendo fermentare il latte a temperature di 42/44°C. Tutto questo favorisce la moltiplicazione dei fermenti naturali e originali del latte, che sono il risultato dell’unione dei tre fattori fondamentali: l’aria, il fieno e le vacche.
La tecnologia classica di lavorazione prevede la raccolta, in due momenti differenti, delle due munte, con successiva spannatura del latte della sera. Il latte è quindi posto in caldaie, normalmente di rame, al quale viene aggiunto il lattoinnesto, in ragione di 0,5/1 Kg per cento litri. Si riscalda a una temperatura di 32/34°C, e quindi si aggiunge il caglio bovino, in polvere o liquido, ottenuto dall’essiccazione degli stomaci dei vitelli scolostrati. Dopo circa 20/25 minuti di coagulazione, la massa gelatinosa viene tagliata, utilizzando un apposito strumento, la lira (prende nome dalla forma dello strumento musicale caro a Nerone). I granuli ottenuti hanno le dimensioni di un chicco di riso. Si inizia quindi la fase di riscaldamento in
cui la temperatura della massa viene portata a 42/48°C.
Sempre rimestando, si svolge poi la cottura o spinatura fuori fuoco, fondamentale per ottenere un rassodamento, con espulsione del siero, dal chicco di cagliata. Dopo circa 20/30 minuti si procede all’estrazione del Montasio con tele di cotone. I fagotti si pongono nelle caratteristiche fascere, che riproducono il marchio di origine, la data di produzione e il casello; quindi si pressano per sgrondare il siero e dargli caratteristica forma.
Dopo circa 24 ore il formaggio viene posto in salamoia, per un periodo di 48 ore circa. Dopodiché, il formaggio può subire un’ultima salatura a secco e viene posto nei magazzini a stagionare.
Il Montasio DOP è un formaggio a pasta cotta, semidura. È salato a secco oppure in salamoia leggera con completamento a secco. Le sue caratteristiche organolettiche si evolvono con la stagionatura, il sapore, quando il formaggio invecchia, si trasforma. La forma intera deve avere un peso tra 5,5 e 8 kg, un diametro di 27-35 cm e uno scalzo massimo di otto centimetri. Dal
gusto di latte delle forme più giovani, si passa via via a un sapore più deciso con
note aromatiche di sapidità. Parallelamente, la pasta del Montasio, da morbida, diventa friabile. Il Montasio DOP si può gustare fresco, dai 60 ai 120 giorni di stagionatura; semistagionato, da 120 giorni a 10 mesi di stagionatura; stagionato, fino a 18 mesi di stagionatura e stravecchio, con oltre 18 mesi di stagionatura. La pasta del Montasio presenta la caratteristica occhiatura che risulta essere omogenea su tutta la sezione, con occhi di piccola grandezza, regolari e lucidi all’interno.
Nel Montasio fresco la crosta è liscia, elastica e compatta e di colore marron chiaro; la pasta è compatta bianca o giallo paglierino. Consumato mezzano (da 4 a 10 mesi di stagionatura) presenta un gusto particolarmente pieno, caratterizzato da una sapidità unica, propria dei prodotti naturali. La struttura inizia a diventare più friabile, pur mantenendo una buona consistenza. Il colore della pasta tende a diventare giallo paglierino con la formazione di un piccolo dente.
L’aroma diventa significativo e improntato a una schiettezza propria del prodotto. Man mano che aumenta il periodo di stagionatura la crosta si fa più secca e la pasta diviene granulosa e friabile. Nello stagionato da oltre 10 mesi e nello stravecchio (con più di 18 mesi di stagionatura) l’occhiatura assume sempre minore importanza. Il colore della pasta diventa giallognolo e la crosta assume un colore marrone chiaro. Il sapore è piacevolmente piccante, senza mai diventare fastidioso o inopportuno per il palato.
Le caratteristiche organolettiche si evolvono con la stagionatura , il sapore, quando il formaggio invecchia, si trasforma
Il Montasio DOP può essere gustato a tutte le età. Facile da digerire, è indicato per i bambini e per gli anziani. Ha un alto valore nutritivo: 32-36% di acqua, 32-34% di lipidi, 24-26% di proteine. Inoltre, è privo di lattosio.
Dopo numerose analisi è emerso che nel formaggio Montasio il lattosio è presente con valori inferiori a 0,01 grammi per 100 grammi di formaggio, oltre 10 volte in meno del limite previsto dalla normativa nazionale e comunitaria (0,1 grammi per 100 grammi di formaggio).
Quando tutta la filiera produttiva, dall’alimentazione delle bovine alla materia prima e alle fasi di trasformazione e stagionatura, avviene in territorio montano, il Montasio DOP si può fregiare della denominazione PDM ossia “Prodotto di Montagna”, mentre se il formaggio è prodotto con il latte della sola razza Pezzata Rossa compare la sigla “PR”. Il Montasio PDM permette di identificare un legame indissolubile con il territorio, e che si rinnova ogni anno in Malga Montasio, con la festa della monticazione, la prima fase della transumanza, ovvero il trasferimento degli animali dalla pianura ai pascoli in montagna. Malga Montasio è situata sulle Alpi Giulie, tra le cime del massiccio del Canin e del Montasio tra i 1500 e i 1800 m. La monticazione avviene nel mese di giugno, tradizionalmente il 13, festa di Sant’Antonio da Padova. Sull’Altopiano del Montasio vengono monticate circa 300 bovine provenienti da diverse aziende zootecniche regionali, di cui 130 circa sono bovine da latte e le restanti sono manzette e manze. I pastori guidano durante il giorno le bovine sui pascoli, prima in quelli situati alla quota più
bassa (a circa 1.500 m) nelle vicinanze delle stalle, poiché sono i primi a raggiungere il giusto grado di maturità. All’avanzare della stagione si sale gradualmente di quota (fino a 1.700-1.800 m). Se la buona stagione si prolunga a sufficienza è possibile concludere il periodo di monticazione facendo ritorno sui pascoli bassi. Ai pasto-
ri spetta il compito non solo di guidare la mandria, ma di capire quando un’area è stata pascolata a sufficienza. In Malga Montasio, gli animali permangono sul pascolo giorno e notte (pascolamento integrale) grazie ad aree appositamente recintate e a una zona arborata che consente loro di trovare riparo in caso di temporali
sformano quotidianamente il latte conferito dalle 867 aziende zootecniche dislocate in tutto il Friuli Venezia Giulia e parte del Veneto Orientale. Secondo dati del Consorzio di tutela, nel 2021 sono state più di 860 mila le forme vendute per un fatturato al consumo di oltre 60 milioni di euro; a registrare una crescita particolarmente significativa è il formaggio Montasio PDM - Prodotto di Montagna con un +56%. Positivo anche il 2022, grazie alle 638.265 forme di Montasio DOP, prodotte da gennaio a ottobre.
Il Consorzio mira ad accrescere il valore, la notorietà e a rafforzare la reputazione del Montasio, con attività di marketing e comunicazione con le principali catene della GDO e delle gastronomie della Lombardia e dell’Austria.
Un lavoro che continuerà per aprire ulteriori spazi di mercato e collocare il Montasio DOP a un prezzo sufficientemente remunerativo.
Il Consorzio lavora anche allo sviluppo del Progetto “Quality Gold”, il marchio di qualità “superiore” impresso a fuoco da parte degli esperti del Consorzio di tutela dopo 100 giorni di lenta e controllata stagionatura e una severa verifica dei parametri di qualità.
notturni. Dopo la mungitura serale gli animali vengono guidati verso i pascoli notturni e all’alba vengono riaccompagnati verso la stalla in attesa della mungitura del mattino. La pratica del pascolamento integrale ha effetti positivi sulle bovine, che possono sfruttare meglio il pascolo e non risentono degli effetti negativi della stabulazione notturna.
Oggi il Consorzio è formato da 42 caseifici produttori e 15 stagionatori che tra -
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Dal 26 al 28 settembre 2023 i protagonisti del settore si incontrano per discutere dei temi cruciali e delle principali sfide che attendono il mondo della produzione alimentare
La delega delle autorità competenti a organismi di controllo privati in Italia è una realtà da molti anni.
Il nuovo reg. UE 625/2017 ribadisce l’istituto, ammettendo appunto la delega a uno o più organismi delegati o persone fisiche, nell’osservanza di specifiche condizioni e previa verifica della sussistenza dei necessari requisiti.
Una volta decisa la delega, l’autorità (in base all’art. 28 del citato Regolamento) “attribuisce un numero di codice a ciascun organismo delegato, e designa le pertinenti autorità responsabili dell’approvazione e della supervisione di tali organismi delegati”.
Il successivo art. 33 prevede che le autorità competenti, al fine di controllare l’operato degli organismi delegati, “a) organizzano audit o ispezioni di tali organismi o persone, per quanto necessario ed evitando duplicazioni, tenendo conto di tutti gli accreditamenti”.
Si tratta di una disposizione significativa volta assicurare uniformità ed efficacia dell’attività di vigilanza su tutto il territorio nazionale. In esecuzione di tale disposizione il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha emanato il decreto del 3 febbraio 2023 recante “Sistema nazionale di vigilanza sugli organismi di controllo e certificazione delle produzioni agroalimentari incaricati dal Ministero dell’agricoltura,
della sovranità alimentare e delle foreste”. Esso abroga il precedente DM 16 febbraio 2012 che disciplinava già la materia.
In primo luogo, è necessario considerare l’ambito di applicazione del decreto, riferito, tra gli altri, al mondo del biologico e delle denominazioni di origine che – come noto – sono produzioni certificate.
La norma ci ricorda infatti che si intende per: “b) produzioni agroalimentari certificate: le produzioni agroalimentari per le quali è previsto un sistema di controllo e certificazione ad opera di un organismo di controllo e certificazione incaricato dall’autorità competente;
c) organismo di controllo e certificazione: soggetto pubblico o privato, terzo e indipendente, incaricato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste a svolgere servizi di valutazione della conformità per le produzioni agroalimentari certificate, accreditato alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012, se previsto dalle norme di riferimento”.
Garantire l’autonomia, la struttura e la capacità di effettuare controlli da parte degli organismi privati è estremamente importante per l’operatore che fa affidamento sulle certificazioni di tali organismi e che, peraltro, subisce conseguenze a causa di eventuali non conformità da questi rilevate: tra cui, tra le più significative, declassamenti, sospen-
sioni delle certificazioni nonché esclusione dal sistema.
Tali non conformità del resto hanno significativi riverberi sulla filiera, andando a incidere anche sulle produzioni degli operatori a valle, con conseguenze talvolta molto impattanti sotto il profilo dei danni economici e commerciali.
In tale contesto, si pone l’art. 4 del citato decreto che ribadisce come: “La vigilanza ha lo scopo di verificare il possesso e il mantenimento dei requisiti normativi, organizzativi e gestionali previsti per il rilascio dell’autorizzazione a operare quali organismi di controllo e certificazione nonché di verificare l’efficacia e l’efficienza dei sistemi di controllo”.
Tale controllo viene svolto tramite audit diretti a verificare che non ci siano carenze di requisiti e carenze nell’operato degli organismi di controllo e certificazione e, se queste carenze si sono verificate, che siano stati adottati idonei correttivi.
Un elemento particolare è dato dall’esigenza di garantire il coordinamento delle autorità competenti sugli organismi di controllo che, si ricorda, sono soggette ad autorità diverse sia per competenza che per territorio, e potrebbero inoltre avere approcci diversi con evidenti possibili problematiche di gestione da parte dell’organismo di controllo.
Pertanto, nel rispetto dell’autonomia decisionale e degli ambiti territoriali e settoriali di competenza, il decreto richiede che le autorità competenti programmino, svolgano e monitorino l’attività di vigilanza, assicurandone il coordinamento e contribuendo alla programmazione, allo svolgimento e al monito-
Studio Legale Gaetano ForteLe autorità competenti devono programmare, svolgere e monitorare l’attività di vigilanza, assicurandone il coordinamento
raggio dell’attività di vigilanza partecipata. L’ente preposto è il Comitato nazionale di vigilanza, istituito presso l’ICQRF, che è composto dall’ispettore generale capo con funzioni di presidente, dal direttore generale competente in materia di vigilanza, con funzioni di vicario; dal dirigente dell’ufficio competente in materia di vigilanza; da un rappresentante di ciascuna regione e provincia autonoma o da un suo sostituto, in assenza del titolare.
Il comitato svolge i seguenti compiti:
a) definisce e approva entro il 31 dicembre di ciascun anno il programma annuale di vigilanza partecipata e, eventualmente, l’attività non partecipata;
b) elabora e approva le linee guida, le procedure e le istruzioni operative per lo svolgimento dell’attività di vigilanza partecipata;
c) esamina le risultanze dell’attività di vigilanza svolta dalle autorità competenti sulla base del programma annuale di cui alla lettera a);
d) redige una relazione annuale sulla vigilanza partecipata svolta;
e) propone e organizza programmi formativi comuni per le autorità competenti;
f) esamina aspetti normativi specifici che hanno impatto sull’attività di vigilanza;
g) propone interventi evolutivi del sistema informativo banca dati vigilanza.
La programmazione ed esecuzione dell’attività di vigilanza deve essere definita entro il mese di novembre di ogni anno e deve individuare, per ambito certificato, gli organismi di controllo e certificazione, la/e autorità incaricata/e dello svolgimento della vigilanza annuale e la ripartizione delle attività tra le autorità competenti.
Se le autorità competenti, nel corso della vigilanza, riscontrano delle situazioni critiche che possono pregiudicare l’affidabilità del sistema di controllo e certificazione o l’affidabilità dell’organismo di controllo e certifi-
cazione, trasmettono gli esiti della vigilanza alla direzione generale competente.
Un aspetto significativo al fine del coordinamento è la Banca dati vigilanza, in cui sono inseriti gli esiti dei controlli, disponibile sull’infrastruttura Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), la quale è accessibile da parte delle autorità competenti per l’attività di vigilanza.
Questa deve garantire un adeguato livello di interoperabilità con altri sistemi informativi pubblici contenenti informazioni in materia di produzioni agroalimentari certificate utili ai fini della vigilanza, in modo da permettere il coordinamento delle attività che costituiscono l’obiettivo stesso del decreto.
Nell’ambito delle attività di vigilanza, gli organismi di controllo sono soggetti a non conformità definite nelle relative normative applicabili.
Sono previste sanzioni amministrative anche afflittive, laddove la struttura non adempia alle prescrizioni o agli obblighi impartiti dalle competenti autorità pubbliche, ovvero nel caso di strutture che continuano a svolgere attività incompatibili con il mantenimento del provvedimento autorizzatorio non
ottemperando a specifiche intimazioni. Ma indubbiamente i provvedimenti sanzionatori più importanti sono rappresentati dalla possibilità di sospensione o dalla revoca del provvedimento autorizzatorio che, inevitabilmente, ha un impatto organizzativo e di gestione molto significativo sull’organismo di controllo.
Questo, in ogni caso, dispone dei mezzi di difesa previsti dal legislatore, tra cui la facoltà di opporsi alle sanzioni amministrative secondo le procedure della Legge 689/81 (scritti difensivi ed eventuale opposizione a ordinanza ingiunzione davanti all’autorità giudiziaria), nonché di impugnare avanti ai competenti organi giurisdizionali i provvedimenti di sospensione o revoca.
L’obiettivo del nuovo provvedimento, che abroga il vecchio DM 16.02.2012, è in linea con quanto previsto dal reg. UE 625/2017, di assicurare una più strutturata e coordinata vigilanza nei confronti degli organismi di controllo e certificazione delle produzioni agroalimentari certificate, in vista di inutili duplicazioni di attività che hanno solo l’effetto di creare incertezza e difficoltà nello svolgimento di tale importante attività di controllo.
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Produzione di formaggi arricchiti con sottoprodotti dell’industria alimentare: focus sui formaggi a base di latte ovino processati con l’aggiunta di vinacce in Sicilia
*Corresponding Author:
Luca SettanniDipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Ed. 5, Università degli Studi di Palermo, Viale delle Scienze, 90128, Palermo, Italy
E-mail: luca.settanni@unipa.it
Abstract
Cheese production is a very ancient activity. Recently, producers and consumers found a growing need for diversification of dairy products. Furthermore, the current regulations for the disposal of by-products and the increasing awareness for the sustainability of food productions have stimulated innovation in the dairy sector that mainly led to the development of cheeses enriched with functional ingredients. However, the innovation mainly involved the transformation of cow’s milk. Regarding sheep’s milk transformation, some products have been made using
by-products of the food industries. This mini-review reports on dairy products made in Sicily with the use of by-products deriving from wineries. In addition to process and product innovation, this article also focuses on the sensory characteristics and antioxidant properties of the novel cheeses.
Key words:
J Ewe’s milk cheese
J Food by-products
J Grape pomace
J Lactic acid bacteria
J Antioxidant properties
Received: Dec 15, 2022
Accepted: Feb 14, 2023
DOI: 10.36138/STLC.02.2023.01
Riassunto
La produzione dei formaggi è un’attività molto antica. Recentemente, produttori e consumatori hanno mostrato una maggiore necessità di diversificare le produzioni casearie. Inoltre, le attuali normative per lo smaltimento dei sottoprodotti e la crescente consapevolezza della sostenibilità delle produzioni alimentari, hanno stimolato l’innovazione in ambito caseario che ha principalmente portato allo sviluppo di formaggi arricchiti con ingredienti funzionali. Tuttavia, tale innovazione ha coinvolto prevalentemente la trasformazione del latte bovino. Per quanto riguarda la trasformazione del latte ovino, alcuni prodotti sono stati realiz-
zati impiegando sottoprodotti delle industrie alimentari. La presente mini-review offre una panoramica relativa ad alcune produzioni casearie realizzate in Sicilia con l’impiego di sottoprodotti derivanti dalle aziende vitivinicole. Oltre all’innovazione di processo e di prodotto, questo articolo pone l’attenzione anche sulle caratteristiche sensoriali e sulle proprietà antiossidanti dei nuovi prodotti.
Parole chiave:
J Formaggi ovini
J Sottoprodotti dell’industria alimentare
J Vinacce
J Batteri lattici
J Proprietà antiossidanti
Cheeses are processed from a few main basic ingredients: milk, a clotting agent, fermenting microorganisms and salt. Different types of milk and coagulants can be used in cheese making. However, the different raw materials and their combinations are not enough to explain the high diversity of cheese products obtained. The transformation technology and, especially, the fermenting microbiota responsible for curd acidification and driving several biochemical events during ripening allow the development of numerous cheese typologies (1, 2).
Generally, the diversity of cheeses made from cow’s milk is higher than that obtained transforming sheep’s milk. Strictly looking at the 54 Italian cheeses that enjoy a quality status, such as protected denomination of origin (PDO) or protected geographical indication (PGI), only 12 cheeses are made exclusively from sheep’s milk (3). Ewe’s and goat’s milk cheeses are particularly important for rural development and local economy in Mediterranean countries. Traditions and experience in livestock production still persist in these rural areas and cheese process technologies belong to the cultural heritage of the indigenous populations (4). In Italy, the transformation of ewe’s milk into cheese enjoys a long tradition. However, ewe’s milk with or without a heat treatment is mainly transformed into “Pecorino” cheese. Indeed, the prefix Pecorino refers to a hard pressed-cooked cheese typology (5), but several local varieties are produced under this denomination in central and southern Italy regions. Sicily is undoubtedly one of the main region active in valorising ewe’s milk through its transformation in different cheese typologies; besides the production of ripened hard Pecorino Siciliano cheese (6), Pecorino “Primosale” is a traditional fresh-pressed ewes’ milk cheese made throughout Sicily (7), which is commonly consumed after a very short ripening time (8). Furthermore, in Valle del Belice area delimited by Agrigento, Trapani, and Palermo provinces (western Sicily), raw ewe’s milk is transformed into Vastedda cheese, a fresh stretched product that does not undergo any ripening step (9).
In order to expand the ewe’s milk dairy product portfolio of South Italy, barely limited to Pecorino cheese typology, academic institutes and private industries recently focused on the development of novel cheeses to encounter the approval by consumers not addicted to eat hard Pecorino cheese varieties (10). Furthermore, in the last years, consumers’ demand for healthy and functional foods, their increasing awareness towards environmental issues and the general sustainability of food chains involved also cheese making and some cheeses have been processed with the addition of food by-products (11-14). Nowadays, there is a generalized attention to-
wards the principles of the circular economy of wastes applied in the European Union (15) and to the consumers’ request for food with no synthetic additives (16) perceived as “natural” and of high quality (17).
The present mini-review article reports on food by-products used in cheese making in Sicily, mainly focusing on the addition of grape pomace during transformation of sheep’s milk, the selection of starter lactic acid bacteria (LAB) able to perform the fermentation process of the curd enriched with grape pomace, and the main sensory and functional aspects of the final cheeses. Furthermore, future perspectives on the addition of functional by-products in cheese making are also provided.
All production processes, including food productions, generate wastes. Agro-wastes and food by-products determine negative environmental impacts when they are unmanaged (18). Waste and by-products disposal represents a cost for producers (19), especially because they must be disposed according to specific directives to prevent unpredictable and harmful effects (20). Actually, the term “by-product” is referred to a substance or object resulting from a production process the primary aim of which is not the production of that substance or object (21). Food by-products are a source of different bioactive compounds (22) that, after recovering, might be reused in food processing, e.g. in the fortification of different products (23). Thus, these by-products can be considered as raw materials and/or ingredients for food productions.
Directive 2008/98/EC (21) primarily regulates waste management at the EU level, but at the national level, the relevant legislation is the “Consolidated Bill for the Environment”. In particular, a substance, object or material deriving from a given production process is considered a by-product rather than waste within the meaning and for the purposes of Article 184-bis of the “Consolidated Act on the Environment” (24). To comply with the regime of by-products, a given substance must have four requisites: 1) be originated from a production process; 2) its reuse in the same production process must be certain; 3) must not undergo any further treatment; 4) the subsequent use is legitimate. Several by-products are used in food production in powder form. The peel of fruits such as banana, mango, apple, orange, lemon and citrus fruits, or vegetables such as potato, carrot and tomato (25) or pomace from grape (14) or berry fruits (26) is generally oven dried and milled. An example of the addition of by-products to cheeses is reported in Fig. 1.
The wine sector represents one of the driving food production for the Sicilian economy. The production of wine generates a large amount of by-products, namely grape pomace, with all their environmental and disposal issues (12). Regarding Sicilian dairy sector, particularly relevant for the regional sustenance, it is characterized by a low level of innovation; sheep breeding and transformation of ovine milk are still very traditional. For this reason, regional research institutes, wine making companies and dairy factories evaluated the possibility to valorize grape pomace and produce novel cheeses, thus pursuing a double objective: i) sustainable winery by-products disposal; and ii) production of functional cheeses.
LAB are the fermenting bacteria indispensable to transform milk into mature cheese (27); they carry out the acidification of the curd (starter LAB) and are the main microbial agents involved in the ripening process (non-starter LAB) (28). LAB are generally present in the dairy environment because they are associate to different sources, primarily the raw milk they inhabit due to the contamination of the udder surface, of the milking procedures, milking equipment and stable environment. LAB contamination also occurs during milk transport, through its contact with the vat surfaces, and handling by the cheese makers (29-31). However, not all LAB naturally present in milk or those associated to the dairy factories show dairy aptitudes (32). For this reason, LAB characterization is necessary to select starter LAB for cheese making applications (33). In case of by-product added cheeses, LAB selection cannot neglect
the release of bioactive compounds from the by-products; indeed, these compounds can exert an inhibitory effect on the microbial agents necessary for the fermentation process. To this purpose, grape pomace is a source of polyphenols (34), even after powdering (12), exerting antimicrobial activity (35,36).
LAB selection for application in polyphenol enriched cheeses can be performed following two general strategies: i) isolation of LAB from plants naturally characterized by high concentrations of polyphenols; ii) evaluation of dairy LAB resistance to the main polyphenols released by the food by-products to be added. Gaglio et al. (37) followed the first approach isolating LAB from Salvia officinalis and Laurus nobilis in view of their application in aromatic herb added cheese productions. This approach was not successful; the researchers barely isolated a few LAB strains belonging to the species Enterococcus faecium, Enterococcus mundtii, Enterococcus raffinosus and Leuconostoc mesenteroides and they showed very limited dairy aptitudes. Based on these results, Barbaccia et al. (38) isolated LAB from fermented raw ewe’s milk previously added with the main grape polyphenols (cathechin, epicatechin, epigallocathechin, quercetin, rutin, syringic acid, vanillic acid, cumaric acid and caffeic acid). This approach was useful to investigate only the dominant LAB for their capacity to resist to the polyphenols generally transferred by grape pomace. The results showed the isolation of several strains of Lactococcus, Leuconostoc, Enterococcus, Streptococcus, and Lactobacillus, but only Lactococcus lactis and Leuconostoc mesenteroides, generally recognized as starter LAB (39) were further characterized for their dairy traits. That work led to the selection of
four L. lactis strains (Mise36, Mise94, Mise169 and Mise190) that displayed potential for application in cheese production in presence of grape pomace.
The efforts to differentiate Sicilian ewe’s cheese productions led to the use of powdered grape pomace, a processed by-product deriving from the local cultivar Nero d’Avola, as ingredient for the processing of different ewe’s milk cheeses. This ingredient is rich in phenolic acids, flavan-3-ols and flavonols as shown in Fig. 2 and was added at 1% (w/w) to the curd to produce fresh Primosale and Vastedda cheeses (13, 14). Both cheeses were produced with lactococci resistant to grape phenolic compounds. As expected, the addition of grape pomace powder did not alter the evolution of starter cultures inoculated individually. The comparison was performed with control productions carried out with the same strains without
the addition of powdered grape pomace. Starting from an inoculation level of 107 CFU/mL in pasteurized ewe’s milk, all L. lactis strains (Mise36, Mise94, Mise169 and Mise190) developed until 109 Log CFU/g, after approximately 24 h. The persistence of the strains and their dominance was verified by randomly amplification of polymorphic DNA (RAPD)-PCR technique. This technique is rapid and easy to perform and allows to recognize the added strains over time simply by direct comparison of the RAPD profiles of the isolates from the highest dilutions of cell suspensions of curd and cheese samples with those of the pure cultures (40). This analysis was necessary because thermoduric indigenous milk LAB have been identified from ewe’s milk after pasteurization (41). After 15-day refrigerated storage of Vastedda cheeses and 1-month refrigerated storage of Primosale cheeses, the levels of starter LAB diminished alike for control and experimental cheeses, confirming that the addition of grape pomace did not affect the microbial evolution in both cheeses. A similar behavior was also registered in
presence of the commercial starter cultures LYOBAC-D NT (Alce International srl, Quistello, Italy) containing defined L. lactis strains, during the production of Primosale cheeses (11). That study confirmed a certain suitability of grape pomace powder to be added in cheese making.
The insight into the functional aspects of Primosale and Vastedda cheeses manufactured with the addition of powdered grape pomace showed the high potential of this by-product to produce high added value cheeses. As a matter of fact, after in vitro gastrointestinal digestion, the novel cheeses were characterized by significant increased antioxidant activity and lipoperoxyl radical scavenger capacity than control cheeses. In particular, grape pomace added Vastedda cheeses showed a net rise of the reducing activity (+41%) in comparison with control cheeses. All reducing components released through the digestion of Vastedda cheeses were solubilized in the bioaccessible fraction and its reducing activity in the cheese containing grape pomace accounted for 175% of that measured in the corresponding control trial(14). Regarding Primosale cheeses, reducing compounds seemed to be completely portioned in the bioaccessible fraction and antioxidant capacity of this fraction from grape pomace enriched cheese was 60% higher than that registered for the control cheese(13). Both works demonstrated that polyphenols from grape pomace significantly boost antioxidant
properties of both Primosale and Vastedda cheeses, conferring to these cheeses the capacity to control oxidative stresses.
The addition of grape pomace powder greatly affected visual aspects and sensory properties of Primosale and Vastedda cheeses. Despite the unusual appearance of cheeses, due to the presence of dark purple particles (Fig. 3), tasters appreciated these novel cheeses, undoubtedly characterized by a higher intensity of odour and aroma, acidity and friability than control cheeses (13-14). In detail, both cheeses added with grape pomace showed an increase in odor and aroma intensity, acid perception, fiber, friability, adhesiveness and humidity than cheeses processed according to the traditional protocol. A similar behavior was reported by Costa et al. [42] and Lucera et al. [43], who enriched bovine Primosale cheese and spreadable cheese with white and red wine grape pomace, respectively. The judges also revealed differences among cheeses produced with different Lc. lactis strains; in particular, for both cheese typologies, the cheeses produced with the strain Mise94 were those more appreciated for their sensory traits. Very interesting data were provided by the general appreciation among young judges who are not the major consumers of hard cheeses made from ewe’s milk.
This mini-review focused on the recent developments in the ewe’s milk dairy industry. The beneficial aspects of functional foods might be pursued also with dairy products thanks to the application of by-products from the agri-food industry especially for their polyphenolic compound content. Among all, grape pomace in powder form is rich in polyphenols and
its inclusion in cheese production represents an optimal strategy for the valorization of ovine cheeses as well as winemaking industry by-products. The future perspectives of the dairy research in this field are focused on the exploration on the potential of other food by-products to generate well appreciated cheeses.
All authors declare that they have no conflict of interest inherent the present paper.
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Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente, Università degli Studi di Milano, Via Giovanni Celoria 2, 20125, Milano, Italia
*Corresponding author:
Paolo D’Incecco
Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente, Università degli Studi di Milano, Via Giovanni Celoria 2, 20125, Milano, Italia
E-mail: paolo.dincecco@unimi.it
Riassunto
La bactofugazione del latte per caseificazione consente di ridurre la carica batterica e di spore. In questo studio è stato valutato l’effetto della bactofugazione del latte, condotta a 39°C, sulle caratteristiche compositive e biochimiche di un formaggio a pasta dura prodotto da latte crudo.
A tal fine, sono stati confrontati formaggi sperimentali prodotti da latte bactofugato con formaggi di controllo. I formaggi sono stati analizzati a 9 e 15 mesi di stagionatura.
Dalle analisi è emerso che la bactofugazione del latte ha portato a una riduzione della resa casearia e a piccole differenze nella composizione dei formaggi. Inoltre, le forme sperimentali hanno mostrato sia una diversa proteolisi primaria, in
particolare nel rapporto α s-CN f(123)/α s(1+0)-CN, sia differenze nel profilo degli amminoacidi liberi accumulati nei formaggi. La bactofugazione del latte nelle condizioni considerate è stata in grado di determinare delle modifiche al processo proteolitico dei formaggi e alle sue caratteristiche distintive di tipicità. Per questo motivo l’introduzione di questa tecnologia in un processo produttivo tradizionale deve essere attentamente valutata
Parole chiave:
J Formaggio da latte crudo
J Bactofugazione
J Composizione formaggio
J Proteolisi
J Stagionatura
Received: Jan 03, 2023
Accepted: Feb 14, 2023
DOI: 10.36138/STLC.02.2023.02
Abstract
Bactofugation of cheese milk allows reducing both bacterial and spore counts. The aim of this research was to investigate the effects of milk bactofugation conducted at 39°C on the chemical composition and proteolysis progress of a raw-milk hard cheese. Experimental cheeses were produced at industrial level from bactofuged milk and were compared with control cheeses at 9 and 15 months of ripening. Milk bactofugation negatively affected cheese yield and caused minor differences in cheese composition. Proteolysis in experimental cheeses showed differences from that in control cheeses specifically involving the αs-CN f(1-
23)/αs(1+0)-CN ratio and the content of few free amino acids. This study indicated that low temperature milk bactofugation affects the proteolysis process of rawmilk hard cheese. Since proteolysis brings to a free amino acid composition that deeply characterizes hard cheeses at the end of ripening, the introduction of this technology into a traditional cheesemaking should be carefully evaluated.
Keywords:
J Raw milk cheese
J Bactofugation
J Cheese composition
J Proteolysis
J Cheese ripening
La bactofugazione (Tetra Pak, Sweden) del latte prevede l’impiego di una centrifuga, che opera ad alta velocità (8.000-10.000 g) e alla temperatura di 50-60°C, specificatamente progettata per allontanare cellule batteriche, spore (1) e cellule somatiche (2) per effetto della loro densità, dimensione e forma, in una frazione concentrata che viene espulsa a intervalli regolari (sparo o fango). La bactofugazione del latte destinato alla produzione di formaggi a pasta dura e semidura viene impiegata per rimuovere le spore dei Clostridi che possono causare l’insorgenza del difetto del gonfiore tardivo durante la stagionatura (3;4). Le condizioni operative per il processo di bactofugazione non sono compatibili con la produzione di formaggi da latte crudo, quali Grana Padano e Parmigiano Reggiano, per i quali la temperatura del latte non può superare i 40°C. Tuttavia, un recente studio (5) ha evidenziato che la bactofugazione del latte può essere condotta con successo anche a bassa temperatura (39°C) consentendo, nonostante la maggiore viscosità del latte, una rimozione delle spore del 96-98%. L’ottimizzazione delle condizioni operative rappresenta uno dei punti critici del processo di bactofugazione, soprattutto se condotta a bassa temperatura, poiché quest’ultima influenza l’efficienza di rimozione delle spore e la perdita di proteina nello sparo. Nello stesso studio è stato osservato che la bactofugazione del latte ha causato un effetto di rimozione prevalente dei batteri lattici di forma bastoncellare rispetto alle forme cocciche, andando così a determinare uno squilibrio nella popolazione microbica del latte. Considerando che i batteri lattici del latte crudo, indicati come non starter (NSLAB), hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della tipicità nei formaggi da latte crudo (6;7), questo sbilanciamento potrebbe provocare importanti conseguenze sulle caratteristiche di questi formaggi. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare gli effetti della bactofugazione del latte a bassa temperatura (39°C), con eliminazione dello sparo, sulle caratteristiche compositive e sulla progressione della proteolisi di un formaggio a pasta dura stagionato fino a 9 e 15 mesi.
Produzione dei formaggi
I formaggi sono stati prodotti presso un caseificio della provincia di Cremona durante 5 sessioni di 15 giorni consecutivi, nell’arco degli anni 2018 e 2019. Per ogni sessione sono state prodotte parallelamente 2.996 forme sperimentali (BF) e 2.982 forme controllo (CT), ottenute dalla medesima massa di latte crudo. Quotidianamente, il latte crudo in arrivo in caseificio è stato decremato per af-
fioramento naturale (8-10°C, 10 ore) e successivamente suddiviso su due linee produttive: la linea di controllo (CT) che seguiva il processo di caseificazione tradizionale del Grana Padano DOP e la linea sperimentale (BF) in cui era prevista la bactofugazione di 21.000 L/h di latte alla temperatura di 39°C mediante bactofuga CSI-230-01-772 (Westfalia, Germania) (Fig. 1). Solo il latte della linea CT veniva addizionato di lisozima. Quotidianamente sono stati lavorati 40.000 litri di latte in 20 caldaie per ciascuna linea. La resa di caseificazione è stata ottenuta calcolando il peso medio delle forme posizionate sullo scalotto e la misurazione è stata ripetuta sia prima che dopo la salatura (16 giorni in salamoia). Le forme sono state sottoposte ad analisi ai raggi X dopo 9 mesi di stagionatura al fine di verificare la qualità strutturale della pasta dei formaggi. A ciascuna forma è stato assegnato l’attributo “forma scelta” (S) se la pasta si presentava priva di difetti di qualsiasi tipo e dimensione, oppure “forma difettata” (D) se presentava occhiature o strappi. Le successive valutazioni sono state eseguite su 130 formaggi a 9 e 15 mesi di stagionatura.
I formaggi BF e CT sono stati analizzati per determinare il contenuto di umidità (Standard ISO 5537:2004), grasso (Standard ISO 5543:2004), proteine (Standard ISO 8968-1:2014) e di ceneri (Standard ISO 5545:2008) (8; 9; 10; 11).
La degradazione delle frazioni caseiniche durante la stagionatura è stata valutata mediante elettroforesi capillare zonale (CZE) adottando le condizioni descritte da D’Incecco et al. (12). La separazione è stata eseguita con lo strumento P/ACETM MDQplus (AB Sciex, Milano, Italia) e una colonna capillare Agilent DB-WAX J&W in silice fusa, con rivestimento interno idrofilico (lunghezza 600 mm, 500 mm fino al detector, diametro interno 50 µm, rivestimento 0,05 µm) termostatata a 45°C. L’elettroferogramma è stato acquisito a 214 nm e sono state considerate le aree dei picchi normalizzate. Per il monitoraggio della proteolisi primaria sono stati calcolati i rapporti tra l’area del peptide generato e l’area del picco della rispettiva frazione caseinica genitore.
Il monitoraggio della proteolisi secondaria è avvenuto determinando il contenuto di 21 amminoacidi liberi (AAL) separati mediante analizzatore automatico Biochrom 30+ (Biochrom Ltd, Cambridge, UK), secondo le condizioni descritte da Hogenboom et al. (16). La quantificazione dei singoli amminoacidi è stata effettuata mediante calibrazione multipunto e il contenuto totale degli AAL è stato calcolato rispetto al contenuto proteico del formaggio mentre i singoli AAL sono stati considerati in percentuale relativa (10).
Analisi statistica
I dati ottenuti per i formaggi BF e CT sono stati confrontati tramite Test-t (distribuzione a due code). Differenze con p-value inferiore a 0,05 sono state considerate significative. L’analisi delle componenti principali (PCA) è stata eseguita previa standardizzazione dei dati e verifica del test di sfericità di Bartlett. Sono state selezionate solo le variabili appartenenti alle componenti con autovalore maggiore di 1 e che avessero un “loading” su una componente maggiore o uguale a 0,70. Per tanto 5 variabili sono state utilizzate: Arg, Cit, Orn, Ser e Gln. L’analisi statistica dei dati è stata condotta utilizzando il software SPSS 27.0 (SPSS Statics, Armonk, New York, NY, USA).
Il peso medio delle forme BF è risultato significativamente inferiore al peso medio delle forme CT, sia prima che dopo la salatura (Tab. I). La differenza è stata di 1,05 kg prima della salatura e 1,02 kg dopo la salatura. Nessun formaggio, sia BF che CT, ha presentato il difetto del gonfiore tardivo. Tuttavia, in base alla valutazione ai raggi X, il 23,3% dei formaggi BF è stato classificato come “difettato” (D) contro il 4,9% dei formaggi CT (Tab. I). I difetti rilevati ai raggi X, di forma prevalentemente lenticolare, sono stati considerati di tipo strutturale, come confermato dal numero di spore di Clostridi che non è risultato diverso tra i formaggi BF e CT (dati non mostrati). Pertanto, le forme classificate come D sono state incluse nelle successive valutazioni.
La composizione media dei formaggi è riportata nella Tabella II. Come atteso, il contenuto di umidità dei formaggi è diminuito nel corso della stagionatura e in modo equivalente per le due linee produttive, mentre il contenuto di ceneri è aumentato. Il contenuto lipidico, espresso sia sul tal quale che sulla sostanza secca, è risultato inferiore nei formaggi BF anche se in modo significativo (p<0,05) solo a 9 mesi di stagionatura.
Durante la stagionatura del formaggio si realizza la progressiva degradazione della caseina in peptidi ad alto e medio peso molecolare a opera degli enzimi del coagulante e di quelli endogeni del latte, durante la cosiddetta proteolisi primaria. Successivamente, durante la proteolisi secondaria, si assiste all’ulteriore degradazione di questi peptidi fino ad AAL a opera degli enzimi di origine microbica. Gli AAL sono composti particolarmente stabili che, di conseguenza, si accumulano durante la stagionatura andando a definire il profilo amminoacidico tipico del formaggio.
Tabella I. Effetto della bactofugazione del latte sulla resa casearia (peso dei formaggi) e sulla qualità strutturale dei formaggi (raggi X).
Table I. Effect of milk bactofugation on cheese yield (cheese weight) and structural quality (X-ray) of cheeses. Campioni Peso formaggi ingresso salamoia (Kg)
I dati sono espressi come media ± ds. L’analisi statistica è stata eseguita confrontando i formaggi sperimentali (BF) con i formaggi controllo (CT). Gli asterischi indicano le differenze significative (*p < 0,05; **p < 0,01; ***p < 0,001; Test-t).
Tabella II. Effetto della bactofugazione del latte sulla composizione dei formaggi a 9 e 15 mesi di stagionatura. Table II. Effect of milk bactofugation on cheese composition at 9 and 15 months of ripening.
I dati (media ± ds) sono espressi in g/100 g di formaggio tal quale (t.q.) o di sostanza secca (s.s.). L’analisi statistica tra i formaggi sperimentali (BF) e controllo (CT) con la stessa stagionatura è indicata dagli asterischi (*p < 0,05; **p < 0,01; ***p < 0,001; Test-t).
Le differenze di ogni parametro nel corso della stagionatura e per ciascuna tipologia di formaggio sono state valutate tramite Test-t. Differenze significative (p < 0,05) sono indicate con lettere diverse (lettere minuscole per i formaggi CT; lettere maiuscole per i formaggi BF).
La proteolisi primaria è stata valutata tramite CZE, tecnica analitica che consente di separare le principali frazioni caseiniche e i peptidi generati dalla loro degradazione. I rapporti αs1-I-CN/ αs1-CN, αs0-I-CN/ αs0-CN, αs-CN f(1-23)/αs(1+0)-CN, ∑γ-CN/∑β-CN (7;12;13;15) sono stati calcolati come rapporto tra l’area del picco del peptide generato e l’area del picco della frazione caseinica genitore. L’azione secondaria della chimosina sul legame Phe23 – Phe24 delle frazioni αs1- e αs0-CN genera, per entrambe le frazioni, il peptide f(1-23) mentre le parti complementari si distinguono rispettivamente in αs1-I-CN e αs0-I-CN. Il rapporto αs-CN f(1-23)/αs(1+0)-CN è risultato significativamente inferiore nei formaggi BF, sia a 9 che a 15 mesi di stagionatura (Tab. III). Ciò potrebbe derivare da una maggiore velocità di degradazione del peptide αs-CN f(1-23) nel corso della stagionatura dei formaggi BF. Le differenze osservate non sembrerebbero causate dall’azione della chimosina sull’αs1-CN in quanto nessuna differenza è stata osservata per il rapporto αs1-I-CN/αs1-CN. Inoltre, la stessa quantità di coagulante è stata impiegata per la produzione dei formaggi BF e CT, ad indicare la stessa potenziale attività da parte della chimosina.
Tabella III. Effetto della bactofugazione del latte sui rapporti αs1-I-CN/αs1-CN e αs-CN f(1-23)/αs(1+0)-CN. Table III. Effect of milk bactofugation on αs1-I-CN/αs1-CN and αsCN f(1-23)/αs(1+0)-CN ratios.
Campione Stagionatura (mesi) αs1-I-CN/αs1-CN αs-CN f(1-23)/αs(1+0)-CN
CT 9 0,58 ± 0,10 a 0,21 ± 0,05a
BF 0,58 ± 0,12A 0,15 ± 0,04***A
CT 15 0,48 ± 0,10 b 0,23 ± 0,05a
BF 0,46 ±0,06 B 0,18 ± 0,04***B
I dati sono espressi come media ± ds. L’analisi statistica tra i formaggi sperimentali (BF) e controllo (CT) con la stessa stagionatura è indicata dagli asterischi (*p < 0,05; **p < 0,01; ***p < 0,001; Test-t). Le differenze di ogni rapporto nel corso della stagionatura e per ciascuna tipologia di formaggio sono state valutate tramite Test-t. Differenze significative (p < 0,05) sono indicate con lettere diverse (lettere minuscole per i formaggi CT; lettere maiuscole per i formaggi BF).
Figura 2. Formaggi sperimentali (BF) e controllo (CT) con 0, 1, 2 o 3 amminoacidi (AA) diversi fino a 3 deviazioni standard dal contenuto tipico del Grana Padano DOP.
Figure 2. Experimental (BF) and control (CT) cheeses with 0, 1, 2 or 3 amino acids (AA) differing up to 3 standard deviations from the typical content of Grana Padano PDO.
Il contenuto relativo dei singoli AAL dei formaggi BF e CT è stato confrontato con il profilo amminoacidico tipico del Grana Padano DOP (depositato presso il Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano e il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) (16); le differenze sono state espresse come Z-score (numero di deviazioni standard rispetto al valore medio) per ciascun amminoacido. Le forme BF e CT sono state quindi classificate in funzione del numero di amminoacidi con Z-score non superiore a 3 (Fig. 2). Questa valutazione ha messo in evidenza che l’83% dei formaggi BF presentava 2 AAL che si discostavano dal loro valore tipico nel Grana Padano. Diversamente, per il 73 % dei formaggi CT nessun AAL si discostava dal valore tipico del formaggio.
L’analisi PCA è stata eseguita per comprendere se alcune delle variabili considerate potessero distinguere le due tipologie di formaggio. La distribuzione dei formaggi nel piano vettoriale delle componenti principali risulta spiegata per l’85% e i formaggi BF si sono concentrati nella porzione sinistra della componente 1. Il contenuto di arginina, citrullina e ornitina ha influenzato la distribuzione dei formaggi BF e CT lungo la componente 1 (Fig. 3). Questi tre amminoacidi sono coinvolti in una via metabolica comune propria di numerose specie batteriche (17). La differente distribuzione dei formaggi in funzione del contenuto di questi tre amminoacidi sembrerebbe suggerire che il processo metabolico avviene in modo diverso nei formaggi BF e CT e dunque in funzione della differente tecnologia di produzione. Diversamente, il contenuto relativo di serina e glutammina ha influenzato la distribuzione dei formaggi lungo la componente 2, in funzione del tempo di stagionatura. Il contenuto relativo di questi due amminoacidi è correlato, direttamente per la serina e inversamente per la glutammina, all’intensità della proteolisi. L’accumulo di AAL si è mostrato, ancora una volta, essere una fase del processo proteolitico che caratterizza profondamente i formaggi a lunga stagionatura e, ancor più, quelli prodotti da latte crudo. Infatti, sono stati proprio i suddetti AAL a spiegare la distinzione dei formaggi sul piano delle componenti. Complessivamente, i formaggi BF si sono distribuiti prevalentemente lungo la componente 2, i formaggi CT lungo entrambe le componenti. Questo diverso comportamento potrebbe essere spiegato da una maggiore standardizzazione delle caratteristiche del formaggio BF, in cui la bactofugazione ha causato modifiche quali-quantitative della microflora del latte.
Dai risultati ottenuti è emerso che la bactofugazione del latte condotta a bassa temperatura, sebbene efficace nel garantire la rimozione delle spore di Clostridi, ha causato una diminuzione della resa in for-
maggio e modifiche talvolta significative nella composizione. La causa di queste differenze è direttamente attribuibile alle perdite di proteina che si verificano durante il processo di bactofugazione. Le micelle di caseina, a causa della loro elevata densità, pari a 1,06 kg/dm3, sono i costituenti del latte che vengono maggiormente allontanati nello sparo. La quantità di proteina persa durante il processo dipende dalle condizioni operative e dalla quantità di sparo eliminato. Generalmente, quest’ultimo equivale al 2,5-3,5% del latte trattato e possiede un contenuto proteico del 2,5-12,8% (18). Tuttavia, le moderne bactofughe (terza generazione) sono in grado di contenere le perdite di proteina soprattutto quando operano a temperature inferiori a 55°C. Il contenuto lipidico è risultato inferiore nei formaggi BF a 9 mesi di stagionatura, probabilmente per effetto della maggiore perdita
Figura 3 Analisi delle componenti principali dei formaggi sperimentali (BF) e di controllo (CT). A) Il grafico degli scores indica la distribuzione dei formaggi BF (rosso) e CT (verde). B) Il grafico dei loadings mostra le variabili che influenzano le componenti principali.
Figure 3. Principal component analysis of experimental (BF) and control (CT) cheeses. A) Scores plot refers to BF (red) and CT (green) cheeses distribution. B) Loadings plot on the two principal components.
di grasso che si osserva nel siero cotto della lavorazione del latte bactofugato (5). Le modifiche più importanti riguardano i fenomeni proteolitici che avvengono durante la stagionatura del formaggio. Infatti, la bactofugazione del latte causa un allontanamento preferenziale della microflora NSLAB di forma bastoncellare (5) a cui seguono delle modifiche del pool enzimatico microbico attivo durante la stagionatura e la possibile adozione di differenti vie metaboliche da parte dei microrganismi. Il diverso pool enzimatico può essere stato responsabile anche del valore più basso del rapporto αs-CN f(1-23)/αs(1+0)-CN
La bactofugazione del latte per la produzione di formaggio da latte crudo può essere condotta a bassa temperatura. Tuttavia, il prodotto che si ottiene presenta caratteristiche diverse rispetto al formaggio di controllo. L’introduzione di questa tecnologia ha portato a una resa casearia inferiore e ha avuto un impatto specifico sull’andamento della proteolisi, che ha portato a un differente accumulo di al-
nei formaggi BF. Infine, la bactofugazione del latte ha avuto un effetto indiretto anche sull’accumulo di AAL. Infatti, ben l’87% dei formaggi BF possedeva da 1 a 3 AAL che si discostavano dal valore tipico di riferimento con uno Z-score fino a 3. Il contenuto relativo dei singoli AAL si è confermato estremamente utile, non tanto per esprimere l’intensità della proteolisi, ma soprattutto per la sua caratterizzazione qualitativa. Infatti, il contenuto di arginina, citrullina e ornitina ha permesso di distinguere sul piano delle componenti principali i formaggi BF dai formaggi CT.
cuni amminoacidi liberi durante la maturazione. Questo effetto risulta coerente con le modifiche quali-quantitative della microflora del latte bactofugato osservate in studi precedenti. Per questi motivi, l’introduzione di nuovi processi tecnologici all’interno di tecnologie tradizionali deve essere attentamente valutata al fine di comprendere le modifiche che si possono determinare nel prodotto finito.
Non esistono conflitti di interesse di ordine economico o di altro tipo sull’articolo presentato.
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Erano gli anni del secondo dopoguerra, quando Mario Mogna avviò il primo “Laboratorio Microbiologico Alce”, nel centro di Novara. Trasformò i magazzini di stagionatura del Gorgonzola del padre Alfonso nella sede di produzione dei nuovi fermenti lattici liquidi pronti all’uso, da utilizzare in sostituzione del lattoinnesto naturale.
Lo slancio decisivo arrivò negli anni ’80 quando Giovanni Mogna subentrò al padre Mario nella gestione dell’azienda di famiglia. Alce fu così in grado di assicurare ai clienti non solo la fornitura di fermenti lattici, ma anche assistenza tecnica e un catalogo prodotti completo. Nel contempo, il Dr. Mogna inaugurava un laboratorio di Analisi e Ricerca, una sezione dedicata al supporto tecnico e un nuovo stabilimento nel Mantovano, per la produzione di fermenti liofilizzati e coadiuvanti tecnologici.
A oggi, l’eredità del Gruppo Alce è stata accolta dalla figlia Elena, che prosegue l’impegno di famiglia con competenza, serietà e orgoglio. Coinvolta già da anni nelle aziende del gruppo, dirige e coordina le attività di tutti gli stabilimenti, grazie all’inestimabile aiuto di tutto lo staff.
“La nostra missione,” spiega la Dott.ssa Elena Mogna, “è realizzare prodotti che, nonostante la complessità microbica, abbiano standard qualitativi alti, costanti e che siano di origine naturale. Siamo un’azienda in continua evoluzione: stiamo ulti-
mando il nuovo impianto di Novara, che oltre al comparto di produzione e confezionamento, avrà al suo interno un’area interamente dedicata all’analisi e alla ricerca. Siamo consapevoli delle esigenze di ogni cliente e garantiamo a piccole e grandi realtà produttive nel settore lattiero-caseario la possibilità di personalizzare i nostri prodotti a seconda delle loro esigenze, dalla composizione, al profilo aromatico,
oltre che nel formato/dosaggio. In aggiunta, mettiamo a loro disposizione, uno staff di tecnici altamente specializzati, per un’assistenza dedicata a livello sia nazionale che internazionale”.
Per citare il Dott. Giovanni Mogna: “Alce, da circa un secolo, vende risultati ogni giorno!”.
GRUPPO ALCE www.alce.eufermento”
Oggi più che mai l’utilizzo consapevole delle materie prime, l’attenzione all’impatto ambientale delle produzioni e al benessere dei consumatori sono tematiche chiave per competere nei mercati nazionali e internazionali. Nel mondo della trasformazione lattiero-casearia, i microrganismi sono parte essenziale delle lavorazioni ed è importantissimo conoscerli e capire come usarli al fine di produrre ogni giorno prodotti di elevata qualità utilizzando consapevolmente le materie prime a disposizione.
La lista ingredienti di yogurt e latti fermentati è relativamente corta, sono quindi pochi gli ingredienti che possono fare la differenza: primi tra tutti troviamo i fermenti lattici. I ceppi Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus utilizzati nella gamma Yoflex® Premium consentono di migliorare il profilo nutrizionale del prodotto stesso e ottimizzarne il costo ricetta. In primis, grazie a una minima variazione dell’acidità durante la shelf life, per-
mettono di ridurre il contenuto di zuccheri aggiunti nello yogurt, comunemente utilizzati per addolcire il prodotto e contrastare l’elevata acidità, senza alterare il profilo sensoriale del prodotto finito. Un ulteriore aspetto che caratterizza le colture Yoflex® Premium è l’elevata produzione di esopolisaccaridi (EPS) che offre la possibilità di ottimizzare il costo ricetta riducendo il contenuto di solidi usati per standardizzare il latte (eg sieroproteine, proteine del latte).
Per promuovere uno stile di vita sano e sviluppare prodotti attenti al benessere dei consumatori, è possibile combinare le colture della gamma Yoflex®, con i ceppi probiotici Bifidobacterium, BB-12®, Lactobacillus rhamnosus, LGG® e Lactobacillus paracasei L.casei-431®
Le funzionalità dei probiotici sono “ceppospecifiche”: ceppi diversi di una stessa specie, infatti, possono avere caratteristiche profondamente diverse. Per questo scienza e ricerca sono alla base dello sviluppo dei ceppi probiotici Chr. Hansen.
Il processo produttivo di un’ampia gamma di prodotti caseari prevede diversi tempi di fermentazione, spurgo e maturazione. In alcuni casi, i produttori possono introdurre nuove colture, coagulanti e lipasi in grado di accelerare questi processi naturali, migliorando efficienza e produttività del caseificio. Grazie alle colture di maturazione Chr. Hansen della gamma DVS® CR è possibile personalizzare il profilo aromatico e sensoriale del tuo formaggio. Consentono di accelerare e governare le tempistiche di maturazione, offrono così la possibilità di commercializzare il prodotto in tempo, riducendo scarti e costi di stagionatura. Ad esempio, la coltura DVS® Delight™ permette di eliminare il gusto amaro, riequilibrare il profilo aromatico e dare una struttura soffice ai formaggi con un ridotto contenuto calorico. Inoltre, DVS® Delight™ è stata sviluppata con l’obiettivo di non contribuire all’acidificazione della cagliata, no post-acidificazione, incrementando così i possibili campi di applicazione.
Oggi sul mercato ci sono tantissimi test rapidi per il rilevamento delle diverse famiglie antibiotici nel latte, proposti a un prezzo di lancio molto accattivante. Tuttavia solo pochi di essi riescono in modo affidabile a determinare e rilevare le diverse famiglie di antibiotici al di sotto dei limiti MRL EU.
A tal proposito è molto importante provvedere a sistemi di autocontrollo affidabili con verifiche quotidiane in allevamento o in caseificio, che si aggiungono a quelli del sistema di pagamento del latte in base alla qualità e, ancora, agli interventi dei controlli ufficiali per le differenti finalità.
Le esigenze aziendali oggi richiedono test rapidi, semplici da utilizzare e affidabili.
Rapidi: non sempre si possono attendere 3 ore, occorre lavorare il latte prima, per questo motivo sono nati i test rapidi.
Semplici: tutti gli operatori possono usarli, più passaggi ci sono più è alto il rischio di errore.
Affidabili: per affidabilità si intende la capacità di un test di garantire il risultato. Capiamo bene che l’affidabilità è legata alla capacità del test di rilevare il maggior numero di farmaci, alle sensibilità di rilevamento e alla ripetibilità dei risultati; tutte qualità che si possono ottenere solo utilizzando test con incubazione a T° controllata, non soggetti quindi alle forti variazioni della T° ambientale.
Proprio per questi punti fondamentali che i Test Charm sono test rapidissimi (a partire da un solo minuto di attesa), a singolo passaggio (basta pipettare il latte) e riconosciuti in tutto il mondo per la loro estrema qualità.
Il problema non è quante sensibilità rileva, ma come vengono rilevate. Se non rispettano i limiti MRL EU, non c’è garanzia del prodotto finito, scegliere un test sicuro e di qualità garanti-
sce certezza e tranquillità. Oggi Charm propone dei nuovi test combinati, in questo modo si evitano di eseguire più test a costi improponibili, si pensi al Charm MRL QUAD1, test combinato che rileva 4 famiglie (Betalattamici, Tetracicline, Sulfamifdici e Chinoloni), con un solo Strip, la garanzia di un controllo unico del suo genere. Da affiancare al Quad1, il leader di mercato di Alitest rimane il Test MRL Aflatossina M1- 50ppt, test rapido che in soli 15 minuti restituisce un risultato quantitativo. Test ormai comparabile al metodo HPLC.
Combattere la disinformazione scientifica non è mai una battaglia semplice, ma è una delle missioni che Alitest persegue da oltre 24 anni, offrendo servizi di assistenza e consulenza tecnica ai suoi clienti.
La qualità è una scelta seria e consapevole. Chi investe nella qualità vince sempre!
Il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste ha pubblicato i criteri aggiornati per l’utilizzo del riferimento a una DOP o IGP nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto composto, elaborato o trasformato. Tali criteri concernono l’autorizzazione di cui all’art. 1, comma, 1, lett. c) del D.Lgs. 297/04, richiesta e concessa dal Masaf, in assenza di un Consorzio di tutela riconosciuto ai sensi della vigente normativa, da chiunque impieghi commercialmente in maniera diretta o indiretta tale riferimento. Il riferimento può avvenire esclusivamente per il prodotto composto, elaborato o trasformato che l’utilizzatore produce, commercializza o immette al consumo. L’autorizzazione può essere concessa esclusivamente per i singoli prodotti per i quali è richiesta.
Il Parlamento ha approvato la Legge di Bilancio 2023 che prevede, tra le tante, alcune misure dedicate al comparto agroalimentare. Spicca l’istituzione del Fondo della Sovranità Alimentare, a cui sono destinate risorse per 100 milioni di euro per gli anni 2023, 2024, 2025 e 2026, suddivise in 25 milioni di euro per ciascun anno. I criteri e le modalità di attuazione del Fondo saranno definiti da specifici decreti del Masaf. Istituito, inoltre, un Fondo per l’innovazione in agricoltura con lo stanziamento di 75 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024, 2025 e 2026. Il Fondo potrà essere utilizzato per concedere agevolazioni alle imprese, quali la concessione di contributi a fondo perduto, garanzie sui finanziamenti nonché sottoscrizioni di quote o azioni di uno
o più fondi per il venture capital. Per contrastare il caro energia, viene invece riconosciuto un credito di imposta a favore delle imprese agricole, della pesca e agromeccaniche, pari al 20% della spesa sostenuta per l’acquisto di carburante per la trazione dei mezzi effettuato nel primo trimestre del 2023. L’agevolazione è estesa anche all’acquisto di gasolio e benzina per il riscaldamento delle serre e fabbricati per l’allevamento degli animali. Prolungata al 2023, invece, l’esenzione ai fini Irpef dei redditi dominicali e agrari relativi ai terreni dichiarati da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola. 20 milioni di euro saranno, altresì, stanziati per finanziare i mutui a tasso agevolato per i giovani imprenditori agricoli.
Con il Decreto 16 dicembre 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 febbraio scorso, è stato istituito il Sistema di qualità nazionale zootecnia. Il SQNZ si basa su una certificazione delle aziende agricole che rispettano un apposito disciplinare di produzione, riconosciuto e autorizzato dal Masaf, contenente requisiti vincolanti per processi produttivi e tipologia di prodotto e associati a uno specifico piano di controllo. Sono legittimati a presentare la richiesta di riconoscimento le regioni, le organizzazioni dei produttori, le associazioni di organizzazione di produttori, le organizzazioni interprofessionali, le associazioni di produttori agricoli, i consorzi tra imprese agricole, le cooperative agricole e i consorzi di promozione e valo-
rizzazione dei prodotti SQNZ. In riferimento a questi ultimi soggetti, l’art. 13 del decreto li descrive come un “consorzio costituito da operatori singoli e associati che partecipano al SQNZ, con finalità di compiti consultivi, assistenza tecnica, promozione e valorizzazione dei prodotti SQNZ e vigilanza sul mercato”. Inoltre, il Ministero, per favorirne la diffusione, promuove attività di studio, ricerca, informazione e divulgazione del sistema, prevede interventi al sostegno dei produttori aderenti e sostiene le attività di promozione e valorizzazione. Infine, è stabilito che dovrà essere riportato in etichetta, nel campo visivo principale, il Paese di origine e di allevamento degli animali, ove non sia previsto da specifica normativa.
Il 17 febbraio la Commissione
Europea ha inviato l’accordo commerciale UE-Nuova Zelanda al Consiglio UE per la firma. Secondo le previsioni, si tradurrà in una crescita degli scambi bilaterali del 30%, con un incremento potenziale delle esportazioni annuali dell’UE che potrebbe toccare i 4,5 miliardi di euro. Gli agricoltori dell’UE avranno molte più possibilità di vendere i loro pro-
dotti in Nuova Zelanda dopo l’applicazione dell’accordo: a partire dal primo giorno saranno aboliti i dazi sulle principali esportazioni dell’UE, come carni suine, vini e vini spumanti, cioccolato, dolciumi e biscotti. L’accordo proteggerà, inoltre, l’elenco completo delle IG dei vini e delle bevande spiritose dell’UE e 163 Indicazioni Geografiche agroalimentari, tra cui 23 italiane.
Il Decreto 64591 dell’8 febbraio 2023 ha approvato il nuovo Piano di Gestione dei Rischi in Agricoltura, che contestualizza le assicurazioni agevolate e il Fondo Mutualistico Nazionale Agri-CAT nell’ambito del nuovo Piano Strategico Nazionale. Tra le novità principali, il PGRA 2023 stabilisce modalità e criteri di intervento del primo anno di operatività del Fondo Mutualistico Nazionale Agri-CAT a copertura dei danni alle produzioni agricole causati da eventi avversi di
natura catastrofale. Il Piano, oltre che specificare i rischi e i prodotti coperti dal Fondo, indica anche le franchigie e i limiti di indennizzo e introduce, quale incentivo, la premialità nei risarcimenti ai nuovi assicurati. In merito, poi, alle polizze indicizzate, è stata incrementata la percentuale massima di aiuto sulla spesa premi dal 65% al 70%, per favorire l’assicurabilità di alcuni prodotti e territori che oggi manifestano una scarsa adesione al sistema assicurativo.
Molti prodotti sono offerti ai consumatori in alternativa al latte e ai suoi derivati con terminologie ambigue se non proprio decettive: Dairy Free Milk
“Latte senza Latte”; Non Animal Whey Protein, “Proteine del siero non animali”; Plant based dairy products “Prodotti lattiero-caseari vegetali”. Secondo il Codex Alimentarius e la normativa dell’Unione Europea i termini lattiero-caseari sarebbero riservati ai prodotti di origine animale. Su Google, in lingua italiana, si possono trovare: oltre 1.600.000 pagine per “latte di riso”, oltre 1.100.000 per “latte di soia”, 474.000 per “latte vegetale”, quasi 350.000 per “latte di mandorle”(uso legale), 280.000 per “latte di avena”. In totale oltre 3 milioni di pagine “fuorilegge”. Ripetendo la ricerca in Inglese si trovano: oltre 30 milioni per “soy milk”; 17,5 milioni per “oat milk”; 12,9 per “rice milk”; 330 mila per “vegetable milk”; se poi qualcuno è interessato può imparare a fare anche il latte di canapa, “hemp milk”. In totale 60 milioni di pagine internet “fuorilegge”, che nessuno controlla!
In altre parole, viene usata una terminologia confusionaria, se non addirittura decettiva e ingannevole.
Parlando di “alimenti nuovi” autorizzati – e molti altri sono in arrivo – si cambia spartito, ma non la musica:
ieri i succhi vegetali erano nobilitati in latte, come se i vegetali fossero mammiferi; oggi la polvere di insetti viene elevata a farina, come se larve e ortotteri fossero cariossidi.
Anche alcune “basi proteiche” sono innalzate a “carne in vitro”, “carne in provetta”, “carne vegana”. Come se la parte muscolare degli animali fosse esogena all’animale stesso.
In ogni caso questi prodotti (“pseudo latte”, “pseudo farina”, “pseudo carne”), al di là della bolla speculativa finanziaria creata, – già fuggono gli investitori del plant-based per mancanza di R.O.I, oltre alla loro avidità brevettuale – restano impuniti soprattutto per l’uso improprio della terminologia alimentare. Certamente la ricerca di nuovi alimenti è lecita e necessaria, però dovrebbe rispettare la terminologia merceologica alimentare esistente. Nell’Unione Europea, per prevenire l’inganno e la frode, alla lettera
b) del punto 2 dell’art. 10 del Reg. 2015/2238, inerente alla procedura per autorizzare l’immissione sul mercato, viene richiesto in modo indeterminato il nome e la descrizione del nuovo alimento. Si dovrebbe invece chiedere il nome del marchio commerciale e la classificazione merceologica alimentare.
Così l’attuale babilonia terminologica si scioglierebbe come neve al sole. Non è forse vero?
Volete dire la vostra?
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