IL MULINO A VENTO IL MULINO A VENTO
Per volare con la fantasia
IL MULINO A VENTO
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente
Redazione: Emanuele Ramini
Approfondimenti e schede didattiche: Michele Santuliana e Paola Valente Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: AtosCrea
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L’eco delle battaglie
Un racconto sulla Grande Guerra per riflettere sulla pace
Ai miei cinque
lettori: EmanuEla, Paola, alEssandro, maria, sira. GraziE.
A voi piace la storia?
Avoi piace la storia?
Lo so, è una domanda rischiosa: non proprio come chiedere in una classe quanti sono bravi in matematica, ma quasi. A me, ad esempio, la storia piace molto. Mi piaceva prima ancora che cominciassi a studiarla a scuola. Ricordo che uno dei primi libri che lessi era uno splendido volume illustrato sugli uomini della preistoria. Mi conquistò subito: era appassionante conoscere le vicende di quei nostri lontani antenati, il loro modo di vivere, di vestire, di procurarsi il cibo tra mille pericoli e insidie.
Ammetto però che non tutti la pensano in questo modo. Molti vedono la storia solo come una serie infinita di nomi e di date da ricordare. Anche mio fratello la vedeva così e non la studiava volentieri. Almeno, prima che ci capitasse l’avventura che sto per raccontarvi…
– È una noia mortale – diceva ogni volta che doveva aprire il quaderno e svolgere i compiti per casa. E altre volte, quand’era di cattivo umore, esclamava:
– Preferirei andare dal dentista, piuttosto che studiare queste cose!
Io evitavo di commentare, non volendo scatenare assurde guerre domestiche. A volte, però, lo aiutavo a ripassare prima di una verifica o di un’interrogazione e gli davo qualche dritta per aiutarlo a ricordare.
– Quand’è morto Alessandro Magno? – chiedevo.
Lui corrugava la fronte e si dava una grattatina al naso, lo faceva sempre di fronte a un problema difficile.
– Uhm, duecentoven…
– No, alza.
– Trecentotren…
– Ora abbassa.
– Ecco, vedi? È impossibile ricordarsela! – diceva.
– Aspetta, non è così difficile. Pensa alla targa della macchina di Paperino ma aggiungi una decina.
– Uhm… trecentoventitre?
– Esatto!
– Però è più divertente pensare alla macchina di Paperino che ad Alessandro Magno, uffa!
– Dipende… Immagina Alessandro Magno che guida la macchina di Paperino! – concludevo io.
L’importante era che non mi uscissero di bocca dei rimproveri o dei commenti sulla sua preparazione. Secondo mio fratello, infatti, il fatto di avere quasi due anni in meno di lui e, soprattutto, di essere femmina non mi consentivano in alcun modo di criticarlo.
Fortunatamente sono di indole pacifica e non mi piacciono i litigi. Porto un nome che mi ricorda in ogni momento come la soluzione dei problemi vada cercata con serenità e dialogo. Mi chiamo Irene, una parola che proviene dalla lingua greca antica e significa “pace”. Mio fratello invece si chiama Emanuele e, come dicevo, sostiene di avere quasi due anni in più di me. In realtà, a voler essere precisi, sono solo un anno e otto mesi.
La nostra è una famiglia come tante altre. Nulla di strano: nessun papà giocoliere di circo, nessuna mamma pilota di dirigibili, nessuna casa galleggiante o circondata da boschi incantati. Mamma è una maestra, papà è un operaio specializzato. Io e mio fratello siamo diversi ma ci vogliamo bene e, nonostante qualche screzio ogni tanto, andiamo d’accordo.
Abbiamo imparato a non fermarci alle differenze, ma a trarre il meglio dalle nostre particolarità. E questo, forse, anche grazie all’avventura che sto per raccontarvi.
Vacanze? Sì, ma…
Eragiugno e l’anno scolastico ormai volgeva al termine.
In classe si avvertiva un’aria frizzante, profumata di vacanze, di giochi all’aperto, di avventure al mare o in montagna, di nuovi amici e nuove esperienze.
All’epoca stavo terminando la quarta elementare e la mia aula si trovava al piano terra della scuola, proprio sotto la quinta B, la classe di mio fratello Emanuele. E spesso, attraverso le finestre aperte, sentivamo l’euforia dei nostri compagni più grandi, prontamente seguita dai richiami delle maestre.
“Beati loro!” pensavamo scrutando il soffitto. Non avrebbero avuto lezioni per le vacanze ma un’estate libera da impegni scolastici.
Ogni giorno, al suono della campanella, io ed Emanuele tornavamo a casa assieme. La scuola distava da casa nostra non più di due isolati. Vivevamo nella periferia di una graziosa città stretta tra le colline e il mare, più o meno al centro dell’Italia. Non era una città molto grande, ma era ricca di storia e di cose belle da vedere.
L’ultimo giorno di scuola, davanti ai cancelli, trovammo una sorpresa: ci stavano aspettando mamma e papà. La cosa ci stupì. A volte accadeva che la mamma venisse a prenderci, ma quasi mai questo capitava con papà poiché gli orari della fabbrica in cui lavorava non gli consentivano che brevi pause, durante le quali pranzava in mensa.
– Che ci fa papà qui? – domandai a Emanuele. Mio fratello non seppe darmi risposta. – Spero non si tratti di qualche problema – rispose. L’anno prima infatti papà aveva perso il lavoro a causa della crisi economica. Erano seguiti mesi difficili, in cui ogni spesa veniva ponderata con cura e in cui il clima in famiglia era spesso teso; ogni sciocchezza innescava reazioni a catena. Dopo innumerevoli tentativi a vuoto, lettere, colloqui e richieste respinte, papà era stato finalmente assunto in un’azienda che produceva pannelli solari. Le difficoltà passate ci avevano resi diffidenti verso gli imprevisti, ma anche piuttosto maturi.
Le nostre ansie furono comunque presto fugate dall’atteggiamento affettuoso dei nostri genitori. Papà, oltretutto, si affrettò a spiegare che non c’era nessun problema al lavoro e che sarebbe rientrato in fabbrica dopo pranzo.
– Eh, il lavoro non manca, anzi! – esclamò con fare misterioso, strizzando l’occhio verso la mamma.
Io ed Emanuele ci guardammo senza capire. Non potevamo immaginare la notizia che ci attendeva di lì a pochi istanti. Papà ci portò a pranzo in una trattoria in cui ci recavamo ogni tanto. Ricordo che ordinammo tutti spaghetti all’amatriciana, la specialità della casa, per me ed Emanuele in versione poco piccante. Mentre attendevamo le portate, papà guardò ancora una volta la mamma. Lei annuì e a quel punto lui prese la parola.
– Ragazzi, io e la mamma dobbiamo darvi una notizia importante. Seguì un istante di silenzio carico di mistero. – Una notizia – proseguì papà – che riguarda voi e le vacanze.
I nostri sguardi si illuminarono. Pensai subito ai vecchi viaggi tra i borghi dell’Appennino, o a quelli nelle città di Firenze o Torino. Un anno eravamo andati pure all’isola d’Elba, affascinante e ricca come non mai di storia e bellezza. Tutto fino all’anno prima. L’estate precedente ci eravamo dovuti accontentare di qualche giornata sulla spiaggia libera della città.
La voce di papà mi riportò sulla terra.
– Ragazzi, il mio nuovo lavoro non mi consente di avere delle ferie per più di qualche giorno, tuttavia pensiamo che vi meritiate una vacanza. Sarebbe per voi il primo anno da soli, senza di noi, per cui…
– … per cui – concluse la mamma, – abbiamo chiesto ai nonni Alfonso e Luisa di ospitarvi. Hanno affittato per tutta l’estate una casa in montagna e vi accoglieranno molto volentieri.
La notizia mi rese felicissima: i genitori della mamma erano simpatici e cordiali e ci dispiaceva di vederli solamente in poche occasioni durante l’anno. La mamma era originaria del Veneto e i nonni vivevano in quella regione, in una città non molto più grande della nostra. Ogni volta che li andavamo a trovare ci riempivano di attenzioni e ci rimpinzavano di cibo. Inoltre mi facevano ridere per come parlavano, con un accento del tutto diverso dal nostro: saliva e scendeva come una melodia e non batteva le doppie.
Guardai mamma e papà con un sorriso di soddisfazione, mentre mio fratello non pareva entusiasta.
– Non sei contento, Emanuele? – chiese la mamma.
– Non molto…
In quell’istante arrivarono i nostri spaghetti all’amatriciana.
– Quando partiamo? – domandai.
Papà si infilò il tovagliolo nel colletto della camicia.
– Tra una decina di giorni – disse. – Noi vi accompagneremo e ci fermeremo per il fine settimana, poi torneremo a riprendervi alla fine di agosto. Passerete con loro circa un paio di mesi.
Emanuele fece una smorfia.
– E dove sarebbe questo posto? – domandò.
– Oh, abbiamo dimenticato di dirvelo – esclamò papà. – Si chiama Asiago, è un magnifico luogo di villeggiatura, un ridente paese sulle Prealpi Vicentine.
All’udire quel nome, una lampadina si accese in me. Ero sicura di aver già sentito o letto da qualche parte il nome “Asiago”, ma non riuscivo a ricordare né dove né quando.
La medaglia d’oro Augusto Martinelli
Passai i giorni seguenti facendo il conto alla rovescia del tempo che ci separava dalla partenza. Nel frattempo il nome della località continuava a ronzarmi in testa.
“Asiago, Asiago” ripetevo fra me. Dove avevo incontrato quel nome? Su qualche libro? Non ne ero sicura. Sentito alla televisione? Forse. Letto sul cartello di una qualche via? Mah…
Nel pomeriggio precedente la nostra partenza, mentre coloravo un disegno, mi ricordai. Non si trattava di un cartello, bensì di una lapide incastonata nel muro di un palazzo del centro. Corsi in salotto e mi avvicinai alla mensola della libreria che ospitava i testi sulla nostra città. All’interno di un volume pesantissimo, pieno di fotografie, trovai un’immagine abbastanza nitida della parete in cui era fissata la lapide. Nonostante la foto fosse stata scattata da una certa distanza, le parole si distinguevano nettamente.
In questa casa nacque il 28 settembre 1885 la medaglia d’oro Augusto Martinelli caduto sul fronte di Asiago il 30 maggio 1916
Ora ricordavo perfettamente. Una domenica, passando davanti a quel palazzo, avevo chiesto chi fosse quell’Augusto Martinelli.
– Un soldato morto durante la Prima Guerra Mondiale e decorato con una medaglia al valore – era stata la risposta della mamma.
– Sì, ad Asiago, una località di montagna del Veneto –aveva aggiunto papà.
Dunque tutto tornava. Però adesso mi vennero in mente altre domande. Quando era avvenuta la Prima Guerra Mondiale? Perché si era combattuta sulle montagne? Che cosa era accaduto con quella guerra? Quanti uomini erano morti? Volevo saperne di più. Cercai tra le mensole della libreria un testo che facesse al caso mio. In quel mentre mio fratello entrò nella stanza. In viso aveva un’espressione cupa.
– Cosa c’è? – gli domandai.
– Non ho voglia di partire – rispose secco. – Mamma e papà ci scaricano come due sacchetti della spesa. A loro non importa di noi.
– Non dire così. Sai che non è vero. Ci divertiremo coi nonni, vedrai. La nonna ci racconterà i suoi record sportivi e il nonno ci cucinerà la polenta col formaggio e i funghi. Del resto chi conosci che abbia un nonno giornalista e una nonna campionessa sportiva? Solo questo è già tutto un programma, non credi?
MicheleSantuliana L’ecodellebattaglieISBN978-88-472-2006-5
Combattuta fra il 1914 e il 1918, la Grande Guerra fu il primo dei due immani conflitti che sconvolsero il Novecento. Essa segnò in modo indelebile la storia dell’Europa e del mondo, lasciando ancora oggi numerose tracce nei paesi che vi presero parte.
Può una vacanza trasformarsi in un viaggio a ritroso nel tempo fino a riscoprire la storia di quel lontano conflitto? È quanto accade a Irene, una bambina sensibile e curiosa, e a suo fratello Emanuele. Un’estate di villeggiatura coi nonni sull’altopiano di Asiago, una delle località italiane che maggiormente conservano memoria della Grande Guerra, finirà per rivelare loro un passato lontano eppure ancora vivo e presente.
Un racconto per comprendere cosa fu la Grande Guerra per il nostro Paese.
Michele Santuliana vive in provincia di Vicenza. Cresciuto ascoltando storie, scrive oggi per adulti e bambini. Con Raffaello Editrice ha pubblicato il racconto “Alessandro Magno. Sui passi di un condottiero”.
Progetto rientrante nel Programma ufficiale delle commemorazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Struttura di Missione per gli Anniversari di interesse nazionale.
Il libro è dotato di approfondimenti online su www.raffaellodigitale.it