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Imprese eroiche, vita quotidiana e curiosità di uomini e donne che hanno lasciato una traccia significativa nella storia.
Un racconto avventuroso, pieno di emozione e di colpi di scena, attraverso cui scoprire un personaggio unico nella storia antica, dotato di genialità in battaglia, ma anche di profonda umanità e di rispetto per il nemico. Federica Grilli è nata a Jesi (An). Archeologa professionista, dipendente del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha partecipato a missioni di scavo in Italia e all’estero. Appassionata anche di letteratura per l’infanzia, ha scritto testi per la scuola primaria. Il libro è dotato di approfondimenti online su www.raffaellodigitale.it
E 7,50
Federica Grilli
annibale
Il Car taginese che sf idò Roma
ANNIBALE
annibale: 247 a .C. – 183 a .C. Annibale ha soltanto nove anni quando la sua vita spensierata a Cartagine, sulla costa africana, è infranta bruscamente: lascerà la patria, la mamma e i fratelli per seguire il padre in Spagna e aiutarlo nella sua grande e incredibile impresa contro i Romani. A fargli compagnia solo un animale, un cucciolo di elefante comprato fortuitamente al mercato ma destinato a diventare il suo migliore amico nonché il più fedele alleato.
Federica Grilli
Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE, GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).
IL MULINO A VENTO Per volare con la fantasia
Collana di narrativa storica per ragazzi
Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Letizia Favillo 1a Edizione 2013 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1
2020 2019 2018 2017 2016 2015 2014
Tutti i diritti sono riservati © 2013 Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.raffaelloeditrice.it www.grupporaffaello.it e-mail: info@ilmulinoavento.it http://www.ilmulinoavento.it Printed in Italy
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Federica Grilli
annibale
Il Cartaginese che sfidò Roma
Illustrazioni di
Mauro Marchesi
LA REGINA DEL MEDITERRANEO Cartagine, primavera 237 a.C.
“Non ci sono dubbi: Cartagine, da qualsiasi parte
la si guardi, è il più bel posto del Mediterraneo. O del mondo, che è come dire la stessa cosa. E di sicuro lo è in una bella giornata, quando il dolce sole di primavera ti scalda il viso e un vento fresco che sa di mare ti arriva fin dentro i polmoni”. Questo era quello che pensava Annibale mentre ammirava la splendida vista della baia dalla collina che digrada dolcemente verso il mare. Nove anni, gambe non troppo lunghe, fisico magrolino, una montagna di capelli ricci che arrivavano fin sugli occhi, due fessure lucenti che non perdevano una virgola di quello che succedeva, il giovane Annibale era sempre pronto all’avventura. Lo seguiva continuamente, nei passi e nei pensieri, Asdrubale, minore di un anno, ma non più piccolo nel fisico. I due fratelli sembravano coetanei, molti li scam-
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biavano per gemelli, eppure bastava osservarli un poco per capire quale dei due prendeva le decisioni. Come tutte le settimane, stavano approfittando della loro giornata di vacanza per farsi una passeggiata in città, scortati dal vecchio servo Naravas. Per la verità la compagnia di Naravas non durava mai molto. In genere partivano da casa tutti e tre con un passo lento e meditato, che si manteneva per la strada che arrivava in città. Nei pressi del porto, solitamente i due ragazzi cominciavano a correre, tanto che dopo pochi minuti Naravas aveva già il fiatone, e i fratelli, veloci come volpi, si infilavano in una delle tante stradine. A quel punto il gioco era fatto: al povero vecchio non rimaneva che abbandonarsi a sedere su qualche scalino a riprendere fiato, prima di mettersi con pazienza alla ricerca dei suoi protetti. Ricerca che, inspiegabilmente, terminava sempre quando arrivava l’ora di tornare a casa per il pranzo. I due ragazzi nel frattempo andavano a curiosare nella zona del porto per vedere le ultime navi attraccate. Ce n’erano di ogni genere e forma: eleganti e tozze, fatiscenti e lucide che sembravano appena uscite dal cantiere; alcune erano enormi e adatte a lunghe traversate, altre piccole e leggere.
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Annibale e Asdrubale le osservavano tutte, commentando la qualità del legname, la robustezza dei finimenti, la resistenza delle sartie come fossero stati due vecchi lupi di mare. Una volta oltrepassato il porto, i due ragazzini accedevano a un mondo a parte: l’area del mercato, una serie di strette stradine su cui si aprivano centinaia di botteghe, taverne, bancarelle, osterie, carri e tendoni. Un mondo brulicante di uomini e bestie, in cui si potevano sentire versi di ogni tipo e tutte le lingue inventate dall’uomo. Per non parlare degli odori! Gli unguenti più ricercati si confondevano con gli olezzi più insopportabili: puzzo di sudore, di animali, di escrementi, di salsedine, di cuoio macerato, di pesce andato a male. Nella DENTRO LA STORIA... zona infatti c’era in I Fenici erano famosi per la proattività anche una tin- duzione di stoffe di porpora. Il ticolore rosso intenso veniva toria, dove si facevano pico ottenuto dalla macerazione di molluschi chiamati murici, il cui vesti di porpora. composto emanava un odore Nel mercato di Car- molto intenso. tagine c’era veramente di tutto: incenso d’Arabia, orecchini d’argento puro, velluti di porpora, schiavi nubiani, mirra d’Oriente, pappagalli colorati, ampolle di vetro alessandrino…
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In una strada, un macellaio castrava vitelli, accanto, un mercante di sale litigava con il suo vicino, un grossista di pessimo vino tagliato con spezie. Nella strada successiva, un intagliatore d’avorio esponeva la sua pregiata mercanzia: pettini, collane, amuleti, parure di gioielli. Subito dopo, un artigiano del cuoio lavorava bellissime cinture, finimenti per cavalli e bisacce. Un altro vendeva maschere, un altro uova di struzzo decorate, un altro scarabei in corniola e diaspro verde.
Annibale e Asdrubale saltavano da una parte all’altra come due cavallette. Fingevano di voler acquistare una partita di datteri e tenevano impegnato il venditore finché quello si rendeva conto che lo stavano prendendo in giro; odoravano una serie di sacchi contenenti spezie con tutti i possibili colori e profumi esistenti in natura, ma mescolavano tutte le polveri e fuggivano rincorsi dal venditore; facevano il verso a una scimmietta che ballava davanti a un pubblico radunato, fintanto che quella, accortasi della cosa, si aggrappava sul braccio di Asdrubale dandogli un morso sulla mano, con gran risate di Annibale. Velocemente arrivò l’ora di pranzo. “Adesso” disse Annibale “è ora di andare a farci trovare da Naravas e di tornare a casa”. E così cominciarono a cercare il vecchio servo, ma mentre camminavano successe qualcosa di strano. Annibale si fermò di botto e Asdrubale, dietro, gli andò a sbattere contro: – Ehi, fai attenzione a dove cammini… Asdrubale non terminò la frase, perché si accorse che lo sguardo di Annibale era bloccato da qualcosa. Ovviamente cercò di capire da cosa. Nell’area più estrema del mercato, quasi sul molo, in
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una zona solitamente vuota, stava esponendo alla clientela le sue merci un mercante tornato proprio quella mattina da un viaggio di rifornimento in Siria. Il venditore era un vecchietto smilzo come un bastone, con una pelle tanto grinzosa che a distenderla ci si poteva fare una vela di nave, ma tutta bruciata dal sole e dal vento di mare. Occupava una vasta area intorno a lui, dove aveva disposto tutte le sue meraviglie, che avevano richiamato una piccola folla. C’erano statuine e amuleti in avorio, uova di struzzo intagliate, vasi d’argento, vetri soffiati dai mille colori, perfino statue di leoni e sfingi, e poi sei uomini e una donna, schiavi appena catturati dai pirati. Annibale però non vide niente di queste cose: la sua attenzione fu catturata da un cucciolo di elefante che se ne stava raggomitolato su se stesso e barriva terribilmente per lo spavento di trovarsi tra tutta quella gente e soprattutto per il dolore causato dalle frustate che il venditore gli rifilava di continuo su tutto il corpo: la schiena, le zampe, le orecchie, perfino sulla proboscide. Il povero animale era atterrito, lanciava dei barriti che spezzavano il cuore, ma nessuno sembrava accorgersi di niente. Annibale invece non ci pensò un secondo. Con la mano bloccò la frusta che il vecchio stava per abbattere di nuovo sulla povera bestia.
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Il mercante, indispettito, cercò di scrollarlo via. – Vai via, ragazzo, o dovrò usarla anche su di te! Annibale non si fece intimorire. – Non ti vergogni di frustare così un piccolo animale? Lo ucciderai se non ti fermi. – E di cosa ti impicci tu? L’elefante è mio, ma è stato un pessimo acquisto. Questo furbastro si è mangiato tutta la frutta che avevo intenzione di vendere questa mattina, e adesso deve ripagarla… – e nel dire questo cercò di nuovo di strattonare via la frusta dalle mani di Annibale, che però non cedette di un millimetro.
– Ti ripagherò io la frutta, se tu smetti di frustarlo – disse Annibale. – Tu?! E come pensi di pagarmi dieci casse di ottima frutta fresca? Sei solo un povero ragazzetto. Non sai di che stai parlando, vattene.
Asdrubale stava tirando la manica del fratello per convincerlo a lasciar perdere, ma Annibale reagì: – Certo che posso pagare, vecchio. Fa’ attenzione: stai parlando ad Annibale, il figlio maggiore di Amilcare Barca! – gli urlò contro sprezzante. Al nome del Barca, il venditore per un attimo rimase sorpreso, ma solo per un attimo, perché mezzo secondo dopo aveva già avuto un guizzo di furbizia per mettere a segno un altro affare. – Il figlio di Amilcare, eh? – cominciò subdolamente il vecchio, – se tu fossi veramente figlio di Amilcare potresti comprare anche l’elefante, altro che frutta! – Certo che posso farlo, e lo farò! Annibale, tradito dall’età e dal carattere orgoglioso, cadde in pieno nel tranello del venditore. – Fai portare l’elefante nella nostra tenuta in campagna, e sarai pagato, avido mercante! Il ragazzo aveva appena finito di pronunciare quelle parole quando alle spalle arrivò trafelato il vecchio Naravas, che si mise le mani sui capelli. E chi glielo spiegava ora alla padrona che al mercato si erano comprati addirittura un elefante?
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UNA BRUTTA SORPRESA
Annibale e Asdrubale non sapevano capacitarsi del-
lo strano comportamento dei loro genitori. Niente punizioni, niente facce arcigne, niente sfuriate, nemmeno un rimprovero. Non che i Barca fossero crudeli, ma certo erano genitori severi perché pretendevano il massimo dai loro figli sia nell’impegno negli studi, sia nel comportamento in privato e in pubblico. In fondo si stava DENTRO LA STORIA... parlando dei figli di Amilcare era detto “Barca” da baAmilcare Barca, il più rak, che in punico significa “fulmigrande generale di Car- ne”, per le sue doti di condottiero. Barca non era quindi un cognotagine, l’uomo che ave- me vero e proprio, ma un sopranche è poi passato anche va lottato contro i Ro- nome, ai suoi figli. mani senza essere mai sconfitto. Annibale si fece avanti.
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– Mamma, è stata tutta colpa mia, sono io che ho detto al mercante… Il padre lo interruppe con un cenno della mano. – Ragazzi, è arrivato il momento di parlarvi di una cosa importante. Annibale e Asdrubale si scambiarono uno sguardo perplesso. Se i genitori erano disposti a lasciar andare su un episodio come quello, l’acquisto sconsiderato di un elefante, evidentemente c’era qualcosa di grosso sotto. In un secondo furono assorbiti dalla curiosità. Fu il padre a parlare di nuovo: – Ascoltate bene, figli miei. Domani partirò per la Spagna. Quelle parole ebbero l’effetto di una coltellata. Amilcare era tornato a Cartagine solo tre anni prima, solo da tre anni tutta la famiglia era riunita, e lui voleva già partire di nuovo. Annibale si voltò verso sua madre per trovare la conferma di quelle parole e non poté fare a meno di notare il luccichio sul suo ciglio destro, appena un secondo prima che la donna girasse con un brusco scatto la testa dall’altra parte. – Sì, so cosa volete dire – continuò il padre. – Volete dire che vi sto abbandonando di nuovo, ma non è così.
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Il padre ora stava sudando per cercare le parole più adatte. – Mi si spezza il cuore a lasciare voi e vostra madre, ma non sarei un uomo onesto e un bravo cittadino se non facessi fronte alle mie responsabilità. E la mia responsabilità adesso è proteggere Cartagine dai suoi nemici e aiutarla a rialzarsi dalla condizione di servitù in cui si trova. “Servitù? Nemici?” Annibale non capiva. Da quando era nato era sempre stato bene a Cartagine. Loro, lui e la sua famiglia, erano liberi in tutto, non erano schiavi come il vecchio Naravas o gli altri schiavi che conosceva, che dovevano lavorare per qualcun altro. E poi chi erano i nemici? Amilcare capì la difficoltà dei suoi figli, perciò si sforzò di spiegarsi meglio. Ci teneva davvero tanto che Annibale capisse! Così ricominciò: – La nostra amata patria, Cartagine, come DENTRO LA STORIA... ben sapete venne fondata Secondo la leggenda, Cartagine secoli e secoli fa dalla re- sarebbe stata fondata da Didoprincipessa di Tiro, dopo esgina Didone. Ella amò a ne, sere stata usurpata del trono da tal punto la sua creazione parte del fratello Pigmalione. da decidere di immolarsi
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sul fuoco, per attirare la benevolenza degli dei sulla città e farla divenire forte e potente. E ora noi Cartaginesi non possiamo permettere che il sacrificio della regina Didone si perda invano. Voi non potete saperlo, perché non eravate ancora nati, ma Cartagine nel tempo era diventata un grande impero che si estendeva dalla costa dell’Africa alla Spagna, fino a tutte le isole del Mediterraneo. Vent’anni fa eravamo i signori del Mediterraneo ma i Romani, prepotenti e invidiosi, vollero la ricchezza che avevamo noi. Noi Cartaginesi abbiamo sempre voluto la pace, perché noi amiamo la pace, ma i Romani ci costrinsero a far guerra, e anche se noi combattemmo con ardore e valore, alla fine vinsero loro… E ci obbligarono a firmare un accordo di pace umiliante. I due fratelli ascoltavano attenti. – Perciò – riprese Amilcare – ora Cartagine non è più libera di fare quello che vuole, non siamo più padroni a casa nostra, dobbiamo chiedere il permesso per attraccare le navi nelle colonie che prima erano nostre. Ma io non ho lottato come un leone per vedere la mia patria sottomessa e non mi rassegnerò finché non avrò fatto il possibile per liberarla. Per questo devo andare in Spagna, figli miei, per combattere ancora contro i Romani e salvare il nostro impero.
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I due ragazzi erano stupefatti. Appena pochi minuti prima erano in apprensione per la punizione dovuta all’acquisto di un elefantino, e ora si ritrovavano a dover dire un’altra volta addio al proprio padre. Annibale si sentì una stretta al cuore, mentre un cordone pesante attorno al collo quasi gli impediva di respirare. Guardò i fratelli Asdrubale e Magone, di soli due anni, e le tre sorelle, che stavano in disparte dietro la mamma. Certo, loro erano ormai grandi, sposate o fidanzate, e avviate verso nuove famiglie; i due fratelli erano invece troppo piccoli per ricordare, troppo piccoli per capire quanto sarebbe stata dura stare senza il loro padre, ma lui, Annibale, sapeva perfettamente cosa avrebbe perso. Ricordava bene com’era prima che il padre tornasse dalla guerra. Il dolore era così lancinante che egli fece l’unica cosa che gli venne in mente. In un secondo prese la decisione che avrebbe cambiato il resto della sua vita. E aveva soltanto nove anni. Annibale andò verso il padre e tra lo stupore generale gli disse: – Ti prego, portami con te! Il padre lo guardò con grande tenerezza, poi lo abbracciò calorosamente e gli disse:
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– Non puoi Annibale, sei solo un ragazzo. Il tuo posto è qui a Cartagine, vicino a tua madre. – No padre, il mio posto è vicino a te.
L’uomo sembrò molto colpito dalla determinazione di quelle parole, come tutti gli altri, del resto. Subito cercò ancora di dissuaderlo parlandogli dei disagi della vita militare, della dura vita che avrebbe fatto in Spagna, senza contare i pericoli in cui sarebbe incorso… Infine, però, resosi conto che tutte le parole erano inutili, prese Annibale per le spalle e lo condusse con sé nella terrazza più alta, di fronte all’altare della loro casa, l’altare in cui facevano le offerte e le preghiere al dio Baal, che in cambio proteggeva la casa e i suoi abitanti. Sotto un cielo di stelle luminose e affascinanti, Amilcare disse: – Annibale, se proprio vuoi venire in Spagna, devi prima fare una cosa per me, qui, ora, davanti a questo altare. Annibale capì che quel momento era di estrema importanza, perciò assunse un’aria seria. Si limitò quindi ad annuire, per dire che era pronto. – Segui le parole del mio giuramento e ripeti: “Io Annibale, figlio del comandante Amilcare detto Barca, giuro, qui davanti al dio Baal, alla dea Tanit, al dio Melkqart e a tutta la mia famiglia che mai, mai, mai nella mia vita sarò amico di un romano. Io proverò sempre odio eterno verso quel popolo!”
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Annibale rimase un poco impressionato dalla violenza di quelle parole ma non ebbe dubbi e ripetĂŠ il giuramento, parola per parola. Era sicuro di avere reso felice suo padre. Ora il destino era stato scelto, non si poteva piĂš tornare indietro: Annibale sarebbe partito per la Spagna con suo padre e, di sicuro, non era per una vacanza di pochi giorni. Nessuno in quel momento lo poteva prevedere, ma sarebbero passati trentatrĂŠ anni prima che egli potesse far ritorno a Cartagine.
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A TU PER TU con
il Cartaginese che sfidò Roma approfondimenti
Cartagine... Il nome Cartagine significa “Città Nuova”. Secondo una leggenda romana, Didone, la regina di Tiro, si era allontanata dalla sua terra dopo che il fratello Pigmalione le aveva ucciso il marito per impossessarsi del suo trono e delle sue ricchezze. Approdata sulle coste dell’Africa, fondò una nuova città, appunto Cartagine. Cartagine, in realtà, fu fondata attorno all’800 a.C. da esuli fenici provenienti da Tiro.
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Antiche rovine di Cartagine
... la signora del Mediterraneo Nel corso dei secoli, Cartagine divenne una città grande, ricca e raffinata, con numerose biblioteche, palazzi, piscine e bagni pubblici. Il sistema di governo era simile a quello di Roma: il potere era in mano a un Senato e i sufeti, due figure simili ai consoli, mettevano in pratica le decisioni prese. A differenza di Roma, però, Cartagine aveva sviluppato una vocazione per il commercio marittimo e nel III secolo a.C. aveva il dominio politico e commerciale di tutto il Mediterraneo occidentale.
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Cartagine... Sempre secondo la stessa leggenda romana, Didone si innamorò di Enea, un eroe troiano che, in fuga dalla sua città in fiamme, era naufragato sulle coste cartaginesi. Gli dei, però, avevano riservato per lui un altro destino: egli avrebbe dovuto proseguire il suo viaggio fin sulle coste del Lazio dove avrebbe fondato una nuova città. Dalla sua stirpe sarebbe nato il fondatore di Roma. Quando Didone scoprì la sua fuga, maledisse Enea, prevedendo eterna inimicizia tra i loro popoli. Dalla maledizione di Didone, nacque, secondo i Romani, la feroce rivalità tra Roma e Cartagine.
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... e il contrasto con Roma I veri motivi di contrasto erano, invece, politici ed economici. Roma, infatti, dopo aver esteso i propri domini in tutta Italia, doveva rendere sicure le proprie coste. Questo era possibile solo allargando la sua influenza sulle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo le quali, però, erano zone di dominio cartaginese. Si crearono perciò dei forti contrasti fra le due potenze. Fra il terzo e il secondo secolo a.C. furono combattute tre guerre molto sanguinose, le guerre puniche, chiamate cosÏ perchÊ i Romani chiamavano Puni i Cartaginesi. Le guerre puniche si conclusero con la completa distruzione di Cartagine.
Annibale... Annibale è considerato uno dei più grandi generali della storia. L’attività militare era per lui una sorta di tradizione familiare. Annibale era, infatti, figlio di Amilcare Barca, l’unico generale cartaginese a non essere mai stato sconfitto dai Romani durante la prima guerra punica.
ANNIBALE SULLA 247 a.C.
221 a.C.
Nasce a Cartagine
Viene nominato generale
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218 a.C.
216 a.C.
Inizia la Vince spedizione a in Italia Canne
... genio militare Annibale iniziò giovanissimo la carriera militare. A soli nove anni partì assieme al padre alla volta della Spagna e, nella conquista di quella regione, si distinse per intelligenza militare e coraggio. Così, quando il generale Asdrubale morì, i soldati all’unanimità acclamarono generale il giovane Annibale ed egli si ritrovò, a soli 26 anni, a capo di uno dei più potenti eserciti del Mediterraneo.
LINEA DEL TEMPO 202 a.C.
183 a.C.
Viene sconfitto a Zama
Si suicida in Bitinia
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Annibale... Annibale fu uno dei maggiori protagonisti della seconda fase della guerra tra Romani e Cartaginesi, la cosiddetta seconda guerra punica. A differenza della prima, che fu combattuta principalmente sul mare, la seconda fu un continuo susseguirsi di battaglie terrestri. Questo per volere dello stesso Annibale che costrinse i Romani a combattere sul loro territorio in seguito alla sua incredibile impresa dell’attraversamento delle Alpi, un’impresa mai tentata prima. Per questo i Romani, che avevano sempre pensato che le Alpi fossero invalicabili, furono presi di sorpresa e non riuscirono a reagire prontamente.
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... e la seconda guerra punica In breve tempo, Annibale riuscÏ a vincere ripetutamente la resistenza dell’esercito romano. Era la prima volta, dopo molti secoli, che Roma era veramente in pericolo. A questo punto i Romani decisero di attaccare direttamente Cartagine. Annibale fu, quindi, costretto a lasciare i territori italiani conquistati per far ritorno in patria. Lo scontro decisivo si ebbe a Zama (202 a.C.) che terminò con la sconfitta di Annibale e la presa di Cartagine.
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Annibale... Annibale è considerato uno dei più grandi geni militari non solo per le sue incredibili vittorie ma anche perché introdusse importanti novità nel campo delle tattiche militari. Fu infatti il primo a utilizzare la manovra a tenaglia. Tale manovra si basa sull’accerchiamento delle truppe nemiche, realizzando una vera e propria trappola per la fanteria avversaria che non ha più vie di fuga per potersi ritirare. Romani Cartaginesi
cavalleria
cavalleria fanteria pesante
fanteria leggera
fanteria pesante
Ricostruzione della manovra a tenaglia
INDICE La regina del Mediterraneo Una brutta sorpresa Si parte! Le cose cambiano Un ambizioso progetto L’inizio della Grande Marcia I primi problemi La traversata delle Alpi La prima vittoria: il Trebbia La morte di Surus Un’altra vittoria per Annibale La grande vittoria di Canne E ora? Chiacchiere da osteria Il grande avversario: Publio Cornelio Scipione Il capitolo finale: la battaglia di Zama
5 15 24 31 35 40 47 53 62 69 77 84 94 99 107 117
A TU PER TU CON IL CARTAGINESE CHE SFIDÒ ROMA
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