IL MULINO A VENTO
IL MULINO A VENTO
A corredo del testo, un apparato finale di approfondimento delle tematiche, un fascicolo di comprensione del testo, una proposta operativa di schede interattive sul sito www.raffaellodigitale.it
I Miserabili
nacque a Besançon (Francia) nel 1802. Scrisse poesie, opere teatrali e romanzi, tra i quali “Notre–Dame de Paris” (1831). “I Miserabili”, di cui offriamo un adattamento per giovani lettori, rappresenta un vero e proprio capolavoro della letteratura mondiale. Hugo morì a Parigi nel 1885: la sua salma, esposta sotto l’Arco di Trionfo e vegliata da dodici poeti, giace al Pantheon.
Victor Hugo
VICTOR HUGO
Ambientato in una Parigi scossa dai moti insurrezionali di inizio ’800, “I Miserabili” offre un’incredibile sequenza di avvenimenti umani, di torbide vicende e di dolci momenti quotidiani, raccontati con un’attualità sorprendente e ammirabile. Così, la vicenda umana e toccante di Jean Valjean, l’ex forzato che si redime dopo diciannove anni passati in galera, le straordinarie vicende della piccola e adorabile Cosette, sola, maltrattata e oppressa, l’immagine sublime del Vescovo Myriel, che manifesta tolleranza sconfinata nei confronti dei poveri, la figura eroica di Gavroche, il fanciullo che combatte con estremo coraggio sulle barricate sanno appassionare ancora oggi e riescono a trascinare nell’inevitabile riflessione sulla durezza della vita che accompagna da sempre deboli ed emarginati. La Rivoluzione Francese e la Battaglia di Waterloo fanno da sfondo a un romanzo di rara bellezza, che mette in luce una società in cerca di libertà, di riscatto e di giustizia.
CLASSICI
Victor Hugo
I Miserabili
IL MULINO A VENTO
Un’opera colossale, uno dei romanzi cardine della letteratura francese
Un’opera colossale, uno dei romanzi cardine della letteratura francese
Completano la lettura: Approfondimenti finali Fascicolo di comprensione del testo
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Schede interattive su www.raffaellodigitale.it E 9,00 Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE, GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).
Per volare con la fantasia
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Letizia Favillo Ia Edizione 2010 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 2019 2018 2017 2016 2015 2014 2013 Tutti i diritti sono riservati © 2010 Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21 60037 – Monte San Vito (AN) e–mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e–mail: info@ilmulinoavento.it http://www.ilmulinoavento.it Printed in Italy
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Victor Hugo
I Miserabili
Traduzione e adattamento di
Anna Confalonieri Prandini
“Fino a quando esisterà, a causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale che crea artificialmente, in piena civiltà, i suoi inferni e le sue fatali conseguenze che oscurano la divina incertezza del nostro destino; fino a quando non saranno risolti i tre maggiori problemi di questo secolo, l’abbrutimento dell’uomo per colpa dell’indigenza, l’avvilimento della donna a causa della fame e del bisogno e l’atrofia del fanciullo per colpa delle tenebre che l’avvolgono; fino a quando, in certe regioni, sarà possibile l’asfissia sociale; in altre parole, e sotto un punto di vista ancor più esteso e profondo, fino a quando ci saranno sulla terra ignoranza e miseria, i libri come questo potranno non essere inutili”.
Victor Hugo, Hauteville - House, 1° gennaio 1862
Parte prima
1
Monsignor Myriel e Jean Valjean
L
a storia, ambientata nel 1815, inizia con la presentazione di due personaggi: un uomo di chiesa, Myriel, e un ex carcerato, Jean Valjean. Charles Myriel, dopo la Rivoluzione Francese, è emigrato in Italia, dove ha perso la moglie. Senza figli, è divenuto curato, poi vescovo. Ora ha settantacinque anni e conduce una vita ritirata. Alloggia nel palazzo vescovile insieme alla sorella e a una governante, entrambe sessantenni, ed è provvisto di una grande umanità: sa avvicinarsi ai poveri senza ostentarlo e fare la carità a chi non ha nulla. Più d’ogni altra cosa manifesta una tolleranza assoluta nei confronti dei miserabili, tanto che è chiamato “Bienvenu”, “Benvenuto”: fanciulli e vecchi lo trattano con rispetto e gratitudine; la gente indica la sua casa a chiunque ha bisogno. Jean Valjean appartiene invece a una famiglia di contadini. Persi i genitori da piccolo, è allevato da una sorella rimasta vedova con sette figli. Taciturno e pigro ma d’animo affettuoso, si è consumato in lavori faticosi e mal retribuiti, ma la miseria ha avvolto a poco a poco la sua famiglia. Un inverno resta senza lavoro e la famiglia senza cibo. Ruba una forma di pane attraverso un’inferriata e fugge: viene condannato a cinque anni di prigione. Sul finire del quarto anno riesce a evadere: viene ripreso e il tribunale lo condanna a un prolungamento della pena, portandola a otto anni. Al sesto anno prova nuovamente a evadere ma una ronda lo trova nascosto sotto la chiglia d’una nave in co5
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struzione. Oppone resistenza: è punito con un inasprimento della condanna, questa volta aumentata di cinque anni. Al decimo anno di reclusione (ne doveva scontare in tutto tredici) evade di nuovo ma il tentativo fallisce ancora e gli frutta altri tre anni, così che la pena va a toccare i sedici anni di reclusione. Tenta un’ultima volta la fuga ma viene ripreso dopo quattro ore. Lo puniscono con tre anni in più, per queste quattr’ore. Totale: diciannove anni. Nell’ottobre del 1815 viene messo in libertà e raggiunge la città di Digne. Ai primi d’ottobre del 1815, poco prima del tramonto del sole, uno sconosciuto fece il suo ingresso nella piccola città di Digne. I pochi abitanti, in quel momento alla finestra o sulla soglia di casa, guardarono quel viandante con inquietudine; era difficile imbattersi in un pellegrino dall’aspetto più miserabile. Di media statura, tozzo e robusto, nel pieno vigore degli anni, poteva averne quarantasei o quarantotto, portava un berretto con la visiera abbassata fino a nascondergli il viso, arso dal sole e madido di sudore. La camicia, di grossa tela gialla, con il colletto fermato da un’ancora d’argento, lasciava scoperto il petto villoso. La cravatta era attorcigliata come una corda; i calzoni, di traliccio turchino, logori, scoloriti, bucati sulle ginocchia; la blusa sbrindellata e consunta, rattoppata su un gomito con una pezza verde, cucita con spago; in spalla un sacco da soldato, gonfio, ben chiuso e nuovo di zecca. Stringeva in pugno un enorme bastone nodoso. Aveva piedi nudi entro scarponi ferrati, testa rasata, barba lunga e incolta. Il sudore, il caldo, la stanchezza, la polvere rendevano più sordido l’aspetto indefinibile di quel relitto umano. I capelli, ricresciuti irti, non erano stati tagliati da tempo. Nessuno lo conosceva: era un viandante che passava di lì per caso. Da dove veniva? Dal sud, forse dalla costa, dato che arrivava a Digne dalla stessa strada che, sette mesi prima, aveva visto passare l’imperatore Napoleone, in marcia su Parigi. Lo sconosciuto doveva aver cammi6
Monsignor Myriel e Jean Valjean
nato tutto il giorno, tanto sembrava stanco. Donne del borgo l’avevano visto fermarsi sotto gli alberi del viale e dissetarsi a una fontana. Doveva avere una gran sete, poiché alcuni ragazzi lo videro fermarsi ancora a bere al fontanile sulla piazza del mercato. Si diresse verso il palazzo comunale: entrò e ne uscì poco dopo. Su una panca un gendarme sonnecchiava. L’uomo si levò il berretto e con rispetto lo salutò. C’era a Digne, a quel tempo, un bell’albergo tenuto dall’oste Jacquin Labarre, persona assai stimata in città. L’uomo vi andò: entrò nella cucina che dava sulla via. I fornelli erano accesi; il fuoco ardeva nel camino. L’oste era indaffarato a sorvegliare un eccellente pranzo destinato a dei carrettieri che parlavano chiassosamente nella sala vicina. Una marmotta, pernici e galletti giravano sullo spiedo, e sui fornelli cuocevano carpe e trote. Labarre, sentendo entrare un nuovo venuto, domandò: - Che volete signore? - Da mangiare e da dormire - rispose lo sconosciuto. - Niente di più facile - replicò l’oste. Squadrò il viaggiatore dalla testa ai piedi. - Pagando, beninteso. L’uomo sfilò una borsa dalla giacca e ribatté: - Ho il denaro che occorre... - In tal caso, siamo qui per servirvi. Lo sconosciuto posò a terra il sacco e andò a sedersi su uno sgabello vicino al fuoco. Digne giace tra i monti e nelle serate d’ottobre il freddo si fa sentire. Pur andando e venendo, l’oste tenne d’occhio il nuovo venuto. - Si mangia presto? - chiese l’uomo. - Subito - rispose il taverniere. Lo stimatissimo albergatore Jacquin Labarre trasse di tasca un mozzicone di matita e strappò l’angolo d’un giornale. Sul margine scrisse una o due righe; piegò il foglio e lo consegnò a un ragazzo che faceva da fattorino, parlandogli all’orecchio, e questi partì di corsa verso il palazzo comunale. Il viaggiatore non se n’accorse. 7
Parte prima
Il ragazzo tornò col pezzo di carta: l’oste lesse come in attesa d’una risposta e scrollò il capo soprappensiero. S’avvicinò al viandante e gli disse: - Signore, non posso ospitarvi! L’uomo si drizzò sullo sgabello. - Temete che non paghi? Lo farò anticipatamente. - Non si tratta di questo. Voi avete denaro... ma io non ho camere! L’uomo ribatté tranquillamente: - Basterà la stalla. - I cavalli occupano tutto il posto! - Be’! - incalzò l’uomo - un angolo nel granaio, della paglia... - Non posso darvi da mangiare! Il viandante s’alzò: - Sto morendo di fame! Cammino dall’alba, voglio mangiare. - Non ho nulla da offrirvi - disse l’albergatore. L’uomo guardò i fornelli accesi e rise. - E questo ben di Dio? - È prenotato da quei carrettieri di là… L’uomo si sedette e disse con calma: - Sono in un albergo. Non mi muovo di qui. L’oste si chinò e gli disse all’orecchio, con una voce che lo fece trasalire: - Andatevene! Lo sconosciuto, che spingeva dei tizzoni nel braciere con la punta ferrata del bastone, si girò di scatto; ma l’oste lo guardò fisso e abbassò la voce: - Basta con le parole... Volete che vi dica il vostro nome? Jean Valjean. Volete che vi dica chi siete? Ho mandato al municipio per informazioni: ecco cosa m’hanno risposto. Gli porse il foglio. L’uomo vi gettò un’occhiata. E l’oste riprese: - Andatevene! L’uomo abbassò il capo, raccolse il sacco e se ne andò. Prese la strada maestra, a casaccio, rasentando i muri, 8
Monsignor Myriel e Jean Valjean
umiliato e affranto: non una volta si volse indietro. Se l’avesse fatto, avrebbe visto l’albergatore sulla soglia, circondato da ospiti e passanti, parlare animatamente, additandolo; dagli sguardi di diffidenza avrebbe indovinato che di lì a poco la notizia del suo arrivo sarebbe stato un avvenimento per la città, ma non vide nulla di tutto ciò. Chi è duramente provato non si volta a guardarsi alle spalle; sa per esperienza che la cattiva sorte lo segue, passo passo. Camminò alla ventura, per vie che non conosceva, dimenticando la fatica, come succede nella tristezza. Sentì lancinanti i morsi della fame: la notte si avvicinava ed egli cercò rifugio: l’albergo gli era negato, ora cercava una taverna. Una luce brillava in fondo e un ramo di pino, appeso a un ferro a mo’ d’insegna, si profilava sul cielo. Era la taverna di via de Chaffaut: il viandante guardò attraverso il vetro l’interno, rischiarato da una lucerna e da un fuoco nel camino. Non osò entrare dalla via e passò dal cortile; girò timidamente il saliscendi ed entrò. - Chi è? - chiese il padrone. - Uno che vorrebbe mangiare e dormire. - Bene, qui si mangia e si dorme. Quelli che stavano bevendo si voltarono: la lucerna lo rischiarava da una parte e il fuoco dall’altra, così poterono esaminarlo mentre si sfilava lo zaino. L’oste disse: - La zuppa sta cuocendo; venite a scaldarvi. Andò a sedersi vicino alla fiamma e allungò i piedi martoriati dalla stanchezza; un buon odore usciva dalla pentola. Il viso, sotto il berretto, prese una vaga apparenza di benessere, misto a un’espressione dura, nata dall’abitudine alla sofferenza. Era un profilo marcato e triste: sotto le sopracciglia gli occhi brillavano. Un uomo seduto al tavolo, prima d’entrare in quella taverna, aveva sistemato il cavallo nella stalla di Labarre. Quel mattino aveva incontrato il forestiero, che l’aveva pregato di farlo montare sul suo cavallo, ma lui aveva af9
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frettato il passo. Quell’uomo faceva parte del gruppo che circondava Jacquin Labarre e aveva raccontato lo sgradevole incontro agli ospiti dell’albergo. Adesso fece un cenno al taverniere; questi gli si accostò e scambiarono qualche parola a bassa voce. Il taverniere tornò presso il camino, posò bruscamente una mano sulla spalla del cliente e gli disse: - Devi andartene da qui! Il forestiero si voltò e rispose con dolcezza: - Ah!... Anche voi sapete... - Sì. V’hanno mandato via dall’altro albergo. E ora ti cacceremo via anche da questo! - E dove volete che vada? - Altrove. Jean prese bastone, sacco e se n’andò. Alcuni ragazzi che l’avevano seguito gli scagliarono delle pietre: egli tornò incollerito sui suoi passi e li minacciò col bastone, disperdendoli come uno stormo d’uccelli. Suonò alla prigione e lo spioncino s’aprì. - Signor carceriere - disse levandosi rispettosamente il berretto, - vorreste aver la bontà d’alloggiarmi per questa notte? Una voce rispose: - Una prigione non è un albergo. Fatevi arrestare e vi sarà aperto. E lo spioncino si richiuse: il viandante entrò allora in una stradina fra giardini. Vide una casa con la finestra illuminata: guardò dai vetri e vide una camera con un letto, una culla nell’angolo, sedie rustiche e un fucile appeso al muro. Al centro, una tavola apparecchiata e una lucerna che rischiarava la brocca piena di vino e la zuppiera fumante. Al tavolo sedeva un uomo che faceva saltellare un bimbetto sulle ginocchia; una donna giovane ne allattava un altro. Il padre rideva col fanciullo e la madre sorrideva. L’estraneo guardò quello spettacolo dolce e riposante. Pensò che quella gaia dimora poteva essere ospitale e che là avrebbe potuto fiorire la pietà verso il prossimo. 10