Nuovi equilibri e consumatori per il Silter DOP
Settore lattierocaseario, un ruolo di primo piano
Difetti dei formaggi: la parola agli esperti
La genericità del grana, sentenze contraddittorie
Nuovi equilibri e consumatori per il Silter DOP
Settore lattierocaseario, un ruolo di primo piano
Difetti dei formaggi: la parola agli esperti
La genericità del grana, sentenze contraddittorie
U n o b i e t t i v o c o m u n e d e l l e a z i e n d e l a t t i e r o c a s e a r i e è q u e l l o d i u t i l i z z a r e a l m e g l i o l e m a t e r i e p r i m e e g a r a n t i r e r e s e e l e v a t e e p r o d o t t i f i n i t i a q u a l i t à c o s t a n t e .
G r a z i e a l l a s o l u z i o n e P r o F o s s ™ 2 s a r à p o s s i b i l e , d u r a n t e l a f a s e d i t i t o l a z i o n e d e l l a t t e , c o n t r o l l a r e i n t e m p o r e a l e i v a l o r i d i G r a s s o , d e l l e P r o t e i n e e d e l r a p p o r t o G r a s s o / P r o t e i n e , c o n l ’ o b b i e t t i v o d i r a g g i u n g e r e i t a r g e t i m p o s t a t i e r i du r r e d r a s t i c a m e n t e l a v a r i a b i l i t à d i p r o c e s s o .
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Lente di ingrandimento
I numeri per rafforzare la DOP 4
G. Mucchetti
Primo Piano
Nuovi consumatori per il Silter DOP 6
V. Bozzetti Attualità
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art. 7 dell’abrogando Reg. UE 1151/2012 prevede che un alimento per avere la denominazione di origine protetta debba essere conforme a un disciplinare che descriva le principali caratteristiche fisiche, chimiche, organolettiche o microbiologiche del prodotto e il metodo di ottenimento. La verifica del rispetto del disciplinare è affidata a uno o più Organismi di Controllo (OdC) che operano come organismi di certificazione dei prodotti.
È in fase di avanzata discussione la riforma dell’intero sistema delle Indicazioni Geografiche (IG), ma sembra che il contenuto del citato art. 7 continuerà a consentire la situazione attuale in base a cui l’informazione su tali caratteristiche è oggi spesso generica o parziale per molti formaggi Italiani ed Europei Genericità in taluni casi eccessiva, soprattutto considerando che un altro Reg. UE, il 1169/2011 sull’etichettatura, chiede che siano riportate in etichetta le proprietà nutrizionali fra cui, quando il caso come per i formaggi, il contenuto % di grasso, proteine, carboidrati e sale.
La certificazione della conformità del prodotto ai requisiti del disciplinare da parte di OdC riconosciuti dal MASAF è effettuata prima della vendita ed è uno dei punti di grande forza dei formaggi DOP rispetto a quelli con solo marchio aziendale che, pur talvolta di grande valore, sono invece per loro natura autoreferenziali.
La forza della certificazione aumenterebbe se l’Europa decidesse di cambiare un’impostazione fin qui immutata dal 1992 e imponesse di indicare nel disciplinare i limiti massimi e minimi del contenuto di quei componenti dell’alimento per i quali il significato dell’informazione a tutela di concorrenza e consumatori è evidente e rilevante.
È noto che il contenuto di acqua, grasso e sale influenza la resa di trasformazione del latte, il gusto e la consistenza del formaggio. Fissare un intervallo di valori numerici, adeguato alla realtà attuale di ciascun formaggio e comunque indicato dai produttori, aiuterebbe sia il lavoro degli OdC prima del via libera alla commercializzazione del prodotto che l’efficacia degli altri controlli durante la fase di vendita. Aumenterebbe la fiducia dei consumatori.
Il rispetto e la verifica della conformità del prodotto al disciplinare diventerebbero molto più semplici in presenza di requisiti oggettivi e misurabili. Le conoscenze per “dare i numeri” alle caratteristiche chimiche, fisiche, microbiologiche dei formaggi con IG sono da tempo note.
Perché il Ministero dell’Agricoltura, oggi MASAF, non chiede ai Consorzi di tutela Italiani di iniziare a inserire volontariamente nel disciplinare un intervallo di valori minimi e massimi di umidità, grasso e sale dei formaggi?
Il futuro Regolamento sulle IG non sembra prevedere obblighi in tal senso. La politica comune europea è tuttavia la sintesi di tante posizioni e il MASAF potrebbe così dare sostanza alla “sovranità alimentare”. Forse altri Paesi lo seguiranno.
In quattro righe delle otto pagine del disciplinare di produzione è ben custodito il “cuore” dell’unicità del gusto e aroma del Silter DOP: “La percentuale di foraggio (fieno e/o erba) proveniente dalla zona di produzione è sempre maggiore del 50% della sostanza secca totale somministrata alle
vacche in lattazione. Quando le vacche sono in alpeggio, il foraggio deve provenire solo dalla zona di produzione e il concentrato non superare la quota del 30% della sostanza secca mediamente ingerita”.
Daniele Spandre di Pisogne e di Malga Foppella, Oscar Baccanelli Presidente del Consorzio Silter DOP
E Daniele Spandre di Pisogne e di Malga Foppella, traduce le parole nel contesto economico del momento: “A causa del contesto internazionale, le aziende hanno registrato un aumento dei costi di produzione e delle utenze. Ma le difficoltà hanno interessato anche l'approvvigionamento di foraggio locale, disponibile in minor quantità a causa della siccità dell'estate scorsa”. In breve: poco fieno, poco Silter!
L’antica specialità casearia camuna ricerca nuovi equilibri tra il cambiamento climatico, i nuovi consumatori e la sostenibilità
Un’analisi più articolata la offre il Presidente del Consorzio Silter DOP, Oscar Baccanelli dell’omonima azienda di Berzo-Demo e conduttore della Malga Santa Apollonia: “Certamente il Silter DOP ha il suo forte legame con l’ambiente dei prati e dei pascoli e l’esistenza di effetti positivi sullo sviluppo socio-economico del territorio Camuno-Sebino. Da un lato la DOP tutela i consumatori riguardo all’origine e all’alimentazione delle bovine e salvaguardando l’unicità della tecnologia e del prodotto e dall’altro è l’unico sistema a sostegno della competitività e della sostenibilità economica e ambientale del territorio montano”.
E la debolezza dove sta? “Sta nella difficoltà di comunicare e di far apprendere al consumatore che la qualità è associata all’origine geografica (foraggio locale, tecnologia, biodiversità) ma anche alla certificazione e tracciabilità tramite il sistema delle Indicazioni Geografiche.”
Presidente Baccanelli nel contingente intravede minacce? “Sostanzialmente ne vedo due, la prima esogena legata alla scarsa conoscenza, preparazione e considerazione delle norme, ma anche degli enti preposti al controllo. Per esempio in una realtà di nicchia come la nostra, il lotto di produzione molto spesso è limitato a una sola forma che, in caso di non conformità, non può essere giudicata alla stregua di lotti di produzione di centinaia/migliaia di forme. La seconda endogena espressa dal campanilismo: tutti dovrebbero valorizzare il Silter DOP, quale esclusiva del territorio Camuno-Sebino e non cercare alternative similari al ribasso.” E in merito alle opportunità? “La DOP è uno strumento di contrasto all’abbandono dei prati e dei pascoli, perché per produrre Silter DOP le bovine devono nutrirsi di foraggio locale e questo comporta il mantenimento sostenibile delle nostre montagne”. Ma non tutti la pensano come il Presidente, infatti Daniele Spandre la vede in altre modo: “Secondo me bisogna mantenere un equilibrio
nella produzione tra Silter DOP e altri formaggi locali, in modo da non andare a saturare il mercato del Silter DOP e allo stesso tempo continuare a produrre altri formaggi (formaggella e casolet) che comunque identificano il nostro territorio”.
Giovanni Morandini di Agrimor di Berzo Inferiore
Nella tematica della tecnologia di produzione oggi si diversifica la modalità di salatura prevista a mano ma anche in salamoia e secondo Giovanni Morandini, “casaro d’antico stampo” di Agrimor di Berzo Inferiore: “Non ci sono grandi differenze, mentre durante la stagionatura si possono creare condizioni positivi o negative con estrema facilità”. Dove sono allora le criticità? Sorridente e sicuro risponde: “Se il latte è buono, con parametri idonei in termini di carica batterica e cellule, con un affioramento di almeno 8-12 ore, le criticità non si riscontrano”. Per la vendita come siete organizzati? “La so-
luzione ottimale è la vendita diretta, perché la GDO unilateralmente decide i prezzi di acquisto del formaggio. Meglio il nostro negozio.”
Jessica e Ilenia dell’Azienda Agricola Prestello di Prestine e della Malga Prato e Varicia
Tanto é diversificata la “biodiversità” della DOP, altrettanto vivace e frizzante lo è nelle riflessioni. Con le giovani sorelle Jessica e Ilenia dell’Azienda Agricola Prestello di Prestine e della Malga Prato e Varicia parliamo di futuro: “Noi tra la crescita in volumi e la qualità abbiamo puntato con decisione alla qualità, poche forme con alta qualità. La nostra è una DOP di nicchia e secondo noi non ha alternative alla eccellenza”.
E si riesce a vendere? “Da anni siamo sul mercato diretto con tutto il nostro prodotto. Certo servono anche i supermercati, però il cliente che acquista il Silter DOP dal produttore vede e ascolta la sua vita e la sua storia, l’acquisto alla GDO resta inanimato.
VACCHE SUL SENTIERO PER IL PASCOLOLa DOP è uno strumento di contrasto all’abbandono dei prati e dei pascoli , perché per produrre Silter DOP le bovine devono nutrirsi di foraggio locale
Per questo, ci dedichiamo alla vendita diretta con ottimi riscontri.” Anche Daniele Spandre di Pisogne e Malga Foppella concorda sulla vendita diretta: “Sicuramente bisogna puntare sulla vendita diretta del prodotto, in modo da poter spiegare al cliente cosa c’è dietro a quel pezzo di formaggio, però è altrettanto importante usare la GDO per usci-
re dai nostri confini territoriali e promuovere il Silter DOP altrove”.
Morena Antonioli di Monno e della Malga
Mortirolo
Recentemente l’Assemblea dei soci del Consorzio Silter DOP ha rinnovato le cariche sociali per il mandato 2023-2026, con un
CdA a maggioranza femminile formato da Marta Andreoli, Morena Antonioli, Barbara Bontempi, Francesca Romelli, Oscar Baccanelli, Daniele Spandre e Paolo Sterni. All’unanimità sono stati eletti Oscar Baccanelli Presidente, con Paolo Sterni della CISSVA e Morena Antonioli di Monno e della Malga Mortirolo come vicepresidenti.
Con la vicepresidente Morena Antonioli approfondiamo alcuni aspetti in merito alle produzioni di malga e di fondo valle, dai limiti alle prospettive: “Oggi con la produzione a Silter DOP otteniamo un formaggio a latte crudo che esprime al meglio tutte le sue caratteristiche organolettiche. Produrre in malga comporta alcune difficoltà dovute alla gestione degli animali, i quali si trovano in balia degli eventi climatici, e alla gestione delle temperature nei luoghi di lavorazione del latte e della stagionatura. Tutto questo influisce sulla produzione del latte creando delle criticità che risolviamo grazie a validi consulenti di Lombardia Alleva che ci supportano e ci aiutano a intervenire puntualmente su ogni singolo problema e quindi a creare un prodotto di alta qualità che in malga esalta tutte le proprietà. Una delle principali peculiarità è che ogni singolo produttore dislocato nelle malghe del territorio della valle Camonica e Sebino produce un formaggio con caratteristiche diverse in base alla zona di produzione. Per contro produrre in un caseificio aziendale di fondo valle – il Silter DOP viene prodotto solo nei caseifici aziendali e in malga –permette un miglior controllo della razione alimentare, alloggiando gli animali in stalla. Anche il controllo della temperatura durante la trasformazione del latte e la stagionatura si semplifica grazie all'utilizzo di celle di stagionatura controllate. Ottenendo così un ottimo prodotto e più riconoscibile da parte del consumatore.
Si nota una certa diversità di idee in merito alla vendita diretta o tramite GDO, non è vero? “Credo che una cosa non debba esclu-
L’archeologo dr. Ausilio Priuli di Capo di Ponte è direttore del Museo d’arte e vita preistorica di Capo Di Ponte e dell'Archeopark di Boario Terme.
Dr. Priuli, ci può parlare della scena di aratura di Bagnolo?
I massi incisi con Composizioni Monumentali sono caratteristici dell’età del Rame e compaiono all’inizio del terzo millennio a.C. e continuano a caratterizzare grandi santuari megalitici fino all’inizio dell’età del Bronzo e oltre, assieme a Stele e Stele antropomorfe inneggianti il culto degli eroi, antenati mitici e dei. Nelle Composizioni Monumentali, rappresentazioni cosmogoniche chiaramente legate al culto del sole, oltre a figure di pugnali di tipo remedelliano, ad asce e asce rituali, a numerosi animali che rappresentano quasi tutta la fauna cacciabile del territorio, sono quasi sempre presenti scene di aratura come quella di Bagnolo, dove l’aratro è trainato da mucche e spesso la stegola è tenuta dall’uomo ma spesso sulle stesse sono presenti anche rappresentazioni planimetriche di territori e aree coltivate.
AUSILIO
Quando inizia l’agricoltura in Italia?
L’agricoltura compare in Italia all’inizio del sesto millennio a.C. e si diffonde rapidamente presso le comunità che già praticavano la pastorizia nomade, inducendole a modificare tale pratica per divenire anche allevatori seminomadi e stanziali. In Italia settentrionale le aree collinari prospicienti la pianura, i cordoni morenici circostanti i laghi e le vallate alpine vennero intensamente antropizzate e preferite per praticare l’agricoltura rispetto alla pianura soggetta costantemente a eventi alluvionali e impaludanti, tipici del periodo Atlantico molto caldo e piovoso (tra il 5500 e il 2500 a.C. Optimum climatico). Piccoli campi accanto ai villaggi, su terrazzi pensili, alla sommità delle fertili conoidi di deiezione e sulle colline di base versante erano sufficienti a produrre quanto serviva (prevalentemente cereali) alle piccole comunità e a integrare una dieta sorretta da attività venatoria e di raccolta.
dere l’altra, la vendita diretta porta una maggiore remunerazione ai produttori vista l’esclusione di intermediari, ma anche la gratificazione di avere un rapporto diretto
con l’acquirente e instaurare un rapporto di fiducia. Quando però ci si trova ad avere delle produzioni importanti credo che la grande distribuzione sia una scelta da tenere in
considerazione, perché permette di portare il prodotto al di fuori dell’area di produzione con un bacino d’utenza più ampio e al contempo avere un ritorno di immagine sul territorio di origine del prodotto stesso”. Nelle malghe e nel fondo valle si parla anche di finanziamenti pubblici. “Ritengo che il finanziamento pubblico sia necessario, meglio dire indispensabile, per la sopravvivenza delle aziende agricole nei territori montani. Oggi la nuova riforma della Pac tocca due temi molto importanti: la riduzione dell’utilizzo degli antibiotici e il miglioramento del benessere animale, premiando tramite contributi chi rispetta questi due parametri. Credo, però, che non debbano essere considerati fattori limitanti, reputo invece che siano opportunità, soprattutto per noi produttori di Silter DOP, per offrire al consumatore un prodotto certificato rispettoso dei criteri orientati verso una reale sostenibilità economica, ambientale e sociale”.
Cosa c’è nel futuro del Silter DOP? Ne parla il direttore del Consorzio di tutela del Silter DOP, dr. Agronomo Oliviero Sisti: “Nel futuro della DOP Silter ci saranno sicuramente i risultati del progetto MIFISSO, ovvero Microrganismi autoctoni e Fitodepurazione per la Sicurezza e la Sostenibilità del burro e dei formaggi a latte crudo prodotti in Valle Camonica e nel Sebino Bresciano.
Il Consorzio di tutela, per rafforzare le conoscenze da parte dei singoli operatori; offrire strumenti per risolvere problematiche legate ai caseifici di malga, come la sicurezza alimentare dei prodotti di breve stagionatura o freschi; gestire correttamente il siero del latte in lavorazione, ritiene che questa sia la strada idonea da percorrere. Il Consorzio è il capofila, ma il progetto coinvolge: gli associati, i loro caseifici, la Comunità Montana come gestore del Parco dell’Adamello e i partner scientifici DeFENS-UNIMI e ISPA-CNR che hanno competenze qualificate e comprovate da attività sperimentale e progettuale in ambiti quali la tecnologia e la microbiologia lattiero-casearia.
Gli obiettivi del progetto sono: la realizzazione di innesti autoctoni per migliorare la sicurezza alimentare dei formaggi a breve stagionatura e del burro; la predisposizione di linee guida per la progettazione di impianti di fitodepurazione a servizio di malghe e caseifici in ambito montano e la realizzazione di un impianto pilota presso la malga Blumone”
OLIVIERO SISTISull’uso del termine Grana è da tempo in corso una battaglia su diversi fronti in cui è in gioco il tema della genericità del termine.
La questione, di recente, è tornata all’ordine del giorno a seguito di due sentenze che appaiono in contraddizione.
Il 25 maggio 2022, la Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Venezia si è pronunciata nella causa tra il Consorzio per la
tutela del formaggio Grana Padano e un’impresa non associata allo stesso, per l’utilizzo della parola “Grana”, secondo l’attore riservata al solo Grana Padano DOP, connesso al termine “Gran Moravia” sui prodotti della convenuta.
a) Le posizioni delle parti
n Il Consorzio
Il Consorzio ha basato la propria azione sulla violazione del Reg. UE 1151/2012 sostenendo che il prodotto contestato, prodotto nella Repubblica Ceca e pertanto non conforme al disciplinare di produzione, era definito “grana” nell’ambito di comunicazioni
rivolte a terzi, anche a mezzo web o social network, quali interviste rilasciate dal legale rappresentante dell’azienda produttrice, creando un’assimilazione tra il proprio prodotto e il Grana Padano.
n Il produttore
L’azienda convenuta in giudizio eccepiva che l’uso del termine “grana” era avvenuto solo per specificare l’appartenenza del Gran Moravia alla categoria dei formaggi “grana” e la sua realizzazione secondo la tradizione e il gusto italiani senza con ciò voler creare un agganciamento al “Grana Padano”.
L’argomento principale della difesa si basa sulla tesi della genericità del termine “grana” da intendersi quale espressione della granulosità della pasta, derivante dalla particolare metodologia di produzione. Ciò sulla base dei seguenti aspetti:
º la sentenza della Corte di Giustizia C432/2018 che aveva negato l’estensibilità della tutela accordata alla denominazione complessa “Aceto Balsamico di Modena” alle singole componenti non geografiche della IGP;
º il D.L. n. 1177/1938, convertito in L. 396/1939 che aveva elencato i formaggi riconoscibili in ragione del loro nome commerciale, quali “grana parmigiano reggiano”, “grana parmigiano lodigiano”, “grana parmigiano emiliano” e “grana parmigiano veneto”;
º il fatto che la DOP “Trentingrana”, pur nell’ambito della DOP “Grana Padano”, indica il formaggio “grana” del Trentino quindi fuori dalla Pianura Padana;
º il sondaggio di opinione attestante la circostanza per cui il consumatore medio riterrebbe il “Parmigiano Reggiano”
un “grana” al pari del “Grano Padano”, a riprova della concettualizzazione della categoria generica di formaggi accomunati dalla loro pasta dura;
º l’uso generico del termine “grana” nella letteratura economica e gastronomica;
º l’esistenza di alcuni provvedimenti dell’AGCM e del Ministero delle Politiche Agricole, in cui l’espressione “tipo grana” sarebbe utilizzata non per identificare un formaggio simile al “Grana Padano”, bensì un formaggio appartenente alla famiglia e tipologia dei “grana”.
b) La decisione
Il Tribunale basa la propria decisione sul tema della genericità, utilizzando come percorso logico giuridico, i passi della sentenza Grana Biraghi della Corte di Giustizia nella causa T 291/03 del 12 settembre 2007, in cui il giudice comunitario aveva affermato che “per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si debba tenere conto di tutti i fattori e, in particolare, della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo, della situazione esistente in altri stati membri e delle pertinenti legislazioni nazionali e comunitarie”.
Pertanto il giudice:
- procede all’analisi dai pareri prodotti dalla convenuta e dalle numerose pubblicazioni tecniche, in cui sebbene venga riconosciuto che il termine “grana” sia riferito alle sue caratteristiche produttive e di consistenza, ciò non viene
ritenuto dirimente in quanto il termine sarebbe comunque riferito a formaggi riconducibili a un determinato ambito geografico di produzione, consistente in una zona della pianura padana;
- esamina i dizionari della lingua italiana, articoli di stampa, denominazioni di prodotti contrassegnati dalla presenza della componente verbale “Gran” e fabbricati senza seguire i metodi tradizionali, marchi riferiti a formaggi tipo grana comprensivi del termine “grana” senza tuttavia trovare elementi a supporto della tesi difensiva;
- verifica l’indagine demoscopica condotta dalla convenuta, traendone in realtà che il formaggio tipo “grana” viene ricondotto alle due grandi famiglie di formaggi aventi una precisa origine territoriale, quella padana;
- apprende il tema della denominazione “Trentingrana”, osservando come il medesimo, lungi dall’essere contraddistinto da una DOP autonoma, sia pacificamente “istituzionalizzato all’interno del sistema organizzativo del Consorzio di Tutela del Grana Padano”, tale da corroborare la correttezza dell’impostazione concernente la riferibilità del termine “grana” unicamente il formaggio prodotto rispettando il disciplinare della DOP “Grana Padano”;
- controlla i “pertinenti” atti giuridici nazionali o dell’Unione, nonché internazionali, di scambio sottoposti al Tribu-
Studio Legale Gaetano Forte“L’utilizzo del termine ‘grana’ per indicare formaggi, pure a pasta dura che fanno la ‘grana’, costituisce una violazione della denominazione di origine protetta” Tribunale di Venezia
nale per stabilire l’eventuale valutazione della genericità del termine, ma dando un riscontro negativo. Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha concluso che “l’utilizzo del termine ‘grana’ per indicare formaggi, pure a pasta dura che fanno la ‘grana’, costituisce una violazione della denominazione di origine protetta, in considerazione del fatto che il termine ‘grana’ non può reputarsi generico”.
A poco tempo di distanza il Tribunale di Torino, con sentenza n. 707/2023 pubblicata il 17 febbraio 2023, emette sentenza con elementi contrari a quelli del Tribunale di Venezia. La causa nasce dall’iniziativa del Consorzio di tutela del Grana Padano nei confronti di un formaggio denominato “Gran Riserva
Italia” che avrebbe evocato la DOP Grana Padano Riserva.
Il Tribunale di Torino, afferma che “la parola ‘GRAN’ utilizzata dal caseificio convenuto non può ritenersi evocativa della parola ‘GRANA’, sia perché essa è un mero aggettivo riferito al sostantivo generico ‘RISERVA’, sia perché essa stessa, essendo un vocabolo generico della lingua italiana, deve ritenersi liberamente utilizzabile. Peraltro, il sostantivo “GRANA”, oltre a essere vocabolo descrittivo, ha il proprio precipuo valore ove accompagnato all’aggettivo “PADANO”, poiché è proprio nell’origine geografica che si sostanzia l’essenza e la ratio della tutela qui azionata”. Conclude affermando che “nel caso in esame difetta l’incorporazione parziale nel cuore geografico della denominazione protetta nel segno utilizzato dall’operatore, poiché nella denominazione utilizzata non vi era alcun riferi-
mento alla pianura padana e all’aggettivo ‘Padano’. Difetterebbe inoltre la similarità visiva, poiché i due contrassegni posti in comparazione sono ben distinti e differenti. Infine non vi sarebbe similarità concettuale proprio perché l’assenza della zona di origine (mediante l’uso del termine ‘padano’) escluderebbe in concreto il sorgere di un meccanismo di associazione tra i due termini”.
Il giudice richiama, nella propria decisione la sentenza della Corte di Giustizia che ha affermato che: “per accertare l’esistenza di un’“evocazione” di un’indicazione geografica registrata, spetta al giudice del merito valutare se il consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, in presenza della denominazione controversa sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce che beneficia dell’indicazione geografica protetta. Nell’ambito di tale valutazione detto giudice, in mancanza, in primo luogo, di una similarità fonetica e/o visiva della denominazione controversa con l’indicazione geografica protetta e, in secondo luogo, dell’incorporazione parziale di tale indicazione in tale denominazione, deve tener conto, se del caso, della somiglianza concettuale fra detta denominazione e detta indicazione” (v. Corte di Giustizia UE sentenza del 7.6.2018 nella causa C – 44/17).
Dall’analisi delle due sentenze emerge indubbiamente una contraddizione di posizioni su una tematica estremamente controversa e delicata, che concerne l’ampiezza della tutela che viene accordata alle denominazioni di origine. La questione della genericità nonché dell’evocazione sono concetti che saranno riaffrontati nella riforma del Reg. UE 1151/2011 in corso di discussione, che ci si augura possa fornire elementi che possano evitare decisioni contrapposte che creano incertezza nell’applicazione delle norme e rischi per gli operatori del settore.
“La parola ‘ GRAN ’ è un mero aggettivo riferito al sostantivo generico
‘ RISERVA ’ e un vocabolo generico della lingua italiana” Tribunale di Torino
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Stefania MilanelloMalattie e difetti dei formaggi, quali gonfiore precoce o tardivo, eccesso di proteolisi, screpolature, alterazioni della struttura della pasta per de-
cadimento, colorazioni anomale, formaggi amari, a pasta fessurata, senza occhiatura, oppure a occhiatura anormale, irregolare o falsa, paste rotte o strappate, possono rovinare irrimediabilmente un formaggio. Abbiamo chiesto a chi con i formaggi lavora e li
studia da tanto tempo di affrontare l’argomento difetti, prevenzione ed eventuali cure. In particolare, Alessandro Garofalo, responsabile ricerca e sviluppo del Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana
DOP si addentra nei principali difetti dei for-
maggi a pasta filata, nella loro individuazione e prevenzione. Mentre con Gian Antonio Zapparoli, tecnologo e consulente nel mondo lattiero-caseario di comprovata espe-
rienza, ci occupiamo dei formaggi duri da latte crudo, come Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Carlo Fiori, affinatore storico di Luigi Guffanti 1876 srl, ci parla della
cura dei formaggi in fase di stagionatura e di quanto i difetti originali possano comportare problemi e delle relative terapie in fase di allevamento dei formaggi.
Responsabile ricerca e sviluppo del Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana DOP
La Mozzarella di Bufala Campana è un formaggio a pasta filata conservato in liquido di governo, prodotto esclusivamente con latte di bufala di razza mediterranea italiana, secondo quanto previsto dal Disciplinare di Produzione. Più che di difetti è corretto parlare di evoluzioni naturali, più o meno spinte, dovute appunto alla natura stessa del formaggio, che è da considerarsi un formaggio vivo, ricco di fermenti lattici, proteine bio-disponibili e sali minerali, per cui da sempre esprime il meglio non prolungando troppo il suo consumo. Una classificazione generale dei cosiddetti “difetti”, anche per il nostro
formaggio, potrebbe essere fatta dividendoli in “difetti di gusto e aroma” e “difetti strutturali”. Il gusto di “amaro”, che potrebbe comparire all’assaggio in una Mozzarella di Bufala Campana DOP durante la sua conservazione, può dipendere da diversi fattori anche collegati tra di loro. I principali sono: alimentazione delle bufale, il tipo di caglio, i microrganismi presenti e in maniera inferiore anche la salatura del formaggio. Il tipo di alimentazione somministrata alle bufale qualora venissero impiegate barbabietole, crucifere, fieno greco o radici può provocare il trasferimento di sostanze dall’aroma amaro
“Più che di difetti è corretto parlare di evoluzioni naturali, più o meno spinte, dovute appunto alla natura stessa del formaggio”
nel latte e successivamente nel formaggio. Anche i tipi di enzimi coagulanti (caglio) possono determinare, quando aggiunti in misura più del dovuto, durante l’idrolisi delle caseine, una produzione aspecifica di peptidi amari. Anche alcune tipologie di microrganismi contaminanti (batteri psicrofili durante lo stoccaggio del latte a temperature basse) o presenti nel siero innesto (lattococchi) possono talvolta produrre classi di proteasi e lipasi capaci di sviluppare metaboliti dal sapore amaro. Infine, anche la salatura indirettamente può concorrere al gusto di amaro, in quanto può modificare la conformazione nello spazio delle caseine influenzando così la capacità delle proteasi di innescare l’idrolisi delle stesse. I difetti strutturali che invece potrebbero interessare una Mozzarella di Bufala Campana DOP sono sostanzialmente da individuare in due tipologie: occhiature e stracchinatura. La Mozzarella di Bufala Campana DOP non prevede al ta-
glio la presenza di occhiature se non quelle che sono generate dalla “spezzatura” della pasta durante le operazioni di formatura. La stracchinatura è un difetto delle paste filate fresche ad alta umidità e può interessare quindi anche la Mozzarella di Bufala Campana DOP durante la sua vita da scaffale. La struttura fibrosa ed elastica della pasta ottenuta durante la fase di filatura che dà la peculiare caratteristica di texture alla mozzarella si perde nel tempo così, al taglio della stessa, la parte più centrale assume una caratteristica di pastosità e cremosità che fa ricordare appunto lo stracchino. I difetti raccontati sono gestiti in maniera collaudata dalle nostre aziende casearie. Tutti gli alimenti somministrati devono essere idonei e qualitativamente sicuri al fine di non compromettere la salute e il benessere degli animali. I difetti legati alla struttura interna del formaggio occhiature e stracchinatura, soprattutto il primo, sono
verificabili principalmente in alcuni momenti dell’anno, quelli più caldi e sensibili alla conservazione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. Infatti, gli standard qualitativi microbiologici delle nostre stalle e gli eventuali trattamenti termici al latte, prevengono queste particolari anomalie. La stracchinatura invece, è un fenomeno che non può essere del tutto annullato in quanto dipende dalla natura dello stesso formaggio. Questa alterazione strutturale della texture interna della mozzarella provoca uno sfaldamento della pasta sempre più accentuato mano a mano che il prodotto si avvicina alla sua data ultima di consumo riportata in etichetta. Anche in questo caso, il caseificio con il lavoro di team tra responsabili alla produzione e responsabili della qualità assicurano sempre, in ogni condizione, l’esatta preparazione degli ingredienti e il loro preciso dosaggio al fine di rallentare il più possibile questi inevitabili effetti.
Tecnologo
C’è stata un’evoluzione negli anni nel tipo di difetto di formaggi duri da latte crudo, come Grana Padano e Parmigiano Reggiano. L’avvento di nuove tecnologie, come ad esempio, l’utilizzo di lisozima nel Grana Padano hanno limitato molto i gonfiori butirrici. Grandi evoluzioni ci sono state anche per quanto riguarda la zootecnia e le tecniche a essa connesse. Attualmente i difetti che riguardano Grana Padano e Parmigiano Reggiano sono prevalentemente dovuti allo sviluppo di batteri lattici eterofermentanti, che producono un’occhiatura abbastanza fine, o molto più visibile, a seconda dell’intensità di
fermentazione e quindi dalla quantità di gas prodotto. Queste fermentazioni alterano anche le caratteristiche organolettiche del prodotto rendendolo più piccante all’assaggio e spesso dipendono dall’utilizzo di insilati mal gestiti o diversi dal mais. È infatti la fase di insilamento un momento chiave che può portare al forte sviluppo di questi microrganismi. Altri difetti che colpiscono queste produzioni, a mio parere, riguardano la crosta. Essi possono interessare una piccola porzione della crosta del formaggio oppure una parte maggiore che può interessare sia i piatti che lo scalzo. Le cause possono
e consulente nel mondo lattiero-caseario da oltre quarant’anni
essere di tipo tecnologico, quindi errori di trasformazione, di dosaggio degli ingredienti, del percorso di rivoltamento dei formaggi, della gestione del magazzino di stagionatura. In alcuni casi è possibile rimediare con la “camera calda”. Dopo la salatura si possono portare le forme che presentano alcuni difetti di superficie in camera calda, per evitare o ridurre di molto il rischio di future marcescenze. Ovviamente ogni caseificio è un caso a sé e potrebbe riportare altre tipologie di difetti, ma, a mio parere, queste oggi sono le più frequenti. Tranne che in rari casi, correggere questi difetti è impossibile, una volta presenti nelle forme di formaggio. Occorre invece concentrarsi sulla prevenzione. È fondamentale per prevenire le fermentazioni anomale, il monitoraggio del pH nelle prime ore. La cagliata in formatura ha un pH di circa 6 che deve scendere nell’arco di 10-12 ore a valori prossimi a 5. Per un corretto monitoraggio, inoltre, è possibile tagliare una forma di Grana Padano o Parmigiano Reggiano a 48 ore, prima che vada in salamoia, e sapendo “leggere” la forma tagliata (pH, temperatura, umidità, struttura) è possibile avere molte informazioni sull’an-
damento fermentativo e sull’aspetto strutturale della forma stessa, sulla presenza ad esempio di ristagni di umidità, rendendo possibile un rapidissimo intervento a livello tecnologico, quindi in caseificio, o anche eventualmente allertando il produttore di latte. Nel momento in cui la forma di 48 ore è stata tagliata, può essere ulteriormente sezionata e sottoposta a un trattamento termico per individuare eventuali zuccheri residui, che predispongono il formaggio a future e indesiderate fermentazioni, soprattutto di tipo eterolattico. Altra possibilità, è quella di effettuare un controllo radioscopico delle forme per individuare eventuali difetti fermentativi dai tre mesi di stagionatura e oltre. In futuro, verrà applicata anche al mondo caseario la tomografia assiale computerizzata TAC-3D, che dà un’immagine perfetta dell’eventuale difetto presente nel formaggio. I limiti attuali di tale tecnologia non sono di tipo tecnico, ma riguardano i costi. In ogni caso, non è possibile porre rimedio sulla forma in esame, ma, una volta individuata la problematica e la causa, modificare quelle situazioni che possono avere generato il difetto.
“Un buon allevamento presuppone un’attenta e professionale selezione delle forme che devono presentarsi perfette ed esenti da evidenti difetti originari”
Innanzitutto va affermato che è inutile e controproducente tentare di valorizzare con il tempo in ambiente adatto, prodotti caseari che mostrino fin dall’inizio evidenti difetti. Va dunque sfatata la leggenda che si possa far migliorare un formaggio difettoso con pratiche gestionali più o meno sciamaniche. Un pessimo formaggio resta tale qualunque cosa si possa pensare di mettere in atto per modificarne la difettosa caratura originale.
Dunque regola prima: un buon “allevamento” presuppone un’attenta e professionale selezione delle forme che devono presentarsi perfette ed esenti da evidenti difetti originari. Dunque no all’idea di pratiche miracolistiche, ma sicuramente sì alla necessità di una cura attentissima di tutto quanto avviene in fase di evoluzione di quella che si qualifica genericamente come stagionatura. Dunque, ecco le regole per evitare, limitare la comparsa di difetti dovuti a “cattiva” gestione.
1) Pulizia accurata dei piani di appoggio delle forme Mentre è indispensabile che ogni cantina di “allevamento” sia colonizzata microbiologicamente e in linea con le diverse caratteristiche delle diverse tipologie dei formaggi che vengono lì gestiti, ogni cantina anche promiscua, se accuratamente tenuta, ovvero sempre ben disinfestata da parassiti, acari e residui grossolani invasivi, protegge, area per area, le specificità dei formaggi che vi vengono depositati. È dunque tassativo procedere sempre alla rimozione di quanto il formaggio rilascia, anche
per il semplice fatto fisico di restare appoggiato su una delle facce della crosta, appena accennata o ben formata che sia. Questo tipo di attenzione garantirà piani che non si rovinano per l’appoggio su superfici irregolari, o peggio, inquinanti.
2) Rivoltamenti regolari e trattamento della crosta che va via via formandosi
In filigrana si comprende come queste semplici pratiche siano l’antidoto naturale alla potenziale comparsa, dovuta a incuria, di quei “difetti” che possono evidenziarsi nella fase di stagionatura/affinamento. Infatti il rivoltamento regolare permette di far evolvere la forma senza deformazioni verticali degli scalzi. Anzi, è la conditio per l’ottenimento di forme che si presentino perfette nella verticalità e/o nella bombatura della propria struttura esterna. Una garanzia di pasta ben evoluta all’interno e di un aspetto esterno piacevole e rassicurante, in perfetta linea con le caratteristiche generali di quel formaggio, che, proprio perché formaticum cioè ottenuto da una “messa in forma”, ognuna tipica, non può e non deve mai perdere i contorni che gli si son voluti dare fin dall’inizio. Rivoltando si procede anche alla gestione dell’intera superficie esterna della forma attraverso spazzolatura, strofinatura, umidificazione – all’inizio anche con l’apporto di sale – sia degli scalzi che dei piani del formaggio stesso. È una pratica che permette la creazione, lo sviluppo e il mantenimento del packaging naturale del formaggio rappresentato dalla crosta ben forma-
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ta, ben evoluta e, in una parola, perfetta, che è la garanzia di formaggi senza difetti. Non ci devono essere screpolature, fessurazioni, intrusioni per un’efficace protezione della struttura interna sia che si tratti di paste morbide che semidure e/o dure, grazie a una pratica gestionale semplice, ma efficacissima, a base di acqua, sale, aceto, olio. Ogni “allevatore” detiene la padronanza di questi ingredienti, che sa do-
sare e utilizzare al meglio e a seconda delle diverse necessità di gestione delle croste con una notazione su tutte: mai olio che possa dare troppo imprinting di aroma e di gusto. In Guffanti si usa olio di vinacciolo insapore e inodore. L’olio deve servire a fare da portante all’acqua che, così emulsionata, riesce ad arrivare fin negli interstizi più microscopici garantendo la necessaria umidificazione completa della crosta.
“Un buon allevamento presuppone un’attenta e professionale selezione delle forme che devono presentarsi perfette ed esenti da evidenti difetti originari”
Nell’ambito dell’economia italiana ed europea il settore lattiero-caseario nazionale riveste un ruolo di primo piano con una produzione complessiva che nel 2022 ha raggiunto i 16,8 miliardi di euro. Notevole, di conseguenza, il fabbisogno di materia prima.
La produzione interna di latte crudo non riesce a coprire l’intero fabbisogno nazionale e le importazioni di latte (in diverse forme) sono vitali per l’industria di trasformazione, anche se hanno un peso minore rispetto al recente passato.
Il punto di forza della filiera italiana è rappresentato dalle produzioni di qualità che richiedono latte italiano: fiore all’occhiello sono le 56 produzioni casearie del nostro Paese che si possono fregiare della Denominazione di Origine (53 DOP, 2 IGP, 1 STG). Questi formaggi stanno dando un contributo determinante alla crescita della presenza dell’Italia sui mercati internazionali.
Le importazioni di latte sono destinate principalmente alle produzioni di formaggi industriali e di derivati a lunga conservazione, normalmente i prodotti di minor pregio. Per questi prodotti la legge prevede la possibilità di effettuare anche più di un trattamento di pastorizzazione e quindi di importare materia prima già trattata. Inoltre, la diversa tecnologia utilizzata per i prodotti UHT consente una minore attenzione ai requisiti della materia prima.
La struttura produttiva degli allevamenti da latte è fortemente frammentata, sebbene la zootecnia da latte in Italia abbia subito una profonda ristrutturazione che ha determinato un progressivo aumento delle dimensioni medie aziendali e della produttività e un continuo calo del numero delle aziende. Nonostante il processo di concentrazione e
la chiusura di numerose stalle, l’Italia si presenta ancora con una dimensione media delle stalle inferiore alla media europea. Si stima che le aziende che producono latte bovino siano di poco superiori alle 11.000 unità, mentre il patrimonio zootecnico (vacche da latte) è pari a circa 1,63 milioni di capi a dicembre 2022 e 234.000 bufale (Fonte Istat). I centri di raccolta latte in Italia sono circa un centinaio. Si tratta di stabilimenti in cui il latte crudo prodotto può essere raccolto ed eventualmente raffreddato e filtrato, per poi essere inviato agli stabilimenti di standardizzazione, trattamento e trasformazione. La produzione è concentrata nelle regioni del centro-nord. Due sole regioni, Lombardia ed Emilia-Romagna, rappresentano quasi il 60% delle consegne di latte nel 2022. La Lombardia primeggia nel settore del latte vaccino con quasi il 46% del totale nazionale, seguito da Emilia-Romagna (16%), Veneto, Piemonte, con le regioni settentrionali che rappresenta-
Nel 2022 la produzione complessiva ha raggiunto i 16,8 miliardi di euro
no oltre l’86% della produzione. La Sardegna è leader nell’ovino, con quasi il 70% del totale, e nel caprino con quasi il 40% del totale.
I NUMERI DEL SETTORE
I dati sulla filiera del latte rilevano una produzione nazionale di latte crudo che nel 2022 si
attesta a 14.072.000 tonnellate (Tabella 1). Dopo anni di continua crescita, il 2022 vede un’inversione di tendenza, registrando un ridimensionamento dei volumi di produzione (-0,8%, Tabella 2) dovuto alla forte crescita dei prezzi degli alimenti zootecnici, dei concimi e dell’energia, per alcune aziende insostenibili, che ha portato alla chiusura di diverse stalle e all’aumento delle macellazioni di vacche.
Le consegne di latte vaccino crudo alle latterie nel 2022 (anno solare) sono state pari a 12.983 mila tonnellate, in calo dello 0,9% rispetto all’anno precedente. La differenza con la produzione è data dalle vendite dirette e dalle consegne di latte bufalino, ovino e caprino.
Il 94,8% della produzione nazionale a volume riguarda il latte vaccino (Grafico 1), seguito dal latte ovino, dal latte di bufala e da quello di capra.
A valore la produzione raggiunge nel 2022 un fatturato record pari a 7.230 milioni di euro (Tabella 3), in crescita del 32,2% rispetto al 2021, fortemente influenzata da quotazioni
ALLEVAMENTI DA LATTE (NUMERO)
25.000
VOLUMI DELLE IMPORTAZIONI (‘000 TONNELLATE) 608
Fonte: elaborazione Cerved su fonti qualificate
medie del latte vaccino in progressiva crescita nel corso del 2022, raggiungendo una media annua di 51,7 euro/litro (prezzo del latte vaccino crudo alla stalla nella regione Lombardia) rispetto ai 38,33 euro/litro (media 2021).
In calo il mercato interno in termini reali (-1,2%) che si attesta sulle 14.662.000 tonnellate: la performance dell’export di formaggi nazionali non è riuscita a compensare il sensibile ridimensionamento dei consumi interni di prodotti lattiero caseari.
Le vendite sui mercati esteri di latte crudo non raggiungono dimensioni significative. Complessivamente sfiorano le 18.000 tonnellate (con un’incidenza sulla produzione di appena lo 0,1%) per un valore di quasi 13 Mn di euro. Le importazioni valgono il 4,1% dei consumi interni a volume per un valore di 294 Mn di euro. Negli ultimi anni si è assistito a un sensibile ridimensionamento dell’import di latte sfuso dovuto alla continua crescita della produzio-
VOLUMI DI PRODUZIONE (‘000 TONNELLATE)
14.072
IMPORT/MERCATO INTERNO (% volumi)
4,1
VALORE DELLA PRODUZIONE (MN. €)
7.230
EXPORT/PRODUZIONE (% volumi)
0,1
Tabella 1. DATI CHIAVE DI SETTORE 2022ne nazionale. Nel 2011 aveva superato i 2 milioni di tonnellate (Grafico 2), per poi registrare un costante declino negli anni successivi, una crescita nel 2019 e un crollo nel biennio 2020-2021, con volumi quasi dimezzati rispetto al 2019. Nel 2022 le importazioni registrano un calo dell’8,4% con volumi che si attestano sulle 608.000 tonnellate. Si rammenta che per il fabbisogno interno l’Italia importa materia prima in altre forme (crema di latte, polveri, semilavorati, etc.).
Interessante l’evoluzione geografica delle
importazioni di latte negli ultimi anni, allorché le aziende italiane hanno dato un forte impulso alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento: fino al 2007 le importazioni di latte sfuso provenivano soprattutto dalla Germania (con un peso sul totale compreso tra il 50% e il 70%), seguita da Francia e Austria, ma negli anni successivi sono venuti alla ribalta nuovi paesi come Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, nazioni con un surplus di materia prima, in grado di garantire un prezzo media-
mente inferiore rispetto al latte di produzione nazionale. Nel 2021 il primato dell’import di latte sfuso, per la prima volta dopo decenni, è passato dalla Germania alla Slovenia, che nel 2022 consolida il primato con una quota che si attesta sul 26,7% del totale latte sfuso (in volume) seguita dalla Germania (23,4%), Francia e Austria (Grafico 3).
Sensibile la crescita registrata nel 2022 dal prezzo del latte d’importazione (+47% rispetto al 2021), superiore all’incremento della materia prima nazionale (poco più del
33%) con Germania e Ungheria che registrano variazioni superiori alla media (Tabella 4).
Le tensioni sul mercato lattiero-caseario nazionale dovrebbero continuare a mantenersi su livelli elevati anche nel breve periodo. Nel 2023 si stima che il settore registrerà un lieve incremento della produzione in termini reali (+0,3%), sostenuto da quotazioni medie del latte che si manterranno elevate. Nono-
RIPARTIZIONE DELLA PRODUZIONE DI LATTE PER TIPOLOGIA, 2022 (incidenza % in volume)
stante segnali di inversione del trend dei prezzi del latte, la quotazione media del 2023 sarà superiore alla media del 2022, influenzando positivamente la produzione a valore con una crescita attesa superiore al 4%. Torneranno positive in termini reali anche le importazioni, condizionate da un mercato interno in ripresa. L’atteso sviluppo dei consumi interni è dovuto a un ulteriore incremento delle vendite di prodotti lattiero-caseari nazionali sui mercati esteri.
Più accentuata la crescita attesa della produ-
Tabella 4. LATTE SFUSO: PREZZO MEDIO ANNUO DEL LATTE D’IMPORTAZIONE PER PAESE DI PROVENIENZA, DAL 2020 AL 2022
a) - prezzi CIF (cost, insurance and freight) Fonte: elaborazione Cerved su fonti qualificate
zione nel medio-lungo termine in cui si prevede che l’Italia sarà l’unico tra i grandi Paesi produttori UE a crescere, mentre è atteso un ridimensionamento per Germania, Francia e Olanda.
Grafico 2. TREND DELL’IMPORT, DAL 2000 AL 2022High-protein yogurt. Technological development, physicochemical and structural characterization. Santa Fe, Argentina - Presentazione al 7th IDF Symposium on Science and Technology of Fermented Milk
MV. Beret, CI. Vénica, G.l Vinderola, IV. Wolf, MC. Perotti dell’Instituto de Lactología Industrial (CONICET-UNL)Lo sviluppo di latticini funzionali con un profilo nutrizionale migliorato è diventato rilevante negli ultimi anni. In particolare, lo yogurt magro ad alto contenuto proteico fornisce un livello più elevato di sazietà e potrebbe aiutare le persone in sovrappeso a controllare la loro successiva ingestione di cibo, con un impatto sulla loro salute. Inoltre, le proteine del latte e il calcio sono componenti nutrizionali di grande valore. Questo studio mira a formulare e caratterizzare uno yogurt ad alto contenuto proteico, con la prospettiva di selezionare un prodotto per una prossima sperimentazione clinica. Sono stati formulati quattro diversi yogurt (~7% di proteine, ~1% di grassi) aggiungendo proteine del siero di latte: concentrato di proteine del siero di latte 35% - WPC35 - (W1: 5,5% e W2: 3,5% p/v) e microparticolato (M1: 4% e M2: 2,5%), a
una miscela di latte fluido (1% di grassi) e latte scremato in polvere (7,5%). Sono stati analizzati proteine, grassi, calcio, solidi totali (TS), pH, acidità titolabile (TA), capacità di ritenzione idrica (WHC), conte microbiche, comportamento reologico: comportamento dell’indice di flusso (n) e indice di consistenza (k) e microstruttura negli yogurt alla fine del periodo di conservazione (21d/4°C). In conclusione, il tipo di ingrediente proteico del siero ha influito sulla formazione del gel e sulle caratteristiche del prodotto finale. Gli yogurt ad alto contenuto proteico M1, M2 e W2 hanno mostrato un comportamento reologico, una struttura macro e microscopica migliori. Poiché WPC35 è più accessibile e disponibile della proteina microparticolata nella nostra regione, W2 risulta essere una formulazione adatta per la sperimentazione clinica.
Application of galactooligosaccharides to increase nutritional value of fermented products. Presentazione al 7th IDF Symposium on Science and Technology of Fermented Milk
D. Harkavchenko, A. Macůrková, J. Štětina e L. Čurda della UCT Praga, dipartimento prodotti lattiero-caseari, grassi e
Effects of β-casein genetic variants (A1 and A2) in yogurt production. Presentazione al 7th IDF Symposium on Science and Technology of Fermented Milk
B. Juan e AJ. Trujillo, Centro per l’innovazione, la ricerca e il trasferimento nella tecnologia alimentare (CIRTTA), XIA, TECNIO, Dipartimento di scienze animali e alimentari, Facoltà di medicina veterinaria, Università autonoma di Barcellona (Cerdanyola del Vallès), Barcellona, Spagna, e J. Boix, Facoltà di Veterinaria - Università Autonoma di Barcellona
Il latte di vacca contiene in media il 3,5% di proteine, di cui l’80% è costituito da quattro caseine (αS1-CN, αS2-CN, β-CN e κ-CN) e il 20% da proteine del siero (principalmente α-LA e β-CN). LG). Il β-CN rappresenta circa il 35% delle proteine totali del latte e nel latte bovino si sono verificate mutazioni che hanno portato a diverse varianti genetiche descritte, di cui A1 e A2 le più comuni. La differenza tra le varianti genetiche A1 e A2 è la presenza di prolina (A2) o istidina (A1) nella posizione 67 della caseina, che influenza l’alterazione delle funzioni e della funzionalità delle proteine, l’idrolisi enzimatica e acida e la liberazione di peptidi bioattivi che potrebbero influire sulla lavorazione del latte, la nutrizione e la salute umana. La digestione della variante β-caseina A1 porta al-
la formazione della β-casomorfina 7, un peptide bioattivo, una possibile causa di varie malattie umane e associato a una bassa digeribilità del latte. Sono stati studiati gli effetti delle varianti genetiche A1 e A2 della β-caseina del latte sulla produzione di yogurt. È stato confrontato uno yogurt ottenuto da latte A2 (genotipo β-CN A2A2) con uno ottenuto da un latte di controllo (miscela di genotipi A2A1/A1A1). Sono state valutate le caratteristiche fisico-chimiche (pH, acidità, capacità di ritenzione idrica e sineresi), microbiologiche e sensoriali (colore e consistenza). I risultati hanno confermato che è possibile elaborare yogurt con latte A2, senza grandi differenze con il latte di controllo, ma con una maggiore accettazione da parte del consumatore.
cosmetici
Negli ultimi anni, l’interesse del pubblico per un’alimentazione più sana spinge l’industria alimentare a sviluppare e incorporare i prebiotici negli alimenti. Tra i molti prebiotici disponibili, i galatto oligosaccaridi (GOS) rimangono uno dei più interessanti, in quanto i GOS svolgono funzioni in parte simili agli oligosaccaridi del latte umano: ottimizzazione del microbiota intestinale naturale, miglioramento dell’assorbimento dei nutrienti, riduzione dei trigliceridi totali e del livello di colesterolo. Tutti questi vantaggi derivano da un prezzo relativamente basso e da una disponibilità generale, poiché i GOS sono realizzati utilizzando enzimi ricombinanti e lattosio provenienti dalle industrie lattiero-casearie. Pertanto, questo studio mira a indagare le possibilità e i vantaggi dell’introduzione di GOS nei pro-
dotti lattiero-caseari fermentati (come gli yogurt), utilizzando metodi e tecnologie economici e favorevoli all’industria. Per esplorare le tecnologie attualmente disponibili, sono stati acquistati diversi enzimi commerciali. La quantità di GOS e acidi organici nelle preparazioni e negli yogurt è stata analizzata mediante HPLC. È stato inoltre valutato il contenuto di streptococchi, lattobacilli e bifidobatteri. I GOS nello yogurt preparato non sono stati digeriti dai batteri e si sono dimostrati stabili fino a 9 settimane. La fortificazione con GOS ha anche portato all’aumento della quantità di bifidobatteri nel prodotto e ha avuto un effetto positivo sulla stabilità batterica nel tempo. Il gusto dello yogurt fortificato con GOS è risultato statisticamente simile a quello di controllo.
DOI: 10.1016/j.isci.2022.105744
Universal drivers of cheese microbiomes. Cell Press, Volume 26, 20 Gennaio 2023
RC. Reuben, D. Langer, N. Eisenhauer, SD. JurburgIl valore culinario, la qualità e la sicurezza del formaggio sono in gran parte determinati dai batteri in esso presenti, ma le analisi comparative del microbiota tra i vari tipi di formaggio sono scarse. La maggior parte degli studi sui formaggi incentrati sulla microbiologia (75%) si concentra sui batteri dell’acido lattico. A seguito di una revisione sistematica della letteratura sulla ricerca microbiologica del formaggio, sono stati raccolti dati sulla sequenza dell’amplicone del gene rRNA 16S da 824 campioni di formaggio che coprono 58 tipi di formaggio e 16 paesi. È stata trovata una relazione coerente e positiva tra la ricchezza del microbioma e il pH e una maggiore ricchezza microbica nei formaggi derivati dal latte di capra. Al contrario, non è stata trovata alcuna relazione tra pastorizzazione, posizione geografica o salinità e ricchezza. Il tipo di latte e formaggio, la posizione geografica e la pastorizzazione hanno spiegato collettivamente il 65% della variazione nella composizione della comunità microbica. Sono stati identificati quattro tipi universali di microbioma del formaggio, con taxa distinti e dominanti e fir-
me geografiche. La diversità microbica del formaggio è determinata dalle caratteristiche del processo produttivo. Lo studio rivela notevoli modelli di diversità tra il microbiota del formaggio, che sono guidati dalla geografia e dalle variabili ambientali locali.
DOI: 10.1016/j.animal.2022.100683
Impacts of production conditions on goat milk vitamin, carotenoid contents and colour indices. Animal, Volume 17, Gennaio 2023
Il contenuto, la composizione e la variazione dei composti vitaminici nel latte di capra sono stati poco studiati. Questo studio ha valutato 28 allevamenti, selezionati considerando il principale sistema
di alimentazione (basato sul foraggio principale e in particolare sull’accesso al pascolo), la razza caprina (alpina vs Saanen) e la gestione riproduttiva (riproduzione stagionale), nella principale area
Impatti delle condizioni di produzione sulle vitamine, sul contenuto di carotenoidi e sugliC. Laurent, H. Caillat, C. L. Girard, A. Ferlay, S. Laverroux, J. Jost, B. Graulet
DOI: 10.1016/j.lwt.2022.114347
Determination and evaluation of whey protein content in matured cheese via liquid chromatography. LWT, Volume 174, 15 Gennaio 2023
T. Oesen, M. Treblin, A. Staudacher, I. Clawin-Rädecker, D. Martin, W. Hoffmann, K. Schrader, Ka. Bode, R. Zink, S. Rohn, J. Fritsche
Ad oggi, non è disponibile un metodo analitico valido per determinare il contenuto totale di proteine del siero di latte (TWP) nel formaggio. Pertanto, lo scopo di questo studio è sviluppare metodi HPLC per la determinazione delle proteine del siero di latte nel formaggio stagionato. Sono stati prodotti e analizzati formaggi modello arricchiti con proteine del siero di latte stagionati e formaggi tradizionali di tipo Edam. Sono stati sviluppati metodi di estrazione delle proteine adatti e successivi metodi analitici per determinare il contenuto di proteine del siero di latte solubili in acido (ASWP) e TWP nel formaggio. Entrambi i metodi cromatografici hanno mostrato che le singole proteine del siero di latte
(α-lattoalbumina e β-lattoglobulina) non venivano degradate durante la maturazione. Tuttavia, il contenuto di ASWP analizzato è aumentato fino al 25% durante la maturazione. Rispetto al tradizionale formaggio di tipo Edam, il contenuto di β-lattoglobulina nel formaggio arricchito con proteine del siero (contenente il 30% di latte ad alta temperatura) è aumentato di un fattore di 3,5. Per valutare i risultati cromatografici, sono stati utilizzati due diversi modelli di calcolo per stimare un valore di riferimento per il contenuto di TWP nel formaggio prodotto. Sono necessari ulteriori studi per ottimizzare la quantificazione del contenuto di TWP nei formaggi duri, semiduri, molli e cremosi.
di produzione di latte di capra francese. Ogni azienda ha ricevuto due visite (primaverili e autunnali) che includevano un’indagine sulle condizioni di produzione del latte e un campionamento del latte sfuso. Sono state valutate le concentrazioni di vitamine del latte (A, E, B2, B6, B9, B12) e di carotenoidi, oltre agli indici di colore. Il foraggio principale nella dieta è risultato il fattore principale che alterava le concentrazioni di vitamine e carotenoidi nel latte di capra e gli indici di colore. Il latte di capre che mangiavano erba fresca come foraggio era più ricco di α-tocoferolo (+64%), piridossale (+35%) e vitamina B6 totale (+31%), e indice b* (che caratterizza il giallo del latte nello spazio colore CIELAB ) era anche maggiore (+12%) rispetto al latte di capre alimentate con foraggi conservati. Nel latte di capre che mangiavano erba fresca, le concentrazioni di piridossamina, luteina e carotenoidi totali erano superiori rispetto al latte di capre alimentate con insilato di mais (+24, +118 e +101%, rispettivamente), e le concentrazioni di retinolo e α-tocoferolo erano superiori a quelle del latte di capre nutrite con erba parzialmente disidratata (+45 e +55%). La concentrazione di vitamina B2 era
più alta nel latte di capre che mangiavano erba fresca che nel latte di capre alimentate con fieno o insilato di mais come foraggio (+10%). Tuttavia, quando le capre avevano accesso all’erba fresca, il latte sfuso era significativamente più povero di vitamina B12 rispetto a quando alimentato con insilato di mais (-46%) e in γ-tocoferolo (-31%) rispetto a quando alimentato con foraggio conservato. Le capre alpine producevano latte con concentrazioni di vitamina B2 e folati più elevate rispetto alle capre Saanen (+18 e +14%, rispettivamente). Inoltre, l’indice di colore del latte che discrimina i latti in base al loro contenuto di pigmento giallo era del 7% più alto nel latte delle mandrie Alpine rispetto a quello delle Saanen, ma il latte delle capre Saanen era più ricco di luteina (+46%). I latti di capra erano più ricchi di vitamine B2 e B12 e folati, ma più poveri di vitamina B6 in autunno che in primavera (+12, +133, +15 e -13%, rispettivamente). Questo lavoro evidenzia che le concentrazioni di vitamine e carotenoidi nel latte di capra e gli indici di colore variano principalmente in base al foraggio principale della dieta e in secondo luogo in base alla razza e alla stagione.
contenuto di proteine del siero di latte nel formaggio stagionato mediante cromatografia
La fine della pandemia sta dando una speranza di normalità, anche se i recenti eventi economici stanno creando grandi preoccupazioni e hanno un impatto sia sui produttori che sui consumatori. Le discussioni a lungo termine su dieta e salute, produzione e risultati ambientali,
alimenti locali e convenienza continuano a influenzare ciò che viene prodotto e come. Sembra che il settore lattiero-caseario sia pronto per reinvestire nella produzione di latte, ma con le catene di approvvigionamento non ancora del tutto recuperate dall’interruzione della pandemia e con lo scenario economico che aumentano i costi di investimento e riducono il reddito fami-
liare, la situazione attuale e le prospettive future sono incerte. È quanto emerge dalla Scheda informativa IDF dello scorso novembre.
I membri del comitato permanente dell’IDF per la politica e l’economia lattiero-casearia
hanno aggiornato i risultati e le condizioni di mercato in 22 Paesi durante i primi sei mesi del 2022. Si tratta di Australia, Canada, Cile, Cina, Danimarca, Francia, Germania, Islanda, India, Irlanda, Giappone, Repubblica di Corea, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Russia, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Stati Unito. In tutto il mondo, questi paesi rappresentano oltre il 60% della produzione mondiale di latte e la stragrande maggioranza del commercio mondiale di prodotti lattiero-caseari. Nel terzo anno dall’inizio della pandemia di Covid-19, l’industria lattiero-casearia mondiale sta mostrando segni di una transizione generale verso una nuova realtà post-pandemica. Fattori estranei alla pandemia influiscono anche sulla produzione di latte e sulla scelta dei consumatori.
Su base nazionale, il tasso di crescita medio è stato negativo dell’1,2%, ma all’interno di un ampio range del -7% al +7%. Solo 6 paesi segnalano un aumento della produzione: di questi, solo Cina e Russia sono grandi paesi produttori di latte. Ciò è in contrasto con l’anno precedente, quando la crescita è stata più lenta del trend storico ma ancora positivo, soprattutto nelle aree lattiere del Nord America, Nuova Zelanda e Irlanda. Quest’anno, Australia e Nuova Zelanda hanno registrato i maggiori cali di produzione e Stati Uniti, Canada e Irlanda sono stati appena sopra la mediana, ma ancora negativi.
A differenza dell’anno scorso, i prezzi del latte sono stati molto alti, ma ciò è dovuto in gran parte al fatto che i costi di produzione sono stati anch’essi molto elevati. La principale preoccupazione è il drammatico aumento dei prezzi del grano e dell’energia causati dal conflitto in Ucraina. In
molte parti del mondo, i cambiamenti climatici, che hanno riguardato siccità, ma anche inondazioni e temperature estreme, hanno aggiunto stress alla produzione di colture foraggere e alla salute degli animali da latte.
Un impatto comune dell’economia della prima pandemia è stata la riduzione dei pasti consumati fuori casa, sia per le restrizioni governative che per scelta dei consumatori. Nel 2022, i modelli alimentari hanno iniziato a tornare a quelli pre-pandemia, ma i consumatori mostrano ancora una certa riluttanza a tornare completamente ai pasti fuori casa. In tutti i prodotti lattiero-caseari, aumenti insolitamente elevati dei prezzi al dettaglio, combinati con volumi misti, hanno spesso portato a un aumento delle vendite. I modelli di vendita e consumo variano a seconda del prodotto e del Paese. Cile, Cina, India, Nuova Zelanda, Polonia e Islanda riportano aumenti dei consumi pari o superiori alla crescita tendenziale. Al contrario, sono stati osservati cali in Canada, Francia, Sud Africa, Svezia, Corea e Svizzera. Pertanto, non esiste un modello particolare spiegato dalla posizione geografica, dal profilo demografico o dallo sviluppo economico. Formaggio, polvere di latte e gelati hanno goduto di più aumenti che diminuzioni nei diversi mercati presi in esame dalla scheda informativa dell’IDF, al contrario di prodotti
come lo yogurt e il latte. Le vendite di burro e creme sono state stabili. In alcuni casi, come ad esempio il latte per bevande, c’è stata una ripresa a più lungo termine. Altri prodotti, come formaggio, burro e yogurt, hanno potuto beneficiare, almeno in una certa misura, di maggiori consumi nei ristoranti e nelle scuole. Rispetto al 2021, i rapporti sulle vendite dei primi mesi del 2022 sono stati decisamente più positivi in ogni Paese preso in esame. Sebbene sia troppo presto per stimare un effetto duraturo, dalla scheda informativa dell’IDF, si ha la sensazione che molti consumatori abbiano “riscoperto” i prodotti lattiero-caseari quando il consumo si è spostato all’interno delle mura domestiche e che ciò potrebbe avere un beneficio a lungo termine per il consumo di latticini. Il commercio globale di prodotti lattiero-caseari è cresciuto in quasi tutti i Paesi nonostante le continue difficoltà di approvvigionamento. Non è stato insolito che i Paesi abbiano segnalato aumenti sia delle importazioni che delle esportazioni di prodotti lattiero-caseari, a vantaggio della ripresa economica.
L’anno scorso, molti Paesi hanno segnalato un certo timore per le vendite dei prodotti lattiero-caseari a causa dei prezzi più elevati che potrebbero scoraggiarne il consumo. L’aumento dei prezzi al dettaglio ha superato le aspettative, soprattutto a causa
I costi dell’energia e dei mangimi influiscono pesantemente su tutta la filiera lattiero-casearia , fino ai prezzi al consumo , rendendo le prospettive del settore incerte
dall’aumento dei costi dell’energia e dei mangimi. In questo contesto, il settore lattiero-caseario non risente singolarmente dell’inflazione, ma si prevede che i prezzi più elevati e il reddito disponibile ridotto avranno effetti sui consumi. Ciò potrebbe implicare la diminuzione delle vendite dei prodotti lattiero-caseari di maggior valore, ma anche l’aumento dei prodotti lattiero-caseari di base.
Gli sforzi di marketing dei prodotti lattierocaseari continuano a promuovere temi familiari, come i benefici per la salute dei latticini all’interno di una dieta equilibrata. In effetti, la salute e il benessere rimangono i comuni più temi di marketing in tutti i Paesi, con alcuni che puntano in particolare a iniziative come “Latte nelle scuole”, o comunque legate all’alimentazione per l’infanzia e i bambini o ad altre nicchie demografiche. Rafforzare i latticini come ingredienti buoni e gustosi in cucina e che fanno parte della tradizione culinaria è un altro tema comune
a diversi Paesi. Temi di marketing più recenti, come quelli relativi alla sostenibilità ambientale, al clima e all’affidabilità, stanno diventando sempre più importanti.
In un modo o nell’altro, i Paesi si stanno allontanando da una mentalità pandemica e i comportamenti stanno pian piano tornando alla normalità. Ciò ha ampie conseguenze per la produzione, la commercializzazione e il consumo di generi alimentari. La crescita dell’inflazione e le prospettive di recessione destano molto preoccupazione; il tono dominante è quello dell’incertezza, con una sfumatura di ottimismo per quanto riguarda l’uscita dalla pandemia, ma meno sulle condizioni economiche attuali e dell’immediato futuro.
Le grandi preoccupazioni relative alle questioni ambientali portano numerosi Stati a intraprendere azioni per fronteggiare il cambiamento climatico, che sta diventando una questione fondamentale, così come la
qualità dell’acqua e del suolo, l’uso della plastica, il riciclo e lo spreco alimentare. Molti Paesi segnalano iniziative nazionali o di settore per affrontare le preoccupazioni di carattere ambientale, che vanno dall’aumento delle normative e restrizioni ad azioni positive che il settore lattiero-caseario sta intraprendendo per affrontare la situazione a diversi livelli della filiera.
Gli atteggiamenti dei consumatori sono diversi; vanno da quelli che apprezzano i latticini e li considerano parte di una dieta sana, ad altri che sostengono una dieta più a base vegetale per motivi sanitari e/o climatici. Vari Paesi segnalano sforzi pubblici che tendono ad attirare l’attenzione su aspetti negativi reali o percepiti. C’è un crescente movimento per fornire semplicistici sistemi di punteggio, visualizzati sulla parte anteriore delle confezioni di alimenti, che forniscono indicazioni di facile intuizione, ma probabilmente eccessivamente semplificate e fuorvianti, ai consumatori sulle caratteristiche nutrizionali e rispettose dell’ambiente degli alimenti, prodotti lattiero-caseari compresi. Le autorità stanno imparando che queste denominazioni non sono così chiare come a volte vengono rappresentate, ma questo di per sé non scoraggia il desiderio di semplici indicatori di consumo. Il settore lattiero-caseario sottolinea che gli alimenti devono essere valutati nel contesto di una dieta totale e dall’ampia prospettiva del loro profilo nutrizionale complessivo.
Il benessere e la gestione degli animali interessano sempre più consumatori. Tutti i Paesi segnalano attività in questo settore, che vanno da questioni di particolare importanza a livello locale, come uno standard nazionale di assistenza, a iniziative più ampie in materia di istruzione e standard di settore.
SAVE THE DATE
Dal 26 al 28 settembre 2023 i protagonisti del settore si incontrano per discutere dei temi cruciali e delle principali sfide che attendono il mondo della produzione alimentare
Le moderne grattugie, il confezionamento in atmosfera modificata, il mantenimento della catena del freddo consentono di ottenere un prodotto molto gradito dal consumatore e con trend di crescita del mercato favorevoli
Iformaggi porzionati e grattugiati riscuotono da anni un certo successo, con quote di mercato interessanti, che si sono confermate anche negli anni della recente pandemia dovuta al Covid-19. Le macchine per la produzione e il taglio del formaggio sono in continua evoluzione per soddisfare le diverse esigenze delle aziende casearie.
In particolare, le grattugie sono in grado di lavorare diversi tipi di formaggio siano essi a pasta dura Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Pecorino, semi duri, con e senza crosta, a forma circolare e rettangolare, ma anche a pasta tenera come la mozzarella e mix di formaggi. Le caratteristiche maggiormente richieste alle grattugie sono la produttività, la pulizia dell’ambiente di lavoro, la possibilità di grattugiare formaggi diversi, l’ingombro ridotto, la semplicità di sanificazione, la possibilità di scegliere tra diverse granulometrie. Le macchine sono costruite interamente in acciaio inox aisi 304 e dotate di vibrovaglio sotto la tramoggia di scarico o sono predisposte per il suo inserimento. Gli anelli dentati utilizzati per grattugiare i diversi formaggi sono completamente estraibili per una completa sanificazione. Le potenze che possono coprire queste macchine sono diverse, così come le loro capacità produttive, che arrivano anche a 1500 kg/h. La maggior parte dei modelli sono studiati per lavorare in linea. Le grattugie possono quindi essere collegate a macchine dosatrici-confezionatrici che rendono il formaggio disponibile in buste richiudibili con zip o senza, confezionato in atmosfera modificata, di diverse forme e pesi. Se necessita, il prodotto deve essere raffreddato in uscita prima del confezionamen-
to per evitare la formazione di condensa e conseguente crescita di muffe e altri microrganismi. Le prestazioni vengono aumentate nelle grattugie collegate a sistemi di trasporto che consentono anche l’aspirazione e il sollevamento del prodotto per permettere di posizionare l’aspiratore direttamente sulla confezionatrice.
Non solo grattugiati, sono tutti i prodotti caseari a elevato contenuto di servizio che vedono il favore del consumatore.
Il taglio a spicchi a peso fisso o variabile è fondamentale per le porzioni a peso fisso, con taglio liscio o a roccia delle classiche forme rotonde di formaggio. Anche in questo caso, le macchine per la porzionatura sono progettate per avere meno scarto possibile e per adattarsi a misure, dimensioni, densità e umidità della pasta diverse. Si adattano, in-
fatti, sia ai formaggi a pasta semi dura, come Fontina, Gouda, Leerdammer, sia a formaggi a pasta dura, come Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Con apposite lame, è possibile ottenere anche spicchi con taglio a roccia. Produttività e precisione nel porzionamento a peso fisso di formaggi con dimensioni e densità diverse.
Le lamellatrici, invece, consentono di ottenere petali di diverso spessore e formati, ma
L’alto contenuto di servizio e la praticità sono i punti di forza dei formaggi grattugiati
anche tagli a julienne, a fiammifero. Altre macchine molto richieste dalle aziende casearie sono le cubettatrici, caratterizzate da un’elevata precisione di taglio e dall’ottimizzazione della geometria del cubetto. Caratteristiche apprezzate anche nelle macchine blocchettatrici, ovvero in grado di tagliare il formaggio, soprattutto se di dimensioni rilevanti, a blocchetti per poter essere destinato ad altre lavorazioni o direttamente alla vendita. Anche il mercato del formaggio a fette ha dalla sua numeri importanti, anche grazie alla richiesta di avere prodotti diversificati. Grazie alle diverse impostazioni, le macchine presenti sul mercato sono in grado di lavorare formaggi a pasta tenera,
come Asiago e Provolone, ma anche a pasta più dura, per ottenere fette rotonde, quadrate, a mezzaluna di diverso spessore, per una maggiore varietà di utilizzo. Il taglio viene effettuato con dischi di filettatura che consentono di tagliare il formaggio nei diversi profili richiesti dall’azienda. La maggior parte delle macchine presenti sul mercato è in grado di accettare blocchi di formaggio di diverse dimensioni e di diverse tipologie di formaggi per eventuali mix, così come di controllare lo spessore e la lunghezza del filetto senza fermare la produzione. Le moderne grattugie e macchine porzionatrici consentono di tenere in memoria e catalogare i dati relativi ai lotti di
produzione ed eventuali interventi di manutenzione.
Il mercato dei prodotti lattiero-caseari ha tenuto bene durante la recente pandemia. I formaggi grattugiati, in primis i DOP come Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano, e altri prodotti pronti all’uso hanno addirittura incrementato le vendite. Il comparto dei formaggi grattugiati è tra i più dinamici, sia nel canale discount che nella GDO. Una crescita registrata sia in Italia che all’estero. Merito della praticità di utilizzo, del confezionamento in atmosfera modificata, dell mantenimento della catena del freddo e della zip di chiusura “salva freschezza”, che aumentano la shelf-life di questi alimenti, conservando al meglio le caratteristiche organolettiche, anche dopo l’apertura. Per preservare al meglio le caratteristiche organolettiche dei formaggi grattugiati, questi devono essere ben protetti nei confronti della luce, uno dei responsabili del deperimento; per questo motivo le finestre trasparenti, gradite ai consumatori, devono essere limitate. I consumatori riconoscono come adeguata e soddisfacente la qualità offerta da questi prodotti. Altre caratteristiche che i consumatori riconoscono e apprezzano nei formaggi grattugiati sono la possibilità di scegliere tra diversi formati, l’utilizzo totale del prodotto e quindi un minor food waste. Le aziende stanno lavorando anche su imballaggi maggiormente sostenibili.
È stata condotta un’indagine sulla presenza di ocratossina A (OTA) e sterigmatocistina (STC) nei prodotti caseari grattugiati ottenuti da formaggi a pasta dura tipo grana, dove sono stati raccolti e analizzati 107 prodotti grattugiati nei punti vendita. OTA e
Le macchine per la porzionatura sono progettate per avere meno scarto possibile e per adattarsi a misure, dimensioni , densità e umidità della pasta diverse
STC sono stati trovati rispettivamente nel 48,6% e nel 94,4% dei campioni, in un intervallo da <LOD a 25,05 µg kg−1 e da <LOD a 6,87 µg kg−1. STC è stato rilevato in tutti i campioni contaminati da OTA. La presenza di OTA e STC nel formaggio è dovuta alla contaminazione ambientale durante la maturazione, che porta alla crescita di funghi e alla produzione di micotossine sulla superficie del formaggio. Questa affermazione è stata confermata analizzando la superficie di 16 croste dure di formaggio tipo grana, risultate contaminate sia da OTA che da STC, con concentrazioni comprese tra 3 e 370 µg kg−1. Questa scoperta dimostra che l’inclusione della crosta aumenta la concentrazione di micotossine nei formaggi grattugiati. Il livello di micotossine è diminuito significativamente dalla superficie (0-1,5 mm) alle parti interne delle croste del formaggio (1,5-4,5 mm). Le tecniche di pulitura industriale delle forme possono rappresentare un trattamento utile per ridurre entrambe le tossine nei prodotti caseari grattugiati. Questi i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Toxins da titolo “Ochratoxin A and Sterigmatocystin in Long-Ripened Grana Cheese: Occurrence, Wheel Rind Contamination and Effectiveness of Cleaning Techniques on Grated Products” (autori Amedeo Pietri, Giulia Leni,Annalisa Mulazzi e Terenzio Bertuzzi del Dipartimento di Scienze Animali, degli Alimenti e della Nutrizione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza) finanziato dai Consorzi di tutela del Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Per le due
tossine in esame (l’ocratossina e la sterigmatocistina) l’Unione Europea non ha ancora stabilito dei limiti massimi da osservare, ma va detto che i valori rilevati sui campioni non sono pericolosi per la salute. Si parla infatti di pochi microgrammi di micotossine per chilo di formaggio grattugiato. I due consorzi di tutela hanno voluto questo studio per cercare di analizzare la possibile presenza di micotossine nei formaggi grattugiati. È infatti possibile che in formaggi a lunga stagionatura, come Grana Padano e Parmigiano Reggiano, si depositino sulla crosta spore fungine che in particolari condizioni di umidità e temperatura dei magazzini, producano micotossine. Da qui la preoccupazione dei due consorzi di analizzare i formaggi grattugiati in cui oltre
alla pasta viene utilizzata anche la crosta. Nel Grana Padano grattugiato, ad esempio, è consentito utilizzare al massimo il 18% di crosta. I due consorzi hanno voluto capire se le tecniche di pulitura delle forme garantissero livelli di contaminazione non significativi. Tutte le forme, oltre alla spazzolatura e ai rivoltamenti periodici, vengono pulite con acqua calda o con trattamenti a secco per abrasione e spazzolatura della crosta prima della commercializzazione. La sicurezza verrebbe aumentata se non fosse utilizzata la crosta nei grattugiati. Le due tossine in esame possono favorire lo sviluppo di tumori negli animali. Nulla di certo nell’uomo, tanto che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) le ha catalogate come probabilmente cancerogene per l’uomo, ma con valori che nulla hanno a che fare con quelli riscontrati sui grattugiati presi in esame dallo studio. Si parla, infatti, di valori molto più elevati e con dosi ripetute giornalmente. In conclusione, le due micotossine rilevate nei formaggi grattugiati che si acquistano al supermercato non sono considerate pericolose.
Le tecniche di pulitura industriale delle forme possono rappresentare un trattamento utile per ridurre entrambe le tossine nei prodotti caseari grattugiati
Obiettivo dell’iniziativa è la digitalizzazione dei processi, nella parte di allevamento e di trasformazione, attraverso la raccolta dei dati sul campo (sensori, quaderno di campagna), sia dagli ambienti di lavoro (sensori nella stalla) sia dai macchinari impiegati nelle lavorazioni, per fornire servizi alle aziende del settore agroalimentare, utili a garantire l’affidabilità e la trasparenza delle informazioni verso il consumatore finale.
Il progetto vede l’integrazione di ulteriori dati relativi alle diverse fasi, a partire dalle materie prime e fino alla trasformazione in prodotti caseari. La raccolta e la gestione integrata di tutti i dati rendono disponibili informazioni che possono essere utilizzate per l’ottimizzazione dei processi e per la tracciabilità di ciascuna operazione. Inoltre le informazioni possono essere utilizzate anche dal consumatore finale, per conoscere la storia del prodotto garantendo una maggior consapevolezza nelle scelte di consumo.
L’iniziativa prevede l’integrazione tra il sistema Easy Farm di TIM Enterprise, soluzione pensata per la gestione digitale delle aziende agricole, i sensori IoT di Olivetti e la piattaforma di Rurall, sviluppata grazie alla tecnologia di tracciabilità Antares Vision Group per la gestione completa dei dati di filiera. Le informazioni raccolte potranno essere memorizzate grazie alle tecnologie blockchain di TIM così da rimanere disponibili nel tempo.
ANTARES VISION GROUP
www.antaresvisiongroup.com
Il fusore continuo TECNO3 per materie grasse in pani è destinato alle industrie dolciarie, lattiero casearie e alimentari in genere. È dotato di un particolare sistema innovativo che garantisce un’elevata produttività, una riduzione dei costi energetici e un risparmio di manodopera.
L’efficienza dello scambio termico è eccellente in conseguenza del lavoro meccanico di rotori caldi, che operano un’azione raschiante sulla superficie dei pani.
Il ciclo di fusione risulta notevolmente ridotto rispetto ai classici impianti statici, senza il ricorso a temperature troppo elevate, consentendo così di mantenere inalterate le caratteristiche qualitative della materia prima. TECNO3 www.tecno-3.it
Tradurre in operatività il piano di controllo delle materie prime, dei prodotti intermedi e finiti è uno dei momenti più importanti per chi gestisce gli aspetti del controllo qualità, al fine di minimizzare i rischi legati alla sicurezza alimentare, ai costi e ai tempi di rilascio dei lotti. Il software AYAMA agevola le attività di predisposizione dei piani di controllo e facilità le attività di raccolta e valutazione dei dati analitici fornendo una base sicura per la rivalutazione periodica del piano di controllo.
Il gonfiore tardivo è un problema significativo nella produzione di formaggi a pasta dura o semidura, perché contribuisce allo spreco alimentare, diminuisce l’efficienza e genera gravi perdite economiche all’industria casearia. La causa sono i clostridi butirrici; FIL-IDF ha confrontato i metodi di rilevazione (https://tinyurl. com/mf9kc8pa) e quantificazione di questi batteri e il sistema AMP-6000 di SY-LAB, distribuita in esclusiva in Italia da Generon SpA, risulta di gran lunga più affidabile rispetto a quelli finora utilizzati. L’analisi è miniaturizzata, automatizzabile e richiede solo due giorni contro i tradizionali sette. GENERON
Formaggio storico del Sud Italia, il Caciocavallo Silano
DOP è uno dei più apprezzati al mondo. È ancora oggi lavorato a mano. Si tratta di un formaggio semiduro a pasta filata, prodotto esclusivamente con latte di vacca, tra cui la Podolica, una tipica razza autoctona delle aree interne dell’appennino meridionale
Il Caciocavallo Silano è uno dei formaggi a pasta filata più antichi e tipici del Sud Italia. Già nel 500 a.C., Ippocrate lo citò allo scopo di mettere in risalto l’abilità dei Greci nella preparazione del formaggio. Plinio il Vecchio, in uno dei suoi trattati sull’alimentazione, esalta le qualità del “butirro”, antenato dell’odierno caciocavallo, definito “cibo delicatissimo”. La denominazione “Silano” deriva, invece, dalle origini antiche del prodotto legate all’altopiano della Sila. L’origine del nome “Caciocavallo” deriva dall’usanza, antica quanto il formaggio stesso e ancora oggi usata, di legare le forme a coppie e di appenderle a stagionare a cavallo di una trave.
In particolare, il Caciocavallo Silano è diventato un formaggio a denominazione di origine protetta, con il riconoscimento DPCM 10.05.1993 così come modificato dal PROVV. 29.07.2003. A tutelare, valorizzare e vigilare sulla DOP ci pensa, dal dicembre del 1993, il Consorzio di Tutela Formaggio Caciocavallo Silano che ha sede nel comune di Spezzano della Sila (CS). Il Caciocavallo Silano è un formaggio prodotto esclusivamente con latte fresco proveniente da allevamenti bovini situati nelle aree interne delle province di Crotone, Vibo Valentia, Catanzaro e Cosenza, nella regione Calabria; Avellino, Benevento, Caserta e Napoli, nella regione Campania; Isernia e Campobasso, nella regione Molise; Bari, Taranto e Brindisi, nella regio-
ne Puglia; Matera e Potenza nella regione Basilicata. Il Caciocavallo Silano DOP è un formaggio fortemente legato al suo territorio, dal quale riceve profumi e fragranze uniche. Quest’anno il Caciocavallo Silano DOP si è classificato al 42° posto della classifica di TasteAtlas, che ha raccolto i migliori formaggi su scala mondiale.
Il Caciocavallo Silano è ancora oggi lavorato a mano. Si tratta di un formaggio semiduro a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di vacca, come Bruna, Alpina, Frisona, Pezzata, Meticcia e loro incroci, oltre alla Podolica, una tipica razza autoctona delle aree interne dell’appennino meridionale.
- Mungitura ed eventuale trattamento termico: il latte può essere crudo o eventualmente termizzato fino a 58° per 30 secondi in caseificio, con l’obbligo di indicarlo in etichetta, di non più di quattro munte consecutive dei due giorni precedenti a quelli della caseificazione.
- Cagliatura: il latte da impiegare per la produzione del Caciocavallo Silano DOP deve essere coagulato alla temperatura di 3638°C usando caglio in pasta di vitello o di capretto. È consentito l’impiego di siero innesto naturale preparato nella stessa struttura di trasformazione del latte.
- Rottura della cagliata: quando la cagliata ha raggiunto la consistenza voluta, dopo alcuni minuti, si procede alla rottura della stessa fino a che i grumi abbiano raggiunto le dimensioni di una nocciola.
- Maturazione della cagliata: questa fase consiste in un’energica fermentazione lattica la cui durata varia in media dalle 4 alle 10 ore e può protrarsi ulteriormente in relazione all’acidità del latte lavorato, alla temperatura alla massa o ad altri fat-
Il Caciocavallo Silano DOP è un formaggio fortemente legato al suo territorio, dal quale riceve profumi e fragranze uniche
tori. La maturazione della pasta è completata quando la stessa è nelle condizioni di essere filata e il controllo sui tempi di maturazione si effettua mediante prelievi a brevi intervalli, di piccole parti della pasta stessa che vengono immerse in acqua quasi bollente per provare se si allunga in fibre elastiche, lucide, continue e resistenti: cioè “fila”.
- Filatura e formatura della pasta: segue un’operazione caratteristica consistente nella formazione di una specie di cordone che viene plasmato fino a raggiungere la forma voluta. La modellazione della forma si ottiene con movimenti energici delle mani per cui la pasta si comprime in modo tale da avere la superficie esterna liscia, senza sfilature né pieghe, e la parte interna senza vuoti. Si procede, quindi, alla chiusura della pasta all’apice di ogni singolo pezzo immergendo la parte velocemente in acqua bollente e completando l’operazione a mano. Infine si dà alla pasta la forma opportuna e, laddove prevista, si procede alla formazione della testina.
- Rassodamento e salatura: le forme così plasmate vengono immerse prima in ac-
qua di raffreddamento e poi in salamoia. La salatura avviene per immersione per un periodo di tempo variabile in relazione al peso, ma comunque non inferiore a 6 ore.
- Stagionatura: tolte dalla salamoia le forme vengono legate a coppia con appositi legacci e sospese con delle pertiche al fine di ottenere la stagionatura. La durata minima del periodo di stagionatura è di 30 giorni, ma può protrarsi più a lungo.
- Marchiatura: nel Caciocavallo Silano DOP è impresso termicamente su ogni forma con una figurazione lineare o puntiforme, il contrassegno e l’indicatore di un numero di identificazione attribuito dal Consorzio di tutela, previa autorizzazione alla vigilanza, a ogni produttore inserito nel sistema di controllo. Il contrassegno, nel colore pantone 348 CVC, dovrà essere stampigliato sulle etichette apposte a ogni singola forma.
Il Caciocavallo Silano si commercializza tutto l’anno, dal formaggio stagionato 30 giorni in primavera al caciocavallo maturo di
12 mesi in inverno. Da gennaio a marzo, le mucche passano più tempo nella stalla, sono in gravidanza e in attesa della primavera. La dieta è a base di fieno e grano e il latte è ricco di grassi. Da aprile a giugno si attende il parto in modo che la nuova produzione del latte e quindi del formaggio possa cominciare, mentre i pascoli iniziano a crescere e le temperature diventano più calde. Nei mesi estivi, il formaggio acquisisce le diverse sfumature di sapori e si raccoglie il fieno per i periodi più freddi. In autunno, cambiano la luce del giorno e l’alimentazione delle vacche, mentre il latte diventa più grasso.
Forma: ovale o tronco-conica con testina o senza, di altezza e diametro variabili. Nel rispetto delle consuetudini locali, con presenza di insenature dipendenti dalla posizione dei legacci. Le forme possono essere trattate in superficie con sostanze trasparenti, prive di coloranti.
Peso: compreso tra 1 kg e 2,500 kg.
Crosta: sottile, liscia, di marcato colore paglierino; la superficie può presentare leggere insenature dovute ai legacci collocate in relazione alle modalità di legatura. È consentito l’utilizzo di trattamenti delle forme, superficiali, esterni e trasparenti, privi di coloranti con il rispetto del colore della crosta.
Pasta: omogenea e compatta con lievissima occhiatura, di colore bianco al giallo paglierino più carico all’esterno e meno carico all’interno.
Sapore: aromatico, piacevole, fusibile in bocca, normalmente delicato e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane, fino a divenire piccante a maturazione avanzata.
Odore: tipico con intensità aromatica medio bassa o media, a seconda della stagionatura.
Grasso della sostanza secca: non inferiore al 38%.
Taglio: vanno usati coltelli a lama larga e
spessa, ogni porzione dovrebbe avere una quantità uguale di crosta.
Occhiatura: lievissima occhiatura, fine, rada e distribuita in modo irregolare.
Unghiatura (la parte sottostante la crosta): deve essere presente, ma non troppo spessa ed evidente.
Conservazione: in luogo fresco tra +4°C e+ l 4°C. Tempo massimo di conservazione 12 mesi.
Temperatura di servizio: ideale a temperatura ambiente. Il profumo, l’aroma e anche il sapore vengono attenuati dalla bassa temperatura.
Modalità di consumo: nell’altopiano Silano viene per tradizione consumato a fette, scaldate alla piastra, sulle quali poi possono essere aggiunti altri prodotti territoriali.
Il Caciocavallo Silano DOP fa parte del menu
My Selection 2023, la linea premium di burger McDonald’s selezionati da Joe Bastianich e nata per valorizzare i prodotti DOP e IGP italiani, la loro qualità e lo stretto legame con i territori. McDonald’s stima di acquistare 244 tonnellate di Caciocavallo Silano, per il “My Selection Chicken Avocado & Bacon”, 100% petto di pollo italiano, Caciocavallo Silano DOP, cavolo cappuccio rosso italiano e salsa avocado, disponibile negli
oltre 670 ristoranti della nota catena di fast food americana di tutta Italia.
“Questa sinergia dà la possibilità, oltre a quella di far conoscere la genuinità e le peculiarità del nostro caciocavallo, di dare visibilità alle aziende e ai territori che hanno
contribuito alla costituzione del nostro consorzio,” ha spiegato il Presidente del Consorzio di Tutela Formaggio Caciocavallo Silano DOP Vito Pace in una nota. Questo progetto è solo uno dei tanti pensati dal consorzio di tutela per valorizzare e tutelare il Caciocavallo Silano DOP, tra cui: accrescere la conoscenza del prodotto promuovendo l’immagine nei confronti dei consumatori e degli operatori economici, le conoscenze in termini di qualità, metodiche di produzione, caratteristiche nutrizionali, sicurezza alimentare, etichettatura e rintracciabilità, nonché la capacità di commercializzazione e di penetrazione nei mercati locali, nazionali ed europei, mantenendo un adeguato prezzo di mercato che ci consenta la dovuta redditività alle imprese della filiera.
Modificati i decreti nazionali di attuazione della disciplina
Come è noto, nell’agosto 2021, è stato introdotto l’obbligo per gli operatori del settore lattiero-caseario di registrare sulla piattaforma SIAN i quantitativi di latte sia bovino che ovi-caprino nonché dei prodotti lattiero-caseari ottenuti, in ottemperanza alla normativa comunitaria[1].
Infatti l’art. 151 del Regolamento n. 1308/2013 (c.d. Unico OCM), rubricato “Dichiarazioni obbligatorie nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari” prevede che “i primi acquirenti di latte crudo dichiarino all’autorità nazionale competente il quantitativo di latte crudo che è stato loro consegnato ogni mese nonché il prezzo medio pagato. Si opera una distinzione tra latte biologico e non biologico.
Ai fini del presente articolo e dell’articolo
148 per ‘primo acquirente’ si intende un’impresa o un’associazione che acquista latte dai produttori:
a) per sottoporlo a raccolta, imballaggio, magazzinaggio, refrigerazione o trasformazione, compreso il lavoro su ordinazione;
b) per cederlo a una o più imprese dedite al trattamento o alla trasformazione del latte o di altri prodotti lattiero-caseari.
Gli Stati membri notificano alla Commissione la quantità di latte crudo di cui al primo comma”.
A livello nazionale l’art. 3 del D.L. 27/2019[2], convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 44 del 21 maggio 2019, recante la disciplina relativa al “monitoraggio della produzione di latte vaccino, ovino e caprino e dell’acquisto di latte e prodotti lattiero-caseari a base di latte importati da Paesi dell’Unione Europea e da Paesi terzi” dispone a sua volta che: “1. Allo scopo di consentire un accurato monitoraggio delle produzioni lattiero-casearie realizzate sul territorio nazionale, i primi acquirenti di latte crudo, come definiti dall’articolo 151, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, fermo restando quanto stabilito dall’allegato III, punto 9, del Regolamento di esecuzione (UE) 2017/1185 della Commissione, del 20 aprile 2017, per il latte vaccino, sono tenuti a registrare mensilmente, nella banca dati del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 74, i quantitativi di latte ovino, caprino e il relativo tenore di materia grassa, consegnati loro
dai singoli produttori nazionali, i quantitativi di latte di qualunque specie acquistati direttamente dai produttori, nonché quelli acquistati da altri soggetti non produttori, situati in Paesi dell’Unione Europea o in Paesi terzi, e i quantitativi di prodotti lattiero-caseari semilavorati provenienti da Paesi dell’Unione Europea o da Paesi terzi, con indicazione del Paese di provenienza, fatte salve le disposizioni di cui alla Legge 11 aprile 1974, n. 138.
2. Le aziende che producono prodotti lattiero-caseari contenenti latte vaccino, ovino o caprino registrano trimestralmente, nella banca dati del SIAN, i quantitativi di ciascun prodotto fabbricato, i quantitativi di ciascun prodotto ceduto e le relative giacenze di magazzino. Con il decreto di cui al comma 3 è inoltre stabilito l’eventuale diverso periodo temporale di assolvimento dell’obbligo di registrazione dei piccoli produttori.
2-bis. I produttori di latte e le loro associazioni e organizzazioni, registrati nel SIAN, accedono alla banca dati del medesimo SIAN al fine di consultare i dati relativi ai primi acquirenti, in ordine al quantitativo di latte registrato.
3. Le modalità di applicazione del presente articolo sono stabilite con distinti decreti del ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, previa intesa in sede
Studio Legale Gaetano ForteI primi acquirenti di latte crudo sono tenuti a registrare mensilmente, nella banca dati del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), i quantitativi di latte ovino, caprino e il relativo tenore di materia grassa, consegnati loro dai singoli produttori nazionali
di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottarsi entro il 31 dicembre 2020 e riguardanti, rispettivamente, il settore del latte vaccino e il settore del latte ovi-caprino.
4. Chiunque non adempie agli obblighi di registrazione di cui ai commi 1 e 2 entro il ventesimo giorno del mese successivo a quello al quale la registrazione si riferisce, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 20.000. Se il ritardo nella registrazione non supera trenta giorni lavorativi, la sanzione è ridotta del 50 per cento. Nel caso di mancata o tardiva registrazione mensile di quantitativi di latte vaccino, ovino e caprino superiori a 500 ettolitri per due mesi consecutivi si applica la sanzione accessoria del divieto di svolgere l’attività di cui ai commi 1 e 2 nel territorio italiano, per un periodo da sette a trenta giorni.
5. Le sanzioni di cui al presente articolo sono irrogate dal Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.
6. Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, le regioni, gli enti locali e le altre autorità di controllo, nell’ambito delle rispettive competenze, esercitano i controlli per l’accertamento delle infrazioni delle disposizioni di cui al presente articolo.
7. All’attuazione del presente articolo le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 3 comma 3 del sopracitato Decreto Legge n. 27/2019, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 17.09.2021 è stato pubblicato il decreto ministeriale del 6 agosto 2021 n. 360338 recante modalità di applicazione dell’articolo 151 del Regolamento (UE) n. 1308/2013, per quanto concerne le dichiarazioni obbligatorie nel settore del latte bovino, mentre con decreto
ministeriale del 26 agosto 2021 n. 379378 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 01.10.2021) è stata data attuazione alla normativa sopra riportata anche per quel che concerne il latte ovi-caprino. Rispetto alla disciplina fissata dai predetti decreti è recentemente intervenuto il decreto ministeriale del 18 gennaio 2023 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27.02.2023) n. 25422 che ha apportato alcune modifiche alle modalità di presentazione delle dichiarazioni obbligatorie nel settore del latte bovino e ovi-caprino a causa del sopravvenire di diverse esigenze quali:
- la necessità di rendere omogenee le definizioni di “piccolo produttore” e di conseguenza eliminare la definizione di “vendite dirette”, previste dai citati decreti ministeriali, al fine di consentirne un’uniforme applicazione nei settori del latte bovino e ovi-caprino;
- la complessità tecnica dell’utilizzo della piattaforma informatica dedicata all’inserimento dei dati relativi alle dichiarazioni obbligatorie nel settore lattiero-caseario;
- la necessità di prevedere un periodo di prova, da parte degli operatori del settore, nell’utilizzo della citata piattaforma informatica, in modo da consentirne un adeguato e omogeneo utilizzo che permetta di ottenere un corretto monitoraggio dei flussi di latte, e dei prodotti lattiero-caseari, fra le diverse imprese del settore;
- la necessità di non sottoporre a sanzione gli operatori del settore, durante il periodo di prova, per eventuali errori o imprecisioni nei quali dovessero incorrere.
Pertanto al fine di contemperare le finalità individuate dal quadro normativo di riferimento con le esigenze emerse in fase di applicazione degli stessi sono state apportate alcune modifiche ai citati decreti ministeriali.
In particolare è stato stabilito che, per “piccolo produttore si intende un produttore di latte che effettua la trasformazione e la successiva vendita del proprio latte, a esclusione di quello consegnato ai primi acquirenti, e dei prodotti lattiero-caseari ottenuti esclusivamente dal latte della propria azienda” ed è stata eliminata la definizione di vendita diretta.
Solo per il latte bovino, tra i dati che i primi acquirenti sono tenuti a registrare entro il giorno 20 di ogni mese, nella banca dati del SIAN relativi al mese di calendario precedente, è aggiunto il prezzo medio mensile del latte crudo pagato ai produttori, operando la distinzione tra latte biologico e non biologico. È previsto che, entro il giorno 20 del mese di gennaio di ogni anno i piccoli produttori registrino nella banca dati del SIAN, i quantitativi di latte venduto, a esclusione di quello consegnato ai primi acquirenti, e i quantitativi di latte utilizzato per la fabbricazione dei prodotti lattiero-caseari venduti nell’anno precedente.
Per quanto attiene alle modalità di verifica della corretta attuazione della disciplina in esame, le regioni, per ogni anno solare, effettuano i controlli volti a verificare la correttezza e la completezza delle dichiarazioni; i controlli sono svolti attraverso verifiche amministrative presso i primi acquirenti, i produttori di latte e di prodotti lattiero-caseari, ivi compresi i piccoli produttori e, ove necessario, attraverso verifiche in loco presso le aziende conferenti. Non è più prevista l’applicazione dell’istituto della diffida per sanare eventuali irregolarità. È infine previsto che, le sanzioni presenti nei citati decreti n. 360338 del 6 agosto 2021 e n. 379378 del 26 agosto 2021, si applicheranno alle dichiarazioni presentate successivamente al 20 luglio 2023. Si ricorda che le sanzioni per la violazione degli obblighi di registrazione sono quelle previste dal sopracitato articolo 3, comma 4, del Decreto Legge 29 marzo 2019, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 maggio 2019, n. 44.
L’ultima importante variazione apportata con il decreto ministeriale 18 gennaio 2023 n. 25422 riguarda la modifica dell’allegato 1 del decreto ministeriale n. 360338 relativo alle dichiarazioni obbligatorie nel settore del latte bovino, che è stato revisionato ampliando le categorie dei prodotti dal registrare sul portale SIAN, con le seguenti nuove voci:
• siero di latte in polvere a uso umano;
• siero di latte in polvere per alimentazione animale;
• cagliate;
• Fat Filled Powder (FFP).
» [1] Sul punto vedi l’approfondimento “Dichiarazioni obbligatorie nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari: uno sguardo alla disciplina nazionale di attuazione” pubblicato sulla rivista Scienza e Tecnica Lattiero Casearia nr. 6/2021.
» [2] Recante “Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi e ((del settore ittico nonche’)) di sostegno alle imprese agroalimentari colpite da eventi atmosferici avversi di carattere eccezionale e per l’emergenza nello stabilimento Stoppani, sito nel Comune di Cogoleto”.
Per ogni anno solare , le regioni effettuano i controlli volti a verificare la correttezza e la completezza delle dichiarazioni
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Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Ed. 5, Università degli Studi di Palermo, Viale delle Scienze, 90128, Palermo, Italy
*Corresponding Author: Raimondo Gaglio
Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Ed. 5, Università degli Studi di Palermo, Viale delle Scienze, 90128, Palermo, Italy
E-mail: raimondo.gaglio@unipa.it
Abstract
The aim of this study was to evaluate the anti-Listeria activity of essential oils (EOs) extracted from the peel of lemons, oranges and tangerines in a fresh cheese produced with pasteurized ewe’s milk. Four cheesemaking trials were performed at the pilot plant scale level, including one control production without the addition of EOs and three experimental productions obtained by the addition of 200 μL/L of each EOs to milk. Before the addition of EOs, the milk of all trials was inoculated with 107 CFU/mL of the starter cultures (Lactococcus lactis NT1 and NT5) and 104 CFU/mL of pathogenic bacteria (Listeria monocyto-
genes ATCC19114). Plate counts confirmed the dominance of the starter cultures and a significantly reduction of L. monocytogenes in experimental cheeses. This work indicated that the addition of citrus EOs to milk represents an effective natural alternative to synthetic substances to enhance the microbial safety of this fresh cheese.
Keywords:
J Citrus essential oils
J Lactococcus lactis
J Listeria monocytogenes
J Ewe’s milk
J Ovine cheese
Received: Dec 28, 2022
Accepted: Feb 14, 2023
DOI: 10.36138/STLC.03.2023.01
Riassunto
Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare l’attività anti-Listeria di oli essenziali (OE) estratti da bucce di limone, arancio e mandarino in un formaggio fresco prodotto con latte di pecora pastorizzato. Quattro caseificazioni sperimentali sono state realizzate a livello di impianto pilota; una produzione è stata effettuata senza l’aggiunta di OE e rappresentava la produzione controllo, mentre le tre produzioni sperimentali sono state ottenute mediante l’aggiunta di 200 μL/L di ciascun OE al latte. Prima dell’aggiunta degli OE, il latte di tutte le prove è stato inoculato con 107 UFC/mL di colture starter (Lactococcus lactis NT1 e NT5) e con
104 UFC/mL del batterio patogeno (Listeria monocytogenes ATCC19114). Le conte su piastra hanno confermato la dominanza delle colture starter e una significativa riduzione di L. monocytogenes nei formaggi sperimentali. Questo lavoro ha chiaramente dimostrato che l’aggiunta di OE di agrumi al latte rappresenta una valida alternativa naturale ai prodotti di sintesi per migliorare la sicurezza igienica di questo formaggio.
Parole chiave:
J Oli essenziali di agrumi
J Lactococcus lactis
J Listeria monocytogenes
J Latte di pecora
J Formaggio ovino
In the past few years, the dairy sector is being more and more active in proposing natural antimicrobial alternatives to synthetic chemical preservatives in order to reduce the microbial contamination of the transformed products and to encounter the consumer trends (1). In this contest, naturally synthesized substances, such as plant essential oils (EOs) are being considered a promising strategy to improve the microbial safety of dairy products (2). These substances are classified as food-grade and GRAS (Generally Recognized As Safe) food additives by the U.S. Food and Drug Administration and their use is admitted in food productions (3).
Dairy products are consumed almost worldwide and are generally considered safe food (4, 5). However, the scientific literature reported some food poisoning outbreaks associated with the consumption of cheeses contaminated with Listeria monocytogenes, Salmonella and enteropathogenic Escherichia coli (6). Among them, L. monocytogenes is the dairy pathogenic bacteria more difficult to control due to the psychrotrophic properties and heat and salt tolerance (7). Generally, the low hygienic conditions of dairy factories, the high pH along with high moisture content during ripening represent the suitable conditions for rapid growth of this microorganism (8, 9). Although, the antimicrobial activity of EOs has been evaluated in vitro against spoilage and pathogenic bacteria and microscopic fungi (yeasts and moulds), fewer studies have been performed on the application of these natural biopreservatives in dairy productions (10). In particular, this application has been performed only with EOs extracted from herbaceous aromatic plants such as thyme, oregano and rosemary (11, 12). The addition of citrus EOs to Primosale cheeses was recently investigated by Busetta and co-workers (13) allowing to produce a novel fresh ovine cheese with specific chemical and sensorial characteristics well appreciated by consumers and able to enlarge the Sicilian dairy product portfolio. However, to our knowledge, no studies have been specifically performed on the evaluation of the antiListeria activity of citrus EOs in ewes’ milk cheeses.
The purpose of the present research was to evaluate, for the first time, the anti-Listeria activity of three industrial citrus EOs extracted from oranges, lemons and tangerines during the production of “Tuma” cheese, a Sicilian fresh-pressed cheese made from ewes’ milk characterized by a typical cylindrical-shape with a uniform structure and white or ivory-white color (14). Cheese making trials were performed at pilot plant scale level using Lactococcus lactis starter cultures. The specific objectives of the present study were to: (i) evaluate the in vitro inhibitory activity of citrus EOs; (ii) monitor the ability of starter cultures to drive the fermentation process in the presence of EOs; (iii) monitor the levels of L. monocytogenes during cheese production.
Three citrus EOs extracted from the peels of oranges (Citrus sinensis (L.) Osbeck), lemons (Citrus limon (L.) Osbeck) and tangerines (Citrus reticulata Blanco) were provided by the “EuroFood S.r.l.” facility located in Capo d’Orlando (Messina, Italy). Whole ewes’ bulk milk used for cheese production was obtained from the breed Valle del Belìce and was characterized by pH 6.68, somatic cells count 5.81 Log n/mL, lactose 4.66%, fat 6.15%, protein 5.66 % and casein 4.39%. The strains deliberately inoculated into milk were: L. monocytogenes ATCC 19114, belonging to the American Type Culture Collection, and two strains of Lc. lactis (NT1 and NT5), belonging to the culture collection of the Department of Agricultural, Food and Forest Sciences (University of Palermo, Italy). The strain ATCC 19114 was reactivated in Brain Heart Infusion (BHI) broth (Oxoid, Milan, Italy) incubated at 37°C for 24 h, while both Lc. lactis strains in Medium 17 (M17) broth (Biotec, Grosseto, Italy) incubated at 30°C for 24 h.
The antibacterial activity of the citrus EOs was tested in vitro against both species used in this study; L. monocytogenes representing the pathogenic bacteria and Lc. lactis used as starter cultures. The efficacy of the inhibitory substances was tested by the paper disc diffusion method as indicated by Gaglio et al. (15). Streptomycin at 10% (w/v) was used as positive control, while sterile water as negative control (16). The inhibitory activity was evaluated after incubation at the optimal temperature (reported above) for each strain and was scored positive only in case of a definite clear area around the paper discs. The tests were carried out in duplicate.
The strains of L. monocytogenes and Lc. lactis were firstly subcultured as reported above and then centrifuged, washed and resuspended in Ringer’s solution (Sigma-Aldrich, Milan, Italy) (17).
The two strains of Lc. lactis, previously isolated from freeze-dried starter preparation (LYOBAC-D NT, Alce International s.r.l., Quistello, Italy) (18), were used to prepare a Milk Starter Culture (MSC). Briefly, the washed cells of Lc. lactis were inoculated (1%, v/v) into ovine whole-fat UHT milk (Leeb Vital,Wartberg an der Krems, Austria) and incubated at 30°C for 24 h. Washed cells of L. monocytogenes and MSC containing the multi-strain culture were then used for cheese production.
Cheese making trials were performed in a dairy pilot plant (Biopek, Gibellina, Italy) applying “Tuma” pressed cheese technology (Fig. 1). The experimental plan included a control production (CP) and three experimental productions (EP), one for each citrus EO, as reported in Fig. 2. Each trial was performed into plastic vats with twenty-five liters of pasteurized (72°C for 15 s) whole ewe’s milk. The milk of CP and EP trials was inoculated with the MSC at a final concentration of approximately 10 7 CFU/ mL. The milk for EP trials was also inoculated with the cell suspension of L. monocytogenes at about 10 4 CFU/mL to simulate a massive contamination. Prior the liquid rennet (Clerici Sacco International, Cadorago, Italy) addition (3 mL), the milk used for EP productions was inoculated with 200 μL/L of each citrus EOs. After curdling, the curd was cut until the dimension of small rice-size grains, hand pressed into cylindrical perforated plastic molds, kept at 40°C for 50 min (so-called stewing step) and then
dried for 2 d at 10 °C. Cheese productions were carried out in duplicate in two consecutive weeks. Samples of raw milk, pasteurized milk, inoculated milk after addition of MSC and L. monocytogenes, curds, and cheeses after two days from ripening were collected for analyses.
Milk samples (1 mL) were directly serially diluted in Ringer’s solution (Sigma-Aldrich, Milan, Italy), while curd and cheese samples (10 g) were first homogenized in 90 mL of sodium citrate [2% (w/v)] solution in the Bag-Mixer 400 stomacher (Interscience, Saint Nom, France) for 2 min at the maximum speed and then serially diluted in Ringer’s solution (Sigma-Aldrich).
Cell suspensions were plated on agar media to allow the development of: total mesophilic microorganisms (TMM) spread on Skim Milk Agar (SMA) (Microbiol, Cagliari, Italy) and incubated for 72 h at 30°C; mesophilic coccus LAB poured in M17 agar
(Biotec) incubated for 48 h at 30°C; L. monocytogenes spread on Listeria Selective Agar Base (LSAB) added with SR0140E supplement (Oxoid) incubated for 48 h at 37°C. Plate counts were performed in duplicate.
Microbiological data were subjected to One-Way Variance Analysis (ANOVA) using XLStat software version 7.5.2 for Excel (Addinsoft, New York, USA). Tukey’s test was applied for pairwise and multiple mean comparisons (statistical significance p < 0.05).
The antibacterial activity of citrus EOs against L. monocytogenes ATCC19114 and Lc. lactis NT1 and NT5 is shown in Table 1. All EOs were highly effective against L. monocytogenes with a diameter of the inhibition area around the paper disc higher than 10 mm. This result confirmed the well-known antimicrobial activity of EOs obtained from the citrus genotypes (oranges, lemons and tangerines) cultivated in Sicily against the main human pathogens (19, 20). Interestingly, the development of Lc. lactis, selected as starter cultures, was not inhibited by citrus EOs, indicating their harmless against LAB, a basic condition for their application in cheese making.
The results of the plate counts carried out throughout cheese production from ewes’ milk to finished product are reported in Table 2. Ewes’ milk before pasteurization hosted levels of TMM and mesophilic coccus LAB of 6.04 and 5.89 Log CFU/mL, respectively. Similar results were previously reported by Guarcello et al. (21) and by Gaglio et al. (22) in raw ewes’ milk from Valle del Belìce breed used for PDO Pecorino Siciliano and PDO Vastedda della valle del Belìce productions, respectively. Generally, high levels of TMM in raw milk are imputable to the udder surface, the milking procedures, transport, and the storage condition (23). According to the Tukey’s test, significant differences (p < 0.0001) were found between raw and pasteurized milk for the levels of TMM and mesophilic coccus LAB. In particular, these microorganisms were found at 106 CFU/mL in raw ewes’ milk and their levels decreased of about 3 Log cycles after pasteurization, showing the ability of thermoduric indigenous milk LAB to survive after the application of pasteurization treatment (24). A similar trend was previously observed by Barbaccia et al. (18, 25) for raw and pasteurized ewe’s milk used for ovine pressed and stretched cheese productions. Regarding L. monocytogenes, its level in bulk raw milk was always below the detection limit (<1 Log CFU/mL). The mesophilic coccus LAB and L. monocytogenes were found in inoculated milk used for CP and EP productions at almost the same levels inoculated, confirming that Lc. lactis and L. monocytogenes inoculums occurred at 107 CFU/mL
a Width of the inhibition zone (millimeters).
b Bacterial species: Listeria monocytogenes ATCC 19114; Lactococcus lactis NT1; Lactococcus lactis NT5.
Results indicate mean ± SD of two independent experiments. Data within a column followed by the same letter are not significantly different according to Tukey’s test.
Abbreviations: LEO, lemon essential oil; OEO, orange essential oil; TEO, tangerine essential oil.
Symbols: - no inhibition.
and 104 CFU/mL, respectively. After curdling, TMM, mesophilic coccus LAB and L. monocytogenes increased of about 1 Log cycle as a direct consequence of whey draining (26). The levels of TMM and mesophilic coccus LAB reached values of about 9 Log CFU/g in CP and EP cheeses showing clearly that the addition of citrus EOs did not interfere with Lc. lactis development. Busetta et al. (13) observed a similar behavior in ewes’ milk inoculated with the same citrus EOs used for the production of Primosale cheeses. Significant differences (p < 0.0001) were found for the levels of L. monocytogenes between CP and EP cheeses. As expected, the levels of L. monocytogenes in cheese without citrus EOs, increased of about 0.5 Log CFU/g after two days of ripening. Contrarily, this microorganism was found at 2 Log cycles lower in all experimental cheeses indicating a clear in vivo anti-Listeria activity of citrus EOs (27), using Tuma cheese as model cheese.
This study provided, for the first time, an analysis of the antiListeria activity of citrus EOs extracted from peels of lemons, oranges and tangerines during the manufacturing of an ovine pressed cheese. The results revealed that the addition of milk with 200 μL/L of each citrus EOs did not affect the fermentation process carried out by starter LAB. Moreover, the addition of citrus EOs was not able to inhibit completely the growth of L. monocytogenes in the final cheeses, but reduced significantly their development in experimental productions. This
Units are Log CFU/mL for milk samples, Log CFU/g for curds and cheeses.
Results indicate mean values ± S.D. of four plate counts (carried out in duplicate for two independent productions).
Data within a column followed by the same letter are not significantly different according to Tukey’s test.
Abbreviations: SMA, Skimmed Milk Agar for detection of total mesophilic microorganism; M17, Medium 17 for detection of mesophilic coccus LAB; LSAB, Listeria Selective Agar Base for detection of L. monocytogenes; CP, control production; EPL, experimental production inoculated with lemon EO; EPO, experimental production inoculated with orange EO; EPT, experimental production inoculated with tangerine EO.
observation is probably due to the limited contact time. The results of this study clearly highlighted the positive role of citrus EOs in milk derived products and may open new promising opportunities for the prevention of L. monocytogenes growth during cheese productions. However, further studies such as antioxidant properties and sensory evaluation are necessary to better investigate the beneficial effect on human health and the general appreciation of Tuma cheese by consumers.
All authors declare that they have no conflict of interest inherent the present paper
This work was financially supported by the project for industrial research Prog. F/050267/03/X32-COR 109494-CUP: B78I17000260008 of the Ministry of the Italian Ministry of Economic Development, General Management for Business Incentives.
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Research Centre of Animal Productions and Aquaculture, Council for Agricultural Research and Economics (CREA-ZA), Via Lombardo 11, 26900, Lodi, Italy
*Corresponding author:
Giorgio GiraffaResearch Centre of Animal Productions and Aquaculture, Council for Agricultural Research and Economics (CREA-ZA), Via Lombardo 11, 26900, Lodi, Italy
E-Mail: giorgio.giraffa@crea.gov.it
Abstract
Bacteriophages (or phages) of lactic acid bacteria (LAB) represent an ever-latent problem for the dairy industry. In relation to their number and virulence, their presence (and persistence) in processing environments can cause, if not adequately controlled, a slowdown or, in extreme cases, a stuck of the lactic fermentation, with harmful consequences on the safety and quality of the products. Milk is the main source of phages. Moreover, milk and cheese whey derivatives (milk powders, whey protein concentrates), widely used as ingredients by the industry to standardize the composition of the raw material, not only represent a means of environmental dispersion of bacteriophages but can also constitute a substrate for their multiplication, being in contact with the bacterial cells, which are also present in cheese whey after processing and are parasitized by them. Air, working surfaces and dairy processing environments represent additional source of phage disper-
Received: Jan 20, 2023
Accepted: Mar 27, 2023
DOI: 10.36138/STLC.03.2023.02
sion. The phage is therefore a typical problem of environmental contamination and, as such, must be controlled by applying both preventive (product and process hygiene practices) and curative (heat, UV, filtration, sanitizing agents) methods, in turn integrated by the starter rotation. The application of heat remains the most applied and efficient method to inactivate phages, even if it is losing effectiveness due to the emerging of increasingly thermotolerant phage variants. Moreover, culture rotation strategy may prove ineffective in the long term, given the constant emergence of phage variants capable of lysing the starter cultures. New strategies will be needed to cope with the biological evolution of phages in the dairy environment. Integrated phage biology approaches could help to further unravel phage diversity and phage-host interactions with the aim of improving the LAB strain selection process.
Lactic acid bacteria (LAB) bacteriophages are among the most studied phages and a high-risk issue for the dairy industry. Due to their natural presence in the milk environment and the difficulty for a complete eradication from the processing chain, LAB-infecting phages have been claimed as one of the principal sources of fermentation failure (spoilage or delay) in the manufacture of many dairy products worldwide (Brüssow et al., 1998; Josephsen and Neve, 1998; Garneau and Moineau, 2011). Their short latency period, relatively large burst size, and increased resistance to pasteurization pose additional challenges in their control and elimination (Szczepankowska et al., 2013). Some estimates assume that virulent phages are the primary direct responsible of the largest-economic loss of dairy factories, since they affect negatively up to the 10% of all milk fermentations, especially cheese. The delay in lactic acid production due to the phage infection could weaken the action of competition against any spoilage or pathogenic microorganisms accidentally present during the fermentation process, with possible consequences on the quality and safety of the product (Moineau and Levesque, 2005; Szczepankowska et al., 2013). Among phages of LAB, those that infect Lactococcus (Lc.) lactis, Streptococcus (S.) thermophilus, and dairy lactobacilli are the most frequent and extensively studied (Garneau and Moineau, 2011; Briggiler-Marcò et al., 2012; Giraffa et al., 2017; White et al., 2022). Phages can also cause problems in the fast-growing field of probiotic foods, where the consequences of phage infection may even be more detrimental because the cultures employed are generally composed of individual strains or, less frequently, of two-four strains of different species. In the market of milkbased probiotic foods, however, there is a growing trend to work with multi-strain probiotics, with the aim of broadening the spectrum of efficacy and achieving synergistic effects. The loss of even a single strain component could in theory compromise a part of the probiotic functionality of the product (Timmerman et al., 2004; Ouwehand et al., 2018). Emerging data suggest an increasing occurrence of phages for specific probiotic LAB species, especially Lactiplantibacillus (Lpb.) plantarum, Lactobacillus acidophilus, Lacticaseibacillus (Lcb.) casei, and Lcb. paracasei which are widely used in several fermented dairy products (Briggiler Marcò et al. 2012; Mercanti et al., 2016). Therefore, it is imperative not only to easily recognize and quantify phages, but also find even more effective ways to fight them, or at least maintain their numbers under a critical threshold, thus preventing huge economic losses for the industry of fermented dairy products.
Several factors can affect the activity of dairy starters, such as the composition of milk as growth medium, bacterial interactions, pre-
sence of antibiotics or sanitizers, chemical inhibitors, and bacteriophage attack. Over the years, the industry has equipped itself with increasingly refined tools to combat, or limit, phage infection such as the use of mixed, multi-strain cultures of lactic acid bacteria (LAB), coupled with the application of the so-called rotation strategy. Rotation makes it possible to maintain the presence of phages at low levels that are not dangerous for the culture performance since it is based on the periodic rotation of technologically similar starter cultures, i.e., made up of strains with the same properties of dairy interest, but characterized by different spectra of phage sensitivity (Briggiler-Marcò et al., 2012; Los, 2020). Phage rotation starts from the theoretical assumption that, regardless of the type of starter, and the level of phage resistance of the strains that compose it, there will still be some phage variants capable of bypassing the host’s defense. Through a well-known biological process in which phages and bacterial hosts are locked in a continuous state of coevolution, phages have accumulated an impressive array of tactics to circumvent any given antiviral barrier that they face (Buckling and Brockhurst, 2012). Then, while being performing in the short term, phage rotation could have a boomerang effect, accelerating phage-host coevolution mechanisms, resulting in an increase in phage diversity in the dairy environment. This explains why even the rotation between strains does not give absolute certainty of success over time and justifies the continuous search for new strains with multiple phage resistances and the constant monitoring of fermentation, to identify in advance any failures and quickly correct them. The combination of the rotation approach with the application of direct-to-vat starter (DVS), highly concentrated cultures has further minimized the risks of phage infection (Szczepankowska et al., 2013). The use of DVS cultures allows to avoid the steps of preparation of the culture, reducing the possibility of viral contamination and replication. Starter companies today offer a wide range of LAB strains with different and complementary spectra of phage resistance, adaptable to any dairy processing technology.
Nonetheless, the search for phage-resistant strains is a very complex process which, as a rule, has a very low success rate and requires considerable industrial investment. Indeed, the effectiveness of this process requires, from the starter industry, both the availability of a large and technologically well-characterized strain library but also an equally extensive collection of phages to establish, for each isolate in the collection, the relative spectrum of phage resistance (lysotype). In fact, the goal is not only to find strains with different, and hopefully complementary, phage resistance spectra than those in use but to identify, among the former, variants that
are completely similar in terms of both acidifying activity and metabolic-functional properties (e.g., proteolysis, production of aromas, exopolysaccharides, vitamins), which greatly reduces the number of possible combinations (Szczepankowska et al., 2013; Giraffa et al., 2017). This scenario is further complicated by the elimination, from the list of potentially selectable candidates, of lysogenic strains, e.g., strains hosting temperate phages (prophages), which could cause unpredictable behavior and/or slowdowns in acidification during fermentation. Prophages are carried by many LAB strains and often more than one prophage is found within a single genome. Lysogeny is widespread within most of the dairyassociated and probiotic LAB species, such as Lactococcus spp., L. delbrueckii, Lactobacillus helveticus, and Lcb. casei, Lcb. rhamnosus, and Lpb plantarum whereas it is rare in S. thermophilus (Canchaya et al., 2003; Durmaz et al., 2008; Mercanti et al., 2011, 2016; Giraffa et al., 2017; White et al., 2022). Twenty-five out of 30 commercial, collection or dairy isolated Lcb. casei, Lcb. paracasei, and Lcb. rhamnosus carry inducible prophages (Mercanti et al., 2011). Prophages can also give rise to new virulent phages, with enhanced host range, through recombination with phages infecting the lysogenic strain (Labrie and Moineau, 2007). Overall, the use of selected, phage-resistant cultures is only one stage of a more complex strategy, which starts with the physical elimination of viral particles from the raw material and, through the cleaning and sanitization of the industrial environment and equipment (tanks, boilers, pipes, fittings, filling lines) with which the milk and cheeses come into contact, continues with the maintenance of a high standard of hygiene along the dairy processing chain.
A phage attack rarely involves a total stop of fermentation and, consequently, a loss of product, while much more frequently the symptoms of a viral infection, such as delays in production and variations in the quality of the product, are more easily perceivable. In any case, the identification and elimination of phage problems are always costly and time consuming for the industry because investigations must be carried out to detect the sources of the phages and introduce corrective actions, which can only control, or minimize, but not eliminate them. It is therefore of key importance to know first the potential sources of phages, to at least limit their entry into the dairy production plants.
Once delivered to the dairy, the phages are difficult to control because they multiply rapidly in the dairy environment. The kinetics of the infection within the host cell allows for the release of up to hundreds (depending on the species and/or strain) of new viral parti-
cles (which, in turn, are capable of infecting other cells), thus favoring the exponentially rapid increase of phages (Guglielmotti et al., 2012a). The large amount of milk processed daily in open cheese vats, as well as residual cheese whey on dairy floors, or whey processing, inevitably lead to liquid splashes and aerosolization of phages. Bacteriophages can also persist on various working surfaces and spread through manufacturing facilities as airborne particles (Szczepankowska et al., 2013; Giraffa et al. 2017; Garneau and Moineau 2011). The initial number, possibly low, of viral particles in milk and cheese environment can clearly mark the difference line between a simple slowdown and a total stop of the milk acidification. Table 1 summarizes the strategies to control phage entry and multiplication in dairy plants.
Raw milk is the main entry vehicle of phages into the dairy, with concentrations ranging between 10 and 104 phages/mL (Briggiler Marcò et al., 2012). While it is true that milk undergoes a heat treatment which eliminates most of the viral particles, unfortunately in recent years there has been a growing thermotolerance of LAB bacteriophages, probably because of a progressive selection of resistant variants, that does not allow a full thermal inactivation of phages. Previous research indicates that while most LAB phages do not survive 90˚C for 2 min., some are able to withstand 90˚C for over 15 min. (Guglielmotti et al. 2012b), conditions incompatible with a milk pasteurization treatment. The classic pasteurization at 72°C for 15-30 seconds is in fact ineffective against bacteriophages of most of the lactic species of dairy interest (Lc. lactis, S. thermophilus, L. helveticus). It takes 300 min to obtain 99% reduction of phage particles at 72°C for Lc. lactis, 21 min for L. helveticus, and 12 min for S. thermophilus. High concentrations of lactococcal phages have also been highlighted in pasteurized and sprayed milk even after 9 months of storage, showing a protective effect of the milk matrix, or its components, on the viability of the viral particles, which sums up to their increased thermal resistance (Suárez and Reinheimer 2002; Müller-Merbach et al. al. 2005).
In the light of these results, not even the use of high pasteurization treatments, such as those applied in the manufacture of yoghurt (90-95°C for 2-5 min.), guarantees complete inactivation of particularly heat-resistant bacteriophages which, therefore, persist in raw materials, thermized and pasteurized milk, and processing environments, thus easily entering the manufacturing process and accumulating rapidly during fermentation, reaching values up to 109 phages/ml cheese whey (or /g of product) (Briggiler Marcò et al., 2012). This scenario is particularly problematic for mesophilic and
thermophilic starter cultures or even for natural cultures used in many national PDOs obtained from raw milk (Grana, Parmesan, Mozzarella). These cultures, which are propagated without special precautions to prevent contamination of the raw milk or the cheesemaking environment, are potentially infectable by heat-resistant phages, with easily imaginable consequences (Carminati et al., 2012; Capra et al., 2013).
Reconstituted milk from powder is used in many countries for yoghurt and cheese production. Also, the native proteins and the fat fraction of the whey, or the whey itself, are reused to standardize the composition of the milk, increase the yield, or improve the structural properties of the cheeses. After a heat treatment to stabilize the whey at the end of processing and during its storage, the fat fraction is separated, and the defatted whey is concentrated by ultrafiltration up to 10% protein. Before use, it undergoes a process of particulate formation, i.e., a partial denaturation of the proteins with the formation of gels composed of monodisperse aggregates, followed by thermal recovery. Both milk powder and whey protein concentrates (WPC) can be sources of high temperature-resistant phages. In milk powders, the phages can concentrate during drying if they are already present in the raw material. In the WPC (liquid or dried), phages will be retained by ultrafiltration and/or microfiltration membranes used to separate whey components. Milk and cheese whey
derivatives could be then a vehicle for concentrated phage populations and cause problems in subsequent transformation processes (Chopin, 1980; Henning et al., 2006). To eliminate this risk and considering the presence of heat-resistant phage variants and the numerical levels they can reach in cheese whey after concentration (~1010 phages/ml), it is advisable to apply a heat treatment which ensures a reduction of at least 9 logs. In vitro studies of inactivation kinetics carried out on lactococcal phages with different thermal sensitivity indicate temperature-time combinations ranging from 70-90°C for 20 min-1 sec to 100-140°C for 20 min-2sec for the more thermotolerant ones. In practice, heat treatments with such intense temperature/time combinations are not industrially applicable due to the deleterious effect on the functional properties of the protein particulate (Atamer et al. 2013). This marked thermotolerance has stimulated the research and application of increasingly effective chemical biocides (chlorinated, phosphoric ethoxylates) for inactivating the LAB bacteriophages, to be combined with heat, or with alternative techniques, in a hurdle approach.
Many studies for testing the effectiveness of sanitizers used by the dairy industries on phages infecting different LAB species were carried out. An essential requirement of biocides used in the food industry is the efficiency to inactivate the phages. Biocides are products and preparations containing disinfectants authorized for use and active on any harmful organism. The phage killing
Environment
Raw material, by-products, wastes
Adequate factory design (physical separation of processing areas, i.e., cheese manufacture, starter production, whey handling and storage systems. Avoid misuse of the same tools and equipment for milk and cheese whey. Proper sanitation and disinfection of equipment, facilities, surfaces etc., including the implementation of effective sanitization schemes. Air control (filtration, physical or chemical disinfection).
Thermal treatments of raw materials.
Thermal treatments of by-products before recycling. Not use by-products such as cheese whey to rinse the vats.
Careful handling of dried products/by-products (e.g., milk powders, whey protein concentrates).
Continuous monitoring of starter efficacy. Staff training to check for suspected phage infection. Starter culture rotations (with different phage sensitivity patterns) Selection of phage resistant starter cultures (phage-insensitive mutants, phage-resistant derivatives).
Aseptic propagation of starter cultures.
Use of direct-to-vat concentrated starter cultures. (Especially for bigger industries) In agreement with the starter provider: planning a customized culture control protocol for prompt intervention in case of phage infection.
efficacy of biocides is based on a reduction of at least 4 log units of a phage population after a given contact time. However, inactivation rates depend on the chemical nature of the sanitizer, the time of contact, the presence of interfering materials, and the LAB phage species (Morin et al., 2015; Giraffa et al., 2017). Moreover, an increase in resistance to biocides by the main dairy LAB phages has been observed in recent years. Phage genomic plasticity and phage adaptation ability can give rise to new phage populations with a higher biocide resistance and thermal stability (Guglielmotti et al. 2012b; Capra et al. 2013).
Peracetic acid-containing products are often the most effective for inactivation of phage particles. The strong oxidizing effects of peroxy acids, the low toxicity of their by-products and the minimal residues increased their use. With peracetic acid at concentrations applied in the dairy industry (about 0.15%), similar rates of inactivation were obtained for phages infecting S. thermophilus, Lc. lactis and several dairy lactobacilli. Sodium hypochlorite and quaternary ammonium-based biocide are less efficient and their effectiveness is phage dependent (Quiberoni et al., 2003; Capra et al., 2004; Guglielmotti et al., 2012b; Mercanti et al., 2012). Among new disinfectants, biocides at extreme pH, such as alkaline chloride foam or ethoxylated nonylphenol with phosphoric acid are highly efficient (Briggiler Marcó et al., 2012).
UV irradiation is a widely applied methodology for surface, drinking water and wastewater disinfection and has been suggested as an alternative to thermal remediation processes. Sommer et al. (2001) studied the inactivation in water of mixtures of bacteriophages with various thermotolerances by means of non-ionizing UV radiation (253.7 nm). A UV light dose of 750J/m2 was sufficient for an inactivation of 4 decimal units of the more heat resistant variants. Although a powerful tool for phage inactivation in clear solutions, UV has not been successful in disinfecting milk and whey due to its poor penetration power in non-clear liquids. A new technology has been described in the literature, the UVivatec® process, which allows to improve the sanitizing power in non-clear liquid substrates (Atamer et al., 2013). As an alternative to commonly applied heat treatments, UV technology could in the future be considered in the inactivation of bacteriophages in cheese whey, provided that the legal and regulatory issues that may constrain its use be addressed.
Membrane separation has been used in milk processing for several decades, and at present, microfiltration, ultrafiltration (UF), and re-
verse osmosis systems are widely applied by the dairy industry. To evaluate the filtration efficiency on the phages it must be considered that, morphologically, the viral particles differ in shape and size, with wide intervals of variability, ranging between 50-75 and 120450 nm. It follows that the dimensions of the phage particles are, on average, greater than those of the main whey proteins (β-lactoglobulin and α-lactalbumin) and comparable to those of casein micelles (50-300 nm). UF using membranes with a cut-off of 20-40 kDa is usually preferred for concentrating milk or whey proteins (Gavazzi-April et al., 2018). UF membranes with a limit value of 20 kDa will therefore retain not only the milk proteins (casein, β-lactoglobulin and α-lactalbumin) but also a large amount of phage particles. In this way, the protein retentate to be used in cheese making to standardize the milk composition will also contain a concentrate of phages belonging to different species and morphotypes, therefore unsuitable for being applied industrially. In a recent study, it has been demonstrated that by using membranes with a larger pore size (300 kDa) it is possible to have a permeation of α-lactalbumin and β-lactoglobulin, which are significantly smaller in molecular size than the other whey protein fractions (serum albumin, immunoglobulin G, and lactoferrin) and a simultaneous retention of phages (Almécija et al. 2007). Thus, the corresponding permeates, enriched in α-lactalbumin and β-lactoglobulin, could be used instead of the phage-containing retentate. High retention rates were obtained by studying the behavior of lactococcal phages in skim milk, microfiltered through a membrane with a porosity of 100 nm. Only a low number of inoculated phages (0.4-0.14%) were still detectable in the micro-filtrate, regardless of the phage titer in the medium (Gautier et al. 1999).
Heat treatments are the most industrially applied method to inactivate phages in cheese whey. However, as reported above, the destruction of thermostable phage variants is not ensured by usual (or even more intense) pasteurization processes. Therefore, for practical reasons, it is advisable to combine heat with other phage inactivation methods. Membrane microfiltration with a porosity of 100 nm could remove a large part of the bacterial cells and, at the same time, reduce the concentration of viral particles in cheese whey to a level below 103 PFU/mL. This preliminary step could be followed by a milder pasteurization of the microfiltered cheese whey, thus limiting the thermal damage if it is desired to extract the proteins to obtain WPC. Microfiltration could be preceded by the addition of EDTA or phosphates before passage through the membrane or by a preliminary heat treatment (<70 °C), which would in-
duce the aggregation of the phage particles, facilitating their separation (Atamer et al. 2010; 2013).
Despite significant progress made over the past decades to reduce the risks associated with phage contaminations, bacteriophages are still widely recognized as the primary source of fermentation problems in dairy products. The industry has relied on an array of measures to control phage entry and multiplication, including improved sanitation, process and starter design, strain rotation, and the use of phage-resistant strains. Even when a starter culture that is launched on the market appears to be phage resi-
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36. interactions as a platform to establish the role of phages in modulating the microbial composition of fermented foods. Microbiome Res. Rep.1:3. DOI: 10.20517/mrr.2021.04.
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Iformaggi a pasta dura sono prodotti con latte di vacca, bufala, pecora o capra in cui la cagliata ha subito un trattamento termico superiore a 50°C. La stagionatura prolungata porta a un contenuto di acqua relativamente basso, compreso tra il 30 e il 40%. Il risultato finale è un formaggio caratterizzato da pasta friabile e granulosa.
Il Gruppo Alce mette a disposizione dei suoi clienti un’intera linea di articoli dedicati alla produzione di formaggi a pasta dura. La gamma comprende colture naturali di fermenti lattici liofilizzati a inoculo diretto in caldaia e a inoculo semidiretto che consentono, in abbinamento a substrati colturali dedicati e non, di riprodurre facilmente un fermento attivo da utilizzare in lavorazione. Oltre ai batteri lattici è disponibile una serie di cagli naturali di origine animale (bovino, caprino e ovino) e coagulanti di diversa natura, sia liquidi che in polvere (microbici e chimosina 100%). La gamma comprende inoltre vari tipi di lipasi (animale e microbica) per favorire la maturazione e arricchire il formaggio di composti aromatici di differenti intensità.
Come afferma la Dott.ssa Elena Mogna, CEO del Gruppo: “Grazie a una lunga attività di ricerca, il Gruppo Alce è in grado di riprodurre colture naturali salvaguardando la composizione quali-quantitativa in riferimento a specie, generi e biotipi, rendendone possibile l’utilizzo anche a realtà industriali”.
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aiutandoci a mantenere allo stesso tempo i prodotti sicuri più a lungo. Pensateci, lo yogurt dura molto più del latte fresco e il salame molto più a lungo della carne fresca.
Unire tecniche tradizionali alle più recenti scoperte scientifiche
Da circa 10 anni Chr. Hansen è attivamente impegnata per contrastare lo spreco alimentare. FreshQ® è una gamma di colture di bioprotezione che permette di controllare e prevenire lo sviluppo di lieviti e muffe responsabili della degradazione dei prodotti caseari freschi. Molto prima che l’umanità scoprisse l’elettricità e inventasse il frigorifero, la fermentazione ha aiutato l’uomo per rispondere a delle necessità di base, come evitare che il cibo si degradasse e poterlo conservare più a lungo. I nostri antenati hanno utilizzato questa tecnica per secoli, e hanno anche imparato l’arte della fermentazione molto prima di sapere come funzionasse. La fermentazione consente di proteggere numerosi alimenti, tra cui latte, carni, vino, birra, frutta e verdura,
Applicare rigorosi standard igienici nelle strutture di produzione alimentare è un must, ma in alcuni casi può essere necessario un aiuto in più, per evitare che i batteri cattivi possano prendere il sopravvento e rovinare i prodotti alimentari. In Chr. Hansen, unendo le nostre conoscenze scientifiche nel campo della microbiologia alle antiche tecniche delle fermentazioni, abbiamo isolato dei ceppi di batteri buoni in grado di proteggere gli alimenti per prevenire e rallentare la crescita di batteri cattivi. FreshQ® è la coltura di bioprotezione pensata per i produttori di formaggi freschi, latti fermentati e preparati vegetali alternativi ai prodotti caseari, attenti alla naturalità dei loro prodotti, rispettosi dell’ambiente e che puntano a combattere gli sprechi alimentari. FreshQ® permette di controllare e prevenire lo sviluppo di lieviti e muffe generalmente responsabili della degradazione dei prodotti freschi.
L’eterna lotta tra batteri buoni e cattivi
Poiché batteri buoni e cattivi competono per gli stessi nutrienti naturalmente pre-
senti nel nostro cibo, i batteri buoni che costituiscono FreshQ® possono sottrarre il cibo utilizzato dai batteri cattivi per crescere. I batteri buoni e cattivi competono anche per lo spazio, il che significa che i batteri buoni possono superare e sconfiggere quelli cattivi. E come i migliori soldati, i batteri buoni possono attaccare i batteri cattivi producendo composti organici naturali. Questi tre meccanismi d’azione che caratterizzano FreshQ® permettono di controllare e prevenire lo sviluppo di lieviti e muffe responsabili della degradazione dei prodotti freschi.?
Perché scegliere le colture di bioprotezione FreshQ ®
Ottenere prodotti freschi per più tempo e rispondere alla crescente attenzione da parte dei consumatori verso la riduzione degli sprechi.
Ritardare naturalmente il deterioramento del prodotto, eliminando additivi conservanti indesiderati e limitando la crescita di contaminanti.
Estendere la shelf life del prodotto finito per ridurre gli scarti domestici ed ottimizzare le fasi distributive
Evitare sprechi, resi e sconti a causa di una shelf-life troppo breve. Maggiore flessibilità ed efficienza produttiva anche con piccoli lotti di prodotto.
CHR. HANSENPrima di parlare dei test rapidi, è opportuno fare una breve riflessione sul settore in cui ci troviamo a operare, il quale è complesso e in continua evoluzione. È necessario comprendere le sfide che il mercato ci pone per poter rispondere al meglio a ogni esigenza.
Al giorno d’oggi sono presenti in commercio un gran numero di prodotti e la scelta per il cliente risulta sempre più difficile. L’acquirente è sicuro di avere tutte le informazioni necessarie per fare una scelta consapevole? Oppure si lascia guidare solamente dal prezzo vantaggioso, accontentandosi di tamponare momentaneamente il problema senza darvi soluzione?
È sotto gli occhi di tutti il crescente numero di prodotti richiamati o che presentano criticità per la salute del consumatore. Questi episodi possono presentare un danno d’immagine molto importante per l’azienda, con una perdita di fiducia da parte del consumatore. In quest’ottica, è opportuno basare le scelte aziendali in funzione della sicurezza e non solamente a favore del risparmio.
I problemi al giorno di oggi devono essere risolti con la conoscenza, con i mezzi appropriati e affidandosi a sistemi e metodi di qualità.
Recentemente si sta andando a diffondere sempre più nella mangimistica l’impiego della bentonite, un tipo di argilla idrofila usata come assorbente attivo per le micotossine. Non si conoscono gli effetti sull’animale in caso di somministrazione a lungo termine. Siamo sicuri che sia la scelta giusta per la salute dell’animale e per la sicurezza alimentare?
Oggi sul mercato ci sono diversi test rapidi per rilevare residui nel latte, alcuni sono proposti a un prezzo molto accattivante, tuttavia solo pochi di questi riescono in modo affidabile a determinare e rilevare le sostanze residue, nel rispetto dei limiti MRL EU.
Da oltre 20 anni, Alitest “Soluzioni di Qualità” opera nel settore lattiero-caseario fornendo su tutto il territorio nazionale test di altissima qualità. Le esigenze aziendali oggi richiedono test che garantiscono rapidità,
semplicità di utilizzo e affidabilità. Il problema non è quante sensibilità sono dichiarate, ma come vengono rilevate. Il confronto può essere effettuato solo tramite le metodiche originali rilasciate dalla casa produttrice. Nel caso in cui non siano rispettati i limiti MRL EU, non c’è garanzia di un prodotto finito conforme. Solo con la scelta di un test di qualità è garantita sicurezza e tranquillità. Alitest ha a disposizione una famiglia completa di test rapidi per ogni esigenza:
Test singoli: Betalattamici, Tetracicline, Sulfamidici, Chinoloni, Amminoglicosidi, Macrolidi, Cloranfenicolo, Enrofloxacina e Aflatossina M1 Quantitativa.
Test Combinati: Beta/Tetra - Beta/Tetra/Sulfa - Beta/Tetra/Sulfa/ChinoloniBeta/Aflatossina M1 qualitativa. Affidati ai prodotti Charm che sono diffusi sul mercato internazionale per oltre il 75%. Chi investe in sicurezza, vince sempre. Noi ci crediamo.
Sostenibilità economica e produttiva per l’intera filiera del latte e dei suoi derivati, dalla tutela del suolo al be-
nessere animale: è stato questo il tema del convegno promosso dal Consorzio Tutela Provolone Valpadana presso il Campus Santa Monica dell’Università cattolica durante la giornata inaugurale della manife-
stazione Cremonese “Formaggi & Sorrisi, cheese & friends festival”.
Grazie alla moderazione di Pier Carlo Adami, Presidente ONAF, gli illustri relatori hanno portato un personale contributo al tema del-
la sostenibilità, declinandolo in funzione della propria visione e competenza specifica.
“La sostenibilità dell’intera filiera comprende anche gli aspetti economici e inizia dal suolo che permette una corretta alimentazione agli animali,” sostiene il prof. Ettore Capri, professore ordinario in chimica agraria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che non ha potuto presenziare all’evento ma che è stato comunque partecipe grazie ad alcune dichiarazioni in precedenza rilasciate alla testata Scienza e Tecnica Lattiero-Casearia. “Noi siamo terrestri; quindi è il suolo della nostra Terra a creare il bene comune. Troppo spesso lo sottovalutiamo. Tutte le produzioni agrarie e soprattutto quelle zootecniche, anche quelle ittiche, passano dal suolo perché produce foraggi e riceve le biomasse di risulta delle produzioni zootecniche e agro-industriali. In termini di sostenibilità la gestione del suolo e degli allevamenti è sempre stato un obiettivo ecologico. Ogni unità tridimensionale di suolo fornisce nutrimento a un corri-
spettivo ecologico animale e vegetale. Se il suolo è contaminato, abbiamo contaminato tutta la catena. Lo sviluppo che promuove la prosperità e le opportunità economiche nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente deve coincidere con i cambiamenti nel modo di fare impresa. I principi di salute del suolo non sono diversi dai principi di salute dell’uomo, bisogna coltivare il suolo in modo sostenibile, pensando al suolo come l’origine dell’intera filiera casearia. Non pensiamo al suolo come una camera stagna e inerte, a una lavatrice. In esso vive più dell’80% della biodiversità globale. Una sorta di macrorganismo, un gigante delicato”.
“La concezione di benessere animale odierno è cambiata rispetto alle antiche lotte degli animalisti degli anni 70 – condivisibili per alcuni aspetti,” spiega Nicolò Bissolati veterinario e Presidente dell’Osservatorio Benessere Animale. Il consumatore comincia ad avere un ‘sentiment’,” continua Bissolati, “e quando si arriva a
una diffusione a livello di popolazione, dall’opinione pubblica si generano pressioni in grado di arrivare fino al legislatore. E le richieste del cittadino arrivano anche alla politica: è grazie a un percorso culturale di 50 anni che siamo arrivati al concetto moderno di benessere animale e delle tematiche green”.
Cosa si deve intendere quindi con Benessere animale? “L’uomo dovrebbe impattare il meno possibile sulla fisiologia dell’animale,” spiega Bissolati, “che dev’essere messo nella condizione di produrre al meglio. Nel caso in cui così non fosse, iniziano le inefficienze e oltre ad aumentare i costi aumenta anche l’inquinamento. I costi di mantenimento di un animale, che varia in virtù dell’efficienza che può avere, dipendono dall’alimentazione, dalle strutture e dal management. Bisogna tutelare gli animali, la loro fisiologia e ridurre l’inquinamento. Una vacca lombarda ha un tasso di mantenimento del 44% e questo permette un’ottima conversione dell’animale che può produrre in totale benessere. Sono necessari degli schemi di lavoro che rendano più performanti gli animali”.
Sul tema della normativa, Bissolati auspica che “le normative, se propositive, non siano ‘subìte’, ma che vengano il più possibile considerate come consigli su come operare, come obblighi dati agli allevatori affinché possano produrre sempre meglio, di più, ma inquinando di meno”.
“É necessario creare un’ampia base di conoscenza nel consumatore per arrivare poi a una comprensione corretta del prodotto che genera una percezione di valore che porta dunque a un atto di acquisto,” spiega Danie-
le Rama, Professore dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza presentando i risultati di un’indagine condotta su un campione di 212 consumatori e relativa alle conoscenze, alle percezioni e alle abitudini di consumo dei prodotti DOP, IGP, STG e BIO. “Le Identificazioni di qualità sono distinguibili tra i prodotti convenzionali”, però nel dettaglio si percepiscono alcune differenze: “Si registra una diffusa conoscenza dei prodotti IGP e del loro logo, ma una scarsa conoscenza dei prodotti STG. La conoscenza delle IGP pare però sfocata, con alta incidenza di errori quando si chiede di citare prodotti o confusione con DOP per quanto riguarda il significato della sigla,” spiega Rama. Sul fronte prezzo “l’accettazione da parte del consumatore che il prezzo sia più elevato riguarda principalmente il BIO mentre per le denominazioni DOP e IGP c’è in media una maggiore consapevolezza sulla qualità”. Per quanto riguarda invece la propensione agli acquisti “9 intervistati su 10 quando possibile acquistano prodotti italiani, lo stesso Made in Italy rappresenta una garanzia di qualità nella percezione del consumatore. I fattori determinanti i comportamenti di acquisto sono per il 97% lo standard igienico a seguire il prezzo, l’aspetto esteriore, il valore nutrizionale e infine la certificazione DOP”.
Quanti formaggi ci sono in un formaggio? Questo il dubbio che spiega Vincenzo Bozzetti, direttore tecnico di Scienza e Tecnica Lattiero Casearia, in un’analisi sull’assaggio del formaggio, dal gusto all’udito, tutti i sensi che ne modificano la percezione. “Il formaggio viene prodotto da un fluido quasi omogeneo ottenendo un solido disomogeneo. Il latte è infatti soluzione per alcuni componenti (ad esempio, sali e lattosio); è in dispersione per la caseina; è un’emulsione per il grasso: è un liquido complesso che noi mettiamo in caldaia, con aggiunta di ingredienti e alla giusta temperatura, lavoriamo e tagliamo una volta formata la cagliata. Ma i pezzi non hanno tutte le stesse dimensioni: sono disomogenei. E alla fine della lavorazione, la cagliata si deposita sul fondo ma con differenze di peso specifico! Non è una composizione omogenea e… quindi quanti formaggi ho in un formaggio?!”. E come si apprezza un pezzo di formaggio? “Il primo senso che viene stimolato è la vista e le valutazioni possono cambiare anche in base alla luce, a seguire il tatto per verificare la consistenza, per poi passare all’olfatto spezzando il formaggio sotto il naso memorizzando così i descrit-
tori odorosi, arrivando al gusto per valutare la struttura con la sensibilità tattile dei denti e ovviamente l’udito dove vengono percepite le onde sonore della masticazione. Le percezioni sensoriali sono ben diverse dalla descrizione di un formaggio”.
Le conclusioni dell’interessante convegno sono affidate a Cesare Baldrighi, Presidente OriGin: “Abbiamo la fortuna di essere in una zona dove c’è una concentrazione delle attività zootecniche che permette una qualità unica della produzione, ma d’altro canto questa concentrazione ci mette in difficoltà nella gestione dei liquami e fino ad oggi non è stato preso in considerazione parlando unicamente della struttura dell’allevamento,” spiega Baldrighi, che conclude: “Per riuscire ad avere un vero benessere animale dobbiamo iniziare dall’etologia e questo va anche tradotto al consumatore, ma l’unico modo di dialogarci è attraverso l’etichetta anch’essa molto discussa. Non c’è l’idea chiara che il prodotto sia legato al territorio di origine, e un altro tema preoccupante è la competizione che siamo destinati ad affrontare tra l’etichettatura e gli obblighi per la sostenibilità in generale che riguarda non solo l’ambiente ma anche l’economia”.
Èstato pubblicato il Decreto
8 febbraio 2023 che detta la disciplina in materia di sostegno pubblico alla gestione del rischio in agricoltura sugli interventi ex ante per la campagna 2023. Sono ammissibili al contributo pubblico i premi delle polizze assicurative agevolate stipulate a copertura di produzioni vegetali e animali, strutture aziendali e allevamenti zootecnici. Per quanto riguarda le polizze che coprono
la mancata resa, sono ammissibili esclusivamente quelle che prevedono le coperture di perdite di produzione superiori al 20% della produzione media annua. Prevista, inoltre, l’ammissibilità al sostegno pubblico per le integrazioni alle quote di partecipazione alla copertura mutualistica versate dagli agricoltori aderenti ai Fondi di mutualizzazione nonché le spese amministrative di costituzione dei fondi stessi.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che introduce disposizioni urgenti per la prevenzione e il contrasto della siccità e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche. Con il decreto si introducono specifiche misure volte ad aumentare la resilienza dei sistemi idrici ai cambiamenti climatici e a ridurre dispersioni di risorse idriche. Si prevedono, tra l’altro, un regime semplificato per le procedure di progettazione e realizzazione delle infrastrutture idriche che rinvia al modello
Dopo le votazioni sugli emendamenti presentati al testo, prosegue l’iter di approvazione del disegno di legge che modifica il Codice della Proprietà Industriale, contenente alcune specifiche disposizioni per le Indicazioni Geografiche. Al termine della discussione del 30 marzo, la IXª Commissione del Senato della Repubblica ha conferito il mandato al relatore a riferire fa-
vorevolmente all’Assemblea sul disegno di legge, con le modifiche apportate, autorizzandolo a effettuare gli ulteriori interventi di coordinamento e correzione formale del testo che dovessero risultare necessari. Pertanto, considerato che la Commissione ha adottato il testo in sede redigente, al Parlamento spetterà soltanto la votazione finale sul provvedimento nel suo complesso.
PNRR, l’aumento dei volumi utili degli invasi, le possibilità di realizzare liberamente vasche di raccolta di acque meteoriche per uso agricolo entro un volume massimo stabilito, il riutilizzo delle acque reflue depurate per uso irriguo e l’introduzione di notevoli semplificazioni nella realizzazione degli impianti di desalinizzazione. Delineato anche il sistema di governance al fine di attuare le misure di cui sopra, che prevede l’istituzione della cabina di regia e la nomina di un Commissario straordinario per la scarsità idrica.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge recante disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici. Finalità del provvedimento è assicurare il massimo livello di tutela della salute dei cittadini e preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti di espressione del processo di evoluzione socioeconomica e culturale dell’Italia, di rilevanza strategica sul territorio per l’interesse nazionale. Il Governo interviene quindi in modo precauzionale, considerato che non esiste ancora una
normativa europea in materia. Il ddl sancisce il divieto di impiegare, nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o comunque distribuire per il consumo alimentare, cibi o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati. In caso di violazione il prodotto sarà confiscato e l’operatore è soggetto a una multa che va da 10mila euro fino a un massimo pari al 10% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio.
La Commissione Europea ha pubblicato l’ultimo rapporto di prospettiva a breve termine dei mercati agricoli europei, che concerne gli impatti della guerra in Ucraina, dei conseguenti elevati costi di input e dell’inflazione sul settore agricolo e agroalimentare dell’UE. Inoltre, alcune criticità derivano dalla siccità invernale dopo la calda estate dello scorso anno, che rende difficile la disponibilità di acqua in molte regioni. Nonostante l’abbassamento dell’inflazione, i costi dei fertilizzanti e dell’energia restano due volte
più alti rispetto all’inizio del 2020. Pertanto, gli agricoltori si stanno adattando optando per colture con un minor fabbisogno di fertilizzanti. Per quanto attiene alla siccità, si registra una diminuzione del 40% della produzione di olio d’oliva. Diminuita inoltre la produzione di carne bovina e suina, con una riduzione che si prospetta anche per il 2023. Stabile, invece, la produzione del settore lattiero-caseario per il quale si prevede, tra l’altro, un incremento del 2% delle esportazioni di formaggi.
La Commissione Europea ha proposto criteri comuni per contrastare il greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli. I consumatori beneficeranno così di maggiore chiarezza e di maggiori garanzie sull’effettiva natura ecologica di un prodotto. Vantaggi anche per le imprese che si sforzano realmente per migliorare la sostenibilità
ambientale dei loro prodotti, in quanto verranno premiate dalle scelte di acquisto dei consumatori. Le autodichiarazioni delle imprese dovranno essere verificate in modo indipendente e convalidate da prove scientifiche. La proposta sarà ora sottoposta all’approvazione del Parlamento Europeo e del Consiglio.
Aben vedere la filiera latte italiana è costituita da tanti fattori che si possono considerare in elementi produttivi, economici e politici, commerciali, finanziari, ma soprattutto – anche se sovente dimenticati – sociali e umani. Gli eventi e gli avvenimenti degli ultimi decenni hanno evidenziato la forte resilienza della filiera, più che sotto il profilo meccanico della resistenza alla rottura, proprio nell’accezione psicologica della capacità di reagire di fronte ai traumi e alle avversità. Sotto i profili produttivi ha, in pratica, assorbito tutte le innovazioni tecnologiche delle meccanizzazione e motorizzazione e sta metabolizzando anche quelle digitali.
Oltre alle difficoltà delle congiunture economiche e politiche nazionali, il comparto lattiero-caseario ha saputo reagire prima agli incentivi che crearono le montagne di latte in polvere e di burro, e in seguito anche ai disincentivi delle quote latte. Dal punto di vista commerciale ha saputo e sa trovare l’equilibrio tra dimensione produttiva, posizionamento prodotto e mercato di riferimento.
Meno facile, invece, la questione finanziaria, vuoi per ragioni strutturali, amministrative e bancarie, di certo la finanza non è il punto di forza nazionale.
Parmalat è un esempio di scuola. Dopo lo scandalo bancario del 2003, pur reggendo sul mercato con un’eccellente qualità dei prodotti, nessuno in Italia ha saputo o voluto avvicinarsi a essa.
I quattro maggiori cavalieri del latte si erano eclissati da tempo, passando: Locatelli a Nestlè nel 1961, Polenghi Lombardo a Fedital nel 1977, Invernizzi a Kraft nel 1985, Galbani alla IFIL nel 1989.
In definitiva, gli aspetti sociali e umani risultano essere la chiave del sistema.
Una radicata cultura alimentare, basata su una millenaria cultura lattiero-casearia, ha retto le sorti della filiera sinora . Perché sinora? Perché se non teniamo bagnate le radici culturali e sociali di tutte le risorse umane coinvolte, si potrebbe veramente creare una sorta di sostituzione culturale, dove il latte e il formaggio – almeno sui social – lo produrrebbe la GDO o in qualche fermentatore GMO. E la vacca da latte? Quella sarebbe finalmente rispettata e amata come l’orsa trentina!
Volete dire la vostra?
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VINCENZO BOZZETTI