Novelle dal Decamerone

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Novelle dal Decamerone Capolavoro in prosa della letteratura italiana

Giovanni Boccaccio, nato a Firenze nel 1313 e morto nel 1375, è uno dei più grandi narratori italiani di tutti i tempi. Scrisse poemi in rime, racconti, novelle. Il suo capolavoro, il “Decamerone”, fu composto intorno al 1350.

Completano la lettura un apparato finale di approfondimento delle tematiche e un fascicolo di comprensione del testo.

Novelle dal Decamerone Capolavoro in prosa della letteratura italiana

Novelle dal Decamerone

Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio ambientò il Decamerone nel 1348, l’anno in cui Firenze fu devastata dalla peste. Questa raccolta presenta alcune delle novelle più significative, divise per tematiche e scelte per il loro contenuto adatto alla secondaria inferiore. Sono racconti che parlano di avventura, d’amore e di beffe che si svolgono in un Medioevo meraviglioso e, nello stesso tempo, realistico, dove interagiscono re, nobili e popolani, uomini e donne comuni. È uno spaccato perfetto dell’epoca, una lettura sempre attuale ed entusiasmante, proposta in una briosa e intensa riscrittura.

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Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio

Capolavoro in prosa della letteratura italiana

Completano la lettura: Approfondimenti finali Fascicolo di comprensione del testo Schede interattive su www.raffaellodigitale.it

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Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).

€ 9,00

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Collana di narrativa per ragazzi


Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Progetto grafico e impaginazione: Mauro Aquilanti Disegno di copertina: Danilo Loizedda Approfondimenti: Paola Valente Schede didattiche: Redazione Raffaello Ufficio stampa: Salvatore Passaretta

Ia Edizione 2015 Ristampa

7 6 5 4 3 2 1 2022 2021 2020 2019 2018 2017 2016 Tutti i diritti sono riservati © 2015

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Giovanni Boccaccio

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Antefatto

Nell’inverno del 1348, in gran parte dell’Europa si diffonde un’orribile epidemia di peste nera. Febbre alta, sangue dal naso, bubboni sotto le ascelle e piaghe violacee su tutto il corpo sono i segni specifici di questa malattia che i medici non sanno né curare né prevenire. E la gente muore. Ci si ammala con facilità: basta stare vicino a un appestato o toccare ciò che è infetto e naturalmente la sporcizia favorisce il contagio sia tra gli uomini che tra le bestie. Per paura di ammalarsi non ci si prende cura degli appestati, non si veglia in preghiera il morto e neppure lo si accompagna alla sepoltura. I cadaveri sono deposti sulla porta di casa o lungo la strada, in attesa che i becchini li trasportino, ammassati sopra carri, fino ai cimiteri delle chiese dove vengono sepolti in fosse comuni.

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A primavera di quello stesso anno, nella ricca e bella città di Firenze i morti di peste sono più di centomila. In poco tempo la città ha cambiato aspetto. Artigiani e bottegai non espongono manufatti e mercanzie, i commerci hanno ritmi più lenti; per le vie si cammina a volto coperto per proteggersi dall’aria infetta e si avvicinano al naso fazzoletti imbevuti di essenze profumate così da non sentire il fetore dei cadaveri. Soprattutto, le persone cercano di evitarsi. Meglio stare in casa. Tutti temono la peste, il morbo che non dà scampo. C’è una sola possibilità di salvezza: abbandonare la città; chi può farlo va a vivere sulle colline che circondano Firenze. Nel mese di luglio di quello sfortunato anno, un martedì mattina, sette giovani donne fiorentine, più o meno della stessa età e amiche fra loro, si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella. Distraendosi durante le preghiere, cominciano a parlare della peste, del numero dei morti che cresce, della tristezza sul volto della gente. – Ringrazio Dio di essere ancora viva, ma quanto soffro! Attorno a me non vedo che morti e appestati e persone che rubano approfittando delle disgrazie altrui – dice Pampinea, la meno giovane. 6


– Da quando la peste si è presa i miei familiari mi angoscia vivere in una casa vuota e silenziosa dove mi par di vedere fantasmi dappertutto! – risponde Filomena. – Io non mangio più, non dormo più, tanto ho paura di ammalarmi! – si sfoga Elissa, che è la più giovane. Anche le altre, la bella Lauretta, Neifile che ha capelli come l’oro filigranato, Fiammetta, dai grandi occhi neri, ed Emilia, la più timida, si lamentano per lo stesso motivo. A tutte fa paura la morte. – Care amiche, perché continuare a soffrire? Dobbiamo trovare un modo per vivere meglio – dice Pampinea. – Che stiamo a fare qui in città? Andiamo ad abitare nella mia villa sulla collina di Fiesole. Se piace a Dio, eviteremo il contagio, respireremo aria sana e non vedremo né morti né sofferenti. È più che sensato ma Filomena, saggiamente, dice: – Siamo donne giovani e vivere da sole non sta bene. Proprio in quel mentre vedono entrare in chiesa tre giovanotti loro amici, Panfilo, Filostrato e Dioneo. “Ecco chi può stare in nostra compagnia portandoci rispetto” pensa Pampinea. Senza indugio va a salutarli e li informa di ciò che lei e le amiche hanno deciso di fare. – Potete unirvi a noi per trascorrere un periodo di villeggiatura – propone. Gli amici ne sono ben lieti. 7


L’indomani, mercoledì, appena il sole fa capolino, le sette donne e i tre giovani si mettono in viaggio seguiti dalla servitù. Percorse poche miglia, le carrozze raggiungono Fiesole e, più oltre, sulla cima di un poggio, la villa. L’edificio è circondato da giardini e vialetti alberati. Ovunque si volge lo sguardo, si intravedono campagne e colline e, in lontananza, la città. Basta quel paesaggio per sentirsi sereni. – Da questo istante, via ogni tristezza! – esclama Dionèo entrando nella villa. – Giusto! Dobbiamo dimenticare ciò che ci ha addolorato finora e pensare solo a svagarci – aggiunge Panfilo. – Faremo un po’ di musica, danzeremo, giocheremo a scacchi – dice Pampinea. – Anzi, state a sentire cosa ho in mente: ciascuno di noi, a turno, come fosse un re o una regina, deciderà cosa si dovrà fare giorno per giorno. Dopo che si sono ristorati vanno in giardino e, mentre sono seduti all’ombra di un gelso, Pampinea, nominata regina di quel giorno, dice: – Da oggi in poi trascorreremo la prima parte del pomeriggio raccontandoci alcune novelle nell’attesa che venga l’ora adatta per andare a passeggiare. E poiché tutti sono d’accordo, li invita a iniziare: 8


– Ciascuno di voi per quest’oggi è libero di narrare a piacer suo; da domani, invece, sarà il re o la regina a decidere l’argomento. Fu così che ogni giorno, per dieci giorni, tranne il venerdì e il sabato riservati alla preghiera, la bella compagnia trascorre gran parte del tempo novellando. Quante novelle? Dieci al giorno: in tutto cento. Novelle brevi e lunghe, a lieto fine e non, novelle che fanno riflettere divertendo.

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