Sotto la stella di Dante - ESTRATTO

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Storie O R O

Il padre della letteratura italiana, un amico inaspettato



Storie O R O


Editor: Paola Valente Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini Approfondimenti tematici: Paola Valente Coordinamento grafico: Mauro Aquilanti Team grafico: Claudio Campanelli Illustrazioni: Manuela Trimboli Illustrazioni approfondimenti: Mauro Marchesi, Elena Iarussi I Edizione 2020 Ristampa 7 6 5 4 3 2 1 0

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Tutti i diritti sono riservati © 2020 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it www.ilmulinoavento.it info@ilmulinoavento.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di q ­ uesto libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright. L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.

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Stefano Verziaggi

Illustrazioni di

Manuela Trimboli


A Giacomo; tu saprai quanto c’è di te in queste parole

Per avvicinare i lettori alla lingua dantesca, sono presenti citazioni delle opere di Dante Alighieri, collegate al racconto.


Prima

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eresa è sicura che ci sia stato un prima. Solo che le è difficile capire prima di cosa. Ăˆ semplice invece descrivere il suo prima e dipingerlo nella mente, come fa con i colori a dita sulle vecchie lenzuola.

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Prima, la mamma la veniva a prendere a scuola e la aspettava davanti al cancello, appoggiata alla sua macchina rossa. La abbracciava forte e le prendeva lo zaino. Ciò che succedeva dopo era una sorpresa. Magari andavano a mangiare al fastfood, oppure al kebab all’angolo. O indossavano degli occhiali da sole fucsia, poi partivano e arrivavano in riva al lago, parcheggiavano e si sdraiavano sull’erba. Magari scaricavano una app e registravano dei video musicali; Teresa era bravissima a cantare in inglese. O si mettevano lo smalto glitterato, anche sulle unghie dei piedi. O costruivano degli origami e li liberavano sugli alberi. O giocavano a fare le lontre, rotolandosi nel prato o nella sabbia e talvolta spingendosi fino all’acqua, almeno in primavera. Non si poteva mai dire dove l’avrebbe portata la mamma. Prima, la mamma si preparava in bagno per uscire, con le luci sopra lo specchio che le rendevano ancora più bello il volto, e la lasciava sedersi sul water per guardarla. Le dava uno specchio e le faceva provare rossetto, blush e ombretto. Mentre si metteva il fondotinta o si sistemava le sopracciglia, la mamma le raccontava con chi sarebbe uscita. Amicizie che finivano in fretta, forse perché gli accompagnatori, quando venivano a sapere che esisteva Teresa, non

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volevano impegnarsi con una donna che aveva una figlia. Prima, alla sera, quand’era ora di dormire, c’era sempre una storia. A volte la mamma la pescava dai libri di Teresa, ma poteva anche capitare che la inventasse lei, e che per un quarto d’ora si immergessero in un mondo di cui la figlia era la protagonista. Si sdraiavano a letto abbracciate e si massaggiavano le guance. Capitava di imbattersi in draghi violenti e suscettibili che sputavano fuoco, per poi scoprire che soffrivano di solitudine e sarebbero bastati una pastiglia contro il mal di stomaco e un po’ d’affetto per migliorare il loro carattere. Prima, loro due erano una coppia indissolubile. Avrebbero potuto sfidare con i loro occhiali fucsia deserti assolati e montagne innevate, principi azzurri poco cortesi e lupi maldestri ma buoni. Questo, era prima. Poi, qualcosa era cambiato. Teresa non ricorda il momento esatto in cui ha notato qualche differenza. Forse la sera in cui la mamma ha preferito leggerle una storia invece di raccontarla. O forse quando non ha voluto portarla alla pizzeria al taglio perché diceva che era meglio tornare a casa per pranzo.

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O quando ha iniziato a indossare degli strambi occhiali scuri. C’erano state lunghe telefonate, questo sĂŹ, durante le quali la mamma lasciava i giochi che stavano facendo e si rifugiava in camera, facendole segno che sarebbe ritornata subito. A volte, però, si dimenticava di tornare, e Teresa doveva andarla a chiamare. Un po’ alla volta, gli occhi della mamma si erano spenti, la sua voce smorzata, il suo colorito impallidito. E il trucco serviva a poco. Anzi, la mamma si truccava sempre meno. Qualcosa era cambiato, ma Teresa era certissima che prima era meglio.

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Chi ha inventato l’italiano?

T

eresa ascolta le domande della maestra e prova a ricordare le risposte. Anche Misha, il suo migliore amico, segue con attenzione. Ogni tanto, Teresa gli fa qualche dispetto, ma solo per gioco: è molto divertente disturbare Misha perchÊ lui si arrabbia e diventa tutto rosso.

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Due file più indietro, invece, splende il viso sorridente di Giulia Trenti. È perfetta e adora esserlo. Se qualcuno le rovinasse una pagina immacolata del quaderno, lei lo graffierebbe con le sue unghie affilate e dipinte di rosa pesca. Ama indossare, ogni giorno, completi diversi, abbinando il colore dei calzini con i lacci delle code dei capelli o con la tinta dominante della maglietta. È amata da tutte le sue galline: Alina, Francesca, Bianca e ovviamente Giulia Apolloni, la sua migliore amica. – Qualcuno ha trovato un altro sostantivo in questa frase? – chiede la maestra. Il compagno interrogato, infatti, ne ha trovati solo due, ma forse ce n’è un altro. Giulia Trenti alza la mano e, con la sua cadenza impeccabile, proclama: – Settembre. È un nome proprio, maestra. – Giusto! Misha la osserva da dietro i suoi spessi occhiali. – Ti vedo, sai – sibila Teresa, pur mantenendo impassibile l’espressione del viso. – Co-come? – balbetta lui. – Vedo come la guardi. Se ti piace così tanto, perché non vai a dirle che sei innamorato!? Alcune macchie rosse compaiono sulle guance di Misha. – Io... io... no, ti sbagli.

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– Lo spero bene – continua lei. Non può sopportare Giulia Trenti. Anche in quel caso, se fosse stata zitta non avrebbe messo in cattiva luce il compagno di classe. Ma che si crede, quella? Di fare bella figura sulla pelle degli altri? Lo sapeva anche Teresa che in quella frase c’era un altro nome. Però, a volte, bisogna imparare a stare zitti. – Ragazzi, dovete esercitarvi meglio nell’analisi grammaticale. È importante, e poi alla secondaria ve la chiederanno. E allora ricorderete quello che vi avevo consigliato. In realtà, i rimproveri della maestra non sono mai troppo severi. Si capisce che vuole bene ai suoi alunni e che qualche volta le piace giocare a fare la cattiva. Un compagno, intanto, alza la mano, un po’ circospetto. – Cosa c’è? – chiede la maestra, mentre si siede in cattedra. Un foglio prende il volo e scivola giù. Lui si schiarisce la voce. – Maestra, scusa, ma chi l’ha inventata l’analisi grammaticale? Qualcuno si mette a ridere. Di certo l’intero pollaio (Giulia Trenti e le sue galline) sta sghignazzando di gusto. La maestra sorride, ma non in modo beffardo. – Cosa diciamo di solito? Chi l’avrà inventata?

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– I greci! – urla qualcuno. – Esatto. Saranno stati i greci. Se vuoi saperne di più, possiamo cercare in internet. L’espressione del compagno di classe è ancora dubbiosa, perciò osserva la maestra, poi alza di nuovo la mano. Lei gli fa un cenno per invitarlo a parlare. – Ma allora, maestra, almeno l’italiano, quello chi l’ha inventato? Stavolta nessuno ride. Teresa studia bene l’espressione della maestra. – La tua domanda è molto interessante, ma anche difficile. Non c’è una risposta vera e propria. Le lingue non vengono inventate: si evolvono, per usare un termine più complicato. Però ogni tanto… – e la maestra si alza e si mette a passeggiare per la classe, – c’è qualcuno che viene considerato il suo maestro, il fondatore, diciamo così. Per l’italiano, questa persona è Dante Alighieri. Qualcuno lo conosce? Alcune mani si alzano, ma Giulia Trenti inizia a parlare prima di tutti gli altri. – Certo che sì, è l’autore della Divina Commedia. Io a casa ce l’ho. La maestra le sorride. – Hai detto giusto. Ma la prossima volta, alza la mano prima di parlare.

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Dopo un’occhiata alla classe, la maestra riprende: – Dante è una figura importantissima per la nostra lingua, la sua opera è stata un modello per tutti gli autori che sono venuti dopo di lui, e quindi anche per noi. Teresa gongola per quel piccolo rimprovero. Quando si accorge che Misha sta guardando Giulia Trenti con aria sognante, gli tira una gomitata nel costato e dice: – Stai attento, bello: ti tengo d’occhio!

“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza.” LA DIVINA C OMMEDIA, Inferno, canto XXVI

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La mamma sembra stanca

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– a mia bambina! – ha detto il nonno quando ha visto Teresa all’uscita da scuola. Non le ha preso lo zaino come fa sempre la mamma, però le ha offerto la mano. Ora cammina al suo fianco. La casa dei nonni, infatti, è proprio in centro città, non molto distante dalla scuola: sette minuti a piedi se c’è il nonno, perché lui è lento. Se lui fosse una lontra, come lei e la mamma, ci metterebbe meno. Le lontre sono animali velocissimi.

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– Chissà cosa ha preparato la nonna per pranzo… – dice lui quando si sono incamminati. – La solita pasta, suppongo – ribatte lei. – Teresa, non lamentarti – il nonno sta per partire con una delle sue romanzine, – sei fortunata ad avere qualcuno che ti prepari da mangiare. Sai quanti bambini meno fortunati di te ci sono? – Ce ne sono anche di più fortunati, se è per questo! Il nonno non risponde, le lascia la mano e osserva le vetrine dei negozi, che diminuiscono di numero mentre lasciano il centro storico. La pasta della nonna può anche essere buona, ma lei ha l’abitudine di cuocerla troppo. E di metterci poco sale. La mamma le lascia sempre salare l’acqua e, anche se sbaglia ed esagera con la dose, le dice sempre: “Mmm! Questa pasta sa di mare. Ma che cuoca meravigliosa diventerai!” Teresa, in passato, ha provato a offrire alla nonna il suo aiuto, ma lei ha risposto che i fornelli sono suoi e che non avrebbe permesso a una bambina di toccare un oggetto tanto pericoloso. La casa dei nonni è il luogo con più divieti al mondo. Quella dello zio Samuel viene al secondo posto, ma solo perché è più piccola. Loro tre sono imbattibili in questo: non si può saltare sui divani, non si può entrare in casa con le scarpe, non si può accedere a

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certe stanze, non ci si può asciugare le mani con lo strofinaccio per i piatti, non si può usare il telefono per chiamare Misha, non si possono guardare i cartoni dopo cena, non si possono toccare i libri del nonno, non si possono usare i piatti col bordo blu, non si possono tagliuzzare le riviste. E ancora e ancora. Per Teresa è faticoso tenere a mente tutte le proibizioni, anche perché sia i nonni sia lo zio sono piuttosto suscettibili, e se si sbaglia non perdonano volentieri. – Siamo arrivati! – dice il nonno dopo aver aperto il portoncino d’entrata. Teresa si toglie le scarpe e prende le sue pantofole dalla scarpiera nell’ingresso. Non vede l’ora di appoggiare lo zaino, sa che non può lasciarlo in cucina come le verrebbe naturale, ma deve portarlo nello sgabuzzino. E poi, per fare i compiti, dovrà andare a riprenderlo: una seccatura. Spera di cuore che la mamma la venga a prendere prima, così potrà fare gli esercizi di matematica a casa sua, sul divano. Appena arriva al piano, seguita dal nonno, vede che la mamma è lì. Allora lascia cadere lo zaino (chi se ne importa della nonna e delle sue regole!) e corre ad abbracciarla. – Mamma! – le dà tanti baci. – Credevo tu fossi impegnata quando stamattina mi hai detto di venire qui dai nonni.

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Lei le fa una carezza. Sembra stanca. – Sì, hai fatto bene, tesoro. Teresa le parla in un orecchio. – Ma allora non potevamo mangiare da sole io e te? – Teresa! – dice la nonna, mentre mescola una pentola in cui bolle il sugo, – lo sai che non sta bene parlare sottovoce! Teresa sbuffa. – Vai a salutare la nonna, dai – consiglia la mamma. La bambina ubbidisce. La donna non smette di mescolare e le fa una specie di carezza sulla testa. L’appartamento è molto grande e ben arredato. La cucina è collegata al salotto, dove la nonna tiene le sue orchidee. Sono magnifiche e bisogna stare attenti a non rovinarle, perché molto delicate. Non si possono neanche toccare. Teresa torna accanto alla mamma. Lei le rivolge uno sguardo triste, poi sussurra: – Forse è il caso che ti dica una cosa. – Che? – chiede Teresa, curiosa. La mamma sembra incerta, come se soppesasse le parole o non fosse ben sicura di ciò che sta per dire. In quel momento, la nonna fa squillare un campanello: quel suono significa che il pranzo è pronto. Lei non urla mai. È vietato.

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La mamma non sembra propensa a continuare il discorso; si alza dal divano e si dirige in cucina. Teresa la segue. Tutti si siedono a tavola, e solo allora Teresa si accorge che c’è un altro posto apparecchiato. – E questo piatto per chi è? Per lo zio Samuel? Il nonno annuisce, e proprio in quel momento lo zio appare dalla zona notte. È alto e magro. La sua pelle è pallida perché sta sempre dentro casa a studiare. Ha i capelli di un biondo spento, che cominciano a diradarsi sulla fronte e porta occhiali con la montatura leggera; dietro le lenti si intravedono vivaci occhi verdi. Ha le mani molto curate di chi non fa lavori pesanti. – Zio, ci sei anche tu! – esclama la bambina. – Così sembra… – risponde lui accomodandosi. Non l’ha neppure guardata. Nel frattempo la nonna sta portando in tavola i piatti di pasta al sugo. Tutti cominciano a mangiare in silenzio e Teresa pensa che qualcosa non va. L’altro fatto piuttosto insolito è che siano a tavola tutti assieme: capita solo a Natale o nelle occasioni davvero importanti.

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Come un pacco

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– llora… – bofonchia la nonna, ma è come se non stesse parlando a nessuno in particolare. Teresa ficca in bocca forchettate di pasta, ma questa volta non viene rimproverata per la velocità con cui ingurgita i bocconi. Nella cucina si sentono solo i rumori della masticazione e delle forchette che sbattono contro i piatti. A tratti si può persino percepire il ticchettio dell’orologio a parete. È vietatissimo giocarci, quasi vietato come entrare nella stanza segreta del nonno, perché è appartenuto alla mamma della sua nonna, insomma alla sua bisnonna.

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– Allora… – fa di nuovo la nonna ed è come se, a quel richiamo, la mamma si svegliasse da un lungo torpore. Posa la forchetta e guarda Teresa. – Amore… c’è una cosa che dobbiamo dirti. Teresa si fa attenta. – Che cosa? – Ti sarai accorta che la mamma non è stata bene negli ultimi tempi. Teresa annuisce. Lo zio Samuel guarda lontano, oltre la finestra. Anche lui ha smesso di mangiare e ha appoggiato la forchetta parallela al coltello, a lato del piatto. Interviene la mamma: – Insomma, non sto bene, amore. Non sto per niente bene... Il nonno interrompe la mamma. – Quello che Sabrina sta cercando di dirti... Un’occhiataccia. – Grazie, papà. Lo so anche io quello che sto cercando di dire. La mamma prende un grande respiro e spara: – Tesoro, ho bisogno di curarmi. E quindi la nostra vita dovrà cambiare. Teresa la guarda. Cambierà la scuola, non starà più a Verona e lascerà i suoi compagni; ma non le peserà, a scuola non va d’accordo quasi con nessuno tranne che con Misha. Gli scriverà lunghe mail per tutto il tempo

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necessario. Oppure lo convincerà a trasferirsi con lei, tanto Misha litiga sempre con suo fratello maggiore, sarà felice di cambiare aria. – Va bene, mamma. Ma non potevi dirmelo a casa? La mamma esita, per un attimo i suoi occhi passano da quelli della nonna a quelli dello zio. – No, Teresa, cioè... sì, certo, avrei anche potuto dirtelo a casa. Il fatto è che io mi devo curare da sola e dove sto per andare tu non puoi venire. Staremo divise per un po’. Il vuoto sotto la sedia. Un vuoto che si apre come una voragine. Bisogna fare. Bisogna dire. – Ma questo, questo non è possibile. Io mamma sto con te e... Tutti si scambiano degli sguardi da adulti. Sono sempre così, loro: superiori, sicuri di sé, decidono per i piccoli perché credono di possedere la verità. La mamma, fino a questo momento, si è comportata in modo diverso, ma Teresa adesso non si sente più sicura neppure di lei. – Non piangere, sei grande … – sussurra. – Non sto piangendo – replica Teresa. Invece, un paio di lacrime le scendono lungo le guance.

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La mamma si alza, si avvicina, le accarezza la testa. Nessuno degli altri tre pronuncia una sillaba. – Teresa, ascoltami – le prende il viso tra le mani. I suoi occhi sembrano molto stanchi e molto tristi. – Ti assicuro che se fosse possibile fare in un altro modo, lo farei. Ma non è così. Purtroppo dobbiamo stare separate per forza. – Ma mamma… – Starai da me – interviene lo zio, con la sua voce neutra, – a casa mia. La situazione sta precipitando. – Come, zio? – implora Teresa, e la sua voce ha ormai una nota stridula che non controlla. – A casa tua non c’è spazio. Dove dormirò? – Nello studio. Quante cose vorrebbe dire Teresa. Quante altre cose. Soprattutto chiedere: come avete potuto decidere senza di me? Come avete potuto trattarmi come un pacco?

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Storie O R O

Dante è davvero magico, è un amico che ci sarà sempre...

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,­GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

Cambiamenti enormi, come nuvoloni in tempesta, minacciano la vita di Teresa. Gli adulti non la comprendono e a scuola è bersagliata dalle malelingue. Un amico inaspettato giunge a consolarla e guidarla: nientemeno che Dante Alighieri, padre della letteratura italiana! Il poeta si fa sempre più vicino a lei grazie ai racconti appassionati e alle letture serali dello zio Samuel. Basterà per guidarla fuori dalla tempesta?

Dante 700

Una storia per capire la bellezza e l’attualità dell’opera di Dante Alighieri, a 700 anni dalla sua morte.

Stefano Verziaggi è nato e vive in provincia di Vicenza. Da piccolo aveva un sogno, diventare insegnante, e lo ha realizzato. È un appassionato lettore di libri per ragazzi, si occupa di educazione alla lettura e fa parte di Italian Writing Teachers. Quando può, va a teatro.

Consigliato a partire dai 9 anni Il libro continua online su daileggiamo.it

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