Rivista semestrale digitale della FONDAZIONE SPORTCITY e dell’OSSERVATORIO PERMANENTE SULLO SPORT, L’ESERCIZIO FISICO E L’ATTIVITÀ MOTORIA
in collaborazione con: HEALTH CITY INSTITUTE, CITIES+, SCIENCE FOR CITIES, URBES, ITALIAN WELLNESS ALLIANCE, OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA SALUTE COME BENE COMUNE
LONGEVITÀ,
ATTIVITÀ FISICA, CITTÀ E
INVECCHIAMENTO
ATTIVO
SPORTCITY JOURNAL
N° 2/2024
DICEMBRE
SPORTCITY JOURNAL è una rivista digitale scientificadivulgativa semestrale edita dalla Fondazione Sport City e dall’Osservatorio Permanente sullo Sport, edita da LASTMILE, aperta alla collaborazione e ai contributi di istituzioni, comuni,enti sportivi, università, imprese, amministratori locali, dirigenti sportivi, urbanisti,esperti e studenti per condividere idee e buone pratiche per l’implementazione e lo sviluppo della cultura dell’attività sportiva e motoria nella cittadinanza, in particolare tra i giovani, come elemento di potenziamento e messa in sicurezza del territorio,della salvaguardia ambientale e della salute. La rivista vuole supportare l’ideazione e sviluppo del tessuto urbanistico e cittadino, attraverso l’utilizzo delle infrastrutture sportive, dei lungomari e del verde urbano, garantendone la piena fruibilità attraverso l’attività sportiva e motoria, e la sostenibilità ambientale, realizzando nuove modalità di interazione socioludicosportiva tra gli abitanti, mettendo a fuoco in modo partecipato quel che manca nel quartiere e quello che può presentare una risorsa, ad esempio rigenerando infrastrutture sportive e spazi verdi già esistenti o pensandone di nuovi, promuovere lo sport come modello di un corretto e sano stile di vita, favorendo l’inclusione sociale e rispetto del prossimo, la tutela della salute e volano di integrazione alla diversità.
TEMI DELLA RIVISTA
• Sport, citta e periferie
• Sport, bioeconomia e green impact
• Sport e inclusione sociale e partecipazione
• Sport, salute e benessere
• Sport e comunicazione, digital e social
• Sport e grandi eventi
• Sport e tecnologia
• Sport e urbanistica
• Sport e gestione degli spazi comuni
• Tesi sperimentali su sport e città
FONDAZIONE SPORTCITY
Via Emilio Casa 7/2A 43121 Parma PR Telefono: 0521531711 segreteria@fondazionesportcity.it
EDITORS IN CHIEF
Francesca Romana Lenzi, Federico Serra
COEDITORS
Andrea Lenzi, Giuseppe Novelli, Fabio Pagliara, Attilio Parisi, Roberto Pella, Walter Ricciardi, Daniela Sbrollini
COMITATO DI INDIRIZZO STRATEGICO DELL’OSSERVATORIO PERMANTE SULLO SPORT, L’ESERCIZIO FISICO E L’ATTIVITÀ MOTORIA
Presidente: Attilio Parisi
Componenti: Angelo Argento, Adriana Bonifacino, Annamaria Colao, Gianfranco Coppola, Roberta Crialesi, Renato Di Rocco, Francesco Landi, Vincenzo Parrinello, Santo Rullo, Francesco Tagliente, Valerio, Vermiglio.
AUTHORS
Luca Benvegna, Lamberto Bertolè, Giuseppe Calcaterra, Stefano Capolongo, Paolo Ciani, Lucio Corsaro, Roberta Crialesi, Giovanni Fabbrini , Antonio Gaudioso, Francesca Romana Gigli, Elisa Grazioli, Claudia Cerulli, Ranieri Guerra, Vincenzo Esposito, Viviana Kasam, Andrea Lenzi, Francesca Romana Lenzi, Silvia Mangilli, Johann Rossi Mason, Fabio Mazzeo, Giuseppe Novelli, Attilio Parisi, Laila Perciballi, Andrea Rebecchi, Eleonora Selvi, Federico Serra, Stefano Tomelleri, Marco Trabucchi, Gianluca Vaccaro.
EDITORIAL OFFICE STAFF
Elisabetta Sturlesi
CARATTERISTICHE:
Lingua: Italiano Periodicità: Semestrale (2 numeri all’anno)
Formato: 20 x 27 cm
Website: www.fondazionesportcity.it
Si ringrazia per l’apporto dato alla realizzazione del numeroISTAT, HEALTH CITY INSTITUTE, CITIES+, SCIENCE FOR CITIES, ITALIAN WELLNESS ALLIANCE, OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA SALUTE COME BENE COMUNE, URBES, BHAVE, EDRA
“Sport has the power to change the world"
Nelson Mandela
I ndice
INTRODUZIONE
Federico Serra e Francesca Romana Lenzi, Editors in Chief di SportCity Journal
FOREWORD
Federico Serra, Editor in Chief di Sport City Journal e dell’Osservatorio permanente sullo sport, l’esercizio fisico e l’attività motoria
EDITORIALE
IL RUOLO DELL’ACTIVE AGING NELLA RISCOPERTA DELLO SPORT PER TUTTI
Francesca Romana Lenzi, Editor In chief di SportCity Journal e Professore Associato di Sociologia presso l’Università degli studi di Roma Foro Italico
ARTICOLI
LA COMPLESSA INTERAZIONE TRA GENETICA E STILE DI VITA NELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO
Giuseppe Novelli, Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione Università di Roma Tor Vergata, Roma, Giuseppe Calcaterra, Scuola di Specializzazione in Cardiologia, Università di Palermo, Palermo
CONTRIBUTI
L’INVECCHIAMENTO IN ITALIA: SFIDE E OPPORTUNITÀ
Roberta Crialesi, Dirigente Servizio Sistema integrato salute, assistenza e previdenza di Istat
ATTIVITÀ FISICA, OSTEOPOROSI E GRUPPALITÀ: IL PROGETTO HAPPY BONES ITALIA E EUROPA
Francesca Romana Lenzi, Elisa Grazioli, Claudia Cerulli, Vincenzo Esposito, Attilio Parisi, Università Roma Foro Italico
ATTIVITÀ FISICA, SALUTE COGNITIVA E PLANETARY HEALTH: UN'ANALISI INTEGRATA
Ranieri Guerra, Esperto in politiche sulla salute e la sanità, Direttore Geneale CITIES+, già DG prevenzione, Minsalute e ADG, WHO, Ginevra; consulente CREMS, AGMpc
ANZIANI E COMMUNITY HUB
Luca Benvenga, ricercatore presso il Dipartimento di Benessere, Nutrizione e Sport dell’Università Pegaso di Napoli
UN MONDO CHE INVECCHIA INVECCHIARE NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA: IL VALORE DELL’IMPEGNO CIVICO
Stefano Tomelleri, Università degli studi di Bergamo, Presidente Associazione Italiana di Sociologia
FOCUS ON SU CITTÀ E ANZIANI IN COLLABORAZIONE CON URBES MAGAZINE
GLI ANZIANI ENERGIA VITALE PER I GIOVANI
Andrea Lenzi, Presidente del CNBBSV della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidente di Health City Institute e coordinatore di Science for Cities
CITTÀ E ANZIANI: MARTEDÌ IN WELLNESS”: IL PROGETTO DI MILANO PER PROMUOVERE
ATTIVITÀ MOTORIA E CONTRASTARE LA SOLITUDINE
Lamberto Bertolé, Presidente Rete Italiane Città Sane OMS, Assessore Welfare e Salute del Comune di Milano
“FOREVER YOUNG, I WANT TO BE FOREVER YOUNG”
Fabio Mazzeo, Giornalista e divulgatore scientifico
DAL PESO ALLA RISORSA: L’EVOLUZIONE DELLA CONDIZIONE DEGLI ANZIANI IN ITALIA
Antonio Gaudioso, esperto in politiche socio sanitarie, Vice Presidente Health City Institute
CITTÀ ANZIANI E PROSSIMITÀ
Paolo Ciani, Deputato, Presidente dell’Intergruppo parlamentare sull’invecchiamento attivo
LA CITTÀ E I SUOI ANZIANI
Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria
LE CITTÀ E GLI ANZIANI: SFIDE E OPPORTUNITÀ PER IL FUTURO
Stefano Capolongo, Andrea Rebecchi, Silvia Mangili, Design & Health Lab, Dipartimento ABC, Politecnico di Milano
CITTA’ E ANZIANI IL DIALOGO INTERGENERAZIONALE:COME FARE INTERAGGIRE
PIÙ GENERAZIONI
Johann Rossi Mason, giornalista divulgatrice scientifica
LA MALATTIA DI PARKINSON NEGLI ANZIANI: SFIDE PSICOLOGICHE, DIFFICOLTÀ
E IL POTENZIALE DI SUPPORTO DEI LUOGHI PUBBLICI
Francesca Romana Gigli, giornalista scientifica e co CEO di Leeloo Informazione e Comunicazione con il supporto scientifico del Prof. Giovanni Fabbrini, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Umane di Sapienza Università di Roma
CITTÀ E ANZIANI: IL COHOUSING
Laila Perciballi, Garante dei diritti delle persone anziane del Comune di Roma
CITTÀ E ANZIANI:I BABY BOOMERS NUOVO MERCATO DI GRANDE POTENZIALE
Viviana Kasam, giornalista e Presidente di BrainCircle Italia
LE CITTÀ E GLI ANZIANI INTELLIGENZA ARTIFICIALE: RACCOMANDAZIONI PER COMUNI E SINDACI
Lucio Corsaro e Gianluca Vaccaro, BhAVE
LE CITTÀ E GLI ANZIANI: IL RUOLO DELLE CASE SOCIALI PER ANZIANI
E QUARTIERE (CSAQ) NELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO
Eleonora Selvi, Consiglio Direttivo IWA e Presidente Fondazione Longevitas
DOCUMENTI
MANIFESTO EUROPEO CONTRO L’AGEISMO
Fondazione Longevitas
Linee Guida e provvedimenti legislativi per promuovere l’attività fisica a favore dell’invecchiamento attivo e della
longenvità in salute
Federico Serra, Francesca Romana Lenzi, Editors in Chief di SportCity Journal
È comprovato che l’attività fisica regolare è una delle cose basilari e più importanti che le persone possono fare per migliorare la propria salute. Muoversi di più e stare seduti di meno è uno stile di vita che ha enormi benefici per tutti, indipendentemente da età, sesso, razza, etnia o dall’attuale livello di forma fisica. Gli individui con una malattia cronica o una disabilità traggono beneficio dall'attività fisica regolare, così come le donne durante una gravidanza, gli adolescenti e gli anziani. Le prove scientifiche a tal riguardo continuano ad aumentare con evidenze di come l'attività fisica è collegata a risultati di salute ancora più positivi di quanto si potesse pensare in precedenza sulla sola base intuitiva. L’U.S. Department of Health and Human Services indica che oggi, circa la metà di tutti gli adulti americani, 117 milioni di persone, soffre di una o più malattie croniche prevenibili. Sette delle dieci malattie croniche più comuni sono favorevolmente influenzate da una attività fisica regolare. Tuttavia, quasi l'80 percento degli adulti non rispetta le linee guida chiave per l'attività aerobica e di rafforzamento muscolare, mentre solo circa la metà rispetta le linee guida chiave per l'attività fisica aerobica. Questa mancanza di attività fisica è collegata a circa 117 miliardi di dollari di costi sanitari annui e a circa il 10 percento di mortalità prematura. Una nuova edizione delle Physical Activity Guidelines for Americans indica come è possibile cambiare questa situazione. Si basa sulle prove scientifiche più recenti sulle raccomandazioni del Physical Activity Guidelines Advisory Committee. Questo comitato consultivo federale, composto da prestigiosi ricercatori nei campi dell'attività fisica, della salute e della medicina, ha condotto un'analisi accurata e solida della letteratura scientifica disponibile. Il loro lavoro
è culminato nel rapporto scientifico del Comitato consultivo sulle linee guida sull'attività fisica del 2018, che ha fornito al governo federale raccomandazioni su attività fisica, comportamento sedentario e salute. Sulla base delle Physical Activity Guidelines for Americans e dei commenti degli esperti e delle agenzie federali, la nuova edizione fornisce indicazioni sulle quantità e sui tipi di attività fisica necessari per mantenere o migliorare la salute generale e ridurre il rischio di malattie croniche, o addirittura prevenirle.
Le Linee guida per l'attività fisica per gli americani sono diventate una risorsa essenziale per i professionisti sanitari e per i decisori politici che progettano e implementano programmi, politiche e iniziative di promozione dell'attività fisica.
Il rapporto fornisce informazioni che aiutano gli americani a fare scelte sane per sé e per le loro famiglie e affronta interventi basati su prove a livello di comunità che possono rendere l'essere fisicamente attivi come scelta facile in tutti i luoghi in cui le persone vivono, imparano, lavorano e si divertono.
I progressi per invertire gli alti tassi di malattie croniche correlate all'inattività e i bassi tassi di attività fisica richiederanno strategie complete e coordinate e le Linee guida per l'attività fisica sono una parte importante di una soluzione complessa e integrata per promuovere la salute e ridurre il peso delle malattie croniche a livello globale.
Abbiamo tutti un ruolo da svolgere in questo sforzo critico. Se oggi ci muoviamo tutti di più e restiamo meno seduti e lavoriamo per relaizzare anche in Italia Linee guida per l'attività fisica, noi stessi saremo sulla buona strada per creare una comunità più sana e garantire che tutti possano vivere in modo più sano. In questo contesto particolare importanza assume il
ruolo dell’attività fisica correlata all’invecchiamento attivo. Gli adulti di età pari o superiore a 65 anni traggono notevoli benefici per la loro salute da una attività fisica regolare. Essere fisicamente attivi rende più facile svolgere le attività della vita quotidiana, tra cui mangiare, pensare alla propria igiene, vestirsi, salire o scendere dal letto o dalla sedia e muoversi in casa o nel quartiere. Gli anziani fisicamente attivi hanno meno probabilità di cadere e, se cadono, hanno meno probabilità di avere incidenti fisici gravi. L'attività fisica può anche preservare la funzionalità fisica e la mobilità, il che può aiutare a mantenere l'indipendenza più a lungo e ritardare l'insorgenza di disabilità gravi. Numerose ricerche mostrano che l'attività fisica può migliorare la funzionalità fisica negli adulti di qualsiasi età, negli adulti in sovrappeso o obesi e persino in quelli fragili. Promuovere l'attività fisica e ridurre il comportamento sedentario per gli anziani è particolarmente importante perché questa popolazione è la meno attiva fisicamente di qualsiasi fascia d'età e la maggior parte degli anziani trascorre una parte significativa della giornata in modo sedentario. Gli anziani sono però un gruppo eterogeneo. La maggior parte, ma non tutti, soffre di una o più patologie croniche, come diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, osteoartrite o cancro, e queste patologie variano per tipo e gravità. Tuttavia, essere attivi fisicamente comporta notevoli benefici per tutti gli anziani. L'attività fisica è fondamentale per prevenire e gestire le malattie croniche. Altri benefici includono un minor rischio di demenza, una migliore qualità della vita percepita e una riduzione dei sintomi di ansia e depressione. Inoltre, fare attività fisica con altri può offrire opportunità di impegno e interazione sociale. Tutti gli anziani sperimentano una perdita di forma fisica e funzionalità con l'età, ma alcuni la sperimentano più di altri. Questa diversità significa che alcuni anziani possono correre per diversi chilometri, mentre altri hanno difficoltà a camminare per qualche isolato o uscire di casa. Bisogna allora fornire indicazioni chiare sull'attività fisica per gli adulti di età pari o superiore a 65 anni. La realizzazione di linee guida mirano ad aiutare gli anziani a selezionare i tipi e le quantità di attività fisica appropriati per le proprie capacità. Per ottenere benefici sostanziali per la salute, gli adulti dovrebbero fare almeno da 150 a 300 minuti a settimana di attività fisica di intensità moderata, o da 75 minuti a 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica di intensità vigorosa, o una combinazione equivalente di attività aerobica di intensità moderata e vigorosa. Preferibilmente, l'attività aerobica do
vrebbe essere distribuita durante la settimana. Ulteriori benefici per la salute si ottengono svolgendo attività fisica oltre l'equivalente di 300 minuti di attività fisica di intensità moderata a settimana. Anche gli adulti dovrebbero svolgere attività di rafforzamento muscolare di intensità moderata o maggiore e che coinvolgano tutti i principali gruppi muscolari per 2 o più giorni alla settimana, poiché queste attività forniscono ulteriori benefici per la salute. Importante infine il supporto psicologico, familiare e sociale che può essere realizzato cin politiche sociosanitarie di prossimità, integrando l’anziano in contesti di comunità e realizzando programmi che coinvolgano i diversi componenti della famiglia. Il nostro servizio sanitario nazionale i cui principi cardine sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità e il cui obiettivo è la tutela della salute ‘come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”, in ossequio all’articolo 32 della nostra Costituzione, nonché la promozione, il mantenimento e il recupero “della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini’ e dobbiamo partire da questo se vogliamo comprendere meglio come il DDL 287 (Sbrollini),incardinato nei lavori parlamentari del Senato, punti al concetto di salute quale prodromo di una buona sanità, che prevenga le malattie e che possa supportare medici, operatori sanitari nell’offrire ai pazienti sistemi di cura non meramente basati sull’intervento farmacologico ma bensì sugli stili di vita e l’esercizio fisico. Un approccio integrato in materia sarebbe, inoltre, funzionale ad una reale implementazione del documento programmatico del 2007 del Ministero della Salute « Guadagnare salute », , che tra le diverse ipotesi di intervento prevede interventi « volti ad affermare una concezione dell’attività sportiva e dell’esercizio fisico che va al di là della sola attività agonistica, divenendo invece un momento di benessere fisico e psicologico che coinvolge tutti i cittadini, giovani e meno giovani. Da qui, un’idea di sport come momento di aggregazione sociale, promozione della salute nonché come attività formativa ed educativa dell’individuo. Un DDL che vuole ridare dignità clinica al ruolo dell’esercizio fisico, uscendo dal mero approccio di consiglio o suggerimenti, ma inserendo lo stesso all’interno del SSN, attraverso la creazione di forti sinergie tra MMG , PLS e specialisti. Lo sport, nell’accezione più ampia del significato che include l’esercizio fisico e l’attovità motoria, è un ‘farmaco’ che non ha controindicazioni, fa bene a tutte le età. A volte, a causa di difficoltà economiche, il ge
nitore rinuncia a mandare il figlio a fare sport perché ci sono altre priorità e gli anziani rinunziano a fare attività fisica..I cittadini devono trovare nell’attività motoria e nell’esercizio fisico un elemento per la promozione della propria salute. Oggi l’Italia ha purtroppo dei primati a livello europeo sulla sedentarietà oltre un terzo della popolazione, soprattutto al sud e nelle isole, è totalmente inattivo e nell’obesità infantile, dove sempre nelle regioni del sud e nelle isole, il numero dei bambini sovrappeso e obesi ha raggiunto livelli allarmanti, secondo ISTAT e IBDO Report il 26,3% dei bambini e adolescenti tra i 3 e i 17 anni (2,2 milioni). In Italia meno del 40% degli ultra 65enni raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall'Oms, il 22% è definibile come 'parzialmente attivo', mentre il 38% risulta completamente sedentario. La quota di sedentari non sembra solo legata all'età e al genere (è maggiore tra le donne), ma anche alle difficoltà economiche, a un basso livello di istruzione o al vivere da soli. Solo il 27% degli over 65, infine, ha ricevuto da parte di un medico o di altro operatore il consiglio di fare attività fisica. Sono alcuni dei dati di Passi d'argento (Epicentro, 2024), riportati nel Libro bianco sull'attività fisica per l'invecchiamento attivo presentato agli Stati generali dell'invecchiamento attivo. Una situazione inaccettabile dal punto di vista clinico e socioeconomico, che ci indica come se non interveniamo in futuro il carico di italiani con malattie croniche non trasmissibili (obesità diabete tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori) sarà destinato ad aumentare mettendo im crisi il nostro SSN I dati a nostra disposizione ci indicano come nel nostro paese il costo dell’inattività fisica è stimato a 1,3 miliardi di euro nei prossimi 30 anni. Un costo assolutamente non sostenibile dal nostro SSN e sul quale dobbiamo intervenire anche con strumenti legislativi appropriati in tema di incentivazione attraverso la detrazione dal 730 di parte dei costi connesssi all’esercizio fisico prescritto. Allora dobbiamo agire sull’inerzia del cittadino, incentivandolo e supportandolo, e sulle iniziative a livello delle città e delle comunità.
Aver dedicato questo numero, a coclusione del 2024, sul ruolo che l’attività fisica ha sulla longevità attraverso l’invecchiamneto attivo e il ruolo che ha l’ambiente urbano su questi fattori, vuole essere solo il primo passo dell’impegno di SPORTCITY JOURNAL nell’affrontare alcuni temi sociosanitari legati a questi temi, promuovendo dibattito e riflessioni.
Federico Serra
Editor in Chief di Sport City Journal e Presidente dell’Osservatorio permanente sullo sport l’esercizio fisico e l’attività motoria
L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2002 ha definito l’ invecchiamento come "il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano". Vi è un legame positivo, testimoniato da numerosi studi a livello nternazionale, tra l’invecchiare in maniera attiva e i benefici sulla salute fisica e psicologica, inclusa la percezione di una maggiore qualità e soddisfazione della vita.
Allora l’invecchiamento attivo riguarda l’individuo, la collettività e come essere attivi o attivarsi in maniera formale o informale in uno o più ambiti della sfera sociale (famiglia, affetti, mercato del lavoro, volontariato, relazioni sociali, educazione permanente, assistenza a familiari con disabilità, fare i nonni, ecc.) o anche personale (sport, attività del tempo libero, hobby, turismo, giardinaggio, musica, ecc.), scegliendo liberamente l’attività o le attività nelle quali impegnarsi, a seconda delle proprie aspirazioni e motivazioni e della possibilità che l’ambiente offre.
Tutte le considerazioni attinenti gli effetti dell’invecchiamento attivo e dei suoi effetti positivi sugli individui, devono far parte di quegli strumenti di prevenzione per aspirare quanto più possibile a un invecchiamento in salute e alla ricerca di una vita longeva e con piena soddisfazione del senso di wellbeing.
Va considerato che vi è una sostanziale differenza tra invecchiamento attivo (active ageing) e invecchiamento in salute (healthy ageing), in quanto il primo è un mezzo (tra altri strumenti di prevenzione, come, ad esempio, fare sport, pendersi cura di se stesso, l'allenamento del cervello, la mindfulness, fare una vita attiva e di relazione, un’alimentazione corretta, ecc.) per aspirare al secondo, che invece è il fine. E quanto si parla di longevità e non di invecchiamento, bisogna considerare.
Tuttavia, il concetto di invecchiamento attivo non deve riguarda soltanto la sfera individuale, in quanto i suoi benefici sono evidenti anche per la società nel suo complesso, e allora si tratta di studiare le strategie e gli strumenti che riescono a risolvere alcune
delle principali sfide correlate alla longevità. Longevità correlata alle sfide demografiche in atto i Europa e in Italia, dove minori tassi di natalità si conugano all’incremento dell’aspettativa di vita delle persone.
Si tratta di un importante risultato sostenuto dall'economia sociale e sanitaria di mercato dell'UE. Negli ultimi cinque decenni, l'aspettativa di vita alla nascita è aumentata di circa 10 anni sia per gli uomini che per le donne. I profili demografici delle regioni dell'UE variano ampiamente, in particolare tra aree urbane e rurali, con alcuni luoghi che invecchiano in modo significativo e altri che ampliano la loro popolazione in età lavorativa. L'Europa non è affatto l'unico continente con una popolazione che invecchia, ma il processo è più avanzato qui. A titolo di esempio, l'età media odierna in Europa di 42,5 anni è più del doppio della cifra dell'Africa. Questo divario rimarrà ampio nei prossimi decenni. Questa tendenza sta avendo un impatto significativo sulla vita quotidiana delle persone e sulle nostre società. Ha implicazioni per la crescita economica, la sostenibilità fiscale, la salute e l'assistenza a lungo termine, il benessere e la coesione sociale. Inoltre, l'impatto sproporzionato della pandemia COVID19sulle persone anziane, in termini diricoveri ospedalieri e decessi, ha evidenziato alcune delle sfide che una popolazione anziana pone alla salute e all'assistenza sociale. Ma l'invecchiamento offre anche nuove opportunità per creare nuovi posti di lavoro, promuovere l'equità sociale e aumentare la prosperità, ad esempio nelle economie "silver" e assistenziali.
Invecchiamento della popolazione che è strettamente connesso a motivi di ordine sociale, ed economico in quanto un numero sempre maggiore di persone in età anziana, se non "produttive" in qualche modo, vengono percepite come un “peso” per la società e vittime di stigma sociale che sfocia nell’ageismo.
La promozione dell’invecchiamento attivo può invece comportare un prolungato apporto produttivo da parte delle persone anziane sia nel mercato del lavoro, nel volontariato, come tutor dei giovani, come
animatori culturali, favorire il dialogo integenerazionale, la trasmissione di esperienze e, al contempo attraverso la promozione di sani stili di vita, di una attività motoria e fisica costante e adattata all’età e agli individui, può aiutare a contenere la spesa per servizi sociosanitari, il consumo di farmaci, il costi delle malattie croniche non trasmissibili.
Gli Stati membri stanno affrontando gli impatti dell'invecchiamentomigliorando i sistemi di istruzione e competenze, incoraggiando vite lavorative più lunghe e più piene e promuovendo le riforme dei sistemi di protezione sociale e pensionistica, incentivando l’attività fisica e motoria, la sana alimentazione, la prossimità sociale. Tuttavia, data la portata, la velocità e l'impatto che questa tendenza avrà sulla società, dobbiamo anche esaminare nuovi approcci sociali e garantire stategie politiche adatte allo scopo in un'epoca di grandi cambiamenti, dalle transizioni verdi e digitali alle nuove forme di lavoro e alla minaccia delle pandemie. Lo scopo di questo numero di SportCity Journal è quello di avviare un ampio dibattito politico sull'invecchiamento attivo per discutere le opzioni su come anticipare e rispondere alle sfide e alle opportunità che porta con sé, tenendo conto in particolare dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e del Decennio delle Nazioni Unite per un invecchiamento sano. Le competenze per affrontare gli effetti dell'invecchiamento sono in gran parte nelle mani degli Stati membri e l'UE è ben posizionata per identificare le questioni e le tendenze chiave e supportare l'azione sull'invecchiamento a livello nazionale, regionale e locale. Può aiutare gli Stati membri e le regioni a sviluppare le proprie risposte politiche personalizzate all'invecchiamento. Il Pilastro europeo dei diritti sociali stabilisce una serie di principi che riguardano direttamente o indirettamente gli ambiti interessati dall'invecchiamento, come il reddito e le pensioni di vecchiaia, l'assistenza a lungo termine, l'assistenza sanitaria, l'inclusione delle persone con disabilità, la protezione sociale, l'equilibrio tra lavoro e vita privata e l'istruzione, la formazione e l'apprendimento permanente, la promozione di stili di vita salutari.
L'invecchiamento sano e attivo riguarda la promozione di stili di vita sani per tutta la vita e include i nostri modelli di consumo e nutrizione e i nostri livelli di attività fisica e sociale. Aiuta a ridurre il rischio di obesità, diabete e altre malattie non trasmissibili in aumento. Le malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro sono le principali cause di decessi evitabili per
le persone di età inferiore ai 75 anni in Europa . L'invecchiamento sano e attivo ha un impatto positivo sul mercato del lavoro, sui tassi di occupazione e sui nostri sistemi di protezione sociale e, di conseguenza, sulla crescita e sulla produttività dell'economia. L'invecchiamento sano e attivo è una scelta e una responsabilità personale, ma dipende in larga misura dall'ambiente in cui le persone vivono, lavorano e socializzano. Le politiche pubbliche possono svolgere un ruolo di supporto significativo. Le misure proattive possono aiutare a prevenire e rilevare le malattie e proteggere le persone dagli effetti della cattiva salute. Possono aiutare a garantire che l'invecchiamento sano e attivo diventi una scelta più facile, anche per coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità. Esistono modi innovativi per promuovere stili di vita sani tra bambini e giovani, anche attraverso tecnologie digitali sicure, giochi, piattaforme di apprendimento e app, la rigenrazione urbana, la creazione di luoghi di aggregazione sociale, sportiva, motoria e culturale. La medicina personalizzata può aiutare a identificare, in una fase precoce, le persone a rischio di sviluppare determinate malattie in età avanzata. Mentre gli Stati membri sono responsabili delle loro politiche sanitarie, l'UE può supportare l'azione degli Stati membri, anche attraverso il nuovo programma EU4Health, ad esempio nella lotta contro il cancro, la demenza, la salute mentale e la promozione di una sana alimentazione e diete, nonché di una regolare attività fisica. Per sostenere ciò, il piano europeo per combattere il cancro è stato creato per affrontare l'intero percorso della malattia, dalla prevenzione alla sopravvivenza. Il monitoraggio e lo scambio di informazioni sulle iniziative sanitarie nazionali possono aiutare a ridurre le differenze di approccio e fornitura tra e all'interno dei paesi
Bisogna allora promuovere una cultura differente all’invecchiamento e un approccio sociopolitico alla longevità come strumento di crescita e sviluppo di un paese.
In questa ottica la promozione di sani stili di vita nella popolazione in generale e in quella anziana in particolare, diventa prioritaria nell’agenda politica.
La lotta alla sedentarietà, problema culturale, generazionae e geografico, deve riguardare tutte le fasce d’età e in particolare giovani e anziani.
Dal rapporto ISTA sul BES 2023, si evince che, la sedentarietà aumenta al crescere dell’età: riguarda circa 2 persone su 10 tra gli adolescenti e i giovani fino a 24 anni fino a interessare quasi 7 persone su 10 tra la popolazione di 75 anni e più. Entrando più
nello specifico la sedentarietà interessa il 19,8% tra le persone di età compresa tra i 1419 anni e il 22,8% tra quelle persone di età compresa tra i 2024 anni. Mentre per le persone di 75 anni e più, la percentuale di sedentari è pari al 65,5%.
Diventa importante promuovere la pratica regolare di attività fisica negli anziani per arrivare a migliorare la salute cardiometabolica, respiratoria e muscolare, riducendo così il rischio di malattie croniche non trasmissibili, di depressione e di declino cognitivo.
Sappiamo che longevità sia stata associata a specifici corredi genetici, ma parimenti importante è valutare l’interazione tra individuo e ambiente. Oggi evidenze scientifiche dimostrano una relazione inversa tra mortalità e attività fisica. L’esecuzione dell’esercizio fisico regolare negli anziani gioca un ruolo fondamentale nel miglioramento delle capacità funzionali dell’anziano, nel miglioramento della longevtà e della qualità di vita prevenendo le malattie croniche non trasmissibili, le comorbilità, il declini cognitico e la disabilità. Rispetto ai soggetti meno attivi, gli uomini e le donne anziane più attivi hanno tassi più bassi di mortalità totale, di malattia coronarica, ipertensione, ictus, † tipo 2, cancro del colon e del seno, una maggiore efficienza cardiorespiratoria e muscolare, una massa ed una composizione corporea migliore ed un profilo lipidico più favorevole per la prevenzione delle malattie cardiometaboliche. Indicazioni specifiche degli esperti indicano che attività fisica di intensità moderata produce un effetto positivo sulla funzione immunitaria, riduce il rischio di infezioni delle vie aeree ed è inoltre in grado di ridurre di circa 10 mmHg i valori di pressione arteriosa alla stessa stregua di qualsivoglia trattamento farmacologico monoterapico, migliorando il tono muscolare e la capacità di movimento, e riducendo l’osteoporosi e inducendo un aumentato rilascio di mediatori neurormonali, che conferiscono una sensazione di benessere generale. Le linee guida indicano che adulti over65 anni dovrebbero svolgere almeno 150 minuti alla settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità o almeno 75 minuti di attività fisica aerobica a intensità vigorosa ogni settimana associando esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari 2 o più volte la settimana per rafforzare l’equilibrio e prevenire le cadute 3 o più volte la settimana per coloro che hanno una ridotta mobilità.
Gli anziani possono raggiungere i 150 minuti di attività fisica a settimana o mediante lo svolgimento di
attività in più periodi della durata di almeno 10 minuti ciascuno, distribuiti in tutta la settimana, fino al raggiungimento complessivo dei 150 minuti, oppure svolgendo 30 minuti di attività a moderata intensità 5 volte alla settimana, ovviamente secondo le capacità dell'individuo.
I soggetti di questa fascia di età che non possono raggiungere i livelli raccomandati, a causa delle loro condizioni di salute, dovrebbero adottare uno stile di vita attivo e svolgere attività a bassa intensità, nei limiti delle proprie capacità e condizioni anche attraverso le normali occupazioni della vita quotidiana: gli acquisti, le pulizie e la preparazione dei pasti, una passeggiata a piedi o per chi è in grado andare in bicicletta. In ogni caso è bene ridurre i lunghi periodi di sedentarietà, come guardare la televisione, poiché potrebbero costituire un fattore di rischio a sé per la salute, a prescindere da quanta attività si pratichi in generale.
Poiché la tolleranza all’esercizio tende a diminuire con l’età, gli anziani che hanno avuto stili di vita sedentari e stanno iniziando un programma di attività fisica hanno bisogno di un piano di attività fisica che sia di intensità e quantità assoluta inferiori. Camminare, salire le scale o alzarsi dalla sedia sono semplici azioni che migliorano lo svolgimento delle normali attività della vita quotidiana, favorendo l’autonomia e l’indipendenza.
I programmi di attività motoria domiciliare oltre alla riattivazione sul piano fisico facilitano l’uscita dall’isolamento e la risocializzazione.sull’invecchiamento attivo.
In conclusione la longevità è un bene che va coltivato con cura e che vede nell’attività fisica uno strumento indispensabile nell’ottica delle policies sull’invecchiamento attivo. Davanti a una popolazione più longeva, le scelte individuali, politiche e sociali da operare sono ampiamente conosciute e le evidenze tracciano una strada dalla quale non si può più tornare indietro.
Invecchiamento attivo non può essere un slogan, ma parte di un rogetto di mantenimento e recupero funzionale deglia nziani, dove le comunità locali, come sono le città, i borghi, hanno n ruolo di primaria importanza, attravesro progetti di nclusione e di prossimità sociale.
I l ruolo dell’active aging nella riscoperta dello sport per tutti
Francesca Romana Lenzi, Editor In chief di Sport City Journal e Professore Associato di Sociologia presso l'Università degli studi di Roma Foro Italico
Numerose discipline, tra cui quelle in ambito medico e sociale, hanno ripetutamente evidenziato la relazione tra attività fisica e anziani. Un invecchiamento sano e attivo dipende da uno stato di benessere psicofisico, che può essere raggiunto, tra le altre cose, attraverso l’attività fisica. Lo stato di benessere prodotto dall’attività fisica può oggi essere rilevato sia sul piano individuale, Gli studi contemporanei hanno più volte sottolineato il legame tra l’attività fisica e l’età avanzata: l’invecchiamento sano e attivo sia determinato da uno stato di integrità mentale e fisica, conseguibile, tra le altre cose, anche attraverso il movimento. Lo stato di benessere generato dall’attività fisica costituisce ormai un’evidenza su svariati piani del benessere. Ciò vale sia a livello individuale, intervenendo sulla riduzione dello stato di solitudine e sulla gestione di depressione e ansia [McAuley et al. 2000]; sullo sviluppo della funzione immunitaria e sulla prevenzione dell’insorgenza di patologie croniche [Gronek et al. 2020]; ma anche su un piano comunitario, contribuendo ad alimentare processi di partecipazione sociale che contrastano le diseguaglianze sociali [Mansfield et al. 2019, McPherson 1994].
Tuttavia, la realtà ci dice altro: essa racconta di una scarsa aderenza della popolazione anziana all’attività motoria. A venire in aiuto per la comprensione di tale scarto, sono ancora una volta determinanti di natura sociale, economica e culturale, che descrivono la leva sulla partecipazione, la motivazione e la frequenza effettiva della popolazione anziana all’attività sportiva [Downward et al. 2015; Jenkin et al. 2017]. Da tali riflessioni, emerge un paradosso nella relazione tra salute e attività sportivo/motoria. Tra i più potenti ostacoli allo svolgimento dell’attività motoria in età avanzata vi è la convinzione di non essere detentori di un livello di salute sufficiente a svolgere tali attività. Tale convinzione è determinata dalla rappresentazione sociale dell’attività motoria e al costrutto culturale ad esso associato, secondo cui lo sport si strutturi attorno a una dimensione agonistica e performativa.
ÌAl contrario, le ultime decadi hanno visto avanzare una nuova controcultura, che attribuisce allo sport il significato di veicolo di benessere sociale, svincolato dalla performance fisica, specialmente per le categorie riconosciute come più fragili e a maggiore rischio di marginalizzazione sociale.
In un contesto sociale ove, ovunque come nello sport, la velocità è eletta a cifra dell’eccellenza, eventi come l’isolamento pandemico hanno sollecitato gli individui a riappropriarsi dei propri spazi e dei propri
tempi anche attraverso un nuovo rapporto con il tempo libero e, in esso, con il movimento, con il corpo, con il territorio. La relazione tra benessere sociale e sport, sia su piani amatoriali che a livelli agonistici è molto forte, ma un cambiamento di paradigma ha generato una spinta alla riscoperta della socialità e della centralità del corpo nell’attività motoria: esso diviene il fine dell’attività e non il mezzo per raggiungere un obiettivo, restituendo valore ai suoi tempi e ai suoi bisogni. Questo è uno dei successi maggiori della dimensione sportiva degli ultimi anni, per mezzo delle nuove attività lente e benefiche, che trasformano il senso più profondo dello sport in termini inclusivi, soprattutto per le categorie prima escluse, come la popolazione anziana. A tale riflessione si associano due ulteriori capovolgimenti di natura sociale. Il primo attiene al ripensamento dell’ambiente sociale come luogo di produzione a misura di fasce di età specifiche e, spesso, minoritarie in termini non già numerici, anzi, ma marginali in termini d’impatto sociale. Al contrario, gli studi sociali oggi rinforzano l’immagine di una società che ha il compito di accogliere ogni fascia della popolazione, anche quella anziana, garantendole una piena realizzabilità, data la rilevanza sociale che assume, come l’accudimento delle giovani generazioni, il volontariato, il sostegno economico alle giovani generazioni e, non ultima, l’evoluzione dell’attività sportiva, collocandosi all’interno dei fenomeni socioeconomici e culturali cruciali sul piano sociale. Il secondo, invece, solleva l’urgenza per gli studi di fenomeni sociali come l’active aging, di superare l’orientamento quantificante e stigmatizzante la condizione anziana, destrutturando la generica e distorsiva categoria dell’anziano per ripensarla sulla base di criteri più complessi e ragionati [Dionigi 2006].
LA COMPLESSA INTERAZIONE TRA GENETICA E STILE DI VITA NELL'INVECCHIAMENTO ATTIVO
Giuseppe Novelli1, Giuseppe Calcaterra2
1 Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione Università di Roma Tor Vergata, Roma
2 Scuola di Specializzazione in Cardiologia, Università di Palermo, Palermo
Corrispondenza:
Prof Giuseppe Novelli
Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione Università di Roma Tor Vergata novelli@med.uniroma2.it
Abstract
La longevità è influenzata da una combinazione di fattori genetici e non genetici, inclusi i comportamenti legati allo stile di vita. Comprendere come queste variabili interagiscono, può fornire indicazioni cruciali per strategie di prevenzione e promozione della salute. Le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, i tumori e le malattie respiratorie croniche, le cosiddette malattie non trasmissibili (NCDs), rappresentano la causa complessiva di circa il 70% dei decessi. Queste patologie sono spesso correlate al progredire dell’età e hanno infatti una prevalenza in aumento in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione. Tuttavia, è noto che un’alimentazione equilibrata e una regolare attività fisica possono giocare un ruolo importante preventivo in questo campo nel consentire uno stato di invecchiamento attivo nelle persone di un certa anzianità, a prescindere dalla loro predisposizione genetica. In studi recenti è emerso il ruolo dell’attività fisica e dell’alimentazione nel contrastare lo sviluppo di queste malattie con l’obiettivo di ridurne la prevalenza e l’impatto sulla spesa sociosanitaria. Ogni anno si rileva che la percentuale di morti causate da NCDs è rispettivamente del 31 % per le patologie cardiovascolari, del 16 % per le neoplasie, del 7 % per le malattie respiratorie e del 5 % circa per il diabete. L’effetto protettivo dello stile di vita in particolare e l’esposoma in generale è evidente sia nei gruppi a basso che ad alto rischio genetico.
Introduzione
Nell’ultimo secolo, le nuove scoperte in campo medico con il miglioramento della salute pubblica e della qualità della vita hanno portato all’allungamento dell’aspettativa di vita e quindi della longevità. L‘aumento della durata della vita si deve associare anche ad un benessere soggettivo e oggettivo della qualità
di vita: gli anziani sperimentano un processo di invecchiamento fortemente influenzato dalla presenza di multiple morbidità, come le patologie cardiovascolari, il diabete mellito e le neoplasie che impattano sulla qualità di vita. Il termine longevità definisce la capacità fisiologica di un organismo appartenente a una certa specie di sopravvivere per un determinato periodo di tempo, oltre il limite medio. Per quanto riguarda in particolare l'uomo, l'interazione di fattori genetici, ambientali e comportamentali, porta a una diversa sopravvivenza degli individui, alcuni dei quali superano i 100 anni. Proprio per questa influenza di fattori multipli nella determinazione della durata della vita umana, è necessario affrontare il problema in maniera globale, dal punto di vista biologico, genetico, comportamentale e ambientale.
Longevità e invecchiamento
Definire la longevità in termini biologici implica la comprensione della complessa interazione di fattori genetici, cellulari e ambientali che contribuiscono alla durata della vita e alla salute di un organismo. La longevità può essere vista come il risultato di vari processi biologici che mantengono l'integrità e la funzione cellulare nel tempo, ritardando così l'insorgenza di malattie legate all'età e promuovendo la salute generale. Uno dei principali meccanismi biologici associati alla longevità è il ruolo di geni specifici e percorsi genetici. Ad esempio, numerosi studi hanno identificato che i geni coinvolti nella riparazione del DNA, nella risposta allo stress ossidativo e nella funzione immunitaria sono cruciali per la longevità. Kim e Coll. (1) sottolineano l'importanza dei geni di mantenimento dei telomeri, in particolare SIRT1, che è associato alla longevità umana e svolge un ruolo significativo nella regolazione della lunghezza dei telomeri, un fattore critico nell'invecchiamento cellulare.
Sport City
Si stima che i fattori genetici contribuiscono in modo significativo alla longevità, con stime di ereditarietà che vanno dal 20% al 35%, indicando una solida base genetica per la variazione della durata della vita (2). Uno studio di segregazione familiare (3), condotto su ultracentenari, ha dimostrato che i figli maschi di un ultracentenario hanno una probabilità di essere ultracentenari anch’essi di 17 volte superiore alla popolazione generale, contro quella delle loro sorelle femmine, che è “soltanto” di 8 volte. Sono numerosi i geni e i processi biochimici considerati essenziali per la longevità, tra questi, quelli del mantenimento cellulare e della risposta allo stress, sono cruciali per il mantenimento della salute cellulare e la prevenzione del declino correlato all'età. In questo contesto, il sistema immunitario per la sua capacità di gestire lo stress ossidativo e infiammatorio risulta strettamente collegata alla longevità (4). Uno dei primi geni correlato alla longevità umana in diverse popolazioni, è il gene FOXO3A(5). Varianti di questo gene sono collegate alla longevità in quanto influenzino la sensibilità all'insulina agendo come un "regolatore principale" nella catena metabolica insulina/IGF1. Questo percorso biochimico è cruciale per la resistenza allo stress cellulare ed è stato implicato nel processo di invecchiamento. Anche il ruolo del gene APOE, in particolare l'allele APOE4, è stato ampiamente studiato nel contesto della longevità. Mentre è noto che APOE4 è un fattore di rischio significativo per la malattia di Alzheimer, la sua associazione con la longevità è complessa, poiché alcuni alleli possono conferire effetti protettivi contro le malattie legate all'età in popolazioni specifiche (6). Tuttavia, uno dei principali caratteri distintivi dell'invecchiamento è l'instabilità genomica, che include l'accumulo di danni al DNA e mutazioni nel tempo. Questa instabilità può derivare da varie fonti, tra cui lo stress ossidativo e l'attività degli elementi trasponibili (TE), che possono interrompere l'integrità genomica. L’importanza dei sistemi di riparo del DNA nel preservare dall’invecchiamento è facilmente comprensibile dall’analisi delle malattie progeroidi, i cui soggetti affetti mostrano invecchiamento accelerato. Molte delle varianti patogenetiche causanti le malattie progeroidi sono infatti riscontrate in geni codificanti fattori che intervengono nei sistemi di replicazione e riparo del DNA tra le quali la MDPL, (Mandibular hypoplasia, Deafness, Progeroid features, and Lipodystrophy, #615381), una malattia a trasmissione autosomica dominante. È estremamente rara, infatti, ad oggi sono noti soltanto 27 pazienti in tutto il
mondo. Questa sindrome è causata da variazioni nel gene POLD1 mappato sul cromosoma 19q13.33 che codifica per la subunità catalitica della DNA polimerasi δ, la quale fornisce le attività catalitiche essenziali dell'enzima, mediate dalle porzioni polimerasi DNA 5'3' ed esonucleasi 3'5'(7). Questa subunità è dunque necessaria e importante per la replicazione e il riparo del DNA. Un aspetto distintivo di questi pazienti è la lipodistrofia caratterizzata da una perdita di grasso sottocutaneo in alcune aree del corpo soprattutto nell’area della faccia, degli arti e del tronco, portando a un aspetto magro o lipoatrofico, mentre il grasso può accumularsi in altre regioni come l’addome. E’ interessante come proprio la lipodistrofia in un paziente con aspetto progeroide, per mutazioni del gene LMNA (lamina A) abbia permesso di scoprire che la lamina è causa di invecchiamento precoce come nella progeria di HutchinsonGilford (HGPS, #176670) oppure le displasie mandibuloloacrali di tipo A e di tipo B (Mandibuloacral Dysplasia, MADA e MADB, # 248370, # 608612) (8). Un altro segno distintivo dell’invecchiamento è l'attrito dei telomeri, che si riferisce al progressivo accorciamento dei telomeri, i cappucci protettivi alle estremità dei cromosomi, quando le cellule si dividono. Questo accorciamento è influenzato da fattori come lo stress ossidativo e l'infiammazione e funge da marcatore biologico dell'invecchiamento (9).
Epigenetica e longevità L'epigenetica svolge un ruolo cruciale nella regolazione della longevità, influenzando il modo in cui i geni vengono espressi senza alterare la sequenza di DNA sottostante (10). Uno degli aspetti fondamentali dell'epigenetica nel contesto dell'invecchiamento è la modifica del DNA e degli istoni, che può influenzare i modelli di espressione genica. È stato dimostrato che la metilazione del DNA, una modifica epigenetica chiave, è correlata all'età biologica. Li e Coll., (11) hanno dimostrato che i livelli di metilazione del DNA sono strettamente correlati all'età, suggerendo che queste modifiche possono fungere da biomarcatori per l'invecchiamento. L’epigenetica ha un impatto fondamentale sulla longevità, proprio perché è su di essa che agiscono i fattori dello stile di vita e le influenze ambientali che possono portare a cambiamenti epigenetici trasmissibili attraverso le generazioni (eredità epigenetica transgenerazionale) (12). Ciò suggerisce che le scelte fatte da una generazione possono avere effetti duraturi sulla salute e la longevità delle generazioni successive, evidenziando l'importanza di comprendere l'interazione tra
epigenetica e fattori ambientali. La comprensione di questi meccanismi apre strade per potenziali interventi volti a promuovere un invecchiamento sano e ad estendere la durata della vita.
Invecchiamento attivo e invecchiamento in salute Esiste una sostanziale differenza concettuale tra invecchiamento attivo (active ageing) e invecchiamento in salute (healthy ageing), in quanto il primo è un mezzo (tra altri strumenti di prevenzione, come, ad esempio, un’alimentazione corretta, ecc.) per aspirare al secondo, che è il fine della longevità. Le due parole non sono né sinonimi né contrari, ma sono concetti differenti che si intersecano tra di loro. Si può aver un invecchiamento attivo senza essere longevi. L'interazione tra genetica e fattori legati allo stile di vita è fondamentale per comprendere l'invecchiamento attivo e la longevità. La ricerca indica che, mentre le predisposizioni genetiche influenzano significativamente i processi di invecchiamento, le scelte di stile di vita possono modulare questi effetti, portando a risultati di invecchiamento più sani. Ad esempio, Rajpathak e Coll., (13) sottolineano che gli individui con una longevità eccezionale spesso mostrano abitudini di vita simili alla popolazione generale, suggerendo che i fattori genetici possono conferire resilienza contro gli effetti negativi di cattive scelte di stile di vita (13). Questa nozione è ulteriormente supportata dai risultati di Kankaanpää e Coll., (14), che rivelano che gli adolescenti geneticamente predisposti a stili di vita non sani hanno maggiori probabilità di sperimentare un invecchiamento biologico accelerato nella prima età adulta, indicando una base genetica per l'invecchiamento correlato allo stile di vita (14). L'ereditarietà dei fattori legati allo stile di vita è sottolineata da Skytthe e Christensen (15), che dimostrano che le scelte di stile di vita sono influenzate da tratti genetici intrinseci. Ciò suggerisce che i processi decisionali riguardanti i comportamenti sanitari sono in parte ereditati, il che può avere profonde implicazioni per le strategie di salute pubblica volte a promuovere un invecchiamento sano. D’altra parte, Duan e Coll., (16) hanno scoperto che uno stile di vita sano ha un impatto positivo sulla funzione cognitiva negli anziani, indipendentemente dai fattori di rischio genetici come il genotipo APOE, sottolineando che lo stile di vita può mitigare i rischi genetici associati al declino cognitivo. È stato dimostrato che lo stile di vita mediterraneo, caratterizzato da un'alimentazione sana e dall'attività fisica, migliora significativamente la longevità e i risultati in termini di salute nelle popolazioni più anziane, come eviden
ziato dallo studio MEDIS (17). Ciò è in linea con i risultati di Awofala e Ogundele (17), che sostengono che sia i fattori ambientali che quelli genetici contribuiscono alla longevità umana, rafforzando l'importanza delle scelte di stile di vita nel processo di invecchiamento. Inoltre, fattori legati allo stile di vita come la cessazione del fumo e l'attività fisica regolare sono fondamentali per ridurre il rischio di malattie legate all'età, come evidenziato da vari studi (18, 19). Un recente studio longitudinale ha analizzato dati provenienti da tre grandi coorti coinvolgendo 353.742 adulti di origine europea reclutati tra il 2006 e il 2010, seguiti fino al 2021 per un periodo di circa 12 anni. I partecipanti sono stati classificati in base al loro punteggio di rischio genetico. misurato tramite il PRS (Poligenic Risk Score), suddividendoli in tre categorie: basso, intermedio e alto. Questo metodo permette di analizzare in contemporanea centinaia di geni e soppesare il loro impatto cumulativo, utilizzando algoritmi molto sofisticati. I risultati hanno rivelato che un alto rischio genetico, misurato tramite PRS, è correlato a un aumento del 21% di rischio di morte precoce (prima dei 75 anni) rispetto a un basso rischio genetico, indipendentemente dallo stile di vita. Al contrario, uno stile di vita sfavorevole è associato a un aumento del rischio di morte di circa il 78% rispetto a uno stile di vita favorevole all’interno e tra le categorie di rischio genetico. Un punteggio di stile di vita sano è stato calcolato considerando fattori come alimentazione, attività fisica, consumo moderato di alcol e fumo e durata del sonno. L’analisi ha valutato l’impatto combinato del rischio genetico e del comportamento sul rischio di mortalità e sull’aspettativa di vita. I risultati hanno evidenziato che un profilo genetico ad alto rischio e uno stile di vita non salutare aumentano il rischio di mortalità rispettivamente del 21% (HR 1.21) e del 78% (HR 1.78). L’effetto combinato di fattori di rischio genetici e ambientali sfavorevoli aumentava ulteriormente il rischio di mortalità (HR 2.01). Al contrario, uno stile di vita sano riduceva significativamente il rischio di mortalità in tutte le categorie di rischio genetico. In particolare, gli individui con un alto rischio genetico che seguivano uno stile di vita sano guadagnavano più di 5 anni di aspettativa di vita a 40 anni rispetto a quelli con uno stile di vita non salutare. L’effetto protettivo dello stile di vita era evidente sia nei gruppi a basso che ad alto rischio. Questo studio sottolinea che adottare abitudini salutari è fondamentale per vivere più a lungo e in salute, a prescindere dalla predisposizione genetica, ed evidenzia la necessità di politiche
pubbliche mirate a promuovere stili di vita sani per migliorare la salute e la longevità dell’intera popolazione. L’aderenza a stili di vita sani è emersa come un fattore in grado di attenuare significativamente il rischio genetico di una durata della vita più breve o di una morte prematura con un dato estremamente importante: gli individui con un alto rischio genetico potevano prolungare la durata della vita di circa 5,22 anni all’età di 40 anni adottando uno stile di vita favorevole (20).
Conclusioni
L’invecchiamento organico è la risultante di una relazione tra età, patologie croniche, stile di vita e predisposizione genetica. Non dimentichiamo tuttavia che lo stile di vita influenza anche l'espressione genica attraverso modifiche dell’assetto epigenetico del nostro DNA. Le interazioni ambienteDNA sono molto complesse, possono avere significati biologici diversi in tipi cellulari diversi e possono risentire del metabolismo. Il nostro destino non è completamente scritto nel nostro DNA ed è bellissimo poterlo impostare sulla prevenzione basata sullo stile di vita sano. Esiste un'interazione tra DNA e ambiente e l'ambiente può avere un peso importante per la salute. I fattori genetici e quelli legati allo stile di vita sono stati associati in modo indipendente alla durata della vita. L'aderenza a stili di vita sani potrebbe attenuare ampiamente il rischio genetico di una durata di vita più breve o di una morte prematura. La combinazione ottimale di stili di vita sani potrebbe trasmettere maggiori benefici per una durata di vita più lunga, indipendentemente dal background genetico. Le sane abitudini non solo allungano la vita, ma contribuiscono a ridurre le comorbilità, con conseguente miglioramento della qualità di vita. Quello che conta veramente non sono i geni delle longevità, ma una ridotta suscettibilità genetica a malattie come l’Alzheimer e le malattie coronariche. Vanno proprio in questa direzione gli studi del gruppo di Michael Snyder (Stanford, USA) che in una recente pubblicazione su Nature Aging, ha dimostrato l’esistenza di due momenti critici dell’invecchiamento fisiologico umano sulla base dei profili omici di migliaia di biomolecole attive che rivelano cambiamento drastici intorno ai 40 e 60 anni di età. Interessante, intorno ai 44 anni, le molecole più coinvolte sono quelle legate al metabolismo dell'alcol, della caffeina e dei grassi e quelle associate a disturbi cardiovascolari (21). L'esistenza di questo fenomeno dovrebbe quindi spingerci, secondo i ricercatori, a prestare attenzione alla propria
salute e adattare il proprio stile di vita soprattutto in questi momentichiave della vita.
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CONTRIBUTI
L'INVECCHIAMENTO IN ITALIA: SFIDE E OPPORTUNITÀ
Roberta Crialesi
Dirigente
Servizio
Sistema integrato salute, assistenza e previdenza di Istat
L’invecchiamento della popolazione sembra essere un fenomeno inevitabile nei paesi sviluppati. Le cause sono ben note, risiedono principalmente nel crollo della natalità e nella conquista di una sopravvivenza sempre più lunga, fattori che a loro volta affondano le radici nelle profonde trasformazioni demografiche e sociali avviate nel secolo scorso. Le generazioni più numerose nate durante periodi di alta natalità, come i baby boom, stanno infatti raggiungendo ora le fasce più anziane della popolazione, mentre sul calo delle nascite pesano non solo la minore propensione alla procreazione, ma anche la riduzione della popolazione femminile in età feconda: tra i 1 5 e i 49 anni le donne sono sempre meno numerose e sempre più anziane, in soli 10 anni sono diminuite di oltre 2 milioni di unità. L’effetto combinato di questi fattori contribuisce a modificare la piramide delle età e ad accentuare gli squilibri generazionali.
Figura 1 Piramidi delle età al 1° gennaio 2003, 2023 e 2043 (valori percentuali)
In Italia il 50% degli uomini è ancora in vita all’età di 84 anni, per le donne tale quota si raggiunge a 88 anni e ad inizio 2024 si registra anche un nuovo record di ultracentenari: oltre 22.500, 2mila in più rispetto all’anno precedente.
Nel 2023, la popolazione al di sopra dei 65 anni di età costituisce il 24,1% della popolazione residente totale ed è in aumento anche solo rispetto all’anno precedente (era il 23,8% al 1° gennaio 2022), mentre continua a diminuire la quota di popolazione più giovane, al di sotto dei 15 anni, che oggi costituisce il 12,5% della popolazione. Gli individui ultra ottantenni ammontano a 4 milioni 554mila (7,6%), quasi 50 mila in più rispetto a 12 mesi prima e superano il numero dei bambini sotto i 10 anni (4 milioni 441mila).
In un’Europa che invecchia, l’Italia detiene il primato della età mediana più elevata, 48,4 anni, in aumento di 4 anni dal 2013, contro i 44,5 del cittadino medio europeo (+ 2 anni nello stesso decennio). Anche considerando l’indice di vecchiaia, ovvero il rapporto tra popolazione over 65 e quella under 15, l’Italia è il paese più anziano, con un valore dell’indice pari a 194. All’Italia seguono il Portogallo con un indice di 186, la Grecia con 171, mentre la media UE si attesta a 143.
Il processo di invecchiamento è destinato a proseguire anche nei prossimi anni, le proiezioni dell’Istat1, infatti, prevedono che nel 2043 la popolazione over 65enni ammonterà a quasi 19 milioni (33,6%), rispetto a circa 14 milioni del 2023, con un indice di vecchiaia che salirà a 307. I grandi anziani (80 anni e più) incrementeranno di circa 2 mln, superando gli oltre 6 mln. Al contrario, la popolazione nella fascia 1564 anni diminuirà a 20,6 milioni dagli oltre 37,5 milioni attuali (Cfr Figura 1).
Le dinamiche demografiche che hanno interessato l'Italia negli ultimi decenni hanno prodotto effetti disomogenei sul territorio, evidenziando marcate disparità tra il CentroNord e il Mezzogiorno, così come tra le aree interne e quelle centrali. In particolare, le aree interne hanno subito negli ultimi dieci anni un significativo spopolamento, soprattutto tra le fasce giovanili e adulte, con una perdita di popolazione più marcata nel Mezzogiorno (5%) rispetto al CentroNord (1,4%).
Le proiezioni indicano che questo divario si accentuerà ulteriormente nei prossimi vent'anni: si prevede una diminuzione complessiva del 3,6% della popolazione nei centri urbani e addirittura del 9,3% nelle aree interne. Queste ultime, già caratterizzate da difficoltà di accesso ai servizi essenziali e da una marcata emigrazione giovanile, affrontano un doppio peso: il progressivo invecchiamento della popolazione e la crescita delle malattie croniche non trasmissibili.
In alcune regioni del Mezzogiorno, come la Basilicata e il Molise, la maggioranza degli anziani risiede nelle aree interne, dove l'accesso a presidi sanitari e trasporti risulta particolarmente difficoltoso. In Basilicata, ad esempio, circa 107.000 anziani su 134.000 (80%) vivono in queste zone, mentre in Molise la percentuale è del 70%. Anche in regioni del Nord come il TrentinoAlto Adige, gli anziani nelle aree interne rappresentano una quota rilevante (cfr. Figura 2). La necessità di una rete sanitaria territoriale efficace è centrale per garantire supporto a queste comunità.
In tal senso, il PNRR individua nello sviluppo della sanità di prossimità un elemento chiave per la riqualificazione dei territori più vulnerabili.
L'Invecchiamento Attivo
L’invecchiamento della popolazione, pur rappresentando una sfida senza precedenti per l’Italia, offre anche opportunità significative. La crescente incidenza degli anziani rispetto alla popolazione totale porta con sé un potenziale contributo al benessere collettivo, riflettendo un’evoluzione dell’immagine sociale dell’invecchiamento.
Oggi, il concetto di vecchiaia non è più rigidamente legato all’età anagrafica, ma dipende da una serie di fattori quali la salute fisica e mentale, l’autosufficienza e la partecipazione attiva alla vita sociale, culturale ed economica. È una fase della vita che si è dilatata, durante la quale gli anziani possono continuare a svolgere ruoli significativi nella società.
Già negli anni Novanta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha introdotto il concetto di "invecchiamento attivo" (active ageing), spostando l’attenzione da un modello passivo, in cui gli anziani erano considerati destinatari di assistenza, a un approccio che valorizza il loro contributo attivo. Questa visione promuove pari opportunità e rispetto per i diritti delle persone anziane, incoraggiandone il coinvolgimento nella comunità, riconosce il valore delle persone anziane non solo come beneficiari di interventi, ma come attori essenziali per il benessere collettivo.
Figura 2 Percentuale di over65: confronto delle aree interne e dei centri per regione
Invecchiare in buona salute
Negli ultimi decenni, i miglioramenti nelle condizioni di vita hanno contribuito significativamente all’aumento dell’aspettativa di vita, ma se i guadagni di longevità non fossero accompagnati da un miglioramento delle condizioni di salute, l’aumento della vita media rischierebbe di tradursi semplicemente in un prolungamento del periodo vissuto in cattiva salute. Fortunatamente, gli indicatori qualitativi della sopravvivenza rivelano un dato incoraggiante: l’aspettativa di vita senza limitazioni tra gli anziani è cresciuta in modo significativo.
A 65 anni, l’aspettativa di vita per un uomo è di 18,9 anni, di cui 10,2 trascorsi senza alcuna limitazione nelle attività quotidiane e i restanti 8,7 anni con limitazioni. Rispetto al 2009, nonostante la battuta d’arresto causata dalla pandemia, l’aspettativa di vita è aumentata, con un guadagno significativo negli anni vissuti senza limitazioni, passati da 9,2 a 10,2 anni. Gli anni con limitazioni, invece, sono rimasti invariati a 8,7.
Per le donne, l’aspettativa di vita a 65 anni è di 21,9 anni, di cui circa 10 anni senza limitazioni e 12 convivendo con condizioni invalidanti. Le donne, quindi, vivono proporzionalmente più anni con limitazioni rispetto agli uomini, ma il miglioramento rispetto al 2009 è ancora più significativo perché da un lato. sono aumentati gli anni senza limitazioni, mentre quelli con limitazioni sono diminuiti. (cfr.figura1)
Questo scenario conferma l’ipotesi che i processi degenerativi legati all’invecchiamento, come l’insorgenza di patologie croniche debilitanti e la perdita di autonomia, stiano progressivamente spostandosi
verso età sempre più avanzate. Gli anni di vita guadagnati in buona salute rappresentano dunque un patrimonio demografico che può essere valorizzato. Questo risultato è stato reso possibile da stili di vita salutari adottati lungo l’intero arco di vita, sin dall’infanzia. Tali abitudini hanno avuto un ruolo determinante nel prevenire l’insorgenza di patologie cronicodegenerative non trasmissibili, tipiche soprattutto dell’età avanzata. L’innalzamento del livello di istruzione ha anch’esso contribuito in modo significativo al miglioramento della qualità della vita, influenzando positivamente abitudini e comportamenti anche nelle fasce di età più avanzate.
Altri indicatori evidenziano che i guadagni in termini di sopravvivenza non hanno comportato necessariamente un aumento complessivo della quota di anziani con problemi di salute. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è ridotta la percentuale di anziani con tre o più patologie croniche, passando dal 36,7% al 34,3%, con miglioramenti osservati in tutte le fasce d’età, ad eccezione degli over 80, per i quali la quota è rimasta stabile. Parallelamente, la percentuale di anziani con gravi limitazioni è scesa al 13,1%.
Anche la percezione della salute tra gli anziani mostra segnali di miglioramento, indipendentemente dall’età o dal genere. La percentuale di chi dichiara di sentirsi male o molto male è diminuita in modo significativo, passando dal 21,9% nel 2002 al 14,1% nel 2022. Proiettando i dati attuali nel futuro, sulla base del trend osservati e delle previsioni demografiche dell’Istat, si stima che entro il 2043 questa quota potrebbe scendere ulteriormente fino all'8,9%.
Figura 3 Speranza di vita a 65 anni per presenza di limitazioni nelle attività per sesso.
Anni 20092022 (in anni)
Se si analizza l’evoluzione di tali indicatori di salute in un’ottica di generazione, sono gli anziani nati dopo il 1940 che registrano miglioramenti rispetto agli anziani nati prima della seconda guerra mondiale, ov
vero quelle generazioni che hanno vissuto in età adulta negli anni del boom economico e in generale in migliori condizioni di vita.
Persone di 65 anni e più che dichiarano tre o più patologie croniche e di stare male o molto male per classe di età e sesso (per 100 persone)
Fonte: Istat, Indagine Aspetti della vita quotidiana
Nonostante questi progressi, la salute mentale rappresenta ancora un’area critica. Con un punteggio medio2 di 65,2 su 100, questa fascia d'età registra il livello più basso di benessere psicologico rispetto al resto della popolazione, specialmente tra i "grandi anziani, sottolineando una fragilità specifica che necessita di attenzione mirata. Le differenze tra uomini e donne sono particolarmente marcate: l’indice di benessere psicologico è di 69,4, per gli uomini e di 62.3 per le donne. Questa disparità, significativa, sembra essere influenzata dalla maggiore longevità femminile. Le donne tendono a vivere più a lungo rispetto agli uomini, ma spesso affrontano periodi più prolungati in condizioni di fragilità, con limitazioni fisiche o cognitive che influiscono negativamente sul benessere psicologico. Inoltre le donne anziane possono trovarsi in situazioni economiche più precarie, avendo spesso avuto carriere lavorative interrotte o meno remunerative, il che può contribuire a un senso di insicurezza e disagio. L’analisi di questi dati sottolinea l'importanza di politiche pubbliche integrate che considerino non solo l'aspetto fisico della salute nella terza età, ma anche il benessere psicologico, con un'attenzione particolare alle disparità di genere.
Stili di vita
Gli stili di vita degli anziani hanno subito importanti trasformazioni negli ultimi vent’anni, con alcuni segnali di progresso significativo. La pratica sportiva è
più che raddoppiata. Oggi il 16,4% degli anziani pratica sport, sia in modo continuativo che occasionale, un balzo notevole rispetto al 6,7% registrato nel 2003. Questo miglioramento ha coinvolto sia gli uomini che le donne, con una crescita più accentuata tra queste ultime, contribuendo così a ridurre il divario di genere in questa fascia di età.
Tuttavia, le differenze legate al livello di istruzione restano marcate. La pratica sportiva è nettamente più diffusa tra i più istruiti: tra le donne con un alto titolo di studio, ad esempio, è tre volte più frequente rispetto a quelle con un basso livello di istruzione. Per gli uomini, il rapporto è di circa due a uno (cfr. tabella 1). Parallelamente, anche sul fronte della sedentarietà si registrano segnali incoraggianti. Nell’ultimo anno, la quota di persone sedentarie di tre anni è più è scesa al 35 percento, con miglioramenti che hanno interessato quasi tutte le fasce di età. I cali più significativi si osservano tra i bambini di 610 anni, con una riduzione di 4 punti percentuali, e tra gli adulti e anziani di 6074 anni, con un calo ancora più marcato di 4,1 punti percentuali rispetto al 2022. Nonostante questi progressi, però, la sedentarietà rimane un problema rilevante tra gli anziani, soprattutto i più longevi. Tra le persone di 75 anni e oltre, il 54,7% degli uomini e ben il 72,8% delle donne si dichiarano sedentari. A partire dai 65 anni, più del 40% della popolazione non pratica alcuna attività fisica. La situazione è ancora più sfavorevole tra gli ultra set
2 Indice di salute mentale (SF36): L’indice di salute mentale è una misura di disagio psicologico (psy chological distress) ottenuta dalla sintesi dei punteggi totalizzati da ciascun individuo di 14 anni e più a 5 quesiti estratti dal questionario SF36 (36Item Short Form Survey). I quesiti fanno riferimento alle quattro dimensioni principali della salute mentale (ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale o emozionale e benessere psicologico). L’indice varia tra 0 e 100, con migliori condizioni di benessere psicologico al crescere del valore dell’indice.
tantacinquenni, dove oltre il 65% non svolge né sport né attività fisiche nel tempo libero. Analogamente alla pratica sportiva, la sedentarietà è più frequente tra chi ha un basso livello di istruzione. Nella popolazione di 65 anni e oltre la percentuale di chi non pra
tica sport né attività fisica nel tempo libero è pari al 29% tra coloro che possiedono almeno una laurea, mentre sale drasticamente al 63% tra chi ha conseguito al massimo la licenza media.
Tabella 1. Persone di 65 anni e più che svolgono / non svolgono pratica sportiva Anno 2023. Valori percentuali
Per quanto riguarda il peso corporeo, si osserva una stabilità nell’eccesso di peso, che coinvolge circa il 57% della popolazione anziana sia nel 2003 che nel 2023. Tuttavia, cresce la componente relativa all’obesità, che passa dal 13,6% al 14,8% nello stesso periodo. I livelli di obesità risultano simili tra uomini e donne, con un andamento di crescita uniforme che ha interessato entrambi i generi. Questo aumento si è registrato trasversalmente anche nelle diverse macro aree del Paese, confermando la necessità di interventi mirati per contrastare questa tendenza. Interessanti segnali di cambiamento positivo riguardano le abitudini alimentari degli anziani. È cresciuta, ad esempio, la quota di persone che dichiarano di fare una colazione adeguata, passata dal 79,8% all’85,1%, Parallelamente, si è ridotta la percentuale di coloro che saltano la prima colazione. Per quanto riguarda il consumo giornaliero di frutta e verdura, circa un anziano su quattro continua a rispettare l’abitudine di consumare quattro o più porzioni al giorno, un dato stabile nel tempo e superiore alla media della popolazione generale. Tuttavia, negli anni recenti si è osservata una lieve riduzione, in linea con le tendenze del resto della popolazione. Sul fronte del fumo emergono dinamiche contra
stanti. Tra i giovani anziani (6574 anni) si registra un peggioramento, con un aumento della quota di fumatori dal 12,6% al 15,6%. Tra gli ultra settantacinquenni, invece, si osserva un leggero miglioramento. Interessante il dato di genere: mentre tra gli uomini il tasso di fumatori è diminuito, tra le donne è raddoppiato, passando dal 4,4% all’8,8%.
Gli anziani rimangono in larga parte fumatori tradizionali di sigarette, con scarso interesse verso nuove modalità di consumo. L’analisi per livello di istruzione mostra che, storicamente, i fumatori sono più numerosi tra gli anziani con titoli di studio elevati, sebbene proprio tra questi si siano registrate le maggiori riduzioni nel tempo. Al contrario, tra le persone con livelli di istruzione mediobassi, la percentuale di fumatori è rimasta stabile.
Il consumo di alcol si mantiene abbastanza stabile: interessa poco più di 6 anziani su 10, con una prevalenza maggiore tra gli uomini (circa 80%) rispetto alle donne (circa 50%). Anche tra giovani e grandi anziani i livelli sono simili.
Si evidenzia però una riduzione significativa dei comportamenti di consumo più a rischio: la percentuale di anziani che supera i livelli giornalieri raccomandati è scesa dal 28,3% del 2003 al 16,7% nel 2023. Tutta
via, gli anziani continuano a presentare livelli di consumo eccedentario superiori alla media della popolazione, spesso a causa di una scarsa conoscenza dei limiti raccomandati. Anche in questo caso, i comportamenti più a rischio si riscontrano prevalentemente tra gli anziani con titoli di studio più alti. Complessivamente quasi la metà degli anziani (44,6 percento) associa almeno due comportamenti a rischio per la salute( tra fumo, obesità e sedentarietà) contro il 35,1% della popolazione complessiva. Le analisi forniscono un quadro sfaccettato degli stili di vita evidenziando una popolazione anziana che sta compiendo progressi significativi. L'aumento dei livelli di attività fisica, in particolare tra le donne, è un segnale incoraggiante non solo per migliorare la salute fisica, ma anche per ridurre il rischio di isolamento sociale, un fattore importante per il benessere complessivo.
Allo stesso modo la partecipazione culturale riveste una importanza strategica, per gli anziani. Emerge in generale un trend positivo verso un maggiore coinvolgimento culturale, anche se ci sono variazioni in
alcuni ambiti che meriterebbero ulteriori indagini per capire se sussistono fattori che potrebbero ostacolare l’adesione degli anziani come ad esempio il fatto di vivere in un luogo isolato, i costi o le difficoltà di accesso. Oggi, il 24 per cento degli anziani tra 65 e 74 anni e il 10,5 per cento di quelli di 75 anni e più partecipa ad almeno due attività culturali fuori casa nel corso di un anno. Rientrano in questa definizione di partecipazione una vasta gamma di attività che si svolgono fuori dal contesto domestico, come andare al cinema, assistere a spettacoli teatrali, a concerti, a eventi sportivi, partecipare a visite culturali come mostre e musei.
E’ interessante osservare che la partecipazione culturale, pur essendo inferiore alla media della popolazione, è cresciuta esclusivamente tra gli anziani, in particolare grazie al contributo positivo delle persone di 6574 anni (15,8 per cento), che sono più attivi oggi di quanto lo fossero in passato in tutti gli ambiti che sono stati indagati, come emerge più dettagliatamente dal prospetto seguente:
Tabella 2. Partecipazione culturale e uso tecnologie. Anziani 6475 anni Confronti anni 2003,2013 e 2023
L'interesse per i musei e le visite culturali è al primo posto tra le attività culturali con il 23, 4 percento di partecipazione tra 65 e 74 anni, in aumento di ben 8 punti percentuali rispetto a 20 anni fa; il lieve calo registrato negli ultimi anni potrebbe ancora riflettere un effetto temporaneo seguito alla pandemia. Rispetto al 2003, si registra una crescente attrazione verso il patrimonio culturale: è quasi raddoppiata, attestandosi al 22 percento, la quota di visitatori a siti archeologici e monumenti in questa fascia di età. Sono andati al cinema almeno una volta nell’ultimo anno il 19,4 percento di questi “giovani anziani”, a teatro il 15,2 percento; in questi casi l’impatto della digitalizzazione o della preferenza per altre forme di intrattenimento potrebbe avere frenato la crescita negli anni più recenti. Infine gli spettacoli sportivi hanno attirato il 13 percento di persone di 6574 anni, in crescita di soli tre punti percentuali, infatti la partecipazione a questo tipo di eventi ha mostrato una ripresa solo nell'ultimo decennio. Rimane notevolmente elevato il divario in termini di partecipazione tra anziani che possiedono al più la licenza media e anziani con almeno la laurea: il rapporto era di 1 a 7 nel 2003 ed è di 1 a 6 nel 2023. Per la partecipazione sociale e culturale, gli avanzamenti registrati fino al 2019 sono stati bruscamente interrotti dalla crisi sanitaria. Oltre il 90 per cento delle persone con 75 anni e più non ha fruito di spettacoli fuori casa nel 2021. Il recupero osservato nel 2022 non è bastato a riportare il vantaggio acquisito fino al 2019. La partecipazione civica e politica, invece, sembra non aver subito particolari effetti a causa della pandemia e nel 2023 riguarda ben 6 anziani su 10, mentre per quanto concerne la partecipazione religiosa, più di un anziano su 4 ha frequentato un luogo di culto almeno una volta a settimana nel corso dell’anno, la quota sale al 28,4 % per i laureati.
La diffusione delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione negli ultimi decenni ha interessato anche la popolazione anziana, sebbene ancora oggi questo segmento di popolazione sia più a rischio di esclusione digitale. Solo 4 persone su 10 di 65 anni e più, infatti, utilizzano Internet regolarmente, mentre quasi la metà è un “non utente”, sebbene nel confronto con il 2003 emerga un sorprendente miglioramento.
Nel 2023, la differenza tra gli utenti regolari di 65 anni e più con almeno un diploma di istruzione secondaria e quelli con un titolo di studio fino alla licenza media è di 36,2 punti percentuali per gli uomini e di 40,7 punti percentuali per le donne. Il divario digitale di questa fascia di popolazione, dunque, è destinato a ridursi molto nei prossimi decenni, quando diventeranno anziane le generazioni del baby boom, più istruite e più abituate all’utilizzo delle tecnologie.
ATTIVITÀ FISICA, OSTEOPOROSI E GRUPPALITÀ: IL PROGETTO HAPPY
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS, l'osteoporosi è “una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da bassa massa ossea (BMD) e da alterazioni architetturali dell'osso, che portano a un aumentato rischio di fratture”. Questa patologia è associata a vari fattori come l'età, il sesso, gli squilibri ormonali, l'inattività fisica e la dieta. Le persone anziane e le donne in postmenopausa sono le categorie con maggiori probabilità di sviluppare osteoporosi e di subire fratture a causa di fattori di rischio non modificabili, come l’invecchiamento e il genere. L’attività fisica (AF) e un corretto apporto nutrizionale sono invece i principali fattori di rischio modificabili che caratterizzano questa patologia ed è ormai chiaro che rappresentano i due punti chiave per la prevenzione e il trattamento nonfarmacologico dell’osteoporosi. Nonostante le linee guida dell’OMS, sia le donne in postmenopausa che la popolazione over 65 in generale non raggiungono la quantità minima di AF raccomandata e non assumono quantità sufficienti dei nutrienti chiave per la salute delle proprie ossa. Ciò evidenzia, quindi, l'urgente necessità di trovare nuove strategie per implementare l'adesione a pratiche salutari, in particolare in termini di partecipazione a protocolli strutturati di AF. Considerato che la menopausa insorge quando le donne sono ancora in età lavorativa, il posto di lavoro, dove esse generalmente trascorrono la maggior parte del loro tempo, perlopiù in posizione seduta, e che rappresenta quindi una delle principali sedi di sviluppo di atteggiamenti sedentari, potrebbe essere il luogo strategico per promuovere protocolli di AF che possano essere facilmente fruibili e sostenibili a lungo termine, in grado di prevenire condizioni patologiche croniche, come l'osteoporosi. Un esperimento in tal senso è rappresentato dallo studio "Happy Bones Italia", promosso dall’Università degli Studi di Roma "Foro Italico" e rivolto alle proprie dipendenti in età postmenopausale, e quindi ad alto
rischio di osteopenia e osteoporosi, con lo scopo di valutarne il tasso di dropout e la compliance ad un protocollo di allenamento combinato e adeguatamente strutturato, svolto sul posto di lavoro, per 6 mesi, durante la pausa pranzo. In tutte le partecipanti, inoltre, all’inizio e alla fine delle attività, sono stati misurati la composizione corporea, la densità minerale ossea e vari parametri funzionali indicativi dell’efficienza fisica, per valutare l'impatto di questo intervento sull’ osteoporosi e sulla salute generale. Inoltre, è stato loro proposto un questionario sulle abitudini alimentari per verificare l’adeguatezza della loro dieta e stimare l'assunzione di alcuni nutrienti fondamentali.
Per completare la compresnione dell’efficiacia del protocollo in termini di aderenza delle partecipanti, lo studio ha considerato alcune determinanti di natura sociale. L’obiettivo di questo approfondimento è stato quello di verificare l’incidenza di fattori sociali, di autopercezione e di motivazione delle donne coinvolte nello studio, sul grado di aderenza all’ attività. Il metodo adottato è stato quello delle interviste somministrate con uno studio longitudinale a panel, in due tempi diversi ; questo per evidenziare i processi di cambiamento direttamente associati allo scorrere del tempo o alla presenza di un fenomeno avvenuto nel corso del tempo trascorso tra le diverse fasi della ricerca.
Lo stesso protocollo è stato poi proposto in altri 4 paesi europei oltre l’Italia (Spagna, Bulgaria, Romania e Turchia) nell'ambito del progetto europeo cofinanziato dal programma ERASMUS+ SPORT dal titolo “Physical Activity in women in menopause: a collaborative partnership for active lifestyles for prevention and treatment of osteoporosis/HAPPY BONES”, grazie al quale è stato possibile valutare la compliance all’esercizio fisico proposto in due differenti sedi di svolgimento: un centro fitness o il luogo di lavoro.
I risultati dello studio “Happy Bones Italia” hanno evidenziato una buona assiduità alle sedute di allenamento, con un tasso di partecipazione medioalto per più di un terzo delle donne impegnate nel protocollo. Questo risultato, superiore alla media di studi analoghi presenti in letteratura, rappresenta un dato estremamente incoraggiante e suggerisce che questa modalità di intervento può rappresentare un importante punto di partenza per lo sviluppo di iniziative finalizzate alla promozione della salute e dell’attività fisica sul luogo di lavoro.
Ottimi anche i risultati emersi sulla fitness delle partecipanti (forza, potenza, fitness cardiovascolare, flessibilità etc.); quelli sulla salute ossea, benché non significativi, sono comunque molto incoraggianti e ci consentono di essere cautamente ottimisti sull’efficacia del protocollo di attività fisica proposto. Sei mesi di esercizio fisico ben strutturato, adattato e supervisionato da chinesiologi specializzati in Attività Motoria Preventiva e Adattata (AMPA), hanno indotto nelle partecipanti un miglioramento della Massa Minerale Ossea della colonna vertebrale lombare dello 0,64%; seppur di piccola entità, questo incremento rappresenta un buon risultato, soprattutto se confrontato con quello del gruppo di donne che non hanno svolto attività fisica nelle quali si è registrato un peggioramento dell’1,82%. Ancora più evidente è risultato il miglioramento della densità minerale ossea a livello del femore: nelle partecipanti al protocollo di allenamento il Tscore è passato da una media di 1,13 a 0,98, ricollocandosi ad un valore di normalità (con valori inferiori a 1 un soggetto è considerato osteopenico). Ciò che è emerso chiaramente da questo studio è che il protocollo Happy Bones si è dimostrato efficace nel migliorare la forza degli arti inferiori, oltre che l’equilibrio statico e dinamico, la flessibilità etc. Questo aspetto è molto importante perché la forza e l’equilibrio sono due componenti fondamentali nella prevenzione e nel trattamento dell’osteoporosi e delle sue conseguenze, quali le cadute. Sul piano sociale, i risultati della ricerca hanno indicato che il coinvolgimento in un gruppo e la socializzazione durante l'esercizio fisico sul WP abbiano svolto un ruolo fondamentale nell’aderenza, considerata l’onerosità dell’impegno per lo svolgimento di quella attività. Inoltre, la dimensione dell’intervista ha investigato il grado di benessere fisico e mentale percepito da individui dopo il loro ritorno al lavoro in seguito all'attività fisica svolta. Infine, l’attività ha accelerato processi di partecipazione ad attività fisiche supplementari al di fuori del programma di studio,
sia sul luogo del lavoro o anche fuori, evidenziando un’incidenza sull’attribuzione valorial e esulla consapevolezza in termini di salute e prevenzione attraverso l’attività fisica, presupposto per un cambiamento culturale benefico per ogni categoria sociale.
Anche il protocollo “Happy Bones Europa” ha evidenziato risultati simili e altrettanto incoraggianti. Dai risultati sull’aderenza è emerso che il tasso di abbandono (dropout) si riduce quando l’attività fisica viene proposta sul posto di lavoro piuttosto che in un centro sportivo, ma gli effetti sulla salute generale delle partecipanti, in termini di aumento di forza ed equilibrio, sono ottimi in entrambe le soluzioni adottate. Alla luce di questi risultati estremamente positivi, emerge la necessità di promuovere campagne di sensibilizzazione che educhino le donne in menopausa, e gli adulti in generale, sull’importanza di svolgere regolarmente esercizio fisico e adottare una dieta equilibrata per mantenere una buona salute ossea e una buona efficienza fisica, al fine di prevenire la perdita di massa ossea prematura, le cadute ed evitare la malnutrizione tipica degli anziani. A tal fine sarebbe importante che le associazioni a tutela della salute delle donne e tutti gli Enti e Istituzioni che si occupano di salute e sport (ministeri, università di scienze motorie, fondazioni/consigli nazionali per la nutrizione) collaborassero come vera e propria “rete” per promuovere iniziative basate sul modello proposto da “Happy Bones”, che abbiano come obiettivo non solo la prevenzione e la gestione dell’osteoporosi, ma anche di altri tipi di malattie croniche e che individuino nel posto di lavoro il luogo di elezione per la promozione della salute.
Referenze:
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2) WHO. Assessment of fracture risk and its application to screening for postmenopausal osteoporosis: report of a WHO study group [meeting held in Rome from 22 to 25 June 1992] 1994; [Internet]. Available from https://apps.who.int/iris/ handle/10665/39142 [cited 2023, May 29].
3) Borgström F, Karlsson L, Ortsäter G, Norton N, Halbout P, Cooper C, et al.; International Osteoporosis Foundation. Fragility fractures in Europe: burden, management and opportunities. Arch Osteoporos 2020;15:59.
4) Howe TE, Shea B, Dawson LJ, Downie F, Murray A, Ross C, et al. Exercise for preventing and treating osteoporosis in postmenopausal women. Cochrane Database Syst Rev 2011;7(CD000333):CD000333.
5) Beck B, Shaw J, Snow C. Physical activity and osteoporosis. In: Marcus R, Feldman D, Kelsey K, editors. Osteoporosis, 2001. Second edition. San Diego, CA: Academic Press; p. 701–20.
6) Shojaa M, Von Stengel S, Schoene D, Kohl M, Barone G, Bragonzoni L. Effect of Exercise Training on Bone Mineral Density in Postmenopausal Women: A Systematic Review and MetaAnalysis of Intervention Studies. Front Physiol 2020;11:652.
7) Bauer J, Biolo G, Cederholm T, Cesari M, CruzJentoft AJ, Morley JE, et al. Evidencebased recommendations for optimal dietary protein intake in older people: a position paper from the PROTAGE Study Group. J Am Med Dir Assoc 2013;14:542–59.
8) Kanis JA, Cooper C, Rizzoli R, Reginster JY; Scientific Advisory Board of the European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis (ESCEO) and the Committees of Scientific Advisors and National Societies of the International Osteoporosis Foundation (IOF). European guidance for the diagnosis and management of osteoporosis in postmenopausal women. Osteoporos Int 2019;30:3–44.
ATTIVITÀ FISICA, SALUTE COGNITIVA E PLANETARY HEALTH: UN'ANALISI INTEGRATA
Ranieri Guerra
Esperto in politiche sulla salute e la sanità, Direttore Geneale CITIES+ , già DG prevenzione, Minsalute e ADG, WHO, Ginevra; consulente CREMS, AGMpc
Fondamenti scientifici ed epigenetica
La relazione tra attività fisica, plasticità cerebrale e prevenzione del declino cognitivo si intreccia sempre più con i meccanismi epigenetici e l'approccio Planetary Health. L'attività fisica non solo influenza positivamente la salute mentale e cognitiva, ma modula anche espressioni geniche attraverso modificazioni epigenetiche. Recenti studi (Ehlert et al., 2023; Nature Communications) dimostrano che l'esercizio fisico regolare modifica i livelli di metilazione del DNA e l'acetilazione degli istoni, migliorando la neuroplasticità e riducendo l'infiammazione sistemica (1, 2).
Meccanismi neurobiologici ed epigenetici
La metanalisi di Voss et al. (2023, Nature Reviews Neuroscience) ha confermato come l'esercizio fisico stimoli la plasticità cerebrale attraverso tre principali meccanismi epigenetici e biologici (2, 3):
•Produzione di BDNF: il BrainDerived Neurotrophic Factor, modulato epigeneticamente, migliora la connettività sinaptica e la memoria a lungo termine.
•Ottimizzazione vascolare: l'attività fisica induce una riduzione dell'ipometilazione di geni associati alla vascolarizzazione cerebrale, aumentando l'ossigenazione del tessuto neuronale.
•Riduzione dell'infiammazione: esercizi aerobici regolari modulano negativamente l'espressione di geni proinfiammatori attraverso microRNA specifici (miR155, miR21), contribuendo alla prevenzione del declino cognitivo.
Lo studio FINGER (Kivipelto et al., 2022, The Lancet) ha mostrato una riduzione del 40% del rischio di declino cognitivo nei soggetti fisicamente attivi (3), mentre Ward et al. (2023, Cambridge Centre) hanno evidenziato miglioramenti specifici nei portatori dell'allele APOEε4. (2, 3)
Dimensione Planetary Health ed equità transgenerazionale
Gli impatti dell'attività fisica sulla salute si estendono oltre il singolo individuo, contribuendo alla salute planetaria e alla giustizia intergenerazionale. Nieuwenhuijsen et al. (2022, The Lancet Planetary Health) hanno documentato come l'accesso a spazi verdi riduca il rischio di malattie neurodegenerative del 2030%, evidenziando al contempo benefici epigenetici trasmessi alle generazioni future (4).
Gli interventi ambientali, come la creazione di infrastrutture verdi, mitigano gli effetti epigenetici negativi derivanti dall'inquinamento atmosferico, promuovendo una resilienza neurobiologica nei discendenti (4).
Implicazioni legali
L'integrazione delle scoperte epigenetiche nelle politiche pubbliche richiede un ripensamento dei quadri normativi. La giustizia transgenerazionale, basata sul principio che le generazioni future non debbano ereditare le conseguenze dannose delle azioni attuali, deve guidare la pianificazione urbana e ambientale. Ad esempio:
• Regolamentazioni ambientali: ridurre gli inquinanti atmosferici (PM2.5, metalli pesanti) che inducono modificazioni epigenetiche dannose.
• Pianificazione urbana sostenibile: incoraggiare infrastrutture verdi che migliorino sia la salute pubblica sia la resilienza epigenetica delle comunità.
Questi interventi si allineano con strategie europee, come l'European Green Deal (2019) e la EU Biodiversity Strategy (2030), che sottolineano l'importanza di un approccio integrato alla salute umana e ambientale.
Tecnologie digitali e gemelli digitali
Le tecnologie digitali rappresentano una frontiera emergente per ottimizzare i benefici dell’attività fisica sulla salute cognitiva e planetaria. Dispositivi indos
sabili o wearable, app e intelligenza artificiale (IA) stanno trasformando il modo in cui l’attività fisica viene monitorata e personalizzata (7, 8).
Wearable e app
Secondo Johnson et al. (2023, BMJ Digital Health), i dispositivi wearable, come smartwatches e fitness trackers, consentono di raccogliere dati in tempo reale su parametri chiave, quali:
• Frequenza cardiaca.
• Livelli di attività fisica.
• Qualità del sonno.
Attraverso app integrate, è possibile fornire feedback personalizzati e piani di allenamento adattivi basati su dati biometrici. Questi strumenti favoriscono una maggiore aderenza ai programmi di esercizio fisico, aumentando l’efficacia degli interventi (8).
Integrazione di movimento fisico e terapie digitali Il movimento fisico e lo sport possono integrarsi perfettamente con le tecnologie wearable per massimizzare i benefici terapeutici. Dispositivi come i fitness trackers consentono di:
• Monitorare il consumo calorico e l'intensità degli allenamenti per mantenere regimi ottimali.
• Fornire avvisi per mantenere la frequenza cardiaca entro soglie salutari.
• Registrare progressi e obiettivi personali, favorendo la motivazione.
Questi dati possono essere analizzati attraverso app che utilizzano algoritmi avanzati per personalizzare ulteriormente i regimi di esercizio. Ad esempio, un'app può suggerire esercizi specifici basati su metriche come la variabilità della frequenza cardiaca o la qualità del sonno monitorata. L'interazione tra wearable e app facilita inoltre il rilevamento precoce di eventuali anomalie fisiologiche, che possono essere affrontate con interventi tempestivi.
Gemelli digitali
L’utilizzo dell’IA per sviluppare gemelli digitali — rappresentazioni virtuali dei pazienti basate su dati personali — sta rivoluzionando l’approccio alla personalizzazione dell’attività fisica (8). Questi modelli permettono di:
• Simulare l’impatto di specifici regimi di esercizio sulle condizioni di salute individuali.
• Prevedere l’efficacia di interventi su base epigenetica e genetica.
• Ottimizzare i protocolli di esercizio in funzione di parametri specifici, come l’età, le condizioni preesistenti e il profilo metabolico.
Valutazione dell'efficacia
Le terapie digitali basate su wearable e gemelli digitali si sono dimostrate altamente efficaci nella prevenzione, dilazione e mitigazione del declino cognitivo. Secondo uno studio di Smith et al. (2023, Journal of Digital Medicine), l'implementazione di protocolli personalizzati ha ridotto il tasso di progressione del declino cognitivo del 25% rispetto a interventi standardizzati. Inoltre, l'uso di app integrate con wearable ha incrementato l'aderenza alle terapie del 40%, migliorando l'efficienza dei programmi preventivi. I gemelli digitali consentono inoltre di prevedere l'evoluzione di condizioni neurodegenerative con una precisione del 90% (Brown et al., 2023, Artificial Intelligence in Medicine), permettendo interventi tempestivi e ottimizzati.
Qualche dato
Secondo l'ISTAT (2023), la prevalenza di declino cognitivo in Italia aumenta significativamente con l'età. I calcoli assoluti sono stati effettuati sulla base di una popolazione residente di circa 59 milioni di persone, di cui il 23% (13.57 milioni) ha 65 anni o più (7):
Costi documentati
Secondo il World Bank Urban Development Series (2023) i costi dell’adeguamento degli spazi verdi urbani sono elevati, considerando le necessità delle grandi metropoli, ma l’impatto potenziale che hanno nei confronti della mitigazione dei costi della demenza sempre vantaggiosi. Questi sono infatti sostanziali e destinati ovviamente a crescere con l’invecchiamento della popolazione, soprattutto della fascia d’età degli ultraottantacinquenni:
1.Infrastrutture verdi urbane:
• Costo iniziale: €300600/m² per parchi attrezzati base.
• Manutenzione annuale: €13/m².
2.Costi sanitari legati alla demenza in Italia (ISS, 2023):
L’impatto della realizzazione di spazi verdi equipaggiati per un’utilizzazione sportiva misurata sull’età della cittadinanza e personalizzata con l’utilizzazione delle tecnologie dell’Internet of Things (IoT, 6) garantiscono un ROI elevato. Infatti, il WHO Health Economic Assessment Tool (2023) stima:
1. Riduzione costi sanitari:
• €18,00025,000/caso prevenuto/anno.
• ROI sanitario: 1:2.4 su 5 anni.
2.Benefici ambientali (European Investment Bank, 2023):
• Riduzione emissioni: €4060/persona/anno.
• Servizi ecosistemici: €515/m²/anno (7, 8).
Raccomandazioni
1.Promozione dell'attività fisica: sviluppare programmi pubblici basati su evidenze che integrino l'attività fisica con la prevenzione del declino cognitivo e la sostenibilità ambientale.
2.Monitoraggio epigenetico: introdurre biomarcatori epigenetici (es. metilazione di BDNF e infiammazione sistemica) per valutare gli impatti a lungo termine.
3.Infrastrutture verdi: incentivare corridoi ecologici e parchi urbani che migliorino la salute fisica e mentale, riducendo al contempo l'impatto ambientale, con spazi fitness sostenibili.
4.Politiche sanitarie: prescrizione di attività fisica, integrazione dati nel Fascicolo Sanitario Elettronico e incentivi per stili di vita attivi.
5.Politiche di giustizia ambientale: responsabilizzare le industrie e i governi attraverso normative che pre
vengano effetti epigenetici negativi sulla popolazione e sulle generazioni future.
6.Innovazione tecnologica: sviluppare e implementare piattaforme digitali, wearable e gemelli digitali per ottimizzare i benefici fisici e cognitivi legati all'attività fisica, introducendo strategie come la gamification per fasce di età e di livello socioeducativo.
7.Formazione: Aggiornamento curriculare e formazione continua per operatori sanitari (7, 8, 9).
Conclusioni e prospettive
L'integrazione di attività fisica e Planetary Health offre una strategia promettente per la prevenzione del declino cognitivo. L'analisi economica documenta la sostenibilità degli investimenti, con un ROI sanitario di 1:2.4 su 5 anni (WHO, 2023). Le raccomandazioni proposte forniscono un framework operativo con una chiara evidenza di efficacia per l'implementazione di politiche che promuovano simultaneamente salute individuale e sostenibilità ambientale.
La sfida futura sarà l'integrazione efficace nei sistemi sanitari esistenti, considerando:
1.Specificità territoriali.
2.Risorse disponibili.
3.Monitoraggio dei risultati e dell’impatto.
4.Ottimizzazione degli investimenti.
Questo approccio integrato richiede un impegno coordinato tra promotori e portatori di interessi sanitari, ambientali e urbanistici, supportato da evidenze scientifiche rigorose e analisi economiche trasparenti.
Bibliografia
1.Ehlert, T., Simon, P., & Moser, D. A. (2013). Epigenetics in sports. Sports Medicine, 43(2), 93110.
2.Voss, M. W., Nagamatsu, L. S., LiuAmbrose, T., & Kramer, A. F. (2023). Exercise, brain, and cognition across the lifespan. Nature Reviews Neuroscience, 24(1), 150161.
3.Kivipelto, M., Mangialasche, F., & Ngandu, T. (2022). Lifestyle interventions to prevent cognitive impairment, dementia and Alzheimer disease. The Lancet Neurology, 19(12), 986998.
4.Nieuwenhuijsen, M. J., Khreis, H., TrigueroMas, M., Gascon, M., & Dadvand, P. (2022). Pathways to healthy urban living. The Lancet Planetary Health, 6(1), 1420.
5.ISS (2023). Prevalence and cost of dementia in Italy. Report Epidemiologico.
6.An Overview: Understanding the Issues and Challenges of a More Connected World, By Karen Rose, Scott Eldridge, Lyman Chapin, October 2015 (https://d1wqtxts1xzle7.cloudfront.net/)
7.WHO (2023). Health Economic Assessment Tool (HEAT) for walking and cycling. WHO Regional Office for Europe.
8.ISTAT (2023). Dati demografici e prevalenza di declino cognitivo. Statistiche ufficiali italiane.
9.Johnson, M. J., & Mandl, K. D. (2023). Wearable devices in the medical Internet of Things. BMJ Digital Health, 2(1), e000019.
ANZIANI E COMMUNITY HUB
Luca Benvenga
Ricercatore presso il Dipartimento di Benessere, Nutrizione e Sport dell’Università Pegaso di Napoli
Discutere di anziani e partecipazione vuole dire dare una visione più complessa del fenomeno della vecchiaia rispetto alla sua immagine stereotipata. Infatti, se la percezione che si ha dell’anziano quale vettore di preoccupazione sociale è uno dei punti di vista oggi prevalenti, l’altro punto di vista riguarda il considerare la terza età come risorsa della società.
Da diversi decenni, la valorizzazione dell’anziano viene intesa proprio in connessione con la partecipazione alle attività sociali. In questo senso, ad assumere un’importanza prevalente sono i progetti in ambito ricreativo, promossi soprattutto dal mondo dal mondo del terzo settore, in cui, tra gli altri scopi, prevale l’organizzazione del tempo libero. Questo favorisce la costruzione di un’identità sociale attraverso l’attivazione di processi partecipativi.
La partecipazione è alla base dell’etica di reciprocità che anima i progetti sociali. Parte di questi progetti si intrecciano con le pratiche di rigenerazione urbana finalizzate alla riqualificazione di aree cittadine – si vedano, in questo senso, le pratiche collettive volte all’adozione di uno spazio verde. Tali processi possono essere letti attraverso il potenziamento di azioni istituzionali, di tipo pubblico o privato. Ciononostante, questi interventi si devono misurare con i preesistenti limiti territoriali e strutturali di alcune aree geografiche, laddove la carenza di servizi e infrastrutture è ampiamente tangibile e non affrontabile da una dimensione meramente localista. Rivolgere l’attenzione alla valorizzazione del potenziale di una persona anziana vuole significare rispondere ai mutui bisogni attraverso una logica comunitaria. In questa cornice, la comunità diventa espressione di un nuovo protagonismo dell’anziano quale soggetto attivo nella vita pubblica. Il concetto di comunità, con i suoi valori e le sue forme di autoorganizzazione, promuove la produzione di ambiti di reciprocità, a partire dai quali si costituiscono i legami sociali improntati su un senso di solidarietà. Una possibile pratica innovativa che tiene insieme la partecipazione sociale, la comunità e i nuovi perimetri dell’inclusività degli anziani sono i Community hub: spazi territoriali che da qualche anno a questa parte hanno assunto un ruolo dominante nel dibat
tito pubblico sulle politiche socioculturali per la cittadinanza attiva. Sono spazi che mettono al centro la relazione tra le persone e la loro comunità, luoghi in cui poter erogare una serie di attività di diversa natura (ludicoricreativa, assistenziali e di cura), che consentono uno sviluppo qualitativo del quartiere in cui sorgono e consolidano un network di intelligenze. Di fatto, sono centri che favoriscono e moltiplicano le opportunità di scambio relazionale, in cui si intrecciano le occasioni di prossimità tra i singoli e i gruppi, e per estensione tra le sfere individuale, sociale e urbana.
In questi ambiti a prevalere è il bisogno di sentirsi parte di un gruppo più ampio, di soddisfare alcuni bisogni fondamentali, di essere attivi nella comunità. Esperienze come i Community hub possono essere realizzate da istituzioni pubbliche, soggetti privati o dalla stessa società civile, e sono occasioni fondamentali per lo sviluppo di politiche inclusive. Più in generale, con i Community hub è possibile stabilire una sinergia tra politiche sociali e riqualificazione urbana, tra attività ricreativa e vita del quartiere. Per questo, il miglioramento di ambienti e spazi di socialità rappresenta un ambito strategico per lo sviluppo proattivo del singolo e del territorio che abita.
Possiamo considerare, dunque, i Community hub come premessa alla riconcettualizzazione della terza età. Le finalità sono quelle di far sentire l’anziano al centro di un progetto di vita, di responsabilizzarlo e riconoscere il suo protagonismo, come cittadino e come persona, attraverso interventi e strategie con al centro l’individuo e il suo territorio.
Il contrasto al deperimento delle funzioni cognitive e relazionali della popolazione anziana richiede la promozione di varie attività di socializzazione e di aggregazione. Fornire interventi di natura integrativa, e proporre iniziative ricreative, significa includere nella sfera sociale una fascia di popolazione altrimenti esclusa, motivarla a partecipare a proposte di interesse collettivo e incentivarla a essere protagonista di un progetto di vita condiviso.
UN MONDO CHE INVECCHIA
Invecchiare nella società contemporanea: il valore dell’impegno civico
Stefano Tomelleri
Università degli studi di Bergamo, Presidente Associazione Italiana di Sociologia
La popolazione mondiale di persone over 65 anni è destinata più che a raddoppiare, passando da 761 milioni nel 2021 a 1,6 miliardi nel 2050. Le donne tendono a vivere più a lungo degli uomini e costituiscono la maggioranza delle persone in età avanzata. L'invecchiamento della popolazione è una tendenza globale irreversibile, risultato della transizione demografica verso vite più lunghe e famiglie meno numerose. L'invecchiamento è un fenomeno inevitabile, ma il modo in cui lo percepiamo e lo viviamo può variare notevolmente. Molto dipende dalle narrazioni sociali con cui rappresentiamo la condizione degli anziani. Queste narrazioni, che includono storie, immaginari e rappresentazioni, influenzano profondamente la nostra identità, i campi di intervento sociale e possono limitare le nostre possibilità, producendo immagini e aspettative pregiudizievoli.
Anziani: oltre gli stereotipi
Nel caso dell’invecchiamento, siamo di fronte a due narrazioni contrastanti e contraddittorie: da un lato, le narrazioni sociali spesso ritraggono la terza età come un periodo di declino e perdita, marginalizzando gli anziani e riducendo le loro opportunità di partecipazione sociale; dall’altro, enfatizzano il mantenimento della giovinezza e dell'attività, sfidando i limiti dell’età.
Entrambe queste narrazioni sono problematiche perché stereotipano l'invecchiamento e non riconoscono la diversità e il potenziale della vecchiaia. Nella società contemporanea, l'invecchiamento è diventato un percorso individualizzato e diversificato, con una maggiore libertà e autonomia per organizzare la propria vita e la vecchiaia. Sebbene l’aspettativa di vita globale rifletta una migliore salute complessiva, offrendo nuove sfide e opportunità per la realizzazione di sé,
la salute tra gli anziani varia considerevolmente tra e all'interno dei paesi. Le disuguaglianze di reddito, istruzione e condizioni di vita, inclusi fattori razziali o etnici, sono determinanti della salute e dei rischi di mortalità. Queste disuguaglianze evidenziano che la vulnerabilità esistenziale è una dimensione intrinseca della condizione sociale, che diventa particolarmente rilevante nell'invecchiamento. Assumere la vulnerabilità nella narrazione di sé, non solo aiuta a vivere la vecchiaia come una fase con valore e significato propri, portando a una maggiore empatia e solidarietà, ma orienta il nostro modo di intervenire nel governo dell’invecchiamento in un’ottica complessiva di miglioramento della qualità della vita.
Prevenire è fondamentale, ma non basta Assumere la vulnerabilità esistenziale della condizione umana e sociale, indipendentemente dall’età, implica una serie di interventi sociali coerenti. Innanzitutto, la promozione della salute e la prevenzione delle malattie durante tutto il corso della vita sono azioni fondamentali per mantenere la capacità funzionale degli anziani e garantire una buona qualità della vita. Tuttavia, prevenire non basta. In secondo luogo, è necessario ripensare il modo di fornire assistenza agli anziani di oggi e domani. La domanda di assistenza a lungo termine è in aumento e la scarsità di servizi accessibili ed equi ha un impatto negativo sulle persone in età avanzata, le loro famiglie e l'intera società. Le pensioni di vecchiaia e l'accesso all'assistenza sanitaria sono fondamentali per ridurre la povertà e la disuguaglianza tra gli anziani. Inoltre, sono necessari gli investimenti in lavori dignitosi, poiché la stagnazione dei salari mette a rischio la capacità delle persone di risparmiare per la vecchiaia. Infine, accanto agli interventi sociali di prevenzione delle malattie, 53 Sport City
di promozione di una vita sana e di contrasto delle disuguaglianze economiche, è fondamentale valorizzare il contributo sociale degli anziani. Ne è un esempio la valorizzazione dell’impegno civico, che è la capacità di condurre una vita con e per gli altri. Qui è essenziale il riconoscimento sociale, che include amore, rispetto e solidarietà. Questi elementi sono cruciali nel sostenere l’attivazione morale e nel promuovere una visione positiva dell'invecchiamento.
Conclusioni
In conclusione, gli studi sociologici indicano che è essenziale sviluppare, accanto alla promozione della salute in tutte le fasi della vita, delle narrazioni sull’invecchiamento capaci di riconoscere il valore sociale della vecchiaia. Queste narrazioni possono promuovere una visione più inclusiva e rispettosa dell'invecchiamento, contribuendo a migliorare la qualità della vita non solo degli anziani, ma delle persone lungo tutto il corso della loro vita, sostenendo la loro legittima realizzazione di sé in una visione consapevole della vulnerabilità esistenziale. Future ricerche e interventi dovrebbero concentrarsi su come creare e diffondere queste narrazioni positive per promuovere una società più equa e solidale.
FOCUS ON SU CITTÀ E ANZIANI
IN COLLABORAZIONE CON URBES MAGAZINE
GLI ANZIANI ENERGIA VITALE PER I GIOVANI
Andrea Lenzi
Presidente del CNBBSV della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidente di Health City Institute e coordinatore di Science for Cities
In occasione della Giornata Nazionale dei Nonni e degli Anziani , dello scorso 28 luglio, il Santo Padre ha voluto sottolineare il ruolo che gli stesso devono avere nella società odierna, indicano però come oggi vi è una solitudine che colpisce gli anziani dovuta a tante le cause.
In molti Paesi, soprattutto i più poveri, gli anziani si ritrovano soli perché i figli sono costretti a emigrare, nelle situazioni di conflitto molti anziani rimangono soli perché gli uomini – giovani e adulti – sono chiamati a combattere e le donne, soprattutto le mamme con bambini piccoli, lasciano il Paese per dare sicurezza ai figli. Nelle città e nei villaggi devastati dalla guerra rimangono tanti vecchi e anziani soli, unici segni di vita in zone dove sembrano regnare l’abbandono e la morte. In altre parti del mondo, poi, esiste una falsa convinzione, molto radicata in alcune culture locali, che genera ostilità nei confronti degli anziani, sospettati di fare ricorso ad spedienti per togliere energie vitali ai giovani; così che, in caso di morte prematura o di malattia o di sorte avversa che colpiscono un giovane, la colpa viene fatta ricadere su qualche anziano. Questa mentalità va combattuta ed estirpata
Se ci pensiamo bene, quest’accusa rivolta ai vecchi di “rubare il futuro ai giovani” è molto presente oggi ovunque e la stessa permea e si riscontra, sotto altre forme, anche nelle società più avanzate e moderne. Ad esempio, si è ormai diffusa la convinzione che gli anziani fanno pesare sui giovani il costo dell’assistenza di cui hanno bisogno, e in questo modo sottraggono risorse allo sviluppo del Paese e dunque ai giovani. Si tratta di una percezione distorta della realtà. È come se la sopravvivenza degli anziani mettesse a rischio quella dei giovani.
Ma gli anziani sono invece energia vitale per i giovani.
Non sorprende che Hemant Ahlawat di McKinsey e i suoi coautori abbiano concentrato la propria attenzione sugli anziani e scoperto che avere uno scopo nella vita e sviluppare connessioni significative con gli altri sono tra i fattori più importanti per rafforzare la loro salute in tutto il mondo.
L'analisi del McKinsey Health Institute mostra che gli anziani sono più felici e più sani quando si impegnano di più nella società e aiutarli a farlo potrebbe giovare all'economia.
Ma qual è il più forte predittore di salute e felicità in età avanzata? Molte ricerche suggeriscono che la risposta sta nelle buone relazioni. Si tratta di relazioni che trasmettono un senso di scopo e di connessione significativa, tra loro e con la società.
L’indagine di McKinsey Health Institute (MHI) fatta su adulti di età pari o superiore a 55 anni in 21 paesi conferma questi risultati. Ha scoperto che avere uno scopo nella vita e connessioni significative con gli altri sono tra i fattori più importanti per rafforzare la salute degli anziani in tutto il mondo. Gli intervistati hanno spesso citato la realizzazione personale e la connessione sociale come motivazioni primarie per il lavoro o il volontariato. Sono stati ritenuti importanti anche l'apprendimento permanente e la partecipazione a organizzazioni o attività comunitarie. Questi risultati sono tutti in linea con il concetto di "partecipazione sociale", definito da MHI (Mental Health Initiative) come il "coinvolgimento costante in attività deliberate che portano a un impegno significativo con la propria società e comunità". Questo è in linea con le attività che gli anziani possono svolgere nelle loro comunità, come lavorare, fare volontariato, sostenere la foermazione dei più giovani o partecipare ad attività comunitarie. Attraverso queste attività, gli anziani possono soddisfare molti dei fattori che influenzano la loro salute, dalla ricerca di uno 59 Sport City
scopo al connettersi con gli altri e rimanere attivi. Il tema della partecipazione sociale sta diventando sempre più rilevante sia a livello globale che locale ed è spesso discusso come una componente fondamentale per i programmi di invecchiamento sano. Il Decennio dell'Invecchiamento in Buona Salute delle Nazioni Unite elenca la "capacità di contribuire alla società" come uno dei cinque domini di abilità funzionali necessari per un invecchiamento in buona salute.Allo stesso modo, la Global roadmap for healthy longevity della National Academy of Medicine delinea otto obiettivi a lungo termine a cui aspirare, quattro dei quali riguardano la partecipazione sociale degli anziani.
La partecipazione sociale può essere positiva per la salute degli anziani. Tra gli intervistati nel sondaggio MHI, coloro che hanno partecipato ad attività sociali hanno avuto un aumento del 48% della salute generale percepita rispetto a coloro che non hanno partecipato ma avrebbero voluto. Questo risultato è in linea con la letteratura esistente. MHI ha analizzato inoltre più di 70 recenti studi accademici peerreviewed sulla partecipazione sociale degli anziani e ha riscontrato sei benefici tematici per la salute: riduzione dei tassi di mortalità; ridotta disabilità cognitiva; minore disabilità e fragilità funzionale; diminuzione della solitudine e della depressione; aumento dei livelli di attività fisica e miglioramento del significato e della qualità della vita.
Alcune delle prove più forti fino ad oggi provengono dallo studio decennale di Harvard sullo sviluppo degli adulti. "Le persone che erano più felici, che rimanevano più sane mentre invecchiavano e che vivevano più a lungo erano le persone che avevano i legami più caldi con le altre persone", ha detto Robert Waldinger, direttore dello studio di Harvard e autore di The Good Life: Lessons from the World's Longest Scientific Study of Happiness (Simon & Schuster, gennaio 2023) in un'intervista per la serie Author Talks di McKinsey. "In effetti", ha detto, "le buone relazioni erano il più forte predittore di chi sarebbe stato felice e in salute quando sarebbe invecchiato".
Oltre alle relazioni forti e al senso di scopo – beni inestimabili in sé e per sé – c'è un beneficio economico nella partecipazione della società. MHI stima quasi 6,2 trilioni di dollari7 opportunità annuali di PIL nei 21 paesi esaminati nella nostra Global Healthy Aging Survey. Ciò equivale a un aumento medio di circa l'8% se potessimo consentire agli anziani che hanno dichiarato di voler lavorare ma non stanno lavorando di rientrare nella forza lavoro. Per i soli Stati Uniti, questo si traduce in un'opportunità di 1,7 trilioni di dollari (pari al 7,2% del PIL del 2021).8 L'impatto potenziale sulle economie nazionali potrebbe essere sostanziale (Figura 1a e Tabella 1b).9 E questo senza nemmeno prendere in considerazione i contributi dei lavoratori più anziani di oggi: il 21% della forza lavoro totale nelle economie a reddito più elevato oggi è costituito da lavoratori di età pari o superiore a 55 anni
Le stime demografiche che entro il 2050, si prevede che il numero di persone di età superiore ai 65 anni crescerà dal 9,4 al 16,5% della popolazione totale del mondo. A livello locale, i divari tra zone rurali e urbane porranno sempre più i paesi di fronte alla sfida di bilanciare esperienze di invecchiamento eque. Risolvere il problema della partecipazione della società nelle nostre città e comunità locali sarà essenziale per costruire una società futura in cui l'invecchiamento sano prosperi, indipendentemente dal luogo in cui si vive.
Investire nella felicità e nelle relazioni non farà solo bene agli anziani, ma contribuirà a rendere migliore la società dove viviamo.
CITTÀ E ANZIANI: MARTEDÌ IN WELLNESS:
IL PROGETTO DI MILANO PER PROMUOVERE ATTIVITÀ MOTORIA E CONTRASTARE LA SOLITUDINE
Lamberto Bertolé
Presidente Rete Italiane Città Sane OMS, Assessore Welfare e Salute del Comune di Milano
L’invecchiamento della popolazione rappresenta una delle sfide più rilevanti del nostro tempo: in Italia, più di un cittadino su cinque ha oltre 65 anni e, con l’aumentare dell’età, cresce il rischio di patologie croniche e condizioni di isolamento sociale. Promuovere l’attività fisica per gli anziani non è solo una scelta di prevenzione sanitaria, ma anche uno strumento essenziale per migliorare la qualità della vita individuale e collettiva, contrastando la solitudine. Numerosi studi dimostrano come l’attività motoria riduca il rischio di malattie cardiovascolari, diabete e osteoporosi, favorisca il mantenimento della massa muscolare e contribuisca a prevenire cadute e fratture, tra le principali cause di ospedalizzazione in questa fascia d’età. Non meno rilevante è il miglioramento della salute mentale: muoversi, soprattutto in gruppo, riduce ansia e depressione, stimola le capacità cognitive e rafforza il senso di appartenenza alla comunità. Un esempio concreto arriva dal progetto sperimentale “Martedì in Wellness”, nato da un'intuizione della Wellness Foundation e realizzato in collaborazione con il Comune di Milano durante l’estate 2024. Pensato per gli anziani rimasti in città nei mesi più caldi, il progetto ha offerto un programma strutturato di attività fisica all’aperto nei parchi e in spazi urbani riqualificati, come Piazza Gasparri nell’ambito del progetto Piazze Aperte. Le giornate includevano una passeggiata di attivazione muscolare, sessioni di ginnastica dolce mirate a migliorare forza ed equilibrio, seguite da una merenda salutare, a base di spiedini di frutta e centrifugati, pensata per incentivare un’alimentazione sana. Durante gli incontri, momenti di approfondimento denominati “pillole di wellness” hanno affrontato i quattro pilastri dei corretti stili di vita: movimento, nutrizione, approccio mentale positivo e sonno.
Il progetto ha coinvolto principalmente donne di età compresa tra i 72 e i 94 anni, che, con grande entusiasmo, hanno affrontato il caldo estivo e seguito con partecipazione gli istruttori. Il programma si inserisce nella cornice di Milano Wellness City 2030, un’iniziativa della Wellness Foundation che punta a diffondere una nuova cultura orientata ai sani stili di vita e alla prevenzione, promuovendo il benessere dei cittadini attraverso attività concrete e accessibili.
Questa esperienza dimostra che il ruolo dei Comuni è centrale nel promuovere azioni di prossimità capaci di intercettare i bisogni delle fasce più fragili della popolazione e offrire risposte efficaci. Tuttavia, per trasformare iniziative di questo tipo in pratiche strutturali e durature, è fondamentale che le amministrazioni locali siano dotate di risorse adeguate e strumenti normativi chiari. La collaborazione tra pubblico e privato, come quella con la Wellness Foundation, rappresenta un modello virtuoso capace di unire competenze, visioni e risorse per costruire progetti sostenibili e replicabili su larga scala.
Investire nell’attività fisica per gli anziani non è soltanto un atto di cura individuale, ma un investimento sociale che porta benefici all’intera comunità. Ridurre la sedentarietà significa prevenire patologie croniche, contenere i costi sanitari e contrastare l’isolamento sociale, migliorando al contempo il benessere psicofisico delle persone. Progetti come “Martedì in Wellness” ci ricordano che il movimento non è solo prevenzione, ma anche relazione, inclusione e partecipazione: un potente strumento per costruire città più sane, coese e solidali, in cui nessuno viene lasciato indietro.
“FOREVER YOUNG, I WANT TO BE FOREVER YOUNG”
Fabio Mazzeo
Giornalista e divulgatore scientifico
Parto da una considerazione personale condita con qualche aneddoto per entrare nel merito. Sono nato nel 1967 e quando questo articolo andrà in stampa avrò compiuto 57 anni. Quaranta anni fa, quando stavo per completare il liceo, mio padre aveva 47 anni. Ai miei occhi, nonostante fosse in buona forma fisica, lui era già un anziano signore che aveva enormi difficoltà a capire come il Festival di Sanremo potesse ospitare Vasco Rossi, perché le serate in discoteca cominciassero alle 23 e aveva un rapporto di diffidenza col Commodore 64, il primo tra i computer a sfondare nel mercato di massa.
Giocava a tennis quando poteva ma si sarebbe fatto uccidere piuttosto che andare a una cena indossando scarpe da ginnastica (nel vocabolario di allora la parola sneakers non era ancora stata introdotta).
Sì, il mondo è cambiato; perché siamo cambiati noi.
Con mio figlio ho giocato alla playstation provando sempre a vincere, insieme a lui ho fatto migliaia di chilometri per assistere a eventi sportivi e musicali. Ci capita di fare sport insieme, e provo ancora ad esserne all’altezza con risultati che vanno dal modesto al disastroso; ma non mollo mai.
I comportamenti sono cambiati, e molto è dovuto al tempo in più che ci viene concesso. Quaranta anni fa l’aspettativa di vita degli italiani era di 74 anni, oggi è di 83.
Una differenza enorme, ottenuta grazie a vaccini e altri farmaci, alla cronicizzazione di malattie prima incurabili, livelli stratosferici raggiunti dalla chirurgia, dalla diagnostica. E nella mia esperienza agli Istituti Scientifici Maugeri ho visto come la buona riabilitazione può portare a risultati straordinariamente positivi anche in soggetti particolarmente fragili. Mediamente lavoriamo in ambienti più sicuri, ci nutriamo meglio, abbiamo colto l’importanza dell’attività fisica.
Il contributo della buona comunicazione è stato quello di divulgare corretti stili di vita. Dalla terza, nell’ultimo decennio siamo arrivati a discutere di quarta età. E oggi c’è chi pone per gli ultranovantenni le questioni legate alla gestione della quinta età. Il 60% degli over 65 usa quotidianamente Internet, ha un account social dove esprime opinioni, rimane in contatto con tutti gli amici, ne cerca di nuovi. Oggi il 53% degli uomini e il 42% delle donne tra i 60 e i 69 anni sono ancora sessualmente attivi. Dopo i 70 anni queste percentuali scendono ma il 43% degli uomini e il 22% delle donne nutre ancora interesse. Insomma, il progresso, con le sue quotidiane scoperte, non solo ha allungato la vita ma, per dirla come Luciano De Crescenzo, ha trovato anche il modo di allargarla, riempiendo l’esistenza di contenuti felici. “Vecchio sarai tu!” è oggi una frase che può stare sulla bocca di una persona di qualsiasi età. Sono una serie di fattori a offrire non un elisir di eterna giovinezza ma una serie di pratiche di buona vita quotidiana a ogni età.
Nutrizione e attività fisica hanno programmi sempre più sofisticati in grado di guidare la base dell’efficienza fisica. Ma questo deve corrispondere a una società in grado di accogliere tale efficienza, con programmi di integrazione che rendano utili tutte le persone. Altrimenti prende spazio la malinconia, e con essa le malattie generate dalle sensazioni di chi crede di non essere più né utile né gradito.
Proprio il diffuso invecchiamento mitiga l rischio, tra vecchi ci riconosciamo, ma il benessere emotivo dipende soprattutto dal livello di indipendenza e autonomia che il singolo soggetto riesce a ottenere ed esprimere.
La tecnologia viene in soccorso, offrendo per le abitazioni strumenti in grado di rendere più agevoli tutte
le questioni domestiche. Gli smartwatch rappresentano una risposta al controllo di tutta una serie di parametri sanitari, ma presto entreranno sul mercato sistemi di controllo in grado di monitorare costantemente la salute della persona. Pensate, molti di questi dati potranno essere restituiti ogni mattina dal water! A distanza di quasi 500 anni dall’invenzione dello scarico da parte di Sir John Harington, un cortigiano inglese al quale viene attribuita l’invenzione di un dispositivo che usava l'acqua per eliminare i rifiuti dalla tazza, capiterà che le nostre urine, prima di sparire nell’impianto fognario verranno analizzate in modo domestico. Incredibile, no?! Come sempre accade per le innovazioni, per qualche anno sarà roba da ricchi, poi arriverà a tutti. Ma la vera questione rimane di natura psicologica. Chi col tempo perde un po' di brillantezza e sopravvive a tanti amici e familiari, ha bisogno di un modello di città che lo accolga nella sua nuova dimensione, quella di chi si muove ma più lentamente, di chi è attivo ma fino a certe attività. Di chi si sente solo. Bisogna preparare nuovi luoghi e nuovi modelli, strade e parchi accessibili a ogni livello di mobilità e nuovi modelli di residenza, andando dalle case di riposo alle coabitazioni, dove gli anziani autosufficienti possano trovare indipendenza in luoghi dove condividere servizi, dalle cucine al medico o all’infermiere per controlli periodici. La comunicazione qui deve investire su un doppio impegno, illustrando a una popolazione che invecchia e a un decisore che sbanda con conti pubblici che devono supportare pensioni e malattie croniche, che ci sono strade percorribili, esigenze che è possibile soddisfare. Facendo attenzione e costruendo ponti di sostenibilità, andiamo avanti.
Proprio 40 anni fa raggiunse un successo planetario una bellissima canzone degli Alphaville, tornata prepotentemente di moda. Nel ritornello la voce struggente cantava “Forever young, I want to be forever young”. Beh, nessuno può rimanere giovane per sempre e con questo dobbiamo farci i conti individualmente. Però possiamo tutti insieme generare una società nella quale a qualsiasi età la vita vale la pena di essere vissuta perché è bello essere al mondo.
DAL PESO ALLA RISORSA: L’EVOLUZIONE DELLA CONDIZIONE
DEGLI ANZIANI
IN ITALIA
Antonio Gaudioso
Esperto in politiche socio sanitarie, Vice Presidente Health City Institute
Il rendiconto annuale dell’ISTAT descrive l’Italia tra i Paesi con la più alta percentuale di anziani con un’aspettativa di vita in aumento. Per molti anni, gli anziani sono stati considerati principalmente un onere economico e sociale relegati ad una condizione da gestire piuttosto che essere riconosciti come una risorsa potenziale, soprattutto in economie e contesti sociali in continua evoluzione.
Il progressivo allungamento della vita impone alla società di assicurare agli anziani di vivere il più a lungo possibile in buona salute. L’OMS definisce l’invecchiamento attivo come il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano; il recente dibattito innescato da Monsignor Paglia sul tema riflette la necessità di un cambio di paradigma sociale per considerare gli anziani come una risorsa per il sostegno della struttura socioeconomica del paese. Il loro contributo può essere determinante per la stabilità economica e lo sviluppo attraverso ruoli e funzioni che stanno emergendo e consolidandosi nella società.
La Legge 33/23 promuove la gestione dell'invecchiamento attivo, spostando la percezione degli anziani da peso a risorsa economica e sociale. Valorizzare la condizione degli anziani attraverso azioni preventive, garantendogli buona salute, non solo contribuisce allo sviluppo economico e sociale, ma riduce anche il carico sui sistemi di welfare rendendone necessario un ripensamento e adottando una gestione integrata che unisca aspetti sociali e sanitari. Investire nella prevenzione e nella qualità dei sistemi sociosanitari migliora la salute della popolazione anziana e libera risorse che possono essere reinvestite per far crescere l'economia.
Lo schema di decreto legislativo per le persone anziane, pur essendo focalizzato prevalentemente sulle tematiche sanitarie e assistenziali, include disposizioni per la partecipazione degli anziani ad attività di lavoro dipendente o autonomo; Negli anni, si è spesso discusso della condizione degli anziani anche in termini di conflitto tra generazioni da prevenire e gestire. In questo contesto, è essenziale promuovere un nuovo patto intergenerazionale che riconosca la trasformazione radicale della struttura socioeconomica e del mercato del lavoro sviluppando una visione strategica e definire come supportarla dal
punto di vista delle risorse, poiché innovazione e riforme richiedono inevitabilmente investimenti. Occorre inoltre, avviare un dibattito pubblico che superi gli stigmi culturali, spesso causa di contrapposizioni tra generi e generazioni.
In questa fase storica, si assiste ad una significativa carenza di competenze nel mercato del lavoro, con milioni di posti vacanti che non soddisfano le esigenze economiche e sociali. Al contempo, molte persone che escono dal mercato del lavoro si trovano abbandonate a sé stesse, nonostante le loro competenze siano state cruciali per l’economia fino a prima del pensionamento. Questo scenario evidenzia una mancanza di strategia a lungo termine riguardo la gestione degli anziani nel nostro paese.
Dunque, la politica non dovrebbe lasciar cadere le questioni affrontate nella L.33, che hanno suscitato un dibattito pubblico importante ma sviluppare ulteriormente questi temi attraverso nuovi provvedimenti normativi che consolidino i concetti espressi nella legge, offrendo all'arena politica l'opportunità di superare l'isolamento concettuale, spesso presente nel dibattito politico, rispetto alla realtà vissuta dalle persone.
Se consideriamo questa come un’opportunità con benefici potenziali, come dimostrato da numerosi dati, per la crescita economica e sociale è necessario sviluppare una capacità di investimento a lungo termine che include investimenti nel mercato del lavoro, nel trasferimento intergenerazionale delle competenze e nei sistemi sociali e sanitari. Tali investimenti non solo aiutano a gestire i problemi, ma anche a sfruttare le opportunità, garantendo che la popolazione anziana possa godere di buona salute il più a lungo possibile.
In questo contesto diventa fondamentale elaborare una strategia lungimirante e stimolare un dibattito pubblico che coinvolga il mondo del lavoro, le università, la società civile e il terzo settore. Questo approccio permetterebbe di governare l'innovazione sociale anziché subirla. È ciò che ci si aspetta in un Paese normale, dove ciascuno ha il dovere di contribuire alla discussione. Inoltre, l'Italia potrebbe cogliere l'opportunità di essere all'avanguardia su tematiche ormai strettamente interconnesse con la nostra quotidianità.
CITTÀ ANZIANI E PROSSIMITÀ
Paolo Ciani
Deputato, Presidente dell’Intergruppo parlamentare sull’invecchiamento attivo
La nostra società, rispetto alla media degli altri Paesi europei, presenta una forte tendenza all’invecchiamento demografico ormai sempre più evidente. Gli ultimi dati ci dicono che l’Italia sia uno dei paesi in Europa più colpiti da questo trend: il 23% degli abitanti ha più di 65 anni, collocando il nostro Paese ai vertici dell’Europa per età media della popolazione, molto più alta di Germania e Francia. Inoltre, assistiamo non solo all’invecchiamento della popolazione ma anche ad un forte calo della natalità: nel 2022 abbiamo raggiunto il tasso di natalità più basso della storia, con meno di 7 nati per 1.000 abitanti. Questo scenario non può non imporre una riflessione sociale e politica sul ruolo degli anziani nelle nostre società, una riflessione urgente che ponga gli anziani al centro di un dibattito che non li identifichi come soggetti passivi e inutili.
La nostra società sembra valutare le persone, le loro esperienze e competenze, solo sulla base della produttività economica che ne può conseguire: non appena si conclude il periodo di attività lavorativa, si pensa che concluda così anche la vita e il contributo sociale delle persone stesse. Si tratta di una forma di “mercificazione” che porta a vedere gli anziani esclusivamente come un peso sulle spalle del nostro sistema di welfare, piuttosto che come risorse attive imprescindibili del nostro tessuto sociale.
Dal 2008, durante gli anni di crisi, gli anziani sono stati il primo ammortizzatore sociale per sostenere le famiglie, i giovani e i nipoti. Sono anche la nostra memoria storica, la testimonianza di anni difficili, di guerra e povertà, che è fondamentale tramandare alle giovani generazioni. La scomparsa prematura di migliaia di anziani durante la pandemia da Covid19 ce lo ha drammaticamente ricordato insieme alla necessità di tutelare le parti più fragili della nostra so
cietà, senza cedimenti a logiche di altro tipo. Una società a prova di anziano è infatti una società a prova di tutti. Per questo è fondamentale avere cura anche della fragilità che si manifesta in tante forme nell’età anziana o, ancora meglio, nell’età “grande” come l’ha definita mons. Vincenzo Paglia per indicare quella parte di vecchiaia avanzata che i geriatri indicano come “quarta età”.
Invece di abbandonarci alla cultura dello scarto, così definita da Papa Francesco, dobbiamo investire in un cambiamento politico che valorizzi il ruolo degli anziani nella comunità e che permetta loro di continuare a contribuire con la propria esperienza e competenza.
Per questi motivi è nato l’intergruppo parlamentare sull’invecchiamento attivo, di cui sono Presidente; la vecchiaia non deve essere interpretata come un momento di declino e isolamento: l'invecchiamento attivo considera l’anzianità come una fase della vita in cui non solo è possibile continuare a mantenere un ruolo attivo nella società ma è necessario per prevenire future situazioni di isolamento, marginalizzazione e solitudine, garantendo una buona qualità della vita. Tutto ciò nel più totale rispetto dalla persona e delle sue libere determinazioni, che è necessario salvaguardare. In questa prospettiva gli stessi fondamentali aspetti sanitari e assistenziali vanno considerati solo come una parte delle politiche verso la terza età, evitando quindi di essere l'unica dimensione in cui l'anziano viene considerato.
In questo senso, le città rappresentano un ottimo ambiente di riferimento per mettere in pratica attività di prossimità e promuovere l’invecchiamento attivo. Proprio quest’anno, il cohousing ‘Casa Nino’ di Roma Capitale ha compiuto due anni; un progetto virtuoso di coinvolgimento attivo di anziani con fragilità, per
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contrastare la solitudine e dare loro la possibilità di vivere una buona socialità e convivenza. In questa sede gli anziani non sono abbandonati a sé stessi ma coinvolti in attività quotidiane, dalle pulizie alla preparazione dei pasti. Oltre a rappresentare una alternativa alle residenze sanitarie assistenziali, alle case di riposo e all’istituzionalizzazione in generale, i cohousing come Casa Nino rappresentano un valido modello di assistenza residenziale sociosanitaria. L’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale è stato autore di importanti attività a sostegno degli anziani anche grazie alla collaborazione con gli sportelli sociali di Farmacap, tra cui le visite culturali sul fiume Tevere, durante l’estate appena trascorsa, che hanno coinvolto 400 anziani; gite che per molti di loro hanno rappresentato l’unico momento di vacanza e di socialità durante i caldi mesi estivi. Gli anziani non sono uno scarto sociale, non vanno isolati e abbandonati, sono una risorsa e in quanto tali vanno protetti e ascoltati. L’invecchiamento attivo fornisce una nuova chiave di lettura dell’anzianità; una chiave di lettura necessaria nel contesto di calo demografico e invecchiamento della popolazione in cui ci troviamo. Le città sono e saranno sempre di più in futuro il contesto in cui rendere concreto il concetto di invecchiamento attivo, attraverso azioni di prossimità e buone pratiche per promuovere il benessere degli anziani e il loro coinvolgimento – i progetti di Roma ce lo dimostrano – e costruire società e comunità più coese, inclusive e meno individualiste. Ne abbiamo bisogno tutti.
LA CITTÀ E I SUOI ANZIANI
Marco Trabucchi Presidente dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria
Il titolo, che incorpora il concetto di “suoi” nell’affrontare da parte dalla città le debolezze che frequentemente accompagnano la vita della persona anziana, dichiara apertamente un criterio di appartenenza privilegiata di chi non è più giovane ad una comunità di cura, colta, attenta, curiosa, accogliente, generosa, concreta.
La città è un insieme complesso di dinamiche umane che interagiscono e che nel loro insieme creano vita; però è anche il luogo dove tanti non riescono ad entrare nella ricchezza di ciò che si muove e restano testimoni desolati di quello che avviene attorno a loro. Povertà, solitudine, malattie, non autosufficienza creano le condizioni per cui alcuni cittadini non riescono a restare a galla rispetto alle dinamiche umane ed economiche. Sono bisognosi di cura da parte della città attenta alla sofferenza profonda di chi richiede cure delicate, costanti, impegnative.
Da non molti anni le collettività hanno preso coscienza della responsabilità verso le persone anziane, in particolare quelle sole, che rappresentano larga parte di chi non è più giovane e verso la loro sofferenza psicologica e somatica. Contemporaneamente è anche cresciuto il livello di attenzione della medicina, che guarda alle conseguenze sulla salute degli eventi psicosociali, perché ha compreso che la cura è tale solo se si rivolgere allo stesso tempo al dolore della carne e a quello dello spirito. La città che cura deve quindi costruire progetti che aiutino la crescita di una convivenza di attenzioni reciproche. L’individualismo diffuso rallenta le possibilità di un intervento collettivo in favore della persona che hanno bisogno del calore e della concretezza degli atti di cura. Inoltre, le più moderne tecnologie della comunicazione non facilitano la formazione di relazioni significative, concentrando l’attenzione su rapporti
privi della possibilità di incidere nel profondo. In questa realtà faticosa la città che cura deve creare ponti tra i cittadini, andando a scoprire in particolare le nicchie di sofferenza silenziosa. Una città deve essere curiosa: la curiosità è premessa indispensabile per un vero approccio di cura. Talvolta la privacy è un ostacolo a chi vuole avvicinare l’altro per prendersene cura, ma la città deve costruire ambienti e atmosfere dove si riducono le barriere, le ritrosie, la mancanza reciproca di fiducia.
Le persone anziane spesso si curano poco di sé stesse, perché ritengono inutile qualsiasi tentativo di migliorare la propria condizione; hanno uno stile di vita scostante, chiuso, polarizzato su sé stesse, senza desideri e speranze di cambiamento. La città si dovrà occupare di questi aspetti, impostando cure generose, fatte di accompagnamento, sollecitudine verso i problemi di ogni giorno, lenendo, ove possibile, la mancanza di speranza. Una città che non voglia essere solo un agglomerato di individui chiusi nelle loro case, impauriti per un domani incomprensibile, non abbandona gli anziani che da soli non sono in grado di uscire dalla loro condizione, spesso disperata. Però oggi vi sono anche segnali positivi; nelle città si muovono individui e gruppi impegnati per ridurre la sofferenza e la solitudine di tanti anziani. Le città incominciano a comprendere che devono essere incubatrici benevole di queste generosità, che a loro volta le rendono più umane.
LE CITTÀ E GLI ANZIANI: SFIDE E OPPORTUNITÀ PER IL FUTURO
Capolongo S, Rebecchi A, Mangili S, Design & Health Lab, Dipartimento ABC, Politecnico di Milano
L'invecchiamento della popolazione è un fenomeno globale che sta rapidamente trasformando la demografia delle città . Entro il 2050, si prevede che oltre il 34% della popolazione italiana sarà composta da persone di età superiore ai 65 anni . Parallelamente, l'urbanizzazione continua a crescere: già oggi oltre il 55% della popolazione mondiale vive in aree urbane, e questa percentuale è destinata ad aumentare fino al 70% nel 2050 . Queste due tendenze impongono una riflessione profonda su come le città dovranno evolversi per garantire che l'ambiente costruito risponda ai bisogni di una popolazione sempre più anziana. L’età media della popolazione è in forte aumento, ad oggi gli over 65 rappresentano il 23,5% della popolazione, ma entro il 2050 potrebbero arrivare fino al 34,9%.
Le città, tradizionalmente progettate per una popolazione giovane, attiva e sana, devono ora affrontare nuove sfide. In primo luogo, l'architettura e l'urbanistica devono adattarsi per promuovere l'invecchiamento attivo . Questo significa creare spazi che non solo siano accessibili, ma che stimolino anche la partecipazione sociale e il benessere psicofisico degli anziani. Le barriere architettoniche devono essere fortemente ridotte: aree pedonali, parchi, edifici pubblici e trasporti devono essere facilmente fruibili da chi ha ridotte capacità non solo motorie ma anche sensoriali, cognitive e psichiche. L'ambiente costruito gioca un ruolo cruciale nella salute pubblica. Una città ben pianificata può prevenire l’insorgenza di patologie legate all’invecchiamento, come le malattie cardiovascolari, il diabete e la depressione . Spazi verdi accessibili e sicuri, percorsi pedonali adeguati e la disponibilità di servizi sanitari di prossimità sono elementi fondamentali. Inoltre, l'integrazione della tecnologia smart e dell’intelligenza artificiale nei contesti urbani offrirà sempre più soluzioni innovative: la digitalizzazione consentirà il monitoraggio della salute degli anziani e l’integrazione
con sistemi di emergenza rapidi e intuitivi. Un altro aspetto fondamentale è rappresentato dalle condizioni abitative. La maggior parte degli anziani abita in unità immobiliari di proprietà, con più di 50 anni (il 54,9%) e spesso con impianti non adeguati in materia di sicurezza e con barriere architettoniche . Pertanto, le città devono promuovere modelli abitativi flessibili e adattabili, come le senior housing dotate di tecnologie che facilitano la vita quotidiana e migliorano la sicurezza. Allo stesso tempo, la progettazione di quartieri intergenerazionali, dove giovani e anziani possano convivere e sostenersi reciprocamente, può contribuire a creare un tessuto sociale più coeso e solidale.
La pianificazione urbana deve anche affrontare la questione dell'isolamento sociale, un problema che colpisce molti anziani e che può avere gravi ripercussioni sulla loro salute mentale. Le città del futuro dovranno promuovere l'inclusione attraverso la creazione di spazi di incontro, la promozione di attività culturali e ricreative e il rafforzamento delle reti di supporto sociale.
Guardando al futuro, l'equilibrio tra densità urbana e qualità della vita diventerà sempre più delicato. La sfida sarà quella di conciliare la crescita urbana con la necessità di creare ambienti salutari e inclusivi per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro età. Questo richiederà un approccio integrato, che coinvolga architetti, urbanisti, esperti di salute pubblica e la comunità stessa. L’invecchiamento della popolazione urbana può essere visto anche come un'opportunità per ripensare le nostre città, attraverso una pianificazione attenta e inclusiva, che crei ambienti che non solo rispondano ai bisogni degli anziani, ma che promuovano una società più equa, sana e sostenibile per tutti. Le città del futuro dovranno essere luoghi in cui l'età non rappresenta una barriera, ma un elemento di forza e coesione.
CITTA’ E ANZIANI IL DIALOGO INTERGENERAZIONALE: COME FARE INTERAGIRE PIÙ GENERAZIONI
Johann Rossi Mason
Giornalista e divulgatrice scientifica
Per la prima volta nella storia dell’umanità convivono insieme 5 o 6 generazioni contemporaneamente, tanto da aver reso necessario definire vere categorie anagrafiche: dai grandi anziani ai boomers, sino alle generazioni successive indicate con X, Y, Z e Alfa. Un arco temporale che supera spesso gli 80 anni e che pone questioni di risorse, sopravvivenza e mentalità. Generazioni che sembrano chiudersi in sé stesse ed erigere muri per difendere diritti e doveri, che parlano linguaggi differenti, si alimentano e vivono in modo diverso e non hanno contatti significativi se non quelli più strettamente familiari.
Eppure, qualcosa sta cambiando: si è compreso che solo il dialogo tra le generazioni può abbattere le barriere e mettere a fattor comune conoscenze ed esperienze. Un dialogo necessario e prezioso, riconosciuto anche dall’ONU come utile a conseguire due obiettivi dell’Agenda 2030: lavoro dignitoso e crescita economica (obiettivo 8) e riduzione delle disuguaglianze (obiettivo 10).
Il segreto? Adottare la ‘circolarità’ nelle relazioni e superare la logica della competizione per le risorse, la conoscenza, i posti di lavoro. Una collaborazione al centro di progetti come C*Gens acronimo di Circular Generations che ha l’obiettivo di creare reti umane sostenibili. Siamo abituati a ‘gettare’ le conoscenze e le competenze nel momento della pensione, come se non servissero più. Mentre possono essere ‘riutilizzate’ e messe a disposizione delle nuove generazioni.
Uno scambio bidirezionale, perché le società non possono fare a meno dell’apporto dei giovani per crescere anche grazie al pensiero creativo, alla capacità
di innovare, allo sguardo non contaminato sul mondo. Giovani che scontano un divario demografico se pensiamo che a causa dei trend negativi di natalità, gli adulti in Europa sono tre volte più numerosi degli under 25. Questo sta portando ad un mondo sempre più ‘adultocentrico’ dove i giovani sono considerati inadeguati e gli anziani ormai inutili. E in cui un nucleo di adulti detiene il controllo e le redini del mercato e della politica. Ha contribuito alle ‘ostilità’ la disparità a livello occupazionale e contrattuale tra generazioni, la crisi del sistema pensionistico, il passaggio da un mondo caratterizzato da contratti a tempo indeterminato al precariato.
Nello stesso luogo di lavoro convivono persone che hanno raggiunto posizioni, privilegi e status quo che non vogliono cedere e giovani a cui viene rinfacciata una fisiologica mancanza di esperienza. Ma ad entrambi manca qualcosa: ai più grandi l’aggiornamento tecnologico, la flessibilità mentale e ai ragazzi l’esperienza che acquisiranno sul campo. Anche se va detto che i giovani del 2000 sono mediamente più preparati e istruiti con competenze in ambito digitale che li rendono ‘appetibili’.
Il capitalismo ha acceso una competizione sfrenata per le risorse disponibili, ma anche la società è cambiata: le famiglie sono sempre più nucleari e i nonni sono sempre più impegnati o lontani. La continuità di rapporto tra generazioni e lo scambio continuo tra di esse non è più quotidiano ma occasionale. Eppure, in passato le generazioni avevano un continuo scambio di informazioni e competenze e uno scambio di esperienze che servono esattamente a accorciare le distanze culturali e storiche.
Già nel 2021 la Commissione Europea pubblicava il Libro verde sull'invecchiamento demografico con l'intento di promuovere la solidarietà e la responsabilità tra le generazioni. L'approccio adottato considera l'intero ciclo di vita, data la crescente flessibilità tra istruzione, lavoro e pensione. “È necessario trovare un equilibrio tra sostenibilità del sistema di protezione sociale e rafforzamento della solidarietà intergenerazionale per affrontare l'invecchiamento della popolazione. La demografia è diventata una priorità per l'UE e, nel 2020, la Commissione ha evidenziato i cambiamenti demografici concentrandosi sul potenziamento di invecchiamento attivo e apprendimento permanente” scrivono.
Un invecchiamento fatto di realtà diverse tra loro, da un lato il numero di persone anziane in buona salute è ad un record storico. Più persone rispetto al passato restano attive per più tempo, prolungano la carriera lavorativa e partecipano ad attività sociali dopo il pensionamento. Grazie a stili di vita più sani e ai progressi della medicina (miglioramento della prevenzione, della diagnosi e della cura delle malattie), la maggior parte dei pensionati è in forma e può scegliere il modo in cui trascorrere il proprio tempo (dati Eurostat Ageing Europe 2019). Queste nuove realtà cambiano la percezione dell'invecchiamento, facendo luce sull'importante contributo che gli anziani apportano alla società e all'economia attraverso l'apprendimento e la coesione intergenerazionali.
Ma nello stesso gruppo anagrafico un over 65 su 4 ha almeno due malattie croniche all’attivo. Ciononostante, gli anziani rappresentano una risorsa per la società: il 28% è attivo nel fornire aiuto a familiari e amici, il 17% è un caregiver, il 31 % delle donne presta attività di volontariato. Solo il 10% riferisce che la propria salute vada ‘male’ o ‘molto male’ e un altro 10% accusa limitazioni a causa di problemi psicologici e uno su 4 ha un problema sensoriale con limitazione di vista, udito o masticazione. Sono, comprensibilmente, preoccupati dalla vulnerabilità che può precedere la perdita di autonomia (interessa il 32% degli over 85).
Ma le vere malattie sono la solitudine e l’isolamento: il 16% non ha avuto alcun contatto con l’esterno (neppure telefonico) nella settimana precedente e il
75% non frequenta luoghi di aggregazione (dati Passi D’Argento, ISS). È quanto diffuso in occasione della Giornata Mondiale delle persone anziane che si celebra il 1° ottobre di ogni anno. “Quasi un anziano su 7 vive isolato” ha dichiarato il Presidente dell’ISS Rocco Bellantone “un cerchio di solitudine che è necessario interrompere anche per migliorare salute e qualità della vita”. Una condizione che risente di determinanti sociali: l’isolamento sociale infatti è più frequente tra chi ha un basso livello di istruzione (24% rispetto al 10% dei più istruiti) e maggiori difficoltà economiche (27% rispetto all’11% di chi ha redditi superiori).
Lo scambio intergenerazionale non deve essere inteso solo come utile al mondo del lavoro, ma alla cultura e ad una società più nuova e inclusiva che abbia al centro la varietà dei punti di vista e le visioni. Una idea? Creare Biblioteche umane che facciano parlare le generazioni e favoriscano lo scambio al di fuori dei social network. Iniziative che potrebbero essere valutate come crediti formativi per gli studenti e bonus per l’assistenza informativa e il superamento del ‘digital divide’ agli anziani, in un circolo virtuoso che avvantaggi tutti ma soprattutto la comunità.
LA MALATTIA DI PARKINSON NEGLI ANZIANI:
SFIDE PSICOLOGICHE, DIFFICOLTÀ E IL POTENZIALE
DI SUPPORTO DEI LUOGHI PUBBLICI
Francesca Romana Gigli
Giornalista scientifica e co ‐ CEO di Leeloo Informazione e Comunicazione con il supporto scientifico
del Prof. Giovanni Fabbrini, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Umane di Sapienza Università di Roma
La Malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa che colpisce prevalentemente la popolazione anziana, causando difficoltà motorie e cognitive, oltre a influenzare profondamente lo stato psicologico del paziente. E’ caratterizzata dalla perdita di neuroni dopaminergici nella substantia nigra, una parte del cervello che controlla il movimento. Il Parkinson non solo può provocare tremori, rigidità muscolare e difficoltà nel movimento, ma influisce anche sull'equilibrio psicologico e sulla qualità della vita dei pazienti. Con l'età avanzata, la malattia tende a progredire più rapidamente, intensificando i sintomi fisici e l'impatto psicologico, rendendo particolarmente difficile mantenere una vita attiva e socialmente connessa.
Impatto Psicologico e Sfide
Sociali
Le persone anziane affette da Parkinson non affrontano solo le difficoltà motorie, ma anche una serie di sintomi psicologici e demenza. Studi hanno evidenziato che una percentuale significativa dei pazienti sviluppa depressione, ansia e apatia, che aggravano ulteriormente il loro stato di salute fisica e mentale. La depressione è spesso sottodiagnosticata nei pazienti, ma rappresenta una delle complicanze più debilitanti, influenzando la motivazione e la capacità di affrontare la malattia.
L'isolamento sociale è un altro fattore chiave che peggiora lo stato psicologico. La perdita progressiva di mobilità rende difficile partecipare ad attività sociali, portando molti pazienti a ritirarsi dalla vita comunitaria. Questo isolamento può aumentare il rischio di patologie psicologiche, creando un circolo vizioso che indebolisce ulteriormente il paziente.
Difficoltà Quotidiane
Le sfide quotidiane che i pazienti anziani con Parkinson incontrano sono numerose. Tra queste, la difficoltà nel camminare, la rigidità muscolare e i tremori rendono complesse anche le attività più semplici come vestirsi, mangiare o spostarsi autonomamente. L'instabilità posturale può portare, inoltre, a cadute aumentando così la paura di uscire di casa impe
dendo alla persona con Parkinson la partecipazione ad attività all'aperto.
Le difficoltà cognitive, la bradicinesia e i deficit di attenzione, possono ostacolare la capacità di pianificare o risolvere problemi, aumentando la dipendenza dai caregiver o dai familiari. Il deterioramento cognitivo, se presente, aggrava ulteriormente lo stato di salute psicologica, rendendo il paziente sempre più vulnerabile.
Potenziale dei Luoghi Pubblici per il Supporto Creare situazioni di incontro nei parchi o in luoghi pubblici può rappresentare una risorsa importante per il benessere psicologico e sociale dei pazienti anziani con Parkinson. La possibilità di incontrare altre persone, specialmente se affrontano la stessa condizione, offre un'opportunità unica di supporto reciproco e scambio di esperienze. La partecipazione ad attività all'aperto o gruppi di cammino potrebbe aiutare a migliorare non solo la salute fisica, ma anche a combattere il senso di isolamento e solitudine. Interventi sociali che incoraggino la creazione di gruppi di supporto informali nei parchi o luoghi pubblici favoriscono una rete sociale più forte, riducendo i sentimenti di esclusione e favorendo l'interazione tra pazienti, caregiver e comunità. Le attività all'aperto possono migliorare l'umore, ridurre l'ansia e aumentare la motivazione a mantenere uno stile di vita attivo.
La gestione della Malattia di Parkinson negli anziani, quindi, non può limitarsi al trattamento farmacologico. È necessario un approccio olistico che includa supporto psicologico e sociale. Creare spazi d'incontro e promuovere attività all'aperto può ridurre il senso di isolamento e migliorare la qualità della vita. Gli sforzi collettivi per sviluppare iniziative pubbliche che integrino i pazienti con Parkinson nella vita comunitaria sono essenziali per affrontare le sfide della malattia.
CITTÀ E ANZIANI: IL COHOUSING
Laila Perciballi
Garante dei diritti delle persone anziane del Comune di Roma
L’isolamento e la solitudine sono le piaghe più profonde del tessuto urbano e generano anche depressione e malattia; per questo era ed è necessario intraprendere un percorso di promozione e valorizzazione dell’invecchiamento mettendo al centro la persona. E’ necessario mettere in campo un profondo ripensamento dell’assistenza sociosanitaria dato che l’isolamento sociale impatta in modo importante sulla salute fisica e mentale, sulla qualità della vita, sui costi sociali e coinvolge in egual misura uomini e donne: ma è più frequente tra chi ha un basso livello di istruzione e maggiori difficoltà economiche. Ed ancora, l‘isolamento è associato anche a maggiore disabilità e ospedalizzazione. Il problema, dunque, non riguarda solo il benessere individuale perché coinvolge l’intera società, ed è per questo che è necessario adottare iniziative inclusive, puntare sulla prevenzione e sulla gestione dell'isolamento sociale. Su questa via si può garantire un maggior benessere agli anziani e si possono ridurre i costi sociali associati a questa sfida crescente. Le persone sole, poi, sono più vulnerabili e sono “facili” vittime dei truffatori. È fondamentale mettere in campo tutti gli accorgimenti per evitare truffe e raggiri nella quotidianità e azionare strumenti di solidarietà, sussidiarietà e responsabilità per garantire un’ esistenza dignitosa agli anziani, dal punto di vista patrimoniale, sociale e (digitale), sanitario ed economico. Del resto, il compito della Repubblica, e quindi di tutti i cittadini – come prescrive l’art. 3 della Costituzione italiana – è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, anche della terza età. La politica è, infatti, tenuta a rimuovere le barriere architettoniche, digitali, culturali e a tutelare la salute
della persona anziana nella sua “totalità unificata”, e garantire il suo “benessere fisico, mentale, spirituale, sociale e ambientale”, consentendole di realizzare il suo diritto di invecchiare con dignità. Del resto, l’Italia (Art. 2 Costituzione) “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. E dunque è dovere della politica combattere la solitudine, l’emarginazione e l’abbandono degli anziani.
Inoltre, è davvero importante restituire forza alla relazione tra le persone di ogni età attraverso la potenza dell’educazione, è fondamentale che gli anziani siano trattati con gentilezza, che gli sia data la speranza, che si tenga conto dei loro progetti di vita (residua) e che gli sia consentito di sognare e di svolgere le attività che amano (una gita al mare, una visita al museo, una passeggiata al parco, un giro di danza). In questo senso la legge 33/2023 “deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane” è rivoluzionaria in quanto restituisce nuova dignità alla terza età promuovendo l’autonomia, l’inclusione sociale, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità. Riprendendo le parole di monsignor Paglia, questa legge ha attuato un profondo cambio di paradigma, ponendo come obiettivo quello di prendersi cura di tutti gli anziani attraverso un “continuum assistenziale” centrato sul cohousing, su centri diurni polifunzionali e lungodegenze temporanee, in modo che nessuno sia lasciato solo e senza cure. Il cohousing è stato indicato da monsignor Paglia come un punto chiave per favorire una nuova alleanza tra generazioni e contrastare il fenomeno dell’isolamento sociale. Questo modello non solo permette agli anziani di vivere insieme in un ambiente comunitario, ma favorisce anche una mag
giore coesione sociale e civile. Inoltre, i centri diurni polivalenti non solo forniscono assistenza e cura, ma anche una serie di servizi e attività che offrono opportunità di socializzazione, stimolazione mentale e fisica, contribuendo così al benessere complessivo degli anziani e al sostegno delle loro famiglie. La legge raccomanda la promozione di una trasformazione positiva di un modello sanitario incentrato sugli ospedali a un modello basato sulla comunità, distribuito sui territori, proattivo e dotato di tecnoassistenza, dalla telemedicina al telemonitoraggio e così via. Socialità e supporto reciproco contro solitudine e abbandono sono i principali punti di forza del cohousing per anziani, un modello abitativo virtuoso che negli ultimi tempi si sta diffondendo anche nel nostro paese. Vivere con altre persone rappresenta un notevole vantaggio per la popolazione non più giovane; alcuni studi condotti negli Stati Uniti, dove questo modello è abbastanza diffuso, stimano che le persone anziane che vivono in strutture di cohousing siano in g r a d o di essere autosufficienti in media per 10 anni in più rispetto a quanti vivono da soli. Oltre al risparmio in termini di costi, la coabitazione permette a chi è rimasto solo di tornare a stare in compagnia, in una sorta di comunità solidale, organizzando attività condivise e sviluppando nuovi rapporti basati sul reciproco aiuto. Inoltre, il supporto di professionisti dedicati riduce il peso dell’assistenza sul resto del nucleo familiare, dai figli ai nipoti, ed è un modo per rendere più autonomi gli anziani sia nella gestione della vita quotidiana, che nell’avvio di progettualità nuove per guardare in modo diverso al futuro. Nel decreto legislativo n. 29 del 2024, entrato in vigore a marzo scorso, ci sono alcune risposte sul punto focale della “coabitazione solidale domiciliare (senior cohousing) e coabitazione intergenerazionale (cohousing intergenerazionale)”. Il decreto pone all’articolo 16, “criteri e prescrizioni per la realizzazione di progetti di coabitazione mediante rigenerazione urbana e riuso del patrimonio attuati sulla base di atti di pianificazione o programmazione regionale o comunale e di adeguata progettazione, tenendo conto di una serie di criteri quali la mobilità e accessibilità sostenibili, la ristrutturazione ed efficientamento energetico del patrimonio immobiliare pubblico e privato e la rigenerazione delle periferie urbane. In tal senso l’articolo 17 incentiva lo
sviluppo di “progetti pilota sperimentali” di coabitazione, con priorità per gli interventi di rigenerazione urbana e di riuso del patrimonio costruito, tenuto conto di quanto realizzato dagli ambiti territoriali sociali (Ats). Il limite del decreto, come spesso avviene in Italia, sta nella previsione normativa che dispone che dall’attuazione di questo articolo “non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che siano le amministrazioni interessate a provvedere agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.” Ovviamente questo ne rallenta l’attuazione per quanto ci sono sempre più esempi virtuosi da Milano a Roma, passando per Firenze e Bologna, e sono già diversi gli esempi di questa convivenza tra anziani che prende il nome di senior o silver cohousing. Tutti puntano a rispondere a un’esigenza prima di tutto sociale, oltre che economica. Certo, il nostro paese è in ritardo rispetto al Nord Europa, specie rispetto alla Danimarca ed alla Svezia, ma finalmente, anche grazie a queste innovazioni normative, qualcosa cambia anche in Italia. Molto si deve ancora fare perché sono davvero tante le potenzialità di questa modalità di vita. Secondo le più recenti stime, a regime si può ottenere un risparmio fino al 1015% sulla spesa media mensile delle famiglie che abitano in cohousing, a seconda di cosa hanno deciso di condividere e di come hanno deciso di organizzarsi. Come detto, e come si sta facendo, è una realtà molto interessante specie in Italia, secondo paese più anziano al mondo e primo in Europa. Inoltre, dati i costi degli affitti e del prezzo delle case e delle utenze, le persone che possono beneficiare di questo modello sono estremamente numerose. Nel programma di Garante delle persone anziane di Roma sono state visitate alcune realtà. Di particolare interesse è “Casa Nino”, una comunità alloggio del Comune di Roma, realizzata anche con i finanziamenti europei, che ospita anziani fragili, con disagio economico e a rischio di solitudine. Questa “casa” è anche espressione della legalità, dato che si tratta di una villetta ristrutturata sottratta da Roma Capitale alla criminalità organizzata in via Kenia, nel quartiere dell’Eur. La struttura oggi è abitata da 8 anziani e vi è un’equipe formata da una coordinatrice, un’educatrice professionale, un assistente sociale, uno psicologo e un operatore socio sanitario. Un ottimo esempio di modello abitativo
che sostiene la terza età. Vi sono anche strutture di cohousing privato che concretizzano grandi realtà di convivenza della terza età con coppie di ultra novantenni, intenti a conversare, giocare a carte, pranzare insieme. La strada intrapresa, e meglio delineata dalla legge 33/2023 e dai decreti attuativi, sembra essere quella giusta dato che mette in campo un percorso di "promozione e valorizzazione dell'invecchiamento" in chiave pragmatica. Si vuole, finalmente, puntare sul valore degli anziani come risorsa, sulla modernità di una città che li renda visibili, attivi, partecipi della vita economica e sociale dei quartieri, promotori di gentilezza e saggezza attraverso strumenti di solidarietà, sussidiarietà e responsabilità.
Chiaramente il cohousing non risolve tutti i problemi della terza età e della società, ma per tutto quanto detto – e molto altro – il cohousing ha la forza di trasformare la fragilità in opportunità dando nuova dignità alla terza età.
CITTÀ E ANZIANI: I BABY BOOMERS NUOVO MERCATO DI GRANDE
POTENZIALE
Viviana Kasam
Giornalista e Presidente di BrainCircle Italia
La generazione dei baby boomers nell’ultimo decennio ha iniziato, lenta ma inesorabile, a raggiungere l’età della pensione. Portando nel panorama scientificoeconomicocommerciale la consapevolezza di nuove esigenze e di un nuovo mercato di grande potenziale.
I baby boomers spesso dispongono di possibilità economiche: sono vissuti durante gli anni del boom, hanno privilegiato il risparmio, come allora era costume, non hanno più figli da mandare a scuola e genitori anziani da mantenere. Hanno spesso una abitazione di proprietà, almeno in Italia, e preoccupazione prioritaria è di mantenersi in salute, vivere più a lungo e se possibile in forma, usufruire di ciò che il mercato offre loro. E il mercato offre moltissimo: integratori, prodotti di bellezza, cliniche di longevità, trattamenti innovativi di ogni tipo, per non parlare di viaggi, crociere, vacanze low cost…. E’ la silver economy, bellezza, spesso “d’argento” più per chi la propone che per chi ne usufruisce. Parliamo di un mercato stimato solo in Italia a circa 600 miliardi. Secondo uno studio della Commissione UE, se la Silver economy fosse uno Stato sovrano, si posizionerebbe alle spalle solo di Stati Uniti e Cina, con una crescita annua del 5%, ben di più della maggior parte delle economie del mondo. Quanto di tutto ciò abbia basi scientifiche comprovate, e quanto sia invece abile marketing è difficile giudicarlo, anche perché mancano sperimentazioni di lunga durata e parametri condivisi di misurazione. Una cosa è certa. L’aspettativa di vita degli italiani era all’inizio degli anni 50 di circa 64 anni, all’inizio degli anni ’60 di 70, oggi è di 85. A questo hanno contribuito scoperte farmacologiche, come la penicillina e gli antibiotici e antivirali, vaccini, sistema sanitario pubblico, attenzione alla prevenzione, migliori condizioni igieniche e abitative. Ma a fronte di un aumento della durata della vita (il cosiddetto life span) non è aumentata analogamente la durata della vita in salute (il health span). E questo comporta un peso insostenibile per il sistema sanitario e assistenziale, ma anche per le famiglie e gli individui, che si trovano spesso ad affrontare lunghi anni in condizioni di fragilità psicofisica.
Il miglioramento del health span è diventata quindi una priorità a livello mondiale, tanto che le Nazioni Unite nel 2021 ha istituito la Decade dell’invecchia
mento sano (Decade of Healthy Ageing) con l’idea di promuovere consapevolezza e comportamenti volti a migliorare la salute degli individui. Comportamenti che sono alla portata di tutti, perché, come insegnano i centenari delle Blue Zone i segreti della longevità sana sono esercizio fisico costante, cibo a chilometro zero e prodotto in modo sostenibile, socializzazione, buon sonno, comunità coese affettivamente e allenamento del cervello.
Su questa consapevolezza si basa un progetto all’avanguardia nel mondo, che farà di Milano, tra il 21 e il 30 marzo 2025, la prima metropoli a offrire gratuitamente ai suoi cittadini una serie di “laboratori” dove apprendere e sperimentare i segreti per vivere a lungo in salute, cominciando da giovani. Organizzato da BrainCircleItalia con il Patrocinio del Comune di Milano, il MilanLongevitySummit 2025, “Esercizi di longevità” offrirà a tutti i milanesi la possibilità di apprendere come nutrirsi e cucinare in modo sano, che tipo di attività fisica prediligere, come imparare a dormire meglio, a difendersi dalle truffe, a investire in modo previdente i propri risparmi, a mantenere agile il cervello, a progettare per il benessere l’ambiente in cui si vive, a diventare cittadini digitali, e anche scoprire le possibilità di impegnarsi in attività di volontariato (un campo in cui Milano eccelle, con una rete vastissima di associazioni e fondazioni).
Sul modello del Fuori Salone, gli organizzatori del Summit invitano chiunque desideri condividere gratuitamente le proprie competenze di benessere a patrocinare un laboratorio, che verrà a far parte del calendario del Summit, purché rientri nei parametri di serietà e gratuità che sono la base della manifestazione.
Accanto ai laboratori, il Summit offrirà anche un importante contributo scientifico, grazie a conferenze e lectio magistralis di alcuni tra i più prestigiosi scienziati nel panorama internazionale. Per informazioni www.milanlongevitysummit.org www.braincircleitalia.it
LE CITTÀ E GLI ANZIANI INTELLIGENZA ARTIFICIALE: RACCOMANDAZIONI PER COMUNI E SINDACI
Lucio Corsaro e Gianluca Vaccaro BhAVE
Introduzione
Nel cuore di una rivoluzione tecnologica senza precedenti, due mondi apparentemente distanti si stanno incontrando in modo sempre più significativo: quello degli anziani e quello dell'intelligenza artificiale (IA). Questa convergenza non è solo un fenomeno interessante da osservare, ma rappresenta una delle sfide più cruciali e potenzialmente trasformative del nostro tempo. Da un lato, abbiamo una popolazione che invecchia rapidamente in molte parti del mondo, portando con sé sfide uniche in termini di assistenza sanitaria, inclusione sociale e qualità della vita. Dall'altro, abbiamo l'ascesa vertiginosa dell'intelligenza artificiale, una tecnologia che promette di rivoluzionare ogni aspetto della nostra esistenza, dalla medicina alla mobilità, dalla comunicazione all'intrattenimento.
L'intersezione di questi due mondi solleva domande fondamentali: Come può l'IA migliorare la vita degli anziani? Quali sono i rischi e le preoccupazioni etiche da considerare? Come possiamo garantire che questa rivoluzione tecnologica sia inclusiva e benefica per le generazioni più anziane?
Per dare risposta a queste domande ed esplorare in profondità queste questioni, in questo articolo riportiamo alcuni dei dati rilevati tramite l’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE . Esamineremo le applicazioni pratiche già in uso, le potenziali innovazioni future e le considerazioni etiche che abbiamo rilevato. Inoltre, discuteremo le politiche necessarie per garantire che questa rivoluzione tecnologica sia veramente al servizio di tutti, indipendentemente dall'età.
Nel corso di questa esplorazione, diventerà chiaro che il rapporto tra anziani e IA non è semplicemente una questione di adattamento tecnologico, ma un
profondo riesame di come vogliamo invecchiare come società e di quale ruolo vogliamo che la tecnologia giochi in questo processo. È una conversazione che riguarda tutti noi, poiché tutti aspiriamo a invecchiare con dignità, indipendenza e un senso di connessione con il mondo che ci circonda.
Mentre ci imbarchiamo in questo viaggio di scoperta, è essenziale mantenere una prospettiva equilibrata, riconoscendo sia il potenziale trasformativo dell'IA sia le legittime preoccupazioni che accompagnano il suo rapido sviluppo. Solo attraverso un dialogo informato e inclusivo possiamo sperare di plasmare un futuro in cui la tecnologia arricchisca veramente la vita di tutte le generazioni.
Il contesto demografico: l'invecchiamento della popolazione
Il mondo sta invecchiando a un ritmo senza precedenti. Secondo le Nazioni Unite, entro il 2050, una persona su sei nel mondo avrà più di 65 anni, rispetto a una su undici nel 2019. Questo cambiamento demografico, noto come "invecchiamento della popolazione", sta ridisegnando il tessuto sociale ed economico delle nostre società, portando con sé sfide significative ma anche opportunità uniche. L'invecchiamento, purtroppo, spesso porta con sé una serie di fragilità che possono compromettere significativamente la qualità della vita:
1. Fragilità fisica: Con l'avanzare dell'età, il corpo diventa più vulnerabile a malattie croniche, problemi di mobilità e declino cognitivo. Molti anziani si trovano a dover gestire condizioni multiple, che richiedono cure costanti e spesso complesse.
2. Fragilità economica: Nonostante i sistemi pensionistici, molti anziani si trovano in difficoltà economiche, specialmente in paesi con sistemi di welfare meno sviluppati. L'aumento dei costi sanitari e
l'aspettativa di vita più lunga possono esaurire i risparmi di una vita.
3. Fragilità sociale: La perdita di ruoli sociali, il pensionamento e la scomparsa di amici e familiari possono portare a un restringimento della rete sociale degli anziani, aumentando il rischio di isolamento.
4. Fragilità psicologica: La combinazione di cambiamenti fisici, perdite personali e cambiamenti nel ruolo sociale può portare a problemi di salute mentale come depressione e ansia.
La solitudine: una pandemia silenziosa
Tra tutte queste fragilità, la solitudine emerge come una delle sfide più insidiose e pervasive. Spesso descritta come una "pandemia silenziosa", la solitudine tra gli anziani ha raggiunto livelli allarmanti. Il 38% degli anziani intervistati si sente regolarmente solo. La solitudine (e il senso di solitudine) è associata a un aumento del 50% del rischio di demenza e a un aumento del 30% del rischio di malattie cardiache e ictus. L'isolamento sociale può accelerare il declino cognitivo e aumentare il rischio di mortalità prematura. Le cause della solitudine sono molteplici: la perdita del partner (61% dei rispondenti), la distanza geografica dai familiari (82%), la ridotta mobilità (49%), la mancanza di opportunità di socializzazione (27%) e, sempre più spesso, il divario digitale che può escludere gli anziani da forme moderne di connessione sociale (39%). Degno di nota è che il 66% degli anziani intervistati dichiara di avere un account Facebook, il 29% Instagram ed il 23% tiktok.
Il 100% degli intervistati possiede un cellulare, di cui il 21% possiede un IPhone 9 o superiore.
Il 67% utilizza il computer con regolarità (una o due volte al giorno).
Il 47% vede al meno un film o un episodio di una serie in streaming online, di cui il 56% direttamente su cellulare.
Il 39% vede almeno 3 ore di televisione al giorno.
Il potenziale dell'IA nel contrastare fragilità e solitudine
È in questo contesto di vulnerabilità e isolamento che l'intelligenza artificiale emerge come una potenziale alleata. L'IA, con la sua capacità di processare grandi quantità di dati, apprendere e adattarsi, offre solu
zioni innovative per affrontare molte delle sfide legate all'invecchiamento:
1. Assistenza sanitaria personalizzata: Sistemi di IA possono monitorare costantemente i parametri vitali, prevedere potenziali problemi di salute e personalizzare i piani di cura, riducendo la fragilità fisica. Il 9% degli intervistati dichiara di avere in casa assistenti virtuali tra questi il più diffuso è il tele salvavita Beghelli.
Caso di studio: IBM Watson Health e Assistenza agli Anziani
IBM Watson Health ha collaborato con diverse organizzazioni sanitarie per migliorare l'assistenza agli anziani. Un esempio notevole è la partnership con Avamere Family of Companies, un fornitore di assistenza agli anziani negli Stati Uniti.
Implementazione: Watson analizza dati provenienti da cartelle cliniche elettroniche, sensori ambientali e dispositivi indossabili.
Risultati: Il sistema è in grado di prevedere il rischio di cadute, identificare primi segni di infezioni del tratto urinario e altre condizioni comuni negli anziani.
Impatto: Riduzione del 60% delle cadute e diminuzione del 50% delle ospedalizzazioni non pianificate.
2. Supporto cognitivo: Applicazioni basate sull'IA possono stimolare l'attività mentale, aiutare nella gestione della routine quotidiana e fornire assistenza per compiti complessi, contrastando il declino cognitivo. Ciò non di meno tra gli intervistati gli strumenti più diffusi per mantenere in attività la mente sono il cruciverba (60% degli intervistati), la lettura di libri cartacei (il 35% degli intervistati ha letto un libro nell’ultimo anno), dedicarsi ad un attività come la pittura, suonare un strumento musicale o scrivere (il 27% degli intervistati), il 22,5% degli intervistati usa app per mantenere attiva la mente in particolare app relative alla meditazione (tra le più citate Smiling Mind e asana rebel, che offrono sessioni di "Invecchiamento consapevole")
Caso di studio: Piattaforma di realtà virtuale Rendever
Rendever è una piattaforma di realtà virtuale progettata per anziani in case di cura e comunità di pensionamento.
Tecnologia: Utilizza la realtà virtuale e l'IA per creare esperienze immersive personalizzate.
Applicazioni: Gli utenti possono "visitare" luoghi del loro passato, partecipare a eventi familiari a distanza o esplorare nuove destinazioni.
Risultati: Studi hanno mostrato una riduzione del 40% nei sintomi depressivi tra i partecipanti e un aumento significativo delle interazioni sociali.
3. Connessione sociale: Chatbot avanzati e assistenti virtuali possono offrire compagnia, stimolare la conversazione e facilitare la connessione con familiari e amici, combattendo la solitudine. Il 38% utilizza regolarmente Gemini per conversare e avere informazioni sul tempo, le ricette, la propria squadra, etc… solo il 4% usa chatbot dedicati (es. Copilot, CompanionBot, MemoryLane, etc…).
Caso di studio: Chatbot ElliQ ElliQ è un assistente robotico sociale sviluppato da Intuition Robotics, progettato specificamente per gli anziani che vivono da soli.
Funzionalità: ElliQ può iniziare conversazioni, ricordare appuntamenti, suggerire attività e facilitare videochiamate con familiari e amici.
Tecnologia IA: Utilizza il natural language processing e l'apprendimento automatico per personalizzare le interazioni in base alle preferenze e alle abitudini dell'utente.
Risultati: Studi pilota hanno mostrato una riduzione del senso di solitudine e un aumento dell'engagement sociale tra gli utenti anziani.
4. Sicurezza domestica: Sistemi di domotica basati sull'IA possono rendere le case più sicure e confortevoli, permettendo agli anziani di vivere in modo indipendente più a lungo. Il 59% degli intervistati dichiara di avere in casa elettrodomestici domotici, tra cui più diffuso è l’aspirapolvere 61%, a seguire robot da cucina 59% (frullatori, friggitrice, etc…), tapparelle elettriche 32%, lavastoviglie 22%, lavatrici 21% ed in ultimo frigoriferi 13%. Il 31% ha installato in casa sistemi di sicurezza antintrusione.
quotidiane degli anziani che vivono indipendentemente.
Funzionamento: Sensori wireless posizionati in casa rilevano movimento, temperatura e utilizzo di porte e apparecchi.
Analisi IA: L'IA analizza i dati per identificare cambiamenti nei pattern di comportamento che potrebbero indicare problemi di salute o sicurezza.
Impatto: Ha permesso a molti anziani di vivere più a lungo nelle proprie case, fornendo tranquillità ai familiari e riducendo la necessità di assistenza residenziale.
5. Supporto emotivo: L'IA può essere utilizzata per rilevare cambiamenti nell'umore e nel comportamento, segnalando potenziali problemi di salute mentale e facilitando interventi tempestivi. Il 27% usa smart watch per monitorare la propria salute (la quasi totalità sono uomini).
Caso di studio: Assistente vocale personalizzato SnorkelAI
SnorkelAI ha sviluppato un assistente vocale personalizzato per anziani, adattando la tecnologia esistente alle esigenze specifiche di questa popolazione.
Personalizzazione: L'IA apprende le preferenze individuali, il vocabolario e le routine dell'utente.
Funzionalità: Oltre ai compiti standard come impostare promemoria o controllare dispositivi smart home, può monitorare sottilmente il benessere dell'utente attraverso l'analisi del parlato.
Impatto: Ha migliorato l'aderenza alla terapia farmacologica del 30% e ha aumentato l'engagement sociale attraverso suggerimenti di attività personalizzate.
Caso di studio: Sistema di monitoraggio domestico Canary Care
Canary Care è un sistema di monitoraggio non invasivo che utilizza sensori e IA per monitorare le attività
È chiaro che siamo di fronte a un'opportunità unica: utilizzare una delle tecnologie più avanzate del nostro tempo per affrontare alcune delle sfide più antiche dell'umanità la fragilità e la solitudine che spesso accompagnano l'invecchiamento. Il modo in cui riusciremo a bilanciare l'innovazione tecnologica con i bisogni umani fondamentali determinerà non solo la qualità della vita degli anziani di oggi, ma anche il tipo di società che stiamo costruendo per il futuro. Dalle analisi condotte dall’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE si rileva che, l'applicazione dell'IA per gli anziani richiede considerazioni specifiche:
1. Usabilità: Le interfacce e le interazioni devono essere progettate tenendo conto delle possibili limitazioni fisiche e cognitive degli utenti anziani. La personalizzazione è cruciale: le soluzioni più efficaci sono quelle che si adattano alle esigenze e preferenze individuali degli utenti anziani.
2. Accettazione tecnologica: È necessario superare potenziali barriere psicologiche e culturali all'adozione della tecnologia. L'accettazione e l'adozione da parte degli utenti rimangono sfide significative, sottolineando l'importanza di un design centrato sull'utente e di programmi di formazione adeguati.
3. Integrazione con l'assistenza umana: L'IA dovrebbe complementare, non sostituire, l'assistenza e l'interazione umana. L'implementazione di successo richiede spesso un approccio multidisciplinare, coinvolgendo esperti in gerontologia, etica, design e tecnologia.
4. Privacy e dignità: Le soluzioni IA per gli anziani devono bilanciare attentamente il monitoraggio e l'assistenza con il rispetto della privacy e dell'autonomia individuale. Molte di queste soluzioni sollevano questioni etiche e di privacy che devono essere attentamente considerate e gestite.
5. Equità e accesso: L’accessibilità economica rimane un ostacolo per l'adozione diffusa di alcune di queste tecnologie avanzate. Inoltre, il divario digitale può escludere alcuni gruppi di anziani dai benefici dell'IA ed il rischio di bias negli algoritmi che potrebbero portare a discriminazioni basate su età, genere, etnia o status socioeconomico.
È fondamentale che lo sviluppo e l'implementazione di soluzioni IA per gli anziani siano guidati non solo dall'innovazione tecnologica, ma anche da una profonda comprensione dei bisogni, delle preferenze e dei valori degli anziani stessi. Ciò richiede una collaborazione stretta tra sviluppatori di tecnologia, professionisti sanitari, politici, eticisti e, soprattutto, gli anziani e le loro famiglie. Inoltre, è cruciale riconoscere che l'IA non è una panacea, deve essere vista come uno strumento per potenziare e complementare, non sostituire, l'assistenza umana e le relazioni interpersonali che rimangono fondamentali per il benessere degli anziani.
Raccomandazioni per sindaci e comuni: Promuovere
l'inclusione digitale degli anziani attraverso l'IA L’indagine condotta dall’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE mirava ad identificare possibili suggerimenti e raccomandazioni specifiche per sindaci e amministrazioni comunali su come implementare e gestire l'uso dell'intelligenza artificiale per migliorare la vita degli anziani nelle loro comunità. Queste raccomandazioni mirano a promuovere l'inclusione digitale, garantire l'equità nell'accesso alle tecnologie IA e massimizzare i benefici per la popolazione anziana locale.
1. Valutazione delle esigenze e pianificazione strategica
Raccomandazioni:
Condurre un censimento tecnologico degli anziani per comprendere il livello attuale di alfabetizzazione digitale e accesso alla tecnologia.
Istituire un comitato consultivo composto da anziani, esperti di gerontologia, specialisti di IA e rappresentanti della comunità per guidare le iniziative locali.
Sviluppare un piano strategico quinquennale per l'implementazione dell'IA a beneficio degli anziani, con obiettivi chiari e misurabili.
Esempio pratico: Il Comune di Bologna potrebbe lanciare il progetto "Bologna Digitale Senior", iniziando con un sondaggio capillare sulla familiarità degli over 65 con la tecnologia, per poi elaborare un piano d'azione mirato.
2. Infrastruttura e accessibilità Raccomandazioni:
Investire in infrastrutture di connettività a banda larga in tutte le aree del comune, con particolare attenzione alle zone con alta concentrazione di anziani.
Creare "hub tecnologici" nei centri anziani e nelle biblioteche pubbliche, dotati di dispositivi e assistenza per l'uso di tecnologie IA.
Implementare un sistema di trasporto pubblico intelligente che utilizzi l'IA per ottimizzare percorsi e orari in base alle esigenze degli anziani.
Esempio pratico: Il Comune di Padova potrebbe avviare il progetto "Padova Connessa", installando punti di accesso WiFi gratuiti in tutti i parchi e le piazze frequentate dagli anziani, e fornendo tablet in comodato d'uso con app IA preinstallate per l'assistenza quotidiana.
3. Formazione e supporto
Raccomandazioni:
Organizzare corsi gratuiti di alfabetizzazione digitale per anziani, con focus sull'uso di applicazioni IA per la salute, la socializzazione e la vita quotidiana.
Istituire un programma di "tutor digitali", coinvolgendo volontari giovani per assistere gli anziani nell'uso delle tecnologie IA.
Creare una help line telefonica dedicata per il supporto tecnico agli anziani nell'uso di dispositivi e applicazioni IA.
Esempio pratico: Il Comune di Firenze potrebbe lanciare l'iniziativa "Nonni 2.0", con corsi settimanali nei centri civici e un servizio di assistenza a domicilio per l'installazione e l'uso di dispositivi smart per la casa.
4. Servizi comunali potenziati dall'IA
Raccomandazioni:
Implementare chatbot IA sul sito web del comune per assistere gli anziani nella navigazione dei servizi online.
Sviluppare un'app mobile comunale che utilizzi l'IA per personalizzare informazioni e servizi in base alle esigenze specifiche di ogni anziano.
Utilizzare l'IA per ottimizzare la gestione dei servizi di assistenza domiciliare, migliorando l'efficienza e la qualità del servizio.
Esempio pratico: Il Comune di Torino potrebbe creare "TorinoSenior", un'app che utilizza l'IA per ricordare appuntamenti medici, suggerire attività sociali basate sugli interessi dell'utente e fornire informazioni in tempo reale su servizi comunali rilevanti per gli anziani.
5. Salute e benessere
Raccomandazioni:
Collaborare con le ASL locali per implementare sistemi di telemedicina potenziati dall'IA, facilitando le consultazioni remote per gli anziani.
Installare sistemi di monitoraggio ambientale basati sull'IA nelle abitazioni degli anziani a rischio, con il loro consenso, per prevenire incidenti domestici.
Utilizzare l'IA per analizzare i dati sanitari aggregati e anonimi per identificare tendenze e migliorare i servizi di prevenzione per gli anziani.
Esempio pratico: Il Comune di Bari potrebbe avviare il progetto "Bari Salute Smart", fornendo dispositivi
indossabili connessi a un sistema IA centrale per il monitoraggio della salute degli anziani, con alert automatici ai familiari o ai servizi di emergenza in caso di anomalie.
6. Inclusione sociale e partecipazione civica
Raccomandazioni:
Creare una piattaforma di social networking locale potenziata dall'IA per connettere gli anziani con interessi simili e facilitare incontri e attività di gruppo.
Implementare un sistema di democrazia partecipativa online con interfacce adatte agli anziani, utilizzando l'IA per analizzare e categorizzare i feedback dei cittadini.
Utilizzare l'IA per personalizzare la comunicazione del comune verso gli anziani, assicurando che ricevano informazioni rilevanti in formati accessibili. Esempio pratico: Il Comune di Palermo potrebbe lanciare "PalermoInsieme", una piattaforma che utilizza l'IA per suggerire attività di volontariato agli anziani basate sulle loro competenze ed esperienze, promuovendo l'invecchiamento attivo e il contributo alla comunità.
7. Monitoraggio e valutazione
Raccomandazioni:
Istituire un sistema di monitoraggio continuo dell'impatto delle iniziative IA sugli anziani, utilizzando metriche quantitative e feedback qualitativi.
Condurre valutazioni annuali dell'efficacia dei programmi IA, coinvolgendo direttamente gli anziani nel processo di revisione.
Utilizzare l'IA per analizzare i dati raccolti e identificare aree di miglioramento o nuove opportunità di intervento.
Esempio pratico: Il Comune di Verona potrebbe implementare "VeronaAscolto", un sistema che utilizza l'analisi del sentiment basata sull'IA per valutare la soddisfazione degli anziani rispetto ai servizi comunali potenziati dall'IA, permettendo aggiustamenti rapidi basati sul feedback.
L'implementazione di queste raccomandazioni richiederà un impegno significativo in termini di risorse, pianificazione e collaborazione intersettoriale. Tuttavia, i potenziali benefici per la qualità della vita degli anziani e per l'efficienza dei servizi comunali sono sostanziali. I sindaci e le amministrazioni comunali
hanno una posizione unica per guidare questa trasformazione digitale in modo inclusivo ed etico. Attraverso un approccio centrato sull'utente, una pianificazione attenta e un monitoraggio continuo, i comuni possono sfruttare il potenziale dell'IA per creare comunità più agefriendly, migliorando significativamente la vita dei loro cittadini anziani. È fondamentale ricordare che l'obiettivo ultimo di queste iniziative non è la tecnologia in sé, ma il miglioramento tangibile della qualità della vita, dell'indipendenza e del benessere degli anziani. Con una leadership illuminata e un impegno costante, i comuni possono essere in prima linea nella rivoluzione dell'IA per gli anziani, creando un modello di inclusione digitale che possa ispirare altre comunità in tutto il paese.
Impatto su tecnologia e vita quotidiana:
I bias comportamentali degli anziani I bias comportamentali sono tendenze sistematiche nel comportamento e nel pensiero che possono influenzare le decisioni e le azioni di una persona. Gli anziani, come tutti gli altri gruppi demografici, sono soggetti a vari bias comportamentali. Questi possono avere un impatto significativo sul loro rapporto con le nuove tecnologie, l'IA e la vita quotidiana in generale. Ecco alcuni dei principali bias comportamentali osservati negli anziani:
1. Bias dello status quo: Tendenza a preferire che le cose rimangano come sono o che cambino il meno possibile. Impatto:
Resistenza all'adozione di nuove tecnologie o cambiamenti nelle routine quotidiane.
Preferenza per metodi e strumenti familiari, anche quando esistono alternative più efficienti.
2. Bias di conferma: Tendenza a cercare, interpretare o ricordare informazioni in modo da confermare le proprie convinzioni preesistenti. Impatto:
Rafforzamento di opinioni negative preesistenti sulle nuove tecnologie.
Difficoltà ad accettare evidenze dei benefici dell'IA o di altre innovazioni.
3. Effetto di ancoraggio: Tendenza a fare affidamento eccessivo sulla prima informazione offerta quando si prendono decisioni. Impatto:
Difficoltà a rivalutare il valore o l'utilità di nuove tecnologie dopo una prima impressione negativa.
Resistenza a cambiare opinione su questioni tecnologiche o sociali.
4. Bias di disponibilità: Tendenza a sopravvalutare la probabilità di eventi di cui si ha un ricordo vivido o recente. Impatto:
Eccessiva preoccupazione per rischi tecnologici ampiamente pubblicizzati (come violazioni della privacy).
Sottovalutazione di rischi meno "sensazionali" ma potenzialmente più rilevanti.
5. Bias di negatività: Tendenza a dare maggior peso alle esperienze o informazioni negative rispetto a quelle positive. Impatto:
Focalizzazione sui potenziali rischi delle nuove tecnologie piuttosto che sui benefici.
Tendenza a ricordare e condividere più facilmente esperienze negative con la tecnologia.
6. Illusione di controllo: Tendenza a sovrastimare il proprio grado di influenza sugli eventi esterni. Impatto:
Resistenza a sistemi automatizzati o IA che potrebbero ridurre il senso di controllo personale.
Preferenza per metodi manuali anche quando meno efficienti o sicuri.
7. Bias di abilità decrescente: Tendenza a sottovalutare la propria capacità di apprendere nuove competenze con l'avanzare dell'età. Impatto:
Riluttanza a intraprendere l'apprendimento di nuove tecnologie.
Sottostima delle proprie capacità di adattamento al cambiamento tecnologico.
8. Nostalgia bias: Descrizione: Tendenza a ricordare il passato in modo più positivo di quanto fosse realmente. Impatto:
Resistenza al cambiamento basata su una visione idealizzata del passato.
Difficoltà a riconoscere i miglioramenti apportati dalle nuove tecnologie.
9. Bias di gruppo sociale: Tendenza a conformarsi alle opinioni e ai comportamenti del proprio gruppo sociale di riferimento.Impatto:
Adozione o rifiuto di tecnologie basati sulle norme
percepite del proprio gruppo di coetanei.
Difficoltà ad abbracciare innovazioni se non supportate dal proprio ambiente sociale.
Raccomandazioni a comuni e sindaci
Comprendere questi bias comportamentali è cruciale per sviluppare strategie efficaci per l'integrazione degli anziani nel mondo digitale e dell'IA. Riconoscere questi bias può aiutare a:
1. Progettare interfacce e prodotti tecnologici più intuitivi e adatti alle esigenze degli anziani.
2. Sviluppare programmi di formazione e supporto che affrontino specificamente questi bias.
3. Creare campagne di comunicazione più efficaci per promuovere l'adozione di nuove tecnologie tra gli anziani.
4. Implementare politiche che favoriscano l'inclusione digitale, tenendo conto delle particolari sfide cognitive e comportamentali affrontate da questa fascia demografica.
Riconoscendo e affrontando questi bias, possiamo creare un ambiente in cui gli anziani si sentano più a loro agio nell'esplorare e adottare nuove tecnologie, migliorando così la loro qualità della vita e il loro coinvolgimento nella società digitale
LE CITTÀ E GLI ANZIANI: IL RUOLO DELLE CASE SOCIALI PER ANZIANI E QUARTIERE (CSAQ) NELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO
Eleonora Selvi
Consiglio Direttivo IWA e Presidente Fondazione Longevitas
L’invecchiamento attivo è una delle principali sfide sociali e demografiche del nostro tempo. Le Case Sociali per Anziani e Quartiere (CSAQ) di Roma Capitale rappresentano un’opportunità cruciale per promuovere il benessere delle persone anziane attraverso iniziative di aggregazione, formazione e inclusione sociale. Un recente studio condotto dalla Fondazione Longevitas ha analizzato il ruolo di queste strutture, evidenziandone punti di forza, criticità e prospettive di sviluppo. Quelli che un tempo si chiamavano Centri anziani in Italia sono nati negli anni '70 come risposta all'esigenza di contrastare l'isolamento sociale delle persone anziane. L'idea fu promossa dalle amministrazioni locali, con un ruolo pionieristico del Comune di Roma, che inaugurò i primi centri sociali per anziani come luoghi di incontro, svago e supporto, ispirandosi ai modelli di welfare comunitario diffusi in Europa. Nel maggio 2023, l'Assemblea Capitolina ha approvato un nuovo regolamento che trasforma i Centri Anziani in "Case Sociali delle Persone Anziane e del Quartiere" (CSAQ). Questo cambiamento mira a rafforzare il ruolo di questi luoghi, rendendoli spazi inclusivi e aperti alla comunità, promuovendo l'invecchiamento attivo e l'integrazione intergenerazionale. Roma Capitale oggi conta 150 strutture nei suoi XV municipi, su cui insiste un bacino di oltre 75.000 persone. Le CSAQ si configurano principalmente come luoghi di aggregazione per i senior, con il 68,6% degli intervistati dalla Fondazione Longevitas che ne riconosce il valore sociale. Questi spazi offrono un’ampia gamma di attività che non solo migliorano la salute fisica, ma rafforzano anche il senso di appartenenza comunitaria. Tra le iniziative più apprezzate figurano la ginnastica dolce, il pilates, lo yoga, il ballo di gruppo e di coppia, oltre ai giochi di carte e ai tornei di bocce. La dimensione fisica delle attività è centrale, con il
91,4% delle CSAQ che organizza programmi ludicomotori per i propri iscritti. Spazi come le sale dedicate alla danza, le aree per i giochi da tavolo e le strutture sportive contribuiscono a creare un ambiente dinamico e stimolante, supportando il benessere psicofisico degli utenti. Le attività offerte dalle CSAQ non si fermano alla sfera fisica. Molti centri organizzano corsi di formazione che spaziano dall’informatica all’educazione sanitaria e alla prevenzione, rispondendo al crescente interesse degli anziani verso l’apprendimento continuo. Non mancano laboratori artistici come ceramica, mosaico e giardinaggio, che favoriscono l’espressione creativa, e iniziative culturali come cineforum e visite ai musei, che arricchiscono l’offerta formativa e culturale. Tuttavia, il report mette in luce alcune criticità. Il 31,4% dei partecipanti ritiene le CSAQ poco flessibili rispetto alle esigenze degli utenti, mentre il 28,6% sottolinea come siano frequentate quasi esclusivamente da anziani, limitando le opportunità di scambio intergenerazionale. Problematiche strutturali come scarsa manutenzione, spazi ridotti e attrezzature obsolete rappresentano ulteriori ostacoli alla piena realizzazione del loro potenziale. Nonostante queste criticità, il livello di soddisfazione generale degli utenti si attesta su valori alti, con il 74,3% degli intervistati che si dichiara soddisfatto del servizio. Dal punto di vista dei servizi offerti, le CSAQ mostrano un’offerta ancora frammentata e priva di una strategia di sviluppo chiara, sebbene il 40% delle strutture offra servizi fiscali o sanitari di base. Tuttavia, l’80% degli intervistati apprezza l’affidabilità del servizio pubblico locale e riconosce che molte delle attività svolte nelle CSAQ contribuiscono significativamente alla qualità della vita degli anziani, in particolare quelle legate al movimento e alla socializzazione.
Per potenziare l’efficacia delle CSAQ, secondo la proposta della Fondazione Longevitas, è necessario un impegno deciso verso il miglioramento delle strutture e delle attività. Sarebbe utile integrare nuove discipline motorie come il tai chi o il nordic walking, che combinano benefici fisici e mentali, e promuovere iniziative che coinvolgano giovani e anziani, come laboratori culturali o eventi tematici nelle scuole. Inoltre, interventi di manutenzione straordinaria potrebbero risolvere molte delle problematiche evidenziate dagli utenti, come la scarsa pulizia, gli spazi ridotti e le attrezzature obsolete. Per aumentare l’impatto delle CSAQ, Roma Capitale potrebbe rafforzare il legame con questi centri, prevedendo un referente unico per ciascun municipio e incentivando il supporto economico e logistico per iniziative sociali rilevanti. Infine, l’ampliamento dell’offerta formativa e culturale potrebbe rispondere meglio ai bisogni di una popolazione anziana sempre più attiva e interessata a mantenere un ruolo sociale e culturale significativo. Le CSAQ di Roma Capitale rappresentano un pilastro importante per il sostegno all’invecchiamento attivo. Tuttavia, per massimizzarne l’impatto, è necessario affrontare le criticità esistenti e sviluppare una visione strategica che valorizzi il ruolo di questi centri come hub di inclusione sociale e innovazione. Attraverso investimenti mirati e il coinvolgimento attivo della comunità, le CSAQ possono diventare un modello di riferimento per il welfare di comunità, offrendo agli anziani non solo un luogo dove svolgere attività fisiche e culturali, ma anche un contesto dove costruire legami significativi e sentirsi parte integrante del tessuto sociale.
MANIFESTO EUROPEO CONTRO L’AGEISMO STOP ALL’AGEISMO
9 proposte promosse dalla FONDAZIONE LONGEVITAS per una strategia europea concreta per combattere l'ageismo e promuovere il rispetto e l'inclusione delle persone anziane
Cos’è l’Ageismo
L'ageismo si riferisce agli stereotipi, ai pregiudizi e alle discriminazioni verso gli altri e verso noi stessi in base all'età anagrafica.
Per gli anziani, tale fenomeno è associato a una vita più breve, a una salute fisica e mentale peggiore, a una ripresa più lenta da disabilità e declino cognitivo. L'ageismo riduce la qualità della vita degli anziani, aumenta il loro isolamento sociale e la solitudine (entrambi associati a gravi problemi di salute), limita la loro capacità di esprimere la propria sessualità e può aumentare il rischio di violenza e abusi nei con‐fronti degli anziani. L'ageismo può essere sperimen‐tato anche dai più giovani, a loro volta oggetto di pregiudizi e vittime di discriminazioni legati all’età, riducendone l'impegno nei confronti dell'organizza‐zione per cui lavorano, minando la loro autostima, limitando le loro opportunità di crescita personale, professionale, civile.
Contesto
Il 18 marzo 2021, il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) ha presentato il Rapporto Globale sull'Ageismo, in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, il Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari Eco‐nomici e Sociali e il Fondo delle Nazioni Unite. Il rap‐porto sottolinea che circa il 42% della popolazione anziana europea avverte la presenza diffusa di di‐scriminazione legata all'età nel proprio paese, con particolare rilevanza sul luogo di lavoro. Più in generale, i dati del Rapporto Globale sull’Agei‐smo ci dicono che una persona su tre in Europa, sia giovane che anziana, dichiara di essere stata vittima di ageismo. La lotta contro l'ageismo costituisce una
delle quattro principali azioni del Decennio dell'In‐vecchiamento in Buona Salute (2021‐2030).
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che l'ageismo sia la terza principale causa di discrimina‐zione a livello mondiale.
Rivoluzionare il nostro modo di pensare, sentire e agire nei confronti dell'età e dell'invecchiamento è un presupposto fondamentale per il successo nell'af‐frontare l'invecchiamento in salute e per progredire nelle altre tre aree d'intervento del Decennio, che mi‐rano allo sviluppo di comunità promuovendo le abi‐lità degli anziani, all'offerta di soluzioni di assistenza incentrate sulla persona, e alla fornitura di servizi sa‐nitari di base adeguati alle esigenze degli anziani, compresa l'assistenza a lungo termine quando ne‐cessaria.
Nonostante le misure esistenti, è necessaria una po‐litica più ampia e completa per garantire l'inclusione degli anziani nella società, sfruttando il loro poten‐ziale sociale, economico e intellettuale spesso trascu‐rato, come sottolineato dal CESE, che ha invitato la Commissione Europea a sviluppare una strategia eu‐ropea a favore degli anziani, affrontando in modo approfondito le esigenze occupazionali, educative, sanitarie e assistenziali della fascia di età più matura della popolazione.
La composizione demografica dell'Unione Europea sta subendo un processo di invecchiamento, evidenziato da vari indicatori statistici. Si osserva un aumento della percentuale di individui anziani, un in‐cremento dell'indice di dipendenza e un aumento dell'età mediana, tra gli altri fattori. Nel 2020, il 21% della popolazione aveva 65 anni o più, registrando un incremento del 5% rispetto al 2001, quando la percentuale era del 16%. Il numero degli over 80 anni è passato dal 3.4% del 2001 al 6% del 2020, ar‐
rivando quasi a raddoppiare nel periodo preso in considerazione. Pertanto l’Ageismo è una delle prin‐cipali sfide che una società longeva come quella eu‐ropea si trova e si troverà sempre più ad affrontare. Si tratta di un fenomeno trasversale a diversi ambiti del vivere, che ha conseguenze serie e di ampia portata sulla salute, sul benessere e sui diritti umani delle persone.
Le Istituzioni Europee hanno già adottato una serie di strumenti e assegnato fondi significativi per af‐frontare idiritti e le esigenze della popolazione an‐ziana, con l'obiettivo di integrarli come membri produttivi dellasocietà.
Il 27 gennaio 2021 la Commissione Europea ha pre‐sentato il suo Libro Verde sull’invecchiamento demografico, intitolato “Promuovere la solidarietà e la responsabilità fra le generazioni” in cui conferma la necessità di azioni concrete e risolute a sostegno degli anziani in tutti gli ambiti delle politiche, ma non formula un vero e proprio programma di iniziative da mettere in atto da parte dell’UE e degli Stati membri.
Tuttavia appare necessario ed urgente un cambio di paradigma, in cui abbandonare la visione basata sull’assistenza e concentrarsi sullo sviluppo dell’au‐tonomia delle persone anziane, al fine di eliminare alla radice il pregiudizio negativo nei confronti degli anziani («ageismo») per superare le sfide, compresa la solitudine, che colpisce oltre il 44% degli europei sopra i 55 anni.
1 Dichiarazione di Principi. Riconosciamo che l’Ageismo è un problema sociale che riguarda tutte le fasce di età e che deve impegnare seriamente l’Europa. Ci impegniamo perciò a lavorare con le Istituzioni Europee per porre fine agli stereotipi e ai pregiudizi legati all’età, per creare una società in cui ogni individuo, indipendentemente dalla sua età, possa godere di pari dignità, rispetto e opportunità.
A tal fine chiediamo alle Istituzioni di sviluppare una Strategia Europea per la lotta contro l’Ageismo, prendendo spunto dalle buone pratiche già avviate per l’educazione intergenerazionale, dagli indirizzi offerti sui temi dell’Invecchiamento attivo e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sullo specifico tema dell’Ageismo.
2 Giornata Europea Contro l’Ageismo. Chiediamo l’istituzione di una Giornata Europea Contro l’Ageismo per sensibilizzare l’opinione pubblica, coinvolgere la società civile e promuovere azioni concrete contro questo fenomeno dilagante.
In questa giornata, proponiamo che cittadini, organizzazioni, istituzioni e media di tutta Europa siano invitati a unirsi per celebrare la diversità delle età e promuovere una visione positiva dell’invecchiamento.
3 Educazione e Sensibilizzazione. Ci rivolgiamo ai Parlamentari Europei affinché sensibilizzino i Governi nazionali per l’implementazione di programmi educativi mirati a contrastare l’Ageismo sin dalle fasi scolastiche, introducendo materie che promuovano la comprensione e il rispetto delle diverse fasce d’età per plasmare una cultura di inclusione fin dalla giovane età.
Parimenti chiediamo di sensibilizzare i Governi nazionali a promuovere la formazione antiAgeismo tra i professionisti e lavoratori, affinché siano consapevoli delle implicazioni dell’ageismo e siano in grado di affrontarle in modo adeguato.
Proponiamo alle Istituzioni Europee di promuovere campagne di sensibilizzazione su larga scala, che puntino a cambiare le percezioni sociali sull’invecchiamento e a sfatare i miti legati all’età.
4 Promozione delle Relazioni Intergenerazionali. Siamo consapevoli di come l’Europa sostenga attivamente le relazioni intergenerazionali, promuovendo scambi culturali, progetti collaborativi e attività che favoriscano la comprensione reciproca tra le diverse generazioni, rafforzando ed espandendo i progetti già esistenti, al fine di abbattere le barriere generazionali e creare comunità più coese e solidali.
Pertanto, chiediamo di favorire l’istituzione di programmi di mentoring che connettano le diverse generazioni.
Attraverso queste iniziative, sarà possibile trasmettere conoscenze, esperienze e valori, creando legami significativi e stimolando la crescita personale e professionale.
5 Inclusione Sociale e Digitale dei Senior. Auspichiamo che l’Europa consideri sempre di più l’inclusione digitale delle persone anziane come una premessa imprescindibile per promuoverne il benes
sere e favorirne la partecipazione sociale.
Siamo uno stimolo per le Istituzioni Europee e gli Stati Membri affinché coinvolgano le persone anziane, in particolare le donne, in tutti i processi decisionali che incidono sulla loro vita, anche garantendo che la digitalizzazione, in particolare negli ambiti sanitari, sociali e di assistenza a lungo termine, faciliti l’accesso ai servizi e il loro utilizzo, mantenendo nel contempo i servizi non digitali.
6 Ageismo in Sanità. Chiediamo che l’Europa sostenga gli Stati membri nelle azioni finalizzate a migliorare le risposte ai bisogni di salute della popolazione anziana, per una sanità sempre più equa e accessibile, per prevenire le malattie croniche, promuovere la salute e rafforzare lo sviluppo di politiche di assistenza sanitaria a lungo termine, in un’ottica di attenzione alla digitalizzazione.
7 Collaborazioni internazionali. Per affrontare l’Ageismo su scala globale, chiediamo ai Parlamentari Europei l’impegno a promuovere attivamente la collaborazione internazionale, attraverso l’organizzazione di conferenze, la condivisione di best practice, dati e risorse per contribuire a sviluppare strategie più efficaci.
Crediamo che la stesura di specifici trattati possa essere parte integrante della strategia di contrasto dell’Ageismo, da svilupparsi anche attraverso la collaborazione con le organizzazioni internazionali focalizzate sul contrasto al fenomeno.
8 Ricerche e monitoraggio. Il contrasto all’Ageismo richiede un approccio basato su dati e ricerche.
Chiediamo quindi che i Parlamentari Europei possano promuovere attivamente l’utilizzo di informazioni fattuali per sfidare e sradicare questa forma di discriminazione diffusa.
Che possano inoltre sostenere l’implementazione di sistemi di raccolta dati accurati e dettagliati relativi al fenomeno, garantendo una comprensione approfondita della dimensione e delle sfaccettature dell’Ageismo in Europa.
Fondamentale è la destinazione di fondi adeguati alla ricerca scientifica che esplori le cause e gli effetti dell’Ageismo, alimentando approcci basati sull’evidenza per affrontare il problema.
Congiuntamente, sosteniamo l’importanza di un monitoraggio costante delle tendenze legate all’Ageismo,
anche incentivando l’istituzione di organismi indipendenti incaricati di valutare regolarmente la presenza e l’entità dell’Ageismo in vari settori, tra cui lavoro, salute e media.
Infine, poiché una corretta informazione è fondamentale per contrastare il fenomeno, auspichiamo che il Parlamento Europeo collabori con istituti di ricerca e organizzazioni accademiche per diffondere ampiamente i risultati delle ricerche sulla discriminazione legata all’età.
9 Partnership con il Settore Privato. Proponiamo di costruire partnership strategiche con il settore privato al fine di coinvolgere attivamente le imprese nella lotta contro l’Ageismo. E di incoraggiare le aziende a implementare politiche e pratiche volte a promuovere l’inclusione e il rispetto delle persone anziane sul luogo di lavoro.
In questo spirito di impegno e solidarietà, ci uniamo, come Fondazione Longevitas, con i Parlamentari Europei, per costruire una società europea libera dagli stereotipi legati all’età, dove ognuno possa invecchiare con dignità, partecipando attivamente alla vita sociale, economica e culturale del nostro continente.
Chi siamo
La Fondazione Longevitas si dedica a promuovere la longevità positiva e a costruire un ambiente che fa‐vorisca l’inclusione sociale, l’invecchiamento attivo, la salute e il benessere nella società longeva. L’obiet‐tivo è quello di abbattere le barriere sociali e culturali legate all’età e di favorire la coesione intergenera‐zionale per costruire equità e stabilità a lungo ter‐mine.
Cosa chiediamo
Consapevoli dell'importanza di costruire una società inclusiva e rispettosa, ci impegniamo a contrastare l'Ageismo, un fenomeno diffuso che mina il benes‐sere di tutte le età.
Riconosciamo l'importanza di affrontare in modo co‐ordinato e olistico le questioni legate all'invecchia‐mento, con un approccio intersezionale e favorendo l’integrazione in diverse aree politiche.
Ci proponiamo di promuovere un cambiamento cul‐turale radicale che sfida gli stereotipi legati all'età e sostiene l'inclusione di tutte le generazioni.
“Lo sport è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna e la sua assenza non potrà mai essere compensata."