Il pozzo dei dalit

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Collana di narrativa per ragazzi


Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Consulenza scientifica: Giovanna Marchegiani Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Mauro Aquilanti, AtosCrea Copertina: Mauro Aquilanti 1a Edizione 2015 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

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Paola Valente

Il pozzo dei dalIT Illustrazioni di Marga Biazzi

A Elio e a Ivano, amici



Alla ricerca dell’acqua

Un raggio di sole gli sfiorò le palpebre. Ramesh spa-

lancò gli occhi e fu abbagliato dalla luce polverosa del primo mattino. La piccola stanza era già caldissima. Il bambino si sollevò un poco e, sorreggendosi il capo con una mano, tentò di capire che cosa gli aveva reso difficile il sonno notturno, quel sonno profondissimo da cui faceva fatica a risvegliarsi. A pochi passi da lui, distesa su una stuoia, dormiva la mamma. Adesso però non dormiva: aveva gli occhi sbarrati e lucidi, la fronte sudata e i capelli neri incollati alle tempie, viscidi come serpenti. – Mamma? – sussurrò Ramesh. 5


Lei rispose con un gemito e poi, con grande fatica, chiese dell’acqua. Era evidente che aveva la febbre e che era stata lei a disturbarlo nel sonno. Il bambino rotolò sul pavimento, fuori dagli stracci che gli facevano da giaciglio, si alzò e andò nel punto più riparato della capanna, dove c’era un bidone di plastica azzurra. Sollevò il coperchio e subito un nugolo di mosche si materializzò sull’apertura. Prese un ramaiolo e sondò il fondo del recipiente, dove era rimasto del liquido torbido. L’acqua era quasi terminata. Ramesh ne pescò un po’ e la portò alla mamma. Le tenne sollevata la testa mentre beveva. Gliene colò un filo lungo il mento e ricadde esausta sulla stuoia. – Oggi non riuscirò a lavorare – disse la donna. Era ancora giovane, poco più che una ragazza, ma era già vedova. Il corpo emaciato, il viso scavato, portava su di sé tutti i segni di una sofferenza antica. Chiuse gli occhi e il suo respiro diventò affannoso. Un paio di mosche le si appiccicarono all’angolo delle palpebre. – Non ti preoccupare, mamma. Lavorerò io per te. Prima però devo trovare dell’acqua – affermò Ramesh con baldanza. Nonostante fosse piccino, l’aveva già sostituita alcune volte quando gli attacchi di malaria le impedivano di alzarsi. 6


– Se non avessi te… – sussurrava lei senza terminare mai la frase. Ramesh sapeva che cosa avrebbe aggiunto: se non avessi te, sarei stata cacciata dal villaggio. Era il destino delle vedove dei paria senza figli maschi. Il bambino prese il secchiello ammaccato che serviva per prendere l’acqua. Uscì dalla baracca che si trovava nella parte più sudicia e polverosa del villaggio, abbastanza lontana dalle altre case e controvento rispetto a quelle, in modo che neppure l’odore degli intoccabili raggiungesse gli appartenenti alle caste superiori. C’erano altre baracche di dalit lì intorno, costruite con assi malamente inchiodate, pezzi di cartone, stracci, teli di nylon. Sorgevano in un avvallamento del terreno tra pietrame, polvere rossa e rade piante rinsecchite brucate da capre magre e ossute. C’era anche lo scheletro di un autobus, con due vecchi e una bambina che ci dormivano dentro, e perfino una casa scavata nella terra, poco più di un buco, abitata da quattro persone. Ramesh imboccò un sentiero in leggera salita. I suoi piedini nudi battevano ritmicamente la terra facendo fuggire enormi coleotteri color piombo. Una grande mucca bianca era stravaccata in mezzo al sentiero. Aveva una faccia sorniona, occhi liquidi e una ghirlanda di fiori di carta le adornava le corna. I fiori, coperti com’erano di mosche, sembravano vivi. Il bambino si guardò intorno con attenzione. Accertatosi che in giro non c’era nessuno, 7


posò ambedue le mani sulla schiena della bestia e saltò dall’altra parte con uno strillo di vittoria. La mucca non si scompose e continuò a ruminare assorta nella difficile digestione. Uno sciame di mosche si alzò ronzando nell’aria rovente. Quasi subito gli insetti ritornarono ad affollare la ghirlanda. – Hai toccato la sacra vacca di Krishna – disse una vocetta petulante. Ramesh sussultò e il cuore gli salì in gola. Si era dimenticato di guardare in alto, sopra il vecchio ficus contorto, le cui radici attraversavano il sentiero chiazzato dall’ampia ombra della chioma. Trattenne il respiro e poi sbuffò sollevato. Fra i rami c’era solo Lalita, la bambina che viveva nella carcassa dell’autobus, una piccola insolente dalle unghie dei piedi lunghe come artigli. Il suo corpo bruno brillava tra le foglie, coperto solo da un drappo lurido che le cingeva i fianchi. – Fatti gli affari tuoi – le disse. – Dove stai andando così di corsa? – Dove mi pare. – La tua mamma sta male di nuovo, vero? Non è ancora uscita. Ramesh si trattenne dal raccogliere un sasso per scagliarglielo addosso. Il pensiero della mamma diventò all’improvviso così urgente che lui si degnò di rispondere in modo cortese, anche se non era dignitoso parlare con una femmina. 8


– Devo trovare dell’acqua e poi andrò a lavorare al posto suo. – Non abbiamo accesso al pozzo. – Lo so benissimo. È inutile che me lo ricordi ma devo comunque trovare dell’acqua. Pulita. – Pulita? Per noi non c’è acqua pulita – mormorò la piccola con un sorriso birichino. Ramesh scrollò le spalle e riprese il cammino. Arrivò sull’orlo dell’avvallamento e sbucò su una piana soleggiata. All’orizzonte si stagliavano alte montagne azzurre così lontane da sembrare un miraggio. Il bambino non sapeva come si chiamavano. Erano coperte di neve e la neve era formata da acqua solida. Acqua che avrebbe potuto dissetare tutta la sua terra, l’India. Ce n’era tanta lassù ma pochissima nel suo villaggio. I pochi ricchi che vi abitavano avevano l’acqua in casa perché potevano riempire in continuazione gli enormi serbatoi che stavano sui tetti oppure possedevano un pozzo privato. Gli altri attingevano all’unico pozzo pubblico con una pompa a motore. Chi poteva permettersi di pagare il carburante prendeva l’acqua senza faticare troppo, chi non aveva abbastanza denaro la tirava su a mano. Era acqua pulita che sgorgava dalle profondità insondabili della madre terra, con cui ci si poteva lavare, si poteva cucinare e bere. Ramesh non poteva attingere dal pozzo perché lui apparteneva alla casta dei dalit, i paria, gli intoccabili. 9


Continuò a camminare verso il centro del villaggio. Incrociò un contadino su una motoretta carica all’inverosimile degli attrezzi del mestiere, alcune donne che indossavano sari color ciliegia con cavigliere d’argento che tintinnavano sui piedi nudi, due bambini grandi come lui ma benvestiti. Essi si scostarono al suo passaggio e lui abbassò gli occhi dopo aver adocchiato i ghiaccioli che succhiavano con golosità. Quei gelati gialli e gocciolanti gli fecero venir sete. Pensò a sua madre e affrettò il passo. Il pozzo, al centro del villaggio, era come al solito inavvicinabile. C’era sempre qualcuno nei dintorni e forse solo a notte fonda avrebbe potuto rubare un po’ d’acqua. Avrebbe anche potuto aspettare che una persona attingesse per lui ma spesso l’attesa era vana e non aveva proprio tempo. Di fronte al pozzo, davanti all’emporio dove c’era un frigorifero pieno di coca cola che ronzava peggio delle mosche, alcuni uomini fumavano sigarette lunghe e brune. Una ragazza dalla lunghissima treccia nera, che scendeva quasi a toccarle i talloni, camminava sul bordo della strada conducendo con sé un bambino recalcitrante e sorreggendo una brocca. Un toro con il naso incredibilmente largo e lucido si strofinava contro le pareti di una casa. Un vecchio, seduto sulla soglia con le gambe incrociate, mangiava dei legumi con chapati. 10


– Te l’avevo detto – mormorò la solita vocina petulante. Ramesh si voltò di scatto: Lalita lo aveva seguito silenziosa come un serpente. – Lasciami in pace brutta scimmia. – La tua mamma non potrà bere. La tua mamma morirà – cantilenò la bambina per tutta risposta. Ramesh raccolse una pietra ma lei fu pronta a ripararsi dietro il tronco di una grossa cassia dove era legato un asinello tremante. – Se non te ne andrai… – la minacciò il bambino senza finire la frase ma la bimba non si scompose e, con una risata impertinente, disse: – Devi andare dalla Signora del Cimitero. Ormai solo lei potrà aiutarti. Le girò le spalle, non valeva la pena perdere tempo con quella stracciona. Attraversò il villaggio senza girarsi, raggiunse un fosso dietro le case. Un rigagnolo d’acqua scorreva lentamente perdendosi fra i campi. Ramesh andò a monte, prima delle abitazioni, dove il ruscello non era contaminato dall’attività delle donne che vi lavavano i panni e le stoviglie. Non gli era consentito prendere acqua neppure da lì ma si trattava di un’emergenza. Si guardò intorno e poi riempì velocemente il secchiello. Nell’acqua galleggiavano foglie, rametti e qualche insetto morto e, nel fondo, c’era del fango. Per ritornare a casa fece un giro largo: temeva che qualche ragazzino dispettoso gli rovesciasse il recipiente. 11


Avrebbe dovuto subire, senza difendersi e senza neppure protestare. Raggiunse la baracca dove abitava quando il sole ormai era già alto. Faceva molto caldo e le mosche brulicavano impazzite su un mucchio di rifiuti. Entrò in casa. La mamma era ancora distesa sulla stuoia e sembrava assopita. Senza disturbarla, versò l’acqua nel bidone azzurro filtrandola con uno straccio. Poi sollevò il coperchio di un pentolino dove la sera prima era stato cotto del riso. Ne mangiò un paio di manciate. Prese quindi l’occorrente per andare a lavorare al posto di sua madre e uscì di nuovo.

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