I tre moschettieri Il romanzo storico e d’avventura capolavoro della letteratura francese
I CLASSICI
Alexandre Dumas
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Impaginazione: Enzo Bocchini Illustrazione di copertina: Danilo Loizedda Approfondimenti finali: Patrizia Marzocchi, Paola Valente Schede didattiche allegate: Costanza Lucchetti, Coralba Pierucci Ufficio stampa: Francesca Vici I Edizione 2019 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0
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Alexandre Dumas
I tre moschettieri Adattamento di
Patrizia Marzocchi
Brevi note storiche “I tre moschettieri” è un romanzo storico, che narra una vicenda inventata in un’epoca attentamente ricostruita, la prima metà del Seicento in Francia. Alcuni dei suoi personaggi sono veramente esistiti, altri sono frutto della fantasia dello scrittore, ma verosimili. Luigi XIII era il re e Richelieu il potentissimo cardinale che di fatto governava la Francia. Attaccarono La Rochelle, che era una piccola città fortificata in mano agli ugonotti (calvinisti francesi), i quali vennero aiutati dagli inglesi. La regina Anna d’Austria, a dispetto del nome, era una principessa spagnola e, come trapela dal romanzo, era effettivamente in una situazione di isolamento nella corte francese. Il duca di Buckingham era un importante nobile inglese, che subì proprio la sorte che gli viene riservata nel romanzo. Il re aveva i suoi moschettieri, ma anche Richelieu disponeva di un suo corpo di guardie. All’epoca poteva accadere che ai criminali venisse impresso a fuoco sulla spalla il marchio del giglio, così come succede a uno dei nostri personaggi.
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Capitolo
1
I tre doni di d’Artagnan padre
I
l primo lunedì d’aprile del 1625 nel borgo di Meung sembrava fosse scoppiata una violenta rivoluzione. A quei tempi le ondate di panico erano frequenti: c’erano i signori che guerreggiavano fra loro, il re che faceva la guerra al cardinale, gli spagnoli che facevano la guerra al re... Poi c’erano i ladri, i mendicanti, gli ugonotti, i lupi e i servi che facevano la guerra a tutti. Così, gli abitanti di Meung, sentendo rumore d’armi, si precipitarono verso la locanda del Franc Meunier per sapere il perché di quel gran frastuono. Un giovanotto era al centro della scena. Per tracciare rapidamente il suo ritratto immagineremo un Don Chisciotte a diciotto anni, senza armatura, senza elmo e senza cosciali, vestito di un farsetto di lana il cui originario color turchino si era trasformato in una sfumatura indefinibile tra il color mosto e il celestino. Il viso del giovane era lungo e bruno, lo sguardo era sincero e intelligente, il naso aquilino disegnato con finezza. Il giovanotto aveva un cavallo piuttosto anziano, dal mantello giallastro, con la coda spelacchiata, coperto di croste sulle zampe. Quel cavallo e quel cavaliere al loro ingresso a Meung, un quarto d’ora prima, erano parsi assai ridicoli. Tale impressione generale era stata penosissima per d’Artagnan (così si chiamava il giovane) e non gli bastava essere buon cavaliere per sopportare il peso di quel dono che gli era stato fatto da suo padre. “Figlio mio” aveva detto il gentiluomo guascone in puro dialetto del Bearn, “questo cavallo è nato in casa di vostro padre e 7
Capitolo 1
presto avrà tredici anni; dovete amarlo perché è stato con noi tanto tempo. Non vendetelo mai, lasciatelo morire tranquillamente e decorosamente di vecchiaia. Se avrete l’onore di andare a corte, onore al quale la vostra antica nobiltà vi dà diritto, non tollerate mai nulla che non venga dal cardinale o dal re. È solo col proprio coraggio che un gentiluomo riesce oggi a farsi strada. Basta esitare un attimo per lasciarsi fuggire l’occasione che proprio in quel secondo offre la fortuna. Siete giovane, dovete essere valoroso per due motivi: siete guascone e siete mio figlio. Non abbiate paura e cercate le avventure. Battetevi in ogni circostanza; battetevi proprio perché i duelli sono vietati e, dunque, per battersi occorre doppio coraggio. Tutto quello che ho da darvi, figlio mio, sono quindici scudi, il mio cavallo e i consigli che avete appena ascoltato. Vostra madre aggiungerà la ricetta di un certo balsamo che ha avuto da una zingara, miracoloso per guarire ogni ferita che non leda il cuore. Approfittate di tutto e vivete felice e a lungo. Ho solo una parola da aggiungere, anzi un esempio da proporvi: parlo di Monsieur de Tréville, che un tempo era mio vicino di casa e che ha avuto l’onore di giocare da bambino col nostro re Luigi XIII. Tréville si è battuto forse cento volte in duello. Ora è capitano dei moschettieri, inoltre guadagna diecimila scudi all’anno, ed è dunque un grandissimo signore. Ha cominciato come voi; andate a trovarlo con questa mia lettera e seguite il suo esempio.” Dopo questo discorso Monsieur d’Artagnan aveva messo alla cintola di suo figlio la propria spada, lo aveva baciato teneramente sulle guance e gli aveva dato la sua benedizione. Uscendo dalla camera paterna, il giovane aveva trovato la madre che l’attendeva con la famosa ricetta. Con lei gli addii erano stati più lunghi e teneri: madame d’Artagnan aveva pianto a dirotto e il figlio, nonostante i molti sforzi di restare impassibile come un vero futuro moschettiere, aveva versato una gran quantità di lacrime. Quel giorno stesso il giovane si era messo in cammino con i tre doni paterni: quindici scudi, il cavallo e la lettera per Monsieur de Tréville. 8
I tre doni di d’Artagnan padre
Così come Don Chisciotte scambiava i mulini a vento per giganti e le pecore per eserciti, d’Artagnan aveva preso ogni sorriso per un insulto e ogni sguardo per una provocazione. Aveva portato la mano all’elsa della spada almeno dieci volte al giorno, tuttavia la spada non era uscita mai dal fodero. Sebbene la vista dello sciagurato cavallo giallo avesse suscitato più di un sorriso, sopra il ronzino tintinnava una spada di proporzioni considerevoli e più su brillava uno sguardo feroce, sicché i passanti avevano represso la loro ilarità o si erano voltati dall’altra parte per ridere. D’Artagnan era rimasto dunque maestoso e incolume fino al suo arrivo a Meung. Ma qui, alla porta dell’osteria del Franc Meunier, mentre scendeva da cavallo, scorse a una finestra semiaperta del pianterreno un gentiluomo alto e di nobile aspetto intento a discorrere con due persone che sembravano ascoltarlo con ossequio. Naturalmente, d’Artagnan pensò di essere l’oggetto della conversazione e si mise ad ascoltare. Non si parlava di lui ma del suo cavallo e gli ascoltatori scoppiavano in continue risate. Il gentiluomo sul quale d’Artagnan fissò il suo sguardo sdegnato era un uomo fra i quaranta e i quarantacinque anni, dagli occhi neri e penetranti, pallido, il naso assai pronunciato e i baffi neri tagliati con molta cura; indossava un farsetto e brache violette allacciate al ginocchio da stringhe dello stesso colore. Aveva una cicatrice sulla tempia. Questa volta non c’era dubbio, d’Artagnan veniva realmente insultato. – Ehi, signore! – gridò. – Signore che vi nascondete dietro quell’imposta! Proprio voi! Ditemi un po’ di che ridete, e rideremo insieme! Il gentiluomo spostò con lentezza lo sguardo dalla cavalcatura al cavaliere, poi aggrottò lievemente le sopracciglia e, dopo una pausa piuttosto lunga, con un accento d’ironia e d’insolenza rispose: – Non sto parlando a voi, signore. – Ma sono io che vi parlo! – esclamò il giovane esasperato da quel misto di arroganza e signorilità, di educazione e scherno. 9
Capitolo 1
Lo sconosciuto lo guardò ancora un attimo col suo lieve sorriso, poi uscì lentamente dall’albergo per fermarsi a due passi da d’Artagnan. Il suo contegno tranquillo e la sua espressione beffarda avevano raddoppiato l’ilarità dei due ascoltatori che erano rimasti alla finestra. D’Artagnan cominciò allora a estrarre la spada dal fodero. – Questo cavallo è color giallo ranuncolo – riprese lo sconosciuto. – È un colore molto noto in botanica, ma fino a oggi rarissimo tra i cavalli. – Chi ride del cavallo non oserebbe ridere del padrone! – gridò furibondo l’aspirante moschettiere. – Signore – proseguì lo sconosciuto, – io non rido spesso, tengo tuttavia a conservare il privilegio di farlo quando mi pare e piace. – E io – ribatté d’Artagnan – non voglio che si rida quando mi dispiace. – Davvero signore? – continuò lo sconosciuto più calmo che mai. – Ebbene è giustissimo. E si voltò per rientrare nella locanda. Ma d’Artagnan non era tipo da lasciar andare così un uomo che aveva avuto l’insolenza di deriderlo. Trasse la spada dal fodero e lo inseguì, gridando: – Voltatevi, voltatevi, signor burlone! Non voglio colpirvi alle spalle! – Colpire me? – fece l’altro voltandosi e guardando il giovane con uno stupore pari al disprezzo. – Suvvia, siete impazzito! D’Artagnan gli allungò un colpo di punta così violento che l’uomo, se non fosse stato pronto a saltare subito indietro, avrebbe forse scherzato per l’ultima volta. Lo sconosciuto sfoderò quindi la spada, salutò l’avversario e si mise in guardia. Ma nello stesso istante i suoi due ascoltatori, accompagnati dall’oste, piombarono su d’Artagnan armati di bastoni, palette e molle da fuoco. Mentre lui si voltava per far fronte a quella tempesta di colpi, il suo avversario rinfoderò accuratamente la spada borbottando: – Maledetti guasconi! Rimettetelo sul suo cavallo arancione e che se ne vada! 10
I tre doni di d’Artagnan padre
– Non prima di averti ammazzato, vigliacco! – gridò d’Artagnan difendendosi come poteva e senza indietreggiare di un passo davanti ai tre assalitori che lo colpivano da ogni parte. Lo scontro durò ancora qualche minuto; poi d’Artagnan, stanco morto, si lasciò sfuggire la spada, spezzata in due da una bastonata. Un altro colpo lo prese in fronte e il giovane svenne. Subito la gente accorse da ogni dove. Il locandiere, temendo lo scandalo, trascinò il ferito in cucina con l’aiuto dei suoi garzoni e lo fece curare. Quanto al gentiluomo, aveva ripreso il suo posto alla finestra e guardava con una certa contrarietà la folla. – Allora, come va il pazzo furioso? – esclamò rivolgendosi al locandiere che veniva a informarsi della sua salute. – Sta meglio, è svenuto, ma prima ha radunato le forze per sfidarvi. Batteva la mano sulla tasca e diceva: Vedremo cosa penserà Monsieur de Tréville di questi insulti fatti a un suo protetto! – Monsieur de Tréville! – lo sconosciuto si fece attento. – Su, mio caro albergatore, mentre il giovane era svenuto avrete guardato, ne sono sicuro, in quella tasca. Che cosa c’era? – Una lettera indirizzata a Monsieur de Tréville, capitano dei moschettieri, Eccellenza. L’altro aggrottò le sopracciglia, preoccupato. – Dov’è adesso? – chiese. – Al primo piano, nella camera di mia moglie, dove lo stanno medicando. – Ha con sé la sua roba e la sua sacca? – È rimasto tutto in cucina. – Fatemi il conto e avvertite il mio servitore. – Guarda, guarda! – disse tra sé l’oste. – Ha forse paura di quel ragazzetto? Ma un’occhiata imperiosa dello sconosciuto lo gelò. Salutò umilmente e uscì. – Bisogna che quel furfante non veda Milady – mormorò il gentiluomo. – Lei non dovrebbe tardare a passare di qui… Se solo potessi conoscere il contenuto della lettera indirizzata a Tréville! E, borbottando, si diresse verso la cucina. 11
Capitolo 1
Poco dopo d’Artagnan scese le scale, ancora mezzo stordito e con la testa avvolta nelle fasciature, ma arrivando in cucina vide nella strada il suo provocatore che conversava tranquillamente sul predellino di una grande carrozza. La sua interlocutrice, affacciata al finestrino, era una donna molto bella. Pallida e bionda, con lunghi capelli ricci che ricadevano sulle spalle, aveva grandi occhi azzurri, labbra rosate e mani d’alabastro. – E così Sua Eminenza mi ordina… – diceva. – Di ritornare subito in Inghilterra e di avvertirlo immediatamente se il duca lasciasse Londra. – Ci sono altre istruzioni? – chiese la bella viaggiatrice. – Sono chiuse in questa scatola che aprirete solo quando sarete di là dalla Manica. Io torno a Parigi. I due interlocutori partirono rapidamente allontanandosi in direzioni opposte. D’Artagnan tentò di inseguire il suo uomo, ma era ancora troppo debole e cadde in mezzo alla strada gridando: – Vigliacco, vigliacco, vigliacco! Il giorno dopo, alle cinque del mattino, si alzò, scese in cucina, domandò gli ingredienti necessari secondo la ricetta della madre e compose un balsamo col quale unse le numerose ferite. Grazie all’efficacia del balsamo zingaresco, e forse grazie anche all’assenza dei dottori, l’indomani era pressoché guarito. Ma, al momento di pagare, si accorse che la lettera indirizzata a Monsieur de Tréville era sparita. Il giovane cominciò a cercarla con grande pazienza voltando e rivoltando tasche e taschini, ma quando fu certo di non averla più fu preso da un nuovo accesso di furore. Vedendolo accendersi d’ira e minacciare di rompere tutto, l’oste si era già armato di uno spiedo, la moglie del manico della scopa e i garzoni degli stessi bastoni già utilizzati. – La mia lettera di raccomandazione! – gridava d’Artagnan, – vi infilzo tutti come tordi! L’oste si spaventò, gettò lo spiedo e si mise egli stesso alla ricerca della lettera perduta. Un lampo illuminò a un tratto la sua mente. 12