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Storia di Anna e Giulio, dei loro sogni, le loro sfide sportive e sociali
“
Sport has the power to change the world. It has the power to inspire. It has the power to unite people in a way that little else does. It speaks to youth in a language they understand. Sport can create hope where once there was only despair. It is more powerful than governments in breaking down racial barriers. It laughs in the face of all types of discrimination.
“
Nelson Mandela, Inaugural Laureus Lifetime Achievement Award, Monaco 2000
sfide
Federico Serra e Fabio Mazzeo
Possiamo noi stabilire chi possieda le qualità eccezionali per risiedere nell’Olimpo?
A chi il diritto di accesso in quella zona sul tetto del mondo mai “da venti squassata, mai dalla pioggia bagnata, lì dove non cade la neve, ma l’etere sempre si stende privo di nubi, candida scorre la luce: là il giorno intero godono i numi beati”?
Non mitologia a parte ma proprio grazie a essa l’uomo ha costruito uno dei suoi sogni più ambiziosi: conquistare l’alloro, simbolo dell’impresa eccezionale, e fare parte del circolo degli dèi, almeno per un giorno, un solo lungo istante che tutti riconosceranno per sempre.
Romanticismo? Niente affatto!
In ogni parte del mondo, in questo stesso istante, c’è un bambino che sogna di vincere una gara sportiva. Per poi sognare di vincerne una ancora più importante. E poi ancora una. Sempre più importante. Ed è fatica, è una questione di forza, di volontà ferrea di allenare il talento, farlo risplendere, espandendolo di entusiasmo e orgoglio. Sono ore, e giorni, e poi mesi, tanti mesi, anni di sacrificio. È sudore, è allenamento continuo, tante estati e tanti inverni, è imparare a saper perdere, comprendere i motivi della sconfitta per imparare a vincere, è la disponibilità a rinunciare a tanti altri doni che la bellezza della vita ci mette a disposizione per un magnifico scopo che pochissimi hanno il talento per conseguire, e tra questi solo un gruppo di persone straordinarie, infine, raggiungerà.
È la magnifica ossessione di competere per arrivare lì, prendersi quella medaglia che un giudice imparziale ti metterà al collo e nessuno al mondo potrà mai togliertela.
Dite che così è troppo? Chiedete allora a Novak Djokovic. Per lui la medaglia olimpica è diventata l’obiettivo capace di allungargli la carriera da tennista, il più titolato della storia.
I Giochi Olimpici concentrano tutto questo, un viaggio umano straordinario, che un bambino intraprende sognando, con in mente un idolo sportivo, e di modello in
modello e di riferimento in riferimento costruisce giorno dopo giorno fino ad arrivare lì dove l’uomo può, all’apice della prestanza fisica e mentale.
È sport, ma non solo. È una vita dedicata, una smisurata passione che è stata scintilla, e poi un fuoco che arde per sempre, fin dentro lo stadio, e bandiere, e inni nazionali, e i popoli che, come colori, si mescolano in armonia. È tenersi per mano, fratellanza, è il mondo come lo vorremmo, e tra quei colori, con le divise delle nazioni, nello stadio c’è il bambino diventato giovane uomo che realizza il suo sogno alimentando quello di migliaia di spettatori, che sono state dotate di talenti diversi, o che magari il talento lo avevano, chissà, ma che non hanno potuto donarsi alla durezza degli allenamenti, che non hanno avuto i fortunati incroci con l’allenatore giusto, con il team ideale, quello capace di trasformare la delusione in forza di andare avanti, e rinunciare ancora alle comodità per sfidare quello sport che non a caso può avere un altro nome: “disciplina”.
È così che il sogno olimpico diventa uno stile di vita.
Vittorie e sconfitte, stato di grazia e infortunio, per tutti è un gioco a tappe, e perde solo chi si arrende.
Arrivano le qualificazioni per le Olimpiadi, è il passaggio dall’aspirazione allo stato di contendente, è il tempo dell’ingresso nella squadra nazionale: felicità e pressione, è così che si arriva alla conquista di un biglietto per partecipare. E chi partecipa sa di rappresentare più di se stesso, porta con sé lo sport per come lo ha appreso, per come lo intende, porta la passione di un popolo, l’esempio che consegnerà alle generazioni future.
È tutto questo il sogno di chi sogna i Giochi Olimpici.
Questa premessa era necessaria per parlarvi del sogno di Anna Arnaudo e Giulio Gaetani, atleti a “cinque cerchi”, anche loro come tutti i grandi sportivi del pianeta grandi frequentatori di successi e sconfitte, entrambi esempio di dedizione e sacrificio verso lo sport. Perché loro e non altri? Parliamo di loro perché a bordo del loro sogno hanno dovuto viaggiare con un ospite in più: il diabete. Un ospite non certo desiderato, e che li accompagna in ogni momento della giornata, quando si allenano o gareggiano. Nella loro personale gara di resilienza c’è anche lui, hanno imparato a conviverci.
Anna e Giulio, in una qualche misura, il diabete lo hanno già sconfitto perché non gli ha impedito di eccellere sulle pedane e nelle piste di tutto il mondo. Così la loro
storia diventa un esempio, il loro talento unito alla perseveranza e al sacrificio genera una luce così forte da dire al mondo che il diabete non cancella il sogno, il sogno può diventare realtà come accaduto a chi nonostante il diabete ai Giochi Olimpici ha trionfato: Steve Redgrave, Gary Hall Jr, Bas Van De Goor e Alexander Zverev. E con loro i tanti atletici che hanno partecipato alle competizioni olimpiche indossando con orgoglio la maglia della loro nazionale.
Questo libro parla del “sogno olimpico” di Anna e Giulio, ma intende sottolineare il loro “sogno di inclusione sportiva”, che si infrange nella burocrazia più ottusa, che impedisce loro, a causa di una legge del 1933, di poter accedere ad un gruppo sportivo militare, perché “diabetici”.
Incredibile, il diabete come fattore discriminante per chi ha un biglietto valido per l’Olimpo.
Chi scrive e ha curato la redazione di questo volume, come tutti, ha coltivato il sogno di partecipare ai Giochi, di diventare un campione sportivo, ma è rimasto nei campi di periferia per mancanza di talento o di spirito, o di chissà cosa. Ci scopriamo però combattivi olimpionici in nome di un principio, quello che nessuno deve essere discriminato, e la presenza di atleti con diabete nei gruppi sportivi militari e nei corpi dello Stato, sarebbe un forte segnale di inclusione.
Gli atleti come Anna e Giulio, ambasciatori di FeSDI, con il loro esempio contribuiscono ogni giorno in modo determinante alla diffusione dei valori di accettazione e inclusione delle persone con diabete, è il loro stesso agire che abbatte ogni stigma e pregiudizio.
Anna e Giulio, scusate se ci imbarchiamo nel vostro sogno per un po', ma è solo per gioire insieme a voi dei vostri successi sportivi e per provare a realizzare insieme il sogno olimpico di inclusione sportiva.
Prof. Raffaella Buzzetti, Presidente della Federazione delle Società diabetologiche-FeSDI e Presidente della Società Italiana di Diabetologia-SID, Prof. Riccardo Candido, Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi-AMD
Il diabete mellito è una sfida, forse “la” sfida, per la persona con diabete.
La sfida del diabete si vince conoscendo se stessi, e chi pratica uno sport deve, per prima cosa, imparare a conoscere se stesso/a.
Questo libro è una raccolta di storie di atleti e atlete straordinarie, con diabete. Nonostante il diabete. Grazie alla sfida posta dal diabete.
La loro passione, la loro determinazione e la loro dedizione allo sport hanno trasformato una diagnosi in una fonte di ispirazione… in una sfida. Raggiungendo vette che molti consideravano, e considerano, impossibili.
Vette diverse, ma considerate ugualmente “impossibili”, sono inseguite e raggiunte ogni giorno dalle persone con diabete.
Perché il diabete mellito è una malattia.
Ma la persona con diabete, oggi, non deve vivere una vita malata.
Atleta o no, la motivazione è sempre il primo motore che porta al successo la persona con diabete.
Diabete o no, ci vuole motivazione per superare gli ostacoli, perseguire i nostri obiettivi e dare il meglio di noi stessi. Come questi atleti olimpici: il loro meglio li ha portati a conseguire risultati sportivi straordinari anche con il diabete.
Lo stesso meglio di se stessi porta a seguire le terapie a lungo termine, a essere costanti e impegnati nel controllo dei valori glicemici, dell’alimentazione, del peso. Ad avere la confidenza e la connessione profonda con il proprio corpo tipiche del grande atleta. Ma anche l’empatia verso se stessi, capace di accettare la fragilità, la stanchezza, la demotivazione, le sconfitte.
Per poi rialzarsi e tornare più forti di prima. Come i grandi atleti.
Come gli atleti e le atlete di questo libro. Che non sono eroi. Sono più umani degli umani.
Le loro vittorie velano sacrifici, allenamenti infiniti, solitudine, lontananza da casa e amicizie, regole e disciplina.
Regole e disciplina, come ogni persona con diabete. Disciplina, che è la postura di chi si dispone a imparare (il “discepolo”), imparare se stesso(a) per potersi dare le regole del giusto autogoverno.
Regole e disciplina, e aderenza alle terapie, per prevenire le complicanze, e per vivere una vita attiva e piena, una vita sportiva.
Diabete o no, non c’è atleta che possa affrontare tutto questo senza il suo “team” di sostegno tecnico, fisico, medico, psicologico, umano. Atleta o no, non c’è persona con diabete che possa affrontare tutto questo senza il sostegno del “team” diabetologico che l’ha in cura.
Prendersi cura, non giudicare. Prendersi cura e supportare, non “premiare” o “dissuadere”.
Allora, come dimostrato dagli atleti di questo libro, è possibile coniugare la gestione del diabete con l'eccellenza sportiva.
Anna Arnaudo e Giulio Gaetani, atleti e “ambassadors” di FeSDI, convivono con il diabete di tipo 1 da moltissimi anni.
La diagnosi può essere traumatica e difficile da accettare.
La gestione della glicemia risulta particolarmente complessa durante i periodi di stress intenso, come durante gli esami universitari o le competizioni sportive, dove l'emotività può interferire con il controllo della malattia nonostante una disciplina rigorosa.
All’inizio c'è anche il timore di mostrarsi "diversi": Anna nascondeva il sensore con una fascia durante le gare e si vergognava di iniettarsi l’insulina in pubblico.
Ma solo tre mesi dopo la diagnosi di diabete, la stessa Anna seppe meritarsi la prima convocazione in nazionale per i Campionati Europei di corsa in montagna.
Perché il messaggio di questi atleti è che lo sport diventa fondamentale per accettare e gestire meglio il diabete, e il diabete diventa motivazione aggiuntiva per lo sport.
L’uno è fondamento di successo per l’altro.
Anche in coloro, e sono la stragrande maggioranza delle persone con diabete, che non praticano sport a livello agonistico.
L’attività fisica contribuisce a migliorare la sensibilità all’insulina, ridurre i livelli di glicemia, diminuire la pressione arteriosa, migliorare il profilo lipidico, prevenire l’obesità.
L’attività fisica, lo sport, sono una terapia capace di ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari.
Ma lo sport va oltre gli aspetti fisici: è un potente strumento per migliorare l’autostima, ridurre lo stress, promuovere un senso di benessere generale, socializzare e condividere esperienze. Lo sport migliora la qualità della vita.
Le storie di questi atleti sono un faro di speranza per tutti coloro che convivono con il diabete. Dimostrano che una condizione cronica non deve essere un limite.
Con la giusta mentalità, il supporto e le strategie adeguate, il diabete può essere gestito, e si possono raggiungere obiettivi straordinari.
Nelle nostre relazioni di cura, insieme agli altri componenti del “team” diabeto, abbiamo un'opportunità unica di ispirare e restituire il controllo della propria vita alle persone con diabete che si rivolgono a noi. Una cosa che ha un nome preciso: ”empowerment”.
Condividendo storie come queste, possiamo favorire un senso di sostegno reciproco, resilienza e possibilità. Una cosa che ha nomi precisi: identità e appartenenza a una comunità.
Il ruolo del diabetologo va ben oltre la prescrizione di farmaci.
Chi instaura una relazione di cura con la persona con diabete è anche allenatore, mentore, sostenitore, e guida del percorso verso una salute ottimale ed una vita libera.
Allora: pronti, via!
On. Roberto Pella e Senatrice Daniela Sbrollini
Presidenti Intergruppi Parlamentari “Obesità, Diabete e Malattie croniche non trasmissibili” e “Valori dello sport e della maglia azzurra”
Lo sport è competizione, è espressione di eccellenza, raggiunta con tenacia e passione, ed esprime il tentativo da parte degli atleti di superare il limite e di veicolare, tramite il proprio gesto agonistico, valori come la disciplina, il rispetto, l’inclusione e la partecipazione
Negli sport di squadra così come in quelli individuali, i risultati di chi vince o di chi batte un record giungono grazie anche all'impegno degli altri atleti in gara, le cui prestazioni motivano il vincitore. Il risultato finale è, quindi, determinato anche dall’appartenenza a un team, a un gruppo sportivo, a una squadra, attraverso cui si formano e crescono i campioni in grado di vincere nella competizione sportiva ma nella vita di tutti i giorni.
Lo sport è, nel suo insieme, causa e conseguenza di una passione collettiva che ci accompagna gara dopo gara, contribuendo talvolta anche a farci sentire un popolo unico e unito, in grado di gioire per i successi dei nostri atleti, e facendoci cogliere, nella narrazione che accompagna ogni atleta, le sfumature del suo sacrificio e della sua gioia, ma anche le sue fragilità e le vulnerabilità che, in fondo, sono quelle di tutti noi e, nella loro umanità, umane, rendono il campione un esempio al quale ispirarsi.
Diventano esemplari in questo contesto le storie di Anna Arnaudo e Giulio Gaetani, dei loro successi, dei loro percorsi di vita, dei loro sogni e della loro lotta - che è la nostra - alla discriminazione che li vede costretti a subire le previsioni di un Regio decreto del 1932, pur vestendo la Maglia Azzurra in tutto il mondo.
Un Regio decreto che, di fatto, impedisce loro di potersi arruolare all’interno di un gruppo sportivo militare o in un corpo dello Stato, pur avendone tutti i requisiti sportivi, discriminati per essere “diabetici”.
A distanza di più di novant’anni continuiamo a doverci confrontare con un decreto che appare anacronistico per contenuti e implicazioni etiche, civili, sociali e sportive.
Un decreto che ignora i progressi della scienz a e che ferma il tempo, il progresso scientifico e la qualità di cura e di vita delle persone con diabete all’inizio del secolo scorso.
La comunità scientifica, civile e sportiva non ha mai discriminato grandi campioni dello sport che hanno vinto e continuano a vincere, pur convivendo con il diabete. Atleti come Steve Redgrave, Gary Hall Jr, Bas Van de Goor, Alexander Zeverev hanno vinto oro olimpico, campionati mondiali e continentali, gestendo il diabete e diventando un esempio per milioni di persone in tutto il mondo.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci ricorda che “Lo sport è un diritto, un diritto di tutti, e occorre impegnarsi affinché il suo esercizio diventi sempre più pieno… A tutti i bambini e a tutti i ragazzi va garantito l'accesso alle attività sportive, indipendentemente dal reddito delle loro famiglie…Vanno incrementate le opportunità per le ragazze in modo da consentire loro di raggiungere i livelli di partecipazione dei ragazzi… Le barriere, dove ci sono, vanno abbattute per aprire percorsi sportivi a chi affronta le diverse forme di disabilità. Sullo straordinario esempio positivo dei nostri campioni paralimpici, non posso che augurarmi che lo sport divenga sempre più uno strumento di partecipazione sociale e di realizzazione personale.”
Le parole del Capo dello Stato, che abbiamo voluto riportare e che facciamo nostre per la loro autorevolezza e per il loro contenuto, ci invitano ad agire per poter garantire ad Anna e Giulio la piena inclusione in un gruppo sportivo militare o in un corpo dello Stato. Dobbiamo abbattere tutte le barriere che lo impediscono, condizionando la vita di milioni di cittadini che convivono con il diabete, e tracciare, al contempo, una strada senza disuguaglianze per tutti i giovani atleti con diabete che voglio rincorrere il proprio sogno sportivo “a cinque cerchi”.
Questo é l’impegno dell’Intergruppo. Lo deve diventare anche per il Governo e tutto il Parlamento, i quali, assieme a FeSDI e al movimento sportivo italiano, darebbero finalmente una piena attuazione all’articolo 33 della nostra Costituzione secondo cui “..diventa onere della Repubblica assicurare che la pratica dello sport sia realmente universale, accessibile a tutti, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Giovanni Malagò, Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano - CONI
Lo sport come prezioso strumento di prevenzione. Un efficace antidoto contro l'insorgenza di patologie, un'inestimabile risorsa per contrastarne gli effetti e ridurne l'incidenza.
Queste pagine sono una lezione di vita e di civiltà, ci aiutano a comprendere il percorso di chi affronta la propria quotidianità cercando di vincere la sfida contro le limitazioni e le barriere che il diabete costruisce intorno ai loro percorsi.
Anna Arnaudo e Giulio Gaetani ci raccontano storie speciali, che rappresentano un manifesto di valori e di tenacia più forte delle criticità. Di sogni che non vengono ingabbiati dalla paura e dalla rassegnazione, ma sono alimentati dalla determinazione che il nostro movimento riesce a irradiare nell'anima di chi lo ha saputo elevare a stile di vita riuscendo ad aggirare gli ostacoli incontrati durante il cammino. Nelle pieghe delle loro vicende c'è un marchio di fabbrica inconfondibile, un comune denominatore che sa fare la differenza perché alimentato dalla forza di volontà, da quel potente vettore che travolge i problemi e non si fa irretire dallo stigma dell'impossibilità.
Sono testimoniai capaci di permeare la società di consapevolezza, offrendoci un'ulteriore dimostrazione tangibile di resilienza favorita dall'applicazione e dalla positività, dalla certezza che il sentiero che conduce al successo è percorribile proprio attraverso lo sport.
I grandi campioni affetti dal diabete, menzionati in questa pubblicazione, hanno fatto parlare i successi indicando la via da seguire e sono esempi da valorizzare nell'ottica di un futuro sempre più accessibile e all'insegna di maggiori possibilità di espressione.
Il CONI, a nome del mondo che rappresenta, si è impegnato per sensibilizzare la comunità relativamente al tema, firmando un protocollo d'intesa con l'Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete e la Federazione Società Scientifica di Diabetologia, costituita dalla Società Italiana di Diabetologia e dall'Associazione Medici Diabetologici. Ogni iniziativa legislativa promossa dal decisore politico e funzionale all'ingresso di atlete e atleti colpiti da questa malattia nei gruppi sportivi militari si pone come un atto di progresso culturale e di rimozione di limitazioni retrograde, un passo necessario e ineludibile nell'ottica di una società evoluta e pronta a interpretare la realtà in modo autentico e universale. Un altro traguardo da conquistare grazie agli insegnamenti che lo sport sa regalarci con la sua dirompente e intramontabile capacità di lasciare il segno.
Marco Mezzaroma, Presidente SPORT E SALUTE
La parola diabete è una di quelle che fa paura. Per molto tempo chi si ammalava si nascondeva. Evitava di parlarne. Viveva una sorta di isolamento. Soprattutto sportivo, perché diabete e sport sembravano due parole impossibili da conciliare. E invece non è così, anzi. Si è scoperto che proprio lo sport è la migliore medicina per affrontarlo.
Le storie di Anna e Giulio fanno capire quanti passi in avanti si siano fatti ma anche quanti ancora ne restano da fare. E in questo senso Sport e Salute è da sempre schierata al fianco delle persone affette da diabete.
Oggi in Italia ci sono circa 4 milioni di persone che hanno avuto una diagnosi di diabete e il trend è in crescita costante.
Lo sport e l’attività fisica e motoria, in tal senso, possono essere alleati preziosi sia in chiave terapeutica che preventiva.
Penso che sia fondamentale creare sempre più circuiti virtuosi che generino inclusività. Ecco perché quelli di Anna e Giulio, così come quelli delle altre storie presenti in questo libro, devono essere gli esempi da seguire.
Sport e Salute dal momento della sua nascita si è sempre posta come scopo quello di promuovere lo sport perché, come dimostrato scientificamente, è uno straordinario veicolo di benessere, ma credo che sia anche fondamentale “allenarsi alla salute”.
L’attività fisica da sola non basta, bisogna seguire esempi virtuosi, in un gioco di squadra che includa i corretti stili di vita e la sana alimentazione. In questo senso parliamo di prevenzione.
Anche per quanto riguarda il diabete è stato dimostrato che l’attività fisica e la corretta alimentazione sono gli strumenti principali per salvaguardare il proprio corpo da questa malattia. Oggi possiamo affermare che un cambiamento importante di mentalità c’è stato soprattutto in tema di alimentazione ma c’è ancora molta strada da percorrere per educare tutti. Credo sia fondamentale partire dalle scuole, in termini di educazione, e dal dialogo intergenerazionale. La conoscenza è il primo passo per ogni conquista. L’obiettivo è quello di permettere a tutti di fare attività fisica, senza nessun tipo di barriera o preclusione.
Novella Calligaris
Presidente Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia -ANAOAI
Chi vive, racconta, promuove quotidianamente lo sport impara molto presto un’importante lezione legata alla forza e all’energia che esso è in grado di generare attorno a sé. Esistono storie di vita e di sport il cui epilogo sarebbe stato molto diverso se “sul più bello” non si fossero verificati inconvenienti impossibili da prevedere e difficilissimi da controllare, come la malattia: sono storie che hanno come protagonisti donne e uomini straordinari, persone che pensavano non potesse mai “capitare proprio a loro” e che dall’oggi al domani si sono travi a fronteggiare un nemico imprevedibile, più forte del tempo, più implacabile del migliore degli avversari. Sono storie difficili quanto potenti, a volte con finali che non vorremmo leggere, a volte luminose come i loro protagonisti, capaci di far risplendere il cammino di chi vi entra in contatto. In queste storie il concetto di sconfitta e di vittoria assumono il significato più profondo, così come il concetto di “far squadra” e di non lasciare indietro nessuno.
Nella malattia lo sport assume un ruolo chiave sotto ogni punto di vista. Lo sport è infatti sinonimo di salute, di stili di vita virtuosi, di attenzione e controllo, di rigore e cura ma anche di resilienza, stimolo, solidarietà, ambizione.
In una famosa intervista il nuotatore americano 5 volte oro Olimpico Gary Hall, affermò che “Il diabete non deve mai stare tra voi e i vostri sogni”, un credo fortissimo che ha portato Hall e tanti come lui (Steven Redgrave, Aleksandr Zverev, Lauren Cox, Charlotte Drury, Paul Scholes, Alice Degradi) a credere che la malattia non dovesseessere un freno ma uno stimolo a spostare i propri confini.
L’Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia (A.N.A.O.A.I) promuove da sempre progetti capaci di valorizzare il sodalizio tra sport e salute psicofisica dell’individuo. Le nostre sezioni, presenti in tutta Italia, coinvolgono i propri associati e non solo in attività inclusive, studiate appositamente per rendere lo sport parte integrante della vita di ognuno di noi.
Le storie di Giulio Gaetani e Anna Arnaudo raccontano come nessun processo di cura sia uguale all’altro ma anche come l ‘individuo abbia insita dentro di sé una forza inaspettata e sconosciuta in grado di mettere da parte le comprensibili paure e delusioni e pensare che nello sport, così come nella vita, niente sia impossibile!
Luigi Mazzone
Presidente Federazione Italiana Scherma - FIS
In una recente intervista pubblicata su alcuni dei più autorevoli quotidiani nazionali, Giulio Gaetani, spadista azzurro e promessa della scherma italiana, ha dichiarato che “Il diabete non mi ha impedito di battere campioni olimpici e mondiali, ma vengo escluso dai gruppi sportivi”.
Giulio ha posto l’accento su una questione di dignità sportiva e sociale, che il mondo della scherma conosce, che di fatto discrimina un atleta italiano di livello internazionale.
Una discriminazione subita a causa di un regio decreto del 1932, che gli vieta di entrare in un corpo militare a causa della malattia di cui soffre e che oggi, invece, grazie alle moderne terapie, a sistemi di infusione e a presidi di monitoraggio glicemico, può essere tenuta sotto controllo, consentendo alla persona con diabete una vita sociale e sportiva pari a chi non ne soffre.
Le storie e i successi di Zeverev, Redgrave, Bas Van de Goor e Hall, tutti atleti con diabete vincitori di medaglie d’oro alle olimpiadi, e di tanti altri atleti di vertice che convivono con questa malattia, è la dimostrazione di come il diabete non può e non deve rappresentare un ostacolo al pieno diritto di inclusione nel mondo dello sport e nei gruppi sportivi militari.
Come dirigente, sportivo e medico, da sempre mi batto per la piena inclusione di ogni persona nell’ambito della pratica sportiva, perché lo sport deve realmente contribuire a combattere le disuguaglianze di ogni genere, garantendo a tutti pari opportunità di partecipare e competere nelle diverse discipline sportive, sfidando qualsiasi forma di discriminazione.
La storia di Giulio è l’esempio di una miopia burocratica anacronistica non al passo con le recenti acquisizioni cliniche; una miopia che non riesce a garantire ad un atleta con diabete di inseguire pienamente i suoi “sogni a cinque cerchi”.
Una discriminazione che si traduce nell’assenza di sostegno da parte dei gruppi sportivi militari e in una vita sportiva perennemente vissuta da dilettante, in un mondo di professionisti. Una discriminazione contro la quale Giulio si sta battendo e che deve trovare impegno in tutto il mondo dello sport e delle istituzioni.
La borsa di studio offerta dalla FeSDI, la Federazione delle Società Diabetologiche,
dimostra l’impegno del mondo clinico, scientifico e socio-sanitario a sostegno di Giulio e di altri atleti di vertice con diabete, come Anna Arnaudo. Tuttavia, è altrettanto necessario un analogo impegno da parte del mondo dello sport e delle istituzioni.
Giulio con la sua grinta e il suo talento, ha una prospettiva agonistica di primo piano, lo dimostrano i risultati da lui ottenuti, come il titolo mondiale under 20 o, più recentemente, i successi contro campioni olimpici del calibro di Yamada, o mondiali come Di Veroli.
Nelle difficoltà Giulio ha dimostrato di tirare fuori il meglio, con la grinta dello schermitore di “razza”, guidato dall’obiettivo di partecipare alle Olimpiadi e con il sogno di vincerle.
Come Presidente della Federazione Italiana Scherma, la federazione più medagliata dello sport italiano e quindi autorevole nel far sentire la propria voce, voglio garantire a Giulio il pieno sostegno in questa battaglia di civiltà, inclusione e dignità umana e sportiva, coinvolgendo in questo tutto il mondo della scherma, i suoi campioni e anche il consiglio direttivo che mi onoro di presiedere e che ha al proprio interno una grande campionessa come Bebe Vio, che dell’inclusione sportiva e della lotta alle discriminazioni, ne ha fatto una bandiera della quale andiamo tutti fieri.
Stefano Mei
Federazione Italiana Atletica Leggera - FIDAL
“Ero del tutto ignara del fatto di non essere idonea, anche perché, a rigor di logica, per essere un atleta professionista bisogna avere i risultati e non il pancreas funzionante”. Queste parole, che tratteggiano l’avventura umana e sportiva di Anna Arnaudo, la nostra Anna, mi hanno particolarmente colpito e fatto riflettere, perché colgono il senso di disorientamento e di ingiustizia che questa giovane atleta ha provato nello scoprire di non poter entrare in un gruppo sportivo militare, nonostante le medaglie conquistate, gli ottimi tempi conseguiti e l’impegno costante nell’atletica.
Lo sport è il principale strumento di inclusione e di realizzazione del potenziale umano, e ritengo che superare quanto disposto in passato, sempre nella piena tutela della salute degli interessati, sia una vera e propria battaglia di civiltà. Una battaglia che sancisce il diritto di ogni individuo a realizzare i propri sogni e a competere al massimo livello, senza alcuna discriminazione.
Il riconoscimento del diabete come una condizione che non preclude, ma anzi può stimolare il raggiungimento di traguardi straordinari, è un passo fondamentale verso una società più equa e più giusta. Non soltanto un segno di progresso per lo sport, ma anche un chiaro messaggio di apertura e di opportunità per chi lo abbia meritato, a prescindere dalle difficoltà incontrate lungo il cammino. La Federazione Italiana di Atletica Leggera, così come tutte le realtà sportive, deve continuare a sostenere questa battaglia, supportando con forza le iniziative parlamentari presentate.
Di Anna Arnaudo apprezzo la tenacia, il coraggio, la determinazione che l’ha contraddistinta fin da quando ha cominciato a fare atletica: talentuosa nella corsa in montagna, bravissima nel cross, e sul podio internazionale nella specialità a me più cara, quella dei 10.000 in pista. Il suo futuro sarà su strada, in maratona, con l’obiettivo di prendere parte alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028. Glielo auguro con tutto il cuore.
A lei, e a tutti gli atleti nella sua condizione, vanno il mio più profondo rispetto e la mia ammirazione. Insieme alle istituzioni e alle associazioni che condividono questa sensibilità e questi valori, continuerò a lavorare perché ognuno possa coltivare le proprie ambizioni sportive.
Storie di campioni che con il diabete hanno vinto le Olimpiadi e con le loro imprese ispirano i giovani.
"Ho deciso molto presto che il diabete avrebbe vissuto con me, non che io avrei vissuto con il diabete. Non c'è motivo per cui non si possano ancora realizzare i propri sogni, ma ci vuole molta pazienza per elaborare la giusta routine. Il diabete non è una scienza esatta, quindi non è così facile seguire uno schema stabilito.”
Steven Redgrave (Steve per tutti) è ampiamente considerato il più grande canottiere di tutti i tempi, vincendo medaglie d'oro in cinque edizioni consecutive dei giochi olimpici.
Lo straordinario conteggio delle medaglie olimpiche di Redgrave è iniziato a Los Angeles nel 1984. Con Martin Cross, Richard Budgett, Andy Holmes e Adrian Ellison, ha vinto l'evento del quattro di coppia. Ha continuato in coppia con Holmes, vincendo l'oro quattro anni dopo a Seoul nelle coppie senza timoniere.
Dopo i Giochi di Seoul, Redgrave ha collaborato con Matthew Pinsent. Sarebbero diventati partner formidabili, vincendo l'oro ai Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992. La coppia ha continuato a dominare questo evento e ha continuato a vincere i successivi tre campionati del mondo. Ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996, avevano un vantaggio significativo di 3,04 secondi a metà della gara finale, che vinsero comodamente. Questa è stata la loro 100esima gara insieme.
Dopo la sua vittoria ad Atlanta, Redgrave annunciò in televisione: "Chiunque mi veda in barca ha il mio permesso di spararmi". Questo non durò a lungo, tuttavia. Facendo coppia questa volta non solo con Pinsent, ma anche con Cracknell e Foster, ha guadagnato una quinta medaglia d'oro dopo una gara piena di suspense, nel quattro senza ai Giochi Olimpici di Sydney 2000.
Steven Redgrave è uno dei cinque olimpionici ad aver vinto almeno una medaglia d'oro in cinque edizioni consecutive dei Giochi Olimpici, ed è ampiamente considerato il più grande canottiere della storia ed è considerato il più grande vogatore di tutti i tempi.
Da quando gli è stato diagnosticato il diabete nel 1997, Steve è diventato una fonte di ispirazione per molti diabetici.
Avendo inizialmente pensato che la sua carriera potesse essere finita, Steve ha cercato la guida di esperti medici e ha continuato a vincere la sua quinta medaglia d'oro. Per molte persone che guardavano, era la prova che il diabete non doveva significare la fine dei risultati sportivi, che si trattasse delle Olimpiadi o del centro ricreativo locale.
“Il diabete non deve mai stare tra voi e i vostri sogni”
Gary Hall, Jr. è un tre volte olimpionico e 10 volte medaglia olimpica. Ha detenuto due record mondiali nelle staffette nel corso della sua carriera.
Gary Hall, Jr. è un tre volte olimpionico e 10 volte medaglia olimpica. Ha detenuto due record mondiali nelle staffette nel corso della sua carriera.
Nato a Cincinnati, Hall è stato introdotto al nuoto da suo padre, Gary Hall, Sr., che ha gareggiato in tre Giochi Olimpici.
Ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996, Hall ha vinto due medaglie d'argento individuali e due medaglie d'oro nella staffetta a squadre.
Il suo successo olimpico è continuato ai Giochi di Sydney 2000, vincendo la sua prima medaglia d'oro individuale nei 50 metri stile libero, vincendo anche altre tre medaglie ai Giochi del 2000. Ha difeso il suo titolo nei 50 stile libero ai Giochi di Atene 2004, come il più anziano nuotatore olimpico americano dal 1924. Hall ha vinto il premio umanitario ai Golden Goggle Awards del 2004 ed è diventato un portavoce del diabete dopo la sua diagnosi.
Nel 2013 è diventato uno dei Membri dell'International Swimming Hall of Fame.
Quando a Gary Hall Jr è stato diagnosticato il diabete di tipo 1 nel 1999, i suoi medici gli hanno detto di abbandonare il nuoto agonistico e di abbandonare le Olimpiadi del 2000. Invece, è andato avanti ed è diventato la prima persona con T1D a portare a casa una medaglia d'oro olimpica.
“Sono diventato il primo atleta a vincere una medaglia con il diabete di tipo 1. Il team che mi ha sostenuto mi ha davvero rafforzato. Il modo in cui abbiamo gestito il mio diabete per raggiungere quel successo ha cambiato ciò che ora viene insegnato nella scuola di medicina. Non c'era letteratura e pochissime risorse disponibili su come gestire il diabete nello sport. È un messaggio di speranza, le nuove tecnologie e terapie che stanno emergendo sono molto incoraggianti. Ci sono molte persone là fuori, e molte di loro sono in depressi. La gente pensa che sia la fine della loro carriera sportiva. Attraverso il mio lavoro di advocacy ho indossato due cappelli. Uno è per i pazienti di nuova diagnosi e le loro famiglie, dicendo che non è un grosso problema. Hai ottimi strumenti a tua disposizione e se sei aggressivo nel gestire questo puoi fare tutto ciò che vuoi. L'altro è far luce sulla gravità della malattia. Il diabete è la principale causa di cecità, di amputazione degli arti inferiori, di insufficienza renale. Queste complicanze sono reali. Dopo una diagnosi, stai vacillando. Le famiglie hanno bisogno di rassicurazioni, di qualcuno che faccia loro sapere che possono stare bene"
“Si può essere grandi campioni e avere il diabete, anzi, fare sport è fondamentale per tenere sotto controllo la malattia.”
Sebastian Jacques Henri "Bas" van de Goor ha realizzato così tanto nel corso della sua carriera, risultando uno dei migliori giocatori di sempre ed entrando a far parte della International Volleyball Hall of Fame
Bas ha portato l'Olanda al titolo della FIVB World League 1996, e quello è stato solo l'inizio della sua memorabile stagione 1996. Sotto la guida del famoso allenatore olandese e membro dell'International Volleyball Hall of Fame 2014 Joop Alberda, il centrale ha recitato in una squadra di all-star che comprendeva anche Peter Blange nel 2012 e Ronald Zwerver nel 2017. Bas ha è stato il leader della squadra olandes per tutta la durata dei Giochi Olimpici di Atlanta del 1996 e ha guidato l'Olanda alla sua prima medaglia d'oro ai Giochi Olimpici in una delle finali più emozionanti di questo sport, superando la favorita Italia in un'esaltante vittoria in cinque set, vendicando una precedente sconfitta in tre set contro l'Italia nel girone.Alla conclusione dei Giochi del 1996, Bas è stato riconosciuto come il migliore giocatore del torneo e Bas e suo fratello Mike sono diventati i primi fratelli a vincere l'oro nella pallavolo agli stessi Giochi Olimpici.
Un anno dopo aver vinto i Giochi di Atlanta, Bas ha guidato l'Olanda all'oro al Campionato Europeo del 1997. Ha anche gareggiato ai Giochi Olimpici di Sydney 2000 con Mike come compagno di squadra. L'Olanda ha chiuso al quinto posto, perdendo contro la Jugoslavia, poi medaglia d'oro, in un'epica partita di cinque set che ha negato agli olandesi il secondo oro olimpico consecutivo. Nonostante la sua squadra si sia classificata al quinto posto, Bas è stato onorato con il suo secondo premio come miglior giocatore alla fine delle Olimpiadi del 2000. Ha concluso la sua carriera internazionale di otto anni con 295 partite giocate per l'Olanda.
Bas ha anche goduto di un'illustre carriera professionistica nelle squadre di club avendo giocato per la Dynamo Apeldoorn nei Paesi Bassi, insieme ai club di Treviso e Modena in Italia. Il suo curriculum professionale include tre titoli nella famosa Champions League europea.
Nel 2003, e solo tre anni dopo la sua seconda Olimpiade, a Bas è stato diagnosticato il diabete di tipo 1. Notando che l'attività sportiva aveva un effetto positivo sui suoi sintomi diabetici, ha continuato a giocare per altri due anni prima di passare al ruolo di direttore tecnico del club di pallavolo Piet Zoomers/Dynamo ad Apeldoorn. Dopo la fine della sua carriera da giocatore, nel 2006 ha fondato la Fondazione Bas van de Goor con la missione di migliorare la qualità della vita delle persone con diabete attraverso lo sport. Nel 2008, Bas ha scritto un libro intitolato "High on Insulin", illustrando come, insieme ad altre sette persone con diabete e un'équipe medica, abbia scalato il Monte Kilimangiaro per evidenziare come sia possibile vivere una vita completa e piena con il diabete.
“Si può essere grandi campioni e avere il diabete, anzi, fare sport è fondamentale per tenere sotto controllo la malattia. Mi è successa una cosa importante. Io giocavo ancora quando ebbi la diagnosi. Ho fatto delle ricerche e scoprii che un atleta molto importante che è Steve Redgrave, canottiere britannico e leggenda olimpica, ha vinto cinque medaglie d’oro, l’ultima avendo il diabete. Quando ho visto questo alla tv ho subito capito quello che potevo fare, cioè tutto.”
“Voglio dimostrare che si può fare molta strada con questa malattia. Voglio essere un modello per i bambini che hanno già la malattia, ma anche un supporto per quelle persone che possono ancora evitare di contrarre il diabete di tipo 2 con una vita attiva e una prevenzione adeguata."
Alexander Zverev è uno dei tennisti più forti al mondo della sua generazione e ha impresso il proprio nome negli annali della storia del tennis ed dello sport tedesco vincendo la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020.
La sua vittoria è stata la prima volta che un tedesco si è assicurato l'oro nel singolare maschile di tennis. Il percorso del 26enne verso la vittoria ha incluso uno straordinario sconvolgimento del numero uno del mondo e grande favorito, Novak Djokovic, in semifinale, seguito da una prestazione trionfale su Karen Khachanov in finale.
Nato ad Amburgo nel 1997 da genitori russi, Zverev è stato avviato al tennis fin dalla tenera età, con entrambi i genitori che hanno praticato questo sport ad alto livello nell'ex Unione Sovietica. Si sono trasferiti in Germania dopo il crollo dell'Unione Sovietica, dove hanno trasmesso la loro esperienza tennistica al loro giovane figlio, che ha iniziato ad allenarsi sotto la guida di sua madre a soli tre anni.
Ha raggiunto il suo record in carriera di singolare n. 2 nel giugno 2022. Zverev ha vinto 22 titoli di singolare nella sua carriera fino ad oggi. I momenti salienti della sua carriera oltre la vittoria della medaglia d'oro in singolare alle Olimpiadi di Tokyo 2020, sono la vittoria delle finali ATP nel 2018 e nel 2021. Zverev è arrivato secondo due volte nei Grandi Slam. Ha raggiunto la finale degli US Open nel 2020, dove ha perso in finale contro Dominic Thiem. Ha anche raggiunto la finale degli Open di Francia nel 2024, dove ha perso contro Carlos Alcaraz nella partita di campionato. Zverev è stato un affermato giocatore junior, che ha vinto il titolo del Grande Slam junior agli Australian Open 2014. Ha anche raggiunto il numero 1 del ranking juniores in carriera.
Zverev soffre di diabete I fin dall'infanzia e gli è stata diagnosticata questa malattia all'età di tre anni., questo non gli ha impedito di diventare un tennista di fama mondiale sin dalla giovane età.Alexander Zverev ha lanciato la Fondazione Alexander Zverev con sede nella sua città natale di Amburgo. È sostenuto in questo dal fratello Mischa e dai genitori Irina e Alexandr Zverev. La fondazione sostiene principalmente i bambini affetti da diabete (tipo 1). Soprattutto, fornisce insulina salvavita e altri medicinali essenziali, anche nei paesi in via di sviluppo. La Fondazione Alexander Zverev raccoglie donazioni insieme a partner, aziende e privati e ciò viene utilizzato per finanziare progetti per bambini e giovani colpiti dal diabete.
"Sono nella situazione privilegiata di vivere la vita che ho sempre sognato. Volevo giocare a tennis, viaggiare per tornei in tutto il mondo ed essere uno dei migliori giocatori di tennis al mondo. Sono molto consapevole che non tutti i bambini sono così fortunati, ed è per questo che è molto importante per me restituire qualcosa e aiutare gli altri nel loro cammino. Voglio dimostrare che si può fare molta strada con questa malattia. Voglio essere un modello per i bambini che hanno già la malattia, ma anche un supporto per quelle persone che possono ancora evitare di contrarre il diabete di tipo 2 con una vita attiva e una prevenzione adeguata."
Il Team Novo Nordisk è una squadra di ciclisti professionisti con il diabete, che portano in giro per il mondo il messaggio che non è precluso nulla ad un’atleta con diabete
“Vogliamo essere un faro di speranza per chi vive questa condizione e incoraggiare chiunque ad affrontare il diabete con determinazione.”
Nato da un’idea visionaria, il Team Novo Nordisk è la prima squadra di ciclismo al mondo composta interamente da atleti con diabete. Fondato nel 2012 da Phil Southerland, il team ha una missione chiara: dimostrare che vivere con il diabete non è un limite insuperabile, ma una sfida che si può vincere. Diagnosticato con diabete di tipo 1 a soli sei mesi, Southerland è sempre stato appassionato di ciclismo e, con questo progetto, vuole offrire speranza e ispirazione a chi vive questa condizione. “Quando ho creato il team, volevo dimostrare che il diabete non definisce chi siamo e cosa possiamo raggiungere,” spiega Southerland, . “Vogliamo essere un faro di speranza per chi vive questa condizione e incoraggiare chiunque ad affrontare il diabete con determinazione.”
Questa missione ha attirato l'attenzione di Novo Nordisk, azienda farmaceutica danese specializzata nel trattamento del diabete, che ha scelto di supportare il progetto. Da allora, il team gareggia a livello mondiale, trasmettendo un messaggio potente di empowerment e promuovendo una visione positiva del diabete. Con l’obiettivo di “ispirare, educare e sensibilizzare” milioni di persone, il Team Novo Nordisk vuole essere un esempio concreto per chi vive con il diabete, specialmente per i più giovani che affrontano la diagnosi con incertezze e paure.
Il General Manager, Vassilli Davidenko, sottolinea l’importanza dell’impatto sociale del team: “Ogni corsa, ogni vittoria, ogni storia di vita dei nostri atleti è un messaggio al mondo: il diabete non è una barriera, ma una sfida che può essere superata. Vogliamo che le persone si riconoscano nei nostri corridori e possano trovare la forza di andare oltre i propri limiti. La nostra è una missione che va oltre la linea del traguardo.”
Tra i membri del Team Novo Nordisk, diversi ciclisti italiani incarnano perfettamente lo spirito del team, mostrando che il diabete non impedisce di competere a livelli altissimi. Questi atleti non solo sfidano i propri limiti in gara, ma diventano ambasciatori del diabete e della possibilità di vivere pienamente anche con questa condizione.
Uno di loro, Andrea Peron, ciclista veneto, racconta: “Ogni volta che indosso la ma-
glia del Team Novo Nordisk, so che rappresento tutti coloro che vivono con il diabete. È una responsabilità, ma anche una fonte di grande motivazione. Voglio mostrare a tutti, e soprattutto ai più giovani, che il diabete non mi ferma, e non deve fermare nessuno.” Andrea è uno dei veterani del team - vincitore del GP Kranj in Slovenia nel 2021 e uno dei corridori più costanti del gruppo, Andrea há portato a casa oltre 50 piazzamenti nella Top 10 nel corso della sua carriera.
La sua esperienza come atleta con diabete è diventata una risorsa preziosa per i nuovi membri, che trovano in lui un esempio di resilienza.
Anche Jacopo Colladon, giovane promessa del team, trova ispirazione nella sua squadra. Diagnostica a soli 13 anni, la sua storia dimostra che con la giusta disciplina e passione, il diabete può essere gestito senza rinunciare ai propri sogni. “Entrare nel Team Novo Nordisk è stato un sogno diventato realtà’,” afferma Jacopo. “So quanto sia difficile accettare la diagnosi, specialmente in giovane età, ma il ciclismo mi ha aiutato a capire che il diabete non mi definisce. Ogni giorno in sella, mi ricordo che corro non solo per me, ma per tutte le persone con diabete che sognano in grande.”
Oltre alla competizione, il Team Novo Nordisk è attivo in campagne di sensibilizzazione, in particolare sui social media e in eventi pubblici. La squadra partecipa a gare in tutto il mondo portando visibilità e ispirazione per la comunità diabetica a livello globale. Attraverso conferenze, eventi ed incontri con pazienti, il team invita le persone con diabete a vivere con fiducia e speranza.
Ogni atleta deve monitorare continuamente la glicemia e adattare l’alimentazione e l’allenamento per mantenere stabili i livelli di glucosio, un impegno costante che richiede grande disciplina e autodeterminazione. “La gestione del diabete è impegnativa, specialmente sotto stress e fatica,” spiega Vassilli Davidenko, “ma questi atleti mostrano ogni giorno che, con la giusta preparazione, nulla è impossibile. Sono una prova vivente di quanto la determinazione possa fare la differenza.”
Conclude Phil Southerland: “Sogno un mondo dove il diabete non sia più visto come una condanna, ma come una condizione con cui si può convivere pienamente. Ogni nostra gara è un messaggio di speranza per chi pensa che il diabete possa fermarlo.”
L'impatto del Team Novo Nordisk va ben oltre la strada: è un movimento globale che ispira a cambiare la percezione del diabete e a incoraggiare milioni di persone a prendere in mano il proprio destino, nonostante le sfide.
Una ginnasta con diabete alla vigilia delle Olimpiade scopre di avere il diabete.
Il mondo le crolla addosso ma la sua forza di volontà la porta sino a Tokio 2021
“Non importava più quello che mi era successo . Ero nella squadra olimpica, il mio sogno si era avverato”
Charlotte Drury, ha iniziato la ginnastica artistica all'età di tre anni e da quando aveva circa cinque anni, ha iniziato ad allenarsi al National Gymnastics Training Center nella vicina Aliso Viejo, in California, coltivando il sogno un giorno di poter partecipare alle Olimpiadi, facendo parte della squadra olimpica statunitense.
Charlotte aveva iniziato con la ginnastica artistica, ma all'età di 13 anni, era passata al trampolino elastico.
“Ho un ricordo perfetto della mia prima lezione di trampolino – dice Charlotteavevo appena lasciato la ginnastica artistica e mi sentivo piuttosto turbata e confusa su tutto, ma quando sono salita su quel trampolino per la prima volta non ho potuto fare a meno di sorridere come una sciocca per tutto il tempo. C'era qualcosa di così giusto nell'essere lassù che non riesco nemmeno a descriverlo. Quella sensazione non mi ha lasciato e o cominciato a pensare che quella potesse essere la disciplina sportiva che mi potesse portare alle Olimpiadi. Ricordo di aver guardato le Olimpiadi del 2008 con le mie due migliori amiche, le ginnaste artistiche Kyla Ross e McKayla Maroney, a tarda notte. Ci siamo detti tutti che ci saremmo arrivati. Queste due amiche hanno vinto poi l'oro a Londra.”
Un sogno olimpico che si è avverato quado Charlotte ha partecipato alle Olimpiadi di Tokio nel 2021, nel trampolino elastico. Un traguardo raggiunto malgrado quell’anno ha avuto la diagnosi di diabete tipo1, che stava compromettendo il suo “sogno olimpico”.
Le parole non possono descrivere quanto sia stato difficile quest'anno" ha scritto in un post su Instagram del luglio 2021. "Ma nonostante tutte le avversità sono più orgogliosa di me stessa per non essermi arresa. Ho scoperto di essere più forte di quanto penavo di poter di essere".
Charlotte, nel percorso di avvicinamento alle Olimpiadi in verità, sapeva che qualcosa non andava bene nel suo corpo da mesi, si rendeva conto che mentre cercava ripetutamente di raggiungere le vette agonistiche che l'avevano resa la prima donna
americana a vincere un oro in Coppa del Mondo e, nello stesso anno, essere campionessa nazionale nello sport che aveva scelto sin da bambina e che era parte essenziale della sua vita.
Nonostante l'allenamento duro come sempre, il suo corpo non rispondeva e si sentiva come se stesse peggiorando nelle sue performance sul trampolino, invece di migliorare come doveva essere nella logica della sua preparazione.
Non stavo migliorando a livello muscolare e pur mi allenavo sempre di più per. Le mie abilità sportive ed agonistiche erano peggiorate sempre di più- ha detto ha detto in seguito Charlotte – e mi ponevo le domande più logiche per un’atleta che s vede regredire rispetto alle avversare. Ho appena superato il mio apice? Non mi sto impegnando abbastanza?”
"Guardando indietro – dice oggi- è bello avere una spiegazione che non è stata colpa mia".
Prima di allora, Drury aveva incolpato altri fattori sul modo in cui si sentiva. La pandemia di COVID-19 l'aveva fatta sentire depressa e ha pensato che forse stava ancora lottando con gli aspetti di salute mentale causati dal lockdown e dalla mancanza di opportunità di un giusto allenamento durante quel periodo.
Ma prima delle prove olimpiche degli Stati Uniti, l’esperienza nel camp della nazionale statunitense ha fatto capire a Drury che c'era qualcosa di più in quello che stava provando.
Due mesi prima della prima prova del trial olimpico del 2021 sapevo che qualcosa non andava", ha ricordato nel suo post su Instagram. "Ho passato l'ultimo anno, a faticare e a superare gli allenamenti più duri della mia vita per presentarmi al ritiro della squadra nazionale a marzo, per poi guardare le altre ragazze che saltavano meglio di me”.
Mi sentivo 'giù' da mesi, ma l'ho liquidato come depressione legata alle difficoltà di vivere, di allenarmi e di andare a scuola durante la pandemia. Tornando a casa da quel camp ho finalmente ascoltato quella voce assillante nella mia testa che mi diceva che qualcosa non andava. ".
Soffriva da mesi di molti dei sintomi della malattia, tra cui letargia, sensazione di sete tutto il tempo e la necessità di urinare molto più regolarmente del solito, tuttavia la diagnosi stessa è stata uno shock devastante per la giovane atleta e per il suo sogno olimpico.
"Non sono andata ad allenarmi per una settimana. Non ho nemmeno preso in considerazione l'idea di continuare ad allenarmi", ha continuato nel suo post su Instagram.
"Questa situazione sembrava insormontabile e terrificante e non c'era modo di capire come gestire una diagnosi che mi cambiava la vita e che mi impediva di entrare in forma olimpica in tempo per la prima prova che era dopo tre settimane dalla diagnosi".
Tuttavia, mentre scoprire di avere il diabete all'inizio ha lasciato Drury con la sensazione di aver toccato il fondo, è stata nel contempo anche la prima tappa della sua ascesa.
Dopo due settimane in cui ho riportato la glicemia nella norma , mi sentivo letteralmente una persona diversa", ha detto. "Una persona completamente diversa".
Anche se si sentiva meglio con se stessa, l'idea di arrivare a un'Olimpiade così presto dopo una diagnosi che le aveva cambiato la vita sembrava completamente al di là delle proprie possibilità.
Ma con il supporto dell'allenatore Logan Dooley, ha deciso che non era arrivato il momento di rinunciare al suo sogno olimpico, soprattutto se aveva qualche possibilità di realizzarlo e se voleva dare senso ai sacrifici che faceva sin da bambina per uno sport che amava..
"Con il suo aiuto, e quello di tanti altri, ho iniziato a capire come gestire il mio diabete e ho deciso di dare tutto quello che avevo per questo sport nel poco tempo che mi rimaneva prima delle Olimpiadi di Tokio", ha spiegato Drury.
Anche gli amici erano lì per aiutare, tra cui la compagna e ginnasta artistica Laurie Hernandez che ha condiviso le sue esperienze con i membri della sua famiglia che hanno il diabete di tipo 2.
Dopo essere tornata ad allenarsi, le sue prestazioni hanno iniziato gradualmente a migliorare ed è stata premiata con un posto nella squadra olimpica degli Stati Uniti come riserva.
E mentre andare a Tokyo era un sogno che si avverava, era significativo quello che aveva dimostrato a se stessa: la sua diagnosi l’aveva gestita ed era più forte di quanto avesse mai pensato di poter essere.
"So di aver dato il 100% di quello che avevo ogni singolo giorno e che sono super, super orgogliosa del risultato", ha detto. "Non importava più quello che mi era successo . Ero nella squadra olimpica, il mio sogno si era avverato”
Due atleti azzurri con diabete che sognano le Olimpiadi
Anna Arnaudo e Giulio GaetaniAmbassador FeSDI
“Nel mio essere ambiziosa, ho da sempre coltivato sogni in modo preciso e concreto. Innanzitutto, vorrei non smettere mai di essere atleta.”
Nata a Cuneo nel 2000, scopre di amare la corsa vincendo la gara campestre delle scuole medie. Qualche anno dopo, scopre che la corsa le permette anche di amare se stessa nonostante la diagnosi di diabete mellito di tipo 1, arrivata nel 2018. Infatti, grazie allo sport, ha accettato con serenità il cambiamento. Testimone di questo fatto è stata la prima convocazione in nazionale, ottenuta nel 2018, a pochi mesi dalla diagnosi. Si trattava degli europei di corsa in montagna, ai quali si qualifica undicesima. Le piace affermare che la diagnosi di diabete sia stata un trampolino di lancio verso una carriera che ora conta una decina di presenze in nazionale e altrettanti titoli italiani, oltre a due record italiani U23 (nei 10.000m e nella mezza maratona) e un argento agli europei U23 nei 10.000m. Per dimostrare a se stessa e agli altri che si può fare tutto con il diabete, si è laureata con lode al Politecnico di Torino.
Sono nata a Cuneo il 18 ottobre 2000: a fine anno e con due settimane di ritardo rispetto a ciò che avevano previsto i medici. Penso che questo “essere in ritardo” (o meglio: “partire da una condizione svantaggiata rispetto agli altri”), mi abbia caratterizzato fin dalla nascita, accompagnato dalla volontà di mettersi in gioco per recuperare lo svantaggio iniziale.
Essendo secondogenita, da subito ho dovuto mettermi in gioco per essere alla pari del fratello maggiore: imparare a nuotare meglio, camminare più veloce nelle gite in montagna, essere gentile con gli altri parenti, avere bei voti a scuola.
Sulla scuola, i miei genitori (una professoressa e un ingegnere) hanno sempre insistito, educandomi a pretendere il massimo da me stessa.
Un'altra cosa a cui mi hanno educata è il saper sopportare: sopportare di non ricevere vizi con giochi, dolci o vestiti, andare a scuola anche se non ero perfettamente in salute, sopportare la fatica di lunghe escursioni.
Mi hanno fatto fare molti sport di resistenza: bici, camminate in montagna, sci di fondo, pattinaggio sul ghiaccio. Mi è rimasta l'abitudine, tramandatami da mamma, ad usare sempre e solo la bici per spostarmi.
Da piccola spesso mi ribellavo e non volevo uscire di casa, temendo di provare ancora la fatica delle volte precedenti. Ogni tanto invece, tiravo fuori la grinta e affrontavo la sfida.
Le scuole medie sono state il periodo “di ribellione”: avevo deciso che non sarei più stata costretta a fare alcun tipo di sport; mi volevo dedicare ad una nuova passione: quella per l'informatica, che ai tempi significava semplicemente giocare ai videogiochi. Nel seguire la mia nuova indole, ero riuscita anche a guadagnarmi un voto basso di comportamento: in pagella, quel 7 accompagnava i 10 delle altre materie.
Ad oggi, non tocco un videogioco da anni: il “periodo di ribellione” si è concluso durante la frequentazione delle scuole superiori, sostituito dalla voglia di sfruttare tutto il tempo della giornata a fare attività produttive. Mi ero iscritta all’ITIS Mario Delpozzo di Cuneo, un istituto tecnico prevalentemente frequentato da maschi, che comprende un indirizzo informatico. Il primo impatto con la prima scelta importante della mia vita non è stato semplice: se da un lato ero molto soddisfatta delle materie, dall'altro era difficile integrarsi in una classe con solo altre due ragazze; non avevo amici veri, ma ero sempre al centro di attenzioni indesiderate, sempre giudicata per le mie imperfezioni da maschi non ancora maturi.
Penso che sia normale che durante la propria adolescenza si provi questa paura di non essere accettati. Come decisi di reagire? Decidendo di impegnarmi in qualsiasi cosa, con l'obiettivo di dimostrare a me stessa il mio valore.
In quegli anni suonavo la chitarra, studiavo teatro, leggevo tanto, partecipavo a progetti extra scolastici, coltivavo la passione per l'arte e i disegni, imparavo a fare sartoria, studiavo e iniziavo ad approcciarmi all’atletica agonistica. Tutta questa passione mi ha permesso di vivere dei bei momenti e di definire la mia strada. Seguo quotidianamente i valori che sono fioriti dai pensieri dell'adolescenza. Oggi non ho perso tutti gli interessi elencati sopra, ma ho dovuto (e voluto) dare via via semprepiù priorità allo studio e allo sport.
I miei genitori mi hanno sostenuto molto, anche se a volte non capivano come mai fossi sempre così fissata con la perfezione. Quando, nel 2018, ho avuto l’esordio del diabete mellito, non misono stati particolarmente addosso, perché già da tempo avevo reclamato la mia indipendenza.
Nel 2019 mi hanno comprato casa a Torino. Hanno cercato a lungo, prima di trovare un appartamento vicino sia al Politecnico che alla pista di atletica, così che io fossi agevolata negli spostamenti. Sarò sempre grata a loro per questo, che fino ad ora è
stato il regalo più bello che potessero farmi, perché simbolo di libertà e indipendenza.
A Torino mi attendeva una nuova routine ferrea. La novità principale è stata iniziare a fare la spesa da sola: mi ha permesso di provare a perfezionare l’alimentazione, che è importante per chi ha il diabete, ancora di più per chi fa sport… figuriamoci per chi porta avanti entrambe le cose.
Quando sono entrata nel progetto talenti del Politecnico, grazie alla mia buona media, l'ho comunicato ai miei genitori come se volessi ripagarli della loro fiducia. Anche la laurea triennale con 110 e lode nella mia testa l'ho dedicata a loro.
Se devo essere sincera, prima di iniziare l'università ero così presa dall’entusiasmo che probabilmente non avevo idea degli sforzi a cui mi sarei sottoposta: due o anche tre allenamenti al giorno, con una media di sei ore di studio al giorno e picchi anche da 10 ore in un giorno.
Ciò nonostante, ho sempre cercato di mantenere contemporaneamente un mio equilibrio mentale, rilassandomi tra i portici del centro di Torino, visitando i principali musei e godendo dell’atmosfera torinese, che adoro. Sicuramente, il tempo per fare queste cose non è molto, ma riesco a ritagliarmelo grazie alla mia organizzazione. Ho cercato di non mettere mai in secondo piano le amicizie, e posso dire di essere molto soddisfatta da questo aspetto della mia vita.
Spesso ho avuto amici che si offrivano di accompagnarmi, in bici, durante i miei allenamenti.
Nel mondo dell'atletica, ho tante amiche tra le mie avversarie.
Tante volte vado anche a correre da sola: alcune volte ho delle giornate frenetiche e non riesco ad organizzarmi con nessuno, altre volte esco ad orari non proprio comodi, come alle 7 del mattino.
In effetti, spesso la corsa è il mio vero “buongiorno”, che mi fa iniziare veramente la giornata.
È altrettanto frequente che il mio sport mi aiuti a sfogare lo stress che il mio carattere frizzante mi porta ad accumulare.
Per non parlare poi dello stress causato dal sentirsi costantemente giudicati da un numero, il valore della glicemia, che influenza molto il mio umore.
Un’altra fonte di equilibrio per la mia vita è data dalla passione per l'arte, che mi lascia respiro durante gli studi da ingegnere. Nel tempo libero porto avanti disegni a matita e penna, che poi mi piace incorniciare e appendere ai muri di casa, perché possa ricordarmi sempre il significato profondo che ho voluto associargli. È stato papà ad ispirare la mia tecnica: anche lui ha una buona mano. Per il suo compleanno gli regalai un nostro ritratto.
Quando si tratta di fare regali o organizzare sorprese, mi diverto tantissimo. In generale, sono attratta dalle cose particolari e ho spesso idee carine.
Per quanto riguarda la passione per la lettura, hanno lasciato un’impronta nel mio modo di pensare fin dall'infanzia i libri di Licia Troisi, perché parlano di una ragazza forte, così come io sogno di essere fin da piccola. Nell'adolescenza mi sono avvicinata ai libri di Stephen Hawking perché affascinata dell'astrofisica. Infatti, spero di poter aver tempo per prendere, tra qualche decina di anni, una seconda laurea in fisica. Mi piacerebbe anche che il mio futuro lavoro abbia a che fare con lo spazio, il quale mi ricorda che l'universo è molto più grande degli ostacoli che si possono incontrare nella vita, e quindi è possibile affrontarli tutti.
Ebbi l'esordio di diabete mellito a marzo 2018, non avevo ancora compiuto 18 anni. Ero a scuola, quando mamma mi ha chiamato dicendomi di andare urgentemente dalla dottoressa, dove mi aspettava. Nella sala di attesa, teneva gli esami del sangue in mano (con sopra scritto 10,8 di emoglobina glicata), quando mi disse che avevo una malattia che sarebbe durata tutta la vita. Scoppiai a piangere, continuai mentre la dottoressa mi parlava e mentre mi portavano in ospedale, ma di quel tragitto non ricordo nulla a causa del dolore. Ho smesso di piangere quando un infermiere mi disse che, anche con il diabete, avrei potuto continuare a correre. Allora il problema mi è immediatamente sembrato più piccolo, e ho iniziato a sentirmi forte.
Sono stata ricoverata per una settimana. I miei genitori si alternavano per tenermi compagnia e non solo, ma anche per fare discorsi e riflessioni sulle loro vite, che mi hanno permesso di individuare spunti di ragionamento. Anche gli amici venivano atrovarmi, e io spiegavo loro cosa sarebbe cambiato in me da lì in avanti.
Mi ricordo la mia prima ipoglicemia notturna, e il sapore dolcissimo che aveva il succo che mi aveva portato l'infermiera. Forse è grazie a questa esperienza che ho sempre vissuto le ipoglicemie con estrema tranquillità.
Mi ricordo anche un pensiero importante formulato durante le notti, ancora un po' insonni, di ospedale: “un modo per farcela lo troverai”.
Finito il ricovero, ho avuto la fortuna di avere molti amici a preoccuparsi del mio umore.
Misi il primo sensore a maggio, e mi trovai subito bene. L'ago dell'insulina non mi faceva impressione, nonostante io sia sempre stata agofobica durante gli esami del sangue, probabilmente perché piccolo.
La gita scolastica andò liscia e gli allenamenti ripresero dopo non molto dall’esordio.
Le cose, insomma, tornarono come prima abbastanza in fretta, eccetto per il fatto che sentivo in me la voglia di dare tanta importanza alla mia vita. I pensieri ottimisti
mi permisero di riprendermi così bene che a giugno del 2018 arrivò la mia prima qualifica per un europeo.
La luna di miele (il periodo in cui il pancreas riprende leggermente a funzionare ed è richiesta meno insulina) è durata circa dieci mesi: poi sono arrivate le prime iperglicemie, soprattutto durante le gare.
Dopo la fine della luna di miele è iniziata la vera battaglia per trovare il giusto compromesso. La settimana prima della gara, siccome mi alleno di meno, tendo ad avere più problemi di glicemia alta. Se sopravvivo e arrivo al giorno della gara ancora con una buona sensibilità all’insulina, rischio comunque di dover fare molte unità a causa della tensione e quindi di dover fare sforzi immani nei giorni dopo la competizione per far rientrare i valori. Però, se la gara mi ha reso felice, trovo la forza di sopportare gli sforzied essere rigida a dovere.
Ho sempre pensato che la possibilità di conoscere il livello di zuccheri nel mio sangue possa essere sfruttato in modo favorevole, perché conosco esattamente il mio livello di energia. Infatti, alcuni atleti anche non diabetici hanno iniziato a portare sensori al braccio.
Purtroppo, un’altra difficoltà per me è nel gestire il diabete di notte: patisco molto le interruzioni del sonno perché fatico a riaddormentarmi, rimanendo sveglia anche un paio di ore nel cuore della notte. Molte volte ho il terrore che mi succeda il giorno prima di un esame o a ridosso di una gara, perché questi episodi mi rendono davvero stanca, e talvolta anche triste. Quello che mangio a cena è determinante per non dover fare l'insulina prima dell’alba. Per questo motivo, sono molto rigida nel decidere cosa mangiare la sera, anche nel caso di pasti con amici.
In realtà, più di una volta ho gareggiato la mattina dopo una notte disturbata, riuscendo anche a trasformare la r abbia legata alle mie difficoltà in grinta. Ad esempio, prima di vincere il titolo italiano di mezza maratona ad ottobre 2023, ho dormito sole quattro ore, lottando con la glicemia per tutta la notte.
La mia strategia per evitare gli imprevisti è seguire una routine ferrea: mangiare le stesse cose e seguire sempre gli stessi orari. L'effetto di questa tattica, che in alcuni momenti èstata decisamente vincente, è inibito però dal fatto che le stagioni cambiano e anche il corpo cambia; per cui, ho il mio insieme di routines da adottare in diversi periodi a seconda del mio sesto senso. Qualche volta, nessuno schema funziona e mi tocca inventarne uno nuovo: questa è la parte più difficile.
Dopotutto però, non è un dramma. Un giorno ne parlavo con un mio caro amico, dicendogli che poteva capitarmi ben peggio. Invece, a me piace avere uno stile di vita sano, e quella del diabete non è una condanna così pesante, perché è una condanna ad avere uno stile di vita sano.
Quindi, non penso che sia corretto pensare alle persone con diabete tipo 1 come se
avessero solo difficoltà in più, ma penso che sia corretto anzi considerarci come esempio da cui imparare. Subito dopo l'esordio avevo preso l'abitudine di andare in bagno per fare l'insulina e coprivo il sensore con una fascia durante le gare. Per me il diabete non era motivo di vergogna, ma un mio segreto, una cosa che mi rendeva unica e che doveva rimanere privata (nella mia testa, il segreto andava custodito con delicatezza per renderlo affascinante). Pian piano, nel corso degli anni, ho perso l'abitudine di andare in bagno per fare l'insulina per questioni di praticità.
Non avevo mai parlato del diabete in pubblico fino al 2021: durante la stagione atletica migliore della mia vita ero riuscita a guadagnare l'attenzione di più gruppi sportivi militari. Entusiasta, lo avevo detto a papà, che fu il primo ad insospettirsi e a consigliarmidi controllare i bandi di concorso per l'arruolamento. Ero del tutto ignara del fatto di non essere idonea, anche perché, a rigor di logica, per essere un atleta professionista bisognaavere i risultati e non il pancreas funzionante.
La mia prima reazione dopo la conferma della scoperta fu piangere. Una volta elaboratoil tutto, presi il telefono e iniziai a cercare su internet “atleti diabetici esclusi dai gruppisportivi militari”. Comparve un articolo di Giulio Gaetani e fui colpita dal fatto che fosse nella mia identica situazione e che fosse a Torino come me. Lo contattai e ci incontrammo. Da quell'incontro uscì la voglia di unire le forze e fare tutto ciò che era alla portata di due ragazzi giovani: iniziai a parlare apertamente della patologia alleconferenze e nelle interviste per i giornali.
Ad aprile 2023 venni invitata alla firma del “Protocollo d’Intesa tra Coni, Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete, FESDI, Sid e Amd”. Durante l'incontro mi venne data la parola e, davanti agli esponenti di rilievo delle organizzazioni citate, feci un discorso che fu in grado di destare commozione in sala, perché parlai con il cuore. Iniziai raccontando delle voci che mi erano giunte dopo gli Europei di cross 2022, disputati in casa a Torino: quella mattina feci una grande controprestazione. Miarrivarono all'orecchio commenti come: “poverina, è diabetica”. Raccontai che non èbello essere discriminata dal pubblico già sulla linea di partenza, quando l'unica divisacivile spicca tra quelle militari. Il messaggio rischioso che può passare è che “il diabetico non merita di essere atleta professionista, il diabetico non può fare sport come gli altri”.
Per ora, mi accontento di vincere e di contraddire chi mi discrimina, ma questa è un'altra storia…
Feci così conoscere la mia vicenda alle più importanti società di diabetologia italiane: altermine dell'incontro ero fermata dai presenti, che volevano scambiare delle parole a quattr'occhi ed esprimere la loro solidarietà.
Non mi aspettavo per nulla però l'invito in Senato il 14 novembre 2023, giornata mondiale del diabete, da parte di FESDI, Sid e Amd che avevano deciso di sostenere mee Giulio con una borsa di studio. Da questo avvenimento voglio che fuoriesca
unmessaggio di uguaglianza tra gli atleti stipendiati dai corpi militari e noi atleti diabetici, acui gli sforzi sono finalmente riconosciuti.
Poter fare sentire la mia voce in un’aula del Senato, e vederle dare importanza attraverso società riconosciute, mi riempie di entusiasmo per quello che vedo come un nuovo inizio: l'inizio di un impegno in cui voglio dedicare la massima serietà in qualità di quella che, auspicabilmente, in futuro diventerà una rivoluzione.
Ad oggi, sono consapevole del fatto che forse non indosserò mai una divisa militare. Però, il non essere stata ferma ad accettare il mio destino mi fa sentire davvero bene.
Quando avevo 10 anni, i miei genitori mi avevano iscritto ad atletica leggera, che a quell'età prevede che gli allenamenti siano somministrati sotto forma di gioco. Nonostante ciò, la piccola Anna decise di smettere dopo un paio di anni, perché il mio spirito competitivo veniva sollecitato troppo. Infatti, provavo continuamente a correre più veloce anche dei bambini maschi (d'altronde, fin da piccola sono stata abituata alla sana competizione con mio fratello), non accettando il fatto che facessero meno fatica di me a fare le stesse cose.
Anche durante la pausa dalla corsa, che si estese nei quattro anni successivi, continuavo a sentirmi discretamente portata. Forse è grazie a questa consapevolezza che, in terza media, riuscii a vincere la campestre della scuola senza allenamento. Ricordo bene quel giorno perché è stato il momento in cui mi sono innamorata della corsa. Avevo un discreto numero di ragazze come avversarie, ma le favorite erano due in particolare, note ed elogiate dagli insegnanti di motoria per il loro successo nello scii di fondo. Erano anche tanto più alte e fisicate di me, io invece ero piccolina. Nessuno avrebbe scommesso neanche su un mio quarto posto, a giudicare dall’aspetto. Ero terza quando mancavano un centinaio di metri all’arrivo, i due primi posti stavano andando alle favorite. Mi ricordo bene il mio pensiero in quel momento: “provaci”. Sono partita con uno scatto. Supero la seconda e poi proseguo e vinco la gara sulla linea del traguardo.
Devo aver sorpreso tutti in quel momento, comprese le mie avversarie, che non si aspettavamo diveder arrivare dalle loro spalle un piccolo missile. Ricordo quel giorno ancora con tantissima commozione: quel gesto mi aveva reso la persona più felice del mondo.
Un anno dopo, grazie al gruppo sportivo scolastico e ad un amico, che mi aveva invitato a partecipare agli allenamenti organizzati dalla A.S.D. Dragonero alla pista di atletica Walter Merlo, avevo iniziato avevo iniziato a praticare con regolarità.
Vincere le gare diventava via via più difficile passando ai campionati provinciali e poi a quelli regionali, e la soddisfazione rimaneva forte come la prima volta. Prima delle gare ero agitatissima e non riuscivo a parlare con nessuno, dopo ero raggiante.
Il mio primo allenatore è stato Augusto Griseri: mi ha lasciato, come ricordo, una frase detta durante un allenamento faticoso: “quando vai in trance per la fatica, corri decisamente più forte”.
Il successivo maestro è stato Marco Corino. Sotto il suo occhio preciso ho migliorato la mia tecnica di corsa; devo a lui il fatto che ancora oggi sono lodata da molti per l'eleganza del mio gesto tecnico. Facendomi pur correre pochi km, era riuscito a farmi ottenere un quarto e un terzo posto ai campionati italiani di corsa in montagna, un terzo posto italiano nei 20 minuti in pista ed anche, nel 2018, la mia prima convocazione in Nazionale.
La maglia azzurra è un sogno inseguito da tanti atleti, e io l'ho dovuto rincorrere per un paio di anni prima di poterlo coronare, subendo anche importanti delusioni che hanno contribuito a formare il mio carattere. Purtroppo, anche la mia prima esperienza in nazionale è stata una delusione: arrivai undicesima ai campionati europei di corsa in montagna nel 2018, ma sapevo di non aver fatto una bella gara. Così, mi rimase la fame, la voglia di guadagnarmi davvero il titolo di “atleta azzurra”.
Speravo di qualificarmi di nuovo agli europei di corsa in montagna l'anno successivo, ma una forte anemia mi aveva fatto mancare la qualifica per un solo posto. Ci rimasi molto male.
Avevo appena cambiato allenatore: da marzo del 2019 sono sotto la guida del tecnico nazionale Gianni Crepaldi. Ha un approccio molto diverso a quello da cui arrivavo: tanti kilometri e allenamenti lunghi. Per questo, il cambiamento mi aveva mandato in crisi. Inoltre, stavo preparando la maturità: sono stati mesi molto difficili.
Eppure, ancora una volta il “non mollare” decise di premiarmi: a ridosso delle prove di maturità, riuscii a fare il minimo per gli Europei su pista a pochi giorni di distanza in due discipline diverse: i 3000m e i 5000m. È stato un momento importante: era stato così difficile ottenere quei risultati, considerato la stanchezza costante, lo stress e la fiducia in sé che andava diminuendo, che lo considero un momento di vittoria nella vita.
Verso la fine dell’estate di maturità sperimentali la prima volta l'allenamento ad alta quota a Sestriere, che da lì in avanti sarebbe diventata una routine annuale. Gli allenamenti nell'aria rarefatta dell’alta montagna mi davano un senso di libertà ancora più forte rispetto al solito. Ho scoperto in quel periodo di amare la “vita da atleta”: mangiare bene, dormire tanto, correre con allegria.
Dopo l'altura a Sestriere riuscii a qualificarmi inaspettatamente per i mondiali di corsa in montagna, battendo le ragazze che pochi mesi prima mi avevano fatto assaggiare la polvere.
Arrivati nona. Un paio di settimane dopo mi qualificati anche per gli Europei di cross.
Nel 2020, durante la quarantena, in astinenza dalle gare, avevo iniziato ad essere in competizione con me stessa: mi sono allenata duramente in quel periodo, sfidando le condizioni assurde, ritrovandomi anche a correre un'ora nel giardino di casa. Devo dire che in certi momenti ho davvero superato me stessa, dimostrando una buona capacità di soffrire.
Ad ottobre del 2020, il giorno del mio ventesimo compleanno, decido di farmi un regalo: arrivo terza ai campionati italiani U23 nei 5000m con un cronometro di rilievo, che per la prima volta aveva destato l'interesse dei gruppi sportivi militari. Il 2021 è stato l'anno in cui ho scoperto la mia specialità preferita: i 10.000m in pista. Arrivavo da un periodo di ripresa dopo aver avuto l'ennesimo problema di anemia. Il mio allenatore non era convinto di tentare i 25 giri di pista. Però io volevo provarci. Fu così che, a maggio del 2021,vinsi il mio primo titolo italiano U23. È stato bellissimo.
Cavalcando l'onda, costruii una bellissima stagione: titolo italiano U23 nei 3000 siepi e titolo italiano assoluto nei 5000m si susseguirono nel giro di un mese. Associati a questa le due gare, conservo ricordi che meritano di essere raccontati:
All'inizio dei 3000 siepi ho avuto un incidente con la prima riviera, che mi ha portato a perdere qualche secondo dalle avversarie; non mi sono scoraggiata, anzi: ho accelerato per recuperare il gap e poi, una volta raggiunte le altre, ho proseguito allo stesso ritmo, vincendo la gara in solitaria. Ero felicissima e divertita.
Meno divertente è stato il 5000, dove ho deciso di rischiare: staccando il gruppo di avversarie e proseguendo in solitaria ancora prima di arrivare a metà gara. Era una corsa contro il cronometro: anche lo speaker quel giorno lo aveva capito, incitandomi durante l'ultimo giro
“Arnaudo sta provando a scendere sotto i 16 minuti. Si può fare, si deve fare!”. Quelle parole mi hanno causato un brivido dalla testa ai piedi. Il tempo finale fu 15’57”.
Per pochi secondi mancai invece il record italiano U23 nei 10.000m meno di un mese dopo ai campionati europei U23, dove mi qualificati seconda.
Quella del 2021 è stata la stagione più bella in assoluto, ma mi aveva lasciato, ancora una volta, la “fame”: questa volta di record italiano. Le prossime gare su pista sarebbero state in primavera 2022, quindi passai l'inverno ad allenarmi con tantissima grinta: più di una volta ho finito le ripetute a denti stretti, ho fatto tanti allenamenti di fila senza riposo. Cito due episodi:
Una mattina, in pista mi attendeva il mio allenatore per fare quattro volte i 2000m, solo che dopo la prima ripetuta mi accorgo di essere troppo affaticata per essere solo ad un quarto dell'allenamento, così lo comunico a Gianni, che mi chiede se preferisco saltare l'allenamento.
Intanto, mi accorgo che il sensore segna una glicemia di 60. Allora prendo lo zucchero e dichiaro di voler tentare la prossima ripetuta, che uscì più forte. E poi la terza e la quarta più forti ancora.
Finii distrutta.
Un'altra volta mi toccarono le ripetute il giorno prima di un esame. Ero stressata e quella notte non avevo dormito bene. Di nuovo, arrivo a metà allenamento rendendomi conto di essere troppo affaticata, così che decido che avrei fatto meno ripetute del previsto: sei al posto di otto.
Dopotutto, le avevo corse anche più veloci del dovuto, quindi comunico a Gianni di voler interrompere l'allenamento. Lui invece quella volta insistette per farmi fare, controvoglia, almeno ancora la settima prova, a patto che fosse l'ultima. Quando la terminali però, mi accadde una cosa strana: stavo per lasciare la pista, quando, le mie gambe mi hanno fatto cambiare direzione e mi hanno portata, mentre io sentivo il brivido dell’adrenalina, alla partenza dell’ottava prova.
Dopo svariati episodi di questo calibro, in quei mesi avevo acquisito una forza mentale interessante. Mi presentai sulla riga dei campionati italiani dei 10.000m con una faccia tosta.
Vinsi la gara, in solitaria, correndo per 5km (12 giri emmezzo) da sola, cercando di ottenere il record italiano U23. Dopo la gara, ero arrabbiata per non esserci riuscita. Ripresi ad allenarmi duramente, ma le energie stavano finendo. Infatti, dopo aver fatto finalmente con ampio margine il record italiano, un mese dopo, a Pacé, iniziai a sentire davvero il bisogno di riposare.
Purtroppo però, non mi ascoltai: stavo per prendere la laurea triennale, e volevo dare il massimo negli ultimi esami, inoltre mi ero qualificata per gli Europei assoluti, che sarebbero stati quell'estate.
Rinunciai alla nazionale ad una settimana dalla gara. Fu una scelta difficilissima e accompagnata da tanti pianti, ma una parte di me era felice di ottenere quel riposo. Dopo questo episodio ho passato settimane difficili, senza riuscire a ritrovare le forze, per poi scoprire, a fine estate, che parte del mio malessere era dovuto al fatto che ero diventata intollerante al lattosio. Dopo aver modificato la dieta, ho iniziato a sentirmi meglio. Infatti, ad ottobre 2022 è arrivato un altro record italiano U23: quello nella mezza maratona.
Purtroppo il 2023 è iniziato molto male, a causa di uno stress importante legato alla mia ambizione di superare a pieni voti una sessione di esami molto difficile. Ancora una volta però, mi sono ripresa, vincendo il titolo italiano nella mezza maratona ad ottobre 2023. Il terzo titolo italiano assoluto in carriera e l'ottavo titolo considerando tutte le categorie.
Di lì a pochi mesi, indossavo anche per la decima volta la maglia della nazionale, agli europei di cross di Bruxelles
Anna e la sua determinazione - Il diabete tipo 1 è arrivato mentre Anna frequentava il 4 anno dell' ITIS informatica a Cuneo. L'inizio è stato traumatico, ma l'incontro con la speciale infermiera Donatella è stato di grande conforto sul fatto che avrebbe potuto condurre una vita normale, ma soprattutto continuare a correre. Ed è stata la corsa la valvola di sfogo di Anna, il suo riscatto, la voglia di dimostrare che " corre forte nonostante la malattia". Io come mamma ho sempre timore che esageri negli allenamenti e nella fatica, che si consumi troppo per la corsa, che non ascolti se stessa e i segnali del suo corpo perché ha una volontà di ferro. Grazie alla sua determinazione ha fatto progressi incredibili nella gestione del diabete durante le gare riuscendo a conquistare il titolo italiano nei 10000 m nel 2022 e nella mezza maratona nel 2023. Io comunque ho sempre la preoccupazione che sacrifichi troppo se stessa come donna per la corsa.
Anna e la capacità di risolvere problemi e trovare soluzioni. Anna è una persona che ammiro molto per la grande forza e la determinazione che ha! Penso possa essere un grande esempio sia come persona che come atleta, perché con il Suo coraggio, la sua testa, tanta pazienza, tanto lavoro ha trasformato un suo limite/ una sua problematica in un punto di forza dimostrando a tutti che si può fare: si può andare forti , si può sognare e raggiungere i propri obiettivi anche con dei piccoli intoppi nel cammino. Ammiro molto la sua organizzazione nel gestire la giornata, la sua capacità di risolvere problemi e trovare soluzioni, la sua voglia di arrivare in alto e la passione che ci mette nel fare le cose nel migliore dei modi! Perché lei è così: se ti dice che farà 100, ecco che vedrai il 100! So che ha anche lei delle fragilità , ma è così brava a nasconderle, non fa mai pesare nulla ma anzi, è sempre positiva e pronta a rialzarsi. La cosa che più mi piace di lei è che è una vera amica sia nel campo gara che fuori: potrai essere una sua avversaria ma se ci tiene al rapporto, gioirà più per i tuoi risultati che per i suoi! Anna (amica) Anna è senza ombra di dubbio una delle ragazze più determinate che conosca e lo è sempre stata, ma da quando ha scoperto di avere il diabete ancora di più. Ai miei occhi ha affrontato la cosa nel miglior modo possibile, ricercando da subito abitudini che la portassero ad un nuovo equilibrio. È molto ambiziosa e punta sempre al massimo, talvolta faticando a riconoscere tutta la strada fatta fino a quel momento. È molto organizzata e consapevole che seguire una routine scandita la aiuta a raggiungere i suoi obiettivi, anche i più grandi. È inoltre un’ottima amica: sa darmi consigli e mi trasmette razionalità nei momenti in cui mi faccio sopraffare dall’emotività. Con lei e una passeggiata la giornata migliora
rapidamente. Le auguro il meglio e di raggiungere tutto quello che desidera.
GIULIA – LA COMPAGNA DI ALLENAMENTO
Anna la mia amica - Ho conosciuto Anna nel 2017 a un raduno di atletica. Era molto timida ma abbiamo trovato da subito una sintonia che ci ha portate a proseguire la conoscenza e a stringere una bella amicizia. Lei è una persona molto riservata ma allo stesso tempo è gentile e simpatica con tutti; è umile e questa penso sia una delle caratteristiche che spesso viene accantonata quando un atleta cresce di livello, mentre lei è riuscita a rimanere la stessa di sempre, di quando eravamo piccole e vestire la maglia della nazionale era solo un sogno nel cassetto; è molto testarda ma in senso buono. Se si pone una sfida, cerca in tutti i modi di raggiungere il suo obiettivo. È molto dolce con gli altri, ma allo stesso tempo dura con se stessa, a volte anche troppo; pretende tantissimo da sé in tutti i campi, che sia l’atletica, lo studio e tutto il resto. Inizialmente si vergognava di dover provare la glicemia e di doversi fare l’insulina, ricordo che si chiudeva in camera e mi diceva di controllare che non arrivasse nessuno perché doveva farsi la puntura sulla pancia. Poi ha capito che il diabete non era un deficit ma una sua caratteristica e doveva essere orgogliosa di com’era in tutto e per tutto. Non mi ha mai fatta sentire inferiore per non aver raggiunto i suoi risultati ma anzi, cerca sempre di spronarmi per far sì che io possa dare il meglio di me.
Anna una ragazza semplice. Alle medie è nata in lei la passione per la corsa, passione che sembrò infranta nel momento in cui il diabete ha cominciato a manifestarsi. Dopo un’ iniziale e comprensibile crisi, la scoperta che qs malattia non le impediva di fare sport le ha dato di nuovo speranza. Questo fedele compagno di vita l'ha fatta crescere: ha dovuto imparare a conviverci, ma le ha anche insegnato il valore della vita , sua e degli altri, con tutta la sua fragilità e la sua bellezza. Questo l'ha spinta a dare il meglio di sé, a non avere paura di porsi degli obiettivi anche molto alti, e a imparare ad accettare i propri limiti. Ha sperimentato che ci sono valori ancora più grandi delle mete personali come quello dell'amicizia, o dello spirito di squadra: l’ho vista più entusiasta e contenta quando tutta la squadra insieme ha raggiunto degli ottimi risultati rispetto a quando era solo lei sul podio. Era allenata a fare sacrifici per lo sport già prima, le è diventato “normale” farli per il diabete, trasformandoli in un dono di sé agli altri, come una particolare sensibilità, attenzione e coinvolgimento con chi incontra, a partire dai ragazzi e bambini con la sua stessa patologia: questa è la sua più bella e grande vittoria!
Anna e il suo zainetto. Ricordo quand'è nata, piccola e vispa si agitava sul materassino in sala parto. Alla fine delle elementari esprimeva già un forte desiderio di indipendenza. I primi contrasti con l'adolescenza. A scuola, sempre indipendente, ineccepibile. L'atletica, le primissime soddisfazioni e poi quel marzo la scoperta del suo 'zainetto' come lo avevano chiamato nel reparto di diabetologia. Rimase afflitta; ma per poco. Poi la progressiva ripresa degli allenamenti. Apprendere come utilizzare la tecnologia per il controllo del diabete non è stato banale; così come trovare il corretto equilibrio tra il cibo e l'insulina. Arrivano le prime gare in cui è necessario capire come programmare l'andamento della glicemia, e nel farlo Anna ha pochissimi punti di riferimento. A distanza di pochi mesi, il primo viaggio all'estero. Le sue performance aumentano progressivamente, la sua capacità di gestirsi migliora. Ma le cose non sono scontate: per raggiungere il massimo entrano in gioco altri fattori fisiologici: è un equilibrio da mantenere sempre. Le veglie indotte dalla glicemia diventano le sue compagne notturne. Anche l'emotività gioca un ruolo importante. L'impossibilità a concretizzare un futuro professionale nell'atletica non la ferma. Dimostra di essere una delle migliori atlete a livello nazionale pur mantenendo un curriculum scolastico ai massimi livelli. Molti la riconoscono e la sostengono. Una difficoltà diventa un'opportunità: ed ecco che inizia ad utilizzare le sue competenze e la sua intelligenza per dare un contributo a migliorare la vita dei molti che, come lei, portano lo 'zainetto'. Una volontà d'acciaio, un rigore impareggiabile: negli anni Anna ha sviluppato un carattere resiliente ed ha saputo dimostrare che siamo sopratutto noi gli artefici del nostro destino. I risultati e gli encomi a livello nazionale le danno ragione. Un esempio per molti suoi coetanei che nella vita hanno incontrato una difficoltà importante. Con la saggezza che la vita le saprà ancora donare, potrà raggiungere traguardi ben superiori a quelli che una vita 'comune' le avrebbe potuto offrire.
Nel mio essere ambiziosa, ho da sempre coltivato sogni in modo preciso e concreto. Innanzitutto, vorrei non smettere mai di essere atleta. O quantomeno, non interrompere in anticipo la mia carriera per esigenze lavorative. Sono abituata a studiare ed allenarmi e so organizzare al meglio i miei tempi. Per questo motivo, penso che gli orari flessibili offerti dal lavoro come ricercatrice possano aiutarmi a coronare i miei sogni. Nell’immediato, quindi, vorrei concludere un dottorato in attesa delle Olimpiadi 2028, allenandomi con l'obiettivo di qualificarmi e prendere parte alla maratona. Eh sì, il mio sogno è correre tanto, quindi ho scelto la gara più lunga. Dopodiché, la mia carriera da ricercatrice - maratoneta proseguirà. Non mi dispiacerebbe diventare docente universitaria. La ricerca mi piace perché permette di creare nuove tecnologie che migliorano la vita delle persone, proprio com'è stato per me avere la possibilità di usare le penne di insulina e i sensori.
“Il diabete sicuramente non mi ha impedito di vivere e realizzare i miei sogni anzi, mi ha spronato ancora di più a combattere per raggiungere i miei traguardi, sia sportivi che non.”
Giulio Gaetani, ho 24 anni enato e cresciuto a Lecce fino all'età di 13 anni. Dopo essersi trasferito a Taranto per un anno si è spostato definitivamente a Torino dove vive tutt'ora. Atleta della nazionale italiana di scherma, in particolare di spada. Nel 2002, a poco meno di due anni, ha scoperto di essere diabetico “Non ricordo ovviamente della mia vita prima del diabete e forse proprio per questo l'ho sempre vissuta come "normalità". Fin da subito è risultato talentuoso vincendo quasi tutte le gare regionali e classificandosi tra i migliori anche a livello nazionale fino a vincere il suo primo titolo italiano nel 2013. Nel 2017 si è classificato primo nel ranking mondiale u17 finendo la stagione con il bronzo individuale agli europei e il titolo a squadre. Nel 2020 ha vinto il ranking mondiale U20 facendo podio a tutte le gare del circuito e istituendo un record. Ha vinto i campionati italiani u23 e si è classificato terzo al campionato europeo di categoria. Conta diversi podi in ambito nazionale delle varie categorie e negli assoluti fino ad arrivare a fare un podio in coppa del mondo assoluti lo scorso anno e finendo l'anno tra i primi 50 al mondo e tra le prime riserve per rappresentare l'italia alle Olimpiadi. Adesso iniziando il nuovo ciclo olimpico ovviamente l'obiettivo che ha è solo uno: partecipare; mentre ovviamente il sogno è di vincere!
Mi chiamo Giulio Gaetani, sono uno schermidore della nazionale italiana di spada, ma prima di parlare della mia carriera sportiva mi presento.
Sono nato a Lecce nel luglio del duemila, i miei genitori sono Paolo e Fiammetta, entrambi figli di militari, hanno cambiato più volte città fino a stabilirsi a Lecce dove poi si sono conosciuti, e dove appunto sono nato, ho anche un fratellino, Filippo, che a breve compirà tredici anni, sembra un po’ un me in miniatura, anche se lo sarà ancora per poco tempo, in quanto, ogni volta che lo vedo, è sempre più alto.
Il mio percorso di studi è iniziato nella mia città natale, Lecce, per poi proseguire a
Taranto ed infine concludersi a Torino con il liceo. Sono sempre stato uno studente nella media, non ero particolarmente dedito agli studi ma riuscivo a cavarmela nonostante dedicassi tutte le mie energie alla scherma, il mio sport, fin dall’età di otto anni. Fin da piccolo mi piace qualsiasi tipo di sport, dalle bocce all’ arrampicata. Oltre alla scherma fin da quando sono stato in grado di correre ho sempre praticato diversi sport in particolare: tennis tavolo, beach tennis, pallavolo, calcio, nuoto e ultimamente un po’ di basket.
Se dovessi scegliere il mio sport preferito da giocare e da guardare penserei al calcio.
Sono un appassionato e tifoso juventino e sporadicamente vado allo stadio fra una gara e l’altra di scherma.
A breve compirò ventiquattro anni e vivo a Torino quasi da dieci, convivo con Margherita con la quale la nostra relazione è iniziata sei anni fa, e da tre anni abbiamo anche una cagnolina di nome Nocciola, come il colore del suo pelo.
Nel tempo libero mi piace molto andare a ballare sia da solo che con i miei amici.
Ho frequentato molti festival e discoteche, in particolare musica elettronica e techhouse. Trovo che la musica sia una valvola di sfogo dalla quotidianità e un momento di liberazione e di spensieratezza dove ognuno è libero di muoversi senza essere giudicato, un concetto che in Germania è ben chiaro, uno dei panorami migliori per la musica elettronica. Oltre agli eventi ascolto musica tutti i giorni attraverso le mie cuffie con scopi diversi come ad esempio concentrami prima delle gare o rilassarmi dopo una giornata stancante, mi piacciono tutti i generi tranne la trap, non la considero musica; se dovessi scegliere il mio brano preferito direi probabilmente ‘’ This must be the place’’ dei Talking Heads.
Tralasciando la musica, il mio hobby preferito è viaggiare. I miei primi viaggi sono stati con mia madre la quale mi ha ‘’insegnato’’ a viaggiare e ad arricchirmi di esperienze. Viaggiare per me vuol dire conoscenza ed apertura mentale, penso che ogni spostamento ti trasmetta qualcosa di diverso. Ho girato tutti i continenti e sono stato in circa cinquanta nazioni differenti passando dalla barriera corallina maldiviana a Machupichu al safari in Kenya al Masai Mara fino ad arrivare a vedere i ragni e koala australiani. A proposito non vedo l’ora di partire per il prossimo: Indonesia. Grazie al mio carattere molto aperto e alla mia conoscenza della lingua inglese e spagnola ho stretto innumerevoli amicizie girando per il mondo e in qualsiasi posto in cui mi trovo, o quasi, so che posso contare su qualcuno.
Ho iniziato a praticare scherma all’età di soli otto anni, mi sono innamorato di questo sport nell’estate del 2008, mi ricordo perfettamente quella giornata come fosse ieri: ero chiuso nella mia casa di Lecce, pur volendo uscire per andare a farmi il bagno
con i miei amici come ero solito fare durante l’estate, ma purtroppo avevo una forte otite che non mi permetteva di uscire… a quel punto accesi la televisione in cerca di una distrazione e capitati sul canale delle olimpiadi, stavano trasmettendo proprio la gara di scherma, direttamente da Pechino, vidi Matteo Tagliariol, un italiano, vincere la medaglia d’oro nella disciplina della spada. Da quel momento divenne chiaro nella mia testa che quello sarebbe dovuto diventare il mio sport, cambiando radicalmente la mia vita.
Mia madre si informò immediatamente sull’attività schermistica a Lecce, difatti a settembre, solo pochi mesi dopo, mi iscrissi all’Accademia Scherma Lecce, la mia prima palestra. Il primo giorno che entr ai in quella palestra mi ricordo che ad accogliermi vi era un anziano signore, dai capelli bianchi, ed un altro con occhiali e folti baffi; i due sono Paolo e suo figlio, Roberto Cazzato, direttori della sala. Intorno a me cerano ragazzi di qualsiasi età, che pratic avano la scherma, non solo spada, ma anche fioretto e sciabola. Maestro Paolo fu colui che mi mise in guardia, dandomi un fioretto di plastica (oggi lo faccio io con i bambini nella mia palestra). Quella prima lezione, fatta solo di basi schermistiche, mi impressionò molto, sia per la bellezza di questa disciplina, ma sopratutto per l’amore che maestro Paolo nutriva per essa. Da quel giorno continuai ad andare in quella palestra tre volte a settimana, aspettando sempre con impazienza quel momento della giornata. Dopo poco tempo mi integrai con gli altri ragazzi, con i quali instaurai un rapporto di amicizia. Trascorso un anno di allenamenti, arrivò la mia prima gara, all’età di ormai nove anni; le sensazioni che provai sono tuttora nitide nella mia mente, come se potessi rievocarle, l’ansia era il sentimento che più spiccava tra gli altri, nonostante ciò entrai nel palazzetto, mi scaldai e vinsi la competizione. Da li in poi la mia fiducia crebbe sempre di più ed iniziai a fare risultati importanti anche a livello nazionale.
Nella stagione 2012/2013 cambiai società, andando a Taranto. Il trasferimento non fu facile, ogni giorno dopo dopo la scuola prendevo il pullman dalla stazione di Lecce, sul quale rimanevo per quasi due ore, per poi scendere a Taranto dove avevano luogo i miei allenamenti con il mio maestro Camilo ed i miei nuovi compagni di sala.
Finito allenamento dormivo a casa di un amico e la mattina seguente, alle sei, prendevo nuovamente il pullman, che mi riportava a Lecce, andavo a scuola, e la mia giornata si ripeteva, come la precedente. Gli sforzi ed i sacrifici di quell’anno mi ripagarono con la vittoria del titolo italiano.
L’anno successivo decidemmo con mia madre di trasferirci a Taranto, in modo che potessi condurre una vita più tranquilla. Dopo l’ultimo anno under 14, trascorso a Taranto, ci trasferimmo a Torino, un passo necessario per la mia crescita sportiva.
Da quel momento in poi posso affermare che la mia carriere da atleta agonista abbia effettivamente avuto inizio. Nella categoria under 17 partecipai ai campionati europei
e mondiali, conseguendo una medaglia di bronzo nella gara individuale e una medaglia d’oro nella gara a squadre, concludendo la stagione agonistica come numero uno d’Europa. Anche nella categoria successiva, ossia l’under 20, mi riaffermai tra i migliori della categoria, conseguendo ben nove podi nelle gare di coppa del mondo, concludendo l’ultimo anno della categoria come numero uno nel ranking mondiale.
Uscito dalla categoria under 20 mi ritrovai a far parte del gruppo della nazionale assoluti. Nell’aprile del 2022 la mia carriera subì un grave arresto, purtroppo la diagnosi era rottura del crociato anteriore con interessamento del menisco interno.
In quel momento il mondo sembrava crollarmi addosso, ma non ho mai demorso, affrontai l’intervento chirurgico seguito da sei mesi di dura fisioterapia, tornando in pedana agli inizi di ottobre. Il mio recupero è stato il risultato di tanta forza di volontà e dell’ottimo lavoro di grandi professionisti, in particolare il dott. Foti e il fisioterapista Moccia.
Superata questa dolorosa parentesi, affrontai la mia prima gara con ancora più voglia di vincere di prima, portandomi alla vittoria, dimostrando a me stesso e agli altri che ero tornato, più forte e più determinato che mai. La stagione andò avanti a gonfie vele, alternando podi e vittorie, fino a quando nel dicembre del 2023 raggiunsi il tanto ambito podio in coppa del mondo assoluti, il massimo circuito schermistico. Ho sempre cercato, sin da quando sono bambino, di migliorarmi, nella mia disciplina; ciò mi ha permesso di passare da un bambino appassionato al suo sport ad essere uno dei massimi esponenti a livello italiano e mondiale nella spada maschile.
Nonostante i risultati raggiunti, il mio traguardo è ancora lontano, spero infatti di raggiungere presto nuovi obiettivi.
Nel maggio del duemiladue, successivamente ad una varicella infantile, ho iniziato a bere e orinare molto fino ad andare in coma; dopo diverse ore di ospedali e caos mi è stato diagnosticato il diabete mellito tipo 1, con il quale ho imparato a convivere da quel giorno.
Il diabete è una patologia che si manifesta quando il nostro organismo non riesce più a produrre insulina, ovvero l’ormone prodotto dalle cellule beta del pancreas che interviene nel metabolizzare i carboidrati e nell’assorbimento del glucosio.
Il diabete sicuramente non mi ha impedito di vivere e realizzare i miei sogni anzi, mi ha spronato ancora di più a combattere per raggiungere i miei traguardi, sia sportivi che non.
Avevo solo due anni all’epoca dell’esordio del diabete e quando andai in coma e fui ricoverato, prima all’ospedale di Lecce e, successivamente all’ospedale pediatrico di
Bari, dove capirono che ero affetto da diabete mellito di tipo 1. Da quel giorno sono insulina dipendente e necessito di quattro iniezioni giornaliere.
Ovviamente questo avvenimento fu uno shock per tutta la mia famiglia, dovettero imparare, prima loro e successivamente io, a gestire questa patologia.
I miei genitori non mi hanno mai fatto pesare il fatto di essere affetto da una patologia, senza precludermi la possibilità di svolgere una vita come tutti gli altri bambini, partecipando a feste ed andando a giocare a casa degli amici, ovviamente con le giuste precauzioni.
Nel 2009 i miei genitori decisero di mandarmi ad un camp estivo organizzato dalla sezione diabetologica del San Raffaele di Milano, il cui scopo era far interagire ragazzi diabetici e insegnare loro a gestire la malattia in modo cosciente, rendendoli indipendenti. Queste due settimane mi permisero di essere molto più in controllo nei confronti della mia patologia.
Nonostante ciò le mie brutte esperienze non sono mancate, sia per ipoglicemie che iperglicemie. Il caldo e la fatica influiscono molto sulla mia glicemia, tendendo a portarmi verso le ipoglicemie. Due delle esperienze peggiori in età infantile furono una in spiaggia e l’altra in piscina. Entrambe le volte svenni e mi dovettero soccorrere, però, come la vita insegna, si impara dai propri errori e bisogna imparare a gestire e prevenire altre situazioni simili oltre a comprendere il motivo alla base di tale ipo o iper glicemia.
Lo sport tendenzialmente aiuta molto le persone diabetiche a gestire e mantenere una buona glicemia, oltre ad aumentare la salute e il benessere fisico però a volte, facendo sport a livello professionale, capita di dover avere a che fare con diverse tipologie di emozioni: dall’ansia all’ adrenalina, che alterano la glicemia.
Le gare di scherma ad esempio possono essere molto lunghe e durare fino a dodici ore e gestire la glicemia al meglio non è sempre facile; inoltre io in pedana sono una persona focosa e un po’ ansiosa e queste due emozioni,soprattutto negli assalti importanti, influiscono notevolmente sia sulla glicemia che consequenzialmente con la competizione. Per questo è importante conoscersi e capire in che modo ogni attività influisca sui miei livelli di glucosio.
Essendo diabetico fin da quando sono un bambino ho sempre convissuto con questa patologia senza subire drastici cambiamenti. Per esempio dovermi alzare di notte per bere e andare in bagno a causa di un iperglicemia come anche alzarmi sudato e con i brividi per un’ ipoglicemia. Ci ho sempre convissuto e mi è normale che possa succedere. Anche parlare della malattia o fare l’ insulina in pubblico non è mai stato un problema ma anzi un punto di forza che mi spronasse ad essere più coraggioso e sicuro di me. Per i miei genitori è diventato normale avere a che fare con il diabete,
come per tutte le persone che mi circondano; ma chi ha dovuto e voluto imparare come comportarsi con il diabete è sicuramente Margherita. Si è abituata con il tempo a convivere con me e con le mie fiale di insulina. Ha assistito ad ipoglicemie e iperglicemie fornendomi sempre il giusto supporto e addirittura a volte ancora prima che io me ne accorga si rende conto dalla mia sudorazione e dalle mie occhiaia se sto andando incontro ad un’ ipoglicemia. Spero con la mia esperienza con questa malattia che i ragazzi che leggono queste parole non si spaventino e non si precludano nessun’ esperienza per il diabete, esattamente come me. Non abbiate paura di sbagliare, di conoscervi e di mettervi in gioco. Questa malattia non deve essere un peso anzi, deve rappresentare una parte di se stessi con la quale convivere al meglio ed accettarla anche perché nel 2024 grazie alla scienza e alla medicina convivere con il diabete è davvero semplice. Spero di rappresentare al meglio la patologia del diabete e di essere nel miglior modo un ambassador Fesdi, che ringrazio per il supporto economico ed emotivo.
Il diabete non è mai stato limitante per come l’ho vissuto e per come me lo ha fatto vivere la mia famiglia a parte nell’ambito scherma come professione poiché, come in molti sport minori in Italia, prevede che i migliori atleti di spicco dai 18 anni in su entrino a far parte dei gruppi sportivi militari ad eccezione di alcune micro categorie come i diabetici. Questo è un tema molto importante che stiamo affrontando perché non permette ad atleti come me e Anna di rendere del tutto professionale la nostra attività sportiva in primis poiché non abbiamo uno stipendio e in secondo luogo perché far parte di un gruppo sportivo militare significa avere un supporto politico importante, fondamentale nelle scelte di selezione per le gare più di rilievo. Ho scoperto di non poter entrare a far parte dei gruppi sportivi militari quando a 18 anni ho tentato un concorso nei Carabinieri dove tra risultati sportivi e prove fisiche e scritte mi ritrovavo ai vertici del concorso fino a quando, dopo le analisi del sangue, mi venne detto che a causa dei miei livelli di glucosio non avrei potuto terminare il concorso. Inizialmente la delusione e lo sconforto hanno preso il sopravvento ma poi ho trovato la forza dentro di me per rendere ancora di più in pedana e per realizzare più risultati degli altri per prendere parte alle competizioni di rilievo, motivo per il quale ho sempre dovuto e sono stato spronato ad eccellere per ottenere le convocazioni più importanti. Quindi ciò che penso è che a volte la vita può essere bastarda e imprevedibile ma grazie al diabete ho sempre preso di petto le situazioni difficili cercando di imparare dagli errori e dalle esperienza così come in pedana. Diabete o non se voglio qualcosa cerco di prenderla con tutto il tempo e le energie che ho.
Sono una persona molto emotiva ma anche molto determinata e testarda nel raggiungere i propri obiettivi. Lo sport che pratico mi ha obbligato a diventare più razionale e cauto ma d’altra parte le forti emozioni scaturite dalle glicemie a volte(
da più giovane molto di più) vanno a rompere questo equilibrio, ma è una delle sfide che affronto ogni giorno. Sono una persona molto socievole e alla mano, mi piace interagire sempre con persone nuove anche perché con la vita movimentata che faccio ne sono abituato.
Vivendo con Giulio ho imparato a conoscerlo come le mie tasche, quando ci siamo messi insieme sapevo davvero poco del diabete, certo, sapevo che ne fosse affetto, ma non sapevo cose basilari, come ad esempio come comportarmi in caso lui si sentisse poco bene, oppure cosa dovesse ingerire e cosa non, ho imparato a riconoscere le reazioni del suo corpo agli sbalzi di glicemia, che talvolta influiscono anche sul suo umore.
Da Giulio ho imparato tanto, la sua forza di volontà e determinazione mi hanno insegnato a non demoralizzarmi dinnanzi alle complicazioni, a cercare di dare sempre il meglio di me.
Giulio è davvero dedito alla scherma, se dovessi citare un qualcuno che si possa definire un vero agonista penserei a lui immediatamente, anche io faccio scherma e mi alleno nella sua stessa palestra, quindi sono testimone in prima persona della sua caparbietà e dell’impegno che ci mette tutti i giorni.
Spero che un giorno gli venga permesso di entrare a far parte di un gruppo sportivo militare, in modo tale che i suoi sforzi vengano ripagati in maniera giusta e conforme all suo valore di sportivo, in quanto non ha nulla in meno di tutti gli altri atleti, anzi, la sua storia dovrebbe essere fonte di ispirazione per molti.
Due grandi campioni di sport, Maurizio Damilano e Daniele
Garozzo, vincitori di Olimpiadi, mondiali, europei scendono in campo per Anna e Giulio
Campione Olimpico a Mosca 1980, bronzo olimpico a Los Angeles, due volte campione mondiale di marcia.
“Il sogno olimpico è da sempre l’obiettivo più alto per ogni atleta, un punto di riferimento di una carriera sin da quando si muovono i primi passi su un campo di atletica, una piscina, una palestra.”
Non vi è probabilmente nel panorama sportivo nulla che possa rappresentare meglio l’idea di conquistare un traguardo alto quanto il poter calcare il palcoscenico olimpico nel proprio sport.
Questa forza credo sia il vero motivo per cui da quasi 130 anni ogni atleta considera quei 5 cerchi, che rappresentano il mondo e che si intrecciano e si uniscono sottolineando condivisione e unità, come un punto di arrivo unico e che qualifica il loro impegno e la loro dedizione allo sport.
Io ho avuto l’opportunità e la fortuna di far si che quel sogno non solo si realizzasse nella partecipazione ma si trasformasse nella conquista del massimo alloro: la vittoria della medaglia d’oro olimpica.
Nel corso delle mie 4 partecipazioni olimpiche, di cui 3 coronate dal podio, ho sempre considerato un privilegio poter rappresentare il mio Paese al meglio e, indipendentemente dal risultato che ne sarebbe scaturito, poter dire: io ci sono e insieme a migliaia di altri atleti posso interpretare i valori olimpici di fratellanza, amicizia e integrazione.
Proprio partendo da questo sentimento sono orgoglioso di poter sostenere il “sogno olimpico” di Anna e Giulio, e di tutti quegli sportivi che vedono limitata la loro possibilità di rincorrere quel sogno da situazioni indipendenti dalla loro volontà.
Pensare che ancora oggi una legge vecchia di oltre 90 anni priva agli atleti con diabete la possibilità di arruolarsi in un gruppo militare, per poter rincorrere al meglio il sogno di prepararsi per conquistare la partecipazione olimpica, lo considero fuori dal tempo.
Ancor più che oggi sappiamo, e tante storie ce lo raccontano, come un atleta con
diabete non ha nessuna diversità da qualsiasi altro atleta nel potersi esprimere al meglio e ad alto livello nella propria disciplina.
Non solo però questo. So bene la frustrazione di un atleta nel non poter coronare il traguardo olimpico perché bloccato da situazioni esterne. Ricordo perfettamente, ed è una ferita ancora aperta per il nostro sport nazionale - anche se allora probabilmente la sola decisione che il Governo ed il CONI potevano scegliere per non privare tutto lo sport italiano della presenza ai Giochi Olimpici -, il dolore degli atleti militari privati della possibilità di competere ai Giochi della XXII Olimpiade a Mosca (proprio quella in cui io conquistai la vittoria) per via del boicottaggio guidato dagli Stati Uniti e richiesto al blocco ovest del mondo.
Ancora oggi incontrando alcuni di loro capisco il peso di ciò che hanno vissuto. Diversi non ebbero più occasione di presentarsi sulla linea di partenza di un’altra edizione olimpica.
Non voglio quindi che tanto dolore e rimpianto possa ancora oggi ripetersi, e in questo caso per una discriminazione dovuta ad una vecchia legge che rischia di ridurre il sogno sportivo di alta prestazione a giovani che non hanno alcuna responsabilità nell’essere malati.
Tornando al sogno olimpico ricordo come sin dalle prime volte in cui mi cimentai nel percorso agonistico con mio fratello Giorgio (anche lui olimpionico a Mosca 1980) la possibilità di marciare un giorno alle olimpiadi sia stata forte e stimolo continuo.
Fu proprio l’Olimpiade, insieme all’opportunità di avviare una pratica organizzata attraverso i Giochi della Gioventù, a ispirarci sportivamente.
Era il 1972. Olimpiadi di Monaco di Baviera. La prima edizione che vivevo, anzi vivevamo, in modo diretto. Quelle del ’68 ci avevano coinvolto parzialmente essendo solo undicenni, ma quelle del 1972 furono una folgorazione.
Ci inventammo i nostri Giochi famigliari e ci sfidammo in tante discipline, soprattutto dell’atletica. Tutte quelle che la possibilità organizzativa e di fantasia ci permettevano. Ogni volta rappresentavamo un paese diverso, assumevamo il ruolo di un campione che avevamo visto in televisione, e ci affrontavamo nelle varie specilità. Alla fine vi era anche un medagliere che sanciva il vincitore.
Ho ricordato questa cosa proprio pensando al sogno olimpico spezzato. Cosa sarebbe rimasto di tutto ciò se la nostra storia personale non ci avesse portato proprio su quel palcoscenico che da bimbi/ragazzi avevamo sognato? Forse ancora oggi ci diremmo: ricordi? Avevamo sognato le Olimpiadi ma nessuno ci ha dato la possibilità di poterci arrivare. Invece fortunatamente noi ce l’abbiamo fatta. Quanta tristezza però nel pensare che ci sono altri giovani che si vedono tarpare le ali, o quantomeno limitare
il percorso, perché una vecchia legge non certo più attuale (sempre che già allora lo fosse) lo prescrive.
Raccontare il senso del mio sogno olimpico, ancor prima del momento della vittoria, per contribuire alla giusta causa che il volume “diabete a 5 cerchi” fa sua, lo considero un privilegio e un onore. Un piccolo contributo alla causa di Anna e Giulio per legare quel sogno al loro.
In modo particolare ad Anna mi lega non solo l’appartenenza alla stessa disciplina, l’atletica leggera, ma l’essere co-provinciali. Entrambi proveniamo dalla Provincia di Cuneo. Entrambi siamo legati dalla pratica di uno sport di resistenza. Entrambi abbiamo la stessa radice in una terra fatta di persone operose e instancabili. Forse non a caso altri simboli sportivi della nostra Provincia sono Stefania Belmondo e Franco Arese, anch’essi atleti di discipline di durata e di fatica.
Anna, come Giulio e tutti gli atleti che come loro vivono oggi questa discriminazione, merita questo traguardo, e sono certo che potrà raggiungerlo per la sua capacità di combattere, di essere determinata, di crederci e di saper far fruttare le sue doti sportive superando ogni ostacolo.
Campione olimpico a Rio de Janeiro 2016, una medaglia d'argento ai a Tokyo 2020, cinque volte campione del mondo e 3 volte campione europeo
“Il sogno olimpico rappresenta la sublimazione dell’impegno, la vetta agognata da ogni atleta che consacra la propria esistenza a una disciplina.”
Raggiungere quel traguardo significa vivere un cammino lastricato di sacrifici, di prove e di momenti che mettono a dura prova corpo e spirito. Come atleta, il sogno olimpico ha guidato ogni mio passo; come medico, mi ha rivelato la profonda connessione tra salute, determinazione e la capacità di oltrepassare i limiti umani. Esiste tuttavia un altro sogno che ha accompagnato il mio percorso, parallelo a quello dell’eccellenza sportiva: quello di vedere uno sport che sia inclusivo, capace di accogliere ogni individuo, al di là di qualunque condizione fisica. La mia esperienza personale e professionale mi ha insegnato che ogni ostacolo, per quanto possa sembrare insormontabile, può essere affrontato con il giusto spirito, purché vi siano sostegno e comprensione.
È in questo contesto che le storie di Anna Arnaudo e Giulio Gaetani trovano il loro significato più profondo. Questi due straordinari atleti, pur convivendo con una condizione cronica come il diabete, continuano a lottare con immensa passione per realizzare il proprio sogno olimpico. La loro battaglia non è solo per ottenere una medaglia, ma per infrangere le barriere che ancora oggi li limitano, compreso quel regio decreto del 1932 che impedisce il loro accesso ai gruppi sportivi militari. Un ostacolo che, in un’epoca di progresso e consapevolezza, risuona come un retaggio del passato che non possiamo più tollerare.
Il diabete, spesso percepito come un limite, è in realtà una sfida da affrontare e superare. Le storie di Anna e Giulio ci insegnano che la forza di volontà, la disciplina e il desiderio di eccellere sono potenti strumenti per sconfiggere ogni pregiudizio. La loro determinazione ci parla di sogni che non si piegano dinanzi alla paura, di speranze che risplendono nonostante le avversità. Questi atleti non chiedono altro che di essere giudicati per il loro talento, per la loro dedizione, per la loro capacità di spingersi oltre ogni limite, proprio come chiunque altro.
E non sono soli. Gli esempi di figure straordinarie come Sir Steve Redgrave, cinque volte campione olimpico, Bas Van De Goor, Gary Hall Jr., e il tennista Alexander Zverev sono lì a ricordarci che il diabete non può fermare la grandezza. Questi
campioni hanno trionfato contro le avversità, dimostrando che il diabete non è una condanna, bensì una condizione che, se gestita con competenza, permette di raggiungere le vette più alte dello sport. Le loro imprese sono un faro che illumina la strada per tutti coloro che si trovano a convivere con questa patologia.
In qualità di medico, so bene quanto l’attività fisica sia cruciale per la gestione del diabete. Lo sport non è soltanto un mezzo per migliorare la salute fisica, ma rappresenta anche una via per affermare sé stessi, per riscattarsi, per riscoprire la propria forza interiore. Come atleta, ho vissuto in prima persona la tensione e l’emozione di ogni gara, l’ansia del fallimento e la gioia del trionfo. Il sogno olimpico è qualcosa di potente, una fiamma che brucia e spinge a dare tutto, senza riserve. Questo stesso fuoco brucia nei cuori di Anna e Giulio e in quello di tanti altri atleti che non vogliono arrendersi a una condizione che non definisce chi sono.
La battaglia per un accesso equo agli ambienti sportivi, per l’inclusione piena e senza discriminazioni, è una questione di giustizia. È un imperativo morale e sociale. Il recente disegno di legge volto a consentire l’ingresso degli atleti con diabete nei gruppi sportivi militari è un segnale importante, ma dobbiamo continuare a lavorare affinché l’intero sistema sportivo diventi sempre più accogliente e privo di barriere. L’esperienza mi ha insegnato che il cammino verso i grandi sogni è sempre disseminato di ostacoli. Ma ho anche imparato che, con il giusto supporto, con l’unità e con la determinazione, nulla è impossibile. Anna e Giulio meritano il nostro rispetto, il nostro appoggio, e la nostra determinazione a rimuovere ogni barriera che li separa dal raggiungimento dei loro obiettivi.
Il mio auspicio è che il sogno olimpico diventi un diritto per tutti coloro che ne sono degni, indipendentemente dalle condizioni che la vita ha riservato loro. Che ogni atleta possa sentire il calore del sostegno, l’assenza di barriere e l’infinita bellezza di uno sport che accoglie e unisce. Solo così potremo costruire un futuro in cui nessuno debba più temere di essere escluso o limitato, ma possa continuare a lottare per ciò che ama, libero di sognare e di realizzare.
Cristina Brunelli,
Presidente ANIAD odv ets
Nel mondo sportivo, inclusione ed equità sono diritti fondamentali. Eppure, per gli atleti con diabete, questo non accade. L’accesso ai gruppi sportivi militari è ancora un traguardo irraggiungibile, a causa di normative obsolete, che escludono chi vive con questa patologia, anche se ben gestita. Le attuali restrizioni non considerano i grandi progressi nella gestione del diabete e il fatto che molti atleti con diabete riescono a raggiungere livelli di preparazione fisica e tecnica paragonabili a quelli dei loro colleghi.
Per promuovere la vera equità, le normative dovrebbero valutare ogni atleta per capacità fisiche e di gestione della patologia, anziché utilizzare solo la diagnosi medica. Test di idoneità specifici permetterebbero a giovani talenti di accedere ad opportunità ingiustamente precluse, riconoscendo il diritto a essere valutati per la propria preparazione. L’esclusione degli atleti con diabete dai corpi militari rappresenta una forma di discriminazione, contraddice i principi di uguaglianza, e preclude all’introduzione di nuove competenze ed esperienze.
Oggi, strumenti come sensori glicemici e microinfusori, permettono un monitoraggio sicuro anche durante attività fisiche intense. Studi e storie sportive di successo mostrano che atleti con diabete possono affrontare sfide impegnative senza rischi maggiori rispetto agli altri. Tuttavia, i criteri di selezione si basano ancora su vecchi stereotipi e su indicatori obsoleti, e non sulle reali capacità, penalizzando chi, con una gestione avanzata della patologia, è perfettamente idoneo a sostenere attività ancor oggi precluse in ambito sportivo e militare.
Esempi di atleti italiani e internazionali di alto livello, come Anna Arnaudo e Giulio Gaetani, dimostrano che il diabete non è una limitazione all’eccellenza. Contesti e realtà internazionali hanno da tempo emanato norme che superano questo discrimine.
Nel corso della XIX Legislatura a prima firmataria la Senatrice Daniela Sbrollini è stato depositato il 22 Ottobre 2024 il Disegno di legge-atto del Senato 1276, recante “Disposizioni per l'arruolamento di atleti con diabete nei gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato”
Si ringrazia FeSDI, FAND , Diabete Italia, ANIAD e l’Avv. Michele Nannei per il supporto dato nella stesura del testo.
Onorevoli Senatori!
Vogliamo sottoporre alla vostra attenzione una problematica discriminatoria in ambito sportivo e sociale avente come oggetto il diritto di accesso per gli atleti di alto livello con diabete tipo 1 (DT1) nei gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato, Visti i progressi avvenuti negli ultimi decenni, sia nel campo scientifico che nella attuazione dei diritti fondamentali delle persone, gli atleti con Diabete di tipo 1 oggi sono a confrontarsi con atleti normodotati e quindi sono ritenuti, da un punto di vista atletico equivalenti a questi ultimi.
Negli ultimi anni la cura del diabete di tipo 1 è stata caratterizzata da importanti avanzamenti sia in termini di trattamento che in termini di monitoraggio ed assistenza. Le insuline di ultima generazione, che vengono utilizzate attualmente per la cura della malattia, si caratterizzano per un migliore ed ottimo profilo non solo di efficacia (controllo glicemico) ma anche di sicurezza (minor rischio di ipoglicemie). A questo si devono aggiungere i progressi tecnologici in termini di modalità di somministrazione dell’insulina (pompe di infusione più efficienti, efficaci e sicure) ma anche di monitoraggio della glicemia (monitoraggi in continuo in tempo reale della glicemia). Più recentemente i sistemi di monitoraggio della glicemia e le pompe di infusione di insulina sono state messe in comunicazione creando quelli che prendono
il nome di pancreas ibridi artificiali, sistemi che modulano autonomamente la somministrazione sia dell’insulina basale che dei boli per la correzione dei rialzi glicemici, offrendo la possibilità di connettività con lo smartphone e consentendo di personalizzare l’obiettivo terapeutico di controllo glicemico. Queste evoluzioni che rappresentano, secondo le linee guida redatte dalla nostre Società Scientifiche (AMD-SID-SIEDP) sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità, ente di diritto pubblico che, in qualità di organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale in Italia sotto controllo del Ministero della Salute, il gold standard del trattamento del Diabete tipo 1 hanno reso possibile la gestione ottimale del controllo glicemico e ridotto al minimo il rischio di ipoglicemie permettendo alle persone con diabete di svolgere qualsiasi tipo di attività lavorativa ed attività fisica a qualsiasi livello ed in piena sicurezza.
Infatti gli atleti con DT1 praticano sia sport professionistici che non (come atletica, scherma, nuoto e ecc.); ma gli atleti agonisti di alto livello con DT1 non sono tutelati dal punto di vista normativo alla pari dei normodotati, poiché gli atleti affetti da questa patologia non hanno la possibilità di accedere ai gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato, con conseguente evidente disparità di trattamento e di violazione dell’art. 3 della Costituzione italiana.
E' paradossale e anacronistico che nel XXI secolo ancora si faccia riferimento a una regio decreto del secolo scorso ( 26 maggio 1932, n. 772 ) per impedire agli atleti con diabete di essere considerati come tutti gli altri.
Il decreto regio del 1930 che esclude le persone con diabete dall’arruolamento non è coerente con la attuale normativa che permette ai componenti dei corpi militari e dello stato, di rimanere in servizio se la diagnosi di diabete viene posta nel corso della carriera militare. La decisione sulla permanenza è in capo alla sanità militare. Personalmente seguo rappresentanti arma Carabinieri, Polizia, Aviazione e non ho mai visto alcun paziente esser sollevato dall’incarico dopo diagnosi di diabete e dopo valutazione da parte ospedali militari
L’esclusione delle persone affette da diabete è stata disposta inoltre dal Dpr 15 marzo 2010, n. 90, che, all’art. 582, comma 1, lettera b), sub 1, il quale dispone che sono causa di inidoneità al servizio militare - tra l’altro- le seguenti imperfezioni: “i difetti del metabolismo glicidico, lipidico o protidico, trascorso, se occorre, il periodo di inabilità temporanea”.
La disposizione è ribadita, e specificata, dal Decreto 4 giugno 2014, del Ministero
della Difesa con il quale viene approvata la “Direttiva tecnica riguardante l’accertamento delle imperfezioni e infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare e della direttiva tecnica riguardante i criteri per delineare il profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare”. Con tale Direttiva, il Ministero della Difesa, periodicamente, aggiorna “i criteri di accertamento e le indicazioni diagnostiche relative alle patologie previste dall’elenco delle imperfezioni e delle infermità di cui ai decreti dirigenziali 5 dicembre 2005 e successive modificazioni e integrazioni, tenendo conto delle attuali risultanze della medicina legale” .
La prima delle due fonti è generica. L’espressione “difetti del metabolismo glicidico”, da sola è inidonea a definire la tipologia e la gravità del difetto, potendosi anche trattare di difetti di lieve entità che non incidono sull’idoneità della persona.
È per questo che, periodicamente, una Direttiva tecnica adottata con Decreto Ministeriale, specifica cosa debba intendersi per “difetto del metabolismo glucidico” tale da integrare la inidoneità al servizio miliare secondo quanto disposto dall’art. 582 del citato Dpr n. 90/2010 tenendo conto dell’evoluzione scientifica in materia. Tale Direttiva, allo stato attuale, precisa che “rientrano tra i difetti del metabolismo glicidico”:
- il diabete mellito di tipo 1 e 2;
- la ridotta tolleranza glucidica;
- le glicosurie normoglicemiche;
In definitiva, per effetto del combinato delle due disposizioni, la semplice insorgenza del diabete, indipendentemente dal sua gravità e da ogni altra considerazione, determina l’esclusione da qualsiasi forma di “servizio militare”.
Dando per scontato che:
- sia che la mera presenza del diabete, alla luce delle moderne acquisizioni scientifiche, non determina affatto inidoneità allo svolgimento di quasi tutte le mansioni connesse con lo svolgimento del servizio militare;
- sia che per particolari rapporti, come ad esempio quello degli atleti assunti con ferma temporanea dai gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato, è persino paradossale definire tali atleti inidonei allo svolgimento di discipline che possono praticare tranquillamente e per le quali eccellono in campo internazionale.
È evidente che per consentire che le persone - seppur con diabete - idonee allo svolgimento delle mansioni connesse con il sevizio militare o a quelle richieste presso particolari corpi o situazioni (come quella dei centri sportivi) possano essere reclutate nelle forze armate o in alcuni particolari corpi, è necessaria l’approvazione di una legge specifica a tutela degli atleti di vertice con diabete o in mancanza della stessa la modifica del Regolamento approvato con Dpr n. 90/2010 o l’emanazione di un Decreto di aggiornamento dei criteri che determinano l’inidoneità.
Atleti di vertice a livello internazionale hanno vinto e vincono importanti competizioni internazionali pur convivendo con il diabete, solo per citarne alcuni Steve Redgrave nel canottaggio (5 medaglie d’oro olimpiche), Gary Hall nel nuoto (5 medaglie d’oro olimpiche), Bas Van de Goor nella pallavolo (medaglia d’oro ad Atlanta), Alexander Zeverev nel tennis e a livello ciclistico una squadra di soli atleti con diabete fa parte dei circuiti professionistici.
In Italia Anna Arnaudo, azzurra e campionessa europea di cross, campionessa italiana dei 5.000 e dei 10.000 metri e Giulio Gaetani, azzurro di scherma e vincitore della Coppa del Mondo under 20, ad esempio, entrambi con diabete tipo 1, vivono di questa discriminazione, che impedisce loro l’arruolamento nei gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato.
Gli atleti con diabete arrivano a competere ed eccellere a livello agonistico, gestendo contestualmente al meglio il loro diabete, grazie a estremo rigore, estrema disciplina e grande passione. Questi valori sono totalmente coerenti con quanto viene richiesto dai rappresentanti dei corpi dell’esercito e dello stato.
Il Parlamento si è sempre mostrato sensibile a sanare ogni forma di discriminazione tra gli atleti, prescindendo il genere e la loro condizione.
Il dlgs 36/2021 ha introdotto ad esempio un’importante serie di articoli riguardanti gli atleti paralimpici, entrati in vigore nel gennaio 2022. Gli artt. 43-50 disciplinano il trattamento e l’equiparazione degli atleti disabili di alto livello circa l’accesso nei gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato, riconoscendo loro lo stesso trattamento economico, contributivo e previdenziale dei colleghi normodotati. Prima della riforma la presenza degli atleti paralimpici nei gruppi sportivi militari e corpi civili statali non era organicamente regolamentata né sotto il profilo economico né sotto quello delle tutele di legge, ivi compresa la possibilità di scegliere, a fine carriera, se congedarsi o decidere di restare, per essere reimpiegati presso il corpo od il Ministero di appartenenza; attualmente la fattispecie è regolamentata dall’art. 50 che espli-
citamente dispone come “l’attività prestata dagli atleti paralimpici tesserati presso gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato per un periodo non inferiore a 3 anni” costituisca titolo preferenziale nell'ambito delle assunzioni obbligatorie e delle categorie protette. A proposito di tutele, è evidente come quella riconosciuta agli atleti paralimpici s’inserisca nella ratio generale della legge delega e dei decreti attuativi a proposito dell’eliminazione della differenza tra atleti professionisti e dilettanti e, in generale, nella regolamentazione del soggetto “lavoratore sportivo” la cui casistica ed elaborazione sono state oggetto di revisione ed integrazione col correttivo al decreto d’imminente entrata in vigore.
Sempre in tema di Diabete tipo 1 va ricordato come in questa legislatura è stata votata all’unanimità la legge 130 del 15 Settembre 2023 riguardante “Disposizioni concernenti la definizione di un programma diagnostico per l'individuazione del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica”, una legge unica a livello mondiale che dimostra l’attenzione del Parlamento sul diabete tipo 1.
Art. 1.
La carriera sportiva di un atleta con diabete di tipo 1 può proseguire, al pari di un normodotato in qualsiasi ambito anche nei gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato.
Art. 2.
L’ ingresso nei gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato per gli atleti con diabete è soggetto a un accertamento delle condizioni psicofisiche e metaboliche dell’atleta in modo da risultare coerente con l’attività svolta.
Storia di
Anna e Giulio, dei loro sogni, le loro sfide sportive e sociali
Edizioni
LastMile