I ragazzi Montessori

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Teresa Porcella

I ragazzi Montessori

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Maria Montessori


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Maria Montessori


Editor: Patrizia Ceccarelli Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico e impaginazione: Mauro Aquilanti, Valentina Mazzarini Illustrazione di copertina: Paolo D’Altan Ufficio stampa: Francesca Vici 1a Edizione ottobre 2017 Ristampa 5 4 3 2 1 0 2022 2021 2020 2019 2018 2017 Tutti i diritti sono riservati © 2017

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Teresa Porcella

I ragazzi Montessori


Alle mie madri, Margherita, Nora, Marcella, al loro saper essere radici, andando, lasciando andare, restando.


CA P IT OLO 1 Erdkinder: i figli della terra – Ora qui comandiamo noi e tutto va bene. Ma è inutile che te lo dica, lo vedrai da solo, Michael. Chi parlava era il ragazzino biondo, quello più magro di tutti. Nonostante il colore slavato della pelle e dei capelli, non dava affatto l’impressione di essere un tipo fragile, anzi. I lampi freddi dello sguardo attraversavano il vetro degli occhiali con decisione, quasi ignorassero le lenti. La stessa capacità di penetrare l’aria e i sensi apparteneva alla sua voce, stranamente bassa per uno così. Parlava con un ritmo preciso, né troppo lento né troppo veloce, e il colore del suo timbro era come il beige della pelle: indefinito, eppure riconoscibilissimo. Si doveva essere accorto che lo stavo fissando, perché immediatamente si rivolse a me e a mia sorella con un altro tono. – Dicevo che sia tu che Magda avrete modo di integrarvi subito qui e di apprezzare che cosa significa una vera Children’s land, una terra governata dai bambini. Fu allora, quando disse “Children’s land”, aprendo le braccia con gesto papale, che misi a fuoco gli altri due accanto a lui. Avevano i capelli nerissimi ed erano piccoli, maledettamente piccoli, sei o sette anni non di più, e uno forse ne aveva addirittura cinque e mezzo, come Magda. 5


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E io che ci facevo in un posto così? A dodici anni in una Children’s land? Avrei dovuto chiederlo con convinzione a mia madre prima di finire lì dentro, non certo farmi la domanda ora… – So che cosa stai pensando! – irruppe con una vocina acuta il piccoletto a destra. – Che tu sei grande, come Jimmy, mentre noi due siamo solo dei mocciosetti che non servirebbero neanche a fare da raccattapalle in una partita a tennis: figuriamoci governare in una Children’s land! Il microbo aveva letto i miei pensieri. Forse avevo fatto una faccia talmente schifata che si capiva ciò che stavo pensando. O forse lui era uno decisamente sveglio, oppure entrambe le cose: poco importava. – Michael, Magda! – contrappuntò rapido il morettino del centro con un tono di voce identico a chi lo aveva preceduto. – Qui non ci sono ragazzi grandi e bambini piccoli, qui ci sono solo Ragazzi Albero e Ragazzi Foresta e vedrete presto che è facile capire a quale specie si appartiene. E comunque, giusto per terminare le presentazioni, io sono Larry e lui – e con la testa indicò il piccolo indovino alla sua sinistra – è Sergej, e siamo felici di conoscervi e di avervi qui con noi alla Erdkinder Farm! – Significa “Fattoria dei figli della terra” – si reinserì Jimmy, anticipando le nostre domande – ed è una parola tedesca che si è inventata tempo fa Maria Montessori, la famosa scienziata italiana che di sicuro conoscerete. Comunque, lasciando stare per ora i termini difficili, sarà, come vi dicevo, più di una vacanza, sarà… come nascere un’altra volta 6


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in un mondo libero a misura di ragazzo. Mica male, sapete! Ecco, mi scuso se prima posso esservi sembrato troppo solenne, ma a volte mi capita. È che, fondamentalmente, sono uno serio, tutto qui. Benvenuti, dunque! Sono Jimmy, come già vi ha detto Sergej, ma potete chiamarmi Jumbo Jim, come fanno tutti qui nella Farm, perché dicono che sono uno veloce… Fu allora, quando ci tese la mano, che ebbi modo di notare per la prima volta il braccialetto di gomma fluorescente, rosso e blu, con le iniziali del suo nickname, JJ, in rilievo su una placca metallica. Avrei dovuto intuirlo in quel momento che il beige della sua voce e il fluo del braccialetto formavano un arcobaleno di pace e tempesta. – Grazie Jumbo Jim, staremo benissimo, qui. Me l’ha detto anche mamma quando siamo usciti di casa stamattina. E mamma ha sempre ragione. Scusa, ma a che ora si mangia? E la mia stanza dov’è? E Molly può dormire con me? Eccola Magda, la sorella inopportuna ed efficace, come sempre. – Ah ah ah, certo che Molly può stare con te! – rispose Jimmy, mostrando per la prima volta la curva del suo sorriso. – Qui ognuno ha diritto di portare portare in camera il suo animale, purché se ne occupi e lo educhi per bene, in modo da non disturbare gli altri. Vediamo un po’… Molly sa fare i bisogni nella sua cassettina? Non si affila le unghie alle poltrone e ai divani, vero? Non fa attacchi improvvisi alle caviglie di chi passa? Mangia sempre nella sua cioto… 7


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– Certo che sì! Cosa credi? – urlò Magda esasperata. – Molly è una gatta per bene: guarda! E senza aspettare che nessuno le desse il permesso, la tirò fuori dal suo cestinetto di paglia, afferrandola sotto le zampe anteriori. Poi la posò sul pavimento, dove Molly si accucciò con la grazia elegante e irriverente di una sfinge pronta a farti l’esame. Infine, senza indugio, Magda si avvicinò a Jimmy, Larry e Sergej e con tono intimidatorio aggiunse: – Accarezzatela e vedrete! Non so perché, ma ogni volta che Magda parlava con quel tono, tutti obbedivano. E così fu anche quel pomeriggio. Quasi fosse lei il direttore della Erdkinder Farm, vidi Jimmy, Larry e Sergej, avvicinarsi in buon ordine a Molly e darle, a turno, una carezza-scivolo dalla testa all’attacco della coda, disegnando con le mani l’onda esatta del suo pelo nero. Partì il tipico “ron-ron” cui tutti, a casa, eravamo abituati. Poi, proseguendo nel copione che ben conosceva, Molly alzò un po’ il sedere e, stirando le zampe davanti, fece un inchino degno di Greta Garbo. Se non fosse stato per il “Miao” veemente con cui l’accompagnò, avremmo potuto incoronarla regina del cinema muto. I tre figli della terra scoppiarono a ridere di gusto: – Altro che educata: questa è un’attrice da Oscar! Parola di Jumbo Jim! E continuando a ridere, Jimmy prese Magda per mano aggiungendo: – Vieni, ti faccio vedere dove è la camera tua e di Molly. Mentre camminavamo per il corridoio, ascoltando il 8


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rumore dei nostri passi, pensai ancora una volta che, quando c’era Magda, io non contavo nulla e, per quanto volessi bene a mia sorella, non potevo accettare che succedesse anche lì. – Scusa Jumbo Jim – dissi arrischiando un tono confidenziale che non era affatto nelle mie corde, – ma la mia stanza, dov’è? Come vedi, tra zaino, zainetto, chitarra e tastiere, la roba da poggiare non è poca e anche io vorrei sistemarmi bene, prima di andare a dormire. Avevo parlato veloce, “tutto-d’-un-fiato”, per simulare una disinvoltura che non mi apparteneva. Non so dire, ora, se Jimmy si fosse già accorto della mia timidezza o no, so solo che rispose: – Certo che accompagniamo anche te in camera, ci mancherebbe! Tanto più che vi abbiamo riservato due stanze vicine che comunicano attraverso una porticina intermedia, chiusa a chiave, ma che si può aprire, se volete. Sapete, quando si sono fermati qui, sono state anche le camere di Maria e Mario Montessori. Ma questa è una storia lunga, voi siete stanchi e noi dobbiamo andare a rimettere a posto la mensa dopo la cena, perciò “Signore e signori: lo scoprirete alla prossima puntata!” E senza che nessuno osasse aggiungere nulla, ci dirigemmo nelle nostre stanze, dove ci salutammo senza troppi convenevoli.

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