La memoria dell’anima Daredevil selfie e cyberbullismo‌ metteresti in gioco la vita per qualche like?
FuturoPresente Cittadinanza
Cinzia Capitanio
FuturoPresente
Editor: Paola Valente Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico: Mauro Aquilanti Impaginazione: Enzo Bocchini Foto di copertina: Shutterstock Fascicolo allegato su Cyberbullismo e Daredevil selfie: Cinzia Capitanio - Paola Valente Ufficio stampa: Francesca Vici I Edizione 2020 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0
2026 2025 2024 2023 2022 2021 2020
© 2020 Tutti i diritti sono riservati Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it info@ilmulinoavento.it www.ilmulinoavento.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di q uesto libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright. L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.
SISTEMA DI GESTIONE CERTIFICATO
Cinzia Capitanio
La memoria dell’anima
nni
La memoria è lo scriba dell’anima. Aristotele
Ai miei figli Nicola, Gabriele e Giovanni
Capitolo
1
UNO
S
i svegliò di soprassalto e spalancò gli occhi. Ciò che la circondava le era familiare, ma non riusciva a mettere ordine alle idee che le guizzavano disordinatamente in testa. Si alzò in piedi accettando il sostegno di qualcosa che avvertiva dietro la schiena. Solo quando toccò la corteccia rugosa, comprese di essere appoggiata a un albero. In alto, sopra alla sua testa, si stendevano i rami dove dondolavano pigre foglie autunnali. Maia sentì che la nebbia del sonno si stava diradando e che la realtà che la circondava diventava sempre più chiara. – Come ho fatto ad addormentarmi qui? – borbottò tra sé e sé mentre con le mani toglieva dai pantaloni le foglie che vi si erano posate. Con le dita si pettinò alcune ciocche di capelli liberandoli da qualche rametto. Il bosco odorava di umidità. Sotto i piedi un morbido tappeto di foglie morte attutì i suoi passi mentre si allontanava verso il sentiero che l’aveva condotta fin lì. Rovistò nelle tasche del giubbotto senza riuscire a trovare il cellulare. – Fantastico! Così non so neppure che ore sono! Se mi hanno cercata, stasera mi aspetta una bella predica perché non rispondo alle loro chiamate! – considerò concludendo con una di quelle parolacce che facevano infuriare sua madre. Alzò lo sguardo per cercare il cielo fra le fronde. Era ancora chiaro perciò non poteva essere troppo tardi. Un alito fresco di vento le fece scivolare un ciuffo di capelli sul volto. Maia lo scostò e, portandolo indietro, intrecciò i suoi lunghi capelli neri.
5
Uno Trovò con facilità il sentiero che conduceva verso la casa dei nonni. Più che una casa, in realtà, era una vecchia baita. Quando erano più giovani, i nonni la usavano come abitazione, poi era diventata la residenza da utilizzare durante le vacanze. Fin da bambina, era lì che aveva trascorso le estati e anche alcuni periodi dell’inverno. Ultimamente ci veniva spesso con la madre. Era un posto meraviglioso e perfetto per dimenticare i problemi di tutti i giorni. Conosceva quel bosco così bene che avrebbe trovato la strada anche a occhi chiusi. Mentre camminava a passo sicuro, continuava a chiedersi come aveva fatto ad addormentarsi sotto all’albero. A dire il vero non ricordava neppure di essere uscita di casa quel pomeriggio. – Sono proprio fusa – considerò raccogliendo da terra un ramo abbastanza robusto da farle da bastone. – Se non la smettono di comportarsi così, mi faranno impazzire. Oggi sono qua, domani sarò di là. Che casino! Colpì con rabbia il suolo facendo schizzare in aria dei sassolini e del terriccio. Da alcuni mesi nella sua famiglia si era riversata l’onda di uno tsunami. I suoi genitori avevano deciso di separarsi. I litigi e le discussioni erano diventati quotidiani e Maia si era ritrovata al centro del cataclisma. Se già il rapporto con i suoi era difficile, ora era diventato uno schifo. I genitori scaricavano su di lei tutte le tensioni in un costante altalenarsi di emozioni contrastanti. L’unico aspetto positivo era che, quando sua madre era particolarmente tesa e stressata, la portava là, nella baita dei nonni. Vi trascorrevano i fine settimana ritrovando una breve serenità. Maia era talmente sfinita dalle discussioni continue che, quando partiva per la montagna, non era dispiaciuta o seccata del fatto che avrebbe perso una festa o il sabato pomeriggio trascorso con qualche amica. Dopo quello che era capitato con i compagni di scuola, poi… Aveva solo bisogno di solitudine. Di silenzio. Si fermò un attimo ad ascoltare il fruscio del vento fra le foglie secche che impotenti si facevano staccare dai rami. Come le sarebbe piaciuto essere una foglia e volare via.
6
Capitolo 1 – Forse mi piacerebbe di più essere un albero – sussurrò. – Potrei assopirmi per tutto l’inverno lasciando scorrere il tempo fino all’arrivo della primavera. Magari per allora i miei avranno smesso di litigare… Un refolo le solleticò le narici con l’odore dei funghi. Il suo istinto di fungaiola la portò a ispezionare con attenzione il terreno circostante. Era stato un autunno stranamente caldo e forse c’era ancora qualche porcino da raccogliere. – Annusa bambina mia. Annusa… – le diceva sempre il nonno quando andavano insieme alla ricerca di funghi. – Prima degli occhi, usa il naso… In quel punto del bosco, i faggi, le querce e i castagni creavano l’habitat ideale per trovare qualche delizioso Boletus. Con il bastone scostò i rami per perlustrare meglio il terreno umido del bosco. Quello che vide fu talmente imprevisto da farla reagire come non aveva mai fatto neppure alla vista di una vipera. Del bosco non aveva paura e neppure dei suoi abitanti. Sapeva che i pericoli potevano nascere solo da un comportamento incauto. Prudenza e rispetto erano gli unici ingredienti per evitare incontri spiacevoli, ma quello… quello era… – Che schifo! – gridò dopo aver lanciato un urlo ed essere arretrata di scatto. Una radice le fece lo sgambetto sbilanciandola indietro al punto da farla cadere a terra con un tonfo. Cercò di rimettersi in piedi senza perdere di vista quella… quella… cosa… Istintivamente afferrò il bastone e lo tese davanti a sé per difendersi. – Ma… ma… cosa diavolo… è? – balbettò. L’essere rimase immobile, ma era vivo. La fissava sbattendo ogni tanto le palpebre rugose e mollicce. Ricordava vagamente un grosso rospo. Era verde e tondeggiante: grande, più o meno, come un pallone da calcio. Dal corpo spuntavano scaglie e bitorzoli di tonalità diverse. A parte gli occhi, non si riusciva a distinguere altro. Sembrava non avere arti, né orecchie o naso.
7
Uno Maia era pietrificata per lo stupore e la paura. Non riusciva a capire che tipo di creatura avesse di fronte ed era terrorizzata dall’idea che potesse morderla. Anche se, a dire il vero, non sembrava avere neppure una bocca. Nel bosco era calato un silenzio irreale. Non si sentivano più cantare gli uccelli e anche il vento aveva smesso di frusciare. – Cosa diavolo è questa roba? – borbottò per rompere quella quiete innaturale. Cominciò a pensare a tutte le possibili risposte: era un animale creato da qualche sperimentazione genetica oppure poteva trattarsi di una specie fino a quel momento sconosciuta. Visto che non l’aveva ancora aggredita né aveva messo in mostra artigli o terribili fauci, Maia si lasciò guidare dalla curiosità. Si avvicinò un po’ all’essere e provò a toccarlo con il bastone. Era stato un tocco leggero, di quelli che si danno ai funghi per vedere se sono attaccati al terreno, ma fu sufficiente per scatenare la sua reazione. La palla si sollevò da terra lasciando apparire due gambette verdognole. Una delle rughe che lo ricoprivano si aprì facendo uscire suoni rochi e confusi: – Mmmm… Sgrunf… Znicht! Birs! Maia saltò di nuovo indietro. Poi si voltò e cominciò a correre lontano dalla bestia. L’essere zampettò verso di lei continuando a emettere versi fino a quando riuscì a trovarne uno che andasse bene. Dapprima lo pronunciò sottovoce, poi lo urlò contro la ragazza: – Cattivo! Cattivo! Cattivo! Sì, cattivo! Maia si fermò. Quando si girò, vide che la creatura era a pochi metri da lei. Evidentemente le sue corte zampette funzionavano meglio delle sue gambe. – Parli? – gli chiese sempre più stupita. – Cattivo! – rispose la palla. – Tu essere cattivo! Tu fareeee maleeee meeee. Allungò le ultime parole trasformando la lettera E in una specie di lamento infantile.
8
Capitolo 1 Pur avendo una paura stratosferica, Maia sentì che le veniva da ridere. Quella strana lingua sgrammaticata era buffa. Sembrava di parlare con un bambino piccolo. – Non ti ho fatto male! – gli disse con una prontezza che la sorprese. – Ti ho appena sfiorato… Gli occhietti della creatura diventarono più scuri e la sua voce cambiò diventando bassa e profonda come quella di un uomo adulto. – Tu avereee fatto maleee meee – tuonò. Maia sentì un brivido lungo la schiena. Tutto sommato non era il caso di farlo arrabbiare. – Scu… scusa – balbettò cercando di rabbonirlo. – Non lo faccio più! Come un lampo, un ricordo del passato le balenò nella mente riportandola molto lontano da dove si trovava in quel momento. Con gli occhi della memoria rivide la cucina dell’appartamento in cui viveva con i suoi genitori quando era bambina. Davanti a lei c’era una pozzanghera di olio d’oliva. Qua e là, come iceberg, spuntavano i cocci di vetro della bottiglia. – Scusa papà… non lo faccio più – diceva la voce di una piccola Maia. Il padre l’aveva sollevata da terra e abbracciata forte. – Avresti potuto farti davvero molto male, bambina mia. Devi stare attenta… Poi le aveva posato un bacio sulla fronte. Maia portò una mano sul punto in cui lui l’aveva baciata. Era stato un ricordo così vivo da sembrare reale. Come avrebbe voluto essere ancora piccola e sentire su di sé il perdono di suo padre per ciò che aveva fatto… o subìto. Una folata di vento la riportò al presente. La bestiola era ancora davanti a lei, ma i suoi occhi erano tornati verdognoli. – Tu non dovereee vedereee meeee – sibilò sottovoce. – Non andareee beneee. Lei avrebbe voluto dirgli che era assolutamente d’accordo con lui.
9
Uno Vederlo era stata una delle esperienze più brutte che avesse avuto nel bosco, anzi, l’unica brutta esperienza. Non voleva farlo arrabbiare ancora, perciò cercò di stare calma e gli disse: – Adesso devo andare… arrivederci… – Doveee tu andareee? – gli chiese la cosa. Per un attimo Maia si sentì vulnerabile come una bambina e le venne voglia di rispondergli che non poteva parlare con gli sconosciuti, ma si trattenne. – Torno a casa – gli spiegò voltandogli le spalle e cominciando a camminare lungo il sentiero. – Tu ora non potereee piccola mia – sussurrò la creatura quando ormai lei era lontana. – Ora non potereee…
10
Capitolo
2
DUE
R
ifugiarsi nel bosco era l’unico modo che Maia conosceva per sfuggire alla tristezza e alla malinconia. Non esisteva un altro luogo che riuscisse a farla stare bene perciò, malgrado lo spiacevole incontro con l’inquietante creatura, fu lì che si ritrovò a passeggiare. Si era riproposta di non andare più alla ricerca di funghi e di limitarsi ad ammirare la natura. L’autunno era la stagione che preferiva di più perché gli alberi si vestivano di colori meravigliosi. Le foglie mutavano dal marrone, al rosso, all’arancione e al giallo. Gli uccelli che non erano migrati altrove cantavano dolcemente fra i rami. Prima dell’arrivo del freddo, inoltre, era ancora possibile scorgere qualche scoiattolo intento a raccogliere un frutto da portare nella tana. Maia sapeva di non essersi sognata la bestia verde. Probabilmente era nascosta da qualche parte, fra la vegetazione, ma sperava proprio di non incontrarla più. Dopo aver camminato un po’, si avviò verso il prato e si sedette sul bordo di pietra di quella che, molti anni prima, fungeva da vasca per abbeverare le mucche. L’erba era bassa perciò la vide subito. Avanzava lentamente dondolando su quelle ridicole zampette. Assomigliava a un disegno che aveva fatto da bambina e che la nonna conservava ancora. Un pomeriggio d’estate, mentre trascorreva le vacanze nella baita dei nonni, aveva preso un foglio e i pennarelli e, con tutto l’impegno che può metterci una bambina di tre anni, aveva realizzato il suo primo ritratto del nonno. Era una grande palla verdognola dalla quale spuntavano due gambette
11
Due corte. Non aveva disegnato le braccia e neppure i capelli. Però gli aveva fatto gli occhi e la bocca. – Cosa sono tutte queste linee? – le aveva chiesto il nonno quando lei gli aveva donato il disegno. – Sono le tue rughe nonno! Hai visto quante? In famiglia ridevano ancora al ricordo di quel primo ritratto. Poi Maia era cresciuta e, adesso che aveva quattordici anni, la passione per il disegno era diventata un talento. Alla fine della terza media, aveva deciso di frequentare il liceo artistico perché adorava disegnare e dipingere. – Tu vedereee meee? – le chiese con una vocetta infantile. – Sì. – Tu non deveee vedereee meee! – disse la creatura agitandosi. – Comeee essereee fatto? Maia contò fino a dieci prima di rispondere. Erano tante le cose che avrebbe voluto dirgli come, per esempio: – Sei una brutta palla verde e bitorzoluta. Sembri un grosso ranocchio e neppure dieci anni dentro a una SPA potrebbero toglierti le rughe che hai sul corpo. Oltretutto avresti bisogno di una brava logopedista perché, quando parli, trascini le E in maniera davvero ridicola… Quando arrivò a dieci, gli disse: – Assomigli a una palla e… e sei verde. La creatura sospirò ripetendo: – Terribileee… Terribileee! Poi chiuse gli occhi e ritrasse le zampette. Adesso somigliava ancora di più a un pallone. Maia si alzò, decisa più che mai ad andarsene, ma la sua vocetta infantile la fermò: – Tu non dovereee vedereee meee. Io avereee il måntl. – Måntl? Significa mantello vero? – gli chiese. Era una delle poche parole che conosceva nell’antica lingua cimbra parlata dai suoi nonni. Con lei non la parlavano mai, ma fra loro la utilizzavano spesso per comunicare.
12