Rachele Burgato Matr. 276926 Laurea Magistrale in Teatro e Arti Visive Corso di Filosofia della Scienza Prof.ssa Simona Morini
Dall’alienazione nella Metropoli di fine Ottocento all’Anarchitettura di Gordon Matta-‐Clark “Ciò che più mi interessa qui è mettere l’edificio nella condizione di parlare”1 Introduzione Questo testo è un tentativo di riflessione sulla città come luogo pubblico da sempre utilizzato e organizzato a partire da ragionamenti e scopi sociali, politici ed economici. Nello specifico si vuole riflettere sulle condizioni della città moderna secondo la visione degli esponenti della Scuola di Francoforte. Una breve introduzione al pensiero di protagonisti quali H. Marcuse e W. Benjamin, metterà in luce la problematica dell’alienazione dell’uomo a seguito dello sviluppo del capitalismo e del riassetto di usi e costumi all’interno della metropoli moderna. L’architettura diventa in questa chiave di lettura un ingranaggio, funzionale alla macchina dell’industria culturale del capitalismo. Verrà inoltre preso come esempio l’opera dell’artista Gordon Matta-‐Clark, che negli anni ‘70 ha attuato il suo progetto “Anarchitettura”, a partire da una sua riflessione sulle problematiche inerenti la repressione degli istinti libidinali all’interno della città americana. 1. L’alienazione della città moderna secondo la Scuola di Francoforte La Scuola di Francoforte, movimento filosofico sorto negli anni ’30-‐’40, è stato un punto di partenza per l’analisi sui cambiamenti che il sistema capitalista stava attuando sulla società moderna. La filosofia del gruppo partiva dall’unione degli scritti di Marx sull’economia e delle ricerche di Freud sulla psicanalisi, riuscendo in questo modo a dare vita ad una riflessione sulla macchina capitalistica e sullo sfruttando del meccanismo psicologico della
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Gordon Matta-‐Clark, intervista a cura di Liza Bear, Gordon Matta-‐Clark...Splitting. The Humphrey Street Building, in “Avalanche”, dicembre 1974, p. 24.
repressione degli istinti libidinali a favore del lavoro e dell’alienazione dell’uomo. Un’attenta riflessione in questi termini è stata avanzata anche a proposito del ruolo della città moderna e della sua conformazione, vista come un ulteriore ingranaggio di questo meccanismo perverso. La nascita di metropoli come Londra e Parigi, con i grandi viali, le automobili, i centri commerciali, i luoghi del consumo, ha cambiato profondamente il modo di vivere all’interno della città. Il capitalismo nella sua forma di produzione – distribuzione -‐ consumo, ha trasformato la metropoli di fine ‘800 in un luogo per il consumismo. Le masse si ritrovano ad autoeducarsi nei luoghi del consumo, come grandi magazzini e passages, introiettando lo choc cittadino. L’architettura quindi è al servizio del capitale, utilizzata per la creazione dei nuovi luoghi dove la folla diviene spettacolo a se stessa. Walter Benjamin parlando della folla fa riferimento alle condizioni degli operai della fabbrica: così come l’operaio si ritrova alienato nel ripetere le fasi del proprio lavoro, così la massa si comporta come se fosse composta di automi, che non possono che esprimersi in modo alienato, con un comportamento che reagisce agli choc creati nella città. Benjamin, a partire dalle poesie di Baudelaire, analizza la figura del flaneur che è ai margini di una società all’insegna della velocità e del capitalismo in crescita, e che riesce a sviluppare una riflessione sui nuovi modelli imposti dalle nuove metropoli, la culla delle future città in cui spetterà al nuovo funzionamento sociale imposto dal capitalismo, l’organizzazione della struttura cittadina e delle abitudini dei suoi abitanti. “Il flaneur è ancora sulla soglia, sia della grande città che della classe borghese. Né l’una né l’altra l’hanno ancora travolto. Egli non si sente a suo agio in nessuna delle due; e cerca asilo nella folla. ”2 Molti scrittori, da Robert Burton a Sigmund Freud (Il Disagio della Civiltà), hanno comparato i modi di organizzazione della città e dello Stato a quelli della mente umana. Nello sviluppo moderno urbano, controllato, le regioni nascoste, underground, possono essere interpretate come il subconscio, da cui, alcune volte, emergono le memorie represse e gli impulsi considerati illegali, come accadeva nella metropoli. Secondo quanto descritto da Marcuse, infatti, riprendendo gli studi di Freud, “nella società industriale avanzata si produce un conflitto tra l’Eros, che porta a godere delle nuove condizioni di vita, e un senso di colpa, parimenti presente, che nega il piacere e che porta all’interiorizzazione di forme di dominio e di negazione del piacere.”3 Non è un caso che siano questi i luoghi e i tempi in cui nascono le avanguardie storiche. Dada, Cubismo, Futurismo, colgono attraverso un atteggiamento mimetico quelle che sono le trasformazioni in atto nella società e ne introiettano così le cause. La velocità, la percezione modificata, gli atteggiamenti delle masse, vengono tradotti dalle correnti avanguardistiche in nuovi modi di intendere l’opera d’arte. Nascono così le performance provocatorie dei Dada, nasce la rottura della visione lineare e unidirezionale con il Cubismo e i nuovi studi sulla velocità del Futurismo. Il pubblico dev’essere provocato, e la passività del flaneur di Baudelaire dev’essere vinta: l’atteggiamento blasé deve venire tradotto in fattiva compartecipazione alla scena urbana. La scena cittadina, le sue contraddizioni, le sue irrazionalità, diventano quindi i nuovi soggetti artistici dell’avanguardia, valori di riferimento verso cui tendere.
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W. Benjamin, I passages di Parigi, volume primo, Einuadi, 2000, p. 13. P. Stanziale, Mappe dell’alienazione, ed. Erre emme, Roma, 1995, p. 81.
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2. Il funzionalismo dell’architettura moderna: utopie e paradossi Come contrappunto alla città metropoli di fine ‘800, inizia con i primi decenni del ‘900 il modello di architettura moderna. Il Movimento Moderno in architettura nasce negli anni ’20 – ‘30 da architetti come Le Corbusier, Mies van der Rohe, Frank Lloyd e Walter Gropius il fondatore del Bauhaus. La svolta del movimento è stata quella di rivoluzionare i precedenti canoni stilistici, con lo scopo di riprogettare i principi stessi della progettazione in architettura, urbanistica e design. Per gli architetti moderni, e per i CIAM 4, da loro fondati, ciò che era funzionale era anche bello, lo scopo primario da raggiungere era l’utilità maggiore, e l’utilizzo di elementi e materiali che servissero per tali esigenze. Nulla poteva essere superfluo, poiché ogni cosa rispondeva a criteri di razionalità. La spinta sociale del movimento moderno consisteva infatti nel garantire un’equa distribuzione di spazio utile, di moduli di abitazioni democratiche. Lo scopo è quello di limitare il dilagare dell’irrazionale attraverso l’organizzazione della città in piani, l’utilizzo del modulo, dalle micro alle macro strutture, dalle abitazioni quindi, ai quartieri e alle città, come formula per razionalizzare il caos e lo choc della metropoli. Correnti come il Bauhaus, De Stijl, sono i fautori di questo nuovo modo di concepire l’architettura, che fosse quindi strumento educativo e di ordine. Sono le città-‐macchina di Hilberseimer e le Groszstadt di Simmel che colgono gli aspetti della città vista come concentrazione del lavoro terziario per la riorganizzazione capitalistica. Come scriveva Le Corbusier in “Unités d’Habitation”, bisognava costruire un nuovo abitare collettivo, teorizzando la macchina per abitare, una nuova concezione di vivere la casa come un’unità abitativa facente parte del quartiere e della città contrastando in tal caso l’emarginazione abitativa e la follia della casa unifamiliare. L’architettura moderna si costituisce, infatti, di cellule elementari, che diventano il modello in scala per l’intera organizzazione urbanistica. L’unità edilizia non è più un oggetto, ma un luogo, dove assume forma fisica il montaggio elementare delle singole cellule, elementi riproducibili all’infinito, metafora delle strutture primarie di una catena di produzione, che prescinde dal luogo e dallo spazio. Dalle parole di Hilberseimer: “L’intera città moderna nella sua struttura diviene un’enorme macchina sociale.”5 La città è individuata quindi come unità di un ciclo di produzione, e la figura dell’architetto è quindi incaricata della corretta organizzazione del ciclo. Città come la Francoforte di May, la Berlino di Mächelr e Wagner, tendono a riprodurre a livello sociale il modello aziendale, a far assumere alla città la “figura” della macchina produttiva, a realizzare, nella struttura urbana e nel meccanismo di distribuzione e consumo, l’apparenza della proletarizzazione generale. (Nonostante gli sforzi le città rimangono degli aggregati di parti, unificate funzionalmente a livello minimo, rivelandosi strumenti aleatori.) Questo modello contiene già al suo interno i motivi di una crisi imminente della Neue Welt: il tentativo di controllo dei movimenti di classe si rivela immediatamente controproducente.
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Congressi Internazionali Architettura Moderna, promossi da Le Corbusier, dove venivano elaborate molte delle teorie e dei principi applicati alle varie discipline, come De Stijl, Bauhaus, Costruttivismo e Razionalismo Italiano. 5 M. Tafuri, Progetto e utopia, pag. 95
La città dello sviluppo non accetta equilibri al suo interno, l’ideologia dell’equilibrio si rivela anch’essa politicamente fallimentare. L’aspirazione alla Gemeinschaft, alla comunità organica, non a caso così viva anche nel pensiero delle sinistre tedesche degli anni ’20, è destinata a soccombere, come ipotesi fallimentare, di fronte alla Gesellschaft, al legame impersonale-‐alienato della società organizzata nella grande metropoli. Le Corbusier tra tutti, forse è stato il solo a spingersi oltre la progettazione strettamente modulare, cercando in modo anche utopico, di pensare nuovi piani urbani che lasciassero alcune possibilità d’espressione e di soggettività ai propri abitanti. Emblematico in questo senso il progetto per l’antica Casbah di Algeri. “Ad Algeri, l’antica Casbah, le colline di Fort-‐l’Empereur, l’insenatura costiera, sono assunti come materiali bruti da riutilizzare, veri e propri ready-‐made objects a scala gigantesca, ai quali la nuova struttura che li condiziona offre un’unità prima inesistente, sconvolgente i significati originari. Ma al massimo di condizionamento deve corrispondere un massimo di libertà e flessibilità. A livello della produzione minima, quello della singola cellula residenziale, il tema da affrontare è il recupero della massima flessibilità, intercambialità, possibilità di rapido consumo. Nelle maglie delle grandi strutture, costituite dai terreins artificiels sovrapposti, è concessa la più ampia libertà di inserimento di elementi residenziali preformati. Rispetto al pubblico, ciò significa invito a farsi progettista attivo della città. Le Corbusier, in uno schizzo dimostrativo, giunge fino a prevedere la possibilità di inserimento di elementi eccentrici ed eclettici nelle maglie delle strutture fisse. La “libertà” concessa al pubblico deve spingersi tanto in là da permettere al pubblico stesso, al proletariato nel caso della serpentina, che si snoda al cospetto del mare e all’alta borghesia sulle colline di Fort-‐ L’Empereur, l’esplicazione del suo “cattivo gusto”. L’architettura come atto pedagogico e strumento di integrazione collettiva, dunque.”6 Ma anche questa soluzione rivela al suo interno una finta possibilità o libertà di decisione. Il pensiero di Le Corbusier rimane comunque legato ad una progettazione modulare, che non ammette l’errore e che non prende in considerazione fino in fondo le reali necessità dell’abitante della casa. Un paradosso insito nel Movimento Modernista che farà naufragare il concetto della Neue Welt. Negli anni ’60 – ‘70, il rapporto tra città e società subisce un’ulteriore fase di cambiamento. Il capitalismo vive, proprio in questo periodo la sua fase di espansione maggiore, a seguito del boom economico successivo al secondo conflitto mondiale. Le basi che erano state gettate a cavallo del secolo hanno modo, in questi anni, di svilupparsi e influenzare in modo irreversibile la società e lo stile di vita di tutti i suoi abitanti. Correnti artistiche come l’Arte Concettuale, la Neo Avanguardia, la Pop Art in America, riflettono proprio su questi mutamenti del sistema, che ormai ha fatto della mercificazione di ogni esperienza, il suo modello. Nel paragrafo successivo, analizzerò un artista-‐architetto americano, Gordon Matta Clark e la sua critica nei confronti del sistema architettonico e capitalistico degli anni ’70. Per Matta-‐ Clark, infatti, il sistema capitalista, intaccando alla radice anche lo spazio urbano e sociale, fu la causa principale del progressivo isolamento, declino e regressione dell'individuo.
6 M. Tafuri, Progetto e utopia, pag. 117-‐121.
3. Gordon Matta Clark e l’Anarchitettura Gordon Matta Clark (1943 – 1978) è stato un artista statunitense, figlio di Sebastian Matta, uno dei protagonisti della corrente del Surrealismo. Si forma come architetto negli anni ‘60, per poi portare avanti una ricerca artistica che riflette proprio sull’utilizzo strumentalizzato dell’architettura del periodo e sulle rispettive conseguenze. Matta-‐Clark è stato una forza catalitica nella creazione del distretto di SoHo negli anni ’70, attraverso attività sviluppate in loft e progetti nello spazio espositivo al numero 112 di Green Street, partecipando così alla creazione di un nuovo spazio artistico e sociale. La costruzione, in quegli anni, del World Trade Center viene visto infatti da Matta-‐Clark e dagli artisti del suo gruppo, come il simbolo della visione di controllo che il mondo della finanza aveva riacquistato sul quartiere bohemien di SoHo. Matta-‐Clark e i suoi amici di SoHo erano contro l’interferenza del governo e contro la grandiosa visione di architetti come Robert Moses per cambiare New York, riallocando la fascia povera della popolazione delle zone verticali della città. Il modello di riferimento del gruppo di SoHo era diverso, ed è descritto da Buckminster Fuller nella frase “Tutto il progresso umano si è compiuto ed è nato nelle aree illegali”. Architetti come Moses erano stati influenzati dalla visione di Le Corbusier, che vedeva l’architetto come una figura in stretta collaborazione con gli industriali, in un’alleanza di elites in cui l’industriale creava i materiali e l’architetto progettava e pianificava la loro organizzazione. L’architetto era necessario, scriveva, “per realizzare un ordine che era una pura creazione del suo spirito… uno schema, una mappatura, costituito su una base di produzione di massa, può dare un senso di calma e pulizia e inevitabilmente impone ordine e disciplina agli abitanti”. Qui vediamo le implicazioni politiche più preoccupanti del pensiero di Le Corbusier; per realizzare la sua visione, l’architettura divenne uno strumento per mantenere l’ordine civile. Lui vedeva la città come un insieme, non come una serie di quartieri; sono un architetto investito di autorità dallo Stato poteva ideare la visione richiesta per riplasmare la città. Matta-‐Clark contrariamente a Le Corbusier, vedeva nell’underground della città l’ultima traccia della vera storia e delle origini del Nord America, che non era ancora stata distrutta dai parcheggi e dai grattacieli. Influenzato dalla tradizione surrealista del padre, Matta-‐Clark diede nuovo slancio all’inconscio urbano, all’irrazionale dello sviluppo che investiva le città americane, in netta opposizione all’idea di Le Corbusier di nascondere i lati illegali della città, e i suoi cittadini non ufficiali. Negli stessi anni, Matta-‐Clark fonda assieme a Laurie Anderson, Richard Nonas e Lucio Pozzi, il gruppo Anarchitettura (fusione di anarchy e architecture), incomincia a creare tagli, forature e fratture all'interno di oggetti tridimensionali messi a disposizione da vari musei. Nel frattempo applica gli stessi tagli a solai, muri e intere case, creando una riflessione sul concetto di riempimento e di svuotamento dello spazio in architettura. Nel 1975, nel quartiere di Les Halles a Parigi, Gordon Matta Clark, diede inizio ad un intervento artistico su due palazzi del 1690, che sarebbero stati demoliti qualche tempo dopo, per lasciare spazio al cantiere che avrebbe dato vita al Centre Georges Pompidou,
centro per l’arte moderna e contemporanea. “Conical Intersect”, presentato alla Biennale di Parigi apriva un varco a forma di cono da una parte all’altra degli edifici e si poneva quindi come intervento a metà tra arte, architettura, archeologia, politica. L’artista pensava le sue azioni come tagli non solo fisici dell’edificio, ma come perforazioni che attraversavano la storia, che riuscivano a cogliere gli aspetti di una geologia umana, in grado di rivelare i livelli della vita vissuta in quegli edifici. Il lavoro di Matta – Clark risponde al problema dell’angoscia creata dalla città metropolitana (struttura primaria dell’economia capitalista), discorso nato a cavallo del XX secolo, e sviluppato tra gli altri da filosofi e poeti come Walter Benjamin, Marcuse, Charles Baudelaire. Matta-‐Clark si è servito dei tagli e dei vuoti da essi ricavati per raccontare e restituire in tutta la loro complessità, le fratture, le anomalie e le contraddizioni riposte all’interno di un determinato momento storico, politico e culturale. Matta-‐Clark, sezionando edifici esistenti, tagliandoli e aprendo dei varchi, utilizza i significati più semplici, convertiti in definizioni di gravità, profondamente disorientanti nel camminare attraverso le sculture. Spezzando la continuità di ordini architettonici prestabiliti, creando spaccature nel tessuto temporale e nell’ordine spaziale degli edifici, ha contemporaneamente rielaborato e ricostruito nuove dimensioni percettive, esperienziali e cognitive. I building-‐dissections, oltre ad essere interventi concreti realizzati all’interno di determinati contesti urbani e architettonici, erano prima di tutto spazi immaginativi, critici: oggetti sintomatici legati a problematiche sociali, culturali, politiche ed economiche. Se da un punto di vista materiale assistiamo nell’opera dell’artista all’effettiva distruzione e disintegrazione di alcuni elementi strutturali come soffitti, solai e pavimenti, da un punto di vista teorico partecipiamo alla nascita e allo sviluppo di nuovi paradigmi ideologici e sovversivi con cui reinterpretare criticamente e creativamente il rapporto tra l’individuo, la società e la realtà. Rivelando i meccanismi della speculazione edilizia e rendendo manifesti i processi sociali di astrazione, repressione e coercizione dettati dall’incremento della proprietà privata, Matta-‐ Clark tramutò l’architettura in messaggio, riscrivendo allegoricamente lo spazio fisico, ideologico e sociale delle città e degli individui. Conical Intersect sembra diventare l’eco del lavoro di Eugene Atget che, forse inconsciamente, con le sue fotografie scattate in una Parigi a cavallo tra il suo passato medievale e la ristrutturazione di Haussman, aveva avviato una riflessione su una città che stava mutando in modo irreversibile. I tagli, i buchi e gli scavi realizzati da Matta-‐Clark devono essere riletti quindi come interventi concreti realizzati sulle architetture, squarci allegorici aperti nelle maglie più ostili delle città. Attraverso il vuoto l’artista ha fatto emergere le profonde cesure e contraddizioni interne alla società rivelando il rapporto conflittuale dell’individuo rispetto alla realtà urbana7.
Hal Foster, Il ritorno del reale, Postmedia Books, Milano, 2006 ; Benjamin H. D. Buchloh, Allegorical Procedures: Appropriation and Montage in Contemporary Art. 7
Gordon Matta-‐Clark, Conical Intersect, Parigi 1975.
Bibliografia -‐ -‐ -‐ -‐ -‐ -‐
W. Benjamin, I passages di Parigi, volume primo, Einuadi, Torino, 2000. Benjamin H. D. Buchloh, Allegorical Procedures: Appropriation and Montage in Contemporary Art. Gordon Matta-‐Clark, intervista a cura di Liza Bear, Gordon Matta-‐Clark...Splitting. The Humphrey Street Building, in “Avalanche”, dicembre 1974. Hal Foster, Il ritorno del reale, Postmedia Books, Milano, 2006. P. Stanziale, Mappe dell’alienazione, Editore Erre emme, Roma, 1995. M. Tafuri, Progetto e utopia, Editore Laterza, Roma, 2007.