L'isola del sole

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Simona Dolce

, A L O L IS E L L DE SO

Mi chiamo Khouma. Sono a Lampedusa. Da solo.


La vita raccontata agli adulti di domani


Editor: Patrizia Ceccarelli Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini Progetto grafico: Mauro Aquilanti Impaginazione: Valentina Mazzarini Copertina: Mauro Aquilanti Ufficio stampa: Francesca Vici I Edizione 2019 Ristampa 5 4 3 2 1 0 2024 2023 2022 2021 2020 2019 Tutti i diritti sono riservati © 2019 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 – 60037 – Monte San Vito (AN) info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

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Simona Dolce

, A L O L IS E L L E O D S



L’ALBERO DEL SOLE

Di notte, il mare all’orizzonte scintilla. Non sono mai le luci delle barche ma il riflesso delle stelle e la scia della gigantesca luna che sorveglia le onde dall’alto. Poi, al mattino, l’acqua di cristallo e lucciole oltre la sua finestra ritorna a essere quella di sempre. Al mattino è una presenza scontata tanto quanto il soffitto azzurro, le figurine dei calciatori sul diario, o le minuscole crepe sul muro di camera sua. Sebastiano spesso indugia per un momento prima di raccogliere l’ultimo quaderno lasciato sulla scrivania di fronte alla finestra e correre a scuola. Rimane incantato ad ammirare quanto sia limpida e immensa quella distesa d’acqua che circonda la casa. Certo, non solo la sua casa. Tutto il paese ne è circondato. Lo si vede bene se ci si spinge fino all’Albero del Sole. Sebastiano lo fa spesso prima di ritornare da scuola, e ci va sempre nei giorni di vacanza: monta sulla sua bici, pedala fino al punto più alto di Lampedusa. Evita le buche grosse e le pietre appuntite, traballa lungo Viale della Forbice ma una

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volta giunto alla strada sterrata deve scendere dal sellino. Sebastiano tiene le mani sul manubrio e continua a piedi fino alla scogliera più alta dell’isola. Sceglie l’angolo che preferisce, il più vicino possibile al bordo, proprio dove sua madre non gli permetterebbe mai di stare. Da lassù ha sempre l’impressione di poter cogliere la varietà del mondo, per questo gli piace. C’è ogni cosa, la più piccola briciola di arenaria e la grande massa d’acqua intorno. La parete di roccia sembra precipitare in mare come tutto il resto. Come il sole. Come i sassi che Sebastiano scaglia da lì quando è arrabbiato. Come le lucertole che lascia scivolare quando si sdraia a pancia in giù sul terreno, con una mano penzoloni giocando a essere un dio crudele e mollando la presa all’improvviso. Quel che è certo è che il mare resta sempre lì, in tempesta o quieto, azzurro oppure oscuro, il mare resta. E resta lì anche quando Sebastiano scorge galeoni di pirati con il suo prezioso binocolo. Li vede all’orizzonte affollare barche enormi e lontane. Vede le bandiere nere con il teschio bianco. Vede gambe di legno, e spade grondanti sangue, e casse piene di gioielli che luccicano proprio come fanno le onde con i raggi del sole. Sebastiano percorre tutta l’isola. Corre dovunque, in cima a Cala Sacramento, fino alla fine di Linosa o dritto a tutta velocità sulla Strada di Ponente sfidando il vento senza braccia sul manubrio, o chino sulle ginocchia con la sensazione di planare sull’asfalto, ma in fondo alla corsa, ovunque egli vada, ne è sicuro, c’è sempre il mare. Ed è così che si sente Sebastiano, proprio come tutti gli altri a Lampedusa.

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Lui si sente avvinghiato dal mare. Preso in pugno in una grande mano possente di acqua e di tempeste. O circondato da una distesa piana e limpida come uno specchio. Oppure abbracciato da una brezza umida e gentile. Qualche volta è una sensazione piacevole, gli dà sicurezza. Qualche altra volta lo fa arrabbiare, o persino spaventare. Se il mare diventa agitato tutta l’isola resta in silenzio, come ad attendere che passi la rabbia dell’acqua, che vada via insieme alla burrasca. Come un bambino rimane zitto aspettando che il padre infuriato si calmi, così Sebastiano guarda il mare agitarsi, gonfiarsi, montare sempre di più. E ha paura. – Sebastiano devi sempre stare attento. Il mare è immenso, è così grande che qualche volta può ferire. La mamma glielo ripete spesso, lo dice anche a suo padre quando esce con la barca per pescare. – Il mare è immenso. Il mare può ferire. Una nenia, forse una formula magica per scongiurare il pericolo. E sempre, prima che papà esca, la mamma gli dà un bacio. Un bacio portafortuna, un bacio benedizione. È proprio come il bacio che la mamma dà alla madonnina di gesso sopra il letto ogni notte prima di addormentarsi. La madonnina che ha occhi celesti, labbra rosse e gote rosa. La mamma la bacia tutte le sere, e Sebastiano si chiede se sia per riceverne protezione o per restituirla.

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SEBASTIANO

Il dodici dicembre Sebastiano ritorna da scuola in ritardo. Fa ancora molto caldo, nonostante nelle case brillino già presepi e alberelli di Natale, e lui sente le cinghie dello zaino schiacciargli le spalle e la maglietta di lana pizzicargli il petto. La mamma pretende che lui la metta ancora. Nessuno dei suoi compagni, che lui sappia, ne indossa una. Sebastiano è l’unico ad avere la maglia intima di lana in inverno, e di cotone in estate. È l’unico a portarsi la merenda fatta dalla mamma, quasi sempre pane e prosciutto avvolti nella carta argentata con un tovagliolo intorno che profuma di lievito e burro. È l’unico a non avere nemmeno un videogioco, anche se usa sempre quelli di Giacomo, ed è l’unico ad aver disegnato una mappa dell’isola per tracciare i movimenti dei pirati intorno alla costa, ma questo è un segreto che non conosce nessuno. Correndo, attraversa il groviglio di stradine verso casa. Sono talmente fitte e contorte che sembra partecipino alla sua corsa giocando a complicarla un po’. Lo zaino sobbalza sulla schiena, le cinghie gli tirano le spalle. Intorno a lui ci sono i soliti caseggiati bassi e le fioriere accanto alle porte d’ingresso.

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Alcune smunte senza fiori, altre rigogliose, ma tutte sono piene di sabbia e terriccio secco del deserto. Il grande Sahara oltre la linea dell’orizzonte. Il vento che spira tutti i giorni ne porta milioni di granelli. Sebastiano e gli altri la sentono sulla pelle questa mistura di sabbia africana e di salsedine, l’aria umida che si incolla al corpo e profuma di mare e di alghe e di conchiglie vuote. Alghe e mare, intrecciati insieme, l’intima sostanza di questo luogo, la natura dell’isola, la sua vegetazione molle e misteriosa. A ogni passo sente i libri sobbalzare sulla schiena come a frustate, inutile continuare a correre. Sebastiano si guarda intorno ma in giro non vede nessuno. Solo altri bambini che come lui tornano a casa, ma non un adulto per le strade, non una mamma affacciata al balcone o sulla soglia con la porta spalancata ad aspettare. Se ci fa attenzione non c’è nemmeno il solito rumore di stoviglie che di solito rimbomba da una finestra all’altra, come un’eco fra i vetri, e giù fino alla strada. L’odore del sugo pronto, delle fettine arrosto o della pasta al forno. Magari l’odore delle patatine fritte, lui ne va pazzo. Se la mamma le avesse preparate di sicuro Sebastiano avrebbe pronunciato una delle sue frasi enfatiche e teatrali che la fanno ridere tanto: – Questo è il bambino più felice del mondo, mamma! – gli piace fare il buffone per lei. E una volta a tavola ne avrebbe afferrate un bel mucchietto con le mani, le dita tutte unte d’olio e l’olio anche intorno alle labbra.

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Le patatine fritte sono l’eccezione a tutte le regole della buona educazione, che poi sono tutte le regole della mamma. Sebastiano può dimenticare la forchetta e può non usare il tovagliolo, può persino bere l’acqua senza prima pulirsi. Le patatine fritte che scrocchiano in bocca sono la libertà e cioè la gioia. Ma oggi niente patatine né fettine arrosto, non c’è nemmeno la mamma affacciata al balcone ad aspettare il suo arrivo. Quindi prima di salire su, raggiunge Giacomo, il suo migliore amico, al campetto di fronte. Solo un paio di rigori e poi correrà per le scale in tempo per non farsi sgridare dalla mamma. Sebastiano butta lo zaino in un angolo. Ci mette sopra anche il giubbotto, e corre verso la porta. Il suo migliore amico Giacomo è solo furia e combustibile. Che sia da solo o no, quando calcia il pallone, il più delle volte non mira a fare gol ma ad amplificare l’effetto, a rendere ogni lancio più spettacolare. Ama le acrobazie, i tiri di pura forza e quelli che vanno a infrangersi contro le saracinesche per esplodere in un boato. Giacomo è impaziente, elettrico, in continuo movimento. Sebastiano lo ha visto spesso urlare forte, sradicare cespugli con foga, tirare pietre ai gatti o distruggere costruzioni di lego con un calcio improvviso. Gli sfoghi di Giacomo sono naturali e inaspettati come un temporale ad agosto. E proprio come i temporali ad agosto, non sono conseguenza di nulla, e non sono presagio di nulla. Accadono e basta.

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Sebastiano non ne ha paura, eppure tutte le volte che assiste alle esplosioni dell’amico è grato che quella violenza non sia rivolta a lui, perché se mai lo fosse Sebastiano resterebbe immobile, di questo ne è sicuro. Sa di non essere il bambino più coraggioso del mondo ma non è nemmeno un fifone. Quello che Sebastiano prova di fronte all’irruenza di Giacomo è una strana forma di fascinazione. Che fare di fronte al fuoco, che fare di fronte alle vipere o alle onde grosse? Guardare, scrutare, ammirarne la potenza, nient’altro. Sebastiano si mette in porta. Giacomo tira i suoi rigori, urla che sono bombe atomiche che devono distruggere la rete e ogni forma di vita. Sebastiano non riesce a pararne nemmeno uno. Ma in compenso quando è il suo turno, riesce a segnare due goal di fronte al portiere più esagitato della storia del calcio mondiale. – Non mi va più di giocare, torniamo a casa – fa Giacomo. – Dici così perché hai perso – ma d’altra parte nemmeno Sebastiano è convinto di aver vinto. – Che ne sai tu? Non vinci mai nulla. Sebastiano chiude gli occhi mentre dà le spalle al suo migliore amico. Conosce le sue strategie, deve sempre rilanciare se si sente prevaricato e Sebastiano di solito lo lascia fare. Rimane zitto. Strizza le palpebre, il sudore che scivola dalle sopracciglia gli bagna i capelli neri, le piccole gocce gli solleticano il labbro superiore dove è già comparsa la prima peluria sottile, non ha voglia di litigare adesso. Non ha mai voglia di litigare con Giacomo anche quando lui fa di tutto affinché esploda.

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Stringe gli occhi e quando li riapre il campetto e la strada sono fotografie chiazzate di giallo elettrico e ombre nere. L’amico è di spalle di fronte a lui, e sta già camminando verso casa. Meglio così. Che Giacomo faccia quello che vuole, due goal per ciascuno, pensa, in realtà sono pari.

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