Vado a essere felice

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Loredana Frescura

DIALOGARE PER CRESCERE

Va d o a ess ere feli ce

Una scoperta imprevista, però, avvicinerà Andrea a Gigliola e la spingerà a un gesto di intensa generosità che farà di lei una persona adulta. Fabio l’Imbranato e uno strano angelo contribuiranno, poi, a costruire una storia esilarante, a volte tenera, mai banale: la storia di tre ragazzi che, in modi diversi, dimostreranno cosa significa amare.

Vado a essere felice

Andrea deve imparare ad accettarsi, a partire da quel nome dall’identità incerta per lei che è femmina; deve convivere con l’immagine del proprio corpo e dominare il desiderio di cibo. A questo si aggiunge l’arrivo di Gigliola, sua cugina e coetanea, che sembra possedere tutta la bellezza e la grazia che Andrea non riesce a conquistare.

Loredana Frescura

Storie nate dalla collaborazione con i protagonisti del mondo sociale, per raccontare la vita agli adulti di domani

Va d o a es se re feli ce

Con il patrocinio di

Dai 12 anni I S B N 978-88-472-2109-3

€ 9,00

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788847 221093

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DIALOGARE PER CRESCERE


Editor: Patrizia Ceccarelli Redazione: Emanuele Ramini Team grafico: Simona Dell’Orto, Mauro Aquilanti Ufficio stampa: Salvatore Passaretta 1a Edizione 2014 Ristampa 5 4 3 2 1 2019 2018 2017 2016 2015 Tutti i diritti sono riservati © 2014

Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e-mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.


Loredana Frescura

Va d o a es se re feli ce



“Vado a essere felice” è un romanzo che ho sempre amato e oggi, così, con un vento nuovo che gira tra le pagine, lo amo ancora di più. Sì, perché questo libro ha una storia particolare: l’avevo scritto e pubblicato anni fa con un titolo diverso, poi ho avuto una fortuna che non capita spesso: la mia storia ha ricevuto il patrocinio di un’associazione importante come ADMO ed è stata pubblicata con un “vestito nuovo”. Questo mi ha fatto sorridere di gratitudine. Sono grata per Andrea (detta la Rospa) che avrà modo di farsi conoscere meglio anche indossando una gonna, per Gigliola (detta la Fata) che potrà vestirsi da pagliaccio, per Fabio (detto l’Imbranato) che continuerà a suonare liberamente la tromba e per l’angelo (detto Angelo) che potrà fare il suo lavoro di angelo ancora per un po’. Andiamo allora a essere felici e... buona lettura. Loredana (detta Mezzaluna).



18 ANNI

OGGI È IL GIORNO 0.

Lo chiamano tutti così. Come gli astronauti nella navicella prima del conto alla rovescia. Io ho fatto tutto il conto e siamo allo zero. Poi ci sarebbero i numeri relativi, ma non voglio pensarci. Voglio pensare all’uno, al due, al tre, al cinquemila, ai cinquemilioni… Oggi è lunedì e ho diciotto anni e una settimana. L’età attesa per QUESTO. Un lunedì mattina qualsiasi. Il sole è sorto alle 6,21 e tramonterà alle 19,51. Il santo del giorno dovrebbe essere Gaspare, uno dei Re Magi.

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Leggo sul display del telefono connesso a internet che sarà una giornata con rare nuvole. Fuori dalla finestra della mia camera è ancora buio. Sono solo le 5. Un giorno con i numeri al posto giusto. Non ho dormito molto e non ho cambiato idea. Certo che no! Anche se a volte ci ho pensato. Se dicessi “no”, capirebbero. Se dicessi “no, credevo di farcela ma non ce la faccio”, nessuno me ne farebbe una colpa, nessuno mi odierebbe. Tranne me. Però poi mi perdonerei, un giorno o l’altro potrei perdonarmi. Ho diciotto anni in fondo e devo ancora prendere la patente e devo finire il liceo e devo partecipare a qualche festa, fare qualche viaggio, dormire insieme a Fabio e svegliarmi con la sua faccia vicino. Devo fare tante cose e quindi tutti capirebbero. Sì ci ho pensato tante volte. Il respiro si fa quasi spesso, si condensa. Ho forse il fiato freddo, magari a forma di gelato. Ho le mani sudate e continuo a ripetermi che sono io l’artefice del mio destino. È vero che ho questo privilegio che non appartiene a tutti. E già. Chiudo gli occhi e il cuscino diventa una nuvola. Come quando ero piccola, come quando tutto era meravigliosamente imperfetto.

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In fondo sono sempre stata “la rospa” e i rospi sono creature che nascondono una magia dentro di loro. Una magia da fare da dentro una nuvola. Non è poi nulla di così straordinario, è una magia semplice: basta andare in ospedale e sorridere mentre ti bucano di qua e di là. I rospi hanno la pelle dura e spessa, dovranno usare degli aghi speciali. Sorrido e mi guardo ancora allo specchio. Sì un po’ mi piaccio. E sono pronta!

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LA ROSPA

Quasi tre anni prima

FINALMENTE HO ELIMINATO TUTTI GLI SPECCHI, questo dell’ingresso era l’ultimo. Per non insospettire troppo la mamma ci ho pure messo davanti un vaso con fiori enormi di seta: girasoli e papaveri tipo quelli disegnati da Van Gogh. Mi sono costati una fortuna, spero almeno apprezzi il pensiero. Così adesso posso girare tranquillamente dalla camera mia al portone di casa senza incorrere in quelle maledette superfici riflettenti. Quello della camera l’ho coperto con una vecchia tenda che mamma aveva deciso di non buttare. Lei dice che da un momento all’altro le Borse potrebbero crollare per via dei Mercati Asiatici e delle

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manovre finanziarie per cui noi potremmo ritrovarci “tout a coup” poveri, ma che dico, poverissimi, e allora ogni cosa, alla quale avevamo fatto l’abitudine, ci sembrerà preziosa. Per questo, da un po’ di tempo conserva tutto. Le è presa la mania del “non buttare”, “non sprecare”, “non consumare”. Papà la guarda placidamente mentre corre frenetica, armata di buste e bustine, a incartare e a controllare persino nei sacchi della spazzatura, a osservare dubbiosa dentro gli armadi e perfino, udite udite, a togliere dalle fette di salame gli acini di pepe per far far loro una fine di cui nessuno in famiglia azzarda ipotesi. Sei mesi fa c’era la lotta contro le pellicce, che tutti abbiamo affrontato con stoica indifferenza, compreso papà che la sera si chiudeva nel suo studiolo a cercar di azzeccare i numeri del SuperEnalotto. Adesso a casa nostra c’è la lotta del riciclaggio. – Andrea! La voce mi raggiunge anche se sono sepolta sotto sei cuscini. Conviene sprecare la voce o direttamente affrontare i gradini e porgere le stanche orecchie al genitore che chiama? – Andrea!! Accidenti ha usato due punti esclamativi: la cosa è grave.

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Eccola qui, mia madre. È strano che due persone vissute nove mesi una dentro l’altra siano così diverse. Forse in quei nove mesi di quindici anni fa, mamma viveva una delle sue esperienze “formidables” staccandosi dal corpo e provando a viaggiare per siti talmente lontani che farebbero impallidire persino Internet. Forse allora sono figlia dello spazio, chissà, di uno spazio dove si sono scombinate le particelle che ci rendevano simili e alcune se ne sono andate per i fatti loro. Lei: Françoise Marchand, più francese di così! Bionda, occhi verdi come spinaci e pelle bianca tipo mozzarella, esile ed elegante come un grissino con sopra una punta di prosciutto e maionese. Le manca un pomodorino per naso per ottenere un piatto degno del migliore chef. Io: Andrée, traduzione Andreina. Orribile! Solo un caso fortunato o dannato ha voluto che il mio nome fosse trasformato in Andrea: Concetta, la nonna paterna, napoletana verace fino al Regno Borbonico, non masticando il francese anche perché provvista di una dentiera semovibile, ogni volta che mi vedeva allargava le braccia per accogliermi aspettando che mia madre con la sua erre moscia le suggerisse un suono con il quale poter

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dare un nome alla mia personcina. Così mamma mi chiamava e lei, tutta concentrata per non far brutta figura con la francese d’importazione, arrotolava la lingua sul palato e provava a imitarla. Venivano fuori cose disastrose con gli accenti e le consonanti letteralmente sputate. Mia madre nascondeva il disappunto dietro una smorfietta simpatica; i francesi sanno come farsi coraggio. Papà invece rideva di gusto e mi metteva a cavallo sulle spalle grosse, mentre con un braccio teneva un lembo della maglietta della nonna. Era un loro modo scherzoso di salutarsi. Quando era piccolo, papà veniva preso in giro dagli altri fratelli perché era un po’ il cocco di mamma e le stava sempre attaccato alle sottane. Così è venuto fuori Andrea! Grazie nonnina! Mi hai regalato un nome decente, un nome dove posso nascondermi. Gli animali hanno la muta o possono mimetizzarsi quando par loro. Io ho un nome che mi difende. Che mi somiglia. Un nome da maschio.

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È arrivata. Oddio quanto avrei voluto che questo momento non arrivasse mai. Ho desiderato persino un’alluvione, una tracimazione del Tevere come non si era vista da Nerone il folle in poi, con le strade impraticabili, le case che galleggiano e soprattutto i treni che non partono e non arrivano. Stanotte ho sognato che il Vesuvio aveva eruttato e reso inagibili tutte le vie di comunicazione tra la Campania e il Lazio. Mi sono svegliata felice finché non ho ricordato che quello era solo un sogno, un misero sogno. Così adesso è qui. La sento squittire giù da basso con mamma e papà. È da Natale che non la vedo. Veramente mi basterebbe incontrarla una volta o due ogni centinaio d’anni, così, tanto per rendere omaggio ai legami di sangue, se ce ne sono. La sento toccare le cose con le manine ingioiellate di bigiotteria e magari con grazia abbassarsi sui mobili lasciando galleggiare nell’aria il ciondolo appeso alla catenina. Che grazia, che perfezione, che inusitata leggiadria per una fanciullina di quattordici anni! Perché il malvagissimo destino ha voluto darmi questa creatura come cugina?

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Sarebbe stato meglio la figlia segreta di qualche parente migrato in America, povera, misera e magari gobba e con il naso adunco. Oh sì, l’avrei accolta fra le braccia e l’avrei tenuta stretta in modo che tutti potessero vedere la differenza e non avessero dubbi su chi scegliere! Detesto il buonismo e ammiro i cattivi! – Andrea! Mi chiamano. E io vado. Ciabatto, mi sospingo, arranco, mi lascio guidare da quel festoso richiamo, giù verso il declino. È tutta un sorriso abbagliante, la perfettina. Profuma di creme idratanti e di shampoo al limone. Immagino le mie lunghe soste davanti al bagno, con lei a tolettarsi banchettando tra spazzole e ombretti e io a tentare di trattenere la pipì in libera uscita. Papà tiene ancora in mano la sua valigia, rossa con le zip nere; spero che i crampi che avrà in giornata gli facciano sospettare la presenza di qualche cadavere in casa. Sì, sarebbe il massimo, lo splendore Gigliola Zappa, il mostro che viene dal sud. Uccideva le sue vittime dopo averle stordite con Chanel numero cinque, le tagliava con la limetta delle unghie e impilava i pezzi in ordine alfabetico: avambraccio, braccio, gamba, mano, piede, testa.

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– Andrea, hai visto cara, finalmente Gigliola è arrivata! Su, saluta – mi dice mia madre. Sì, saluto Gigliola e la strangolo con un abbraccio virtuale. – Ciao! – mi dice allargando la bocca carnosa. – Uhmm, ciao – rispondo trascurando di evitare il pestaggio del suo nobile piedino, un 35 forse. La guardo meglio: ma dove cavolo le trova scarpe così piccole. Forse in un’altra vita è stata una geisha alla quale avevano fasciato i piedi per non farli crescere. Sono minuscoli davvero. Che siano i piedi di una nana trapiantati su un corpo da sirenetta? Papà mi guarda con una specie di invito sulla faccia. Vorrei far finta di non aver capito, mi sento un’anima cattivo–candida in un corpo tutto sbagliato, come uno sformato che si affloscia appena tirato via dal forno.

È domenica, una domenica diversa dalle altre perché adesso, anche se ho coperto tutti gli specchi, ne avrò sempre davanti uno implacabile di nome Gigliola.

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La osservo transitare per la stanza come se fosse già tutta sua e trotterellare sui tacchi da un angolo all’altro cercando di conquistare spazio. Io me ne sto sull’uscio con il broncio e una fame che mi serra lo stomaco. Guardo il suo girovita e poi il mio: ecco, ci siamo, di nuovo lo specchio che mi perseguita. Allora penso: mangio le ciambelline al limone e glassa o le tartine al burro con l’uovo sodo? Mi decido per le prime: in fondo lo stress ha bisogno di zuccheri.

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L'IMBRANATO

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IN FONDO IO ODIO LA DOMENICA. Senza “in fondo”, io odio la domenica! È bello averlo ammesso, almeno a me stesso. Almeno adesso non devo nascondere il pensiero, lo posso tenere sotto controllo quando tutti sospirano l’arrivo dell’agognata giornata festiva. Festa perché? E soprattutto per chi? Nessuno mi telefona o viene a cercarmi, nessuno che mi dice: “Ehi, tu: andiamo a pattinare? Al cinema? A vedere la partita? A romperci al centro? A sgassare in motorino?” Io sto bene solo con me stesso per sei giorni la settimana, ma nel settimo vorrei riposarmi da tanta solitudine. Vorrei chiedere a Dio, se potessi, a Lui che ha inventato questo giorno, se aveva messo in conto che alcuni potevano restare intrappolati fuori

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dal parco–giochi, in prigione dentro loro stessi, con i loro pensieri sempre uguali e le azioni che neppure si distinguono più una dall’altra. Non ci provo neppure a uscire, spero che piova. Spero sempre che la domenica sia piovosa, con temporali terribili, e seguo con angoscia le previsioni meteo cercando di assumere lo stesso distacco del Colonnello dell’Aereonautica, il quale resta impassibile anche quando annuncia che una terribile perturbazione sta per fiondarsi sulla Città Eterna. Meteo.it non mi soddisfa: se prevede temporali per la domenica, lascia sempre un barlume di possibilità di schiarite in serata. Mio padre esclama: – Mannaggia, piove sempre di domenica! Io non so perché lo dica, tanto se ne resterebbe ugualmente chiuso in casa con le partite alla TV, girando tra i canali in cerca dello svago della pubblicità. Potrei stare con mio nonno. Sì, questa sarebbe veramente la fine e non solo metafisica della mia triste adolescenza. Un calvario che mi farebbe guadagnare di sicuro il Paradiso senza altre opere di bene da fare. Mamma non lo sopporta. Papà, il suo figliolo prediletto, lo tollera appena, gli zii lo ignorano e io, io non so bene cosa provo per lui. Mi è simpatico,

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ma un nonno può essere “simpatico”? Forse sì se ingoia le gomme da masticare come fa lui perché non riesce a regolarsi con la dentiera e se pretende il Times come giornale anche se non sa una parola d’inglese. Lo fa, dice, per cameratismo. Durante la guerra fu fatto prigioniero dai tedeschi e salvato dagli inglesi, liberato in un campo di concentramento della Germania proprio mentre stava per morire di dissenteria. E quando “stava per rendere l’anima”, così dice lui, arrivarono gli inglesi e gli diedero una cioccolata e un ospedale. Oddio, la cioccolata non era proprio l’alimento giusto per la dissenteria, però lo salvarono da morte certa. Da allora questo è il suo omaggio a quel paese. Inforca gli occhiali, si accomoda in poltrona, accende la luce e comincia a sfogliare il giornale con un’attenzione simile a quella di Galileo verso gli astri. Ogni tanto borbotta frasette con i verbi assenti o sbagliati nei modi e nei tempi, tipo: “Eh, regina quasi queen... sì che credete solo perché non ci fu più il re, ridotti come siamo... male, troppo male”. Mio nonno ha ottantasette anni e tutti dicono che somiglio a lui. Spero solo che i reali d’Inghilterra non lo vengano mai a sapere che in Italia c’è qualcuno che li venera perché la cioccolata inglese lo salvò dalla dissenteria.

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Sto alla finestra con un libro in mano che non leggo e cerco di lasciar passare le ore in attesa della cena e poi del telegiornale e infine delle fatidiche undici ore in cui i miei vanno a letto. Di solito anch’io, portandomi il pc sul comodino e guardando l’home di facebook dove qualcuno posta sempre Domenica meravigliosa insieme a te e… domani? Già, domani. Domani devo pure cambiare sezione: la mia l’hanno sdoppiata per l’arrivo di due nuovi, così adesso mi ritrovo ancora più solo in mezzo a tanti che hanno già qualcosa in comune, fosse solo le scarpe da ginnastica o la marca del gel, fosse solo qualche sguardo di compassione verso la porta o la frase con lo spray letta sul muro della scuola: Mari ti amo. Tuo rospo. Beh, una frase come tante. Anzi… diversa: senza volgarità, tenera. Devo dire la verità: anche a me piacerebbe la tenerezza. I maschi la devono nascondere, almeno i maschi che conosco cercano di evitarla come fosse influenza fastidiosa.

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Eppure, alle medie, una volta l’ho provata per Cinzia che durante le due ore di educazione motoria ogni tanto si avvicinava e mi toccava il braccio e poi mi rubava la palla. Probabilmente il toccarmi era dovuto più alla palla da rubare per fare canestro che alla mia persona, però non mi importava. Sentivo un caldo buono che mi partiva dal braccio fino ad arrivare in testa quando lo faceva. Una tenerezza nuova, che non avevo mai provato prima. Forse perché Cinzia mi sorrideva anche. Ma non è mai successo altro. Timido come una lumaca ho sempre evitato di incontrarla da solo, però per tanto tempo l’ho guardata da lontano.

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LA ROSPA

SONO UNA ROSPA.

Così mi chiamano alcuni miei compagni di sezione e di istituto e l’ho scoperto nell’ottobre scorso per puro caso, quando dalla porta del bagno ho sentito quei versi: “Rospa rospetta dimmi cosa ci aspetta? Dovremmo chiederlo ad Andrea come andrà il compito di matematica; si sa i rospi hanno dei doni speciali!” Ottimo pensiero con il quale svegliarsi nel cuore della notte con la lucina della radiosveglia che lampeggia le 3,45 e improvvisamente sentire caldo dentro, come se un termosifone si fosse attaccato al cuore: questo è un presentimento bello! È come se la vita ti avvertisse che hai qualche chance anche tu. Forse uno stagno tutto per me. Uno stagno oleoso dove le cose possono scivolare via e tu puoi

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galleggiare fiera di te, lontano da tutto. Mentre fagocitavo tutto questo, Gigliola, la cugina, dormiva beata. Mi sono alzata in punta di piedi a osservarla con una specie di rispetto che viene fuori quando sei davanti a un’opera d’arte e ti sembrano troppi anche i respiri. Figurarsi gli starnuti. È stato allora, davanti al suo profilo cesellato, affondato sul cuscino, che ho capito: lei fa parte di un allevamento, non c’è altra spiegazione. Quelle come lei hanno ovuli speciali e vengono tenute lontane dalle intemperie, nutrite con sostanze vitaminiche e proteiche in assenza di radicali liberi e di antiossidanti. Poi, a un certo punto le lasciano libere di vagare per il mondo e di annientare la specie subumana. La vista di Gigliola, bella durante il sonno come nella veglia, non ha però cancellato il presentimento. Ieri sera prima di addormentarci ci siamo scambiate sì e no sei parolette facili facili, senza domande. Io, a dire la verità, ne avrei avuta una: “Perché diavolo sei venuta qui?” E ancora: “Che cosa ti ha fatto lasciare la scuola, gli amici, i fidanzati, le discoteche, le palestre, i cibi vegetariani, per venire proprio qui a finire di distruggermi?”

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Ma non puoi fare domande a una che detesti. Sarebbe come accendere un fiammifero vicino a materiale infiammabile. Niente, per consolarmi mi sono tenuta stretta il presentimento: già stava raffreddandosi nell’atrio dell’oblio e l’ho riacciuffato, così anch’io mi sono riaddormentata, credo, con un sorriso beato.

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INDICE CAPITOLO 1.................................................................................................................10 CAPITOLO 2................................................................................................................ 18 CAPITOLO 3................................................................................................................23 CAPITOLO 4................................................................................................................26 CAPITOLO 5................................................................................................................32 CAPITOLO 6................................................................................................................38 CAPITOLO 7............................................................................................................... 49 CAPITOLO 8................................................................................................................55 CAPITOLO 9................................................................................................................58 CAPITOLO 10..............................................................................................................65 CAPITOLO 11...............................................................................................................79 CAPITOLO 12..............................................................................................................85 CAPITOLO 13..............................................................................................................89 CAPITOLO 14.............................................................................................................. 91 CAPITOLO 15..............................................................................................................98 CAPITOLO 16........................................................................................................... 109 CAPITOLO 17............................................................................................................ 113 CAPITOLO 18............................................................................................................ 115 CAPITOLO 19.............................................................................................................117 CAPITOLO 20...........................................................................................................123 CAPITOLO 21............................................................................................................125 CAPITOLO 22.......................................................................................................... 130 CAPITOLO 23............................................................................................................136 CAPITOLO 24...........................................................................................................138 CAPITOLO 25............................................................................................................143 CAPITOLO 26...........................................................................................................145



Un’associazione nata per amore. Della vita! Una famiglia, in Lombardia, vede addormentarsi il piccolo Lorenzo. Un’altra, in Piemonte, con Rossano perde anche i suoi sogni di ventenne. ADMO nasce così, da un dolore profondo, per permettere ad altri figli di vivere. Fondata per volontà di un gruppo di persone fortemente motivate a creare, anche in Italia, una valida banca dati di persone disposte a donarsi volontariamente, l’Associazione dei Donatori di Midollo Osseo ha lo scopo principale d’informare la popolazione italiana sulla possibilità di combattere leucemie, linfomi, mielomi e altre malattie del sangue attraverso la donazione e il trapianto di midollo osseo. Raggiunta la maggiore età, 18 anni, si può decidere di diventare donatori. Una scelta importante. Vitale per


un numero infinito di bambini, giovani, donne, uomini che nel letto di qualche ospedale stanno lottando per riagguantare la propria vita. Si valuta che in Italia siano necessari circa 1.000 nuovi donatori effettivi all’anno, considerando l’elevato numero di persone che necessitano di trapianto. Fra l’altro, la richiesta di donatori sembra destinata ad aumentare ulteriormente, poiché il trapianto delle cellule staminali presenti nel midollo osseo continua a essere al centro di numerose ricerche mediche, mentre stanno diventando di routine alcune applicazioni in campo genetico, come nel caso delle talassemie. La compatibilità genetica, però, è un fattore molto raro e ha maggiori probabilità di esistere tra consanguinei. Per coloro che non hanno un donatore consanguineo la speranza di trovare un donatore compatibile per il trapianto è dunque legata all’esistenza del maggior numero possibile di donatori volontari tipizzati, dei quali cioè siano già note le caratteristiche genetiche, protocollate nel Registro Italiano Donatori Midollo Osseo (IBMDR). In questo panorama, ADMO svolge un ruolo di stimolo e coordinamento: fornisce agli interessati informazioni sulla donazione del midollo osseo e invia


i potenziali donatori ai centri trasfusionali del Servizio Sanitario Nazionale, dove vengono sottoposti alla cosiddetta “tipizzazione” (che avviene con un semplice prelievo di sangue). Negli anni successivi alla sua fondazione, ADMO è arrivata a coprire l’intero territorio nazionale grazie alla costituzione di sedi regionali, associazioni autonome ma con uguale statuto e operanti sotto lo stesso marchio. Se desideri saperne di più… www.admo.it


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