Roberto Morgese
All’altra metà del mio cielo
Eniente… sono andato per lei! Strano perché è assolutamente out rispetto allo standard di ragazza sulla quale ho posato gli occhi fino a oggi. Per nulla appariscente, occhiali tondi, faccia sottile, occhi grandi e scuri, capelli lisci e neri. Nessun particolare che attiri l’attenzione nel modo di vestire, così asciutto. Il corpo esile, niente curve. Non è neppure alta. Quest’ultima caratteristica, a pensarci bene, forse è un pregio. Non mi sono mai andate a genio le ragazze più alte di me, che non sono esattamente un gigante. Mi sentirei ridicolo di fianco a una tipa che mi supera di dieci centimetri, ammesso che una stanga di quel genere possa interessarsi di uno più basso.
Per come la vedo io, dipende. Dipende da come si presenta lui. Io, per esempio, piaccio abbastanza e potrei diventare attraente anche per una ragazza più alta. Ho un bel fisico, gli occhi verdi e i capelli nero carbone.
5 1 Andato!
Il mio pezzo forte è però il sorriso a trentadue denti. Luminoso e inesorabile, lo sfodero come arma finale quando voglio fare colpo a tutti i costi.
Con Marta però non serve. Incontrandola in corridoio o fuori da scuola ho provato a giocare la mia carta migliore. Tutto inutile: sembra insensibile al mio fascino.
Forse sono andato in fissa per lei anche per la freddezza con cui risponde al mio sguardo e per l’indifferenza che mostra nei miei confronti, forse quel senso di sfida che provo di fronte al suo carattere, così testardo e deciso, mi attrae misteriosamente. Non posso negarlo, ma non è una motivazione sufficiente per interessarsi a una così poco cool.
Se guardo bene dentro di me, infatti, riconosco il vero motivo che mi richiama con prepotenza verso Marta: la sua espressione timida e sorpresa di fronte alla vita. Quando toglie distrattamente gli occhiali scuotendo poco la testa, con quell’aria leggera, e porta la punta della stanghetta vicino alle labbra; quando poi strabuzza gli occhi come se volesse abituarli a guardare il mondo senza lenti e accenna un sorriso disarmato, senza sapere che io in quel momento pendo letteralmente dalle sue labbra; quando la osservo mentre chiacchiera con le sue amiche, parlando poco ma annuendo con gentilezza, come se non volesse contraddirle. In tutti quei momenti in cui la spio senza farmi notare, ritrovo in lei un’immagine per me tanto cara e lontana. In Marta c’è la stessa fragile dolcezza… di mia madre!
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Com’è possibile provare nostalgia di qualcuno di cui si hanno così pochi ricordi? Ci ho messo un po’ a capirlo e mi è anche costato ammetterlo, ma è così. Ciò che provo per questa ragazza inafferrabile cerca di colmare il vuoto che riempie la mia esistenza da quando avevo tre anni e mezzo; da quando la mamma è semplicemente sparita da casa. Mio padre dice che un giorno, senza un’apparente ragione, ha aperto la porta, è scesa per le scale, ha varcato il portone e, da allora, non si è più fatta vedere. Di lei ho poche cose, papà si è sbarazzato di tutto un po’ alla volta oppure approfittando del trasloco, senza che io me ne accorgessi. Non gli ho mai permesso, però, di portarmi via un oggetto a cui tengo tantissimo. Ho una foto incorniciata in camera mia. Si vede mia madre con un libro aperto davanti a sé, seduta sulla poltrona della sala. Si è tolta gli occhiali e ha il capo leggermente reclinato di lato mentre avvicina la stanghetta all’angolo della bocca, come per mordicchiarla. Non sorride in modo aperto, come succede nelle foto in posa, non ha un’aria felice. Sembra piuttosto sorpresa di essere stata fotografata, come se provasse la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver commesso un errore.
Dovrei avercela a morte con lei per avermi abbandonato, ma il tempo mi ha abituato a vivere con un solo genitore e quello che mi resta dentro è solamente una grande nostalgia. Di ciò che ha fatto mamma ho provato a parlare con papà, ma ogni volta che ho tirato fuori il discorso lui ha tagliato corto.
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Mi ha sempre detto che lei era “un’anima inquieta”, così l’ha definita, che aveva “un carattere strano”. Non si è sorpreso insomma quando se n’è andata senza preavviso.
Sono poche spiegazioni, per giunta non molto convincenti, ma sono le uniche che ho. E poi, quando risponde così non riesco a capire se anche lui abbia sofferto, come immagino, oppure se sia semplicemente rassegnato. “Forse”, si è fatto sfuggire una volta, “è stata anche un po’ colpa mia” ha quasi ammesso mentre un’ombra cupa calava sul suo volto.
“In che senso?” ho subito domandato cogliendo una delle rarissime aperture sull’argomento.
Lui però ha chiuso subito.
“Lascia stare, è acqua passata!”
E non ne abbiamo più parlato.
Me ne sono fatto una ragione. L’ho accettato e basta, ma ogni tanto sento rodere in me quel tarlo, quella puntura come quando una spina ti entra sotto la pelle e lavora a tua insaputa, tornando a farsi sentire in modo acuto, ma solo ogni tanto, fino a che te la levi. Peccato che certe volte il minuscolo pezzo di legno cammini sotto lo strato superficiale e diventi impossibile toglierlo: entra a far parte di te, a meno che tu non incida la pelle con qualcosa di ancora più doloroso, come un ago o la punta delle forbicine da unghie, per cercare di eliminarla. Così devi decidere se soffrire un po’ di più in un colpo solo oppure tollerare per sempre il fastidio di quella puntura sottopelle.
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Appena ho visto Marta compiere lo stesso gesto della mamma, assumere la stessa espressione, mi è subito venuta in mente la foto in camera mia.
All’inizio, era bello ritrovarla ogni tanto, per caso, all’intervallo oppure all’entrata o all’uscita da scuola. Poi mi sono scoperto ad aspettarla, per cogliere nuovamente quella posa; la semplice inclinazione del capo, il movimento inconsapevole e dolce. E ora… sono in fissa totale con lei! Mi sono detto che potevo almeno conoscerla, senza doverlo dire a tutti o postarlo sui social. Preferisco che la cosa rimanga tra noi due, anche perché io sono abbastanza popolare nel mio ambiente e il fatto che mi interessi a lei potrebbe fare nascere qualche commento fastidioso. È una ragazza molto semplice, forse anche troppo, e anche un po’ diversa dallo standard di bellezza ricercata delle altre compagne. Nel carattere, invece, si è subito dimostrata poco arrendevole e più combattiva di come me l’aspettavo.
Con dei giri infiniti, un giorno riesco ad avere il suo numero di cell ma senza dare a nessuno l’idea che la cosa sia così importante. Le invio il mio primo messaggio.
Ehi, ti ho notata. Ti va di uscire con me una volta? Ti offro un gelato.
Lei lo legge subito ma la risposta arriva dopo qualche ora, come se consideri l’invito un fatto poco rilevante.
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Da ciò che scrive, emerge subito la sua personalità un po’ particolare. Ma la cosa più spiazzante è che non capisco se sia un sì, un possibile sì, un rifiuto temporaneo e molto ironico, come a me pare, o un totale no.
Tutto qui quello che sai scrivere per portare fuori una ragazza? Non sai fare di meglio?
E con quella risposta inizia il mio tormento.
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Il giorno dopo quella fatidica risposta, a scuola non mi capita d’incrociarla né all’entrata né all’intervallo. In verità non la cerco neanche, anzi forse preferisco persino non vederla. Non saprei che cosa dirle o addirittura se rivolgerle la parola oppure fare finta di niente. Il tono un po’ di superiorità che ha usato nel messaggio mi mette in imbarazzo, mi spiazza completamente.
Tutte le volte che ho fatto una proposta del genere a una compagna o a un’amica ho ricevuto un segnale positivo. Un sì convinto o una faccina con sorrisi, addirittura un cuoricino. Le cose sono sempre andate per il verso giusto.
Spesso io ho stoppato la storia dopo alcune settimane usando frasi di circostanza come la cosa rischia di farsi troppo seria oppure preferisco sentirmi libero ma restiamo amici.
11 2 Dieci
A un certo punto credo che si sia diffusa la voce che non sto per più di due o tre mesi con la stessa ragazza e chi accetta di mettersi con me sa in partenza che non dura a lungo, quindi, non si dispera nemmeno quando decido di chiudere. Forse la fama è arrivata anche a Marta e questo l’ha portata a reagire in quel modo, anche se le brevi occhiate che ho intercettato in alcune occasioni da parte sua mi hanno fatto sperare che non sia del tutto insensibile a me. Insomma, c’è la possibilità che sia già presa dall’idea di una possibile storia con me, ma il messaggio che mi è tornato non lascia molti spiragli e per ora il mio tentativo si è rivelato un clamoroso buco nell’acqua. Potrebbe essere colpa mia, del mio atteggiamento che dà per scontato l’esito positivo.
Adesso però ho paura di essermi giocato la prima e più importante chance con lei. Perché in certe cose, l’inizio è tutto! Quando ci si becca una porta in faccia, di solito viene subito attivata una fitta rete di amici per indagare, insistere, cercare strade diverse per raggiungere la persona interessata. E nel gruppo degli aiutanti c’è chi prende informazioni; chi fa da intermediario per individuare il punto in cui si è inceppata la faccenda, chi invece fa da avvocato difensore della parte rifiutata, esaltandone i pregi e sminuendo i pochi trascurabili difetti. Io, però, non voglio mettere in mezzo nessuno. Preferisco che per ora non si sappia di Marta, che non è esattamente la classica tipa “da urlo” e non ho voglia di mettere in piazza questa mia sbandata.
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Inoltre, è vero che mi sento attratto da lei come da una calamita, ma il pensiero di mettermi insieme mi fa anche un po’ paura perché mi sembra così diversa da me. Marta è per giunta la tipica secchiona, una che si appassiona alle materie, cosa che a me non succede quasi mai. L’ho saputo quando, all’intervallo, ho sentito due sue compagne chiacchierare di lei vicino alla macchinetta delle merende.
– Cioè… 10! Ti rendi conto?
– Davvero? Le ha dato il top anche stavolta?
– Sì, è il terzo di fila in letteratura.
– Come cavolo fa?
– Vai a saperlo! Per me si chiude in casa tutto il pomeriggio e non fa altro che studiare.
– Panico!
– Già. Io non ce la farei.
– Neppure io, ma un voto così mi farebbe comodo, mi salverebbe dal debito.
– Io preferisco avere qualcosa sotto, ma vivere. Preferisco gli amici. T’immagini chiederle di mettersi insieme? Se glielo scrivi, capace che ti corregge gli errori nella frase.
– Peggio per chi la punta!
Poi sono scoppiate in una risata maliziosa che mi ha fatto anche un po’ rabbia. Intanto però ho capito che con lei ci vuole un invito più elegante, più “letterario”.
Facile a dirsi, ma come lo scrivo?
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Ci sono giorni in cui di stare in casa da solo non se ne parla proprio. Sarà che siamo all’inizio della primavera e il mondo intero chiama, anzi urla che è arrivato il momento di farsi un giretto e prendersi un’ora d’aria. Te ne accorgi già al risveglio, quando il sole entra presto in camera come un amico inaspettato che viene a suonarti il citofono per trascinarti fuori, a spasso, a perdere tempo all’aperto.
Ma devi andare a scuola e durante le ore di lezione non riesci a seguire niente, pensi solamente a ciò che potresti fare nel pomeriggio. Probabilmente un salto al parco con gli altri; magari ci starà pure il primo gelato della stagione e avrà un sapore speciale, qualunque sia il gusto che sceglierai, anche se non lo prenderai con Marta.
Proprio in giorni come questi capita che tutti ti diano buca. Chi ha il dentista, chi un’insufficienza da recuperare e deve assolutamente stare sui libri almeno
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Certi giorni
per non avere il senso di colpa; chi questo, chi quello. E ti viene addosso una tale rabbia che spaccheresti tutto, ma alla fine ti rassegni a stare in casa a nerdare oppure pigli la bici e ti butti nella mischia, a caso, come viene. Certe volte ti senti così bloccato e deluso, così immobilizzato che non fai nessuna delle due cose e sprofondi nel letto, in camera tua, annegando in inutili chat.
Quando non ne puoi più e hai davvero toccato il fondo melmoso della noia pomeridiana, quando pensi che ormai non ti rimanga altro che mandare al diavolo l’intero universo sperando soltanto che arrivi presto domani, magari qualcosa succede. Non importa che sia un fatto particolarmente positivo, basta che interrompa la monotonia di quello schifo di giornata.
Sento suonare alla porta, sono ormai quasi le sei. È troppo presto per mio padre, che comunque aprirebbe con le chiavi; quindi, salto su dal letto sperando che sia Greg che si è finalmente liberato ed è venuto da me.
Apro e mi trovo davanti un uomo sulla sessantina che non conosco.
– Buong… oh ciao! Scusa, sono il nuovo inquilino del piano di sotto. Mi chiamo Carlo. Ho provato a suonare negli appartamenti sul mio pianerottolo, ma non c’è nessuno.
– Sì – rispondo svogliato e un po’ deluso, – uno è vuoto; nell’altro ci sono due che stanno fuori fino a tardi.
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– Avrei bisogno di sapere dove sono i bidoni condominiali. Chi mi ha affittato la casa non me l’ha spiegato.
Il tizio ha chiesto alla persona giusta. Tra i compiti che mi spettano c’è proprio quello di buttare la spazzatura. Sembra che sia un incarico destinato inesorabilmente a noi ragazzi, come se fossimo i custodi dell’immondizia o i legittimi sorveglianti di tutto ciò che va buttato, i cavalieri dell’indifferenziato.
Glielo spiego e accenno quasi a chiudere la porta. Avrei preferito trovarmi davanti il faccione allegro di Greg. Quello però sembra abbia una voglia matta di parlare mentre a me l’idea non dà alcun piacere. Non è certo il cambiamento improvviso che ho sperato alla fine del pomeriggio. L’educazione severa che ho ricevuto da mio padre mi spinge comunque a concedergli un altro minuto del mio tempo assolutamente inutile in una vuota giornata.
– Grazie – prosegue ignaro dei miei pensieri, – non avrei saputo davvero come cavarmela, anche perché ho fatto un po’ di pulizie e ho i sacchi pieni. Chissà da quanto tempo era chiusa la casa.
– Già – confermo mentre il timer della mia pazienza sta già suonando; lascio cadere il discorso, ma l’altro non si arrende.
– Non voglio lamentarmi, per carità! È sicuramente una sistemazione migliore di dove stavo prima – sorride abbassando lo sguardo, – però mi piace l’ordine. Anche a te?
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La domanda a bruciapelo mi spiazza e mi costringe a dare almeno una risposta anche se si tratta di un problema che non mi sono mai posto. In ogni caso non faccio quasi in tempo a pronunciare un monosillabo perché lui riparte in quarta.
– Credo che in un ambiente pulito e ordinato ci si possa concentrare meglio e io, per lavoro, ne ho davvero bisogno. Sarebbe difficile ottenere un risultato soddisfacente, per me, in mezzo al caos. Non sono uno di quegli scrittori che riesce a riempire le pagine in qualunque condizione…
L’uomo va avanti, ma qualcosa del suo discorso mi risuona in testa, una sua parola manda un segnale al mio cervello. L’uomo che ho di fronte è uno scrittore!
Uno che sa trovare belle frasi e dare forma ai pensieri, renderli comunicabili e letterari allo stesso tempo.
– Scrittore, ha detto? – lo interrompo senza neppure sapere cosa stia dicendo in quel momento.
Sì, perché? Non mi dire che ti piace leggere. Saresti uno dei pochi alla tua età.
Be’ non è esattamente il mio forte – minimizzo per non fare brutta figura.
– Allora forse ti piace scrivere? – incalza lui.
Neanche – esito, – però in questo momento avrei bisogno di buttare giù due frasi come si deve. Mi darebbe una mano?
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Sussulto sgomento ed esposto…
– Esposto? In che senso? Come un paio di jeans in vetrina? – chiedo a Carlo.
– Ma no! Significa “aprendomi, rivolgendomi a te”. Però forse hai ragione. La locuzione non rende completamente l’idea del tuo “Ehi!”.
– Direi che non la rende per niente – commento con aria scettica.
Non pensavo che chiedere aiuto a uno scrittore per un semplice messaggio d’invito mi avrebbe portato a esprimermi in maniera così assurda. Lui usa dei vocaboli che neppure il T9 saprebbe correggere e potrebbero addirittura far finire la chat in spam.
– Sì, troppo difficile – si convince, – troppo complicato.
E si rimette a pensare.
– Guardi che non è obbligato – cerco quasi di tirarmi indietro rispetto alla richiesta d’aiuto che gli ho lanciato un po’ impulsivamente.
18 4 Ampolloso
“Se mi tenesse ancora in sospeso, come affronterei la cosa? È molto probabile che mi arrabbierei, non sarebbe giusto prendermi in giro in quel modo, considerarmi una specie di marionetta.”
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