Il ministero delle piramidi

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Valeria Conti

Con questo racconto potrai affacciarti sull’incredibile mondo dell’Antico Egitto: scoprirai i segreti della scrittura e della mummificazione, conoscerai le tecniche di costruzione delle piramidi e la vita quotidiana degli Egizi. Tiy e suo fratello Isesi, sulle tracce di due profanatori di tombe, entreranno in una piramide colma di oggetti preparati per la vita ultraterrena della defunta e, inseguendo i malviventi, percorreranno le terre inondate dalle acque del Nilo, per arrivare, infine, al cospetto del grandissimo faraone Chefren. Un racconto colmo di suspence e ricco di informazioni sul popolo più affascinante della Storia antica.

Valeria Conti vive a Roma, dove traduce e adatta dialoghi di film e telefilm per ragazzi. Ha scritto vari libri di narrativa per bambini, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Per Raffaello ha pubblicato Attento Gegé; Archimede, lo scienziato che difese Siracusa; Mozart e lo spartito perduto.

Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it

€ 7,50

O R E T S I M IL DELLE PIRAMIDI Mummie, medici, maghi nell’ ANTICO EGITTO

IL MISTERO DELLE PIRAMIDI

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

GIZA, 2575 A.C.

Valeria Conti



Per volare con la fantasia

Editor: Paola Valente Coordinamento redazione: Emanuele Ramini Approfondimenti e schede didattiche: Paola Valente Impaginazione: AtosCrea, Raffaella De Luca Progetto grafico copertina: Mauro Aquilanti Ufficio stampa: Salvatore Passaretta I Edizione 2017 Ristampa 6 5 4 3 2 1 0

Collana di narrativa storica per ragazzi

2023 2022 2021 2020 2019 2018 2017

Tutti i diritti sono riservati © 2017 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it info@ilmulinoavento.it www.ilmulinoavento.it Printed in Italy

www.facebook.com/grupporaffaello È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di q­ uesto libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright. L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.


Per volare con la fantasia

Editor: Paola Valente Coordinamento redazione: Emanuele Ramini Approfondimenti e schede didattiche: Paola Valente Impaginazione: AtosCrea, Raffaella De Luca Progetto grafico copertina: Mauro Aquilanti Ufficio stampa: Salvatore Passaretta I Edizione 2017 Ristampa 6 5 4 3 2 1 0

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Valeria Conti

IL MISTERO DELLE PIRAMIDI

Sfinge di Giza (2590 a.C. circa)

LA VITA AL TEMPO DEGLI EGIZI Ecco la vita quotidiana di una città egizia del 2500 a.c. vuoi fare un tuffo nella storia? Leggi il racconto e inizia l'avventura!



Pane, focacce e dolciumi Egitto, durante l’Antico Regno, sotto il faraone Chefren, intorno all’anno 2575 a.C.

Tiy stava accendendo il fuoco sotto il forno di ter-

racotta poggiato al suolo, quando avvertì il profumo del pane caldo e fragrante. Sorrise tra sé: quell’odore le metteva sempre allegria. Tiy era una ragazzina di nove anni, alta per la sua età, con i capelli bruni sciolti sulle spalle e gli occhi color nocciola, incorniciati da lunghe ciglia. Suo padre, Hergedef, entrò in casa, portandosi dietro una folata di odore di farina e di legna bruciata. – Ecco qui, tesoro mio – disse mostrando con entusiasmo quanto aveva nella cesta. – Focacce al sesamo e pane al latte a forma di cono. Per te inoltre c’è una sorpresa speciale – aggiunse, – un panino all’uvetta! – Grazie, papà! Tiy ne andava matta. Hergedef era uno dei migliori fornai di Giza, un villaggio

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poco lontano da Menfi, la capitale dell’Alto e Basso La prima capitale dell’antico Egitto Egitto, e il suo pane, insiefu Menfi, poi Tebe. Giza era una piccola cittadina non lontana da Menfi me a pesce, ceci e lattuga, dove sorsero tre famose piramidi: di sarebbe stata la cena della Cheope, di Chefren e di Micerino. famiglia. Qui si trova anche la Grande Sfinge. – Isesi è tornato dalla scuola del tempio del dio Ptah, creatore del mondo e sovrano degli dei? – domandò solenne Hergedef. – No, ma starà per arrivare – rispose Tiy, cercando di resistere agli assalti della scimmietta Byblos che voleva appollaiarsi sulla sua spalla. DENTRO LA STORIA...


La bambina spiegò con dolcezza alla bestiola: – Adesso non posso giocare con te, Byblos, ho da fare. La bertuccia, però, era la creatura più insistente e dispettosa del mondo, quando ci si metteva, e stava rendendo impossibile alla sua padroncina avvicinarsi al focolare. Finalmente si distrasse e Tiy poté riprendere a spignattare. – Scusate il ritardo – dichiarò Isesi piombando nella piccola stanza. Era un ragazzone molto cresciuto per i suoi tredici anni, con lunghe braccia che non sapeva mai dove mettere e mani enormi con le quali però riusciva a compiere operazioni minute e delicate. Per questo era stato selezionato per diventare imbalsamatore, una professione complessa e carica di onori. – La lezione è andata per le lunghe. Oggi abbiamo imparato a estrarre il cervello dalla scatola cranica con un uncino. È semplicissimo, basta tirarlo con delicatezza dalle narici… – Ti prego! – lo interruppe Hergedef, – sai che sono un tipo impressionabile. Se continui, non riuscirò a mangiare neanche un boccone. Tiy, invece, era interessatissima e sussurrò al fratello: – Dopo cena mi racconti tutto, eh. Non vedo l’ora di sapere che aspetto ha un cervello umano. – Giusto – approvò Isesi, – un medico deve saperle, certe cose.

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Il sogno di Tiy, infatti, era diventare medico, anche se non sarebbe stata impresa facile, soprattutto per una ragazza. In quel momento, però, l’aspirante dottoressa aveva tutt’altro per la testa e urlò arrabbiatissima, rivolta alla scimmietta: – Byblos, cattiva, quel panino all’uvetta era mio! La bertuccia, senza la più vaga ombra di pentimento, si appollaiò rapida nel varco della finestra per terminare in pace il delizioso spuntino. – Questa volta me la paghi, avrai una punizione esemplare! – dichiarò Tiy. – Non essere troppo severa con lei, è come un bambino piccolo – intervenne Hergedef, – ti prometto che domani ti porterò due panini all’uvetta, anzi tre, ma perdona Byblos. – Sei troppo buono con lei, padre – intervenne Isesi, – per questo è viziata. – Forse è vero – ammise Hergedef – ma ho avuto il cuore pesante per tutto il giorno e quando vi vedo allegri e in salute, non riesco a infuriarmi per delle sciocchezze.

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Sapete – aggiunse con tono funereo, – la notte scorsa ho sognato un nano. – Un nano? – domandò Tiy con una sfumatura di incredulità nella voce. Isesi, che aveva imparato a prestare fede alle premonizioni nascoste nei sogni del padre, le affibbiò una gomitata. – È bene o male? – domandò il ragazzo. – Male – strillò il padre, – malissimo! Significa che metà della vita mi sarà portata via! – Andiamo, padre, si tratta solo di un sogno – lo consolò Tiy. – Tu, bambina mia, sei convinta che il mondo obbedisca a leggi che l’uomo, con la sua ragione e le sue conoscenze, può capire. Ma non è così! I sogni mi arrivano dal regno ultraterreno governato dal grande e potente dio Osiride – spiegò Hergedef. Tiy sospirò, da quando sua madre non c’era più, il padre era diventato fragile e impressionabile. Hergedef viveva molto più nel mondo dell’oltretomba che in quello reale e il dio Osiride era la sua divinità preferita. A Tiy venne in mente che forse, però, suo padre viveva da sempre all’ombra del dio dell’aldilà. D’un tratto, un ricordo affiorò alla sua mente: era lontano, quasi inafferrabile, ma la bambina sentiva che si trattava di un’immagine preziosa.

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Si concentrò e dal passato emerse il suono della voce di Hergedef che le narrava come una favola il mito del grande Osiride. – Iside e Osiride erano innamorati e si sposarono. Divennero faraoni e Osiride insegnò agli uomini a coltivare la terra. Era un faraone molto amato e suo fratello Seth, per invidia, decise di ucciderlo. Fece costruire un sarcofago prezioso e dichiarò che ne avrebbe fatto dono a colui che vi sarebbe entrato. Tiy continuava a concentrarsi affinché il ricordo non svanisse. C’era un frammento di memoria che le sfuggiva, ma lei sentiva che era unico, insostituibile. Ed eccolo, il ricordo inestimabile: una voce femminile, dolcissima, terminava il racconto. La voce di sua mamma! Tiy aveva poche immagini della madre e quelle poche stavano scolorendo con il tempo. Il cuore le batteva forte per l’emozione. – Osiride raccolse subito la sfida, ma, una volta che fu disteso nel sarcofago, Seth lo sigillò e tagliò il corpo del fratello Osiride, poi ne sparpagliò tutti i pezzi in mare. Iside, disperata e amareggiata, cercò ovunque le membra del suo sposo, lo ricompose e lo riportò in vita. Così Osiride divenne il dio dell’oltretomba, colui che garantisce la vita oltre la morte. La voce si dissolse come nebbia.

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Tiy si riscosse. Era commossa fin nel midollo, ma le seccava darlo troppo a vedere. D’impulso abbracciò quel piccolo uomo grassottello che sembrava così indifeso e disse: – Padre, andiamo a cena. – Era ora! – sbottò il fratello. Anche Byblos saltò giù dalla finestra, pronta per un nuovo pasto; precedette di corsa a quattro zampe i padroni e si accomodò su uno sgabello intorno al basso tavolo, dove attese piena di speranza qualche altro bocconcino appetitoso.

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Geroglifici e sgorbi

Il giorno dopo, Tiy si recò alla Casa della Vita per se-

guire le lezioni. L’edificio aveva un unico piano e sorgeva accanto al tempio del dio Ptah. Le dimore degli dei erano costruite in pietra e circondate da un muro di mattoni di argilla che racchiudeva un giardino rigoglioso di alberi, fiori profumati e un orto in cui si coltivavano lattughe, cipolle, lenticchie e altri ortaggi che servivano alla mensa dei sacerdoti. Accanto al tempio c’era la biblioteca, la residenza dei sacerdoti e la Casa della Vita, vero centro culturale della città. Come ogni mattina, Tiy aveva appuntamento vicino al laghetto con Amosi. Lei era la sua compagna preferita, senza contare che era l’unica altra femmina della classe: le lezioni della Casa della Vita erano frequentate soprattutto da ragazzi. Amosi era bassa e grassottella, con una grande forza fisica: poteva battere qualunque maschio della sua età nel tiro con l’arco e negli altri esercizi di ginnastica.

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– Ciao, sono in ritardo? – domandò Tiy che sopraggiunse trafelata. – Non preoccuparti, mentre ti aspettavo mi sono goduta il sole e i mille profumi del giardino – trillò Amosi. Aveva un carattere allegro, era sempre di buonumore e averla come compagna era di grande aiuto nei giorni neri. L’aula della classe di Tiy e Amosi era ampia e luminosa, il vento entrava dalla finestra e rendeva ideale la temperatura. Gli allievi stavano accoccolati su stuoie intrecciate, con la tavoletta di legno imbiancato posata sulle ginocchia. In mano avevano la cannuccia con la quale tracciare i geroglifici e i segni della scrittura ieratica; di fronte, poggiata a terra, la tavolozza e la vaschetta con l’acqua. Gli altri strumenti per scrivere erano raccolti sul lungo tavolo in fondo all’aula: il pestello, il mortaio, le polveri per ottenere gli inchiostri nero e rosso. La classe era intenta a copiare i geroglifici da un modello. Cheti, il maestro, si DENTRO LA STORIA... aggirava tra gli allievi. La scrittura geroglifica era costituiAveva in mano l’imta da ideogrammi. Questo tipo di mancabile frustino e lo scrittura era riservato a monumenti o a qualsiasi oggetto, come stele e faceva sibilare spesso, statue, concepito per essere eterno. producendo raccapricLa scrittura quotidiana in Egitto era cianti schiocchi. quella ieratica.

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– Lavorerete finché i polsi non si staccheranno dalle mani! – strillò con voce rabbiosa. Amosi, seduta vicino a Tiy, le sussurrò: – Se penso al terrore che mi incuteva i primi giorni… L’altra sorrise: – Anche a me. La sera non riuscivo neanche a prendere sonno, per la paura. Adesso però so che le sue minacce non sono da prendere sul serio. Cheti, nel frattempo, frustava minacciosamente in aria. – Gli scansafatiche dovranno vedersela con me! – continuò a urlare. – Scorticherò il vostro groppone a furia di frustate! Gli allievi continuavano a lavorare tranquilli, incuranti delle terribili promesse del maestro e della sua sibilante frusta. Se si impegnavano tanto, era per affetto verso quell’uomo magro e dal colorito giallastro che minacciava tuoni e fulmini, ma poi era sempre pronto a farsi in quattro per gli allievi. Tiy in quel momento era alle prese con la civetta che le veniva sempre troppo somigliante a un babbuino. Il babbuino, però, tra i geroglifici non compariva. Tiy si arrabbiava, ricominciava da capo, ce la metteva tutta, ma la cannuccia, nelle sue mani, non voleva obbedire e sulla sua tavoletta di legno imbiancato il risultato era sempre uno sgorbio.

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Cheti le arrivò alle spalle, lei, quando se ne accorse, sussultò leggermente. – Non ho mai visto civette tanto mal disegnate! Sono degli obbrobri, degli scherzi della natura! – tuonò l’insegnante. – Non ti applichi abbastanza! Devi esercitarti, esercitarti, esercitarti! – concluse pestando rabbiosamente il piede per terra. Tiy era addolorata, Cheti aveva ragione: avrebbe dovuto impegnarsi molto di più. – Prometto che lo farò, maestro – rispose quindi a occhi bassi. Cheti, trovandosi di fronte a tanta mortificazione, fece immediatamente marcia indietro, pentito di essersi mostrato troppo duro. Abbassò il tono della voce a un bisbiglio e sussurrò con più dolcezza: – So che hai una casa da mandare avanti, povera bambina. Non buttarti troppo giù di morale, basterà che ogni giorno ti eserciti per mezza clessidra ad acqua, una al massimo e diventerai più brava. Mentre parlava, disegnò sulla tavoletta di Tiy una civetta perfetta. – Vedrai che piano piano i tuoi geroglifici miglioreranno – concluse incoraggiante. Poi sbatté di nuovo un paio di volte la frusta a terra e riprese a strillare:

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– Non cercate di fare i furbi con me o vi vedrete affibbiare tanti di quei compiti da star svegli l’intera notte! All’ora di pranzo, finalmente le lezioni ebbero termine. Gli allievi, dopo essersi avvicinati al grande tavolo centrale per sciacquare la cannuccia e mettere in ordine le ciotole dei colori, sciamarono fuori dall’aula in chiassosi gruppetti. Tiy quel giorno non si unì ad Amosi, con la quale di solito tornava a casa, ma fece di tutto per rimanere indietro. L’amica, che conosceva le sue intenzioni, la salutò con gli occhi. Uscita dall’aula, Tiy, invece di voltare a destra, girò a sinistra e sgattaiolò nella classe accanto, ormai deserta. Qui si nascose in fretta dietro al tavolo e rimase immobile, tendendo l’orecchio al chiacchiericcio dei suoi compagni. Quando tutto fu silenzio, uscì dal nascondiglio. Casualmente le cadde l’occhio sui lavori della classe superiore, messi in fila ad asciugare. La sua frustrazione fu profonda: geroglifici perfetti, civette somiglianti in tutto e per tutto agli originali, leoni che sembravano sul punto di spiccare un balzo, mani e piedi dalle proporzioni impeccabili. Sospirò scoraggiata. Poi strinse i pugni con determinazione: “Non servono i geroglifici per curare le malattie” considerò. “Io diventerò un grande medico, lo prometto!”

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Si affacciò nel corridoio, dove l’unica presenza era quella del vento che correva da un capo all’altro. Facendo attenzione a non essere sorpresa da nessuno dei maestri, lasciò il suo nascondiglio e si spinse nell’ala più lontana della Casa della Vita. Infine varcò la porta che le era proibito attraversare.

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Una mummia da vicino

Era da tempo che Tiy insisteva con Isesi perché esau-

disse un suo desiderio: assistere a una lezione di imbalsamazione. – È proibito! Il sommo sacerdote Peteisis non lo permette a nessuno, a parte agli allievi. E anche quelli, come sai, sono duramente selezionati. – Me l’hai già ripetuto cento volte. Però mi hai anche detto che il sommo sacerdote, vostro maestro, vi lascia spesso soli. Ormai siete esperti e lui di voi si fida. Potrei sgattaiolare dentro quando Peteisis non c’è. Erano seguite discussioni a non finire, ma Tiy l’aveva avuta vinta, prendendo il fratello per sfinimento. Perciò adesso Isesi le fece segno che il campo era sgombro e Tiy si intrufolò nella grande aula di imbalsamazione. Qui, ogni allievo aveva un tavolo sul quale era disteso il defunto, ai suoi piedi c’erano i vasi con le resine profumate e gli altri strumenti necessari.

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Tiy sfilò davanti ai tavoli di alcuni studenti, che la guardarono sorpresi, ma erano amici di Isesi e non avrebbero mai fatto la spia al maestro. La bambina trotterellò fino al fratello e osservò curiosa il defunto che Isesi stava già cominciando ad avvolgere nelle bende. – Dove sono i suoi organi interni? – domandò senza tanti giri di parole. Dai tavoli vicini le occhiate stupite aumentarono. – Nei vasi, immersi in aromi conservanti. Tiy era delusa, lei voleva vedere com’era l’interno di un corpo di uomo. – Accidenti! – mormorò. – Sei in ritardo: il taglio nell’addome del defunto è stato ormai ricucito e lui è rimasto settanta giorni a bagno nel natron, per assorbire ogni traccia di umidità. Evidentemente la mumDENTRO LA STORIA... mificazione era già alla fase finale. Il natron è carbonato di sodio, cioè – E adesso acquattati in un sale che serviva per purificare ed quello stanzino, dietro la essiccare i corpi da mummificare. tenda – le ordinò il fratello. – Ho scelto questo tavolo di lavoro proprio perché è vicino a un nascondiglio, se il sommo sacerdote ti trova qui, sono guai per tutti e due.

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Lo stanzino era una semplice nicchia nella parete chiusa da una tenda. Era ingombro di vasi sigillati, dal gradevole odore che vi aleggiava era chiaro che si trattava di resine profumate. Per Tiy non era facile restare immobile in quel piccolissimo spazio, stretta tra tanti oggetti. E poi era troppo curiosa per rimanere confinata dietro la tenda: continuava a fare capolino e a rivolgere domande su domande al fratello, i cui nervi erano messi a dura prova. Isesi stava avvolgendo le parti più minute del corpo del defunto, come le dita, in strisce sottili di bende imbevute di resine profumate e conservanti. – La famiglia ti ha affidato amuleti preziosi per proteggere il defunto nel suo viaggio nell’aldilà? – chiese Tiy. – Il poveretto era un semplice operaio, ha partecipato alla costruzione della piramide del nostro faraone Chefren. La famiglia, che non può permettersi la mummificazione per il defunto, ha pregato noi studenti di occuparcene. Così ci esercitiamo e il morto ottiene un’imbalsamazione forse non perfetta, ma almeno completa. – Perciò, niente amuleti – concluse Tiy. – Già. Solo uno scarabeo di terracotta da mettere all’altezza del cuore. – Che non è dentro uno di quei vasi, giusto? – chiese Tiy indicando i canopi.

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– Giusto. L’organo più DENTRO LA STORIA... importante resta all’interno Nella sala di Maat, dea della verità e del defunto, il quale, quandella giustizia, il defunto doveva sotdo arriverà davanti a Ositoporsi alla “pesatura del cuore”. Se ride, dovrà sottostare alla il suo cuore risultava più leggero di una piuma, era ammesso nell’aldilà. “pesatura del cuore”. – Sono certa che sulla bilancia, il cuore di quest’uomo risulterà più leggero della piuma della dea Maat. Dal viso, si direbbe una persona buona. – Tu pensi sempre bene di tutti. Comunque saranno i quarantadue dei del tribunale di Osiride a giudicarlo. Tiy era di nuovo uscita dallo sgabuzzino e osservava con curiosità Isesi avvolgere con cura le membra dell’operaio. – Non porterà nell’aldilà neanche le formule magiche per superare gli ostacoli che incontra sul suo cammino? – domandò la ragazzina. – I parenti del defunto non sanno scrivere. Perché non fabbrichi tu qualche striscia di papiro con le formule? Ti servirebbe da esercizio di scrittura. Tiy non aveva nessuna voglia di mostrare al fratello i suoi sgorbi. – E dove lo prendo un foglio di papiro? Lo sai che è prezioso, non posso sottrarlo alla Casa della Vita, sarebbe un furto.

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I due ragazzi erano così assorti in chiacchiere da non accorgersi che qualcuno era silenziosamente scivolato alle loro spalle. Quando Tiy si voltò, si trovò davanti un uomo molto alto e magro, rasato, come tutti coloro che appartenevano alla casta dei sacerdoti, con le vesti di lino immacolato e i sandali di fibra di palma. Era Peteisis, il sommo sacerdote del tempio di Ptah e la sua espressione da temporale prometteva una pioggia di rimproveri e castighi. Tiy sussultò e Isesi divenne più pallido del defunto disteso sul suo tavolo. – Come osi ammettere estranei alla mummificazione? – gridò Peteisis. – Si tratta di una cerimonia sacra, il morto ha diritto a tutto il nostro rispetto. Isesi non rispondeva. Tiy, a cui tremavano le gambe, intervenne per salvare il fratello: – La colpa è mia, sommo sacerdote. Sono io che ho insistito, io merito la punizione, non lui. Peteisis ignorò completamente la bambina e continuò a rivolgersi al suo allievo: era il suo modo di punire e umiliare Tiy. – Conosci la regola: gli estranei non sono ammessi. Senza eccezioni. Questa bravata ti costerà… La punizione sarebbe stata certamente severa, ma per fortuna in quel momento il maestro Cheti entrò nella sala. Aveva un’espressione preoccupata.

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Peteisis si interruppe. – Sommo sacerdote – disse l’altro, – ti chiedo perdono, ma ho brutte notizie per il tuo allievo Isesi… In quel momento si accorse della presenza di Tiy e, sgranando gli occhi per la sorpresa di trovarla lì, aggiunse: – … e anche per sua sorella. Tiy, già agitata dall’essere stata sorpresa da Peteisis, sentì che il cuore le saltava in gola. Cheti continuò rivolto ai ragazzi: – Sembra che vostro padre sia caduto mentre era al laboratorio e abbia battuto la testa. Dovete correre subito da lui. Mi dispiace.

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Medicina magica

Con il cuore che le rimbombava nelle orecchie, Tiy

imboccò la porta del tempio. Da quando sua madre era morta, viveva nel terrore che potesse accadere un’altra disgrazia e i suoi giorni erano costellati da paure di mille tipi. Isesi la seguiva e i due ragazzi corsero fino al forno, in preda all’ansia. Una volta là, trovarono che Pamose, l’anziano medico, era già arrivato, avvertito da un cliente di nome Antef: un ciccione con i capelli rossi che i ragazzi avevano visto spesso in città. Il medico stava esaminando Hergedef, svenuto. – La ferita che si è prodotta cadendo è un brutto taglio – spiegò Pamose indicando la tempia destra – ma è un’infermità che posso curare. Piuttosto, dovremmo scoprire qual è stata la causa della caduta. Gli occhi di tutti si rivolsero verso Antef, il quale era l’unico presente al momento dell’incidente, ma Antef era scomparso.

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– Dove si è cacciato? – mormorò Isesi cercando il cliente anche all’esterno del piccolo forno. – Non importa – disse Pamose. – Hergedef si sta riprendendo. Lo chiederemo a lui. Con grande sollievo di Tiy e Isesi, il padre si alzò a sedere sul pavimento, stordito, ma salvo. – Come ti senti? – domandò il medico. – Non troppo bene – ammise Hergedef. – Non ricordo più niente. – Perciò non sai dirci perché sei caduto – aggiunse Pamose. – No. Ricordo che ero solo, nel laboratorio e poi più niente. – Padre, nel momento in cui hai perso conoscenza, c’era un cliente, Antef, un tipo grasso con i capelli rossi – intervenne Isesi. – Non ricordi neanche lui? Hergedef scosse la testa. Pamose si alzò in piedi e disse: – Per il colpo in testa, DENTRO LA STORIA... dovrete applicare sulla ferita l’unguento di grasso La medicina era una scienza ben specializzata. Gli egizi erano ottidi bue e semi di papavero. mi ginecologi, oculisti, ortopedici e Hergedef dovrà riposare dentisti. Per la cura di disturbi più qualche giorno, ma si risemplici prescrivevano rimedi efficaci, basati sul potere curativo delle prenderà. piante e dei minerali.

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– E per lo svenimento? – domandò Tiy preoccupata. – Quella è un’infermità che non posso curare. L’incidente potrebbe ripetersi – rispose Pamose, poi abbassando la voce aggiunse: – E forse questa volta la caduta causerà danni maggiori. Hergedef se ne stava seduto a terra, con l’aria di non preoccuparsi di niente. Isesi e Tiy, invece, erano angosciati, ma badavano a non darlo troppo a vedere. – L’unico rimedio, in questi casi, è affidarsi al potere curativo degli dei. Vostro padre potrà guarire se berrà l’acqua che ha bagnato la sfinge di Giza, dal corpo di leone e volto umano, che possiede l’energia della belva e la saggezza dell’uomo, ed è stata eretta dal nostro faraone – dio Chefren, re dell’Alto e Basso Egitto. – Acqua colata dalla pietra di una statua? – domandò Tiy, scandalizzata. Aveva sempre pensato che la medicina fosse una scienza avanzata e specializzata, non magia e superstizione. Hergedef, che fino a quel momento sembrava non ascoltare, intervenne: – Perdonala, Pamose. Mia figlia lascia che la ragione le offuschi la mente. – Poi rivolto a Tiy aggiunse: – Nel mondo ci sono più cose di quelle che i nostri sensi e il nostro cervello possono percepire. Forze misteriose che l’uomo non può controllare.

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Isesi, a quel punto, esclamò: – La sfinge è gigantesca. Dovremo versare anfore intere di acqua per bagnarla! Pamose sorrise: – Non è necessario far colare l’acqua dalla testa ai piedi della statua. Basterà che il liquido scivoli lungo una zampa di leone: il suo potere è forte e molti sono i misteri che custodisce. Un paio di anfore dovrebbero essere sufficienti. Però è un’operazione da compiere con l’oscurità, quando l’energia sprigionata dalla sfinge è più intensa. Isesi annuì: – Andremo questa notte stessa. Tiy si sentì rabbrividire all’idea di una gita nel buio, ma suo padre aveva bisogno di lei e non poteva tirarsi indietro.

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La sfinge di Giza

Prima del tramonto, Isesi e Tiy erano già in viaggio.

Le anfore colme di acqua erano state caricate sull’asinello e Hergedef era rimasto in compagnia di una vicina. Tiy avrebbe voluto lasciare a casa anche Byblos, ma la dispettosa scimmietta, quando aveva visto partire la sua padroncina, aveva fatto il diavolo a quattro urlando e agitandosi, tanto da impedire a Hergedef di riposare. Era stato inevitabile portarla. Adesso Tiy le teneva il muso. – Sei voluta venire a tutti i costi, brutta viziata, ma sappi che non ti rivolgerò la parola – le disse. E, stizzita, le voltò la schiena.

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Byblos, che se ne infischiava allegramente dell’ira della sua padrona, si sedette comoda sulla groppa del somaro, pronta a godersi il panorama. Le costruzioni funebri si trovavano sulla riva occidentale del Nilo, che il sole al tramonto illuminava con i suoi raggi, prima di scendere a percorrere durante la notte il territorio dell’aldilà. La sfinge si ergeva vicino alla piramide che il faraone Chefren aveva fatto costruire come dimora per la sua vita ultraterrena. Le due costruzioni si trovavano in una vallata a un’ora di cammino da Giza. Perciò i ragazzi non persero tempo e si avviarono spediti: il sole stava calando e il caldo secco del giorno adesso era rinfrescato da un mite venticello che rendeva la passeggiata molto piacevole. Ben presto i ragazzi avvistarono in lontananza la gigantesca piramide di Chefren, vicino a quella ancora più enorme dove riposava suo padre, il faraone Cheope. – Ah, Cheope – esclamò Tiy quando Isesi nominò il sovrano defunto. – Il maestro DENTRO LA STORIA... ci ha parlato a lungo di lui. Il vecchio faraone, come i Fin dai primi faraoni, l’Egitto fu divisuoi predecessori, ha rinforso in distretti provinciali, detti nômi, amministrati da funzionari statali zato l’amministrazione di che rispondevano direttamente al stato. Dava molta imporsovrano e riscuotevano i tributi a tanza al controllo centrale suo nome.

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sulle province delle due Terre. E aveva ragione, è fondamentale, sai? Una burocrazia che funziona assicura il benessere al nostro vastissimo regno. – Brava – dichiarò Isesi soddisfatto. – E il risultato ce l’hai davanti agli occhi: solo un’organizzazione statale molto forte poteva ordinare la costruzione di monumenti tanto grandiosi. Lo sai che per la piramide di Cheope è servito il lavoro di centomila uomini con turni di tre mesi ogni squadra? – chiese Isesi. – Poveri operai, spero che abbiano avuto abbondanti cereali, carne, pesce e birra come paga. Trasportare macigni di pietra sulle rampe, per quanto poco inclinate, è davvero un lavoro massacrante. Di fronte alla piramide di Chefren c’era la sfinge, con il viso d’uomo e il corpo di leone. Il sole stava tramontando e la pianura era illuminata da una morbida luce rosata. I ragazzi erano incantati: la bellezza che li circondava era monumentale, sembrava senza età e senza tempo. – Il dio Ptah, creatore del mondo, ha fatto le cose in grande – sussurrò Isesi, commosso da tanto splendore. Tiy annuì convinta. Lentamente calò l’oscurità. Tiy, vestita della sua leggera tunica di lino sbracciata, ebbe un brivido e staccò dalla groppa del somaro il mantello; Isesi accese la lanterna

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a olio. La luna entrava e usciva da dietro le nuvole e la lanterna rischiarava solo quel tanto che bastava per vedere dove mettere i piedi. Byblos, spaventata dal silenzio e dall’oscurità, si appollaiò sulla spalla della padroncina. Tiy, che ancora le teneva il muso, avrebbe voluto scacciarla, ma non ne ebbe il cuore; in fondo le voleva molto bene. – Sei sicuro che l’acqua guarirà nostro padre? – domandò al fratello. – Lui ne è certo e questo per me è sufficiente. E poi lo dicono tutti che la sfinge emana un’energia ultraterrena – ribatté Isesi, chiudendo la bocca alla scettica Tiy. Finalmente arrivarono ai piedi della statua che, con la sua espressione serena scolpita nella roccia, li guardava dall’alto, inviolabile e divina. – Non mi sembra che la sfinge somigli al nostro faraone Chefren – fece notare Tiy. – Hai visto il faraone solo un paio di volte, durante cerimonie pubbliche. Non credo tu sia in grado di giudicare la somiglianza. – Vero – ammise Tiy. DENTRO LA STORIA... I ragazzi presero le anfore d’acqua e lasciarono l’asiLa sfinge di Giza riprodurrebbe i lineamenti del faraone Chefren, ma nello a godersi un meritato non tutti gli studiosi sono d’accordo riposo. con questa ipotesi.

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Tiy si sentì invadere l’animo dal timore, ma si avvicinò a Isesi e lo prese per mano. Avvertire il calore del fratello la rincuorò, lui non aveva mai paura di niente e la bambina lo ammirava incondizionatamente. I due ragazzi avanzarono, il silenzio era rotto solo dai versi degli uccelli notturni. Isesi si arrampicò sul piedistallo della statua. – Passami la prima anfora e stai pronta a raccogliere l’acqua quando la verso – le ordinò.


Le zampe del leone erano così enormi che un’anfora bastava appena a bagnarne la punta. L’operazione richiese molta attenzione e una gran quantità di liquido si disperse o fu assorbita dalla pietra. – Tanta fatica per ottenere una misera anfora d’acqua – si lamentò Tiy alla fine. – Basterà – decise Isesi. – È ora di andare, ci aspetta un lungo cammino per arrivare a casa. I due fratelli tornarono all’asinello spelacchiato e lo caricarono con il prezioso liquido. Stavano per ripartire, quando Tiy sussurrò angosciata: – Byblos! L’avevamo lasciata con il somaro, ma è sparita. – Forse ci ha seguiti alla sfinge. Lo sai che copia ogni nostro movimento. Si affannarono a cercarla dappertutto, ma della scimmietta non c’era ombra. Dovettero girare intorno all’enorme monumento e questo, dopo la lunga marcia di andata, non fu certo un sollievo per i loro piedi stanchi. – Byblos, dove sei? Per favore rispondi! – implorò la bambina, che non vedeva l’ora di andarsene. – Se non salti subito fuori, giuro che ti lasciamo qui, brutta scimmia dispettosa! – sbottò Isesi, esasperato. La minaccia sortì il suo effetto, perché si udì uno squittìo di risposta. Tiy e suo fratello alzarono gli occhi e si accorsero che Byblos si era arrampicata sulla groppa della sfinge.

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– Scendi, come scherzo non è affatto divertente! – brontolò Tiy. La bertuccia, però, era testarda e non si mosse. I due ragazzi cominciarono ad arrampicarsi. – Aspetta che le metta le mani addosso e avrà una lezione memorabile – minacciò Isesi. Tiy non disse niente: era stanca e dovevano ancora affrontare il viaggio di ritorno.

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Incontro nel buio

A causa dei capricci di Byblos, i ragazzi arrivarono

alle porte di Giza quando era già notte fonda. Il cielo era nuvoloso e la luna faceva capolino ogni tanto, per poi sparire di nuovo. La scimmietta dormiva beata in groppa al somarello, Isesi e Tiy procedevano a piedi, ormai esausti. A un certo punto, Tiy sussurrò: – Devo fare pipì. – Non puoi aspettare di arrivare a casa? Ormai non manca molto – le fece notare Isesi. – Non ce la faccio. Isesi si guardò intorno: si trovavano in una zona popolata di capanne di poveri contadini; dalla strada principale, che portava al cuore di Giza, partivano sentieri polverosi e vicoli irregolari che finivano chissà dove. – Se ci infiliamo in una di quelle strade strette, troverò un angolino adatto – suggerì Tiy.

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Isesi sospirò. – D’accordo – disse sollevando la lanterna. – Non vorrai portare la luce, vero? – protestò Tiy. – Mi vergogno. Il fratello sospirò di nuovo e pensò che sua sorella era più rompiscatole della scimmietta che si portava sempre dietro. – Se ti vergogni, perché non vai da sola? – ribatté seccato. – Lo sai che ho paura del buio. Ti prego, entra con me nel vicolo, sarà questione di un attimo. Isesi lasciò la lanterna attaccata al loro asinello spelacchiato. I due fratelli si inoltrarono nella stradina. Non fu difficile trovare un angolo appartato dove Tiy poté liberarsi. Stavano per tornare verso la strada principale, quando udirono un mormorio. Le voci si avvicinavano. – … vedrò di trovarti un complice – stava dicendo una voce che, dal timbro, sembrava appartenere a un uomo anziano. – Non sarà facile, è una brutta azione. – Non fingerti un agnellino – ribatté una voce più giovane, – ai tuoi tempi ne hai combinate di peggiori. Sono certo che al dio Osiride non importa un fico secco. I due fratelli non sapevano cosa fare: non avevano nessuna voglia di essere sorpresi da estranei in un vicolo scuro, di notte, in una zona poco sicura della città. Perciò Isesi strinse la mano di Tiy per farle capire di restare immobile.

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Forse i due uomini sarebbero passati oltre senza accorgersi di loro. – Non ho mai creduto a tutte le storie sull’aldilà. Secondo me di vita ce n’è una sola, e gli oggetti preziosi aiutano a viverla meglio – concluse la voce più giovane. Tiy aveva lo stomaco attorcigliato dalla paura. Con sua grande sorpresa, però, la mente era lucida. Perciò si trovò a pensare che, se i due uomini li superavano per imboccare la strada principale, avrebbero visto il loro asino. Dai discorsi risultava chiaro che non si trattava di persone per bene e c’era il rischio che rubassero la loro bestia incustodita. Sarebbe stato un vero disastro! Addio somarello, addio Byblos e addio anfore con la preziosa acqua curativa per il padre! Tiy sussurrò in un orecchio al fratello: – Dobbiamo subito mettere al riparo l’asino dalle loro manacce. Isesi, che nel frattempo aveva fatto lo stesso ragionamento, assentì con la testa. – Muoviamoci piano, senza rumore – bisbigliò. I ragazzi erano appena avanzati di qualche passo, quando la luna uscì da dietro le nuvole, illuminando il vicolo. Era troppo tardi per ritirarsi di nuovo nell’angolo riparato: con ogni probabilità i due sconosciuti li avevano già scorti. Istintivamente, i fratelli si misero a correre.

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Avevano quasi raggiunto la strada principale, quando Tiy si voltò e vide i due uomini che li osservavano. Ebbe la sensazione di conoscere uno dei due. Mentre Isesi cercava di convincere l’asinello a rimettersi in moto in fretta, lei gettò una seconda occhiata: non c’erano dubbi, l’uomo più giovane era Antef, il cliente che si trovava nel forno quando suo padre era svenuto! I ragazzi camminarono spediti fin sulla soglia di casa: la paura aveva spazzato via la stanchezza. Misero a letto Byblos, che continuava a dormire pacifica, e scaricarono il somaro. – Ho riconosciuto uno dei tipi nel vicolo: era Antef – disse Tiy al fratello mentre portavano dentro casa le anfore con l’acqua della sfinge. – Lo so. A un certo punto mi sono voltato e l’ho visto. – Cosa ci faceva lì? E soprattutto, di cosa stavano parlando quei due? – Non ne ho la più pallida idea. Ci penseremo domani mattina. Adesso andiamo a dormire – tagliò corto Isesi. I fratelli crollarono sui loro letti e dormirono di un sonno pesante e senza sogni.

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Gita sul Nilo

La mattina dopo, Tiy era ridotta uno straccio. Aveva

dormito poco e le gambe le dolevano, dopo la lunga camminata della notte precedente. Però non poteva riposare, doveva occuparsi del forno: Hergedef era ancora troppo debole per impastare il pane, perciò sarebbe toccato a lei. La bambina si sentiva davvero infelice; però, mentre si dirigeva al laboratorio, si imbatté in un drappello di soldati che partivano per la Nubia. Vedendoli sfilare nel loro gonnellino, alcuni armati di lancia altri di arco, e tutti con in mano lo scudo di legno ricoperto di pelli animali, Tiy pensò che esiste sempre chi sta peggio. Quanti di loro sarebbero tornati? Le spedizioni militari in Nubia erano numerose. La Nubia, la regione percorsa dal Nilo che si affacciava sul mar Rosso, possedeva oro e altre materie prime, mentre l’Egitto era ricco solo di prodotti agricoli. Perciò non c’era altra scelta che la guerra, Tiy lo sapeva, ma l’idea la rattristava sempre.

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Alla fine della giornata era davvero esausta. Come se non bastasse, nonostante avesse seguito alla lettera le raccomandazioni del padre, il pane era risultato duro come un sasso. – Colpa della lievitazione o della cottura? – domandò la bambina a Hergedef. – Di tutti e due – fu la disarmante risposta. Con grande sollievo, Tiy si accorse che, essendo trascorsi dieci giorni di lavoro, il seguente sarebbe stato di festa. – Domani andremo a DENTRO LA STORIA... pescare sul Nilo – propose Isesi. – I pesci li porteremo Ai tempi degli Egizi le monete non esistevano. Si adottava il metodo a Pamose per ripagarlo di dello scambio. averti curato, padre. – Ottima idea – approvò Hergedef, – ma dove troverete la barca? – Me la farò prestare da un amico – concluse il ragazzo. Tiy esultò all’idea di una giornata sul fiume. La mattina seguente era piena di sole. Isesi era riuscito a ottenere in prestito un’imbarcazione di fasci di papiro, alta di prua e di poppa, che guidava con un remo. Il Nilo era color argento e sulle sue rive crescevano i fiori profumati del loto e gli steli di papiro. Sugli argini c’era un fitto intrico di canne tra le quali si annidavano lontre, ippopotami,

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ma anche serpenti e soprattutto il temibile re del fiume: il coccodrillo. Era la fine di giugno e tra poco il Nilo avrebbe inondato le terre circostanti; una volta ritirato, il fiume avrebbe lasciato dietro di sé il fertilissimo limo. Tiy, cullata dal dondolio della barca, lasciava che il grande Aton–Ra, dio del sole, la baciasse. Byblos, scimmiottando la padroncina, era distesa accanto a lei a pancia all’aria. Isesi aveva già calato le reti. Poco dopo le ritirò e si accorse con soddisfazione che un gran numero di pesci vi erano rimasti impigliati. – Dopo aver pagato il nostro debito con Pamose, ne resteranno anche per noi – dichiarò il ragazzo. – Li metterò a seccare – intervenne Tiy, – è bene pensare alle provviste per l’inverno. Nel pomeriggio, quando il caldo si fece soffocante, decisero di attraccare e di andare a riposarsi sotto l’ombra delle palme. – Metterò delle trappole, chissà che non riesca ad acchiappare qualche animaletto – disse Isesi. – Sei il solito sanguinario – lo criticò Tiy. – Mi piacerebbe mangiare carne, tanto per cambiare – rispose il fratello e si inoltrò tra gli alberi. Tiy era troppo stanca per seguirlo, lei e Byblos rimasero distese all’ombra a dormicchiare.

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D’un tratto, Byblos cominciò ad agitarsi: tremava e si guardava intorno con ansia. – Cosa succede? – le domandò Tiy. – Qui non c’è nessuno, che motivo hai di allarmarti? La scimmietta, però, era in preda all’angoscia e la trasmise alla padroncina. Tiy si alzò e iniziò a chiamare il fratello. L’unica risposta che ottenne fu il suono del vento tra le canne. La preoccupazione della bambina si tramutò in terrore. – Isesi! – ripeté più forte. Ma il fratello non rispose. Spaventatissima, con Byblos in braccio, Tiy si inoltrò verso la riva, tra i giunchi, dove poco prima era scomparso il ragazzo. Il Nilo era popolato da serpenti velenosi, un loro morso e la morte sarebbe sopraggiunta rapida. Non c’era tempo da perdere, Tiy doveva trovare il fratello prima che fosse troppo tardi. Non aveva percorso che pochi metri, quando lo vide: era disteso per terra, privo di sensi. – Isesi! Isesi! – strillò Tiy in preda al panico precipitandosi verso di lui. E in quel momento si accorse di un’altra presenza: a un’occhiata distratta poteva sembrare un tronco d’albero che stazionava nel fiume, a poca distanza dalla riva. Tiy però scorse uno strano luccichio, uno sguardo perfido e capì che quell’innocuo ceppo era in realtà un coccodrillo.

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Stava in agguato lasciando fuori dall’acqua solo gli occhi, il naso e il dorso. Era pronto a scattare, avrebbe afferrato Isesi nelle sue terribili fauci e lo avrebbe trascinato in acqua, per poi farlo a pezzi e inghiottirlo.


Senza perdere un secondo, Tiy afferrò il corpo del fratello per le gambe e lo trasportò il più lontano possibile dalle rive del Nilo. Quando considerò che il coccodrillo non si sarebbe avventurato a tanta distanza dall’acqua, si fermò, ansimando. Si gettò sul fratello e si accorse che il dietro dell’orecchio era macchiato di sangue. Cercò di rianimare Isesi. Passarono pochi secondi, che a Tiy sembrarono più lunghi e spaventosi di secoli. Poi il ragazzo sbatté gli occhi e riprese conoscenza. Tiy ricominciò a respirare. – Cos’è accaduto? – domandò la bambina. – Non so. Credo che qualcuno mi abbia aggredito alle spalle con un bastone – rispose Isesi. – Mentre eri svenuto, hai rischiato di diventare lo spuntino di un coccodrillo. Chi può essere stato a fare una cosa tanto crudele? Tu non hai nemici, sei simpatico a tutti. – Forse si tratta di uno scambio di persona. Ma non ingigantiamo una sciocchezza, sto bene – aggiunse rimettendosi in piedi. Non voleva spaventare Tiy, che era già pallida come una pezza di lino. – La ferita è solo un graffio. Con l’aiuto di Tiy, Isesi, barcollante, riuscì a risalire sull’imbarcazione e i due fratelli si affrettarono a tornare a casa. Lì ebbero la piacevole sorpresa di trovare Hergedef che, dopo aver sorseggiato tutto il giorno l’acqua della sfinge, si sentiva molto meglio.

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– Un toccasana, un vero toccasana – trillò il panettiere, offrendo la bevanda al figlio. Isesi, che non voleva privare il padre del liquido che sembrava avere reali poteri magici, si bagnò appena le labbra.

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Scienza medica

Fu deciso che Isesi doveva riposare, così toccò a Tiy

portare i pesci al dottor Pamose. Lo trovò in casa: stava fasciando la gamba fratturata di un contadino. Tiy ammirò i gesti precisi e sicuri del medico e si disse che forse lo aveva sottovalutato. – Mio padre ti manda questi pesci con molti ringraziamenti per le tue cure. – Sei gentile, Tiy, ringrazia tuo padre. Ti dispiace poggiarli su quella ciotola? Come sta Hergedef? – Meglio. La ferita alla tempia si è quasi del tutto rimarginata. E il suo spirito è molto più sereno. – Sono contento. Passerò domani a dargli un’occhiata. – Isesi ha avuto un incidente, oggi pomeriggio, mentre eravamo sulle rive del Nilo. Ha una ferita superficiale alla testa. Credi che l’unguento farà bene anche a lui? – Certo, servirà a evitare che la ferita si infetti. E può bere qualche sorso dell’acqua colata dalla sfinge del nostro

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faraone. È un portento, sai? Vedi, le nostre conoscenze mediche sono, in alcuni casi, molto approfondite. Ma ci sono dei limiti oltre i quali l’uomo non può andare, perciò deve ricorrere al potere degli dei. Intanto il medico continuava a lavorare sulla gamba del povero infortunato. Tiy lo guardava con attenzione e Pamose se ne accorse. – Pensi di fratturarti una gamba, prossimamente? – domandò scherzoso. – Spero proprio di no. Però mi interessa tutto ciò che serve a guarire le persone – rispose lei pronta. Poi prese coraggio e confessò: – Mi piacerebbe diventare medico. Credi che sia possibile per una ragazza? – Non vedo cosa lo impedisca. Anzi, spesso le mani femminili sono più precise e delicate di quelle degli uomini. – Dovrò studiare con impegno. – Questo è sicuro. La scuola di medicina del tempio di Ptah non è male. Pamose scrutò per qualche secondo la bambina, poi aggiunse: – Potresti specializzarti in malattie femminili. È un ramo molto importante della medicina: sappiamo curare gran parte delle infermità e riusciamo quasi sempre a far sì che i bambini nascano senza danno né per loro né per la madre.

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– Veramente pensavo di diventare medico degli occhi – rispose Tiy. – Anche quella è una specialità in cui eccelliamo. Conosciamo colliri e pomate che possono alleviare molti fastidi e curare alcune malattie. – Grazie per i tuoi consigli – disse Tiy, prima di congedarsi. – Forse diventerò medico delle donne, dopo tutto. Aiutare i bambini a venire al mondo deve procurare un’enorme soddisfazione. Tiy se ne stava andando, quando Pamose la fermò. – Mi raccomando, se ti serve aiuto, non esitare a ricorrere a me. Sei una bambina che farà grandi cose nella vita, me lo sento. Lei se ne andò contenta. Si precipitò a casa, dove fece pratica medica, spalmando l’unguento sulla ferita alla testa di Isesi. Nel frattempo, nella sua mente ronzavano mille interrogativi senza risposta. Chi aveva colpito il fratello con un bastone? Le rive del Nilo sembravano deserte, eppure qualcuno li aveva seguiti per tutto il giorno e poi, da vero vigliacco, aveva aggredito Isesi alle spalle. Ma chi poteva essere stato? E perché? Byblos la distrasse da queste preoccupazioni.

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– Accidenti, come ti sei conciata? – gridò la bambina alla scimmietta, osservando disgustata il cranio della bestiola completamente unto. Byblos, infatti, per scimmiottare i padroni, si stava spalmando grandi quantità di unguento. Tiy ebbe il suo daffare a strapparle il vasetto della medicina dalle zampe.

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Minacce

La mattina seguente Isesi si era ripreso e anche Hergedef

si sentiva in forze. Decise che sarebbe andato al forno ad aiutare Tiy. – Tu macinerai la farina e io preparerò il fuoco: tutto dipende dalla giusta temperatura degli stampi di argilla in cui cuocere i pani – trillò allegramente. – Credi che domani potrò tornare alla scuola del tempio? – domandò Tiy, preoccupata di restare indietro rispetto ai compagni. – Ne sono certo, bambina mia. L’acqua della sfinge mi ha ormai risanato. Anche la ferita alla tempia si è rimarginata. La giornata al forno, con l’aiuto di suo padre, per Tiy fu molto più divertente della volta precedente: Hergedef insegnò alla figlia tutti i suoi trucchi e lei divenne un’esperta nel macinare il grano e nel mescolarlo con altri ingredienti come miele, latte, burro o uova.

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Era una giornata calda e i due, lavorando vicino al forno, avevano sudato molto. – Cosa darei per un’anfora di acqua fresca! – disse Tiy a metà mattina. – Un desiderio facile da esaudire, piccola mia – rispose il padre e si precipitò a casa per prendere l’acqua. La bambina rimase sola nel laboratorio e continuò a impastare canticchiando, quando l’ingresso fu oscurato da una figura imponente. Tiy alzò gli occhi e si trovò di fronte Antef.


Deglutì, ma pensò che era meglio fingere di non averlo riconosciuto. – Che tipo di pane desideri? – domandò in tono gentile, come avrebbe fatto per un cliente qualunque. – Due gallette rotonde al sesamo – rispose Antef, guardando Tiy negli occhi con un’insistenza imbarazzante. La bambina si affrettò a servirlo, non vedeva l’ora che se ne andasse. Ma quello attaccò a parlare: – Vedo che pescare sul Nilo ti ha abbronzato la pelle. Tiy abbassò gli occhi e non rispose. Come sapeva quel brutto tipo che era stata a pescare, nel giorno di festa? – Resti in silenzio e fai bene, chiacchierare è pericoloso, si corre il rischio di dire quello che non si dovrebbe. E quando si dice ciò che non si dovrebbe, poi ci si trova nei guai. A Tiy sembrava di avere del ghiaccio al posto del sangue: quel furfante la stava minacciando! Per fortuna, in quel momento entrò Hergedef con l’anfora dell’acqua. Antef lo salutò poi aggiunse: – Ti porterò presto un’anatra bella grassa per ricompensarti del pane delle ultime settimane. E uscì dal laboratorio. Hergedef porse l’acqua a Tiy. – Bevi, piccola mia, è fresca. Hai l’aria pallida, pescare sul Nilo ti ha stancato. Vedrai che da domani tutto tornerà come prima.

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“Come prima?” pensò Tiy. Niente sarebbe più stato come prima! Antef li aveva riconosciuti e non li avrebbe più lasciati in pace. E il giorno precedente era stato lui a bastonare Isesi alle spalle, adesso ne era sicura. Si era trattato di un avvertimento, lo aveva solo stordito, ma si poteva star certi che la prossima volta avrebbe colpito con più decisione. Quando Amosi si affacciò al forno per comprare il pane e soprattutto per fare due chiacchiere con l’amica, Tiy era in preda all’ansia. – Cos’hai? Mi sembri strana – notò l’altra. Hergedef era a portata d’orecchie, Tiy, che non voleva preoccupare il padre, fu costretta a rispondere in modo vago. – Non è niente, sono solo stanca – poi si affrettò a cambiare argomento. – Com’è andata oggi a scuola? – Operazioni aritmetiche. Puoi immaginare la noia! Cheti è stato più minaccioso del solito: prima ha detto che ci avrebbe fatto cadere gli occhi a forza di calcoli, poi ha deciso che ci manderà tutti a lavorare nei campi. Tanto, secondo lui, siamo sprecati nella Casa della Vita. – Immagino che nessuno gli abbia dato ascolto. – Ci mancherebbe! – rispose Amosi con una risata. Anche Tiy rise, pensando all’animo gentile del maestro. Come le sembravano lontane le lezioni e come le parevano di poco conto le sue difficoltà scolastiche!

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Erano trascorsi solo tre giorni ma erano accadute tante cose. Troppe! – Conosci un certo Antef, un tipo ciccione con i capelli rossi? – chiese all’amica. Il viso di Amosi si rabbuiò. – Quello è meglio lasciarlo perdere. Mia madre dice sempre che è un poco di buono. Le sue parole contribuirono ad agitare Tiy, che fece del suo meglio per nasconderlo. – A proposito di mia mamma, devo correre ad aiutarla nella tessitura del lino. Altrimenti chi la sente! Amosi si affrettò a salutare l’amica. – Ne tesseremo una pezza anche per te e Isesi. – Ringrazia tua mamma. Se non fosse per voi, andremmo in giro con i vestiti rammendati! – esclamò Tiy. La famiglia di Amosi era molto generosa e il loro aiuto era prezioso per il panettiere e i suoi figli. Poi Amosi se ne andò e il resto della giornata sembrò non trascorrere mai. Finalmente, la sera Tiy poté sfogarsi con il fratello prima di andare a letto. – Siamo nei guai – ammise Isesi. – Su Antef girano brutte voci, le sue minacce non sono da prendere sottogamba. Il primo passo è capire perché ci minaccia. Ci considera pericolosi perché lo abbiamo visto in quel vicolo. Ma chi era il tipo che parlava con lui e cosa stavano combinando?

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– Forse dovremmo consigliarci con qualcuno che ne sa più di noi. Però non diciamo niente a nostro padre, non voglio che si preoccupi. – Hai ragione. Domani chiederò un colloquio con il sommo sacerdote del tempio del dio Ptah. Lui, forse, ha la risposta. Tiy ripensò alla figura maestosa e temibile di Peteisis, non aveva nessuna voglia di incontrarlo di nuovo, ma non poteva abbandonare Isesi. – Verrò con te – decise coraggiosamente. – Brava, così potrai scusarti di esserti intrufolata nell’aula di imbalsamazione. Io ho già avuto una punizione per niente divertente. Adesso tocca a te – sorrise lui, un po’ malignamente. Tiy pensò con amarezza che avrebbe fatto meglio a lasciare il fratello a cavarsela da solo.

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Il sommo sacerdote

Il giorno seguente le cose apparentemente ripresero il

loro corso normale. Hergedef andò al laboratorio e Tiy ricominciò a combattere con i geroglifici alla Casa della Vita. La giornata volgeva al termine quando la bambina raggiunse il fratello nelle sale dedicate all’imbalsamazione. Peteisis era già lì, si ergeva in tutta la sua statura e il viso aveva un’espressione arcigna. Tiy sentiva la gola secca, ma si fece forza e cominciò il discorso che si era preparata: – Ti chiedo umilmente scusa, sommo sacerdote, sono stata superficiale e sciocca. Volevo assistere alla mummificazione per vedere il corpo umano al suo interno: vorrei diventare medico e rendermi utile, curando le infermità che affliggono il nostro prossimo. Questa è la mia sola giustificazione. – L’altra è la giovane età – dichiarò magnanimo Peteisis, che mostrava di aver apprezzato il discorso di Tiy. – Ho

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preso informazioni sul tuo conto. Cheti, tuo maestro di scrittura, mi dice che ti impegni molto. Tiy ringraziò la dolcezza del minaccioso Cheti. – Tuo fratello ha già ricevuto la punizione che merita: è lui il maggiore tra voi e lui doveva rivelarsi il più saggio. Chiudiamo l’argomento e confidatemi i pensieri che occupano la vostra mente. Isesi raccontò gli avvenimenti degli ultimi giorni: lo svenimento di Hergedef di fronte ad Antef, l’acqua della sfinge, la presenza di Antef nel vicolo e i suoi strani discorsi, l’agguato sulle rive del Nilo e le minacce a Tiy. Peteisis ascoltò con attenzione. Alla fine, due profonde rughe di ansia gli solcavano la fronte. – Ciò che mi riferisci è preoccupante, vi trovate in una situazione delicata – ammise. – Quell’Antef è un furfante, che non crede e non rispetta né gli uomini né gli dei. Questo lo rende pericoloso. – Qual è il tuo consiglio? – domandò Isesi. Peteisis sospirò e meditò per qualche secondo. – Nessuno – disse infine. – Non potete fare niente. Se denunciate Antef ai funzionari del visir, il malvivente negherà di essere stato in quel vicolo. E inoltre, per quale reato lo denuncereste? – Potrei accusarlo di avermi aggredito sul Nilo. Sono quasi finito tra le fauci di un coccodrillo, per colpa sua.

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– Non ci sono testimoni, perciò sarà la sua parola contro la vostra. E voi siete solo due ragazzi – ribatté il sacerdote, scoraggiato. – Però, state certi che prenderò informazioni su di lui e cercherò di capire quale empia azione stia architettando. Nel frattempo, per la vostra incolumità, vi raccomando di restare sempre insieme: siete due e questa è la vostra forza. Isesi ebbe un gesto di impazienza. – Possibile che non si possa fare proprio niente? – Non perdere la calma, giovane Isesi. Sono certo che gli dei ti mostreranno la via da seguire. Al momento, però, non intendono lasciarci capire quale sia. I ragazzi ringraziarono il sommo sacerdote e uscirono dal tempio. Tiy guardò il fratello, in ansia. – Cosa facciamo? – domandò. – Forse Peteisis ha ragione. Comportiamoci normalmente, non parliamo a nessuno di questa storia e stiamo sempre insieme. La determinazione che Tiy gli lesse negli occhi, però, smentiva le sue parole tranquille.

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Grida nella notte

Era scesa la notte e nella casa di Hergedef tutti dor-

mivano. Tiy era nel suo letto, abbracciata a Byblos che si rigirava di continuo: la scimmietta non riusciva a stare ferma neanche nel sonno. D’un tratto, un grido spaventoso ruppe il silenzio. Tiy e Byblos si svegliarono di soprassalto. Il grido si ripeté: veniva dalla stanza del padre. Con un balzo Tiy fu in piedi. Nella camera di Hergedef trovò Isesi, armato di un grosso bastone. Nella stanza, però, non c’erano ladri né assassini, c’era solo il panettiere. Disteso nel suo letto, pareva incolume, ma aveva gli occhi sbarrati. – Cosa è successo, padre? – domandò Isesi, sconvolto. – Ero sotto un albero… – Un albero? – domandò Tiy. – Sì, ero seduto sotto una palma e mangiavo datteri. Poi mi sono caduti tutti i denti e ho visto un coccodrillo sbranare un gatto selvatico…

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Tiy guardò il fratello: Hergedef stava farneticando? Era in preda alla febbre alta? Isesi aveva l’aria tranquilla. – È uno dei suoi sogni – sussurrò alla sorella, – tra poco ci spiegherà cosa significa.

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Tiy tirò un sospiro di sollievo e cercò di calmarsi. Il padre continuava a raccontare il sogno in modo confuso. – Eravamo al forno e c’era Taimhotep. Ricordate la moglie del nostro vicino, morta qualche mese fa? I ragazzi rammentavano Taimhotep, una donna molto bella e gentile, che aveva un figlio della stessa età di Isesi. Purtroppo aveva contratto una malattia che nessun medico aveva potuto curare. Il marito, che l’amava profondamente, le aveva costruito una piramide in scala ridotta dove essere seppellita insieme a grandi ricchezze. – Taimhotep mi ha parlato, ma il vento disperdeva le sue parole. E poi… poi… non so, è tutto confuso, non so interpretare la fine del sogno, ma so che si tratta di qualcosa di terribile che deve accadere! Hergedef si mise a piangere, prendendosi la testa tra le mani. – Padre, quando sarai più calmo forse tutto ti apparirà chiaro – cercò di consolarlo Tiy, che non sopportava di vedere il padre in quelle condizioni. Hergedef trasse un profondo sospiro e si tranquillizzò un poco. – Devo vedere il sommo sacerdote Peteisis. Lui riuscirà a interpretare il sogno – dichiarò alla fine, mentre si alzava dal letto.

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– D’accordo, domani mattina, per prima cosa andremo al tempio – gli rispose Isesi, cercando di spingerlo di nuovo a distendersi. – Non possiamo aspettare. Domani mattina sarà troppo tardi, lo sento! – Hergedef era di nuovo agitatissimo. – Non vorrai buttar giù dal letto il sommo sacerdote del tempio del dio Ptah! – esclamò Isesi. – È necessario – dichiarò seriamente il padre. – Peteisis, oltre a essere tuo maestro, è la mia guida spirituale. Mi ha detto cento volte di rivolgermi a lui, al momento del bisogno. E quel momento è arrivato. Non ci fu niente da fare. Hergedef spalancò l’uscio di casa e si avviò verso il tempio. A Isesi e Tiy non restò altra scelta che seguirlo. Il tempio non era distante dalla casa del panettiere. Quando vi arrivarono, la Casa della Vita, la biblioteca e la zona nella quale dormivano i sacerdoti erano sprangate. Ma Hergedef era determinatissimo: picchiò alle porte, chiamò, strillò, fece un tale baccano da svegliare in blocco tutti i sacerdoti. Peteisis, senza mostrare stupore né fastidio a essere sorpreso in piena notte, accolse Hergedef e i suoi figli in una sala della Casa della Vita. Dopo i saluti e le inevitabili scuse, Hergedef spiegò l’urgenza:

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– Grande sacerdote, mi sono permesso di bussare alla tua porta a un’ora così inopportuna perché non riesco a interpretare la terribile visione che mi è apparsa questa notte. Però, anche senza conoscere il suo significato, so che non c’è tempo da perdere. Vedi, saggio sacerdote, nel sogno mi è apparsa la defunta Taimhotep. Sono certo che chiedeva il mio aiuto. Eravamo al forno, c’era anche Antef. Subito dopo lui è scomparso. Taimhotep ha mormorato alcune parole, ma io non le ho afferrate. Aveva un’espressione disperata, si è coperta il viso con le mani, due, tre volte. Poi ha portato le braccia al cielo e infine le ha incrociate sul petto. Stava soffrendo, percepivo distintamente il suo dolore. Terminato il racconto, Hergedef tacque. Nessuno parlò. Peteisis rifletteva. Infine disse: – So che qualche giorno fa sei svenuto nel tuo laboratorio. Hergedef annuì. – E so che Antef era presente al momento del tuo malore. – Proprio così – rispose Isesi. Peteisis rifletté ancora, il suo cervello stava collegando fili sparsi e all’apparenza del tutto indipendenti tra loro. Alla fine il sacerdote arrivò a una conclusione, sembrò farsi animo e, rivolto a Hergedef, disse: – Hai ragione, si tratta di un sogno terribile. E spiega anche il motivo del tuo svenimento. Quando Antef è

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entrato nel laboratorio, qualche giorno fa, tu hai avuto una visione così violenta da cadere a terra. Così facendo, hai sbattuto la tempia e il colpo ti ha fatto dimenticare quanto avevi visto. E quanto avevi visto era terribile. Sappiamo che esistono uomini capaci di brutte azioni, ma non ci abitueremo mai al male che circola nel mondo. Peteisis rimase zitto per un po’. Poi riprese: – Il tuo sogno significa che Antef profanerà la tomba di Taimhotep. A queste parole seguì un silenzio profondo. Profanare una tomba era un atto tremendo, punibile dagli dei ma anche dagli uomini con castighi severi. Rubando le ricchezze e le offerte chiuse nella camera funeraria, si metteva a rischio la stessa vita ultraterrena del defunto perché il ka, il suo “doppio” dopo la morte, non avrebbe trovato di che nutrirsi. – Quando accadrà, maestro? – domandò Isesi. – Domani notte. O meglio, dato che è ormai l’alba, questa notte – dichiarò Peteisis, lugubre. – Tuo padre aveva ragione, non c’è tempo da perdere. Hergedef si disperò con la testa tra le mani. Il panettiere non era mai stato un uomo d’azione, ma suo figlio sì. E Isesi capì che quella era l’occasione per riabilitarsi agli occhi del suo maestro. Perciò prese in mano la situazione.

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– Questa mattina, io e Tiy andremo dal marito di Taimhotep e racconteremo la tua visione. Con loro metteremo a punto un piano per sorprendere Antef. – Sicuro che la famiglia di Taimhotep non ci prenderà per pazzi visionari? – domandò timidamente Tiy. Isesi sorrise. – Per fortuna, non tutti hanno la tua fiducia nella ragione e molti credono ai messaggi che vengono dall’aldilà. Peteisis si disse d’accordo: – Taimhotep, quando era su questa terra, chiedeva spesso a vostro padre di interpretare i suoi sogni. Perciò sono certo che suo marito terrà in gran conto la premonizione. Però, Isesi, voglio la tua parola che non farai niente di azzardato. Come ti ho già detto, Antef è un uomo pericoloso. – Stai tranquillo, maestro, il piano che ho in mente non mette a rischio nessuno. Con queste parole, Isesi salutò, mentre il padre si attardò a scambiare ancora qualche parola con il sommo sacerdote. I due fratelli uscirono dalla Casa della Vita; una volta lontani dalle orecchie di Peteisis, Isesi sussurrò: – Quella che ho in serbo per Antef sarà una divertente vendetta.

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Due occhi a mandorla

Ormai era l’alba e, con l’inizio della giornata, Tiy e

Isesi poterono presentarsi a casa della famiglia di Taimhotep senza correre il rischio di svegliarla. Il marito della donna era un ricco funzionario dell’amministrazione e la sua era una villa a due piani di mattoni d’argilla, con una terrazza sul tetto e un bel giardino fiorito sul davanti. Data l’ora, Isesi e Tiy trovarono il marito di Taimhotep e suo figlio Gioser ancora in casa. – Mi dispiace disturbarvi – esordì Isesi, dopo i saluti – ma era inevitabile avvertirvi. È successa una cosa importante: mio padre ha avuto una visione, questa notte, che riguardava la tomba di Taimhotep. È stato il sommo sacerdote Peteisis a interpretarla. Raccontò quindi con chiarezza il sogno di Hergedef e spiegò nei minimi dettagli chi era Antef. Quando ebbe finito, il padrone di casa, un uomo piccolino che quasi

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scompariva sotto la sua DENTRO LA STORIA... folta parrucca, rispose: – Ho grande fiducia Gli antichi egizi delle classi più alte, uomini e donne, portavano la parnella preveggenza di tuo rucca come segno di eleganza e padre e immensa stima ricchezza. per la saggezza di Peteisis. Questa notte, nella piramide dedicata a Taimhotep, il furfante troverà ad attenderlo me, i miei servi e mio figlio Gioser. Gioser si fece avanti, aveva la stessa età di Isesi, ma era più basso e più scuro di carnagione. Tiy notò che aveva bellissimi occhi neri a mandorla. – Cattureremo il profanatore di tombe e lo consegneremo al visir perché abbia la giusta punizione – dichiarò deciso il ragazzo. Tiy si scoprì a pensare che avrebbe ascoltato la sua voce per ore e ore. – Ti chiedo il permesso di unirmi alla spedizione – disse Isesi. – Ho un conto aperto con quel delinquente: mi ha assalito alle spalle mentre ero sulle rive del Nilo e ha minacciato mia sorella. Vorrei che anche lei partecipasse. Ho un’idea che riuscirà a togliere ad Antef la voglia di derubare i defunti, una volta per tutte. A questo punto, Isesi illustrò il suo piano. Quando ebbe concluso, Tiy sbottò:

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– Sei impazzito? Non ho nessuna intenzione di prestarmi a questa trappola! – Non devi aver paura, Tiy – disse Gioser in tono dolce. – Noi saremo accanto a te. Mi sembra una buona idea e trovo giusto che, oltre alla punizione terrena, Antef abbia anche un castigo che sembrerà provenire dall’aldilà. Volevo molto bene a mia madre, lei era una donna coraggiosa e avrebbe approvato. Tu sei abbastanza piccola da poterti nascondere dietro il suo sarcofago. Tiy, dopo questo discorso, si vergognò un po’ di non aver accettato subito, ma Isesi l’aveva colta alla sprovvista. Doveva ammettere che l’idea le metteva paura, ma, di fronte alla richiesta di Gioser, cercò di vincerla: – Ricordo Taimhotep quando veniva a comprare il pane al forno. Era una persona buona e gentile e se tu credi che lei approverebbe il piano di mio fratello, parteciperò con piacere. Rimasero d’accordo che prima che calasse la notte si sarebbero incontrati davanti alla dimora ultraterrena di Taimhotep: la sua piramide.

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Confidenze

Tiy era in camera e stava conversando con la scim-

mietta, come spesso capitava. Byblos non aveva il dono della parola, ma trovava sempre il modo di far capire come la pensava, ed era un tipo con idee molto precise. – Dopo questo discorso di Gioser non potevo tirarmi indietro, sarai d’accordo con me – stava dicendo Tiy. La scimmietta si limitò a guardarla con intensità. – Sì, ammetto che è molto carino, ha gli occhi a mandorla. E poi è dolce, gentile e, nonostante che suo padre sia ricco, sembra un tipo alla mano. Byblos piegò leggermente la testa. – No, sei la prima a cui lo dico, non ne ho ancora parlato alla mia amica Amosi. Non ne ho avuto il tempo, in questi giorni tutto accade così in fretta. Glielo dirò appena capita l’occasione. La bertuccia scosse la testolina. – No, non preoccuparti, Isesi sostiene che non correrò

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nessun pericolo: lui e Gioser saranno sempre accanto a me. E ci saranno anche i servi della famiglia di Taimhotep. Byblos emise un gemito. – No, no, non sono affatto spaventata. Insomma, non troppo. Vabbè, se vuoi la verità, sto morendo di paura. Quello che mi preoccupa è che a un certo punto dovremo spegnere torce e lanterne e nella tomba calerà il buio. L’oscurità mi terrorizza anche quando sono nel mio letto, figurarsi dentro una camera funeraria! Spero solo di non avere un attacco di panico e di non fuggire; immagina la figuraccia davanti a Gioser, non potrei sopportarlo. Tiy si interruppe un attimo per riflettere: – Credo che Isesi lo abbia fatto apposta, sai? Insomma, sa che sono una fifona e mi mette alla prova. Vuole che vinca la mia debolezza. Mi auguro di non deluderlo. Si tratterà di una specie di vendetta personale di Taimhotep, capisci? Per questo Gioser ci tiene tanto. Byblos a questo punto iniziò a saltellare. – Sì, sì, ammetto che in parte hai ragione: lo faccio anche per mettermi in mostra davanti a Gioser. E allora? Che male c’è? L’agitazione della bestiola continuava. – No, non l’ho detto a mio padre, si preoccuperebbe inutilmente. Tu resterai a casa con lui, e ricorda che il tuo compito è proprio quello di tenerlo tranquillo.

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La bertuccia prese l’aria avvilita: sapeva che questa volta era inutile insistere, la bambina era decisa a non portarla con sé. Per quanto cercasse di darsi un contegno con Byblos, Tiy ammetteva con se stessa di essere in ansia. E se qualcosa andava storto? Se non riuscivano a catturare il furfante? – Dato che dobbiamo disturbare una mummia nella sua camera funeraria, sarebbe meglio portare delle offerte ad Anubis, dio della mummificazione – mormorò tra sé Tiy. Si alzò e andò a parlarne con Isesi. Insieme decisero che pregare gli dei è sempre una buona idea, perciò si recarono al tempio del dio con corpo di uomo e testa di sciacallo e gli offrirono cibo e vino. Quando ne uscirono, i ragazzi erano rinfrancati e guardavano all’impresa che li attendeva con cuore più leggero.

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Notte nella piramide

La necropoli era disseminata di tombe, alcune erano a

forma di piramide, a imitazione di quella dei faraoni, ma mille volte più piccole. Gioser li stava aspettando quando Isesi e Tiy arrivarono. – È stata una faticaccia, ma ho convinto mio padre a restare a casa – disse appena li vide. – È invecchiato molto dopo la morte di mia madre. In compenso ho portato con me dei servitori fidati – aggiunse indicando quattro energumeni. Isesi li squadrò e mormorò all’orecchio di Tiy: – Chissà se nella camera funeraria di Taimhotep resterà abbastanza posto anche per noi, dopo che loro si saranno piazzati di guardia. Tiy sorrise e la paura che le attanagliava lo stomaco si allentò un poco. Gioser riprese:

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– Come ogni notte, due nostri servi saranno di sentinella all’ingresso della piramide. Sono molto contenti perché ho dato loro ordine di ubriacarsi, sonnecchiare e farsi corrompere; insomma devono solo fingere sorveglianza, in realtà i ladri troveranno la strada spianata. Entrarono nella piramide da un piccolo varco, scesero alcuni scalini di pietra e percorsero una galleria affrescata con colonne a forma di albero: palme, alberi di loto e di papiro. I colori erano brillanti e la sensazione era quella di trovarsi in un’allegra foresta e non in un sepolcro. Dalla galleria principale si dipanavano diversi cunicoli. – Alcuni finiscono chissà dove, servono solo per scoraggiare i profanatori di tombe – spiegò Gioser imboccando con decisione lo stretto corridoio che avrebbe condotto alla camera funeraria.



Quando vi entrarono, Tiy rimase a bocca aperta. Il sarcofago di legno era completamente decorato da eleganti pitture. Le pareti erano coperte da geroglifici perfetti che ripetevano il nome di Taimhotep e illustravano la sua vita, le scene erano dipinte con maestria e i colori brillavano vivaci alla luce ondeggiante della lanterna. Isesi, che conosceva le difficoltà di scrittura di Tiy, le sussurrò all’orecchio: – Qui nessuna civetta somiglia neanche lontanamente a un babbuino. Quello che incantò Tiy furono i modellini di legno disseminati dappertutto che rappresentavano scene della vita di Taimhotep. C’erano le sue serve impegnate a preparare il pane, Taimhotep in persona che filava e tesseva il lino per farne abiti per la famiglia, imbarcazioni di papiro in miniatura, simili a quella che era servita a Isesi e Tiy nella loro gita sul Nilo. E ancora modellini degli animali domestici che Taimhotep aveva posseduto e, naturalmente, molti ritratti del marito e di Gioser. In quella camera era davvero riprodotta tutta la vita della defunta, e c’era tutto ciò che le sarebbe servito per continuare la stessa vita nell’aldilà. Nel regno di Osiride, Taimhotep avrebbe filato lo stesso lino e macinato lo stesso grano, avrebbe navigato con marito e figlio sul Nilo e avrebbe carezzato lo stesso cucciolo.

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I giorni nell’oltretomba erano una replica serena e immutabile dei giorni su questa terra. Tiy era commossa. Ovviamente c’erano anche scene di banchetti che sarebbero servite a nutrire il ka della defunta. E c’erano oggetti in oro, affinché avesse ricchezze in abbondanza. Mentre Tiy guardava gli oggetti e le pitture alle pareti, Gioser organizzava la difesa della mummia di sua madre: era quello, infatti, l’oggetto più importante perché serviva da supporto fisico al ka, che doveva reincarnarsi nello stesso corpo, altrimenti sarebbe morto. Nella camera funeraria c’era una nicchia, traboccante di modellini che ricostruivano la stanza da letto di Taimhotep. Furono spostati per dar modo a Tiy di nascondervisi, acquattandosi dietro il sarcofago. Una volta che tutto fu pronto, Gioser si rivolse alla bambina: – Ti sono davvero grato, sappi che lo considero un grande favore e ti sono debitore. Tiy non riuscì a formulare una risposta altrettanto educata e si limitò a rivolgergli un sorrisetto insipido.

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Ritorno dall'oltretomba

Raggomitolata dietro il sarcofago di legno che ospita-

va la mummia di Taimhotep, per Tiy cominciò la lunga e snervante attesa. Isesi, Gioser e i servi erano acquattati dietro ad anfore sigillate contenenti grano e vino per nutrire la defunta. Un uomo era stato lasciato di guardia alla fine della galleria decorata con le colonne ad albero, li avrebbe avvertiti quando fosse entrato qualcuno e loro si sarebbero affrettati a spegnere la lanterna che illuminava la camera funeraria. Fin quando il servo non dava il segnale, si poteva chiacchierare a bassa voce per ingannare il tempo. Furono soprattutto Isesi e Gioser a parlare, ma a Tiy non dispiacque perchĂŠ ascoltò con interesse Gioser raccontare aneddoti della propria vita e della famiglia. La voce del ragazzo aveva il potere di calmarla e di farla sentire al sicuro. D’un tratto, una folata di vento spense la lanterna.

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Contemporaneamente, il servo di guardia sussurrò che due estranei avevano corrotto con un’anfora di birra le sentinelle all’ingresso della piramide ed erano entrati. Quanto avrebbero impiegato a imboccare il corridoio che portava alla camera funeraria? Gli altri sentieri li avrebbero depistati? Trascorse un tempo che a Tiy sembrò infinito, l’unico suono che udiva era il rimbombare nelle orecchie del battito del suo stesso cuore. I malviventi avevano percorso un falso corridoio, ma la loro esperienza di predatori di tombe, alla fine, fece sì che individuassero la strada giusta. Entrarono nella camera funeraria con una lanterna, alla luce della quale Tiy, che per un attimo si affacciò da dietro al sarcofago, intravide una figura grossa, Antef, e una più magra, il suo complice. I due uomini avevano una grande cesta che cominciarono a riempire con tutti i gioielli e gli oggetti preziosi presenti nella camera funeraria. Quando pescavano un oggetto particolarmente bello, se ne uscivano con esclamazioni soddisfatte. Tiy pensò a come doveva sentirsi Gioser vedendo arraffare da quelle manacce ciò che era stato amorevolmente preparato per servire alla vita di sua madre nell’aldilà. Tiy cercava di vincere la paura pensando ad altro: si concentrò sul suono del vento tra le fronde degli alberi, sui

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pesci che saltavano nel Nilo, sugli uccelli che danzavano nell’aria. Pensava al dondolio della barca sul fiume e all’odore intenso dei fiori di loto. Il terrore, però, era sempre lì alla bocca dello stomaco, compatto e denso come gomma. E la bambina doveva impegnarsi con tutte le sue forze per tenerlo a bada. Al momento giusto, sarebbe riuscita a fare la sua parte? A un certo punto, il mascalzone magro sussurrò: – Sbrighiamoci ad andarcene: mi sento osservato da mille occhi. Antef sghignazzò: – E da quando in qua ti vengono degli scrupoli a ripulire le tombe? – Non sono scrupoli, ho davvero la sensazione di essere osservato. Tagliamo la corda! E il complice fece per andarsene. – Aspetta – lo trattenne Antef, – non vorrai lasciare gli amuleti d’oro addosso alla mummia? Così dicendo si avvicinò al sarcofago. Nelle sue mani era apparso un grosso arnese di bronzo che serviva per sollevare il coperchio del sarcofago. Antef lo infilò nella fessura e stava per fare leva, quando una voce femminile, che sembrava provenire da molto lontano, si alzò dalla tomba. – Perché disturbi la mia dimora ultraterrena?

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Antef si bloccò. Aveva davvero sentito quelle parole o si trattava del vento che, entrando nei corridoi della piramide, rumoreggiava e sibilava? Dietro il sarcofago, nella nicchia, Tiy sudava non solo per il caldo ma per la paura. E se i due delinquenti non fossero caduti nella trappola? Aveva una voglia matta di alzarsi e darsela a gambe, ma doveva dominarsi, doveva portare a termine il suo compito. Antef rifletté qualche istante, poi decise che si era trattato di una folata di vento. Riprese il lavoro sul sarcofago e ne stava sollevando il coperchio quando la voce si udì di nuovo: – Il dio Osiride non permetterà che un vivente disturbi il mio sonno. La sua punizione sarà atroce! Questa volta le parole si erano udite distintamente e Antef non poteva più illudersi che si trattasse del vento. Mollò l’arnese di botto e il coperchio del sarcofago ricadde con un tonfo. Il rumore contribuì ad accrescere il terrore dei due malviventi. Il complice magro, abbandonando la cesta piena di oggetti preziosi, non perse tempo a urlare e cercò di infilare la porta per fuggire, ma Gioser, Isesi e i servi usciti dai loro nascondigli, lo afferrarono e lo immobilizzarono. Poi fecero lo stesso con Antef, e fu facilissimo perché nella confusione era caduto a terra.

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Non cercò di alzarsi, era come se non ne avesse la forza, e osservava con gli occhi sbarrati il sarcofago dal quale, ormai ne era convinto, proveniva la voce della defunta.


Finalmente Tiy uscì dal suo riparo con un sospiro. Ce l’aveva fatta! Ma il sollievo durò solo un istante: i suoi occhi incontrarono lo sguardo carico d’odio che Antef le rivolse, e lo stomaco tornò ad attorcigliarsi. Il profanatore di tombe aveva capito di essere finito in trappola ed era grazie a quella ragazzina se il meccanismo era scattato. Quando i due furfanti furono legati stretti, Gioser esclamò: – Pagherete molto cara la vostra crudeltà! Solo persone senza cuore disturbano la vita nell’oltretomba dei defunti. Poi si rivolse a Isesi: – Dovremo avvertire il visir del Basso Egitto affinché venga a giudicarli. Nel DENTRO LA STORIA... frattempo li farò trasportare a casa mia. Il visir era il capo dei funzionari. In qualità di ministro dell’Interno, riceveIsesi, però, aveva va i rapporti dei governatori delle proun’idea migliore: vince, controllava le spartizioni territo– Sarebbe più pruriali, dirigeva la polizia, reclutava le truppe. Spesso i visir erano due, uno dente aspettare il visir per l’Alto e l’altro per il Basso Egitto. nel tempio di Ptah. Il sommo sacerdote organizzerà tutto. Lì i tuoi servi sorveglieranno i due delinquenti, ma non saranno soli. Nel frattempo Tiy si era ripresa dall’occhiataccia rivoltale da Antef. Si sentiva euforica, aveva sconfitto la paura!

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– Sei stata molto brava – le disse Gioser, – non hai parlato fin quando Antef non si è avvicinato al sarcofago e la tua voce sembrava provenire da mondi lontani. L’effetto è stato paralizzante, mi sono spaventato persino io! A nome di mia mamma, ti ringrazio. E l’abbracciò. Per fortuna anche Isesi si sentì in dovere di abbracciarla e di complimentarsi con lei e così Tiy riuscì a nascondere la sua totale confusione. Però, quello non era il momento di chiacchierare. – Al tempio di Ptah – ordinò Gioser. – E senza perdere d’occhio questi due manigoldi.

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La punizione del Nilo

I tre amici avevano appena lasciato i profanatori di

tombe sotto la stretta sorveglianza di Peteisis, degli altri sacerdoti e delle guardie, quando un gruppo di contadini delle campagne intorno a Giza si precipitò in città urlando: – Il fiume è straripato! Per la strada, i ragazzi fermarono un uomo magrolino, con i capelli ritti e gli occhi stralunati. Il contadino spiegò affannato: – Quest’anno il sacro Nilo è alto, altissimo! L’inondazione ha allagato case e villaggi. Altri, incontrandoli, consigliarono: – Mettetevi in salvo, il fiume sta per arrivare in città! A Giza si scatenò il putiferio. La piena del Nilo, attesa ogni anno come una benedizione divina, rendeva fertili le terre e possibile l’agricoltura. Se era insufficiente, il raccolto sarebbe stato scarso e parte della popolazione avrebbe sofferto la fame.

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Se l’inondazione era troppo violenta, però, seminava una lunga scia di distruzione nei villaggi a ridosso delle rive. In città l’attività era frenetica, tutti mettevano al riparo le suppellettili più preziose. Anche Tiy e Isesi trasportarono parte dei loro mobili in casa di amici che abitavano lontano dal fiume. Avevano appena terminato, quando giunse voce che la piena si era fermata proprio alle porte di Giza: il Nilo aveva risparmiato la città. Il viavai, tuttavia, non si arrestò perché gli abitanti presero a riportare indietro quello che avevano traslocato poco prima. Isesi e Tiy erano tornati a casa e avevano appena finito di rimettere ogni cosa al suo posto, quando Gioser si presentò alla porta in groppa a un asino e accompagnato da alcuni servi. – Antef e il suo compare hanno approfittato del trambusto dell’inondazione. Non so come, sono riusciti a tagliare le corde che li legavano: forse avevano un coltello nascosto. Hanno tramortito due dei miei servi e un sacerdote e sono fuggiti. Se vogliamo riacciuffarli, non c’è un minuto da perdere. – Ma non li raggiungeremo mai! – esclamò Tiy disperata. – Certo che li raggiungeremo – ribatté deciso Gioser. – Loro sono a piedi e noi abbiamo gli asini. E mostrò agli amici due bestie ben pasciute a loro disposizione.

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– Sbrigatevi – aggiunse. – Sono diretti verso il Nilo. Isesi non si fece pregare e salì in groppa al somaro. Quando, però, Tiy accennò a fare lo stesso, il fratello la fermò. – No, Tiy, è pericoloso. Sei solo una bambina, resta a casa. La sorella protestò indignata: – Ti ricordi che sono una bambina solo quando ti fa comodo! Però, nella camera mortuaria di Taimhotep, sono riuscita a dominarmi, a rimanere zitta e ferma e a spaventare i due predatori. – Non abbiamo tempo di discutere – si intromise Gioser. – Lascia che venga – continuò rivolto a Isesi. – Ha ragione, ha contribuito alla loro cattura. Se la situazione diventa troppo pericolosa, la rimandiamo a casa. Tiy, che era già montata sull’asinello, sorrise al fratello con aria di sfida. Isesi non aveva altra scelta che rassegnarsi. Salutato il padre, preoccupatissimo, si gettarono sulle tracce dei malviventi. Via via che si avvicinavano al fiume, il paesaggio diventava sempre più irreale. Le acque avevano sommerso la campagna dove fino al giorno prima la vegetazione languiva sotto il sole implacabile. Il cielo adesso era plumbeo, solcato da una moltitudine di uccelli di ogni specie che emettevano striduli versi. Dove il giorno precedente c’erano le zone paludose, adesso era un enorme lago.

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Tra quattro mesi il fiume si sarebbe ritirato, lasciando dietro di sé il limo nero, fertilissimo; al momento, però, sulle rive regnava un fango appiccicoso e di un triste colore cupo. Tuttavia, nessuno sembrava far caso ai toni smorti della campagna, tutti erano soddisfatti e i bambini sguazzavano nella mota giocando a chi scivolava più veloce. La piena del Nilo, infatti, si era arrestata a un’altezza superiore alla media ma non esagerata e prometteva un ottimo raccolto. Solo coloro che avevano avuto la casa alluvionata sedevano malinconici, tenendo vicino quanto erano riusciti a salvare: stoviglie di terracotta, uno sgabello, qualche vaso di miele. Guardavano da lontano il tetto di canne e fogliame di quella che era stata la loro capanna di fango. Quando le acque si sarebbero ritirate, dopo quattro mesi, non avrebbero trovato più niente. Non avevano altra scelta che rifugiarsi da amici o parenti più fortunati, lavorare sodo per rimettersi in piedi con il futuro raccolto e costruire un’altra capanna, magari un po’ più lontana dal sacro Nilo. Impediti dal fango, i fuggiaschi non potevano procedere velocemente, mentre gli asinelli di Gioser camminavano spediti. D’un tratto, Tiy, che aveva la vista acuta, strillò: – Eccoli! Quando Antef e il complice si accorsero di essere tallonati, decisero di rischiare il tutto per tutto.

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Sul fiume galleggiavano molte barche di fasci di papiro capovolte, strappate agli ormeggi dalla piena. Un’imbarcazione, però, era rimasta miracolosamente ritta e i due furfanti si affrettarono a impadronirsene e remando si allontanarono verso l’altra sponda. – Vogliono attraversare il Nilo – esclamò Gioser, non credendo ai propri occhi. – Devono essere disperati! Rischiano la pelle ad avventurarsi in mezzo al fiume mentre è in piena – si preoccupò Isesi. – Cos’hanno da perdere? Sanno che la punizione per aver violato una tomba sarà severa. Nei loro panni, forse farei lo stesso. – Ma così annegheranno – strillò Tiy. Gioser ordinò ai servi di avvicinarsi il più possibile ai fuggiaschi e di avvertirli del rischio che correvano. Antef e il suo compare, però, interpretarono quelle urla come gesti di rabbia degli inseguitori e si diedero a remare più in fretta. I tre amici non poterono fare altro che guardarli mentre si allontanavano. Il fiume, che subito dopo aver inondato le campagne vicino a Giza si era placato, adesso era di nuovo gonfio. La barchetta dei predatori di tombe cavalcava miracolosamente le onde e aveva quasi toccato l’altra sponda, quando

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le acque crebbero in modo spaventoso e improvviso. Un cavallone gigantesco si abbattÊ su di loro, travolgendoli e rovesciando l’imbarcazione. Antef e il suo complice sparirono, inghiottiti dai flutti torbidi.


Tiy, Isesi e Gioser gridarono impotenti assistendo alla scena con raccapriccio, ma era impossibile intervenire. Seguì un lungo momento di silenzio. – E adesso cosa facciamo? – chiese Gioser con voce lugubre. – Dobbiamo seguire il fiume verso nord, dove avanza la piena – decise Isesi. – Forse quei due sanno nuotare e salveranno la pelle. Poi, dopo un secondo di esitazione, aggiunse: – … anche se ne dubito. Avanzarono lentamente, ormai non c’era più fretta, la speranza di trovare vivi Antef e il suo compare era debolissima. Il paesaggio che attraversarono era monotono: l’acqua copriva quelle che nella stagione arida erano le terre intorno al Nilo. La campagna era irriconoscibile, si distinguevano a stento palme e alberi di sicomoro sommersi fino alla chioma. Le case e i piccoli villaggi sembravano coccodrilli che lasciavano affiorare sull’acqua solo gli occhi. Fu di nuovo la vista acuta di Tiy a scorgere due corpi gettati dalla piena sulla riva fangosa. Tutti si affrettarono ad avvicinarsi, discesero dalle cavalcature ed esaminarono i due uomini. – È vivo! – gridò Isesi disteso sul corpo del complice magro.

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– Respira! – esclamò Tiy dopo aver esaminato Antef. Un senso di sollievo si diffuse nel gruppetto di inseguitori. Anche se si trattava di due profanatori di tombe, la pietà prevalse. – Carichiamoli sugli asini – decise Gioser. – Dobbiamo trasportarli il più in fretta possibile a Giza, dove verranno curati. Forse riusciremo a salvarli. Non se lo meritano, ma dobbiamo essere giusti. La loro condanna la deciderà il visir, il rappresentante di Maat sulla terra, non noi. La compagnia tornò in silenzio verso la città, nessuno aveva voglia di parlare.

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Festa di Capodanno

Nel frattempo in città si era sparsa la notizia che il Nilo

era straripato anche a Menfi. Era il segnale per l’inizio del nuovo anno. Mentre i ragazzi attraversavano la città con il loro triste carico, gli abitanti di Giza erano in preda all’eccitazione: per celebrare degnamente l’inizio del nuovo anno, infatti, sarebbe stata organizzata una grande festa. I tre amici trasportarono Antef e il complice a casa del medico Pamose che li esaminò. – Sono conciati male, ma credo che la loro sia un’infermità che posso curare. Farò del mio meglio. – Grazie, dottore – rispose Gioser. – Questi due furfanti devono essere processati oggi stesso e voglio che siano coscienti quando il visir pronuncerà la sentenza. – Anche a Menfi festeggiano l’inondazione del Nilo e l’inizio del nuovo anno. Il visir non arriverà dalla capitale fino a domani pomeriggio, temo – fece notare il medico.

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Gioser ci rimase alquanto male, per cui Isesi tentò di consolarlo: – Oggi divertiamoci, domani quel manigoldo di Antef e il suo complice avranno la punizione che meritano. Furono lasciati due servi a casa del medico con il compito di sorvegliare i prigionieri e di impedire una seconda fuga. I ragazzi uscirono dalla casa del dottor Pamose e si incamminarono per le strade della città. – Riusciremo a goderci la festa, nonostante la stanchezza? – domandò Gioser più a se stesso che agli altri. – Quale stanchezza? – domandò Isesi. E i tre amici scoppiarono a ridere. – Per quanto mi riguarda – dichiarò Tiy, – l’eccitazione ha completamente spazzato via l’abbattimento. Sono pronta per festeggiare! I ragazzi si precipitarono nelle proprie case, dove si diedero una ripulita. Poi si riversarono per le strade, come la maggior parte degli abitanti di Giza, o meglio, come la maggior parte degli abitanti di ogni singola città egizia. L’anno era iniziato, sarebbe DENTRO LA STORIA... durato tre stagioni formate da quattro mesi ciascuna, Le stagioni erano Akhet, da fine agosto a fine dicembre, Peret, da ogni mese contava trenta fine dicembre a fine aprile, Shemu, giorni. da fine aprile a fine agosto.

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L’Alto e Basso Egitto erano in festa, in città ci si riuniva per commentare la piena e fare previsioni sul futuro raccolto. Poi tutti si recarono al tempio di Hapi, dio e spirito del Nilo, per la cerimonia di ringraziamento. I fedeli non potevano entrare nel santuario, solo ai sacerdoti era consentito. Perciò gli abitanti di Giza si riunirono nel cortile del tempio. Durante la funzione religiosa, al dio vennero offerti vino e vivande e furono cantati solenni inni sacri, accompagnati dal liuto, dal flauto e dalla cetra. Quando la cerimonia terminò, Tiy propose al fratello: – Ti va di girellare per la città? – Come no! – accettò Isesi. – Chissà che non incontriamo qualche amico. Byblos, che questa volta non era voluta restare a casa, sembrò entusiasta: curiosare per la città era uno dei suoi passatempi preferiti. Per le strade scorreva un allegro fiume di persone. C’era chi intonava canzoni d’amore, chi organizzava danze. Nell’aria si spandeva il profumo dei fiori e della frutta che gli ambulanti offrivano agli angoli delle strade. Nella piazza principale di Giza, Isesi e Tiy incontrarono alcuni compagni, tra i quali anche Amosi, la migliore amica di Tiy. Le due ragazze, che non si vedevano da giorni, furono molto felici di ritrovarsi.

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– Non sai quante novità ho da raccontarti! – sussurrò Tiy all’orecchio dell’altra. Uno dei ragazzi propose: – Organizziamo una DENTRO LA STORIA... partita: i maschi terranno sulle spalle le ragazze, che I bambini giocavano con bambole di legno o di stoffa e con coccodrilli si lanceranno la palla di o gatti di legno a ruote da trascifibra di palma. nare con una cordicella. Esistevano – Ottima idea! – approanche molti giochi da tavolo, come il gioco del serpente, con scacchiera varono tutti. a spirale, e il popolare senet, simile – Però c’è una femmina alla nostra dama. in più – fece subito notare Tiy che, essendo mingherlina, aveva paura di restare esclusa. – Basterà trovare un altro giocatore maschio – ribatté Isesi. Proprio in quel momento, Gioser, accompagnato dal padre, stava passando sul lato opposto della piazza. Isesi lo riconobbe da lontano. – Ecco la soluzione! – disse. E corse a chiamarlo. Il ragazzo non si fece pregare. – Vi presento Gioser – disse Isesi. Gli altri furono subito cordiali con il nuovo arrivato e Tiy gli riservò un’accoglienza molto calorosa. Amosi, che conosceva la timidezza dell’amica, la guardò sorpresa: una volta a tu per tu, Tiy avrebbe dovuto darle un bel po’ di spiegazioni!

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Quando fu il momento di scegliere la ragazza da portare sulle spalle, Gioser non ebbe esitazioni: – Scelgo Tiy – disse. Lei si arrampicò sulla sua schiena. Era felicissima: non solo partecipava al gioco, ma era addirittura in coppia con Gioser! La partita ebbe inizio. Le ragazze si lanciavano la palla, ma non era contro le regole cercare di disarcionare l’avversaria. Così, in alcuni momenti, la partita somigliava più a un’allegra lotta. Byblos stava tra i piedi a tutti, disturbando i giocatori dell’una e dell’altra squadra con ammirevole imparzialità. Tiy fu atterrata parecchie volte dalla fortissima Amosi, ma non se la prese, anzi, questo contribuì ad accrescere il divertimento. E poi non era la sola a finire a terra, Amosi non aveva pietà per nessuno. Ci furono molti scherzi e risate, nonostante i lividi dovuti alle cadute. La squadra di Tiy e Gioser subì una poderosa sconfitta. La bambina scese a terra spettinata, accaldata e impolverata, ma si era divertita un mondo. – Per festeggiare di essere stati stracciati dagli avversari – disse Gioser, – ti va un cartoccio di datteri? Tiy, che era golosa, non se lo fece ripetere due volte. Byblos le si piazzò sulla spalla, tanto per rendere chiaro che i datteri li voleva anche lei.

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Gioser e Tiy, senza quasi accorgersene, si allontanarono dal gruppo e si trovarono a passeggiare per le vie affollate della città, sgranocchiando frutta secca e chiacchierando. Tiy raccontò a Gioser segreti che aveva rivelato solo al fratello: quanto le mancava sua mamma, la preoccupazione per suo padre, i suoi sogni. – Voglio diventare medico degli occhi – gli confessò. – O delle malattie femminili – aggiunse, ricordando la conversazione con il medico Pamose. – Un progetto ambizioso, soprattutto per una ragazza. – Lo so. Per questo devo studiare il doppio dei maschi. Finora, però, i risultati sono stati deludenti: nella scrittura sono una schiappa. Gioser rise. – Che importanza ha? Non desideri diventare scriba e un bravo medico può anche tracciare brutti geroglifici. Byblos, intuendo quanto fosse importante per Tiy chiacchierare con il ragazzo dagli occhi a mandorla, se ne stette buona e zitta sulla spalla della padrona. In compenso si spazzolò quasi tutti i datteri. – Tu non studi alla Casa della Vita? – domandò Tiy. – Ho un precettore privato. E il prossimo anno andrò a studiare a Menfi, nella capitale. Mio padre vuole che diventi funzionario dell’amministrazione, come lui. – E a te l’idea piace?

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– Non è male, i funzionari non faticano come i contadini e non rischiano la vita come i soldati. Anche se, secondo quanto si dice, il mestiere dello scriba è il migliore in assoluto – scherzò Gioser. Poi tornò serio. – Un bravo funzionario è una piccola ruota nell’ingranaggio, ma molto importante. Se l’amministrazione funziona, la società funziona e ne guadagniamo tutti. E poi farei qualunque cosa per accontentare mio padre. Dalla morte della mamma è così triste. – Conosco bene la situazione. Però gli argomenti deprimenti oggi sono banditi – ribatté Tiy. – Il mio proposito per il nuovo anno è di essere sempre allegra. Continuarono a bighellonare a lungo, chiacchierando. Forse Isesi si offese un po’ a non essere invitato alla passeggiata, ma, strano a dirsi, durante tutto il giorno Tiy e Gioser non pensarono affatto a lui.

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Maat, la dea della giustizia

Il mattino seguente, Tiy e Isesi si alzarono con calma

e dopo il pasto di metà giornata, i due fratelli passarono a prendere Gioser e si avviarono al tempio di Ptah: il processo si sarebbe tenuto in uno dei suoi cortili. Il cielo era illuminato da un fastidioso sole color latte che filtrava attraverso le nuvole, l’aria era carica di umidità e rendeva faticoso ogni movimento. – Sono andato dal dottor Pamose a chiedere notizie dei delinquenti – disse Gioser. – Hanno ripreso conoscenza e, anche se doloranti, potranno assistere al processo. – Tuo padre non viene? – si informò Tiy. – Non se lo perderebbe per niente al mondo! Arriverà in portantina, vuole mostrare a tutti che è un uomo ricco. Spera che il visir infligga una pena maggiore ai profanatori di sarcofagi – spiegò Gioser. – Penetrare nella tomba di un defunto è un atto grave – ribatté Isesi. – La punizione dovrebbe essere severa per tutti, anche per i poveri.

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Poi ci pensò un attimo. – Però tuo padre ha ragione, meglio andare sul sicuro. L’arrivo del padre di Gioser sortì un grande effetto tra il pubblico presente nel cortile del tempio: la portantina era decorata riccamente e l’esile funzionario quasi soffocava sotto la sua elegante parrucca, profumata e acconciata con molta cura. Anche il visir del Basso Egitto, braccio destro del faraone Chefren, arrivò a Giza con grande sfarzo e un lungo seguito di servitori e guardie. Era un uomo dall’espressione intelligente, con il volto lungo e magro che la parrucca rendeva ancora più affilato, ma Tiy ebbe la sensazione che avrebbe potuto tramutarsi in un uomo spietato, all’occorrenza. Il visir sedeva su uno scranno di legno sopraelevato al centro del cortile. Il processo ebbe inizio: il padre di Gioser aveva incaricato il sommo sacerdote Peteisis di formulare le accuse. Iniziò con una cerimonia in onore della dea Maat, divinità della verità e della giustizia. Poi Peteisis prese la parola e raccontò l’accaduto. I due malviventi avevano lividi ovunque, il Nilo era stato impietoso, li aveva sballottati e schiaffeggiati con violenza. I profanatori di tombe, che si erano trovati a un passo dall’aldilà, avevano perso l’aria arrogante che sfoggiavano fino a due giorni prima.

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Nel cortile del tempio era presente anche Hergedef, che doveva testimoniare sul suo sogno premonitore. Tiy temeva che il visir non avrebbe preso sul serio una “visione” proveniente dal mondo di Osiride. Il visir, invece, ascoltò con molta attenzione e trattò Hergedef con ogni riguardo. Poi toccò a Peteisis. Quando il suo racconto arrivò al punto in cui i malviventi erano stati colti con le mani nel sacco nella piramide di Taimhotep, il sacerdote citò i nomi dei ragazzi, ma il visir sembrò non udirli. Tiy, un po’ delusa, bisbigliò rivolta a Isesi: – Non ci ha neanche guardato! – Se lo avesse fatto, saresti morta di vergogna – la rimbeccò il fratello. – Vero, però mi avrebbe fatto piacere lo stesso. In fondo, non fosse stato per noi, i malviventi non sarebbero stati catturati. – Non fosse stato per il sogno premonitore di nostro padre, vorrai dire. Tiy sbuffò seccata, anche se doveva riconoscere che il fratello aveva ragione. Il processo andò avanti spedito. Antef, nervosissimo e lustro di sudore, e il suo magro complice furono ascoltati, ma le scuse che addussero erano così patetiche, che servirono solo a confermare la loro colpevolezza. Infine, il visir emise il suo inappellabile verdetto:

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– La dea Maat ha parDENTRO LA STORIA... lato. Io, visir del Basso Egitto per nomina del La dea Maat è raffigurata come una giovane donna con una piuma sul nostro sovrano, il faraone capo. Rappresenta l’ordine, la verità Chefren, forte nel cuore, e la giustizia. forte con le due Signore, falco d’oro potente, Ra gli è apparso forte nel cuore, Ra gli si è palesato, condanno i due malviventi a lavorare nelle miniere di turchese nel Sinai per i prossimi dieci anni. Tiy sentì Gioser tirare un sospiro di sollievo: giustizia era fatta. Il visir era stato imparziale. I due furfanti si disperarono, le miniere erano un luogo terribile, dal quale raramente si tornava vivi. Nessuno, però, ebbe pietà di loro: era risultato chiaro, durante il processo, che quella di Taimhotep non era la prima tomba che depredavano.

Era finita. Il visir stava dichiarando chiuso il processo, quando si udì nel cortile il rumore di una carovana. Un brusio di meraviglia si diffuse tra il pubblico. Stava per giungere al tempio di Ptah un lungo corteo composto da consiglieri del faraone, alti funzionari, guardie armate di tutto punto e servitori con grandi ventagli.

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In testa al corteo, in piedi su un carro di raffinatissima fattura, decorato da gemme preziose, si stagliava l’imponente figura del faraone Chefren, sovrano dell’Alto e Basso Egitto. Tutti abbassarono lo sguardo e si inginocchiarono.

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Il sovrano delle Due terre

Il corteo, tra lo stupore di tutti, si era fermato proprio

davanti al tempio. Il faraone scese dal carro e, seguito dalla corte, fece il suo ingresso nel cortile. I sudditi erano ammutoliti; il faraone era ritenuto un dio tra gli uomini. Il sovrano era affiancato dall’architetto reale, altissimo funzionario che aveva la responsabilità della costruzione della piramide del faraone: era evidente che il corteo passava per Giza, diretto alla dimora ultraterrena di Chefren. Tiy era troppo curiosa per riuscire a mantenere lo sguardo al suolo: con un movimento impercettibile, gettò un’occhiata al sovrano. Vide un uomo ancora giovane, di una bellezza magnetica. Aveva la barba posticcia, come gli dei, e portava il nemes, il copricapo tradizionale; indossava la doppia corona, bianca e rossa, simbolo del potere riunito sulle Due Terre. In mano teneva lo scettro con l’emblema di Osiride.

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– Non somiglia alla sua DENTRO LA STORIA... sfinge. L’avevo detto, io – sussurrò Tiy al fratello che, Per quanto fosse un dio, il faraone era anche un uomo. Per mettere in risposta, la fulminò con alla prova la sua forza fisica si svolun’occhiataccia. Lei, però, geva ogni trenta anni, o a intervalli era troppo eccitata per stapiù brevi, la festa del Sed, in cui il vigore del sovrano era dimostrato re zitta. – È ancora giovane dalla corsa e da altre prove fisiche. e vigoroso. Sono certa che alla prossima festa del Sed supererà di slancio la prova della corsa. Il visir si affrettò ad andare incontro al sovrano e, rispettosamente sottovoce, lo mise al corrente del processo appena concluso. Il faraone ascoltò con attenzione, poi un cerimoniere segnalò ai sudditi di rialzare il capo. Nel cortile regnava un silenzio pieno di emozione. Il signore delle Due Terre parlò: – L’ordine di Maat è stato ristabilito. Mi riferiscono che tre giovani hanno assicurato alla dea i profanatori di tombe e li hanno salvati da morte sicura affinché potessero subire un giusto processo. – Sì, sommo visir – intervenne Peteisis, che si era ripreso dallo stupore, – li hanno trovati sulle rive del Nilo, privi di conoscenza e li hanno tratti in salvo. Poi li hanno affidati alle cure di un medico. – Che si presentino davanti a me! – ordinò il faraone.

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Quattro guardie si avvicinarono ai ragazzi e li scortarono al centro del cortile. Erano soldati robusti, armati di lancia, che incutevano rispetto e timore. Tiy sentiva il cuore galoppare, cosa voleva il faraone da loro? Con la coda dell’occhio la ragazzina guardò Isesi e Gioser: erano entrambi di un pallore innaturale. Quando se li trovò davanti, il faraone scrutò a lungo i ragazzi, uno per uno. Poi, finalmente, nel silenzio generale, parlò: – I tre giovani hanno dimostrato di avere animo coraggioso affrontando i predatori nella camera funeraria. Inoltre hanno rivelato di avere un cuore giusto e hanno lasciato che fosse la dea a stabilire l’equa punizione. Maat vuole che tutto sia ordine ed equilibrio, poiché solo dall’ordine deriva la vera giustizia – concluse. – Perciò i miei giovani sudditi meritano una ricompensa. Tiy era sbigottita. – Come posso esprimervi gratitudine? Tiy guardò di sottecchi Isesi e si accorse che persino il fratello era senza parole. Quanto a Gioser, alla dichiarazione del faraone era rimasto a bocca aperta. E non accennava a chiuderla. Peteisis intervenne: – Nobile sovrano, i ragazzi sono troppo modesti per chiederti una ricompensa. Gioser è figlio di un funzionario

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dell’amministrazione, Isesi è un mio allievo e sta diventando un bravo imbalsamatore. Tiy studia ancora la scrittura, ma so che il suo sogno è diventare medico. Il faraone sembrò compiaciuto e dichiarò solenne:


– Gioser, quando avrai terminato i tuoi studi, avrai un incarico di prestigio nel palazzo del tuo sovrano. E anche tu Isesi diventerai imbalsamatore reale alla corte di Menfi. E la piccola, appena Peteisis lo reputerà giusto, si recherà nella città di Sais, ove le saranno aperte le porte della più famosa scuola di medicina dell’Egitto. Gioser, Isesi e Tiy erano così confusi e frastornati che non riuscirono a spiccicare neppure una parola di ringraziamento. Si limitarono a inchinarsi profondamente.


Il faraone, seguito dalla corte e dalle guardie, lasciò il tempio. A quel punto, l’emozione che aveva tenuto tutti in sospeso si sciolse e il pubblico fu libero di muoversi e chiacchierare. Il sole era alto nel cielo e la sua luce investiva in pieno Tiy, Gioser e Isesi, accecandoli e accentuando la loro confusione. Tutti facevano a gara per congratularsi con i ragazzi, che vennero sballottati e abbracciati da innumerevoli amici e sconosciuti. Finalmente Hergedef riuscì ad avvicinarsi ai figli e stringendoli a sé, esclamò: – Sono davvero fiero di voi. Tiy disse: – Non riesco a credere a quanto è successo. Mi sembra un sogno. Hergedef guardò severamente la figlia e sbottò: – Bambina mia, quando imparerai che i sogni contengono più verità della realtà stessa? Tiy, con il cuore traboccante di felicità, rispose: – Caro padre, non avrò mai la tua fede cieca nei sogni: secondo me, sono solo un modo per spiegare a noi stessi i segreti della natura che non riusciamo a comprendere. Su un punto, però, hai ragione: i sogni, a volte, si avverano. Il corteo reale si stava dirigendo verso le piramidi. D’istinto, gli abitanti di Giza seguirono a rispettosa

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distanza il loro sovrano. Anche Tiy, Isesi e Gioser decisero di accompagnare Chefren nella sua visita alla piramide da poco terminata. Il faraone forse voleva preparare i paramenti che lo avrebbero accompagnato durante il viaggio nel mondo ultraterreno di Osiride; probabilmente avrebbe deciso con l’architetto reale quali stratagemmi utilizzare per impedire che predoni senza scrupoli disturbassero il suo sonno. Mentre il sole illuminava la vallata, in lontananza i tre amici potevano già distinguere le colossali costruzioni. Tiy si trovò a pensare che poco importavano le ricchezze che il faraone avrebbe ammassato nella camera funeraria: lo sforzo più alto compiuto dal sovrano per ottenere l’immortalità era proprio la sua piramide, che avrebbe testimoniato la sua gloria. Per l’eternità.

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E N R E P A S PER DI

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APPROFONDIMENTI A CURA DI PAOLA VALENTE

Scopri insieme a noi ...

... il mondo degli EGIZI


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Il Nilo Il mio nome è Auset. Vivo in Egitto, sulle rive del fiume Nilo.

Secondo gli antichi Egizi, il Nilo nacque dalle lacrime di una dea. Il fiume è il più lungo del mondo, nasce dalle regioni montane dell’Equatore e sfocia nel Mar Mediterraneo. Nell’antichità, il Nilo trasportava un fertile fango detto limo e, durante le piene, con esso ricopriva le sabbie sterili dell’Egitto. Il limo raggiungeva anche i 10 m di altezza e dava la possibilità alle piante di crescere rigogliose. Per questa ragione, l’Egitto fu chiamato “dono del Nilo”. In primavera e all’inizio dell’estate, il Nilo era al suo livello più basso e il sole era così forte che la temperatura poteva raggiungere i 45° all’ombra.

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La sabbia del deserto ricopriva ogni cosa. Allora, come per magia, le acque del fiume cominciavano a innalzarsi e diventavano rosse per l’argilla fertile proveniente dalle regioni montagnose dell’Africa. A metà settembre, la piena del Nilo raggiungeva il suo massimo e ricopriva le terre dei contadini. Cominciava allora il nuovo anno. Quando le acque si ritiravano, i contadini, immersi nel fango, iniziavano l’aratura, con aratri trainati da tori o da schiavi, e seminavano.

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Una volta gettate le sementi, nei campi si liberavano i montoni che, calpestando il terreno, affondavano i semi in profondità. Quando il grano maturava, i contadini lo mietevano con lame di selce in manici di legno. Poi lo trasportavano nei silos, granai senza tetto perché in Egitto non pioveva mai. Sarebbe bastato un solo anno senza le piene del Nilo perché gli egiziani morissero di fame, perciò essi si ingegnarono a costruire dei canali nel caso il Nilo non si fosse innalzato abbastanza e la piena non avesse raggiunto i campi. Lungo il fiume, venivano sistemati i “nilometri”, speciali apparecchi che misuravano il livello del IL NILOMETRO fiume.

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I faraoni Sono uno dei figli del faraone. Mi chiamo Menes.

I faraoni erano i sovrani assoluti dell’antico Egitto. Erano considerati esseri divini, figli del sole, e detenevano sia il potere politico che quello religioso. Essi stabilivano l’importo delle tasse da pagare secondo la produzione agricola dell’anno, guidavano l’esercito e amministravano la giustizia. All’inizio, l’Egitto era diviso in due Stati. Nel 2900 a.C. un faraone dell’Alto Egitto, Narmer, conquistò il regno del Nord e unificò i due Paesi. La corona del Sud era a forma di grande cappello bianco, quella del Nord era rossa. Esse furono riunite in una doppia corona.

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Il faraone viveva in un palazzo fatto di mattoni. Colonne di legno, a forma di fasci di papiro o di fiori di loto e decorate con colori vivaci, sostenevano il tetto. Una doppia porta, simbolo del doppio regno, permetteva di accedere al recinto interno dove sventolavano le bandiere su cui erano disegnati un falcone o altri animali. Intorno alla residenza del faraone, palazzi più piccoli ospitavano le famiglie dei nobili e quella del primo ministro, che coadiuvava il faraone nell’amministrazione occupandosi dei canali, delle miniere e delle foreste. Si occupava inoltre delle guerre e rappresentava la religione dello Stato. Fra tutti i faraoni egizi, uno dei più famosi fu Hatshepsut che in realtà era una donna. Nelle cerimonie ufficiali, Hatshepsut vestiva abiti maschili e portava una barba finta.

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Il nostro cibo Io sono Isis. Mia madre è una capo cuoca .

Il cibo principale dell’antico Egitto era il pane accompagnato dalla birra, entrambi ricavati dal grano. Un contadino mangiava tre pezzi di pane con cipolle crude al giorno e beveva due vasi di birra. Anche gli scolari bevevano due boccali di birra tutti i giorni. Il Nilo era pieno di pesci che, catturati dai pescatori con le reti, erano consumati crudi, arrostiti, bolliti o cotti al sole e salati. I cacciatori tendevano trappole agli uccelli spesso usando anche loro delle reti. I ricchi amavano andare a caccia e, quando catturavano le anatre, portavano con sé nella barca la moglie e il gatto di casa.

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L’ anatra arrostita, cotta allo spiedo, era il piatto preferito degli egiziani che non mangiavano carne di maiale perchÊ credevano che l’animale fosse impuro.

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Legumi e frutta crescevano in abbondanza. I fichi erano molto apprezzati: quando maturavano, gli Egizi mandavano sugli alberi le scimmie che li raccoglievano e li gettavano a terra. I cuochi li friggevano nell’olio di oliva e li zuccheravano con il miele. Il pane veniva preparato in casa e cotto su un fuoco di legna. Nei palazzi, i panettieri di corte impastavano con i piedi in grandi recipienti una enorme quantità di pasta. Poi cuocevano i pani in forni alimentati da paglia o da letame.

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Piccoli scribi Il mio nome è Jahi, frequento una scuola nel palazzo del faraone. Da grande sarò uno scriba.

I ragazzi che studiavano per diventare scribi vivevano nelle scuole dormendo in ampie camerate. La mattina presto, i maestri svegliavano gli allievi e, se non erano svelti ad alzarsi, li colpivano sulle dita delle mani con la verga. I bambini imparavano a disegnare i geroglifici, i piĂš grandi ricopiavano poemi e testi di religione. Quando un ragazzo non si comportava bene, veniva incatenato e messo nella cella di punizione.

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ALFABETO GEROGLIFICO

A dodici anni, lo studente iniziava a lavorare come apprendista scriba. Non scriveva sui quaderni ma su rotoli di papiro con cannucce e pennelli. L’inchiostro era fabbricato con un miscuglio di gomma e di nerofumo e si presentava sotto forma di tavolette secche che erano diluite su una tavolozza simile a quella dei pittori.

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PIANTA DEL PAPIRO

Per ottenere la carta del papiro, il fabbricante tagliava il gambo in strisce, le stendeva su una tavola e ne sovrapponeva altre in senso opposto. Dopo aver appiattito il foglio, lo metteva a seccare al sole. Gli Egizi scrivevano anche sulla pergamena, sul legno, sulla tela, sul cuoio, sull’argilla e sul metallo. I geroglifici venivano incisi sui muri dei templi con uno scalpello.

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Le piramidi Mio padre, uno degli architetti del faraone, mi diede il nome Neith. Io ho assistito alla costruzione di una grande piramide.

Le prime tombe dei faraoni erano delle fosse sotterranee ricoperte con una costruzione rettangolare di mattoni. Quando essi divennero ricchi e potenti, le loro tombe diventarono sempre piÚ grandi e furono riempite di tesori. Tra il 2980 e il 2900 a.C., Imothep, architetto del faraone Gioser, progettò la prima piramide che si innalzava dal suolo per 68 metri.

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Il faraone ebbe così una tomba duratura che si poteva scorgere da lontano. Essendo considerato un dio, si credeva che il faraone sarebbe risalito al cielo per raggiungere suo padre, il sole. Le piramidi erano costruite sulla riva occidentale del Nilo perché fossero esposte al sole e, ai nostri giorni, ne restano un’ottantina. Si trovano tuttora nei pressi dell’antica Menfi, vicino all’attuale capitale Il Cairo. Per gli Egizi “andare a Ovest” significava morire, mentre l’Est, dove il sole nasceva, era detta “la terra di Dio”. Le piramidi, progettate dagli architetti reali, erano costruite da operai e da contadini nel periodo in cui non c’erano da sbrigare i lavori nei campi. La pietra calcarea delle piramidi era estratta sul luogo mentre, per rivestirle, gli Egizi si procuravano il granito a 750 km di distanza risalendo il Nilo fino ad Assuan. Le squadre di operai della Grande Piramide di Chefren riuscirono a trasportare 115000 blocchi di granito per anno.

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Nel periodo imperiale, i faraoni fecero costruire le loro tombe nell’Alto Egitto, presso Tebe, nel luogo detto “la Valle dei Re”. Le tombe erano scavate nella dura roccia, accuratamente mimetizzate contro i ladri. I costruttori dovevano giurare di mantenere il segreto sulla loro posizione. Nonostante tutte queste precauzioni, di sessanta tombe solo una rimase inviolata dai ladri, quella del giovane faraone Tutankhamon il cui meraviglioso tesoro può essere ammirato nel museo de Il Cairo. SARCOFAGO INTERNO DI TUTANKHAMON

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Le mummie Mi chiamo Oseye, sono il figlio di un imbalsamatore. Da grande, farò il mestiere di mio padre.

Gli Egizi imbalsamavano i corpi dei defunti perchĂŠ la mummia rappresentava il corpo nel quale essi rivivevano dopo la morte. Il processo di imbalsamazione era molto costoso e variava secondo le possibilitĂ della famiglia del morto. I poveri erano cosparsi di natron (carbonato di sodio, una specie di sale) oppure venivano tuffati nella pece, avvolti in una tela e sotterrati.

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I ricchi potevano permettersi una lunga cerimonia con un sacerdote imbalsamatore e i suoi assistenti che li trasformavano in mummie recitando formule magiche. Dapprima estraevano dal cadavere gli organi interni, a eccezione del cuore, li lavavano, li avvolgevano nella tela e li inserivano nei vasi canopi, ognuno protetto da un dio. VASI CANOPI

INTESTINO

POLMONI

STOMACO

FEGATO

Poi estraevano il cervello penetrando nelle narici con un uncino di ferro. Quindi il corpo era chiuso in una scatola di legno e coperto di soda che assorbiva l’acqua contenuta nei tessuti.

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Dopo settanta giorni, il corpo veniva tolto dalla scatola, il cuore era rimesso al suo posto, il cranio veniva riempito di soda e di gesso e, al posto degli occhi, erano inserite delle biglie di ossidiana nelle orbite. Dopo aver spalmato il cadavere con unguenti e resina, gli imbalsamatori lo avvolgevano in bende sulle quali c’erano delle scritte magiche per proteggerlo. Intorno al collo veniva messa una collana con uno scarabeo. La mummia era posta in un sarcofago ornato dentro e fuori con figure di dei e con il nome del defunto.

SARCOFAGO EGIZIANO DECORATO

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SARCOFAGO EGIZIANO CON MUMMIA

Dopo che il sarcofago era stato messo nella tomba, il sacerdote celebrava la cerimonia dell’apertura della bocca affinché il morto potesse mangiare e bere. Infine la tomba era sigillata con una lastra di pietra. Gli egiziani imbalsamavano anche i gatti, amati e protetti, i coccodrilli e altri animali. I ladri riuscirono a saccheggiare la maggioranza delle tombe anche se, sulle loro pareti, erano scritte terribili maledizioni contro di loro. Spesso erano gli stessi muratori a depredare le tombe che avevano costruito: quando iniziavano la costruzione di una nuova tomba, scavavano un tunnel che comunicava con quella precedente. Recuperavano così oro, pietre preziose e bellissimi arredi.

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I nostri dei Io sono Astarte e il mio nome ricorda quello di una grande dea. Mio padre è un sacerdote egiziano.

Gli animali erano molto considerati nell’antico Egitto e spesso gli dei ne assumevano le forme. Nel tempio della dea Bastet, raffigurata con la testa di gatto, i sacerdoti nutrivano migliaia di gatti con pane, latte e pesce. I gatti proteggevano i granai dai topi, per questo erano molto benvoluti. Le statue degli dei riempivano i templi. Gli Egizi consideravano il corpo umano composto da 36 parti e ognuna di esse era protetta da un dio. Ritenevano le malattie e la morte come conseguenza di un’offesa fatta a una divinità.

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Fra tutti gli dei, i più importanti furono Iside e Osiride, identificati rispettivamente con la luna e il sole, e il loro figlio Horus. Anubi, con la testa di sciacallo, proteggeva le necropoli e accompagnava i defunti nell’aldilà dove erano giudicati da Osiride. Sekhmet era la dea della violenza e della guerra, raffigurata con la testa di leonessa. Nut era la dea del cielo e Geb il dio della terra. Ra, dalla testa di falco, rappresentava il sole dal quale discendevano i faraoni. Amon era considerato il padre di tutti gli dei. Se gli dei non favorivano i desideri del faraone, questi minacciava di mangiarseli una volta salito al cielo. I sacerdoti erano specialisti in affari celesti e rimettevano a posto le situazioni negative create da un conflitto con le divinità. In seguito i sacerdoti si specializzarono in diversi rami: dal culto all’imbalsamazione. Alcuni divennero medici. GEB E NUT

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Siamo grandi dottori! Io sono Osahar, figlio di un medico egiziano. Mio padre ha curato la moglie del faraone.

I medici egizi avevano una grande fama nell’antichità . I migliori specialisti erano dentisti, oculisti, veterinari e chirurghi. I chirurghi erano abilissimi a ricucire ferite e ad accomodare fratture. Inventarono le stecche per immobilizzare gli arti rotti. Gli ammalati si rivolgevano ai medici-sacerdoti perchÊ inviassero delle lettere di lagnanza agli dei.

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Se i messaggi non ottenevano la guarigione, i medici prescrivevano pillole fatte con oro grezzo e pasta di pane da inghiottire con birra zuccherata. Applicavano fasciature e compresse e mettevano in pratica una terapia contro il dolore avvalendosi di erbe come ELLEBORO l’elleboro. Il miele combatteva i problemi respiratori ed era spalmato sulle ustioni. I frutti della palma calmavano i dolori della colite e la malachite curava le infezioni agli occhi. I medici egiziani prescrivevano anche l’igiene del corpo che doveva essere lavato e unto con unguenti. Fra i medici c’erano anche delle donne che, in genere, si occupavano delle gravidanze e facevano le levatrici aiutando i bambini a nascere.

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IO

PICCOLO STORICO

Metti alla prova la tua bravura di piccolo storico. Qual è la risposta esatta? Colora i pallini secondo la legenda: risposta esatta risposta spiritosa ma falsa risposta errata (le soluzioni sono sul sito www.raffaellodigitale.it)

1 I l Nilo è: Un fiume europeo Un animale in via di estinzione Il fiume africano che attraversa l’Egitto 2 I l limo è: Il maschile della lima Un fango fertile depositato dalle piene del Nilo Un fango termale ottimo per le malattie della pelle

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io piccolo storico

3 I contadini dell’antico Egitto si servivano dei montoni perché: Arassero il terreno fangoso Calpestassero il terreno seminato Divorassero il grano maturo 4 I nilometri erano: Strumenti per misurare il livello del fiume Strumenti per misurare la crescita dei bambini egiziani Strumenti per calcolare la velocità di una barca sul Nilo 5 I faraoni erano: I maschi delle famose galline faraone egiziane I primi ministri dell’antico Egitto I sovrani assoluti dell’antico Egitto 6 L a doppia corona del faraone rappresentava: L’unione del regno del Sud e del regno del Nord La doppia natura, divina e umana, del faraone Il fatto che il faraone poteva camminare con due gambe

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io piccolo storico

7 Il tiaty era: Un piccolo roditore che viveva nelle piramidi Il primo ministro dell’antico Egitto Un abito corto indossato durante le feste da ballo 8 L a bevanda principale dell’antico Egitto era: La coca cola La birra Il vino 9 G li Egizi apprezzavano molto come cibo: I fichi fritti e zuccherati Le patatine fritte La carne di maiale 10 I geroglifici erano: La scrittura principale dell’antico Egitto Gli Egizi più anziani e più brontoloni I fogli sui quali i bambini egiziani imparavano a scrivere

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INDICE Pane, focacce e dolciumi ....................................................... 7 Geroglifici e sgorbi ..................................................................14 Una mummia da vicino ......................................................... 21 Medicina magica ..................................................................... 27 La sfinge di Giza ...................................................................... 31 Incontro nel buio .....................................................................38 Gita sul Nilo ...............................................................................42 Scienza medica ........................................................................49 Minacce ........................................................................................53 Il sommo sacerdote ..............................................................59 Grida nella notte .....................................................................62 Due occhi a mandorla ..........................................................69 Confidenze .................................................................................. 72 Notte nella piramide ............................................................. 75 Ritorno dall’oltretomba ......................................................80 La punizione del Nilo ............................................................ 87 Festa di capodanno ...............................................................95 Maat, la dea della giustizia ............................................. 102 Il sovrano delle Due Terre ...............................................107 Per saperne di piÚ .................................................................115 Io piccolo storico .................................................................. 138


continua online La collana è arricchita da utili attività interattive, domande, quiz, giochi, video incentrati sul mondo della storia.

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Il m is V BN te ale r 97 o d ria 8- e Co 88 lle nt i -4 72 pir -2 am 79 3- idi 4 IS

Valeria Conti

Con questo racconto potrai affacciarti sull’incredibile mondo dell’Antico Egitto: scoprirai i segreti della scrittura e della mummificazione, conoscerai le tecniche di costruzione delle piramidi e la vita quotidiana degli Egizi. Tiy e suo fratello Isesi, sulle tracce di due profanatori di tombe, entreranno in una piramide colma di oggetti preparati per la vita ultraterrena della defunta e, inseguendo i malviventi, percorreranno le terre inondate dalle acque del Nilo, per arrivare, infine, al cospetto del grandissimo faraone Chefren. Un racconto colmo di suspence e ricco di informazioni sul popolo più affascinante della Storia antica.

Valeria Conti vive a Roma, dove traduce e adatta dialoghi di film e telefilm per ragazzi. Ha scritto vari libri di narrativa per bambini, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Per Raffaello ha pubblicato Attento Gegé; Archimede, lo scienziato che difese Siracusa; Mozart e lo spartito perduto.

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O R E T S I M IL DELLE PIRAMIDI Mummie, medici, maghi nell’ ANTICO EGITTO

IL MISTERO DELLE PIRAMIDI

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

GIZA, 2575 A.C.

Valeria Conti


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