Gabriella Santini
DIALOGARE PER CRESCERE Storie nate dalla collaborazione con i protagonisti del mondo sociale, per raccontare la vita agli adulti di domani
Gabriella Santini
Ragazza di
vento
Gabriella Santini, docente di sociologia della comunicazione, ha scritto moltissimi libri: fantasy, realistici, gialli, avventurosi, tradotti in paesi europei ed extraeuropei. Progetta giochi, scrive sceneggiature per cartoni animati, articoli per blog, magazine. Il suo romanzo "SOS... Cerco musica disperatamente" ha vinto il Premio Sezione Bancarellino.
Dai 12 anni
€ 9,00
Ragazza di vento
Quattro ragazze e un ragazzo sono tiranneggiati dai bulli capitanati da Lulla, ma questa storia non parla soltanto di bullismo. La protagonista quindicenne, Aimée, si scontra spesso con la madre e ha due nonni pieni di acciacchi, ma questa storia non parla soltanto di problematiche legate alla famiglia e all’adolescenza. Sotto le ceneri di fuochi tenuti sempre accesi dalla narrazione covano disturbi alimentari - come l’anoressia - che giocano a nascondino con la verità. La storia che questo libro custodisce è intensa e poetica. Il finale è nelle mani di chi legge.
Ragazza di vento
In verità, per ora, odio cibarmi. Punto.
DIALOGARE PER CRESCERE
Editor: Patrizia Ceccarelli Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini Progetto grafico: Valentina Mazzarini Ufficio stampa: Francesca Vici I Edizione 2018 Ristampa 5 4 3 2 1 0 2023 2022 2021 2020 2019 2018 Tutti i diritti sono riservati © 2018 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 – 60037 – Monte San Vito (AN) e–mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e–mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
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Gabriella Santini
Ragazza di vento
Capitolo 1
Misteri, voli e amici Mi chiamano Soffio e dicono che non ho età. Dicono pure che bado all’essenza, che fatico a entrare in contatto con la realtà e che mentre vagheggio scintillo. In coscienza, tutto ciò è vero: io sono un mistero. Comunque, ho poco peso nella storia, 21 grammi suppergiù. In compenso, amo, sento, rifletto e vedo tutto, persino i pensieri. Nonostante tali capacità per me è quasi impossibile cambiare il corso degli eventi, tranne che in occasioni speciali in cui posso narrare ciò che so mormorandolo agli altri. Questa è una di quelle. Racconto dunque. Mi basta tornare indietro nel tempo. Andrò a ritroso: qualche manciata di settimane sarà sufficiente. Tanto il tempo è zucchero filato per me; non lineare e tiranno come per gli umani, piuttosto 5
concentrico come le ciambelle. Pure lo spazio è diverso: per esempio, so volare all’indietro come un colibrì. Tra me e quei minuscoli animaletti alati, poche differenze: volo, peso e luccichio sono simili. Perché racconto? Ho smarrito la mia gabbia felice e mi sento perduto. Raccontare e rivivere ciò che è stato mi farà capire che cosa sia successo davvero. E come e quando. Sarà l’istante giusto quello in cui vedrò una grande ferita lucente tra nuvole senza pioggia e sentirò un boato lacerare l’aria; non so come ma lo so. Rivado alla primavera in cui tutto ha avuto inizio, quando la porticina della mia gabbia è stata forzata, quando ho compreso il perché del mio nome e, finalmente, ho capito chi ero. Un morso allo zucchero filato e via, a ritroso. Dall’alto, la città in cui sono è ovattata di grigio. Perdo quota, il grigiore si stempera in ceruleo, riconosco baffi di primavera. Il berretto del cielo di marzo è sulle teste degli umani. Chi come me vola può giocherellare con le rondini o con gli orologi delle piazze. E, infatti, gioco: con la lancetta nana dell’ora, che segna le tredici, e poi, con quella gigante dei minuti, che ne conta trentatré. Le 13,33: non è troppo tardi per me. Forse nemmeno per gli altri. 6
Mattino consumato, lezioni appena finite, aria che punge. Raggiungo due di loro non a caso. Una è la mia ragazza di vento, chiamata Aimée, l’altra è la sua migliore amica Moira, figlia del destino. Stanno vicine e parlottano. – Svelami i tuoi segreti – esclama Moira. La mia ragazza le risponde con parole fatte di silenzio. Fissa un buco sull’asfalto con tanta tenacia che potrebbero spuntare fiori di tarassaco. Fioriscono soprattutto grazie ai pensieri felici che, ultimamente, sono rari in Aimée. Io lo so. Mi allontano da lei, volando più in alto: mi fa soffrire leggere certi suoi pensieri, perché ne ingoio l’amaro. – Su, su! I tuoi segreti! Dimmeli, Aimée – la prega Moira e la stringe. – Per favore… – Non ne ho. – Bugiarda! Tu sei una banca di segreti. Io, la ragazza di vento, mi sottraggo alla stretta e ai suoi tentativi di farmi parlare. Resto zitta, diritta come uno spaghetto crudo, sperando che mi creda. Le bugie sono architetture faticose da sorreggere: non basterebbe un ciclope. E io sono soltanto uno gnomo di nebbia. 7
– Tanto parlerai! Nessuno mi resiste – minaccia, sventolando davanti al mio naso l’indice carico di anelli fino all’unghia smaltata di nero. – Ci credo: strazi – mi scappa detto. Lei ride: le piace esagerare. Invece a me trattenermi. Alle nostre spalle, c’è l’Istituto Byron, incolore e severo; un contenitore più vuoto di quelli della raccolta differenziata che in città stenta. Il portone viene chiuso con un colpo secco, i ragazzi riempiono ogni spazio della piazza. Sobbalzo per il colpo e noto sopra di me un luccichio rotondo, forse pulviscolo di luce. – Piazza Martiri della Libertà… – mormoro. – Già; qui, libertà zero, ma i martiri ci sono eccome… Osserviamo le file di studenti che si accalcano nella speranza di conquistare un posto sull’unico autobus. Altri si fanno recuperare controvoglia da genitori dalle facce buie. Gli adulti sono più spenti dei figli, più di una centrale elettrica in black-out. Ma il mondo è tutto così? È tutto qui? Ho la gola allacciata e pensieri che raschiano. Li ingoio come le parole e le emozioni. Hanno sapori amari: di caffè, rape, cicoria, tè verde. 8
Il mio mondo ha troppi confini e strettoie. Mi aggrappo al “Facciamofintache”; me l’ha insegnato Nonno quando ero piccolissima. È il mio gancio da allora. Funziona. Gli studenti assumono un aspetto diverso: sotto gli zaini celano ali argentee. Qua e là qualche penna brilla. E l’autobus, in realtà, è un ibrido, metà mongolfiera e metà sommergibile d’aria. Pure il Byron muta: le mura screpolate celano mille ali brucianti che fremono all’interno. Le pareti vacillano, si sfaldano: nugoli di farfalle trovano una feritoia e, trasparenze rosse, volano su tutti noi, accarezzando le guance agli adulti spenti e spettinando le ali ai ragazzi. A me fanno venire ansia di sorriso. Una farfalla si stampa sulla mia guancia e rosseggia. Ma un vigile fischia e torno. Qui e ora. “Aimée Ambrosi, presente!” dico a me stessa. Tutto ingrigisce di nuovo: il sortilegio dura poco. Mi succede sempre. Moira e io ci dirigiamo al parcheggio. Non visto, Soffio ci segue. Brilla, discreto, come pulviscolo. 9
Togliamo lucchetti e catene e saltiamo in sella alle nostre bici di ruggine. Ci portano qui ogni giorno, aspettano sotto la pioggia o sotto il sole, poi, ci riportano a casa. Le nostre bici e noi, scricchiolanti e con le luci rotte. A dirla tutta, Moira luccica ancora ma non scricchiola, piuttosto risuona, poiché le sue collanine, i bracciali, gli anelli, gli orecchini e i piercing scampanellano a ogni movimento. Moira è così. Non puoi ignorarla. Lei prende il mio casco e me lo calca sui capelli lunghi color topazio. Faccio lo stesso sul suo cespuglio nero e riccio. Poi, ci sorridiamo e partiamo. È un rito quotidiano. Tutto intorno, il mondo fruscia e rotea, come sempre. Che gli importa di noi? Siamo plancton addosso a una balena enorme che compie capriole in faccia all’universo. – Confidami i tuoi segreti o non sarò più tua amica – insiste, cupa. So che non la smetterà. Cedo: – 10/15 grammi. 50 chilometri l’ora. 90 battiti al secondo. 5/7 centimetri di lunghezza. E cambia colore più dell’arcobaleno. – Non scherzare. Sostenendo la bici con le gambe, incrocio i polsi, li sollevo fino alle spalle e con le mani mimo un volo frenetico. 10
Mani e dita sottili sembrano piume, penne, ali. Una lama di sole mi attraversa e stampa sull’asfalto l’ombra di un piccolissimo uccello che vola via fremendo. – Se verrai da me, capirai. Un giorno… Lei si picchietta la fronte con l’indice. – Tu sei fuori, ma tanto io vengo da te oggi pomeriggio. Stavolta non mi gabbi. Scoprirò tutto e vedrò casa tua, finalmente. Sto per dirle che oggi non posso, che casa è un casino, che Mamma è sulla Luna, che il condominio è in quarantena, che di professione faccio l’inventasegreti quand’ecco che siamo interrotte. Flora, detta Frottola, Desdemona, soprannominata Desdy, e Vitale, detto Vita, ci raggiungono di corsa. Le uniche facce vive nella grande piazza di facce grigie.
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