Lorenzo e la Grande Guerra

Page 1

Marco Tomatis

Lorenzo e la Grande Guerra

Un romanzo al tempo della Prima Guerra Mondiale

STORIA E STORIE

Collana di narrativa per ragazzi

Editor: Paola Valente

Redazione: Emanuele Ramini

Progetto grafico e copertina: Mauro Aquilanti

Impaginazione: Giacomo Santo

Approfondimenti: Marco Tomatis

Schede didattiche: Elena Frontaloni Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Ia Edizione 2015 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 2022 2021 2020 2019 2018 2017 2016

Tutti i diritti sono riservati © 2015 e–mail: info@ilmulinoavento.it http://www.grupporaffaello.it Printed in Italy

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

Marco Tomatis

Lorenzo e la Grande Guerra

In città

Lorenzo Bramati uscì di casa guardandosi attorno e stringendosi nella giacchetta militare che la mamma gli aveva comprato per pochi soldi su una bancarella del Balon, il mercato delle pulci di Torino.

Quella giacca gli piaceva, lo faceva quasi assomigliare a un soldato, anche perché era molto alto per i suoi undici anni.

Il gesto però fu inutile. Il vento, scendendo dalle Alpi, spazzava gelido Corso Vittorio e lo fece rabbrividire nella pallida luce del sole che stava per tramontare.

Lorenzo sentì una manina tiepida afferrare fiduciosa la sua. Si girò e sorrise a Valentina, sua sorella, tre anni compiuti, quasi quattro.

– Andiamo da mamma? – gli disse.

Il ragazzo si sentì pieno di tenerezza per la sorellina: lo sapeva benissimo che stavano andando incontro alla mamma e evidentemente la piccola aveva solo desiderio di parlargli, di sentire la sua voce. Le strinse la mano con dolcezza e le rispose:

– Certo! E poi andiamo ad aiutarla a fare la spesa.

– Farà le patate fritte stasera?

Lorenzo scrollò la testa come per togliersi ogni illusione. Da un po’ di tempo non le mangiava. Le patate c’erano, poche ma c’erano, ma mancava l’olio per friggerle. Troppo caro, anche se quello era giorno di paga.

Tutti i sabati Lorenzo e Valentina andavano ad aspettare la mamma ai cancelli della Fiat, dove lei lavorava, perché in

Capitolo 1 5

quel giorno di solito faceva la spesa per la settimana e aveva bisogno di aiuto per portare tutto a casa. Andavano al mercato di Porta Palazzo, dove la roba costava meno. Una spesa povera: patate, porri, rape, cavoli, fagioli, qualche volta anche una gallina da fare lessa per la domenica e magari qualche dolcino.

Prima, erano solo due anni fa ma sembrava la preistoria, veniva anche papà. Adesso, invece, come troppi altri padri, mariti, fratelli e fidanzati, era in guerra. Una guerra lontana, di cui Lorenzo non capiva nulla, in luoghi che lui non aveva mai sentito nominare ma che in poco tempo gli erano diventati tristemente celebri: Carso, Pasubio, Isonzo, Altipiano di Asiago, Ortigara... Adesso sapeva benissimo dove si trovavano perché tutte le mattine il maestro, a scuola, prima di cominciare la lezione, faceva dire una preghiera per i “valorosi soldati italiani” che combattevano eroicamente per la Patria. C’era una cartina appesa alla parete dell’aula, su cui le zone di guerra erano segnalate da una fila serpeggiante di bandierine tricolori infilate su uno spillo. Ogni tanto il maestro, consultando il giornale, le spostava leggermente verso il bordo destro.

Mai più di un centimetro, però.

Lorenzo si chiedeva dove sarebbero dovute arrivare le bandierine perché la guerra finisse e il papà tornasse finalmente a casa. “Carico di gloria e di onore”, ripeteva in continuazione il maestro.

Pochi giorni prima, il maestro aveva spostato le bandierine, che da giugno non toccava più, di parecchi millimetri e aveva parlato di una grande vittoria in un altro di quei luoghi che lui non aveva mai sentito nominare prima. L’altipiano della… della… ecco, della Bainsizza gli sembrava di ricordare.

Poi il maestro aveva nuovamente parlato per mezz’ora della gloria conquistata dai soldati.

Capitolo 1 6

Lorenzo non sapeva che cosa fosse questa “gloria” per cui suo padre stava combattendo. Sapeva solo che era partito più di due anni prima, nel maggio del 1915, e che da allora l’aveva visto una volta sola, un anno dopo, quando era tornato a casa per la licenza di Natale.

Lo aveva trovato stanco, con poca voglia di giocare con lui e con lo sguardo triste. Aveva trascorso le ore accanto alla stufa guardando le fiamme e parlando fitto fitto con la mamma, fino a quando lei non lo aveva abbracciato.

I suoi occhi erano rossi, come di pianto.

Ma questo a Lorenzo non sembrava possibile. Gli uomini non piangono. Specialmente, poi, non piangono i papà. E soprattutto, dicevano tutti, non piangono i soldati che combattono meritandosi di essere chiamati “eroi”.

Lorenzo non sapeva neanche che faccia avesse un eroe, ma sicuramente non doveva avere quella di Pietro Grimaldi, il loro vicino di casa, che era tornato senza una gamba e passava la giornata seduto sul balcone ad imprecare contro la guerra e contro quei “porci”, così diceva, che l’avevano voluta.

La mamma tutte le volte lo guardava quasi con spavento. E, anche se non diceva niente, gli occhi le si riempivano di lacrime. Per fortuna, pensava Lorenzo, lei era quasi tutto il giorno fuori: usciva al mattino e rientrava alla sera. Come tante altre donne lavorava alla Fiat perché gli uomini erano tutti in guerra. Quasi, perché di uomini alla Fiat ce ne erano tanti: qualcuno li chiamava “imboscati”.

Lorenzo non sapeva bene cosa volesse dire, fino a quando la mamma non gliel’aveva spiegato: imboscati erano gli uomini che, pur potendolo fare, non andavano in guerra. Qualcuno li chiamava anche vigliacchi.

Girava tra la gente una canzonetta, gliel’aveva cantata anche il papà in uno dei pochi momenti in cui aveva riso e giocato con lui.

7 In città

Da Cividale a Udine ci stanno gli imboscati hanno gambali lucidi e capelli profumati.

Il maestro, però, diceva sempre che tutti collaboravano per vincere la guerra e che quegli uomini erano indispensabili per costruire e far funzionare le macchine, i camion e le armi con cui i soldati combattevano. Stavano a casa o nelle retrovie, semplicemente perché sapevano fare cose che altri non erano in grado di fare.

Lorenzo, però, ultimamente aveva cominciato a sospettare che il maestro dicesse così perché anche suo figlio lavorava alla Fiat. E non capiva perché suo papà era partito lasciando la moglie e due figli a casa, mentre il figlio del maestro, che era più giovane e non era nemmeno sposato, fosse rimasto a Torino.

Non capiva nemmeno perché il figlio del maestro si vedesse sempre in giro con amici e donne, mentre suo padre gli aveva detto che i soldati in licenza avevano l’ordine di non entrare nei caffè e di non farsi vedere in strada con donne che non fossero parenti strette.

– Mamma! – urlò ad un tratto la sua sorellina.

Lorenzo la sentì sfuggirgli di mano e la vide correre verso una figura che era appena apparsa all’angolo dell’isolato.

Era proprio lei: la mamma, negli abiti da lavoro che sapevano d’olio e di grasso, le mani sempre più simili a quelle di papà, uno sbaffo nero sulla faccia.

Nello stesso momento, Lorenzo sentì delle voci, prima indistinte, poi sempre più chiare.

– Vogliamo pane! Vogliamo pane!

– Abbasso la guerra!

– A Natale tutti a casa!

– Abbasso la guerra! Abbasso la guerra!

– Abbiamo fame!

Capitolo 1 8

Le urla scomposte gli arrivarono alle orecchie all’improvviso.

Un attimo dopo capì. Dal fondo del corso stava avanzando verso di loro un corteo, una lunga fila di persone. Uno dei tanti cortei che ogni tanto percorrevano la città per protestare contro la fame e la povertà causate dalla guerra.

Il corteo in un attimo fu alla sua altezza. Lorenzo si scostò per non essere travolto e si addossò al muro.

– Lorenzo! Stai attento! Vieni qua!

Sentì la voce della mamma, ma non riuscì a vederla, tra tutte quelle braccia e quelle gambe.

– Sono qui! Mamma! Sono qui!

Non riuscì quasi a sentire la sua voce. Allora si guardò attorno, cercando di passare tra la folla che sfilava accanto a lui.

Capiva quelle persone, le capiva a fondo: la guerra durava ormai da più di due anni e la gente sopportava sempre meno le ristrettezze e la fame.

La loro famiglia, per certi versi, era fortunata. La mamma lavorava e guadagnava abbastanza per dare da mangiare a tutti; i nonni, i genitori di papà, abitavano in campagna e ogni tanto arrivavano con burro, salami e magari un coniglio da fare al forno.

Ma c’era un sacco di gente che non aveva i soldi nemmeno per il pane.

– Lorenzo! Dove sei?

Ancora la voce della mamma. Più lontana.

– Sono qui – ripeté lui.

Poi si accorse che la cosa migliore da fare era lasciar passare il corteo e tornare a casa tranquillamente da solo. La spesa avrebbero anche potuta farla più tardi o al massimo l’indomani mattina, anche se ciò avrebbe voluto dire alzarsi prima.

9 In città

Altre voci, più allarmate, gli giunsero però in quel momento all’orecchio.

– I soldati!

– Scappate! Scappate!

Capitolo 1 10

La borsa

Se fino a quel momento Lorenzo non si era spaventato, improvvisamente ebbe paura. La gente cessò di marciare lentamente e compostamente e cominciò a correre disordinatamente qua e là.

Poi Lorenzo udì distintamente un’esplosione. Poi un’altra. Spari. Dovevano essere spari. Si ritrovò improvvisamente solo.

Dall’altra parte della strada vide dei soldati: qualcuno a cavallo, la maggior parte a piedi con i fucili imbracciati. La paura gli strinse la bocca dello stomaco. Si guardò attorno. Era rimasto veramente solo. Anche la mamma era sparita. Sentì un rumore, si girò e vide una cosa strana.

A una decina di metri da lui era comparso un uomo di una certa età, elegantemente vestito e con una borsa di pelle in mano. Sembrava un avvocato o un medico. Si guardava attorno, come se stesse fuggendo da qualcuno o da qualcosa. All’improvviso si udirono delle voci concitate.

– Melli! Stai fermo lì! Non ti muovere!

Due uomini vestiti tutti di nero erano usciti dalle schiere dei soldati e stavano venendo verso di loro. In mano avevano degli oggetti anch’essi neri. Lorenzo guardò meglio: erano pistole e le stavano puntando verso quell’uomo.

Uno dei due uomini urlò nuovamente.

– Melli! Non rendere tutto più difficile. Fermati!

Capitolo 11 2

L’uomo non rispose e improvvisamente si mise a correre. Fece appena qualche passo. Risuonò un colpo secco e Lorenzo quasi contemporaneamente lo vide cadere con un grido. La borsa gli sfuggì dalle mani e scivolò sul selciato fino ad arrivare davanti ai suoi piedi. L’urto la fece aprire: ne uscì una manciata di biglietti di banca che svolazzarono prima di adagiarsi sul marciapiede.

Lorenzo non rifletté, agì d’istinto: prese la borsa, se la strinse al petto e cominciò a correre verso l’angolo della strada. Non sapeva nemmeno lui perché l’avesse presa. Invece no, lo sapeva benissimo: soldi! Dentro c’erano dei soldi! E il denaro voleva dire legna per la stufa, vestiti pesanti per l’inverno e un po’ meno cavoli bolliti, fagioli e patate lesse appena condite con un po’ di sale, a colazione, pranzo e cena.

– Fermati ragazzo! – sentì dietro di sé.

– Lascia la borsa!

I due uomini gli stavano urlando dietro.

Non ascoltò. Sentì un “bang” e accanto a lui il muro sembrò quasi esplodere in mille schegge che lo colpirono su un braccio. Gli avevano sparato!

Aumentò la corsa e svoltò l’angolo. Rallentò alla ricerca di un portone o di un androne qualsiasi dove infilarsi. Avrebbe aperto la borsa, preso i soldi e sarebbe scappato verso casa. Non ci riuscì. Sentì ancora la voce dietro di sé.

– Fermati!

Poi un altro scoppio e un sibilo accanto al suo orecchio: una pallottola l’aveva mancato di pochissimo.

Si mise a correre disperatamente. A un centinaio di metri intravide la stazione di Porta Nuova. Doveva raggiungerla e cacciarsi in mezzo alla folla. Magari avrebbe corso tra i binari, facendo sparire le sue tracce.

Inutile. I due correvano più veloci di lui. E, come se non bastasse, si erano messi a urlare.

12 Capitolo 2

– Al ladro!

– Fermatelo! Fermatelo!

Vide gente venire verso di sé per sbarrargli il passo, poi... accadde l’imprevisto: un frate sbucò da un portone e si fermò dietro di lui, come sorpreso dall’inseguimento.

Con la coda dell’occhio Lorenzo vide distintamente i due inseguitori franargli addosso e cadere per terra.

L’attenzione della gente per qualche secondo fu attratta dal groviglio di gambe e braccia sul marciapiede e dalle imprecazioni dei due. Lorenzo accelerò ancora.

Davanti a lui comparve, ora, l’ingresso laterale della stazione, pieno di gente tra cui confondersi. Passò in mezzo a un gruppo di soldati che evidentemente stavano partendo per il fronte e raggiunse i binari. Scivolò dietro a una locomotiva che stava arrivando e riuscì a nascondersi.

Aveva guadagnato qualche secondo, doveva approfittarne. Vide un vagone, un carro bestiame, che aveva una scritta sul fianco: CAVALLI 7 UOMINI 40.

Il portellone era aperto e vi salì in fretta. Era vuoto: c’era solo un po’ di paglia per terra e un mucchio di fieno in un angolo. Vi si infilò dentro. Appena in tempo. Attraverso gli steli del fieno intravide una sagoma affacciarsi al vagone. Poi una voce.

– Qui non c’è!

Non si mosse. Cercò addirittura di non respirare. Poi sentì le voci allontanarsi. Stette ancora un po’ sotto il fieno aspettando che il cuore si calmasse, stringendo la borsa. Pensò di lasciarla lì e di allontanarsi ma sarebbe stato inutile. Quegli uomini ormai ce l’avevano proprio con lui!

13 La borsa

Gli uomini in nero

Non si mosse per un tempo che gli parve infinito. Intuì che il sole era tramontato e che ormai era tarda sera. Chissà come sarebbe stata preoccupata la mamma non vedendolo tornare a casa!

Finalmente si decise: uscì fuori dal mucchio di fieno e si affacciò cautamente dal portellone che era rimasto aperto.

Era buio tutto intorno, appena rotto dal riflesso di qualche lampione proveniente dall’esterno. Improvvisamente però sentì delle voci avvicinarsi. In un attimo fu nuovamente nascosto tra il fieno.

Il portellone si aprì sferragliando, poi seguirono incitamenti e rumori strani.

– Vai Moro!

Il grido arrivò dopo un paio di minuti di silenzio e immediatamente si sentì un rumore di zoccoli.

Un animale riempì il vano del portellone mentre l’odore di stallatico divenne intenso.

Sbirciò dal suo mucchio di fieno ed ebbe la conferma di quello che aveva capito: sul vagone stavano caricando dei muli.

Subito dopo salirono anche due soldati. Uno teneva per mano la cavezza del mulo, l’altro indicò la parte del vagone direttamente opposta al mucchio di fieno.

– No. Non metterli lì dove c’è il fieno, altrimenti se lo mangiano tutto. Glielo daremo domattina – disse all’altro.

Beh, pensò Lorenzo, almeno non avrebbe avuto un mulo ad alitargli in faccia.

Capitolo 14 3

La storia italiana raccontata da grandi storie per ragazzi STORIA E STORIE

Mentre infuriano i tumulti di protesta contro la guerra, Lorenzo, un ragazzo di undici anni, si scontra con un uomo a cui cade una misteriosa borsa. Il ragazzo la afferra e, inseguito dalla polizia, fugge su un treno diretto al fronte.

Lorenzo si ritrova dapprima sul Carso, vicino ai soldati in trincea, poi viene coinvolto nella disastrosa ritirata dell’esercito dopo la sconfitta di Caporetto. Verrà così a contatto con la durezza e la miseria della guerra, terribile per tutti, amici e nemici, italiani e austriaci, militari e civili. E capirà che l’onore e la crudeltà, come il fanatismo e la comprensione, non dipendono dalla bandiera, dalla lingua che si parla e dall’esercito in cui si combatte.

Progetto rientrante nel Programma ufficiale delle commemorazioni del centenario della prima Guerra mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Struttura di Missione per gli Anniversari di interesse nazionale.

Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it

ISBN 978-88-472-2205-2

9 788847 222052
€ 9,00
Torino, autunno 1917

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.