L'eco delle battaglie

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Michele Santuliana



IL MULINO A VENTO

IL MULINO A VENTO Per volare con la fantasia

IL MULINO A VENTO

IL MULINO A VENTO Collana di narrativa per ragazzi

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Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Approfondimenti e schede didattiche: Michele Santuliana e Paola Valente Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: AtosCrea 1a Edizione 2014 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1

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Michele Santuliana

L’eco delle battaglie Un racconto sulla Grande Guerra per riflettere sulla pace

Illustrazioni di

Mauro Marchesi


Ai miei cinque lettori: Emanuela, Paola, Alessandro, Maria, Sira. Grazie.

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A voi piace la storia? A voi piace la storia?

Lo so, è una domanda rischiosa: non proprio come chiedere in una classe quanti sono bravi in matematica, ma quasi. A me, ad esempio, la storia piace molto. Mi piaceva prima ancora che cominciassi a studiarla a scuola. Ricordo che uno dei primi libri che lessi era uno splendido volume illustrato sugli uomini della preistoria. Mi conquistò subito: era appassionante conoscere le vicende di quei nostri lontani antenati, il loro modo di vivere, di vestire, di procurarsi il cibo tra mille pericoli e insidie. Ammetto però che non tutti la pensano in questo modo. Molti vedono la storia solo come una serie infinita di nomi e di date da ricordare. Anche mio fratello la vedeva così e non la studiava volentieri. Almeno, prima che ci capitasse l’avventura che sto per raccontarvi… – È una noia mortale – diceva ogni volta che doveva aprire il quaderno e svolgere i compiti per casa. E altre volte, quand’era di cattivo umore, esclamava: – Preferirei andare dal dentista, piuttosto che studiare queste cose!

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Io evitavo di commentare, non volendo scatenare assurde guerre domestiche. A volte, però, lo aiutavo a ripassare prima di una verifica o di un’interrogazione e gli davo qualche dritta per aiutarlo a ricordare. – Quand’è morto Alessandro Magno? – chiedevo. Lui corrugava la fronte e si dava una grattatina al naso, lo faceva sempre di fronte a un problema difficile. – Uhm, duecentoven… – No, alza. – Trecentotren… – Ora abbassa. – Ecco, vedi? È impossibile ricordarsela! – diceva. – Aspetta, non è così difficile. Pensa alla targa della macchina di Paperino ma aggiungi una decina. – Uhm… trecentoventitre? – Esatto! – Però è più divertente pensare alla macchina di Paperino che ad Alessandro Magno, uffa! – Dipende… Immagina Alessandro Magno che guida la macchina di Paperino! – concludevo io. L’importante era che non mi uscissero di bocca dei rimproveri o dei commenti sulla sua preparazione. Secondo mio fratello, infatti, il fatto di avere quasi due anni in meno di lui e, soprattutto, di essere femmina non mi consentivano in alcun modo di criticarlo.

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Fortunatamente sono di indole pacifica e non mi piacciono i litigi. Porto un nome che mi ricorda in ogni momento come la soluzione dei problemi vada cercata con serenità e dialogo. Mi chiamo Irene, una parola che proviene dalla lingua greca antica e significa “pace”. Mio fratello invece si chiama Emanuele e, come dicevo, sostiene di avere quasi due anni in più di me. In realtà, a voler essere precisi, sono solo un anno e otto mesi. La nostra è una famiglia come tante altre. Nulla di strano: nessun papà giocoliere di circo, nessuna mamma pilota di dirigibili, nessuna casa galleggiante o circondata da boschi incantati. Mamma è una maestra, papà è un operaio specializzato. Io e mio fratello siamo diversi ma ci vogliamo bene e, nonostante qualche screzio ogni tanto, andiamo d’accordo. Abbiamo imparato a non fermarci alle differenze, ma a trarre il meglio dalle nostre particolarità. E questo, forse, anche grazie all’avventura che sto per raccontarvi.

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Vacanze? Sì, ma… Era giugno e l’anno scolastico ormai volgeva al

termine. In classe si avvertiva un’aria frizzante, profumata di vacanze, di giochi all’aperto, di avventure al mare o in montagna, di nuovi amici e nuove esperienze. All’epoca stavo terminando la quarta elementare e la mia aula si trovava al piano terra della scuola, proprio sotto la quinta B, la classe di mio fratello Emanuele. E spesso, attraverso le finestre aperte, sentivamo l’euforia dei nostri compagni più grandi, prontamente seguita dai richiami delle maestre. “Beati loro!” pensavamo scrutando il soffitto. Non avrebbero avuto lezioni per le vacanze ma un’estate libera da impegni scolastici. Ogni giorno, al suono della campanella, io ed Emanuele tornavamo a casa assieme. La scuola distava da casa nostra non più di due isolati. Vivevamo nella periferia di una graziosa città stretta tra le colline e il mare, più o meno al centro dell’Italia. Non era una città molto grande, ma era ricca di storia e di cose belle da vedere.

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L’ultimo giorno di scuola, davanti ai cancelli, trovammo una sorpresa: ci stavano aspettando mamma e papà. La cosa ci stupì. A volte accadeva che la mamma venisse a prenderci, ma quasi mai questo capitava con papà poiché gli orari della fabbrica in cui lavorava non gli consentivano che brevi pause, durante le quali pranzava in mensa. – Che ci fa papà qui? – domandai a Emanuele. Mio fratello non seppe darmi risposta. – Spero non si tratti di qualche problema – rispose. L’anno prima infatti papà aveva perso il lavoro a causa della crisi economica. Erano seguiti mesi difficili, in cui ogni spesa veniva ponderata con cura e in cui il clima in famiglia era spesso teso; ogni sciocchezza innescava reazioni a catena. Dopo innumerevoli tentativi a vuoto, lettere, colloqui e richieste respinte, papà era stato finalmente assunto in un’azienda che produceva pannelli solari. Le difficoltà passate ci avevano resi diffidenti verso gli imprevisti, ma anche piuttosto maturi. Le nostre ansie furono comunque presto fugate dall’atteggiamento affettuoso dei nostri genitori. Papà, oltretutto, si affrettò a spiegare che non c’era nessun problema al lavoro e che sarebbe rientrato in fabbrica dopo pranzo. – Eh, il lavoro non manca, anzi! – esclamò con fare misterioso, strizzando l’occhio verso la mamma.

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Io ed Emanuele ci guardammo senza capire. Non potevamo immaginare la notizia che ci attendeva di lì a pochi istanti. Papà ci portò a pranzo in una trattoria in cui ci recavamo ogni tanto. Ricordo che ordinammo tutti spaghetti all’amatriciana, la specialità della casa, per me ed Emanuele in versione poco piccante. Mentre attendevamo le portate, papà guardò ancora una volta la mamma. Lei annuì e a quel punto lui prese la parola. – Ragazzi, io e la mamma dobbiamo darvi una notizia importante. Seguì un istante di silenzio carico di mistero. – Una notizia – proseguì papà – che riguarda voi e le vacanze. I nostri sguardi si illuminarono. Pensai subito ai vecchi viaggi tra i borghi dell’Appennino, o a quelli nelle città di Firenze o Torino. Un anno eravamo andati pure all’isola d’Elba, affascinante e ricca come non mai di storia e bellezza. Tutto fino all’anno prima. L’estate precedente ci eravamo dovuti accontentare di qualche giornata sulla spiaggia libera della città. La voce di papà mi riportò sulla terra. – Ragazzi, il mio nuovo lavoro non mi consente di avere delle ferie per più di qualche giorno, tuttavia pensiamo che vi meritiate una vacanza. Sarebbe per voi il primo anno da soli, senza di noi, per cui…

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– … per cui – concluse la mamma, – abbiamo chiesto ai nonni Alfonso e Luisa di ospitarvi. Hanno affittato per tutta l’estate una casa in montagna e vi accoglieranno molto volentieri. La notizia mi rese felicissima: i genitori della mamma erano simpatici e cordiali e ci dispiaceva di vederli solamente in poche occasioni durante l’anno. La mamma era originaria del Veneto e i nonni vivevano in quella regione, in una città non molto più grande della nostra. Ogni volta che li andavamo a trovare ci riempivano di attenzioni e ci rimpinzavano di cibo. Inoltre mi facevano ridere per come parlavano, con un accento del tutto diverso dal nostro: saliva e scendeva come una melodia e non batteva le doppie. Guardai mamma e papà con un sorriso di soddisfazione, mentre mio fratello non pareva entusiasta. – Non sei contento, Emanuele? – chiese la mamma. – Non molto… In quell’istante arrivarono i nostri spaghetti all’amatriciana. – Quando partiamo? – domandai. Papà si infilò il tovagliolo nel colletto della camicia. – Tra una decina di giorni – disse. – Noi vi accompagneremo e ci fermeremo per il fine settimana, poi torneremo a riprendervi alla fine di agosto. Passerete con loro circa un paio di mesi.

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Emanuele fece una smorfia. – E dove sarebbe questo posto? – domandò. – Oh, abbiamo dimenticato di dirvelo – esclamò papà. – Si chiama Asiago, è un magnifico luogo di villeggiatura, un ridente paese sulle Prealpi Vicentine. All’udire quel nome, una lampadina si accese in me. Ero sicura di aver già sentito o letto da qualche parte il nome “Asiago”, ma non riuscivo a ricordare né dove né quando.

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La medaglia d’oro Augusto Martinelli Passai i giorni seguenti facendo il conto alla rovescia

del tempo che ci separava dalla partenza. Nel frattempo il nome della località continuava a ronzarmi in testa. “Asiago, Asiago” ripetevo fra me. Dove avevo incontrato quel nome? Su qualche libro? Non ne ero sicura. Sentito alla televisione? Forse. Letto sul cartello di una qualche via? Mah… Nel pomeriggio precedente la nostra partenza, mentre coloravo un disegno, mi ricordai. Non si trattava di un cartello, bensì di una lapide incastonata nel muro di un palazzo del centro. Corsi in salotto e mi avvicinai alla mensola della libreria che ospitava i testi sulla nostra città. All’interno di un volume pesantissimo, pieno di fotografie, trovai un’immagine abbastanza nitida della parete in cui era fissata la lapide. Nonostante la foto fosse stata scattata da una certa distanza, le parole si distinguevano nettamente. In questa casa nacque il 28 settembre 1885 la medaglia d’oro Augusto Martinelli caduto sul fronte di Asiago il 30 maggio 1916


Ora ricordavo perfettamente. Una domenica, passando davanti a quel palazzo, avevo chiesto chi fosse quell’Augusto Martinelli. – Un soldato morto durante la Prima Guerra Mondiale e decorato con una medaglia al valore – era stata la risposta della mamma. – Sì, ad Asiago, una località di montagna del Veneto – aveva aggiunto papà. Dunque tutto tornava. Però adesso mi vennero in mente altre domande. Quando era avvenuta la Prima Guerra Mondiale? Perché si era combattuta sulle montagne? Che cosa era accaduto con quella guerra? Quanti uomini erano morti? Volevo saperne di più. Cercai tra le mensole della libreria un testo che facesse al caso mio. In quel mentre mio fratello entrò nella stanza. In viso aveva un’espressione cupa. – Cosa c’è? – gli domandai. – Non ho voglia di partire – rispose secco. – Mamma e papà ci scaricano come due sacchetti della spesa. A loro non importa di noi. – Non dire così. Sai che non è vero. Ci divertiremo coi nonni, vedrai. La nonna ci racconterà i suoi record sportivi e il nonno ci cucinerà la polenta col formaggio e i funghi. Del resto chi conosci che abbia un nonno giornalista e una nonna campionessa sportiva? Solo questo è già tutto un programma, non credi?

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– Questo di sicuro … – disse Emanuele ridacchiando. In effetti le particolarità della nostra famiglia erano cose talmente note che spesso ce ne dimenticavamo. La nonna Luisa da giovane era stata campionessa di Pentathlon, una delle prime donne a praticare quella disciplina sportiva. Nonno Alfonso l’aveva conosciuta all’inizio della sua carriera di giornalista. Curava la pagina sportiva per un piccolo quotidiano locale e qualche mese dopo l’aveva intervistata per conto del giornale. Evidentemente dovevano aver fatto colpo l’uno sull’altra. Un anno dopo si erano sposati e un anno dopo ancora era nata la mamma. Quel pomeriggio, il ricordo dei nonni servì a rasserenare mio fratello Emanuele sul nostro destino estivo. Io invece avevo altro in mente, qualcosa che la medaglia d’oro Augusto Martinelli aveva acceso all’improvviso.

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Una coppia di poderosi cannoni lungo la strada Eravamo per strada ormai da qualche ora quando

papà ricevette una telefonata. Era impossibile non riconoscere, attraverso il cellulare, la voce squillante della nonna. – Buongiorno, Luisa – rispose papà dopo aver indossato l’auricolare, – siamo partiti in orario ma abbiamo incontrato parecchio traffico nella zona di Bologna. – E ti pareva! – esclamò la nonna dall’altro capo. – L’Italia è il paese del traffico e delle code! Se tutti imparassimo a muoverci di più con le gambe e meno con i motori… A ogni modo, spero siate in arrivo ormai! A me scappò da ridere. Avevamo dormito per tutto il viaggio e ora sonnecchiavamo accoccolati sui sedili posteriori. Come si faceva a non ridere quando la nonna telefonava? Lei, quando si accostava all’apparecchio, non parlava, urlava. Urlava tutto, dalle parole ai sospiri, senza pensarci; a volte canticchiava persino. – Ci vorrà ancora un po’ – disse il papà. Emanuele guardò l’orologio. – Che ore sono? – gli chiesi. Io l’orologio non lo portavo mai.

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– Le dieci passate. Nel frattempo la conversazione tra la nonna e il papà volgeva al termine. – Mi raccomando, chiamate se avete bisogno di indicazioni o altro. Vi aspettiamo per pranzo! Il papà ringraziò e salutò a sua volta. – A dopo! – urlò la nonna, tanto forte che papà, posato l’auricolare, si massaggiò l’orecchio. Quindi, guardò attraverso lo specchietto retrovisore.


– Oh, vi siete svegliati finalmente – esclamò rivolto a me e mio fratello. – Va tutto bene lì dietro? – fece eco la mamma. Annuimmo. Papà guidava concentrato, la mamma osservava assorta dal finestrino, mio fratello prese a giocare con un videogioco. Guardai anch’io dal finestrino e scrutai il paesaggio che l’autostrada offriva. Com’era diverso rispetto a quello di casa nostra! Nella nostra regione era facile orientarsi: da una parte il mare, dall’altra colline verdeggianti o coltivate; qui, invece, solo una vasta pianura, ricca di campi e al contempo disseminata di costruzioni d’ogni tipo, da vecchie cascine a capannoni di cemento grigio. – Dove siamo? – chiesi. – Abbiamo da poco oltrepassato Padova, la città in cui ho studiato quand’ero all’università – rispose la mamma. Quel riferimento all’università risvegliò in me, chissà come, il ricordo della sera precedente. – Mamma – continuai, – ma nel posto dove stiamo andando si è combattuta una guerra? – Sì, Irene. Sull’altopiano di Asiago si combatterono aspre battaglie. Le montagne del vicentino furono uno dei luoghi attraverso cui passava il fronte durante la Prima Guerra Mondiale.

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– Me lo sono sempre chiesto – intervenne Emanuele, che, come tutti i maschi, si animava sempre al sentir parlare di battaglie e combattimenti, – ma perché si chiama “mondiale”? – Perché quella guerra coinvolse numerosi paesi in tutto il mondo – spiegò la mamma. – E accadde molti anni fa? – chiesi. – Proprio cento anni fa: iniziò nel 1914 e durò fino al 1918. Ma vedrete che una volta arrivati lassù il nonno Alfonso vi racconterà tutto quello che vorrete sapere. Lui sa molto più di me sull’argomento. Ha scritto anche numerosi articoli a riguardo. Io non dissi nulla. Se la storia mi appassionava, sentir parlare di guerra mi provocava uno stato di inquietudine. Quando in un museo osservavo con interesse un elmo o una corazza era perché mi stupivo dell’abilità necessaria per realizzarli, ma lo scopo di quegli strumenti mi metteva i brividi. Ricordai le immagini viste un giorno al telegiornale, scene di una guerra in un paese africano in cui addirittura dei bambini non molto più grandi di me sorridevano imbracciando il fucile. Scossi il capo disgustata: io da sempre odio le guerre. Presto la mente si liberò. Venti minuti dopo la telefonata con la nonna, all’orizzonte apparve il profilo imponente delle montagne.

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– Ecco l’altopiano di Asiago – disse papà. – Tra poco meno di un’ora saremo arrivati. Fu quella la parte più bella del viaggio. Uscimmo dall’autostrada e imboccammo una via che ci portò fin sotto ai monti. Visti da così vicino apparivano ancora più imponenti, coi loro fianchi ripidi e scuri, gli spuntoni di roccia e qualche casa sperduta aggrappata lungo i pendii. Quando poi cominciammo a salire, l’emozione crebbe: man mano che ci lasciavamo alle spalle la pianura, ci sembrava di staccarci da un mondo per entrare in un altro. Non sono mai stata in aeroplano, ma credo che volando si provi una sensazione simile a quella che sentii io quella mattina di fine giugno. E non era finita: tornante dopo tornante, la mia curiosità si accendeva. Il paesaggio cambiava, la vegetazione pure, finché la pianura, ormai divenuta piccola e lontana come in una carta geografica, sparì e ci ritrovammo in un bosco di conifere. – Sentite che aria di montagna! – esclamò papà abbassando il finestrino. – Brrr, che freddo! – brontolò Emanuele. In effetti ci investì una folata di vento fresco. Poco dopo tornammo a rivedere i segni dell’uomo. Io e mio fratello ci incollammo ai finestrini mentre passavamo sotto un enorme arco, al centro del quale campeggiava la scritta: “Benvenuti sull’Altopiano”.

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Dunque era quello l’altopiano di Asiago, un saliscendi di colli e prati contornato di boschi e disseminato di villaggi. Attraversammo paesetti dai nomi stranissimi: Treschè Conca, Cesuna, Canove. Papà guidava sicuro, la mamma sorrideva. – Ah, quanti ricordi d’infanzia tra questi luoghi! – sospirò. Un particolare colpì Emanuele mentre attraversavamo il paese chiamato Canove: davanti a un edificio, che aveva tutta l’aria di una stazione, faceva bella mostra una coppia di poderosi cannoni. – Guardate! – esclamò. – Ci sono due cannoni!


Rabbrividii. Dietro quel paesaggio emozionante, dietro quella natura splendente al sole del mattino, si celavano indizi di un passato oscuro e sinistro. Di nuovo si affacciava il fantasma di una guerra lontana di cui non sapevo quasi nulla ma con cui sentivo in qualche modo di avere a che fare. Decisi ancora una volta di rimandare ogni indagine. – Cara, ti ricordi la strada? – chiese a un tratto papà. – Dobbiamo andare da quella parte, credo. Eravamo ormai arrivati ad Asiago. Non mancava molto a mezzogiorno e il paese brulicava di gente. Il traffico era intenso. Ci infilammo in un reticolo di stradine e presto uscimmo dal centro. Lì non c’era quasi nessuno per strada. Papà e mamma si guardavano intorno, non riuscendo a trovare un’indicazione. La mamma stava per telefonare ai nonni quando papà ebbe un’idea. – Chiediamo a quel signore che sta salendo sul trattore. È di certo uno del posto.


Ci avvicinammo e papà si sporse dal finestrino. – Buongiorno. Ci scusi, noi dovremmo andare in contrada… L’uomo, un signore anziano, con una grossa pancia, i vestiti lisi e il volto trascurato, squadrò il papà e storse la bocca, quasi maledicendoci. – Io non so niente, arrangiatevi! – disse con tono aggressivo. Non aggiunse altro, anzi, si voltò senza neppure salutarci. Non nego che quell’incontro ci lasciò alquanto amareggiati. Gli ultimi minuti di viaggio trascorsero in un silenzio tetro: se quella era l’accoglienza riservata al nostro arrivo, mi sembrò davvero poco promettente.


Nuove conoscenze Dopo aver percorso una stradina che costeggiava

un vasto terreno recintato, trovammo la contrada dove sorgeva la casa in cui avremmo trascorso le vacanze. I nonni dovevano averci visti arrivare; ci attendevano infatti nel piccolo cortile antistante l’abitazione. Con loro c’erano pure altre persone: una signora anziana coi capelli raccolti sulla nuca e un viso dolce, un signore dall’aspetto giovanile che doveva essere suo marito e infine due bambini. – Eccovi, finalmente – esclamarono all’unisono nonno Alfonso e nonna Luisa. – Ben arrivati! Io ed Emanuele scendemmo di corsa per salutarli. Erano mesi che non li vedevamo e “sopportammo” i loro segni di affetto, gli abbracci, i baci, le carezze. I nonni mi parvero quasi identici a come li avevo visti l’ultima volta: nonno Alfonso aveva forse qualche capello bianco in più tra la folta chioma grigia, nonna Luisa aveva un colorito abbronzato. Indossava un lungo grembiule da cucina. Il nonno invece portava una camicia a quadri e pantaloni marroni di fustagno ruvido. Dopo averci salutato, i nonni si rivolsero ai nostri genitori:

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si informarono sul viaggio e si rabbuiarono quando la mamma accennò loro dell’incontro col tipaccio a cui avevamo chiesto le indicazioni. – Non fateci caso, sappiamo di chi si tratta. È un uomo scorbutico e maleducato! – esclamò a gran voce la nonna, sbattendo una mano sul grembiule. Era sporco di farina e al tocco un nugolo di granelli si sollevò in uno sbuffo. Il nonno, pensieroso, si passò una mano sul mento. – Venite, ora le presentazioni – disse poi. Il signore e la signora che avevano assistito al nostro arrivo si avvicinarono. I due bambini invece non c’erano più. Dov’erano finiti? – Vi presento la signora Cecilia e suo fratello, il signor Angelo – disse il nonno. Nonna Luisa proseguì: – Sono loro che ci hanno affittato la casa. – Piacere – dissero mamma e papà porgendo la mano. Io ed Emanuele salutammo con un “buongiorno”. Dunque, Angelo e Cecilia erano fratelli, non marito e moglie. Pensai a come spesso l’apparenza porti fuori strada. – Ma che bei bambini! – esclamò la signora Cecilia. – Mi sa che avete più o meno la stessa età dei miei nipoti. Ma dove si sono cacciati? Mario, Verena, venite qui, presentatevi!

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A quelle parole, i bambini rispuntarono sulla soglia di una casa oltre la strada. – Perdonateli, sono qui da due giorni e non fanno che combinarne – sospirò la signora Cecilia. Mentre i due si avvicinavano senza troppo entusiasmo, ne approfittai per guardarmi intorno. La casa affittata da nonno Alfonso e nonna Luisa non era come le tante che avevamo visto lungo il percorso, casette nuove e linde dai colori variopinti e i terrazzi in legno. Era una casa piccola e dall’aspetto dimesso, incastrata in un nido di altre abitazioni simili. Una vecchia contrada che mi piacque subito. Sapeva di autentico.

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– Ecco i miei nipoti: lui è Mario e lei è Verena – disse Cecilia. – Hanno otto e undici anni. Mi venne da ridere. Mario era un bambino grassottello, dai capelli biondi, indossava un paio di occhiali tondi come due tuorli d’uovo e sorrideva impacciato; Verena invece, che aveva la stessa età di Emanuele, mostrava uno sguardo sicuro, quasi di sfida, sotto i capelli corti tagliati a caschetto. Aveva una corporatura snella e si muoveva con scatti rapidi e nervosi.

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– Ciao – disse rivolta a mio fratello. – Io gioco a calcio. E tu? Vidi gli occhi di Emanuele accendersi. Era qualcosa che non riuscivo a capire, a metà tra la diffidenza e l’interesse. Fu questione di un attimo, ma bastò a farmi sorgere un pensiero: di certo non ci saremmo annoiati nelle settimane che avremmo trascorso coi nonni. La signora Cecilia prese ancora la parola. – Vi chiedo scusa, ma ho mille faccende da sbrigare e Angelo deve sistemare le bestie. Non fate caso al maleducato che avete incontrato lungo la strada. È di certo il Battista, un uomo solo e scorbutico ma non cattivo. Deve solo imparare a stare al mondo. Adesso devo proprio andare: ci vedremo presto, arrivederci e buona permanenza. Ringraziammo e ricambiammo i saluti. Mentre entravamo in casa notai che mio fratello seguiva Mario e Verena con lo sguardo. Forse era il caso che lo tenessi d’occhio. – Nonna – chiesi subito dopo, – che bestie hanno Cecilia e Angelo? – Oh, galline, conigli e anche alcune mucche. Possiedono una piccola stalla. – Hai sentito, Emanuele? – esclamai. – Ci sono anche le mucche. Non vedo l’ora di vederle!

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– Purtroppo ora non sono nella stalla ma nei pascoli assieme a tutte le altre – disse la nonna. – Di certo ci capiterà di incontrarne quando andremo in passeggiata. La nonna ci fece accomodare in casa mentre il papà e il nonno provvedevano a scaricare la macchina. Io osservavo ogni particolare: i muri con le loro imperfezioni, i quadri appesi alle pareti, le travi annerite sul soffitto, la lampadina solitaria che spuntava sotto il piatto metallico del lampadario, la scala di legno per salire al piano di sopra, una vecchia credenza in un angolo, un divano basso e marrone, il camino sulla parete di fondo, la stufa accanto al fornello a gas. Pareva di essere tornati indietro di un secolo. La nonna diede una controllata alle pentole disposte sul piano cottura. Mandavano un odore delizioso. – Il sugo è pronto e l’acqua tra poco bolle – disse. – Venite, vi mostro la vostra stanza. Salimmo al piano di sopra attraverso la scala di legno. Scricchiolava. – È sicura questa scala? – domandò la mamma. La nonna si mise a ridere. – Se riesce a portare me e quello scansafatiche di tuo padre, porterà anche te e i bambini. Il piano superiore era costituito di due sole stanze più un minuscolo bagno, senza dubbio ricavato

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in anni recenti. Ogni cosa al suo interno brillava di nuovo. La stanza destinata a me e ad Emanuele era rivolta a mezzogiorno e in quel momento splendeva di luce. Non era molto grande, ma mi sembrò perfetta. – Eccovi sistemati – disse la nonna mentre papà e il nonno salivano con i bagagli. Poi scendemmo tutti di sotto e ci sedemmo a tavola. Il nonno e la nonna avevano preparato un pranzo prelibato per festeggiare il nostro arrivo: grossi spaghetti fatti in casa con sugo di panna e funghi, affettati e formaggi tipici con pane biscotto e contorno di insalata e pomodori. Per finire la nonna mise in tavola un dolce. Dall’aspetto pareva davvero invitante. – Questo è un omaggio della signora Cecilia, una sua specialità per festeggiare il vostro arrivo: la chiama torta “Monte Zebio”. – Ma hanno dato alla torta il nome di una montagna? – chiese Emanuele perplesso. Il nonno lo guardò. – Si tratta di un monte tristemente famoso non distante da qui. Su di esso si combatterono sanguinose battaglie durante la Grande Guerra. – Un’altra guerra! – esclamai. – Non bastava la Prima Guerra Mondiale da queste parti? I nonni e i miei genitori sorrisero.

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– È la stessa guerra, Irene – spiegò il nonno. – Fu così terribile che la gente la chiamò “Grande Guerra”. In seguito, gli storici le hanno affibbiato l’aggettivo “Prima”, per distinguerla da quella che seguì, che fu anche più brutta. Scossi la testa. – A volte la storia proprio non la capisco – sospirai.

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PER COMPRENDERE MEGLIO Approfondimenti e schede didattiche a cura di Paola Valente e Michele Santuliana


PER COMPRENDERE IL RACCONTO

I PERSONAGGI DEL RACCONTO Scrivi il nome dei personaggi: 1 - È una bambina, frequenta la quarta primaria, è lei che

racconta la storia e il suo nome significa “pace”: si chiama ..................................................................................................

2 - Di mestiere faceva il giornalista, il suo carattere è tranquillo,

sa dire parole di saggezza, è nonno ...................................... 3 - Gli piace il calcio, è interessato alla guerra e alle armi,

è il fratello di Irene, si chiama ................................................ 4 - Era una campionessa di pentathlon, ora ama camminare

in montagna, quando è al telefono parla a voce molto alta, è nonna .................................................................................... 5 - Vive in compagnia di una cagna e di altri animali, ha un

carattere chiuso e scorbutico ma dimostra anche una certa sensibilità, si chiama ................................................................ 6 - Sono due fratelli, uno porta gli occhiali, l’altra è vivace e

un po’ superba, si chiamano ................................................. ..................................................................................................

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I FATTI DEL RACCONTO Rimetti in ordine i fatti numerando le frasi con la successione corretta. Battista accoglie i bambini nella sua casa.

PapĂ e mamma annunciano che Irene ed Emanuele andranno in vacanza con i nonni.

I bambini sorprendono Battista mentre picchia la sua cagna Fides.

Durante una passeggiata in montagna, i bambini si ritrovano nel bel mezzo di un temporale.

Irene ed Emanuele incontrano per la prima volta Mario e Verena.

I nonni portano i bambini in passeggiata sul monte Zebio.

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I LUOGHI DEL RACCONTO Scrivi il nome dei luoghi: 1 - È un paese sulle montagne del Veneto dove Irene ed

Emanuele trascorrono le vacanze estive, si chiama ..................................................................................................

2 - È un monte da cui prende nome anche una torta e sul

quale si combatterono molte battaglie, si chiama ......................................................................................................

3 - È una zona montagnosa sopra Trieste, tristemente nota

per i combattimenti della Grande Guerra, si chiama ..................................................................................................

4 - La città di origine di Giuseppe P., il soldato di cui i pro-

tagonisti del racconto trovano il coperchio della gamella, si chiama ..................................................................................... 5 - L’edificio dove sono stati raccolti i corpi dei soldati caduti

durante la Grande Guerra è il ................................................ 6 - Individua sulle carte geografiche i luoghi nominati nel

racconto.

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VENETO

FRIULI VENEZIA GIULIA

TRENTINO ALTO ADIGE

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RICOSTRUIAMO IL RACCONTO Segna la casella con la risposta corretta: 1 - Il nome Irene significa: Felicità Pace Amore 2 - Nonna Luisa è un’ex campionessa di: Pugilato Scherma Pentathlon 3 - Nel racconto, Verena è: Una bambina Un’anziana signora Una montagna 4-Q uali sono gli aggettivi che potrebbero definire il vecchio Battista? ocievole, gentile, sempre allegro S Silenzioso, educato, signorile Scorbutico, solitario, trascurato 5-G razie a che cosa Emanuele si appassiona alla conoscenza della storia? Ha trovato dei libri che ne parlano Ricercando nel bosco dei reperti di guerra Guardando la televisione

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6-Ăˆ il nome dell’altopiano dove vanno in vacanza Irene ed Emanuele: Asiago Ortigara Grappa 7 - I rene lo riceve in dono dal Battista: Un elmetto italiano Un bottone russo Un distintivo austriaco 8 - Fides è una cagna di razza: Pastore tedesco Pointer San Bernardo 9 - La casa che i nonni hanno affittato si trova in una: Via del centro Piazza Contrada 10 - Q uando scoppia il temporale, i bambini sono soccorsi da: I nonni Battista Un turista

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COME UN SOLDATO IN TRINCEA Immagina di essere un soldato in trincea, fra i rumori assordanti della battaglia, e di scrivere una cartolina alla tua mamma:

Cara mamma,

......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... .........................................................................

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LE IMMAGINI DELLA TRINCEA Osserva le immagini e scrivi accanto a ciascuna di esse di che cosa si tratta:

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LE CANZONI DELLA TRINCEA Una delle canzoni piÚ conosciute e significative della Grande Guerra è quella del Piave, proposta negli approfondimenti di questo libro a pag. 146. Leggendo le parole della canzone, cerca e trascrivi quelle che ti ricordano la Prima Guerra Mondiale.

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COMPLETA Accanto a ciascuna di queste parole riferite alla Grande Guerra e al racconto, scrivi uno o pi첫 aggettivi o nomi che la definiscano: Trincea .................................................................................... Assalto .................................................................................... Fronte .................................................................................... Fante .................................................................................... Sacrario militare ................................................................... Montagne ............................................................................... Recuperanti ............................................................................ Fides .................................................................................... Bosco .................................................................................... Medaglia ................................................................................

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UNA PAROLA FONDAMENTALE : PACE Conosci di sicuro la bandiera della pace, con tutti i colori dell’arcobaleno. Disegnala oppure inventane un’altra come piace a te:

Ricerca: 1 - Con l’aiuto dei vocabolari, di internet e dei tuoi compagni

provenienti da altri paesi, cerca come si scrive in lingue diverse la parola “pace”: ...........................

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...........................

...........................

...........................

...........................


Leggi le frasi seguenti, sottolinea quella che ti sembra più vicina al tuo pensiero, poi confronta e discuti con i compagni di classe: 1 - Per avere una vera pace bisogna darle un’anima. L’anima

della pace è l’amore.

(Papa Paolo VI)

2 - Nessun trionfo di pace è più esaltante di un trionfo di guerra. (Theodore Roosevelt)

3 - Non si può separare la pace dalla libertà perché nessuno

può essere in pace senza avere libertà.

(Malcom X)

4 - Se vuoi la pace, prepara la guerra. (Giulio Cesare) 5 - La pace si ottiene con una potenza di fuoco superiore. (Roach, dal film “Point Break”)

6 - Non c’è mai stata una guerra buona e una pace cattiva. (Benjamin Franklin)

Scrivi la tua frase sulla pace e, insieme a quelle dei tuoi compagni, inseriscila in un cartellone da appendere nell’aula: .................................................................................................. ..................................................................................................

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PER RIFLETTERE CON IL RACCONTO

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Chiamata anche “Grande Guerra”, la Prima Guerra Mondiale fu il primo dei due grandi conflitti che segnarono il Ventesimo secolo. Si svolse dal 1914 al 1918 e fu detta “mondiale” per il numero di paesi che coinvolse in tutto il mondo. Si trattò infatti di un conflitto dalle proporzioni immani, che costò all’Europa perdite e distruzioni prima di allora mai avvenute: oltre otto milioni furono i soldati che persero la vita, venti milioni i feriti.

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Al termine del conflitto il continente europeo subì modificazioni profonde a livello territoriale e sociale. Mutarono radicalmente i confini tra gli Stati, scomparvero istituzioni politiche secolari come, per esempio, l’Impero asburgico, e nacquero Stati completamente nuovi.

Cartolina dell’epoca per celebrare la fine della guerra.

La firma del trattato di pace di Versailles mette fine alla Prima Guerra Mondiale.

L’Italia usciva dalla guerra come vincitrice. Il 4 novembre di ogni anno si ricorda la fine della Prima Guerra Mondiale (4 novembre 1918).

Festaggiamenti per la fine della guerra.

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INDICE A voi piace la storia?

5

Vacanze? Sì, ma...

8

La medaglia d’oro Augusto Martinelli

13

Una coppia di poderosi cannoni lungo la strada

16

Nuove conoscenze

24

Un monumento illuminato dal sole

32

“Ora si vince, ora si perde”

38

Un gesto di coraggio

43

Una guerra combattuta sulle montagne

50

Escursione sul monte Zebio

60

Come piccoli “recuperanti”

70

Un pomeriggio come tanti?

80

Dietro le apparenze

86

Il sapore dell’amicizia

93

Storia di famiglia

99

Quale miglior finale...

107

Approfondimenti e schede didattiche

115


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