Lorenzo e la Grande Guerra

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Torino, autunno 1917. Titoli pubblicati

MEDIOEVO • Luciano Nardelli

I Cavalieri della Quinta Luna

RINASCIMENTO • Sofia Gallo

Sii forte, Adelasia

SCOPERTE GEOGRAFICHE Da un altro mondo

ILLUMINISMO • Elisabetta Marchetti

Il mistero dell’Enciclopedia

RISORGIMENTO • Annamaria Piccione

Niente campana per Cunebardo

PRIMA GUERRA MONDIALE • Marco Tomatis

Marco Tomatis è nato e vive in provincia di Cuneo, dove ha insegnato in una scuola secondaria di primo grado. Ha pubblicato numerosi libri di narrativa per ragazzi, vincendo diversi premi letterari. Ha lavorato per anni come sceneggiatore di fumetti.

Lorenzo e la Grande Guerra

Lorenzo e la Grande Guerra Lorenzo e la Grande Guerra

• Luciano Marasca

Mentre infuriano i tumulti di protesta contro la guerra, Lorenzo, un ragazzo di undici anni, si scontra con un uomo a cui cade una misteriosa borsa. Il ragazzo la afferra e, inseguito dalla polizia, fugge su un treno diretto al fronte. Lorenzo si ritrova dapprima sul Carso, vicino ai soldati in trincea, poi viene coinvolto nella disastrosa ritirata dell’esercito dopo la sconfitta di Caporetto. Verrà così a contatto con la durezza e la miseria della guerra, terribile per tutti, amici e nemici, italiani e austriaci, militari e civili. E capirà che l’onore e la crudeltà, come il fanatismo e la comprensione, non dipendono dalla bandiera, dalla lingua che si parla e dall’esercito in cui si combatte.

Ciak

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Ciak... si gira

FASCISMO

UNO SGUARDO SULLA PRIMA GUERRA MONDIALE

• Roberta Fasanotti

Il fascismo dalla mia finestra

SECONDA GUERRA MONDIALE • Rossana Guarnieri

Bombe e sofferenza

PROBLEMI DI OGGI

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(sbarchi di clandestini) • Claudio Elliott

Il barcone della speranza

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Lo Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE, GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 2610-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

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A8,80

Un racconto al tempo della Prima Guerra Mondiale con notizie e curiosità storiche

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Al tempo della Prima Guerra Mondiale Collana di narrativa storica diretta da Luigino Quaresima


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Direttore di collana: Luigino Quaresima Redazione: Emanuele Ramini Progetto Grafico e Impaginazione: Letizia Favillo Copertina: Letizia Favillo

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2015 2014 2013 2012 2011 2010 2009

Tutti i diritti sono riservati

Š 2008

E. Mail: info@raffaelloeditrice.it http://www.raffaelloeditrice.it Printed in Italy

Ăˆ assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


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Marco Tomatis

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Capitolo 1

In città

Torino, fine settembre 1917

Lorenzo Bramati uscì di casa guardandosi attorno e stringendosi nella giacchetta militare che la mamma gli aveva comprato per pochi soldi su una bancarella del Balon, il mercato delle pulci di Torino. Quella giacca gli piaceva, lo faceva quasi assomigliare a un soldato, anche perché era molto alto per i suoi undici anni. Il gesto però fu inutile. Il vento, scendendo dalle Alpi, spazzava gelido Corso Vittorio e lo fece rabbrividire nella pallida luce del sole che stava per tramontare. Lorenzo sentì una manina tiepida afferrare fiduciosa la sua. Si girò e sorrise a Valentina, sua sorella, tre anni compiuti, quasi quattro. - Andiamo da mamma? - gli disse. Il ragazzo si sentì pieno di tenerezza per la sorellina: lo sapeva benissimo che stavano andando incontro alla mamma e evidentemente la piccola aveva solo desiderio di parlargli, di sentire la sua voce. Le strinse la mano con dolcezza e le rispose: - Certo! E poi andiamo ad aiutarla a fare la spesa. - Farà le patate fritte stasera? Lorenzo scrollò la testa come per togliersi ogni illusione. Da un po’ di tempo non le mangiava. Le patate c’erano, poche ma c’erano, ma mancava l’olio per friggerle. Troppo caro, anche se quello era giorno di paga. Tutti i sabati Lorenzo e Valentina andavano ad aspettare la 5


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Capitolo 1

mamma ai cancelli della Fiat, dove lei lavorava, perché in quel giorno di solito faceva la spesa per la settimana e aveva bisogno di aiuto per portare tutto a casa. Andavano al mercato di Porta Palazzo, dove la roba costava meno. Una spesa povera: patate, porri, rape, cavoli, fagioli, qualche volta anche una gallina da fare lessa per la domenica e magari qualche dolcino. Prima, erano solo due anni fa ma sembrava la preistoria, veniva anche papà. Adesso, invece, come troppi altri padri, mariti, fratelli e fidanzati, era in guerra. Una guerra lontana, di cui Lorenzo non capiva nulla, in luoghi che lui non aveva mai sentito nominare ma che in poco tempo gli erano diventati tristemente celebri: Carso, Pasubio, Isonzo, Altipiano di Asiago, Ortigara... Adesso sapeva benissimo dove si trovavano perché tutte le mattine il maestro, a scuola, prima di cominciare la lezione, faceva dire una preghiera per i “valorosi soldati italiani” che combattevano eroicamente per la Patria. C’era una cartina appesa alla parete dell’aula, su cui le zone di guerra erano segnalate da una fila serpeggiante di bandierine tricolori infilate su uno spillo. Ogni tanto il maestro, consultando il giornale, le spostava leggermente verso il bordo destro. Mai più di un centimetro, però. Lorenzo si chiedeva dove sarebbero dovute arrivare le bandierine perché la guerra finisse e il papà tornasse finalmente a casa. “Carico di gloria e di onore”, ripeteva in continuazione il maestro. Pochi giorni prima, il maestro aveva spostato le bandierine, che da giugno non toccava più, di parecchi millimetri e aveva parlato di una grande vittoria in un altro di quei luoghi che lui non aveva mai sentito nominare prima. L’altipiano della… della… ecco, della Bainsizza gli sembrava di ricordare. Poi il maestro aveva nuovamente parlato per mezz’ora della gloria conquistata dai soldati. 6


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In città

Lorenzo non sapeva che cosa fosse questa “gloria” per cui suo padre stava combattendo. Sapeva solo che era partito più di due anni prima, nel maggio del 1915, e che da allora l’aveva visto una volta sola, un anno dopo, quando era tornato a casa per la licenza di Natale. Lo aveva trovato stanco, con poca voglia di giocare con lui e con lo sguardo triste. Aveva trascorso le ore accanto alla stufa guardando le fiamme e parlando fitto fitto con la mamma, fino a quando lei non lo aveva abbracciato. I suoi occhi erano rossi, come di pianto. Ma questo a Lorenzo non sembrava possibile. Gli uomini non piangono. Specialmente, poi, non piangono i papà. E soprattutto, dicevano tutti, non piangono i soldati che combattono meritandosi di essere chiamati “eroi”. Lorenzo non sapeva neanche che faccia avesse un eroe, ma sicuramente non doveva avere quella di Pietro Grimaldi, il loro vicino di casa, che era tornato senza una gamba e passava la giornata seduto sul balcone ad imprecare contro la guerra e contro quei “porci”, così diceva, che l’avevano voluta. La mamma tutte le volte lo guardava quasi con spavento. E, anche se non diceva niente, gli occhi le si riempivano di lacrime. Per fortuna, pensava Lorenzo, lei era quasi tutto il giorno fuori: usciva al mattino e rientrava alla sera. Come tante altre donne lavorava alla Fiat perché gli uomini erano tutti in guerra. Quasi, perché di uomini alla Fiat ce ne erano tanti: qualcuno li chiamava “imboscati”. Lorenzo non sapeva bene cosa volesse dire, fino a quando la mamma non gliel’aveva spiegato: imboscati erano gli uomini che, pur potendolo fare, non andavano in guerra. Qualcuno li chiamava anche vigliacchi . Girava tra la gente una canzonetta, gliel’aveva cantata anche il papà in uno dei pochi momenti in cui aveva riso e giocato con lui. 7


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Capitolo 1

Da Cividale a Udine ci stanno gli imboscati hanno gambali lucidi e capelli profumati. Il maestro, però, diceva sempre che tutti collaboravano per vincere la guerra e che quegli uomini erano indispensabili per costruire e far funzionare le macchine, i camion e le armi con cui i soldati combattevano. Stavano a casa o nelle retrovie, semplicemente perché sapevano fare cose che altri non erano in grado di fare. Lorenzo, però, ultimamente aveva cominciato a sospettare che il maestro dicesse così perché anche suo figlio lavorava alla Fiat. E non capiva perché suo papà era partito lasciando la moglie e due figli a casa, mentre il figlio del maestro, che era più giovane e non era nemmeno sposato, fosse rimasto a Torino. Non capiva nemmeno perché il figlio del maestro si vedesse sempre in giro con amici e donne, mentre suo padre gli aveva detto che i soldati in licenza avevano l’ordine di non entrare nei caffè e di non farsi vedere in strada con donne che non fossero parenti strette. - Mamma! - urlò ad un tratto la sua sorellina. Lorenzo la sentì sfuggirgli di mano e la vide correre verso una figura che era appena apparsa all’angolo dell’isolato. Era proprio lei: la mamma, negli abiti da lavoro che sapevano d’olio e di grasso, le mani sempre più simili a quelle di papà, uno sbaffo nero sulla faccia. Nello stesso momento Lorenzo sentì delle voci, prima indistinte, poi sempre più chiare. - Vogliamo pane! Vogliamo pane! - Abbasso la guerra! - A Natale tutti a casa! - Abbasso la guerra! Abbasso la guerra! Le urla scomposte gli arrivarono alle orecchie all’improvviso. Un attimo dopo capì. Dal fondo del corso stava avanzando 8


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In città

verso di loro un corteo, una lunga fila di persone. Uno dei tanti cortei che ogni tanto percorrevano la città per protestare contro la fame e la povertà causate dalla guerra. Il corteo in un attimo fu alla sua altezza. Lorenzo si scostò per non essere travolto e si addossò al muro. - Lorenzo! Stai attento! Vieni qua! Sentì la voce della mamma, ma non riuscì a vederla, tra tutte quelle braccia e quelle gambe. - Sono qui! Mamma! Sono qui! Non riuscì quasi a sentire la sua voce. Allora si guardò attorno, cercando di passare tra la folla che sfilava accanto a lui. Capiva quelle persone, le capiva a fondo: la guerra durava ormai da più di due anni e la gente sopportava sempre meno le ristrettezze e la fame. La loro famiglia, per certi versi, era fortunata. La mamma lavorava e guadagnava abbastanza per dare da mangiare a tutti; i nonni, i genitori di papà, abitavano in campagna e ogni tanto arrivavano con burro, salami e magari un coniglio da fare al forno. Ma c’era un sacco di gente che non aveva i soldi nemmeno per il pane. - Lorenzo! Dove sei? Ancora la voce della mamma. Più lontana. - Sono qui - ripeté lui. Poi si accorse che la cosa migliore da fare era lasciar passare il corteo e tornare a casa tranquillamente da solo. La spesa avrebbero anche potuta farla più tardi o al massimo l’indomani mattina, anche se ciò avrebbe voluto dire alzarsi prima. Altre voci, più allarmate, gli giunsero però in quel momento all’orecchio. - I soldati! - Scappate! Scappate!

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Capitolo 2

La borsa

Se fino a quel momento Lorenzo non si era spaventato, improvvisamente ebbe paura. La gente cessò di marciare lentamente e compostamente e cominciò a correre disordinatamente qua e là. Poi Lorenzo udì distintamente un’esplosione. Poi un’altra. Spari. Dovevano essere spari. Si ritrovò improvvisamente solo. Dall’altra parte della strada vide dei soldati: qualcuno a cavallo, la maggior parte a piedi con i fucili imbracciati. La paura gli strinse la bocca dello stomaco. Si guardò attorno. Era rimasto veramente solo. Anche la mamma era sparita. Sentì un rumore, si girò e vide una cosa strana. A una decina di metri da lui era comparso un uomo di una certa età, elegantemente vestito e con una borsa di pelle in mano. Sembrava un avvocato o un medico. Si guardava attorno, come se stesse fuggendo da qualcuno o da qualcosa. All’improvviso si udirono delle voci concitate. - Melli! Stai fermo lì! Non ti muovere! Due uomini vestiti tutti di nero erano usciti dalle schiere dei soldati e stavano venendo verso di loro. In mano avevano degli oggetti anch’essi neri. Lorenzo guardò meglio: erano pistole e le stavano puntando verso quell’uomo. Uno dei due uomini urlò nuovamente. - Melli! Non rendere tutto più difficile. Fermati! 10


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La borsa

L’uomo non rispose e improvvisamente si mise a correre. Fece appena qualche passo. Risuonò un colpo secco e Lorenzo quasi contemporaneamente lo vide cadere con un grido. La borsa gli sfuggì dalle mani e scivolò sul selciato fino ad arrivare davanti ai suoi piedi. L’urto la fece aprire: ne uscì una manciata di biglietti di banca che svolazzarono prima di adagiarsi sul marciapiede. Lorenzo non rifletté, agì d’istinto: prese la borsa, se la strinse al petto e cominciò a correre verso l’angolo della strada. Non sapeva nemmeno lui perché l’avesse presa. Invece no, lo sapeva benissimo: soldi! Dentro c’erano dei soldi! E il denaro voleva dire legna per la stufa, vestiti pesanti per l’inverno e un po’ meno cavoli bolliti, fagioli e patate lesse appena condite con un po’ di sale, a colazione, pranzo e cena. - Fermati ragazzo! - sentì dietro di sé. - Lascia la borsa! I due uomini gli stavano urlando dietro. Non ascoltò. Sentì un “bang” e accanto a lui il muro sembrò quasi esplodere in mille schegge che lo colpirono su un braccio. Gli avevano sparato! Aumentò la corsa e svoltò l’angolo. Rallentò alla ricerca di un portone o di un androne qualsiasi dove infilarsi. Avrebbe aperto la borsa, preso i soldi e sarebbe scappato verso casa. Non ci riuscì. Sentì ancora la voce dietro di sé. - Fermati! Poi un altro scoppio e un sibilo accanto al suo orecchio: una pallottola l’aveva mancato di pochissimo. Si mise a correre disperatamente. A un centinaio di metri intravide la stazione di Porta Nuova. Doveva raggiungerla e cacciarsi in mezzo alla folla. Magari avrebbe corso tra i binari, facendo sparire le sue tracce. Inutile. I due correvano più veloci di lui. E, come se non bastasse, si erano messi a urlare. 11


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Capitolo 2

- Al ladro! - Fermatelo! Fermatelo! Vide gente venire verso di sé per sbarrargli il passo, poi... accadde l’imprevisto: un frate sbucò da un portone e si fermò dietro di lui, come sorpreso dall’inseguimento. Con la coda dell’occhio Lorenzo vide distintamente i due inseguitori franargli addosso e cadere per terra. L’attenzione della gente per qualche secondo fu attratta dal groviglio di gambe e braccia sul marciapiede e dalle imprecazioni dei due. Lorenzo accelerò ancora. Davanti a lui comparve, ora, l’ingresso laterale della stazione, pieno di gente tra cui confondersi. Passò in mezzo a un gruppo di soldati che evidentemente stavano partendo per il fronte e raggiunse i binari. Scivolò dietro a una locomotiva che stava arrivando e riuscì a nascondersi. Aveva guadagnato qualche secondo, doveva approfittarne. Vide un vagone, un carro bestiame, che aveva una scritta sul fianco: CAVALLI 7 UOMINI 40. Il portellone era aperto e vi salì in fretta. Era vuoto: c’era solo un po’ di paglia per terra e un mucchio di fieno in un angolo. Vi si infilò dentro. Appena in tempo. Attraverso gli steli del fieno intravide una sagoma affacciarsi al vagone. Poi una voce. - Qui non c’è! Non si mosse. Cercò addirittura di non respirare. Poi sentì le voci allontanarsi. Stette ancora un po’ sotto il fieno aspettando che il cuore si calmasse, stringendo la borsa. Pensò di lasciarla lì e di allontanarsi ma sarebbe stato inutile. Quegli uomini ormai ce l’avevano proprio con lui!

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Capitolo 3

Gli uomini in nero

Non si mosse per un tempo che gli parve infinito. Intuì che il sole era tramontato e che ormai era tarda sera. Chissà come sarebbe stata preoccupata la mamma non vedendolo tornare a casa! Finalmente si decise: uscì fuori dal mucchio di fieno e si affacciò cautamente dal portellone che era rimasto aperto. Era buio tutto intorno, appena rotto dal riflesso di qualche lampione proveniente dall’esterno. Improvvisamente però sentì delle voci avvicinarsi. In un attimo fu nuovamente nascosto tra il fieno. Il portellone si aprì sferragliando, poi seguirono incitamenti e rumori strani. - Vai Moro! Il grido arrivò dopo un paio di minuti di silenzio e immediatamente si sentì un rumore di zoccoli. Un animale riempì il vano del portellone mentre l’odore di stallatico divenne intenso. Sbirciò dal suo mucchio di fieno ed ebbe la conferma di quello che aveva capito: sul vagone stavano caricando dei muli. Subito dopo salirono anche due soldati. Uno teneva per mano la cavezza del mulo, l’altro indicò la parte del vagone direttamente opposta al mucchio di fieno. - No. Non metterli lì dove c’è il fieno, altrimenti se lo mangiano tutto. Glielo daremo domattina - disse all’altro. Beh, pensò Lorenzo, almeno non avrebbe avuto un mulo ad alitargli in faccia. 13


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Capitolo 3

I soldati caricarono altri sei muli. Poi si allontanarono. Il portellone restò aperto. Lorenzo sentì gli animali muoversi per sistemarsi meglio: qualche raglio e molti sbuffi accompagnati dal rumore degli zoccoli che risuonavano sul pavimento di legno del vagone, nonostante la paglia che lo ricopriva. Il ragazzo tirò il naso fuori dal mucchio di fieno e sbirciò nuovamente dal portellone rimasto aperto. Non c’era nessuno in vista. In un angolo vide però una figura vestita con quello che gli sembrò un saio da frate che guardava da un’altra parte. Non poté trattenere un sospiro di contentezza. Da lì a casa sua non c’era molto. Un quarto d’ora a piedi. Addirittura meno se si fosse messo a correre. Si sentì meglio. Uscì completamente fuori dal fieno, si accostò con cautela al portellone e sbirciò fuori. Ancora nessuno. Bene. Strinse al petto la borsa e si preparò a saltare giù. Proprio in quell’istante sentì una voce che lo terrorizzò. - Deve essere qui! Non può essere andato da un’altra parte. C’era solo questo treno fermo alla stazione e dalle altre parti abbiamo guardato dappertutto! La voce lo bloccò. Sbirciò con più attenzione verso l’esterno. Il frate intravisto prima era sparito, ma i due uomini vestiti di nero, quelli che avevano sparato a lui e all’uomo con il cappotto marrone, erano lì, a pochi metri di distanza. Ed evidentemente lo stavano ancora cercando. Neanche a parlarne di scendere. Non in quel momento almeno: lo avrebbero sicuramente visto. Tornò nell’interno del vagone e si rintanò per la terza volta sotto al mucchio di fieno. - Dai! Se fosse nascosto qui i soldati l’avrebbero visto. Ci 14


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Gli uomini in nero

hanno caricato i muli. Se veramente ha preso questo treno sarà da qualche altra parte - sentì. - Ehi! Cosa fate lì?... La voce risuonò distintamente nel vagone e continuò. - ... Non sono ammessi borghesi intorno a un treno militare. Lorenzo si azzardò a sbirciare tra i fili di fieno che gli facevano pizzicare il naso. Ci sarebbe proprio mancato che si fosse messo a starnutire. Alla incerta luce dei lampioni intravide i due uomini che stavano rispondendo a un soldato che li teneva sotto mira con un fucile. Accanto a lui c’era un uomo alto, in divisa, ma con un atteggiamento che suggeriva un che di diverso, come se non si trattasse di un soldato vero e proprio. Fu lui a ripetere la domanda già fatta. - Che cosa ci fate qui? - Niente di male. Cercavamo un amico. Il capitano Franceschi. Ci hanno detto che dovrebbe essere da queste parti. Magari voi lo conoscete. - Qui non c’è nessun capitano Franceschi - ribadì il soldato. Poi punzecchiò il più vicino dei due uomini con la punta della baionetta. - Forza! Muovetevi. Andiamo dal tenente. Ci penserà lui a voi. Uno dei due tentò di protestare. - Stai commettendo un errore. Noi… Il soldato non lo lasciò finire. - Nessun errore. Siete dei borghesi in un luogo in cui ai borghesi è proibito stare. Potrei spararvi immediatamente e magari mi darebbero pure una medaglia. Quindi zitti e camminate! L’uomo in divisa gli posò una mano sul braccio. - Beppino, non esagerare. Uno degli uomini in nero gli fece eco. - Ecco padre Tommaso, glielo dica anche lei che non stavamo facendo nulla di male. 15


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Capitolo 3

Padre? Improvvisamente Lorenzo capì. L’altro era un cappellano militare, uno di quei sacerdoti che andavano anche loro in guerra. Il soldato, Lorenzo ora sapeva che si chiamava Beppino, lo guardò. - Io non esagero, ma se scopro che ci sono dei civili qui e io non li fermo, nei pasticci ci vado io. Il cappellano guardò i due uomini. - Ha ragione, gli ordini sono precisi. Poi si rivolse a Beppino. - Portali dal tenente. Ci penserà lui. Immediatamente dopo, il gruppo uscì dal campo visivo di Lorenzo che aspettò ancora qualche minuto prima di uscire dal suo nascondiglio. Sbirciò nuovamente fuori. Niente da fare: il cappellano si era allontanato e stava parlando con un frate sulla porta della stazione, ma il soldato e i due uomini si erano fermati poco più in là e discutevano animatamente. Dall’altra parte del marciapiede, invece, decine di militari erano in attesa di salire sul treno. Evidentemente quella era una tradotta, uno delle centinaia di treni che portavano i soldati alla guerra. Se fosse sceso, lo avrebbero visto decine di persone e non sarebbe potuto sfuggire. Sarebbero piovute le domande e i due uomini in nero lo avrebbero di sicuro riconosciuto. Sarebbe stato nei guai senza rimedio. Magari lo avrebbero addirittura portato in prigione! Considerò la situazione per qualche minuto. Niente da fare. Non poteva uscire. La cosa migliore sarebbe stata nuovamente nascondersi nel fieno e aspettare. Se la fortuna lo avesse assistito, nel corso della notte avrebbe potuto allontanarsi. Non era tardi. Un enorme orologio appeso ai pilastri della pensilina sovrastante il marciapiede segnava appena le otto di sera. 16


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Gli uomini in nero

Pensò a sua madre che in quel momento sicuramente sarebbe stata in pena. In più aveva fame. Erano passate ormai parecchie ore dalla poca pasta scotta che aveva mangiato a pranzo. Improvvisamente però l’occhio gli cadde su un tascapane appoggiato sul pavimento del vagone, vicino all’apertura del portellone. Dovevano avercelo lasciato i soldati che avevano caricato i muli. Dall’apertura spuntava il collo di una bottiglia e una borraccia era legata alla tracolla. Magari dentro ci sarebbe stato anche del cibo. Lorenzo non esitò. Allungò una mano, si impadronì del tascapane e immediatamente dopo si rifugiò nuovamente nel fieno. Appena in tempo. Stavano avvicinandosi dei soldati. Poi sentì una voce forte e imperiosa. - Ehi tu! Chiudi quel vagone! Un attimo dopo l’ordine venne ripetuto per tutto il marciapiede con un tono che non ammetteva repliche. - Chiudete! - Chiudete! - Chiudete! Il portellone si rinchiuse. Ci fu ancora qualche rumore, qualche saluto, un attimo di silenzio, un fischio acuto e il treno si mise in moto.

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Capitolo 4

In treno

Lorenzo si sentì perso. Pensò alla mamma che a quel punto sarebbe stata veramente preoccupata, poi ai due uomini in nero che lo stavano inseguendo. Se anche loro fossero saliti su quel treno? Gli venne voglia di urlare e di piangere. Maledisse il momento in cui aveva seguito l’istinto e aveva preso la borsa. Poi pensò ai soldi. Quelli che la mamma guadagnava non bastavano mai. Al buio cercò di aprirla, ma non ci riuscì. Si abbandonò nel fieno e chiuse gli occhi. Il treno procedeva monotono, rallentando ogni tanto alle stazioni. O almeno a quelle che Lorenzo pensava fossero stazioni, dato che un pallido barlume di luce entrava a tratti dai quattro finestrini posti in alto e illuminava l’interno del vagone e i muli che respiravano tranquilli, legati alle loro cavezze. Improvvisamente sentì i morsi della fame. Si ricordò allora del tascapane che aveva preso e lo aprì. Immediatamente lo colpì un profumo di pane, formaggio e salame. A tentoni afferrò la prima cosa che gli venne fra le mani. Divorò mezza pagnotta con il formaggio, lasciando l’altra mezza e il salame per dopo. Cercò poi nel buio la borraccia. Conteneva acqua fresca. Bevve con attenzione. Non poteva finirla. Non riuscì invece ad aprire la bottiglia, c’era un tappo piantato ben in fondo. Probabilmente ci sarebbe stato bisogno di un cavatappi, ma il profumo che sentiva era inequivocabilmente di vino. Un po’ meno triste si sdraiò nel fieno, riscaldato dal cibo e dal 18


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In treno

calore animale. Sentì le palpebre farsi pesanti e, cullato dal dondolio del treno, si addormentò. Lo risvegliò un raggio di sole che lo colpì sugli occhi. Panico. Per un attimo non riuscì a capire dove potesse essere. Poi il rumore del treno sempre in movimento e lo zoccolìo dei muli, un po’ innervositi dalla sua presenza, lo riportarono alla realtà. Si alzò e controllò il portellone. Niente da fare. Era chiuso dall’esterno, probabilmente con un robusto chiavistello. Tornò al mucchio di fieno. L’aria del vagone adesso era pesante per l’odore aspro dei muli e dei loro escrementi che avevano trasformato la paglia pulita in letame. Si chiese cosa potesse fare e concluse che non doveva far altro che aspettare. Il suo sguardo cadde sulla borsa: la causa di tutto. Stavolta riuscì ad aprirla senza nessuna difficoltà. Vi infilò una mano, sentì un fruscio di fogli di carta ed estrasse una busta, piuttosto voluminosa. Era semiaperta e la aprì del tutto. Un tuffo al cuore, il respiro più affannoso. Banconote. Nella busta c’era un mucchio di banconote. Le estrasse e le contò. Poi le ricontò più attentamente. Le ricontò una terza volta e gli venne il singhiozzo come tutte le volte che era troppo emozionato. Diecimila lire. Nella busta c’erano diecimila lire, in banconote da cinquanta lire. Una cifra che lui non riusciva neppure a concepire. Calcolò quanto guadagnava per aiutare il fornaio a portare il pane ai clienti la domenica mattina, pedalando su una specie di triciclo a pedali pesantissimo. Almeno fino a quando la mancanza di pane aveva eliminato anche le consegne a domicilio. Venticinque centesimi per una mattinata di lavoro. Avrebbe dovuto lavorare quarantamila mattinate per guadagnare la somma che aveva tra le mani. 19


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Capitolo 4

Rimise le banconote nella busta di tela cerata e se la infilò sotto la maglia di lana a contatto con la pelle. Con quei soldi avrebbe potuto evitare alla mamma di lavorare e avrebbero potuto aspettare papà con molta più tranquillità e serenità. Cominciò anche a pensare alla storia da raccontare se l’avessero visto scendere dal treno. Avrebbe potuto dire che era salito per curiosare, che l’avevano chiuso dentro e nonostante le urla e i richiami non l’avevano sentito e… Certo, una bella sgridata non gliel’avrebbe levata nessuno, ma poi sarebbero stati costretti a lasciarlo andare. L’unico problema era evitare gli uomini in nero. Poi frugò di nuovo dentro la borsa e trovò un altro pacchetto, legato con un cordino e sigillato con la ceralacca. Strappò un angolo della confezione per vedere se dentro c’erano altri soldi. No. Sembravano piuttosto dei fogli scritti con formule difficili e strani disegni. Impaurito si nascose anche quel pacchetto sotto il maglione che indossava. Quindi decise di liberarsi della borsa, così non avrebbero potuto accusarlo di furto. Si guardò attorno e pensò al finestrino in alto! Si avvicinò più che poté, prese accuratamente la mira e la scagliò lontano. Pochi minuti dopo il treno cominciò a rallentare. Poi si fermò. Lorenzo stette indeciso qualche minuto. Cosa avrebbe potuto fare? Nascondersi nel fieno o cercare di uscire? Non ebbe il tempo di prendere una decisione. Il portellone si aprì e un soldato si affacciò.

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Capitolo 5

Beppino e padre Tommaso

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hi! Guarda cosa abbiamo qui. Chi aveva parlato era un soldato già di una certa età che a Lorenzo ricordò suo padre. Anche la faccia gli era familiare. Poi lo riconobbe. Era Beppino, quello che aveva caricato i muli e che aveva visto discutere con gli uomini in nero e con il cappellano. L’uomo continuò fissando il tascapane ai suoi piedi. - Cavoli! Ecco dov’era finito! Lorenzo nel frattempo stava respirando a pieni polmoni l’aria fresca che improvvisamente era entrata nel vagone. Sapeva di fumo di locomotiva e di fuliggine, ma era sempre meglio di quella stagnante e impregnata dell’odore di mulo e di letame che aveva respirato nelle ultime ore. E provò una grande sensazione di sollievo. Avrebbe potuto spiegare, parlare, tornare a casa. Il soldato a questo punto gli rivolse direttamente la parola. - Chi sei? Lorenzo esitò un attimo, poi snocciolò sicuro la storia che si era preparata accuratamente durante le lunghe ore del viaggio. - Mi chiamo Lorenzo. Sono salito sul treno a Torino. Così... per curiosità... E la porta si è chiusa. Adesso voglio tornare a casa. - Non sarà facile, siamo vicino a Monfalcone, in zona di guerra - gli rispose una voce sconosciuta. Si voltò e riconobbe immediatamente chi aveva parlato. Era il cappellano militare, che un momento dopo gli porse la mano. - Sono padre Tommaso. 21


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Capitolo 5

Lorenzo lo guardò bene: era alto, magro, e aveva gli occhi scuri che ispiravano fiducia. Non avrebbe saputo dire perché, ma si sentì rassicurato, come se non potesse accadergli nulla di male finché lui gli fosse stato vicino. Beppino nel frattempo aveva preso in mano il tascapane che Lorenzo aveva lasciato sul pavimento del vagone e ci stava frugando dentro. - Bravo! Ti sei mangiato un bel po’ di pane! E anche il formaggio. E pensare che doveva durarmi fino a stasera. Il rancio che ci danno fa schifo. Lorenzo lo guardò. - Avevo fame. Mi scusi. Padre Tommaso intervenne. - Ha ragione! Non poteva mica morire di fame. Poi cacciò una mano in tasca, ne tirò fuori qualche moneta e le porse a Beppino. - Prendi questi. Appena fuori dalla stazione c’è un negozio. Vai a comprare qualcosa da mangiare. Anche io ho un po’ di appetito. Lorenzo lo guardò riconoscente. Tutto stava andando meglio del previsto. Pregustò il momento in cui sarebbe potuto tornare a casa carico di soldi. Quei soldi che sentiva a contatto con la pelle nella loro busta e di cui ovviamente non avrebbe parlato a nessuno. Improvvisamente passò lento un treno sul binario vicino, proprio accanto a loro. Poi si fermò. I finestrini erano oscurati da pesanti tendine, tanto che era impossibile vedere dentro, ma, tra il rumore ritmico degli stantuffi della locomotiva, proveniva un sordo lamento, inframmezzato da qualche urlo di dolore. Sul marciapiede comparvero dei carri e delle ambulanze, mentre una serie di barelle vennero fatte scendere. 22


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Beppino e padre Tommaso

Su ognuna di esse c’era un uomo bendato. Beppino, che nel frattempo era tornato con un involto in mano, guardò la scena con lo sguardo triste. - Sono i feriti di questa guerra. Un uomo con un camice bianco tutto sporco di sangue scese dal treno. Lo accompagnava un altro, anche lui in camice bianco, con in mano un mazzetto di cartoni rossi e verdi. Il primo cominciò a chinarsi su una barella e a visitare brevemente il ferito che vi era sopra. Diceva qualcosa a quello che lo seguiva e questi posava sulla barella uno dei cartoncini: quello verde o quello rosso. Fece così fino alla fine della fila. Poi le barelle con il cartoncino verde vennero caricate sul treno che, dopo qualche minuto, ripartì. Gli altri feriti, invece, furono portati sotto una tettoia, mentre padre Tommaso che li aveva raggiunti, cercava di parlare con loro, limitandosi a benedirli quando non apparivano coscienti. Lorenzo si sentiva male: stava sudando, aveva brividi di freddo e lo stomaco stretto in una morsa di ferro. Ma cosa stava succedendo? Beppino colse il suo sguardo pieno d’orrore. - È un treno ospedale - spiegò, - uno di quelli che trasporta i feriti. - E i cartoncini verdi e rossi? - Segnalano la gravità delle ferite. Se ti danno un cartoncino verde hai possibilità di guarire e allora ti curano. Infatti quelli li hanno caricati sul treno. - E i rossi? - Segnalano quelli che non è possibile curare. - E allora? Beppino scrollò la testa. - Moriranno, sono destinati a morire. Poi continuò, sempre con lo sguardo triste. 23


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Capitolo 5

- Medici e infermieri sono troppo pochi per il “macello” che sta capitando e allora curano solo i feriti che possono guarire. Lorenzo guardò padre Tommaso che stava parlando con uno degli uomini in barella. Chissà quali parole si potevano dire a uno che stava per morire. Gli vennero le lacrime agli occhi.

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La Prima Guerra Mondiale NOTIZIE e CURIOSITĂ€ STORICHE

A cura di Marco Tomatis


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Panoramica Uno sguardo sulla Prima Guerra Mondiale

Nel 1914 in una Europa che vive in pace dal 1870, anno della guerra che ha visto la Germania prevalere sulla Francia, si fronteggiano contrapposti due grandi blocchi di nazioni. Da un lato la Triplice Alleanza, comprendente Francia, Inghilterra e Russia, dall’altro la Triplice Intesa, in cui sono alleate Germania, Impero austroungarico e Italia. Si tratta di due coalizioni divise da feroci inimicizie e da interessi completamente contrapposti, che hanno portato le singole nazioni a una forsennata corsa agli armamenti trasformando l’Europa in un immenso arsenale militare. In questa situazione è sufficiente una scintilla perché tutto esploda. E la scintilla scocca il 28 giugno 1914 a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina, dove è in programma la visita di Francesco Ferdinando, l’erede al trono dell’Impero austroungarico. Uno studente serbo, Gavrilo Princip, in un attentato, lo uccide a colpi di pistoL’assassinio di Sarajevo la insieme alla moglie Sofia. Per tutto il successivo mese di luglio, pur se in parte si cerca la strada delle trattative, si assiste a preparativi militari sempre più accentuati, fino a quando l’Austria dichiara guerra alla Serbia. Immediatamente la Russia interviene a fianco di quest’ultima. Gli si contrappone la Germania che si mobilita contro la Russia e il 3 agosto dichiara guerra anche alla Francia. 102


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Per questo viene provocato anche l’intervento dell’Inghilterra. Il perverso meccanismo delle alleanze ha funzionato così bene che in pochi giorni tutta l’Europa sta combattendo. E quanto il conflitto fosse preparato da tempo, lo dimostra il fatto che l’attacco della Germania alla Francia, compiuto invadendo il Belgio per aggirare le poderose fortificazioni francesi sul confine tra i due Stati, è stato effettuato secondo un piano che i tedeschi avevano preparato da decenni. E l’Italia? Per il momento resta neutrale avvalendosi di una clausola del trattato della Triplice Alleanza che impone l’intervento in guerra a fianco di un alleato solo nel caso che questi sia aggredito. L’Austria-Ungheria invece ha attaccato per prima la Serbia, quindi l’alleanza poté non essere rispettata dall’Italia. In realtà in Italia non risulta molto popolare l’ingresso in guerra a fianco dell’Austria-Ungheria dopo le vicende che hanno visto i due paesi combattere più volte fra di loro durante tutto il Risorgimento. Immediatamente quindi nasce un forte movimento di opinione pubblica favorevole all’entrata in guerra proprio contro gli austriaci, a fianco di Inghilterra e Francia. Lo costituiscono i cosiddetti interventisti. Ne fanno parte il re, gli alti gradi dell’esercito, alcuni settori della politica, gli industriali che vedono nella guerra l’occasione di grandi guadagni, molti studenti di famiglie agiate. Corteo interventista Con gli interventisti si schierano anche gli irredentisti, le persone cioè che considerano la guerra come l’occasione per annettere all’Italia le città di Trento e Trieste con i territori vicini, ancora parte dell’Impero austroungarico. 103


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Gli si oppone un altro movimento, a favore della neutralità dell’Italia, i cui aderenti si chiamano neutralisti. Ne fanno parte un uomo politico importante, Giovanni Giolitti, con i suoi sostenitori, la maggior parte del partito socialista, quei cattolici che seguono gli insegnamenti del papa Benedetto XV, molto critico verso la guerra, e, in geneGiovanni Giolitti rale, verso la parte più povera del paese. I due movimenti si fronteggiano con manifestazioni e scontri di piazza. La situazione interna e internazionale è tale che finiscono per prevalere gli interventisti. Il 26 aprile, quindi, il re Vittorio Emanuele III firma il cosiddetto Patto di Londra, che obbliga l’Italia a intervenire a fianco delle potenze dell’Intesa entro un mese. In caso di vittoria otterrà il Trentino, l’Alto Adige, tutta l’Istria, oltre a piccoli vantaggi territoriali nel mare Egeo e nell’Adriatico. Il 24 maggio 1915 vengono sparati i primi colpi di fucile e la guerra ha inizio. La sua ampiezza e crudeltà, la quantità degli uomini coinvolti, il numero dei morti, dei feriti, dei mutilati, dei dispersi, le cifre enormi spese per gli armamenti e le conseguenze che avrà, hanno fatto sì che questo conflitto sia passato alla storia come la “Prima Guerra Mondiale” o più semplicemente come la “Grande Guerra”.

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Zoom Un nuovo modo di combattere

La Prima Guerra Mondiale fu completamente diversa da quelle combattute fino a quel momento, anche se all’inizio nessuno lo poteva prevedere. Gli eserciti che si affrontavano, anzi, erano convinti che la guerra sarebbe durata al massimo qualche mese. Negli ultimi decenni, però, erano cambiate parecchie cose nel campo degli armamenti: fucili più moderni, polvere da sparo che non produceva fumo e permetteva quindi sempre una buona visibilità sul campo di battaglia, aeroplani in grado di colpire gli avversari dall’alto e di effettuare ricognizioni precise sul territorio nemico. I campi di battaglia, poi, poterono essere illuminati da potenti riflettori elettrici; inoltre, se l’uso della radio era ancora agli inizi, era però possibile ai reparti impegnati in combattimento comunicare abbastanza agevolmente fra di loro, grazie al telefono da campo. Anche l’artiglieria aveva fatto passi da gigante e l’uso dei cannoni aveva raggiunto una perfezione tecnica notevole, tanto che ogni esercito era in grado di scagliare sugli avversari, in poco tempo e da grande distanza, migliaia di colpi dalla potenza distruttiva enorme. Particolarmente pericolosi erano gli shrapnel, micidiali proiettili d’artiglieria che esplodevano a mezz’aria spargendo intorno Shrapnel 105


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centinaia di pallottole di piombo o dadi di ferro. Altri proiettili poi venivano caricati con gas tossico e asfissiante in grado di uccidere in pochi minuti una grande quantità di uomini. Soprattutto, però, aveva raggiunto una perfezione notevole una nuova arma, la mitragliatrice, che permetteva a pochi soldati di sparare migliaia di colpi in brevissimo tempo. Venne anche perfezionato l’uso del Mitragliatrice filo spinato, posto in maniera tale da rallentare nei suoi terribili grovigli (i reticolati), qualsiasi assalto, tanto da diventare nel corso di tutta la guerra una delle armi difensive più efficaci. Il risultato è che la guerra “si impantana” nel vero senso della parola. Da guerra di movimento come era stata per millenni, quando gli eserciti contrapposti manovravano e si muovevano prima di affrontarsi in battaglie campali, diventa guerra di posizione: una guerra in cui le forze in campo si equivalgono al punto che nessuna delle due riesce a vincere, perdendo migliaia di uomini per conquistare spazi ristrettissimi. Naturalmente si tenta, per tutti gli anni del conflitto, di creare armi e congegni in grado di superare e sconfiggere il nemico; uno, in particolare, Carro armato risulterà una nuova micidiale arma, il carro armato, un veicolo che poteva procedere su cingoli e superare i reticolati. I primi a realizzarli furono gli inglesi. I nuovi mezzi sono chiamati tanks e fanno la loro comparsa in Francia, durante la battaglia della Somme, il 15 settembre 1916. 106


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I tanks erano, però, fragili, lentissimi e per niente maneggevoli. Metà di loro fu distrutta o si ruppe a pochi metri dalle basi di partenza e l’altra metà non riuscì ad ottenere risultati apprezzabili. I carri quindi vennero perfezionati e cominciarono a dimostrare la loro efficacia già pochi mesi più tardi, nel corso della battaglia di Cambrai, sempre sul fronte francese. Anche i tedeschi si misero a studiare la nuova arma e un anno dopo, il 17 dicembre 1917, il loro primo carro armato fece la sua comparsa sui campi di battaglia. Nonostante i progressi tecnici e il loro numero sempre maggiore, però, nemmeno i carri armati, che sul fronte italiano non vennero mai usati a causa del terreno montuoso e accidentato, riuscirono a cambiare le caratteristiche della guerra. Il luogo principale di conflitto rimase quindi la trincea. Vita di trincea All’inizio essa non era altro che uno scavo effettuato perché gli uomini potessero avere un minimo riparo dai colpi del nemico, poi, lentamente, vennero costruite trincee di prima linea, a diretto contatto con il nemico, e altre più arretrate, destinate a contenere gli attacchi nel caso in cui la prima linea venisse superata. Tutte erano protette da formidabili grovigli di filo spinato attraverso cui era molto difficile passare. Le varie trincee erano collegate da centinaia di chilometri di camminamenti, sempre scavati nella terra e nella roccia, attraverso cui gli uomini potevano muoversi senza esser visti e colpiti. Nelle trincee si combatteva, si mangiava, si dormiva, ci si lavava... 107


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Le condizioni igieniche, molte volte disastrose per l’impossibilità di spostare in qualsiasi modo i rifiuti, provocavano sovente casi di malattie infettive anche gravi, come colera e tifo. Tra le opposte trincee c’era la cosiddetta terra di nessuno, in cui avvenivano gli scontri e i combattimenti e in cui i cadaveri venivano abbandonati per giorni e giorni nell’impossibilità di recuperarli. Ancora dietro al sistema di trincee si trovavano poi le retrovie: magazzinieri, cuochi, calzolai, tutti coloro che si occupavano del vestiario, macellai e addetti ai trasporti. Per mettere un esercito in condizioni di combatteCarovana in movimento re efficacemente occorreva, infatti, una quantità di viveri e di materiali enorme, oltre alle munizioni e alle armi, tanto da riempire ogni giorno 80 vagoni ferroviari. Un ruolo importante lo svolgevano poi i medici e gli infermieri, che quasi sempre lavoravano in situazioni di emergenza e durante le battaglie non erano in grado di poter curare tutti i feriti, nonostante l’aiuto importante che fornivano loro le diecimila crocerossine.

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Colpo di scena Cronologia degli avvenimenti più importanti della Prima Guerra Mondiale

Fine luglio, primi di agosto 1914: scoppia la guerra in Europa. L’Italia resta neutrale. 26 aprile 1915: Patto di Londra. L’Italia si impegna ad entrare in guerra a fianco di Francia e Inghilterra. 24 maggio 1915: l’Italia inizia a combattere. Il fronte italiano va dal massiccio dell’Ortles al mare Adriatico passando per Riva del Garda, Rovereto, Folgaria, Asiago, Articolo sull’entrata P a s s o in guerra dell’Italia Cinque Croci, Cortina, Tre Cime, Monte Peralba, Monte Zermula, Pontebba, Monte Nero, Gorizia, Monfalcone. A capo dell’esercito c’è il generale Luigi Cadorna. 23 giugno - 7 luglio 1915: Prima battaglia dell’Isonzo. Si combatte duramente, ma, al termine, le posizioni restano come erano. 25.000 sono però gli uomini fuori combattimento tra le Luigi Cadorna due parti, tra morti feriti e dispersi. 109


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18 luglio - 4 agosto 1915: Seconda battaglia dell’Isonzo. Gli italiani riescono a conquistare una fascia di terreno profonda da 200 a 600 metri. Per avanzare e per difendersi, i due eserciti sacrificano circa 90.000 uomini. 18 ottobre - 4 novembre 1915: Terza battaglia dell’Isonzo. Due settimane di duri combattimenti lasciano sul terreno 110.000 uomini. Le posizioni dei due eserciti restano quelle che erano all’inizio. 10 novembre - 2 dicembre 1915: Quarta battaglia dell’Isonzo. Gli italiani riescono a conquistare il piccolo villaggio di Oslavia. La battaglia mette però fuori combattimento complessivamente 75.000 uomini. 11 - 19 marzo 1916: Quinta battaglia dell’Isonzo. Un contrattacco permette agli austriaci la riconquista del villaggio di Oslavia. Il maltempo ostacola non poco lo svolgimento delle operazioni militari, per cui la battaglia si esaurisce in pochi giorni, senza nessun cambiamento territoriale e 11.000 uomini perduti complessivamente. 14 maggio - 16 giugno 1916: la “Strafexpedition”. “Strafexpedition”, in tedesco vuol dire “Spedizione punitiva” ed è l’offensiva che gli austriaci scatenano in Trentino contro l’esercito italiano. Gli austriaci riescono ad avanzare e vengono fermati soltanto dopo un mese di violenti combattimenti, proprio all’ultimo momento, quando ormai stanno per arrivare in pianura. Si assiste ad epiAssalto austriaco sodi di grande valore da ambedue le parti, ma alla fine il costo in termini umani è altissimo: complessivamente, infatti, sono circa 121.000 gli uomini che restano sul terreno. 110


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29 giugno 1916: attacco con i gas nella zona del Monte S. Michele. All’alba del 29 giugno 1916, nella zona del Monte S. Michele, approfittando delle condizioni meteorologiche favorevoli, gli austriaci effettuano un attacco con i gas asfissianti causando moltissimi morti. 4 - 16 agosto 1916: Sesta battaglia dell’Isonzo. L’esercito italiano dopo oltre un anno di tentativi riesce finalmente ad entrare a Gorizia. Per la prima volta nella guerra il Comando Supremo può vantare una vittoria. Il costo complessivo di quest’ultima battaglia è però molto alto. Più di 90.000 uomini persi da entrambe le parti. 14 - 16 settembre 1916: Settima battaglia dell’Isonzo. Battaglia breve e terribile cui pone fine il maltempo. Non prima però che siano messi fuori combattimento reciprocamente 40.000 uomini. 9 - 12 ottobre 1916: Ottava battaglia dell’Isonzo. L’esercito italiano riesce ad ottenere un leggero avanzamento, ma le perdite ammontano a 50.000 uomini complessivamente. 31 ottobre - 4 novembre 1916: Nona battaglia dell’Isonzo. Altro piccolo avanzamento italiano di qualche chilometro nella zona del Carso. Il bilancio finale in termini di perdite è altissimo. Oltre 55.000 uomini. 6 aprile 1917: intervento in guerra degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti all’inizio della guerra avevano scelto la neutralità, ma quando la marina tedesca scatena la guerra sottomarina contro tutte le navi dirette verso i porti nemici nel tentativo di bloccare il flusso dei rifornimenti che dagli Stati Uniti è diretto verso l’Europa, essi dichiarano guerra alla Germania e all’Austria-Ungheria. 12 maggio - 6 giugno 1917: Decima battaglia dell’Isonzo. Anche gli italiani usano le bombe a gas ma le conquiste ottenute sono marginali: 187.000 uomini le perdite complessive. 111


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10 giugno - 25 giugno 1917: Battaglia del Monte Ortigara. Cadorna cerca di riconquistare almeno in parte le posizioni perdute. I combattimenti più violenti si concentrano attorno al monte Ortigara, che viene riconquistato e poi perso. In sostanza non si ottiene nulla, ma sul terreno restano 36.000 uomini, soprattutto alpini. 15 - 16 luglio 1917: ammutinamento di Santa Maria La Longa. In una caserma di un villaggio vicino a Udine, S. Maria La Longa, un gran numero di soldati si rifiuta di partire per il fronte. Si tratta di una rivolta in piena regola che dura tutta la notte. 1 agosto 1917: intervento del papa. Il Papa Benedetto XV in una Nota ai capi dei popoli belligeranti chiede l’avvio di trattative di pace e definisce la guerra “una inutile strage”. Il suo appello resta inascoltato. 18 agosto - 15 settembre 1917: Undicesima battaglia dell’Isonzo. Gli italiani conquistano l’altipiano della Bainsizza e avanzano di ben 7 chilometri sul Carso. Si tratta di uno dei risultati più eclatanti di tutta la guerra. Ancora una volta, però, la vittoria non è decisiva e soprattutto costa ai due contendenti 245.000 uomini, sempre tra morti, feriti e dispersi. Estate 1917: tumulti popolari in varie città d’Italia. Si scatena una serie di proteste contro la guerra a cui prendono parte soprattutto le donne, visto che molti uomini sono al fronte. Le manifestazioni più violente avvengono a Torino in agosto. Ci vogliono quattro giorni perché la situazione si calmi e deve intervenire l’esercito che spara sulla gente anche con le mitragliatrici. 112


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Ritirata da Caporetto

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24 ottobre 1917: Caporetto. Il 24 ottobre 1917 a Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia) l’esercito italiano subisce una delle più gravi sconfitte di tutta la sua storia. Per l’impreparazione dei nostri comandi il fronte è sfondato in breve tempo e austriaci e

tedeschi dilagano. L’esercito italiano deve ritirarsi in un caos indescrivibile. Il bilancio finale è pesantissimo. I morti italiani sono 10.000, i feriti 30.000, i prigionieri 300.000. Novembre 1917: la Rivoluzione in Russia. Le sconfitte subite dalla Russia causano una rivoluzione popolare che porta al potere il Partito Comunista. Immediatamente dopo la Russia si ritira dalla guerra. 6 novembre 1917: il Capo Supremo dell’esercito, il generale Cadorna, è destituito per le sue responsabilità nella sconfitta di Caporetto. Al suo posto viene nominato il generale Armando Diaz, che attua subito una serie di misure per consentire all’esercito italiano di superare la crisi. 15 - 21 giugno 1918: Battaglia del Solstizio. L’esercito italiano resiste all’ultimo grande sforzo degli austriaci che attaccano per passare il Piave. Vengono così poste le basi per la vittoria finale, anche perché questa volta la maggior parte delle perdite è austriaca: circa 200.000 uomini tra morti e feriti, mentre gli italiani ebbero 84.000 morti. 24 ottobre 1918: Battaglia di Vittorio Veneto. Il 24 ottobre 1918 l’esercito italiano attacca a Vittorio Veneto e riesce a sconfiggere definitivamente gli austriaci. Il 4 novembre 1918 viene firmato l’armistizio e il generale Diaz può emettere il bollettino finale della guerra, riprodotto in mille lapidi in tutte le città d’Italia. 113


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Indice 1 In cittĂ

5

2 La borsa

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3 Gli uomini in nero

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4 In treno

18

5 Beppino e padre Tommaso

21

6 Tornano gli uomini in nero

25

7 Al lavoro

28

8 Sul monte San Michele

34

9 I soldati raccontano

39

10 Il generale

46

11 Alla stazione

50

12 Caporetto

55

13 Fucilazione

60

14 Il ponte sul Tagliamento

65

15 Prigionieri

71

16 Gli austriaci

78

17 Frate Joseph

84

18 Un incontro felice

88

19 La Casa dell’Arcobaleno

92

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Ciak... si gira

- Panoramica: Uno sguardo sulla Prima Guerra Mondiale

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- Zoom: Un nuovo modo di combattere

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- Colpo di scena: Cronologia degli avvenimenti piĂš importanti della Prima Guerra Mondiale 109

- Dettaglio: L’esercito italiano

115

- Primo piano: Il lavoro delle donne e dei ragazzi

122

- Interpreti principali: I protagonisti della Prima Guerra Mondiale

- Interni ed Esterni: I luoghi della Prima Guerra Mondiale

124 127

- Sceneggiatura: La letteratura sulla Prima Guerra Mondiale

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- Colonna sonora

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- The end: Le conseguenze della guerra nel mondo

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Indice fotografico - L’assassinio di Sarajevo

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- Corteo interventista

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- Giovanni Giolitti

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- Shrapnels

105

- Mitragliatrice

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- Carro armato

106

- Vita di trincea

107

- Carovana in movimento

108

- Articolo sull’entrata in guerra dell’Italia

109

- Luigi Cadorna

109

- Assalto austriaco

110

- Ritirata da Caporetto

113

- Bollettino finale di guerra

114

- Elmetto di metallo

115

- Trincea

116

- Partenza dei soldati italiani

117

- Cartolina di fine guerra

118

- Manifesto bellico

119

- Manifesto bellico

120

- Officine meccaniche Breda

122

- Bambini al lavoro

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- Cesare Battisti

124

- Francesco Baracca

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- Altare della Patria

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- Gabriele D’Annunzio

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- Carlo Emilio Gadda

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Collana di Narrativa Storica Scuola secondaria di primo grado

Titoli pubblicati

MEDIOEVO • Luciano Nardelli - I Cavalieri della Quinta Luna

RINASCIMENTO • Sofia Gallo - Sii forte, Adelasia

SCOPERTE GEOGRAFICHE • Luciano Marasca - Da un altro mondo

ILLUMINISMO • Elisabetta Marchetti - Il mistero dell’Enciclopedia

RISORGIMENTO • Annamaria Piccione - Niente campana per Cunebardo

PRIMA GUERRA MONDIALE • Marco Tomatis - Lorenzo e la Grande Guerra

FASCISMO • Roberta Fasanotti - Il fascismo dalla mia finestra

SECONDA GUERRA MONDIALE • Rossana Guarnieri - Bombe e sofferenza

PROBLEMI DI OGGI (sbarchi di clandestini) • Claudio Elliott - Il barcone della speranza 143


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Collana “Il Mulino a Vento” Scuola secondaria di primo grado

Titoli pubblicati • Maria Mazzei - Il piccolo Cyrano • Nandina Muzzi - Un tipo poco raccomandabile • Nardelli, Mazzei - Storie di avventure e di amori • Luciano Nardelli - Lo scudo di Tranis • Loredana Frescura - La banda dei Vermi • Daniela Simonini - Chi ha paura della matematica? • Beppe Forti - Il tesoro di Thera • Miguel De Cervantes - Don Chisciotte della Mancia • Marco Polo - Il Milione • Daniel Defoe - Robinson Crusoe • Charles Dickens - Canto di Natale • Mark Twain - Le avventure di Tom Sawyer • Tiziana Ortelli - Il sottopassaggio • Nadia Vittori - Lapo, pellegrino romeo • Paola Valente - Suore da corsa • Paolo Marenghi - Ragazzi in guerra: paura e coraggio • Marco Tomatis - La crociata di Margherita • Luciano Nardelli - L’occhio del deserto • Elena Frontaloni - Nel mondo dei miti greci • Annarita Verzola - Il mistero dell’altopiano • Elena Frontaloni - Le novelle di Verga • Loredana Frescura - La rospa, l’imbranato e la fata • Antonella Sacco - Un evento memorabile • Maurizio Giannini - L’enigma di pagina 100 L

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• Giuliana Facchini - Perduti fra le montagne

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