La ragazza che sognava la libertĂ Storia di Lia Pipitone, giovane vittima della mafia
FuturoPresente Cittadinanza
Clelia Lombardo
FuturoPresente
Editor: Paola Valente Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico: Mauro Aquilanti Impaginazione: Enzo Bocchini Illustrazione di copertina: Elena Mellano Fascicolo allegato su mafia e criminalità organizzata: Clelia Lombardo - Paola Valente Ufficio stampa: Francesca Vici I Edizione 2020 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0
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Clelia Lombardo
La ragazza che sognava la libertĂ
L
a storia di mamma va raccontata fino in fondo, perchĂŠ racchiude la voglia di libertĂ di tutti i ragazzi e le ragazze di Palermo, la voglia di libertĂ della gente normale che chiede solo di potere vivere la propria vita. Alessio Cordaro figlio di Lia Pipitone
Alle mie nipoti amatissime Sofia ed Emilia alle ragazze e ai ragazzi nel mondo che sognano la libertĂ .
Capitolo
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La notizia
Q
uando siamo a tavola e c’è mio padre, non dobbiamo fiatare. Perché di solito l’ora del pasto è anche quella del telegiornale e non deve volare una mosca. – Sssh, sssh – continua a dire. – Fatemi sentire, sssh, sssh! Io e mia madre vorremmo discutere di qualcosa, magari di quello che è successo in mattinata. Io, in particolare, avrei un sacco di cose da raccontare che mi stanno sulla punta della lingua. Sì, perché sono una chiacchierona e non vedo l’ora, ogni volta, di piazzarmi davanti a qualcuno per parlare di questo e di quello. Insomma, mille faccende, anche piccolezze che mio padre chiama fesserie. Tipo: com’era vestita Martina, che aveva una gonna di jeans favolosa e la vorrei pure io e vorrei andare nel negozio dove l’ha comprata. Oppure della voce un po’ rauca della prof d’italiano che ogni tanto si affoga e deve bere, oggi sembrava che le uscissero gli occhi fuori dalle orbite. E mia madre, se anche io non parlo, il che è parecchio difficile, vorrebbe essere aggiornata nei minimi dettagli sulle ore trascorse a scuola e dà il via alle domande: “Sei stata interrogata? Che compiti hanno lasciato? Come vi comportate? È successo qualcosa?”. E va avanti all’infinito. A cena, poi, c’è tutto il resoconto della giornata da fare e invece dobbiamo stare zitte mentre mio padre continua a insistere: – Sssh, sssh! Questa è una notizia troooppo importante! Allora io e mia madre ci mettiamo a parlare sottovoce ma dopo un po’ ci stanchiamo e lo lasciamo solo soletto con i suoi amati sevizi del telegiornale. Appena finito di mangiare, con la scusa di sparecchiare, ci alziamo da tavola e ci allontaniamo.
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La notizia In effetti, però, c’è da dire che mio padre lo fa anche per mestiere e lo capiamo. È giornalista, sta spesso in giro a caccia di notizie e i suoi orari sono strampalati. Mamma vorrebbe che lui trascorresse più tempo insieme a noi, ecco spiegato perché quando è a casa e guardiamo la tele, lei cerca di assecondarlo e finisce con l’accettare il silenzio temporaneo. Io no, non mi pare giusto che ce ne dobbiamo stare buone buone mentre lui neanche ci guarda. E commenta pure! Ma se lo fa, in fondo è meglio perché almeno possiamo parlare e la mamma commenta pure lei. Ieri, però, è successo un fatto strano. Stavamo cenando e ognuno di noi pensava ai fatti suoi. Mamma era stanca e se ne stava silenziosa perché, come dice lei, una donna fa troppe cose contemporaneamente. Lavora in casa, fuori casa, e corri di qua e corri di là, deve tenere tutto in ordine “delle cose e delle persone”, ripete lei, e la sera è distrutta. All’improvviso, mentre rimanevo persa nei miei pensieri perché persino io ne ho tanti e non facevo caso a quello che mi succedeva intorno, sono saltata in aria quando mio padre ha urlato: – Finalmente, dopo tanti anni! Ho alzato gli occhi e sullo schermo una foto mi ha colpita. Non so perché ma mi sono sentita col cuore in subbuglio. Come quando mi prende l’emozione allo stomaco e non so che fare. Fissavo la donna giovane e bionda, i capelli lunghi sulle spalle, lo sguardo pensieroso. – Che espressione malinconica – ha detto la mamma e poi ha aggiunto: – povera figlia. Ho capito subito che non era una notizia come le altre. Perché sembra impossibile ma è come se ho ereditato un po’ del carattere di mio padre e come lui ho una specie di sesto senso per le notizie. “Mi acchiappano” dice mia madre, che poi aggiunge: “Vuoi sempre troppe spiegazioni. Non senti ragioni, vuoi proprio sapere tutto!”. Comunque, dicevo, ho drizzato le orecchie. Il cronista precisava: – … già lo scorso luglio, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia
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Capitolo 1 sono stati condannati a trent’anni di carcere per l’omicidio di Lia Pipitone… Il nome mi ha fatto impressione perché anche mia madre si chiama Rosalia e la chiamiamo Lia. A Palermo è un nome molto amato e diffuso, in onore della nostra patrona, la santuzza. E il 14 luglio si fa una festa incredibile in città, il Festino. La statua della santa si porta su un carro, c’è una folla assurda, dal Palazzo dei Normanni si va avanti fino alla Cattedrale, per strada ci sono musica e spettacoli. Poi tutti seguono il corteo, si portano appresso i bambini di tutte le età in braccio e nei passeggini. C’è tanta di quella gente che se non stai attento ti schiacciano e devi tenerti per mano se no ti perdi di sicuro. Si arriva fino al mare, tutti mangiano dolci, calia e simenza, torroni, zucchero filato, panini con la meusa! E dopo mezzanotte ci sono fantastici giochi d’artificio sul lungomare. Anche il 4 settembre è un giorno dedicato alla santa e i fedeli fanno la famosa “Acchianata”, cioè la salita a piedi al Monte Pellegrino dove c’è il santuario con la statua tutta d’oro di Rosalia. Insomma, questo nome, qui da noi è anche un simbolo. Ma se mi metto a pensare alla santa, ci sto un sacco e perdo il filo. Allora torno alla voce del cronista che mi arrivava amplificata ma non era il volume, perché a casa mia non si alza mai troppo. Era come se le mie orecchie fossero più sensibili del solito e si sono infiammate, letteralmente, le ho sentite diventare rosse quando alla tele hanno detto “uccisa su ordine del padre, il boss dell’Acquasanta Antonino Pipitone”. – Che cosa? – ho chiesto confusa. – Papà, che ha detto? – Sta parlando dell’omicidio di una donna, è stato tanti anni fa. – Sì, ma che ha detto del padre? – Che vuoi sapere? È stato un delitto orribile. – Chi era questa donna e perché l’hanno ammazzata? – ho insistito mentre sullo schermo mandavano altre foto. Lei che sorrideva a un bambino piccolo, lei giovanissima con un ragazzo. In un filmato mezzo sbiadito c’erano macchine della polizia davanti a un negozio e il cronista che continuava: “Una finta rapina per inscenare l’omicidio”.
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La notizia – È una storia complicata – ha detto mio padre abbassando un po’ lo sguardo. Ha i capelli brizzolati e quando china la testa sembrano tanti spaghetti lisci argentati. – Ma papà, ma chi l’ha fatta uccidere? Volevo sapere, la notizia non mi era chiara ma capivo che c’era un mistero e poi il giornalista aveva detto “su ordine del padre”. Avevo sentito bene? Mio padre ha lanciato un’occhiata a mia madre e io ho pensato che si stavano mettendo d’accordo su qualcosa. Ogni tanto lo fanno. – Che vuoi sapere, Caterina, è una storia terribile. E molto triste – ha detto poi mia madre. E mio padre: – È una storia lunga. Io l’ho fissato dritto dritto in faccia e l’ho sfidato. – E tu raccontamela. Lui mi ha guardata come a dire: “Sei sicura?” Ha abbassato il volume della tele, poi ha poggiato i gomiti sul tavolo e ha cominciato. – Era il 23 settembre del 1983. – Il 23, come oggi – ho detto io. – Sì, come oggi, infatti ricorre il 35° anniversario dell’uccisione di Lia Pipitone. Ci sono state tante manifestazioni e incontri. Perché oggi, rispetto al passato, sono cambiate tante cose. Negli occhi di mio padre si è acceso un lampo, come quando è soddisfatto. Uccisione. Questa parola ha preso a frullarmi nella testa. Mi sentivo impaurita ma volevo sapere tutto mentre mia madre sbirciava un po’ preoccupata. Dice che sono troppo curiosa e teme che io voglia fare il mestiere di mio padre: alla sola idea le viene la tachicardia. – E quindi, papà? Me lo racconti come sai fare tu? Mio padre quando mi racconta i fatti lo fa in modo che io possa immaginare le scene. Una volta mi ha spiegato che è questo che gli
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Capitolo 1 piace del suo mestiere: spingere le persone a vedere. Come se fossero presenti quando le cose accadono. Io lo ascolto e mi sembra di guardare un film. – Era pomeriggio. La ragazza era entrata in un negozio di articoli sanitari, e si avvia per fare una telefonata. Allora non c’erano i telefonini, c’erano i telefoni a gettoni che si infilavano in una fessura e potevi telefonare. Facevano un gran fracasso e, a volte, se non ne avevi messo in numero sufficiente, la telefonata si interrompeva nel bel mezzo della conversazione. Ecco, ho pensato io, mio padre è come me: aggiunge un sacco di discorsi a quello principale. – E che è successo? – l’ho incalzato per riportarlo al racconto. – Lia è al telefono a gettoni, entrano intanto due uomini… uno estrae una pistola da un sacchetto e punta il negoziante urlando: “Dammi i soldi”. Quello è rimasto immobile e allora la moglie gli dà uno strattone e lo scuote. Solo allora il negoziante prende dalla cassa i soldi, 250 mila lire, e li dà al rapinatore. – 250 mila lire? – Sì, lo sai che prima c’erano le lire. – Sì, sì, una rapina quindi – faccio io che ancora non avevo capito dove dovevamo andare a parare. – No, Caterina, volevano che sembrasse una rapina. – Volevano chi? – Eh! Devi avere pazienza, te l’ho detto che questa è una storia complicata e terribile. Mio padre si mette comodo sulla sedia allungando le gambe. Ha ragione, mi sono detta, prima voglio sapere le cose e poi vado di corsa. Del resto lui me lo ha insegnato: i particolari, bisogna guardare i particolari per capire i fatti. Allora sono rimasta zitta, ho sciolto i capelli, l’elastico me li tirava e mi dava fastidio. Ho un sacco di capelli, io, mossi, come quelli della nonna paterna di cui porto anche il nome. E come lei pare che io sia anche un po’ cocciuta, sì, insomma, testarda e che non ascolto. Ed è inutile che gli altri stiano lì a cercare di convincermi, sulle cose mi devo persuadere da sola.
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La notizia Papà ha ripreso: – I due malviventi non se ne vanno, anche se hanno avuto i soldi, questo è un particolare importante, tienilo a mente. Uno continua a stare in piedi al centro del negozio e l’altro vicino alla cassa. – E che fanno? – Appunto, che fanno? Nel frattempo Lia Pipitone si avvicina alla cassa. Io intanto cercavo di immaginare la scena e ho chiesto: – Ma queste cose come le sappiamo? – Il negoziante e la moglie lo hanno poi raccontato alla polizia, ci sono i verbali. A questo punto ho avuto paura, perché stavo già pensando a quello che di irreparabile sarebbe successo dopo. Uccisione, la parola mi faceva tremare. – Il rapinatore si volta verso Lia e le spara, la ferisce a una gamba e lei cade per terra. Mia madre che stava ad ascoltare ha detto: – Anche se la vicenda la conosco mi impressiona ogni volta. E aveva gli occhi umidi. – I due uomini, giovani peraltro – ha continuato mio padre, – vanno verso l’uscita del negozio, poi uno torna indietro, grida più volte: “Mi ha riconosciuto, mi ha riconosciuto” e spara su Lia diversi colpi. – Oh, le sparano! – ho balbettato io. – E lei muore? – Non subito, più tardi, dopo qualche ora in ospedale. Ho preso l’elastico che avevo infilato al polso e mi sono legata di nuovo i capelli. Immaginavo il corpo riverso su un fianco, il sangue che usciva dalle ferite. Il cuore mi batteva forte. – I rapinatori, o presunti tali, scappano – ha ripreso mio padre. Siamo stati zitti per un paio di minuti, eravamo tristi. Poi mia madre ha preso in mano la situazione e ha concluso: – Per questa sera basta così, certe storie non si possono raccontare tutte in una volta. – E allora? – ho detto io.
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Capitolo 1 – Allora niente – si è spazientita mia madre. – Continuate un altro giorno, adesso ti devi lavare e preparare per andare a letto. A letto, ho pensato, con questa faccenda appena iniziata? Ma papà le ha dato ragione. – Sì – ha detto, – un altro giorno. – Non facciamo che non me la racconti più! Mi sentivo stanca e scombussolata ma ero anche preoccupata che la storia rimanesse in sospeso. – No, va bene, te la racconterò. E si scambia di nuovo uno sguardo con la mamma. – Hai promesso, papà. – Ok, ok, promesso. Mi sono alzata da tavola quando ormai alla tele i programmi erano decisamente cambiati e c’erano dei tipi che dibattevano su questioni di governo. Mi sono avvicinata a mia madre e l’ho abbracciata. Lei mi ha accarezzato le spalle e mi ha detto: – Su, andiamo, devi ancora preparare lo zaino per domani.
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Capitolo
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Il depistaggio
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er fortuna non ho dovuto aspettare chissà quanto per conoscere la continuazione della storia di Lia. Giusto in questi giorni mio padre è un po’ più libero e lui stesso mi ha detto che può dedicarmi del tempo. Così ci siamo ritrovati di nuovo nel soggiorno di casa, nel tardo pomeriggio. Io avrei dovuto finire di fare i compiti ma ero troppo curiosa e mi sono ripromessa di completarli in serata. O non farli, se lo sapesse la mamma… Seduti sul divano, io con le gambe a ciambella, abbiamo ripreso il discorso da dove lo avevamo interrotto un paio di sere prima. Nel frattempo io mi ero fatta in testa un sacco di domande e così ho cominciato. – Papà – gli ho detto, – l’altra volta mi hai raccomandato di non dimenticare che i due ladri avevano perso tempo nel negozio, perché? Non sono una che dimentica facilmente, io. – C’è un motivo importante – ha precisato subito mio padre. Sono rimasta ad aspettare che lui continuasse mentre diceva: – Dobbiamo seguire i fatti, senza saltare i passaggi. Ecco, quando fa così, mi piace e mi innervosisce contemporaneamente. Mi dice le cose però mi fa stare col fiato sospeso. – In realtà, Caterina, quella è stata una rapina finta. – Come finta? – dico io mentre mi aggiusto i capelli che sono più scombinati del solito e mi vengono sulla faccia. – Finta, finta, per simulare una rapina. Lo sai che significa simulare, giusto?
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