Moby Dick L’eterna lotta tra l’uomo e la Natura
Nacque a New York nel 1819. Da giovane si imbarcò come mozzo, ma la sua passione principale era la scrittura. “Moby Dick”, il suo capolavoro, fu pubblicato nel 1851.
Al comando della nave baleniera Pequod, il capitano Achab insegue senza tregua Moby Dick, la grande balena bianca che ha lasciato dietro di sé un’interminabile scia di imbarcazioni fracassate e di marinai morti. I pochi superstiti che l’hanno incontrata parlano di un mostro terrificante, dall’intelligenza diabolica e dalla ferocia senza pari. Il capitano Achab arriva a mettere in gioco la sua stessa vita pur di sconfiggerla, non solo perché la balena, in uno scontro precedente, lo ha privato di una gamba, ma soprattutto perché essa rappresenta per lui il male assoluto, con cui è imprescindibile ingaggiare un combattimento all’ultimo sangue. La lotta sarà titanica, cruenta e definitiva. Uno dei primi romanzi d’avventura, avvincente dall’inizio alla fine, magistralmente adattato per un pubblico di giovani lettori. Completano la lettura un apparato finale di approfondimento delle tematiche e un fascicolo di comprensione del testo.
I S B N 978-88-472-2201-4
BN IS
9
ck ille 01 2 Di lv y Me 2-2 b o 7 M an 8-4 m 8 er H 78-
4
Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).
Moby Dick L’eterna lotta tra l’uomo e la Natura
€ 9,00
9
788847 222014
Moby Dick
Herman Melville
Herman Melville I C L AS S I C I
Herman Melville
Herman Melville
L’eterna lotta tra l’uomo e la Natura
Completano la lettura: Approfondimenti finali F ascicolo di comprensione del testo Schede interattive su www.raffaellodigitale.it
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico e impaginazione: Mauro Aquilanti Disegno di copertina: Danilo Loizedda Approfondimenti: Paola Valente Schede didattiche: Valentina Carella Ufficio stampa: Salvatore Passaretta
Ia Edizione 2015 Ristampa
7 6 5 4 3 2 1
2022 2021 2020 2019 2018 2017 2016
Tutti i diritti sono riservati © 2015
e-mail: info@ilmulinoavento.it http://www.grupporaffaello.it Printed in Italy
È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
Herman Melville
Moby Dick Adattamento di Carlo Rizzi
Capitolo
1
Alla ricerca di un alloggio
Chiamatemi Ismaele.
Qualche anno fa, non importa quando esattamente, avendo poco o nulla in tasca, decisi di andarmene un po’ per mare. Questo è il mio modo di scacciare la tristezza. Sì, quando gli altri nei momenti difficili si strappano i capelli, io m’imbarco; e non come passeggero, capitano o cuoco, ma come marinaio semplice. Da maestro di scuola a marinaio, credetemi, il passo non è breve ma è l’unico modo dignitoso e nobile di essere retribuiti per il disturbo. E, nonostante le fatiche, uno alla fine si abitua e finisce per apprezzare il sano esercizio fisico e l’aria fina del ponte di prua*. Non so perché ma quella volta decisi di non imbarcarmi su una nave mercantile, ma di partire a caccia di balene: queste sono le stranezze del nostro destino. Probabilmente fu l’idea stessa della grande balena a travolgermi. Un mostro così portentoso destava la mia curiosità. E a questo si aggiungeva il desiderio di visitare paesi lontani e di vivere esperienze singolari. Ficcai così un paio di camicie nella mia vecchia sacca da viaggio, lasciai Manhattan e raggiunsi New Bedford, con l’idea di traghettare a Nantucket, il più antico e famoso porto di baleniere della costa americana. * Per questa e le altre parole riferite al linguaggio marinaresco, rimandiamo al glossario di pagine 156-157-158.
5
Capitolo 1
Era un sabato notte, in dicembre, quando arrivai; il battello per Nantucket era già partito e non mi restava che aspettare il prossimo, il lunedì successivo. Mi misi a cercare un posto dove trascorrere le due notti e il giorno intero che mi separavano dalla partenza. Superai le insegne de Le fiocine incrociate e della Locanda del pescespada; le poche monete che mi ballavano nelle tasche mi consigliarono di proseguire e di raggiungere la zona del porto, dove sicuramente avrei trovato qualcosa più a buon mercato. Arrivai davanti a una porta aperta, rischiarata da una luce fumosa. Alzai gli occhi e scorsi un’insegna con sopra dipinto qualcosa che somigliava vagamente a un getto alto e dritto di spuma bianca. La locanda si chiamava Lo sfiatatoio. Un nome sinistro, pensai, ma la casuccia sgangherata e decrepita su cui si apriva la porta m’indusse ad andare avanti: quella era una locanda che mi sarei potuto permettere. Entrai. Lo stanzone era rivestito di legno, in doghe, come la carena di una nave. Appeso a una parete scorsi un quadro su cui era stata dipinta una balena che pareva librarsi come un uccello sopra un trealberi in piena tempesta. La parete di fronte era completamente tappezzata di clave e lance mostruose, attrezzi da cannibali, e di vecchi arpioni arrugginiti. Il tetto spiovente era sorretto da scure travi tarlate e, sul fondo, si apriva un antro buio, il bancone di mescita, che pareva la testa di una balena. La cornice era davvero fatta con un osso arcuato della mascella di un capodoglio, così grande che sotto sarebbe potuta passare una carrozza. Dentro quelle enormi mandibole fornite di denti, serviva Giona (e mai nome mi sembrò più appropriato), un vecchietto avvizzito e incartapecorito che vendeva ai marinai bevande micidiali dalla composizione ignota. Scovai il padrone e quando gli dissi che volevo una camera, mi rispose che la locanda era piena. 6
Alla ricerca di un alloggio
– Però – aggiunse, – se ti va di spartire il letto con un ramponiere... Gli risposi che la cosa mi garbava poco, ma che se proprio non c’erano alternative, piuttosto che tornare a girovagare in una città sconosciuta, deserta e, soprattutto, gelata, poteva valer la pena dare un’occhiata a questo ramponiere. Se non fosse stato del tutto sgradevole, mi sarei adattato. – Bene – approvò il taverniere. – Mettiti a sedere che ti servo la cena. Non passarono che pochi minuti e alcuni commensali presenti, compreso il sottoscritto, furono invitati in una stanza adiacente, fredda come una ghiacciaia. Lì c’era una tavola imbandita. Mangiammo con i giacconi abbottonati, ma la cena fu eccellente. Stavamo per tornare nel salone principale quando si aprì la porta d’ingresso e una ciurma di marinai si catapultò dentro, infagottati in giacconi dal colore incerto e con le barbe incolte e punteggiate di ghiaccioli. Era la ciurma dell’Orca, una baleniera che non vedeva terra da tre anni. Sembravano orsi del Labrador e si precipitarono compatti verso il bancone. Giona servì a tutti una bituminosa mistura di melassa e gin, dichiarando che non conosceva niente di meglio per curare catarri e infreddature. La pozione miracolosa arrivò subito alla testa dei marinai, da troppo tempo costretti a sobrietà forzata, che presero a caracollare per la stanza con fracasso. Solo uno di loro si teneva in disparte, un uomo alto e robusto, con la pelle scura, arsa dal sole dei due emisferi, e i denti bianchi. Deciso a non partecipare all’allegria generale, quando questa divenne eccessivamente rumorosa si alzò e se la svignò alla chetichella. 7
Capitolo 1
– Bulkinton! – gridarono i suoi compagni quando si accorsero della sua assenza. – Dov’è Bulkinton? Uscirono a precipizio per rintracciarlo, per cui pensai che dovevano tenerlo in grande considerazione. Di lui non seppi più nulla, finché non me lo ritrovai compagno in mare. Erano quasi le nove e mi sarebbe piaciuto infilarmi sotto le coperte, ma il ramponiere con cui avrei dovuto dividere il letto non s’era fatto ancora vivo. E io m’ero messo in testa di dargli almeno un’occhiata prima di decidere se concedergli tanta familiarità. Piuttosto avrei dormito sulla stessa panca dove stavo seduto, se l’uomo non mi fosse andato a genio! Aspettai quasi fino a mezzanotte. Alla fine, stanco e irritato, apostrofai il padrone della locanda: – Ma che razza d’uomo è? – gli chiesi. – Fa sempre così tardi? Il taverniere ridacchiò. – Di solito, no – rispose. – Forse è perché non riesce a smerciare la sua testa... Spalancai la bocca per la sorpresa e ringhiai: – Ma che stai dicendo? Mi stai forse prendendo in giro? – Calmati – si difese l’uomo, non smettendo di sorridere. – È appena arrivato dai mari del Sud, dove ha comprato un bel mucchietto di teste imbalsamate della Nuova Zelanda e le ha vendute tutte, meno l’ultima. Era la più malconcia e forse fa fatica a venderla. La spiegazione era soddisfacente, ma non altrettanto l’idea che me ne derivò: che pensare, infatti, di uomo che se ne va in giro il sabato notte a vendere teste imbalsamate? Rabbrividii: un vero lavoro da cannibali! La prospettiva di dormirci assieme si faceva sempre meno allettante. Mi tolse dall’imbarazzo lo stesso taverniere, dopo aver dato un’occhiata alla pendola appesa alla parete. 8
Alla ricerca di un alloggio
– Per mille balene – disse, – ma è mezzanotte! Non lo vedrai il tuo ramponiere, ormai: avrà gettato l’ancora chissà dove. Su, vattene a letto e non pensarci più. Mi spinse su per le scale e mi fece entrare in una camera fornita di un caminetto spento e di un grande letto matrimoniale. La vista del letto mi consolò. Era abbastanza ampio da permettere a due ospiti di mantenere l’anonimato. L’oste lasciò la candela su una mensola, mi dette la buonanotte e se ne andò, non prima d’avermi lanciato un’occhiata strana, un po’ furba, e aver ghignato nel suo solito modo. In un angolo scorsi il bagaglio del ramponiere: una sacca da marinaio, un fascio di uncini d’osso di pesce, un lungo arpione e una specie di stuoino di tela ruvida e colorata con un buco nel mezzo, tipo poncho sudamericano. Ero troppo stanco per perdermi in congetture circa la stranezza dell’armamentario, così sgusciai da calzoni e stivali, spensi la candela e mi tuffai sotto le coperte.
9
Capitolo
2 Queequeg, il selvaggio
Stavo quasi per prendere sonno quando fui destato da un rumore di passi su per le scale. Evidentemente il mercante di teste non aveva gettato l’ancora da nessuna parte, ed era sua intenzione attraccare nel mio letto. Ora il ghigno del taverniere e l’occhiata irridente avevano un senso: s’era divertito a gettarmi tra le braccia del cannibale, il furbastro! Il ramponiere entrò e io feci finta di dormire. L’uomo si avvicinò al saccone, depose la candela per terra, aprì il sacco e v’introdusse la testa imbalsamata che, evidentemente, era rimasta invenduta. Ero curioso di guardarlo in faccia, ma continuava a mostrarmi le spalle. Finalmente si volse. Che spettacolo! Rimasi impietrito dallo stupore: il viso era di color rosso giallastro, maculato di riquadri nericci. Sembrava il volto di un uomo pestato in una rissa. Poi, un lampo di luce più intensa mi rivelò la verità: era semplicemente un volto completamente tatuato. Il ramponiere continuava a rovistare nella sacca e trasse fuori una specie d’ascia di guerra e una bisaccia di pelle di foca. Infine, si tolse il cappello di castoro. Altro colpo: non aveva capelli, salvo un ciuffetto attorcigliato sul davanti! Se non si fosse trovato tra me e la porta, me la sarei data a gambe. Rimasi invece immobile, impietrito dal terrore che non scemò quando l’energumeno si tolse i vestiti di dosso: il corpo era tatuato, a scacchi, come il viso. 10