La Divina Commedia - ESTRATTO

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i Classici Raffaello

Divina Commedia

La

Dante Alighieri Dante 700

Raccontata da Gabriella Santini



i Classici Raffaello


Editor: Paola Valente Coordinamento di Redazione: Emanuele Ramini Grafica e impaginazione: AtosCrea Copertina: Mauro Aquilanti Illustrazione di copertina: Elena Iarussi I Edizione 2020 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

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Tutti i diritti sono riservati © 2020 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it www.ilmulinoavento.it info@ilmulinoavento.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di q ­ uesto libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright. L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.

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Dante Alighieri

La Divina Commedia

Riscrittura di

Gabriella Santini Illustrazioni di

Elena Iarussi



Inferno



Inferno

Canto

primo

Nella selva oscura

I

l mio nome è Durante di Alighiero degli Alighieri, ma tutti mi chiamano Dante Alighieri. Abito a Firenze, una città ricca e bellissima. Ho trentacinque anni compiuti, dunque sono quasi a metà della mia vita ormai; eppure non so cosa mi stia capitando… Non so neppure se sono sveglio oppure intrappolato nel peggiore degli incubi. Mi stropiccio gli occhi, mi do un pizzicotto, ma mi sento comunque frastornato. Probabilmente sono ancora assonnato… Forse è per questo che non capisco dove mi trovo? E che non riconosco nulla di ciò che è intorno a me? È notte, davanti ai miei occhi si stende un bosco cupo e silenzioso. L’odore del muschio e del fogliame e il tremore del mio corpo mi danno una certezza, l’unica: non sono sotto le coperte e - ahimè - sono lontano da casa. Sono all’aperto e sto camminando. E devo essermi perso, inoltrandomi 7


senza volerlo in questo bosco, che pare spaventoso più della morte. Non dovrei, lo so, ma ho tanta paura. Nella mia testa, come per una misteriosa magia, si forma una terzina di versi endecasillabi1. Decido che sarà l’inizio del mio prossimo poema. Nel mezzo di cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Gli alberi fitti e imponenti coprono il cielo: nessuna luce passa attraverso. Nemmeno la speranza. Perché sono qui? E come ho fatto ad arrivarci? Mi guardo intorno: da ogni lato, si estende una valle selvaggia e aspra, ma oltre questi alberi oscuri c’è una collina. È lievemente rischiarata dalla luce. La paura diventa sopportabile. Trovo il coraggio di voltarmi: alle mie spalle il sentiero appena attraversato è ingoiato dal bosco. Che sollievo! Posso riposarmi un po’. Quando riprendo a camminare decido di salire sulla collina; muovo qualche passo. All’improvviso, mi si para davanti un animale: è maculato, veloce, snello... Si tratta di una lince, sono sicuro! E mi sbarra la via, fissandomi diritto negli occhi. Che cosa faccio? Sarei tentato di tornare indietro, ma la prima luce dell’alba e il sole che sale mi danno la speranza di proseguire e la forza di ignorare la lince. 8


Inferno

Peccato che forza e speranza non siano così potenti da permettermi di affrontare anche il leone! Eh, già, perché è appena apparso pure un leone… Se ne sta a testa alta e mi ruggisce contro… Persino l’aria ha tremato al suo apparire; io ancora di più. Sento dei fruscii ed ecco che, come se non bastasse, compare pure una lupa! Sembra irrequieta e ha un’aria affamata e feroce. A questo punto, arretro, terrorizzato. L’unica salvezza è la fuga. Aiuto! Dove sono finito? Forse è preferibile tornare nel bosco. D’altronde, non posso fare nulla, tutto solo, contro tre belve. Ma queste, poi? Perché sono qui? In cerca di soccorso e di salvezza, i miei occhi distinguono qualcosa di più vago di un’ombra. Nonostante il terrore, balbetto piano: «Ehi… t-tu? Ch-chi s-sei? Un… un fa-fa-fantasma?». L’ombra mi si avvicina. Indossa una tunica bianca, lunga fino ai piedi magri e scalzi. Sulla sua testa è posata una corona di alloro come quella che portano i grandi poeti. «Abbi pietà di me!» grido. Sono certo ormai che chi ho davanti non sia vivo. «Chiunque tu sia, spettro o vivente… abbi pietà! Aiutami!». «Non più vivente, ormai; ma lo sono stato più di mille anni fa» risponde lo spettro con voce lontana. Rabbrividisco: è proprio uno spettro! Che cosa mi succede? Dov’è finita la realtà? 9


«Fui di Mantova» aggiunge lo spettro, «e vissi a Roma, all’epoca dell’imperatore Augusto. Non ero cristiano, perché nella mia epoca si veneravano gli dei pagani. Sono stato un poeta. Nell’Eneide - una delle mie opere - narrai le vicende dell’eroe Enea e della distruzione di Troia». Finalmente capisco e lo riconosco! È lo spirito di uno dei poeti più grandi dell’umanità! Esclamo d’impeto: «Tu sei Virgilio! Ho amato le tue opere come poche altre! È merito tuo se io stesso sono un poeta. Sei il mio maestro! È grazie a te se anch’io sono famoso; perciò, ti prego… difendimi dalla lupa che mi fa tremar le vene e i polsi!». «Se vuoi salvarti da questa lupa malvagia e mai sazia non puoi continuare a salire: devi prendere un’altra strada. Per il tuo bene, seguimi» mi consiglia. «Non chiedo altro!» esclamo. A fatica trattengo la disperazione. Virgilio è uno spirito, perciò, non può essere ucciso, invece, io… «Dove andiamo?». «Ti porto in un luogo eterno. Sentirai grida disperate, vedrai anime di antichi uomini condannati al dolore infinito a causa dei loro peccati, udirai spiriti che urlano per la loro seconda morte». «Che dici? E che cos’è la seconda morte?». «È la dannazione! La morte dell’anima». Un brivido mi attraversa, come un lampo oscuro. Spero di sbagliarmi, ma credo che Virgilio voglia portarmi nientemeno che all’Inferno. 10


Inferno

«A me basta uscire da qui e tornarmene a casa mia, a Firenze! Non desidero altro, credimi, Virgilio!». «Sono venuto per questo, Dante, per aiutarti. Purtroppo, però, non potendo salire sulla collina per colpa della lupa, si apre un’unica strada per noi: quella del regno dei morti… Devi cercare la forza dentro di te e affrontare l’ignoto. Liberati da tutte le tue paure» mi dice Virgilio. Poi, s’incammina. Mi domando come farò. L’angoscia s’impossessa di nuovo di me, ma lo seguo, rassegnato.

Canto

secondo

Con una guida, verso l’ignoto

U

n pensiero mi ossessiona: “Perché proprio io? Per quale motivo e per il permesso di chi posso entrare - io, unico vivente - nel regno dell’oltretomba?”. 11


«La tua anima è frenata dalla paura!» esclama Virgilio, leggendomi nella mente. «Invece non devi temere nulla. Sarò la tua guida! Insieme attraverseremo Inferno e Purgatorio». «Chi me lo concede?» gli chiedo a voce bassa. «Io era tra color che son sospesi. Il cielo ha voluto questo tuo viaggio; la Madonna ha avuto pietà di te mentre eri nel bosco. Ha parlato con Santa Lucia, che ti ha illuminato e ha permesso a una donna bellissima e lucente, che ti ama e che è preoccupata per te, di intervenire in tuo favore e cercarmi». «… Beatrice! È lei la donna lucente e bellissima! Sono sicuro» mormoro. È stata il mio più grande amore. Ci conoscemmo da bambini e l’ho amata al primo sguardo, fin da quando avevo nove anni. «Sì, proprio lei! Beatrice!» aggiunge la mia guida. «Superati Inferno e Purgatorio con me, sarà lei a condurti in Paradiso. Lassù, io non posso entrare». «Perciò, rivedrò Beatrice? Lei è in Paradiso?». «Sì. Sarà la tua guida lassù. A lei non tange la miseria dell’Inferno né le sue pene». L’idea che la donna da me tanto amata, morta a soli ventiquattro anni l’8 giugno del 1290, sia in Paradiso e che potrò rivederla mi dà coraggio. Affronto con Virgilio il difficile sentiero.

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Inferno

Canto

terzo

La porta dell’Inferno

D

opo un po’ di cammino, davanti a noi compare una porta. Assomiglia alle fauci spalancate di un mostro. «È la porta dell’Inferno, vero?». La mia guida fa cenno di sì, senza parlare. C’è un’iscrizione composta di lettere scure. La leggo: Per me si va ne la città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Come se non bastassero già quelle parole ad atterrirmi, la frase finale mi gela: Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate! «Preparati, Dante! Vedrai le anime che scontano pene eterne. La punizione divina ha previsto per loro castighi che sono l’opposto di quanto commesso in vita o che sono corrispondenti alla colpa. Viene detta legge del contrappasso2 ». 13


Vorrei voltarmi e fuggire, però Virgilio mi prende per mano e mi sprona. Dunque, entriamo. La luce sparisce e con essa anche il mondo quale lo conoscevo. Ci accolgono sospiri e gemiti, bestemmie e latrati, lamenti e parole sconosciute pronunciate in mille lingue diverse. Quando finalmente i miei occhi si adattano all’oscurità, il mio respiro si paralizza… In quell’antro eternamente oscuro e senza tempo, c’è una moltitudine di anime. Paiono disperate. «Maestro, chi sono?». «Gli ignavi, cioè, coloro che vissero senza mai scegliere tra il Bene e il Male, che pensarono solo alle loro faccende, comportandosi sanza infamia e sanza lodo». «Quali peccati hanno commesso?». «Sono qui nell’Antinferno, proprio perché non hanno commesso peccati, ma non hanno fatto neppure niente di buono. La lor cieca vita è tanto bassa che ‘nvidiosi son d’ogni altra sorte. Non ragioniam di loro, ma guarda e passa». Ubbidisco e li osservo meglio: completamente nudi, corrono di continuo dietro a una bandiera senza stemma, tormentati da mosconi e vespe che li pungono con ferocia. Dalle ferite sgorga sangue in abbondanza, che, mescolandosi al sudore e alle lacrime, scivola ai loro piedi dove è succhiato da vermi repellenti. Ce ne sono milioni. Che ribrezzo! 14


Inferno

Mentre mi allontano noto molte anime sulle rive di un grande fiume: si lamentano e battono i denti aspettando di essere traghettate sulla riva opposta. «E quelli, Maestro? Chi sono?». «Quello laggiù è l’Acheronte, il primo dei fiumi infernali: separa il mondo dei vivi da quello dei morti. Quando saremo sulle sue rive, capirai». Vorrei replicare ma qualcosa mi distrae… Sulle acque, che sono più buie della notte, sta avanzando una barca guidata con un solo remo da uno strano vecchio. Ha occhi infuocati, lunghi capelli e una barba fluente color neve sporca. Grida: «Guai a voi, anime prave3! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo». Sto per chiedere chi sia quel vecchio, ma la mia guida mi precede dicendomi: «È Caronte, il nocchiero4: porta le anime al di là dell’Acheronte». Quando il nocchiero si avvicina, io vedo meglio i suoi terribili occhi e lo sporco mantello che svela un corpo magro e spaventoso. Comprendo che è un demonio. Lui mi scruta ed esclama: «Tu sei un vivente! Non puoi stare qui!». Virgilio lo zittisce subito, spiegandogli che mi trovo qui per una volontà superiore, quella divina. Nella mia testa le parole di Virgilio si compongono in poesia, così belle che funzionano alla grande… 15


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Inferno

“Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Allora Caronte rivolge la sua eterna rabbia su una moltitudine di anime che bestemmia, piange, si dispera mentre lui mena colpi di remo a destra e a sinistra, urlando e caricando sulla barca più dannati possibili. «Tutti i malvagi che muoiono nell’ira di Dio, provenienti da ogni paese del mondo, si ritrovano qui» mormora Virgilio. A un tratto la terra trema forte, il vento si alza e preme contro di noi mentre un lampo rossastro squarcia il buio. Perdo i sensi dal terrore. 17


Canto

quarto

Il primo cerchio che l’abisso cinge

U

n tuono fragoroso preannuncia infiniti guai e mi sveglia. Mi sollevo e fisso il baratro infernale su cui mi trovo. È profondissimo. Alla prima occhiata capisco che l’Inferno è a forma di cono rovesciato. Come un pugnale in un cuore, la sua punta affonda nel centro della Terra. Mi ritrovo ad aver superato l’Acheronte, non so come. Una fitta nebbia fa da mantello a me e a Virgilio. «Or discendiamo qua giù nel cieco mondo. Io sarò primo, e tu secondo» mi dice. «Questo è il primo cerchio dell’Inferno, chiamato Limbo. Cinge un abisso profondissimo e accoglie tutte le anime di coloro che, come me, sono vissuti onestamente ma non cristianamente, perché nati prima dell’arrivo di Cristo; oppure di tutti i bambini morti poco dopo la nascita, senza battesimo». 18


Inferno

«Sembrano soltanto malinconici non sofferenti» dico, guardando le mille anime di condottieri, eroi, sapienti, filosofi antichi, imperatori, poeti famosi come Omero, Orazio, Lucano e Ovidio. «Non subiscono pene, infatti: il loro unico castigo è il desiderio continuo e inappagato di Dio». Parlando tra noi e scrutando le anime, giungiamo ai piedi di un castello illuminato. È la prima cosa luminosa che vedo e mi fa un effetto pazzesco… Il castello è custodito da sette cerchi di mura e difeso da un fiumiciattolo tranquillo. Per entrare, attraversiamo sette porte. Un prato ci accoglie, ma anche molte personalità famose della storia greca e romana, come Ettore, Enea, l’imperatore Giulio Cesare, la regina delle Amazzoni Pentesilea, il filosofo Aristotele con Socrate e Platone, e poi, Democrito, Anassagora, Empedocle e il matematico Talete. Incontro pure il filosofo Seneca, Euclide, l’astronomo Tolomeo… e così tanti altri che non basterebbero dieci libri o memoria d’uomo a contenerli tutti. Finché la mia guida non mi conduce per altre vie, nell’aria di nuovo tremante di sospiri. Arriviamo in un luogo dove non c’è più luce.

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Canto

quinto

Il secondo cerchio e Minosse

D

i guardia all’Inferno vero e proprio sta un demonio dalla lunga coda, che ringhia come un grosso cane e giudica i dannati. A fine sentenza, ciascun dannato precipita nel cerchio che lo imprigionerà per sempre. «Questo è Minosse! Un tempo fu re dell’isola di Creta, ora è giudice infernale» esclama Virgilio. «Indica ai dannati il girone in cui dovranno restare per sempre. Lo fa avvolgendo la sua coda tante volte secondo il numero del cerchio corrispondente al peccato commesso». Anche questo grosso demonio ripete la domanda fattami da Caronte sul perché io - un vivente - sia qui, e ottiene dalla mia guida la stessa risposta: Non impedir lo suo fatale andare; Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare 20


Inferno

Varchiamo la soglia. Tutto intorno, rocce a strapiombo e abissi tenebrosi. Sento che ora cominciano le dolenti note. Sono arrivato dove molto pianto mi percuote, in luogo d’ogni luce muto e che mugghia come fa mar per tempesta. Qui una bufera infinita trascina e sballotta gli spiriti, scagliandoli uno contro l’altro, come stormi di gru travolte dalla tempesta. I poveretti imprecano e si lamentano quando la bufera li fa vorticare più forte. Intorno a tutti noi l’aria è scura, quasi nera. «Maestro, chi sono questi dannati?». «I lussuriosi, cioè, tutti quelli che in vita si sono fatti trascinare dalla passione. C’è Semiramide, regina degli assiri, e Didone, regina dei fenici, che si tolse la vita per amore dell’eroe greco Enea. Le segue Cleopatra, amante di Cesare e di Antonio e regina d’Egitto. Vedi anche Elena, moglie del re di Sparta Menelao? È qui perché fece scoppiare la lunga guerra di Troia; c’è pure Paride, che la rapì, e Tristano, cavaliere della Tavola Rotonda, che s’innamorò di Isotta, moglie dello zio». Mi mostra ancora più di mille altre ombre finché non noto due anime che sembrano un’unica cosa tanto sono vicine. «Parlerei volentieri con loro… sono così leggeri e uniti!» mormoro, colpito. «Pregali di avvicinarsi, per l’amore che li lega» mi consiglia Virgilio. Eseguo e loro si avvicinano, attraversando l’aria infernale. 21


«Devi essere cortese e buono se ti soffermi a parlare con noi che tingemmo di sangue il mondo» mi dice l’ombra della ragazza, che conserva tracce di bellezza terrena. «Sono nata a Ravenna, dove il fiume Po si unisce al mare. Ero già sposata quando l’uomo che vedi s’innamorò di me. Il modo in cui siamo stati uccisi - senza nemmeno avere il tempo di pentirci del nostro amore proibito - ancora mi offende e mi addolora». Dalle sue parole la riconosco con certezza: lei è Francesca da Polenta. Figlia di Guido, nobile ravennate, fu obbligata a sposare un signore ricco e deforme, di nome Gianciotto Malatesta. Lui, invece, è Paolo Malatesta, fratello di Gianciotto, perciò cognato e amante di Francesca. La legge assoluta d’amore è che chi è molto amato non può non riamare a sua volta con la stessa intensità. Entrambi furono scoperti e uccisi da Gianciotto. La loro tragica storia mi commuove e m’ispira versi poetici in cui la povera Francesca parla così… Amor ch’a nulla amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Abbasso la testa, addolorato. Virgilio mi chiede: «A che cosa pensi?». «All’intensità del sentimento che li ha portati a commettere un peccato che li costringerà qui per l’eternità!». 22


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i Classici Raffaello

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

Dante Alighieri scrisse La Divina Commedia più di settecento anni fa eppure quest’opera, oltre a essere una pietra miliare della letteratura italiana, risulta profondamente fresca e attuale. In questa parafrasi accurata e fruibile, destinata ai ragazzi della scuola primaria, il poeta racconta in prima persona le tappe del suo viaggio immaginario conducendo i lettori in dimensioni meravigliose. Inferno, Purgatorio e Paradiso sfilano in tutta la loro forza rappresentativa sotto gli occhi vigili di Dante e quelli stupefatti dei suoi lettori.

Dante Alighieri, nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel 1321, fu il più grande poeta della letteratura italiana. La sua opera più famosa, La Divina Commedia, è un viaggio immaginario nei tre regni dell’oltretomba, Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Scrittrice di moltissimi romanzi, racconti e sceneggiature per cartoni animati, Gabriella Santini è anche docente di sociologia della comunicazione. Ha vinto numerosi Premi di narrativa per ragazzi.

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