Giulio Cesare

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Giulio Cesare

Ermanno Detti Le imprese, il potere, le Idi di marzo

IL MULINO A VENTO

Per volare con la fantasia

Collana di narrativa storica per ragazzi

Editor: Paola Valente

Redazione: Emanuele Ramini

Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Giacomo Santo

1a Edizione 2014 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 2021 2020 2019 2018 2017 2016 2015 Tutti i diritti sono riservati

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Ermanno Detti

Giulio Cesare

Le imprese, il potere, le Idi di marzo

illustrazioni di Mauro Marchesi

PROLOGO

Etruria, 48 a.C., notte di luna piena

Nell’aia di fronte alla capanna di Spurinna, l’indovino più noto di tutta l’Etruria e molto stimato a Roma, si stava svolgendo una cerimonia. Attorno a lui c’erano la moglie, i suoi cinque figli e altri tre vati dell’arte divinatoria.

L’attenzione era tutta su Frida, figlio maggiore di Spurinna, un ragazzo sui tredici anni, riccioluto, biondino. Frida era stato ed era la preoccupazione principale dei genitori: gracile nel fisico, inappetente, spesso soggetto a febbri. Tutti temevano che avrebbe avuto vita breve, invece era giunto fino a 13 anni e da qualche tempo sembrava essersi rimesso un po’ in salute. I genitori avevano cominciato a sperare in lui e, visto che si mostrava intelligente, avevano deciso di avviarlo agli studi.

Su un tavolo, in mezzo all’aia, c’erano i resti di alcuni animali, soprattutto oche e capretti, a cui erano state esaminate le viscere.

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– Tutti i segni sono favorevoli a te, figliolo – disse Spurinna.

– Sì – confermò il più anziano dei vati, – dalle viscere, dai segni delle stelle e dal volo degli uccelli abbiamo ormai la certezza che il tuo viaggio sarà senza ostacoli e i tuoi studi saranno coronati da successo.

Spurinna, che parlava con l’autorità del padre e del sacerdote insieme, concluse:

– Domattina quindi partirai per Atene. Là ti attendono grandi maestri e tu dovrai studiare le nuove scienze che, unite ai miei insegnamenti sull’arte di predire il futuro, faranno di te uno degli indovini più famosi del mondo.

La madre fece allora un passo verso il figlio e lo salutò con un bacio. Poi lo avvisò:

– È giusto che tu sappia, figlio mio, che dall’oriente all’occidente è in atto una della più grandi guerre civili di Roma: Cesare e Pompeo si stanno combattendo. Tu cerca sempre di…

– Sì, madre, di restarne lontano! Me l’hai detto almeno quattro volte! – rispose con voce flebile il ragazzo.

– Non intimorirlo con le tue paure – la riprese Spurinna, – Frida non ha nulla da temere dalla guerra. La sua natura gracile lo favorirà. Nessuno penserà di poter fare

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di lui un soldato, non sarebbe capace di sollevare una spada o di lanciare un giavellotto. Invece il suo cervello è più forte e agile di quello di mille soldati e in Atene è il cervello che dovrà usare. Poi la guerra tra Cesare e Pompeo non durerà in eterno. La vittoria sarà di Cesare, come noi indovini ben sappiamo!

A questo punto riprese la parola il più anziano degli indovini.

– Frida – disse, – tutti i segni ci dicono che il tuo sarà un grande futuro. A te sarà affidato un compito importantissimo. Sarai vicino a Cesare e… il resto non è chiaro, i segni non ci dicono altro. Sembra però che a te sarà affidato un compito importante: forse potrai cambiare anche il corso della storia, forse potrai cambiare il mondo!

Due cavalli erano pronti ai margini dell’aia.

– Adesso vai figliolo – gli disse la madre, – tuo padre ti accompagnerà fino al porto e alla nave. Partirai all’alba.

– Tornerò mamma – disse il ragazzo abbracciandola. E nel farlo rabbrividì.

– Hai freddo per caso?

– Un po’ mamma!

La donna si tolse il proprio mantello grigio di lana e lo pose sulle spalle del ragazzo.

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– E tu mamma? Non hai freddo?

– No, Frida! E poi me ne farò un altro di mantello. Questo è tuo, te lo regalo.

Frida non replicò: per lui che soffriva il freddo quello era il miglior regalo che sua madre gli potesse fare.

Poco dopo, i due cavalieri si allontanarono e si inoltrarono nei boschi dove la luna a stento penetrava.

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“Mi chiamano Socrate, ma il mio vero nome è Frida”

Atene, anno 44 a.C., mese di febbraio

Era ancora l’alba quando qualcuno bussò alla porta di Socrate. Ancora assonnato, il ragazzo pensò che doveva trattarsi di Enotea, lo schiavo del maestro, che veniva a chiamarlo per la lezione. Non poteva essere che lui. Era accaduto altre volte che Socrate non si fosse svegliato in tempo e il maestro, infuriato, avesse mandato lo schiavo a svegliarlo. Ora avrebbe dovuto sopportare le urla e forse le punizioni del maestro. Indossò svelto la tunica e andò verso la porta. Bussarono più forte.

– Ehi, Enotea – reagì Socrate, – calmati, apro subito! Vuoi buttare giù la porta?

Un solo violento colpo e la porta si sfasciò davvero. Nel vano comparvero due soldati romani. Senza chiedere permesso, i due irruppero nel modesto appartamento.

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Socrate li guardò a bocca spalancata. Avrebbe voluto ingoiarsi la lingua: aveva insultato senza volerlo due militari e questo avrebbe potuto costargli anche la vita. Entrambi erano alti, robusti e armati. Differivano, forse, solo nella barba, uno l’aveva scura, l’altro rossiccia.

– Sei Socrate?

– Ehm…

– Sei Socrate?

– Sì, no…

– Sì o no?

A parlare era stato il soldato con la barba rossa, il più anziano e forse anche il più alto in grado.

Il ragazzo era come imbambolato, all’ultima domanda si affrettò a rispondere:

– Il fatto è che qui in Atene mi chiamano Socrate, ma il mio vero nome è Frida.

– Sei proprio tu che cerchiamo allora – precisò il soldato con la barba nera. – Avanti, preparati a partire!

Il suo tono era meno aggressivo, ma freddo. Si capiva che i due erano lì solo per eseguire un ordine.

– Eh? Come “a partire”?

– A partire per Roma.

Socrate ancora non riusciva a capire. Il soldato con la barba rossa lo spintonò.

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– Dobbiamo usare la forza?

– No, no! Vengo subito!

– Cesare ti vuole!

– Cesare vuole… Che dite mai? Vuole me?

– Fai presto! Cesare è a Roma!

– Aspetta me?

I soldati non risposero, non avevano altre spiegazioni da dargli. Ogni domanda era inutile.

Il giovane raccolse in un sacco i suoi poveri averi e qualche rotolo, i libri sui quali aveva studiato.

Abitava ad Atene da quattro anni, aveva studiato filosofia e astrologia, era bravo e la sua fama si era presto diffusa per le città della Grecia. Ma a Roma chi lo conosceva? Perché Cesare voleva parlargli? Lui, il grande conquistatore delle Gallie, il vincitore della guerra civile, ormai signore di Roma, poteva aver bisogno di un giovane studente? Pareva proprio impossibile.

Era però inutile arrovellarsi il cervello. La sua curiosità e le sue domande avrebbero trovato una risposta solo quando si sarebbe trovato di fronte a Cesare.

DENTRO LA STORIA...

Nel 44 a.C. Cesare era l’uomo più potente di Roma: già eletto questore, pontefice massimo, console, la sua fama di uomo politico capace e lungimirante era equivalente a quella di generale e conquistatore vittorioso.

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Era inverno e Socrate aveva il solito problema: soffriva il freddo. Era sempre stato così, fin da bambino, gracile nel fisico e freddoloso. Ad Atene si era trovato bene, la temperatura era quasi sempre mite, in estate anzi faceva caldissimo e lui era felice di vivere lì. Ma ora la sola idea di doversi imbarcare, con tutta quell’umidità del mare e della nave, con il vento e il mare grosso, lo fece rabbrividire.

Non appena giunse al porto fu investito dalle folate di una gelida tramontana. Sopra la tunica aveva un vecchio mantello grigio di lana, lo stesso che gli aveva regalato sua madre anni prima, al momento della partenza. Aveva i piedi gelati e umidi anche se era riuscito, solo qualche giorno prima, ad acquistarsi un paio di sandali chiusi.

Il vento di tramontana spirava forte e il mare era in tempesta. La partenza fu ritardata.

Quando il tempo migliorò e la nave militare su cui Socrate venne imbarcato decise di partire, si alzò un lieve vento di scirocco che agitò le onde.

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La traversata fu faticosa, specialmente per lui che soffriva il mal di mare.

Socrate soffriva spesso anche di mal di stomaco e il dolore aumentava solo nel vederlo, il mare. Aveva fatto bene suo padre a destinarlo agli studi, nei quali era riuscito, per sua fortuna, in maniera eccellente.

Ma ora… che voleva da lui Cesare?

Sbarcato a Brindisi, lo attesero altre giornate faticose a cavallo, finché arrivò finalmente a Roma.

Socrate vi era stato da piccolo, tanti anni prima, accompagnato dal padre e aveva potuto ammirare le bellezze della grande città, le sue mura possenti, i suoi acquedotti, il foro, i mercati, il caos cittadino di uomini, carri, animali. Si ricordava le urla dei cambiavalute e l’odore fastidioso delle spezie. Ma i soldati che l’accompagnavano non indugiarono in città e lo condussero direttamente al palazzo.

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Imprese eroiche, vita quotidiana e curiosità di uomini e donne che hanno lasciato una traccia significativa nella storia.

Giulio
Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d). 7,50 ISBN 978-88-472-2169-7 9 788847 221697
Il libro è dotato
GIULIO CESARE: 100 a .C. – 44 a .C. ErmannoDettiGiulioCesare ISBN978-88-472-2169-7
Cesare fu generale e dittatore di Roma, scrittore, oratore e uomo politico. È considerato uno dei personaggi più importanti della storia, sia per il suo valore sia perché la sua politica cambiò profondamente Roma e il futuro del mondo antico. Questo romanzo narra vicende appassionanti che svelano grandezze e debolezze del dittatore. Molti misteri sulla sua morte vengono rivelati con veri e propri colpi di scena. Un romanzo avventuroso che, nel rispetto dei fatti storici, ricostruisce il profilo di un grande personaggio. Ermanno Detti è scrittore, giornalista e studioso di problemi legati alla diffusione della lettura tra i giovani. Ha scritto molti racconti e romanzi. Dirige la rivista “Il Pepeverde”, che si occupa di letteratura giovanile.
di approfondimenti online su www.raffaellodigitale.it

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